12. I figli minorenni e il patto di famiglia La legge 14 febbraio 2006, n
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12. I figli minorenni e il patto di famiglia La legge 14 febbraio 2006, n
190 La tutela dei figli nella separazione, nel divorzio e nella famiglia di fatto 12. I figli minorenni e il patto di famiglia La legge 14 febbraio 2006, n. 55, pubblicata il 1° marzo 2006 e, perciò, entrata in vigore il 16 marzo 2006, detta dei Patti di famiglia, innova fortemente alcuni principi base del nostro diritto successorio. Il primo è quello di cui all’art. 458 c.c. contenente il divieto dei patti successori, da sempre una barriera di fronte ai tentativi di disporre della propria successione o di disporre, da parte di chi si presume destinatario di diritti successori, di una successione non ancora aperta. La legge che, seppure con grosso ritardo, coglie le sollecitazioni e le raccomandazioni della Comunità Europea, infrange altri due principi basilari: quello della successione necessaria a favore dei legittimari e quello posto a tutela, appunto, di questi ultimi attraverso l’azione di riduzione e l’obbligo della collazione. Una legge non semplice e di non facile inserimento in una materia cristallizzata da decenni, o da secoli; condizionata dalla qualità o dalla natura prevalente dei beni ereditari, cioè dai patrimoni immobiliari. Col trascorrere degli anni e il maturare di concezioni nuove e più dinamiche sulla gestione delle imprese, in particolare di quelle legate al ceppo familiare, e soprattutto la necessità di confrontarsi con le difficoltà dei mercati e l’aleatorietà delle successioni tradizionali nell’impresa di famiglia (utilizzando il tradizionale strumento testamentario), ha indotto il legislatore a cogliere quanto emerso a livello europeo, per avviare una riforma protettiva dell’impresa. L’imprenditore, tenendo presente le difficoltà e le incertezze di un passaggio per via ereditaria di un bene destinato a camminare con lo stesso, o con maggiore impulso, non può rischiare che questo patrimonio si disperda tra gli eredi, sia tra quelli capaci che tra quelli inadatti, per giungere ad una situazione di crisi. Le altre forme di protezione del minore 191 La legge autorizza, scavalcando le antiche barriere e i passaggi scontati delle successioni tradizionali, l’imprenditore a scegliere, prima della sua morte colui, o coloro, che dovranno succedergli nell’impresa sulla base di competenze e di disponibilità già verificate. Lo strumento per scegliere è il patto di famiglia previsto dalla legge n. 55/2006, col quale, nel rispetto delle varie tipologie societarie, l’imprenditore, o il titolare di partecipazione societaria (cioè proprietario di quote o di azioni) trasferisce con atto pubblico, in tutto o in parte l’impresa o le partecipazioni societarie ad uno o più discendenti (non solo ai figli ma anche ai nipoti). Le condizioni di validità dell’operazione sono: a) che al contratto, o patto di famiglia, partecipino tutti coloro che avrebbero la qualità di erede se nel momento della stipula del patto si aprisse la successione in morte dell’imprenditore; b) che gli assegnatari dell’azienda o delle quote trasferite provvedano a liquidare agli eredi esclusi il valore della loro quota, a meno che essi non via abbiano rinunciato; c) che le quote trasferite, se richiesto dagli aventi diritto, possano essere liquidate anche in natura; d) che le quote dei beni assegnati agli eredi non partecipanti all’assegnazione dell’azienda o delle quote, vengano imputate alla quota di legittima a ciascuno spettante; e) che tutto ciò che hanno ricevuto i contraenti non è soggetto a collazione o riduzione; f) che tra i partecipanti vi siano il coniuge, anche se separato, e i figli naturali, oltre che legittimi, i loro discendenti per rappresentazione, i figli legittimati o adottivi e, in loro mancanza, i discendenti. *** Poiché la legge parla di eredi in linea retta o dei loro discendenti, può accadere che tra essi vi siano uno o più minori, legittimi, o naturali, o adottivi. Poiché si ritiene ragionevolmente che l’atto di trasferimento dell’azienda o delle quote ab- 192 La tutela dei figli nella separazione, nel divorzio e nella famiglia di fatto bia natura di straordinaria amministrazione, è necessario che l’atto, nell’interesse del minore, sia autorizzato dal giudice e il minore sia rappresentato dal genitore o da un curatore speciale se nell’operazione si dovesse configurare un conflitto di interessi, o col genitore cedente o con quello che dovrebbe legalmente rappresentare il minore, salvo che il genitore non sia un semplice convivente di fatto. Il problema della rappresentanza legale si pone non solo nei confronti del minore, ma anche di eventuali altri legittimari, per i quali sia previsto l’intervento nel patto di famiglia, che siano incapaci di intendere o di volere, e perciò interdetti, o anche inabilitati. In caso di controversie tra i partecipanti al patto, il legislatore richiede che si ricorra all’organismo di conciliazione previsto dall’art. 38, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 per la definizione delle controversie in materia societaria, di intermediazione finanziaria e creditizia. Una delle conseguenze della frettolosità con cui la legge n. 55/2006 – che ha seguito a ruota quella sull’affido condiviso – è stata approvata, è la scarsa ponderazione sulla terminologia usata. Come si sa la legge, con previsione quanto mai opportuna, si è fatta carico di ovviare all’inconveniente della mancata partecipazione al patto di famiglia di taluni tra gli aventi diritto, cioè legittimari a vario titolo al momento della morte dell’imprenditore. Le ipotesi che, in concreto, possono avere determinato, nell’epoca della stipula del patto, la mancata partecipazione di questi legittimari possono essere svariate, tra esse anche il fatto che qualcuno non esistesse, come nel caso di un figlio che l’imprenditore non avesse ancora messo al mondo; oppure che all’epoca del patto egli non avesse divorziato dalla prima moglie per cui, quella sposata in seconde nozze è una legittimaria di seconda acquisizione. Cosa ha previsto in una simile ipotesi la legge per sanare la evidente nullità del contratto? Ha posto come condizione che i legittimari sopravvenuti debbano essere tacitati e soddisfatti nei limiti della quota ad essi spettante (oltre gli interessi) da parte del beneficiario che Le altre forme di protezione del minore 193 ha ricevuto l’azienda o le compartecipazioni, oppure, se i beneficiari sono più, un impegno solidale da parte di costoro. Un problema che la legge non aiuta a risolvere è quello del criterio da tenere presente per la valutazione della quota o delle quote da saldare in compensazione. È certo, in ogni caso, che il tempo della valutazione è quello della stipula del patto. Qualcuno ha messo in evidenza tra le altre incongruenze 35 della legge quella dell’art. 768 quinquies, il quale viene invocato impropriamente due volte: la prima, allorché richiama la norma dell’art. 1427 c.c. a sostegno dell’impugnazione del patto, vale a dire i vizi del consenso; la seconda volta, in termini ancora meno comprensibili allorché invoca i vizi del consenso di cui all’art. 1427 quale motivo di impugnazione del patto, nel caso in cui i partecipanti ad esso siano inadempienti all’obbligo di liquidare le quote dei legittimari sopravvenuti. 13. La tutela dei figli nel matrimonio nullo L’art. 4 della legge n. 54/2006, nelle disposizioni finali, fa riferimento in modo impreciso, a due situazioni di anomalia matrimoniale: la prima è quella del 1° comma in cui si accenna – inserendola accanto alle due ipotesi possibili di divorzio – all’«annullamento» del matrimonio; la seconda è quella del 2° comma in cui si parla di «nullità» del matrimonio. La terminologia del legislatore di queste norme (e di molte altre, per la verità, utilizzata nel corso della legislatura) non è una novità in 36 materia di invalidità del matrimonio poiché il codice civile, anche dopo la riforma del 1975, ha definito tale situazione di invalidità in modi diversi (impugnabilità, nullità, annullamento, giungendo al punto da usare una differente terminologia dello 35 A. BUSANI, Accordi alla presenza dei legittimari, in Guida al diritto, 2006, n. 13. 36 V. M. SESTA, Diritto di famiglia, cit., p. 67.