Comune di Anzola dell`Emilia

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Comune di Anzola dell`Emilia
COMUNE DI ANZOLA
Sabato, 29 novembre 2014
COMUNE DI ANZOLA
Sabato, 29 novembre 2014
Sanità, sociale e servizi per l'infanzia
29/11/2014 Il Resto del Carlino (ed. Bologna) Pagina 30
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Sindaco e cittadini scrivono all' Ausl:«Non spostateci il medico di...
Pubblica amministrazione
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BEDA ROMANO
«Riforme o apriamo procedura a marzo»
29/11/2014 Il Sole 24 Ore Pagina 7
GIANNI TROVATI
Province, in esubero metà del personale
29/11/2014 Il Sole 24 Ore Pagina 10
GIOVANNI MINOLI
«Troppe lobby negli appalti Commissarieremo ancora»
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Federalismo fiscale, squilibri e deficit
GIORGIO PONZIANO
Non mi lascio imbavagliare
TINO OLDANI
Finché non avrà abolito il carrozzone del Cnel, Renzi non...
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Province, dipendenti a rischio
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La via provinciale degli esuberi
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Imu ex montani, pubblicati i tagli
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LUIGI OLIVERI
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Il Resto del Carlino (ed.
Bologna)
Sanità, sociale e servizi per l'infanzia
ANZOLA.
Sindaco e cittadini scrivono all' Ausl:«Non spostateci
il medico di base»
ANZOLA U N A L E T T E R A d e l s i n d a c o d i
Anzola Giampiero Veronesi per sensibilizzare i
vertici del Distretto Pianura Ovest Ausl di
Bologna e una raccolta di firme tra i cittadini.
Tutto ciò per far rimanere, almeno ancora per
un po',il medico di base Fausto Crucitti. Nei
giorni scorsi era venuto a mancare il dottor
Nino Nadalini, morto improvvisamente in
Colombia a causa di un malore, con cui
Crucitti conduceva assieme da anni l'
ambulatorio che conta un totale di 1800
pazienti. Ma, scomparso Nadalini, Crucitti
deve cedere il passo visto che incombe la
graduatoria per l' assegnazione del posto
vacante. «A quanto mi consta, la situazione dei
medici di base di Anzola scrive Veronesi non
permette un veloce e facile passaggio di
gestione ad altri medici oppure a un nuovo
medico di base. Crucitti, come Nadalini,
conosce molto bene i pazienti. E in un
momento particolare come questo, in cui vi è il
picco di malattie stagionali, sarebbe davvero
molto problematico lasciare Crucitti al suo
posto per un solo mese». Veronesi chiede
quindi, come già avvenuto in altri casi simili, di poter avere una deroga temporale nella sostituzione
permettendo a Crucitti di rimanere per un periodo più lungo. Almeno sei mesi in modo tale di assicurare
la sua presenza nel periodo più critico dell' anno. «In questo modo aggiunge il primo cittadino si
darebbe una maggiore tranquillità agli anzolesi assistiti finora dal compianto Nadalini di cui Crucitti era
il braccio destro». Pier Luigi Trombetta.
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Pubblica amministrazione
La lunga crisi.
«Riforme o apriamo procedura a marzo»
Moscovici: più sforzi sul debito ­ Via libera della Commissione Ue alla legge di stabilità.
Beda Romano BRUXELLES. Dal nostro corrispondente
La Commissione europea ha avvertito ieri il governo
Renzi che senza riforme economiche, quantificabili
anche in termini di finanza pubblica, le autorità
comunitarie apriranno in marzo nuove procedure contro
l' Italia. Consapevole della delicata situazione
economica, in una attesa opinione sul bilancio
previsionale per il 2015, Bruxelles ha scelto per ora di
non chiedere ulteriori misure di bilancio, preferendo
mettere l' accento sull' urgenza di modernizzare l'
economia italiana.
«La Commissione è del parere che la Finanziaria
italiana rischia di non rispettare i requisiti del Patto di
Stabilità e di Crescita», ha detto ieri qui a Bruxelles il
vice presidente della Commissione Valdis Dombrovskis.
«Tre paesi ­ Francia, Italia e Belgio ­ si sono impegnati
per iscritto alla responsabilità di bilancio e a riforme
strutturali. Abbiamo deciso di dare loro più tempo» per
raggiungere questi obiettivi. «Se nel marzo del 2015 non
avranno rispettato gli impegni, le regole saranno
applicate».
Durante la stessa conferenza stampa, il commissario
agli affari monetari Pierre Moscovici ha precisato che nel marzo del 2015 l' analisi verrà effettuata alla
luce della «qualità del bilancio 2014, della finalizzazione della Finanziaria 2015, e di riforme economiche
favorevoli alla crescita, che abbiano un impatto di medio termine sulla sostenibilità delle finanze
pubbliche». Ha poi aggiunto: «Non abbiamo voluto fare scelte precipitose. Abbiamo dato più tempo.
Tempo che non va perso».
Incalzato dalla stampa, lo stesso Moscovici ha ammesso che all' Italia «un piccolo sforzo supplementare
potrebbe essere chiesto» in termini di bilancio. Quando: oggi, o in marzo?
La domanda è rimasta senza risposta. Nella sua opinione, la Commissione sostiene che sul fronte del
deficit pubblico il paese dovrebbe ridurre il disavanzo strutturale dello 0,5% del Pil nel 2015, mentre il
governo Renzi punta a un aggiustamento dello 0,3% (più bassa la stima di Bruxelles: appena lo 0,1%).
L' eventuale sforzo si aggirerebbe quindi intorno allo 0,2%.
In questo senso, la Commissione «invita le autorità italiane a compiere ulteriori progressi».
E precisa: «Al riguardo, le politiche che migliorano le prospettive di crescita, il mantenimento di uno
stretto controllo della spesa primaria corrente, migliorando al tempo stesso l' efficienza complessiva
della spesa pubblica, nonché le privatizzazioni programmate, contribuirebbero a riportare (...) il
rapporto debito­Pil su un percorso discendente».
In buona sostanza, l' esecutivo non chiede una nuova manovra di finanza pubblica per il 2015, ma
avendo notato che il paese è a rischio di non rispetto del Patto di Stabilità non può non ipotizzare
ulteriori misure. Misure quelle elencate da Bruxelles che sono quelle di un buon padre di famiglia, e che
non devono essere solo di finanza pubblica. Anzi, agli occhi della Commissione sono più importanti in
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Pubblica amministrazione
questo momento di recessione le riforme economiche.
D' altronde, nella sua opinione la Commissione prende atto della difficilissima situazione economica
italiana. Secondo i calcoli di Bruxelles, le regole europee di riduzione del debito imporrebbero all' Italia
un taglio strutturale del suo deficit pari a circa 2,5 punti percentuali del prodotto interno lordo nel 2015.
Sulla base di un deficit strutturale nel 2013 dello 0,8% del prodotto interno, il bilancio si trasformerebbe
nel 2015 in un attivo strutturale di oltre l' 1,5% del Pil.
Nella sua analisi, Bruxelles lascia intendere che questo aggiustamento di bilancio sarebbe troppo
gravoso per il delicato contesto economico e sociale italiano. «Vogliamo prendere i governi in parola.
Promettono riforme? Che le facciano.
Li giudicheremo sui risultati», commentava ieri un funzionario comunitario. In questo momento, per la
Commissione è più importante sostenere la crescita economica senza la quale il debito pubblico non
potrà scendere.
Nella sua presentazione di ieri, la Commissione ha cercato di raggiungere un delicato equilibrio politico.
Da un lato, ha voluto cambiare registro, concentrandosi sulla crescita dell' economia più che sul
risanamento dei conti. Dall' altro, ha voluto ribadire l' importanza delle regole di bilancio e difendere la
propria credibilità di guardiana dei Trattati. Non per altro, sempre ieri, ha confermato che sull' Italia
continua a pesare la minaccia di una procedura per squilibrio macroeconomico eccessivo.
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BEDA ROMANO
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Pubblica amministrazione
Riforma Delrio. Al Senato emendamento del governo per gestire trasferimenti e
prepensionamenti.
Province, in esubero metà del personale
Gianni Trovati MILANO La riforma Delrio mette
in «soprannumero» il 50% del personale nelle
Province normali e il 30% in quelle che si
stanno trasformando in Città metropolitane. Gli
"esuberi" delle Province trovano un numero
nell' emendamento che il Governo ha
preparato per inserirlo al Senato nella legge di
stabilità c o n l ' o b i e t t i v o d i g e s t i r e l o
svuotamento dei vecchi enti di area vasta. I
calcoli parlano di circa 28mila persone, anche
se la «rideterminazione» automatica della
dotazione organica taglierà del 50% i costi e
non direttamente i posti: stipendi e contributi
per i dipendenti costano poco più di due
miliardi all' anno, per cui il taglio vale un
miliardo: cioè la stessa cifra chiesta alle
Province dalla spending review 2015.
Per gestire questi "esuberi", prima di tutto, il
testo sposta al 31 dicembre 2018 i termini per i
prepensionamenti, cioè per le uscite con i
parametri pre­Fornero, con una proroga
giustificata con «la valenza di grande riforma
economica» della Delrio.
Chi rientra in questa super­finestra si vedrà
comunicare entro 90 giorni i termini della
«risoluzione unilaterale» del rapporto di lavoro,
ma continuerà ad andare in ufficio fino al raggiungimento dei requisiti previdenziali, mentre gli altri in
soprannumero dovranno essere presi in carico da altri enti: le Regioni o i Comuni, a seconda della
redistribuzione delle funzioni nei territori, ma anche gli uffici giudiziari e altre amministrazioni dello
Stato, compresi università, agenzie ed enti pubblici non economici ma con l' esclusione dei comparti di
sicurezza, vigili del Fuoco, scuola, Afam ed enti di ricerca. Le amministrazioni centrali dovranno dare la
propria disponibilità comunicando alla Funzione pubblica i posti, «soprattutto riferiti alle sedi
periferiche» disponibili e finanziabili, mentre per gli enti territoriali tutto dipenderà dalla nuova geografia
delle competenze decisa dagli Osservatori regionali sull' attuazione della riforma.
Entro fine marzo, secondo il calendario delineato dall' emendamento, sarà individuato il personale non
prepensionabile da mantenere nei vecchi enti e quello da inserire nei piani di mobilità. Per provare a
blindare questi spostamenti, il testo non trascura le sanzioni sugli enti chiamati a ricevere i nuovi arrivi:
Regioni ed enti locali dovranno utilizzare gli spazi concessi dal turn over per accogliere il personale ex
provinciale o per l' immissione in ruolo dei vincitori di concorso presenti nelle graduatorie vigenti o
comunque già approvate entro fine anno, e per chi non lo farà (o per le amministrazioni statali che non
aderiranno al monitoraggio della Funzione pubblica sui posti disponibili) sarà vietato effettuare qualsiasi
assunzione.
[email protected] © RIPRODUZIONE RISERVATA.
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Pubblica amministrazione
INTERVISTA A MIX 24Raffaele CantoneAnticorruzione.
«Troppe lobby negli appalti Commissarieremo
ancora»
«Nei padiglioni stranieri di Expo non si possono fare i controlli antimafia Quindi un
pericolo resta»
Giovanni Minoli Raffaele Cantone, 51 anni, dal
'99 è nella Direzione distrettuale antimafia.
Indaga sui casalesi e ottiene l' ergastolo, tra gli
altri, per Francesco Schiavone e Francesco
Bidognetti. Nel 2013 Enrico Letta lo nomina
nella task force per l' elaborazione della
proposta sulla lotta della criminalità
organizzata; nel marzo 2014, Renzi lo nomina
presidente dell' Autorità nazionale
anticorruzione dove comincia a lavorare sullo
scandalo Expo bloccando l' assegnazione dei
lavori per l' Albero della vita.
Alla fine l' Albero della vita si farà o no?
Abbiamo dato parere favorevole al bando.
Ovviamente non tocca a noi stabilire se si farà
o no.
Che cosa non andava? Parecchie cose, c'
erano criteri poco trasparenti, soprattutto nel
modo in cui era stato di acquistato il concept.
Lei però un mese fa ha detto "Non ho gli
strumenti per controllare quello che si fa
nei padiglioni stranieri". Verranno di lì i
problemi?
Purtroppo sì, in parte. Nel senso che a quello
che viene fatto nei padiglioni stranieri si
applica legislazione degli Stati stranieri per cui
non si possono fare controlli antimafia e noi non possiamo controllare nulla.
Le imprese escluse dall' Expo possono ripresentarsi attraverso gli stranieri?
Può capitare, ma la Prefettura, soprattutto per quanto riguarda i controlli antimafia, li sta facendo
ugualmente e in qualche caso ha ottenuto l' esclusione volontaria.
Lì c' è un pericolo? C' è sicuramente un gran pericolo, ma forse si sarebbe dovuto pensare quando è
stata firmata la convenzione. Del resto anche sulla Torino­Lione noi abbiamo gli stessi problemi perché
lì si applica la legislazione francese che non riconosce le interdittive antimafia.
A giugno quando è arrivato a vigilare su Expo, ha detto che quasi tutte le gare erano state fatte
in deroga alla legge sulla trasparenza. Oggi problema risolto?
Ho detto che erano state utilizzate in moltissimi casi le deroghe, previste e garantite dalla legge.
Sicuramente abbiamo fatto molti passi in avanti, per esempio Expo si è dotato di un programma che si
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chiama "Open Expo", tutto in rete e questo è un gradissimo risultato.
Possono uscire altri guai?
Noi stiamo lavorando in modo molto molto rigoroso, io mi augurerei di no. Il nostro controllo resta un
controllo sugli atti, è talmente approfondito che tendenzialmente io direi che dal momento del nostro
controllo è molto difficile che questo accada, ma non impossibile.
Ma i fenomeni di corruzione scoperti per l' Expo sono solo la punta di un iceberg?
Purtroppo sì secondo me. Sono la punta di un iceberg che non riguarda solo Expo ma il sistema degli
appalti, che purtroppo prevede sicuramente una serie di meccanismi di presenze di lobby.
Con i poteri che lei ha le imprese temono una raffica di commissariamenti. È possibile?
Ad oggi abbiamo fatto tre commissariamenti, ne faremo molti altri. Uno riguarda il Mose che è in atto,
non è ancora stato fatto, due riguardano due imprese di Expo, altri ne faremo.
Dove? In varie parti, però nessuno a oggi ha fatto ricorso Ma è vero che un eccesso di controlli
e di burocrazia, non solo non blocca ma facilita la corruzione?
Il rischio c' è, soprattutto se la burocrazia è deresponsabilizzata. Io sono convinto che la vera grande
riforma della Pubblica amministrazione dovrebbe passare per due parole: semplicità da un lato e
scarsa burocrazia dall' altro, efficienza.
Se dovesse dare un consiglio a ministro Madia?
Le direi che bisogna lavorare moltissimo per la semplicità, ovviamente ampliando sempre più i
meccanismi di trasparenza.
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Pubblica amministrazione
In breve.
Imu ex montani, pubblicati i tagli
ENTI LOCALI I m u e x m o n t a n i , pubblicati i t a g l i I l
ministero dell' Interno ha pubblicato ieri i tagli al fondo di
solidarietà per i Comuni nei quali i terreni sono destinati
a perdere l' esenzione Imu garantita fino a ieri dal fatto
di essere considerati «montani» dall' Istat. Perugia
perde 1,5 milioni di euro, Arezzo quasi 900mila e tanti
Comuni medio­piccoli si vedono tagliare anche il 10%
del proprio fondo di solidarietà. Tagli a parte, però, la
comparsa di questi dati sul sito del Viminale segna un
altro passo verso l' ufficializzazione del decreto, che
arriverà in «Gazzetta Ufficiale» con le firme dei ministri
di Economia, Interno e Politiche agricole. Di
conseguenza, i proprietari dei terreni situati nei circa
2mila Comuni destinati a perdere l' esenzione saranno
chiamati in pochi giorni a versare tutta l' Imu 2014, entro
la data del 16 dicembre che per gli altri contribuenti
rappresenta il termine per versare il saldo di Imu e Tasi.
Intanto, sulla «Gazzetta Ufficiale» di giovedì scorso, 27
novembre, è stato pubblicato il decreto che attua il fondo
in aiuto dei Comuni montani.
CASSAZIONE Moglie responsabile per il marito ubriaco
Quando il marito è ubriaco e si mette alla guida di un'
auto per riportare a casa moglie e figli piccoli, in caso di incidente stradale dovuto al suo stato di
ebbrezza anche la moglie, consapevole del fatto che il marito ha bevuto, deve essere condannata se
nell' incidente i bambini muoiono o riportano lesioni. Lo sottolinea la Corte di cassazione (sentenza
49735/2014 depositata ieri) spiegando che in situazioni del genere anche il genitore che non guida
risponde penalmente «per aver consentito» che sull' auto ­ guidata da un soggetto in condizioni fisiche
alterate ­ abbiano viaggiato i figli che sono affidati alla custodia di entrambi i genitori.
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Il Sole 24 Ore
Pubblica amministrazione
IL TEMA MERITA ATTENZIONE.
La via provinciale degli esuberi
Finché si è trattato di disegnare le nuova
geografia istituzionale, la riforma delle
Province ha viaggiato fra gli squilli di tromba di
partiti, Regioni e Comuni ansiosi di
riguadagnare punti fra l' opinione pubblica.
Ora che, accanto ai poteri, bisogna decidere
chi si carica di personale, spese e debiti, l'
entusiasmo si è spento e il futuro annuncia
battaglia. I nuovi ordinamenti, con le Province
alleggerite di competenze spostate a Regioni
e Comuni, dovrebbero debuttare fra un mese,
ma sul territorio non si si è mosso
praticamente nulla. Questo limbo, però, ha i
giorni contati, perché il Governo prima ha
messo in campo i maxi­tagli (un miliardo
subito, tre in tre anni) alle Province e ora (con
l' emendamento raccontato a pagina 7)
prepara le regole per spostare gli esuberi dai
vecchi enti a una Pubblica amministrazione
diventata recalcitrante. In gioco c' è il posto di
lavoro di 28mila dipendenti, che oggi sono nei
ranghi delle Province e devono trovare un'
altra destinazione:?se Stato, Regioni e Comuni
metteranno i bastoni negli ingranaggi, a
perderci saranno soprattutto queste persone,
trattate come soggetti "indesiderati". Ma un
brutto colpo arriverà anche al sistema, che già nell' emendamento incontra l' ennesimo strappo (fino al
2018) alla riforma delle pensioni approvata appena tre anni fa.
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Il Sole 24 Ore (Plus)
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Federalismo fiscale, squilibri e deficit
DIETRO I NUMERI Una delle questioni più
dibattute, nella finanza pubblica italiana, è
quella del federalismo fiscale. Qual è il giusto
equilibrio fra la finanza dello Stato centrale e
q u e l l a d e g l i enti d e c e n t r a t i ( s i s t e m a d i
sicurezza sociale ed enti locali, dalle Regioni
ai Comuni). Le loro spese devono essere
finanziate da entrate proprie o da un mix di
queste ultime e di trasferimenti dal governo
centrale?
Questi problemi sono stati affrontati da un
recente studio del Fondo monetario («Vertical
Fiscal Imbalances and the Accumulation of
Government Debt», di Iñaki Aldasoro e Mike
Seiferling ­ WP/14/209). Lo scopo non era
tanto quello di dare una risposta compiuta sul
mix ideale ­ questo dipende troppo dall'
architettura istituzionale del Paese in
questione ­ ma quello di esaminare se un
maggiore "squilibrio verticale" sia dannoso per
i saldi dei conti pubblici. Cos' è lo "squilibrio
verticale"?
Si tratta semplicemente della percentuale delle
spese degli enti locali che è finanziata dal
governo centrale o dal debito in cui incorrono
g l i enti locali s t e s s i . P i ù a l t a è q u e s t a
percentuale, minore è la quota di spese che
viene finanziata dalle entrate autonome degli
enti.
Sarebbe bene che le spese degli enti locali venissero finanziate il più possibile dalle entrate proprie, sì
che i cittadini abbiano la percezione di quanto debbono sborsare per i servizi che ricevono,
responsabilizzando così la gestione della cosa pubblica a livello locale. Lo studio, che ha coperto 36
Paesi, conclude in effetti con una evidenza statistica: là dove le entrate proprie sono piccole rispetto alle
spese (lo "squilibrio verticale" è elevato) i deficit pubblici complessivi sono più alti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA FabrizioGalimberti.
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Italia Oggi
Pubblica amministrazione
La piemontese Eleonora Bechis, inquieta parlamentare grillina, adesso da fuoco alle polveri.
Non mi lascio imbavagliare
Tutti si chiedono: quanto ci mette Grillo a espellerla?
«Buongiorno, da oggi siamo un partito!»,
commenta Eleonora Bechis, irrequieta
parlamentare grillina, su Twitter, all' annuncio
che cinque fedelissimi, capitanati da Beppe
Grillo, guideranno «collegialmente» il M5S. A
sentire parlare di partito, a Grillo viene la pelle
d' oca.
E siccome la Bechis era già nel mirino,
potrebbe essere lei la prossima vittima delle
fatwe stellari. Anche sulla vicenda dell'
espulsione di Paola Pinna e Massimo Artini, lei
non nasconde il suo dissenso: «Il blog viola il
regolamento, loro sono M5S, chi ha scritto
quello schifo contro di loro?». Poi ospita sul
suo sito un' ironica considerazione: «Ogni
mattina un parlamentare M5S si sveglia.
Sa che dovrà correre più veloce dell' Adsl dei
grillini o verrà espulso». E un altro:
«Sganciatemi da questa conversazione tra
zerbini di Beppe».
Ma la goccia che potrebbe fare traboccare il
vaso e portare alla condanna della
parlamentare è una lettera (a un sito blog
piemontese, Lo Spiffero) in cui ella denuncia,
senza remore, lo stato disastroso del
movimento e smentisce il commento di Grillo
che non riconosce il passo falso alle elezioni di
domenica. «I presupposti di un fallimento
annunciato ­ scrive l' onorevole pentastellata­ c' erano tutti, tra questi le continue faide interne emiliane,
calabresi e piemontesi che sono spesso sfociate in futili litigi nella pubblica piazza virtuale e non, oltre
che sui maggiori mezzi d' informazione tradizionale».
«Nel mio caso ­ aggiunge­ la virulenza di queste lotte a Torino, la mia città, mi ha portato addirittura a
sporgere querela contro un consigliere di circoscrizione eletto nel mio stesso movimento politico. Le
lotte torinesi come le altre hanno minato la credibilità del progetto M5S e ciò che mi rattrista
maggiormente è la perdita costante di pezzi di fiducia nel progetto M5S da parte di tanti cittadini ed
attivisti. Fiducia che abbiamo conquistato con il sorriso, tanto entusiasmo e tanta fatica.
In sostanza ci siamo persi nella realtà virtuale, confondendo un «mi piace» con una stretta di mano ed
abbiamo inseguito i cinguettii del canarino blu invece di dialogare dal vivo con le persone».
L' analisi è impietosa e per non fermarsi alle recriminazioni ma impegnarsi in un' alternativa, parteciperà
alla convention indetta dal sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, che il 7 ottobre radunerà i grillini,
soprattutto quelli dissenzienti, per dialogare sul futuro del movimento: «Sì, sarò a Parma ­ dice Eleonora
Bechis.­ Sarà un' occasione per proporre buone idee agli amministratori degli enti locali ed ai nostri
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eletti M5S». E anticipa il suo pensiero: «Il movimento è nato come dialogo tra cittadini, liberi di
condividere e crescere insieme senza le intermediazioni di un direttivo.
Se il dialogo viene a mancare, cade il movimento stesso, così come ci dimostra il lento declino verso il
dimenticatoio che abbiamo intrapreso.
La democrazia diretta o la si fa o non la si fa, io sono per farla nei fatti e lotterò con le unghie e con i
denti per difendere i valori del movimento dagli arrivisti che si sono creati la loro cricca di picchiatori
personali».
Insomma, nel M5S sembra arrivato il redde rationem tra i puri­e­duri, fedeli alla linea Grillo, e gli
autonomi, che non vogliono l' uomo­solo­al­comando e chiedono dialogo e democrazia interna. L'
apertura di Grillo con l' avvio del pentadirettivo non sembra sia servita a riportare la pace, anche perché
i nomi li ha scelti lui con un metodo da monarca assoluto (salvo poi una formale ratifica dal web). L' on.
Bechis se la prende proprio contro questo cerchio magico formato da suoi colleghi: «Grillo annuncia
una bella pulizia? Bene, iniziamo a toglierci la polvere da dosso, a partire dai leaderini tanto bravi a dire
sempre cosa non va e tanto più interessati a compiacere il boss più che a fare gruppo in parlamento».
Nonostante il deludente risultato elettorale di domenica, all' interno del movimento continuano le lotte
intestine. Il campanello d' allarme non è servito. La raffica di espulsioni in terra emiliana è certamente tra
i motivi dell' arretramento grillino in questa regione ma dietro la cacciata del sindaco di Comacchio, dei
due consiglieri regionali, di vari consiglieri comunali vi sono guerre tribali, con le controversie che
vengono risolte col killeraggio dell' avversario. Il livello dello scontro non è da meno in Piemonte, dove è
stata eletta la Bechis, definita dalla parlamentare corregionale Laura Castelli: «deputata inesistente»
mentre l' altro onorevole piemontese, Ivan della Valle, dice: «Espellerla? Sarà la base a sfiduciarla».
Due gruppi, l' un contro l' altro armati. Si è arrivati perfino a una querela della Bechis contro un attivista
per alcune frasi scritte su Facebook che ha ritenuto offensive nei suoi confronti.
Lui dice: «sono andato da lei e, pacatamente e garbatamente, le ho chiesto di ritirare la denuncia.
Siamo il popolo del vaffa, non possiamo denunciarci tra di noi per uno screzio su Fb». Lei ribatte: «Gli
insulti ci sono stati e non sono stati ritirati se non dopo la querela». Alcuni parlamentari (capeggiati da
Walter Rizzetto) sono scesi in campo a favore della Bechis e ne è nato l' ennesimo litigo all' interno dei
gruppi parlamentari. Il Piemonte (e non solo) è uno dei tanti vulcani in eruzione tra i 5stelle. Non che al
centro sia meglio, come dimostrano le vicende di questi giorni.
Intanto, Eleonora Bechis aspetta di conoscere la sua sorte, dopo l' avvio della nuova stagione delle
purghe. «Non mi importa il mio destino politico­ dice­ finita questa esperienza tornerò a lavorare».
Prima di arrivare alla Camera era portinaia.
Nel suo palazzo abita una militante 5stelle di lungo corso, Viviana Ferrero, che la convinse a candidarsi.
Con 143 voti si guadagnò un posto in lista. Poi riuscì a farsi eleggere. Pur di non sottomettersi all'
autoritarismo di Grillo è disposta a tornare in guardiola.
©Riproduzione riservata.
GIORGIO PONZIANO
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torre di controllo.
Finché non avrà abolito il carrozzone del Cnel, Renzi
non potrà dire di avere sconfitto davvero Cgil, Cisl e
Uil
L' abolizione del Cnel è l' antipasto della
s e m p l i f i c a z i o n e d e l l a pubblica
amministrazione che arriverà nelle prossime
settimane».
Così assicurava il premier Matteo Renzi in una
delle sue prime conferenze stampa a Palazzo
Chigi, scoppiettanti come fuochi d' artificio.
Era il 31 marzo, e il suo governo si era
insediato da poche settimane (il 22 febbraio),
seminando promesse di cambiamento e
grandi speranze. Sono trascorsi otto mesi, ma
il Cnel (Consiglio nazionale dell' economia e
del lavoro) è tuttora vivo e vegeto. Tanto è
vero che la legge di Stabilità lo ha incluso tra
g l i enti pubblici da finanziare per l' anno
prossimo, sia pure con una robusta
decurtazione.
Nelle tabelle che accompagnano la manovra
di bilancio si parla infatti di un taglio di 16
milioni di euro che riguarderanno «il Cnel e gli
altri organi istituzionali». Non è chiaro a quanto
ammonti la sforbiciata dei fondi destinata al
solo Cnel, ma è probabile che finirà per
aggirarsi intorno a 10­11 milioni, circa la metà
del costo attuale del carrozzone clientelare,
che ha sede a Villa Lubin, nel parco romano di
Villa Borghese, è presieduto dal 2005 dall' ex
ministro Antonio Marzano (Forza Italia), e
composto da 64 consiglieri, quasi tutti nominati su indicazione di Cgil, Cisl e Uil, e dalle varie
associazioni imprenditoriali.
Il conto di quanto costi ai contribuenti questo «buen ritiro» per dirigenti sindacali in pensione, oppure
trombati alle elezioni, è presto fatto. Ogni anno, il Cnel riceve dallo Stato poco più di 19 milioni di euro.
Di questi, 3 milioni servono per pagare: lo stipendio del presidente (217 mila euro), l' indennità fissa dei
64 consiglieri (25 mila euro l' anno ciascuno), più i rimborsi spese per i viaggi e le frequenti trasferte all'
estero (1,2 milioni l' anno). Altri 7 milioni se ne vanno in retribuzioni per gli 80 dipendenti in pianta
stabile.
Dunque, una somma incomprimibile per stipendi pari a 10 milioni, che scende a 9 milioni se si cancella
il benefit generoso dei viaggi rimborsati. Il resto, ben 9 milioni, se ne va in studi e consulenze sui temi
più fantasiosi, di cui nessuno ha mai avvertito la minima necessità. Basti ricordare che in 50 anni di
attività, nella sua veste di organo costituzionale, il Cnel ha presentato al parlamento soltanto 14 disegni
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di legge (uno ogni tre­quattro anni), nessuno dei quali è stato mai approvato.
A Renzi va riconosciuto che, a differenza di altri uomini di governo, non si è limitato a promettere la
soppressione del Cnel per manifesta inutilità, ma ha anche cercato di farlo. Cosa non facile, visto che si
tratta di un ente previsto dalla Costituzione (articolo 99). All' uopo, serve una legge costituzionale, che
richiede quattro passaggi in Parlamento. Per questo, Renzi ha inserito la cancellazione del Cnel nella
riforma costituzionale del senato, che finora ha superato soltanto la prima lettura in Parlamento (l' 8
agosto).
Dunque, ne mancano ancora tre.
Ma se la legislatura dovesse finire prima del tempo per le elezioni anticipate, Marzano, 79 anni,
potrebbe superare i dieci anni di presidenza e confermare la tradizione di lunga durata nell' incarico,
che al Cnel ha precedenti illustri: Pietro Campilli (15 anni), Bruno Storti (12 anni), Giuseppe De Rita (11
anni).
In ogni caso, nessuno potrà mai battere il primato di Raffaele Vanni, classe 1922, fondatore ed ex
segretario della Uil, che è stato consigliere del Cnel per 54 anni, sempre con l' incarico di responsabile
per i problemi del Sud. Come ricorda Sergio Rizzo nel suo ultimo libro («Da qui all' eternità»; Feltrinelli),
Vanni entrò al Cnel fin dalla seduta inaugurale (20 febbraio 1958), «quando la legge Merlin che avrebbe
chiuso le case di tolleranza, non era ancora in vigore», e vi è rimasto fino al 2012, quando il numero
pletorico dei consiglieri è stato ridotto da 121 a 64. «A quel punto l' anagrafe ha deciso».
Per la cronaca, a 92 anni suonati, Vanni è tuttora in sella come presidente dell' Uiltucs, una sezione Uil
che si occupa dei lavoratori di turismo, commercio e servizi. E pure qui ha messo a segno un primato
non ripetibile: era il 1981 quando Vanni diventò segretario dell' Uiltucs, Ronald Reagan entrava alla
Casa Bianca e la Francia aboliva la ghigliottina. Lasciò l' incarico di segretario 17 anni dopo, nel 1998,
per raggiunti limiti di età (76 anni), e ne diventò presidente. È ancora lì.
Il Cnel imbottito di ex sindacalisti e i record di Raffaele Vanni sono solo un assaggio della capacità dei
dirigenti sindacali di garantirsi un futuro roseo, quasi sempre a spese dei contribuenti. Il libro di Rizzo
racconta decine di casi, con nomi, cognomi e prebende. Per ragioni di tempo sull' uscita del libro, ha
mancato per un pelo lo scandalo di Raffaele Bonanni, l' ex segretario della Cisl che, per assicurarsi una
buona pensione, era arrivato ad assegnarsi uno stipendio di 336 mila euro l' anno. Sono storie che non
fanno onore al sindacato, anzi. Lo sa bene anche Renzi, che non ha esitato a dichiarare guerra a Cgil,
Cisl e Uil facendo leva anche su queste debolezze, un tallone d' Achille vero. Ma finché non chiuderà il
Cnel, non potrà mai cantare vittoria.
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TINO OLDANI
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LEGGE DI STABILITÀ/ L' emendamento del governo conferma i timori sugli esuberi.
Province, dipendenti a rischio
Organici tagliati del 50%. Via a mobilità e pensionamenti.
Per il personale delle province si preparano
ondate di licenziamenti e mobilità. Lo
prevedono gli emendamenti al disegno di
legge di stabilità che il governo ha presentato
all' Unione delle province italiane (e che
confermano le anticipazioni pubblicate s u
ItaliaOggi di ieri e del 21 novembre). La
riforma Delrio era stata presentata come
«indolore» per i 56 mila dipendenti provinciali
e i sindacati, con un protocollo di intesa del
novembre 2013 (saggiamente non sottoscritto
dall' Upi), avevano dato credito alle indicazioni
del governo. I fatti stanno portando a risultati
totalmente opposti. Tutto questo, però, non è
causato tanto dalla legge 56/2014, quanto,
piuttosto, dal disegno di legge di stabilità
2015. Infatti, la legge Delrio prevede che i
dipendenti provinciali passino a regioni e
comuni insieme con le funzioni trasferite,
addossando alle province il compito di
trasferire anche le risorse per finanziare i loro
stipendi. La legge di stabilità 2015 rompe
questo già precarissimo e caotico equilibrio,
perché apporta aggravi di spesa alle province
del tutto insostenibili, che non consentono né
di finanziare interamente le funzioni
fondamentali (quelle da non trasferire ad altri
enti), né di trasferire la spesa del personale
agli enti destinatari delle funzioni non fondamentali. Gli emendamenti del governo alla legge di stabilità,
di fatto, azzerano i meccanismi della legge Delrio e disegnano un percorso a tappe molto più
accidentato, che non esclude alla fine misure draconiane.
Dotazioni. In primo luogo, si prevede il taglio drastico delle dotazioni organiche: del 30% per le città
metropolitane, del 50% per le province, rispetto alla spesa del personale di ruolo alla data dell' 8 aprile
2014 (si veda ItaliaOggi di ieri). È il viatico agli esuberi.
Pensionamenti agevolati. Quasi la metà dei 56 mila dipendenti provinciali si troveranno in
soprannumero. Per quelli vicini alla pensione si applicherà l' articolo 2, comma 11, del dl 95/2012, la
spending review di Monti. Ma ci sarà una proroga dal 2016 al 2018 per il pensionamento anticipato di
coloro che maturano entro quella data i requisiti pensionistici con i criteri ante Fornero. Le province
dovranno porre questi dipendenti in disponibilità, anche per 48 mesi, per poi giungere alla risoluzione
del rapporto di lavoro. Nelle more della maturazione dei requisiti pensionistici, il personale interessato
sarà considerato in soprannumero.
Mobilità obbligatoria.
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Gli altri dipendenti provinciali addetti alle funzioni non fondamentali che non matureranno la pensione
entro il 2018 debbono prepararsi a percorsi estremamente complessi. Saranno ricollocati
prioritariamente con la mobilità «obbligatoria» prevista dall' articolo 30, comma 2, del dlgs 165/2001,
entro 60 giorni dalla vigenza della legge di stabilità, in base ad analisi del Sose. In questo caso, si
applicherebbe il meccanismo della Delrio, secondo il quale il personale manterrebbe la propria
retribuzione, finanziata dalle province stesse (con quali risorse?).
Regioni e comuni. Laddove non tutto il personale fosse trasferito mediante la mobilità obbligatoria,
regioni e comuni, dopo aver prioritariamente assunto i vincitori dei concorsi ancora in attesa, dovranno
prendersi in corpo i dipendenti provinciali. Allo scopo, destineranno la percentuale di spesa per il
personale derivante dalle cessazioni del 2014 e 2015 residuante dopo le assunzioni dei vincitori dei
concorsi. La proposta del governo intende escludere le assunzioni dei dipendenti provinciali da
ricollocare dal computo dei tetti alle spese di personale previsti dalla normativa vigente.
Amministrazioni statali. Gli emendamenti vogliono coinvolgere anche le amministrazioni statali nel
riassorbimento dei dipendenti provinciali in esubero. Le amministrazioni statali dovranno comunicare i
posti disponibili nel rispetto dei vincoli finanziari alle assunzioni. In via prioritaria, si copriranno i posti
vacanti presso gli uffici giudiziari. Si potrà prescindere dall' acquisizione dalle province del 50% di
cofinanziamento all' esiguo fondo (30 milioni) previsto dalla riforma Madia per favorire la mobilità del
personale.
Licenziamenti. Resta aperta comunque la possibilità che parte non piccola del personale provinciale
non trovi ricollocazione, anche alla fine del percorso sintetizzato sopra. In questo caso, gli emendamenti
del governo prevedono che i dipendenti rimasti col cerino in mano siano utilizzati con forme di contratto
a tempo parziale o direttamente messi in disponibilità, ai fini del successivo licenziamento nei
successivi 24 mesi, ai sensi dell' articolo 33 del dlgs 165/2001.
LUIGI OLIVERI
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