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SOMMARIO
Si ringraziano: l’Editrice La Stampa, la Fondazione CRT, Mons. Giuseppe Ghiberti,
Luca Zanini, Claudio Mezzo.
PRESENTAZIONE
INSIEME DI FRONTE A UN MISTERO
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Noi pollini, le vostre guide
Una grande avventura
Un “oggetto” che affascina tutti
CHE COSA SI VEDE?
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Un antico lenzuolo funerario
Un volto tumefatto
I terribili segni del flagello
Le ferite dei chiodi
LA SUA STORIA PRENDE IL CUORE
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NELLE NEBBIE DI SECOLI LONTANI
Direttore Generale: Don Valerio Bocci
Direttore Editoriale : Don Giuseppe Pelizza
Curatore del progetto: Don Moreno Filipetto
Testi: Giovanni Maria Ricci
Illustrazioni, progetto grafico e impaginazione: Anna Motta
Il Mandylion di Edessa
Il tesoro dell’imperatore
Il segreto dei Templari
DA LIREY A TORINO
Finalmente alla luce, ma senza pace
Al fuoco! Al fuoco!
L’arrivo a Torino
Ancora fuoco
IL SUO ENIGMA SFIDA L’INTELLIGENZA
45
Una fotografia sconvolgente
L’immagine “impossibile”
Il sangue è sangue
È un dipinto?
Il “famigerato” carbonio 14
La Sindone nel computer
© Editrice ELLEDICI – 10096 Leumann TO
E-mail: [email protected]
ISBN 978-88-01-04488-1
IL SUO SILENZIO PARLA ALL’ANIMA
I Vangeli raccontano che…
Parola di papa
È muta, ma interroga l’umanità
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PRESENTAZIONE
«Voi chi dite che io sia?» (Lc 9,20). È la domanda che Gesù rivolge
ai suoi discepoli.
La risposta oscilla tra l’identificazione con il Battista, Elia o un profeta
e la risposta ispirata di Pietro,
«Il Cristo di Dio».
La Sindone rilancia la provocazione della stessa domanda, permettendo l’oscillazione tra il riconoscimento di quell’uomo come
Gesù di Nazaret e l’apertura al mistero dell’indefinito.
L’opera di Giovanni Maria Ricci e Anna Motta raccoglie la sfida e
presenta l’uomo della Sindone nella duplice possibilità di essere
identificato secondo la risposta di Pietro, piuttosto che quella della
gente ai tempi di Gesù. Il racconto è narrato con singolare fantasia dai pollini prelevati dal tessuto e analizzati nel 1983 dal biologo
svizzero Max Frei. Essi permettono di ricostruire la storia e la geografia della Sindone, in quanto appartenenti a piante scomparse fin
dal III secolo, piuttosto che ad altre caratteristiche della flora palestinese e piemontese.
L’alternanza di esposizione tra racconto e approfondimento scientifico introduce il lettore nella scoperta di un documento che da
due millenni affascina, provoca e interpella il credente come lo
scettico, il religioso come il politico, lo scienziato come il semplice.
Il fascino della Sindone è il suo mistero, costituito dalle domande
che restano ancora aperte e stimolano l’interesse della ricerca: Chi
è quell’uomo? Come e quando si è formata l’impronta? Come è
giunta fino a noi la Sindone? L’immagine sindonica è autentica?
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Molte ipotesi sono state avanzate nel tentativo di rispondere a queste interpellanze: dalla presunta composizione leonardesca, alla famigerata analisi del C 14 che daterebbe il reperto tra il 1260 e il 1390.
La Sindone tuttavia continua a sfuggire a ogni tentativo di spiegazione, restando, paradossalmente, l’indefinibile per definizione.
Il mistero sorge fin dalla ricerca del termine adatto per la sua identificazione e che con troppa facilità trova collocazione tra le reliquie. Per onestà scientifica e religiosa, non possiamo ancora definire
la Sindone come una reliquia, in quanto non abbiamo la certezza
del suo contatto con il corpo di Gesù.
«Non trattandosi di una materia di fede, la Chiesa non ha competenza specifica per pronunciarsi su tali questioni». Sono le parole dell’amato Giovanni Paolo II, in occasione della sua visita
torinese del 1998 e, a buon motivo, ricordate dagli autori del presente volume.
La Sindone non si impone alla fede del credente ma rispetta la libera posizione del suo osservatore e, seppur lungi dal proporsi
come prova scientifica della risurrezione, si offre, a detta dello stesso
Pontefice, come “specchio del Vangelo”.
Tra Sindone e Vangeli possiamo infatti osservare una interessante
complementarità. Mentre quella è la rappresentazione visibile dei
racconti di passione, questi possono essere accostati all’immagine
come precise didascalie a commento.
Non siamo ancora in grado, oggi, di svelare il mistero della Sindone,
alla quale ci rivolgiamo con le stesse parole di Pilato, ma sappiamo
che Gesù è morto allo stesso modo dell’uomo sindonico, riconosciuto, ormai di convergenza, all’interno della comunità scientifica,
come un condannato che subì la tortura e la crocifissione, all’inizio
del primo secolo in Palestina, sotto la dominazione romana.
«Perché cercate tra i morti colui che è vivo?» (Lc 24,5). Non il silenzio, per quanto suggestivo, di un lenzuolo funebre deve essere l’interpellanza ultima alla fede cristiana, ma il credente è chiamato a
riascoltare la domanda che udirono le donne il mattino di Pasqua,
la quale nell’evidenza della risurrezione, affida la ricerca del Cristo
non al mesto ricordo della sua morte ma alla gioiosa certezza della
sua risurrezione.
Cascine Vica, marzo 2010
Don Valerio Bocci
Direttore Generale ELLEDICI
«Che cos’è la verità?» (Gv 18,38) è la domanda che Pilato rivolge a
Gesù ma questi non risponde. Non poteva il procuratore romano colmare l’abisso culturale e religioso che lo separava dal Figlio di Dio, riconoscendo nella sua stessa persona la risposta all’interrogativo.
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INSIEMEdi fronte
a un
mistero
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Noi pollini, le vostre guide
S
iamo
pollini di piante da fiore.
Siamo tutti molto vecchi,
abbiamo circa 2 mila anni
e siamo nati in Palestina.
Era primavera, il tempo
in cui ci diffondiamo
per andare a fecondare
altre piante della nostra
stessa specie.
Il nostro destino, però,
I pollini sono gli elementi fecondatori maschili delle piante superiori. Sono piccoli granuli sferici, rotondi, ovoidali o poliedrici, delle dimensioni di 20-200 millesimi di millimetro, dotati di una membrana esterna e da una interna. La loro
diffusione, per giungere in contatto con gli elementi femminili che sono destinati a fecondare, in alcune piante avviene grazie alle correnti d’aria e al vento,
in altre per opera degli insetti. Forma, dimensioni e caratteristiche dei pollini
sono specifici di ciascuna pianta. Sulla Sindone sono state trovate oltre 70 specie di pollini, alcune delle quali di piante presenti esclusivamente a Gerusalemme o negli immediati dintorni, mentre altre
permettono di ipotizzare quali siano state le tappe
del lungo viaggio del telo nella sua storia. Sulla
Sindone, inoltre, è stata trovata una tale
quantità di pollini delle specie che crescono solo a Gerusalemme, da rendere verosimile che i fiori dai
quali derivano siano stati
deposti direttamente sul
lenzuolo.
fu diverso. Qualcuno, infatti,
pose i fiori che ci contenevano
su un lenzuolo di lino, tra i cui fili
noi ci depositammo.
Da allora è questa la nostra casa.
Si chiama Sindone,
“La scienza che studia
i pollini si chiama palinologia
(dal greco palunein, spargere,
e logos, discorso)”
che in greco significa telo.
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Una grande avventura
Scoprire il resto è affidato agli uomini
a Sindone fu usata per avvolgere
L
approfondirne i segreti. Chissà,
il corpo di un uomo dopo la sua crocifissione.
forse tra questi uomini, in futuro,
È la storia di questo
lenzuolo che vogliamo
di buona volontà che vorranno
ci sarà qualcuno di voi.
raccontarvi. Una storia piena di mistero e di fascino,
che suscita fede in Dio, ma anche molte discussioni.
Noi di essa sappiamo tutto, però non vi riveleremo
ogni cosa. Non è compito nostro. La Sindone,
di cui noi ci facciamo portavoce, dice solo ciò
che gli uomini sanno ascoltare con il cuore, la mente
e l’anima, attraverso due grandi orecchie:
la ricerca storica e quella scientifica.
Ed è questo tutto ciò che noi,
per ora, possiamo narrarvi.
Sul lenzuolo, oltre a noi pollini, sono state rilevate molte piccole tracce di natura diversa. Alcune testimoniano le molte avventure vissute dalla Sindone,
essendo state lasciate dal fuoco, dall’acqua e dalla cera. Altre sono dovute al
contatto del corpo col telo, come sangue, siero e cellule epiteliali. Altre ancora
derivano dalle sostanze utilizzate per conservare il cadavere: aloe e mirra. Infine, si trovano tracce della polvere che nei secoli si è depositata sul lenzuolo.
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Un “oggetto” che affascina tutti
che ha cambiato la Storia dell’umanità, ci si creda
L
a storia della Sindone non comincia con:
conservata a Torino sia proprio il lenzuolo funebre
“C’era una volta”. Inizia da dove un’altra grande
che ha avvolto il corpo di Gesù nel sepolcro.
storia, quella narrata nei
Vangeli, finisce:
oppure no. Molti studiosi ritengono che la Sindone
Altri esperti ne dubitano.
la risurrezione di Gesù.
I fedeli la venerano come
L’interesse per il nostro telo di lino, infatti, nasce
la più importante delle reliquie.
da questo straordinario avvenimento
Tutti sono affascinati dal suo mistero.
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Dal Vangelo secondo Giovanni
(20, 1-17)
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala
si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora
buio, e vide che la pietra
era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon
Pietro e dall’altro discepolo, quello
che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e
non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e
si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e
due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro
e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli
posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon
Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli
posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò
anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e
vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti. I discepoli perciò
se ne tornarono di nuovo a casa.
Maria invece stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Menin biantre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide
che vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove
era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché
due angeli
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piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio
Signore e non so dove l’hanno posto».
Detto questo, si voltò
indietro e vide Gesù,
in piedi; ma non sapeva
che fosse Gesù. Le disse
Gesù: «Donna, perché
piangi? Chi cerchi?».
Ella, pensando che fosse
il custode del giardino, gli
disse: «Signore, se l’hai portato
via tu, dimmi dove l’hai posto
e io andrò a prenderlo». Gesù le disse:
«Maria!». Ella si voltò e gli disse
in ebraico: «Rabbunì!» – che significa:
“Maestro!”. Gesù le disse: «Non mi trattenere,
perché non sono ancora salito al Padre; ma va’
dai miei fratelli e dì loro: “Salgo al Padre mio
e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”».
“Reliquia deriva dal latino reliquiae,
che significa resti. Con questo termine
si indica il corpo, o parte di esso,
di una persona venerata come santa
o beata. Una reliquia è anche un oggetto
appartenuto al santo o che è stato
a contatto con lui”
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Che
cosa
?
SI VEDE
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Un antico lenzuolo funerario
C
ominciamo a esplorare insieme
il grande mistero della
Sindone
osservandola da vicino. Che cos’è?
Com’è fatta? Quali segni si vedono guardandola
a occhio nudo? La Sindone è un telo di lino rettangolare,
tessuto “a spina di pesce”, che misura in media
4 metri e 41 centimetri di lunghezza, 1 metro
e 13 centimetri di altezza. La Sindone, infatti,
ha una forma irregolare, perché nel corso dei secoli
è stata presa in mano da molte persone che,
per distenderla, l’hanno “tirata” in modi differenti.
“Il telo oggi è ingiallito. In origine
era color guscio d’uovo, come il lino naturale”
Secondo gli archeologi, ha le caratteristiche
di un antico lenzuolo funerario. Al centro del telo
sono impresse le immagini anteriore e posteriore
del cadavere di un uomo adulto.
Come si sia formata l’impronta sulla Sindone,
però, è un enigma, uno dei più grandi
e affascinanti dei tanti che la circondano.
Ne parleremo più avanti.
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Il più antico tessuto di lino conosciuto è stato trovato in un vaso egizio del 5.000
a.C., durante lo scavo di un granaio del periodo neolitico. Le fibre che servono
per la tessitura sono ottenute dalla pianta con un processo lungo e complicato,
com’è illustrato da alcune pitture tombali dell’Antico Egitto. Quello della Sindone è un lino pregiato filato a mano, tagliato da una pezza nella lunghezza richiesta, e lavorato con particolare cura. Anche il disegno “a spina di pesce” o
“a spiga” è antichissimo e molto diffuso. Ne sono stati trovati campioni che risalgono all’epoca neolitica, all’età del ferro e a quella romana in diverse parti
d’Europa e perfino in Cina, al tempo della dinastia Han (202 a.C. – 220 d.C.).
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Un volto tumefatto
G
uardate l’immagine impressa al centro
del lenzuolo: è evidente che quest’uomo
ha sofferto moltissimo. Dallo studio medico legale
dell’impronta risulta che è stato violentemente picchiato
La crocifissione fu un supplizio inventato dai Persiani verso il 600-500 a.C. e in
seguito utilizzato da Alessandro Magno e dai Cartaginesi. La adottarono anche
i Romani, che con questo sistema torturavano e uccidevano schiavi, briganti,
disertori, ladri e ribelli. Era molto raro, invece, che fosse condannato alla croce
un cittadino romano, perché era considerata una pena infamante. La crocifissione fu utilizzata nell’area del Mediterraneo e nel Medio Oriente per circa mille
anni. Venne, infatti, abolita ufficialmente dall’imperatore Costantino dopo il
314 d.C., anche se forse fu ancora usata fino al VI-VII secolo dai Persiani.
e che, poche ore dopo, è morto inchiodato a una croce.
Osservate il volto. Sulla parte destra, più gonfia della
sinistra, si vedono delle macchie scure, quasi certamente
dei lividi. I segni vicino alle arcate degli occhi sono
probabilmente dovuti a colpi violenti. Il naso è deviato,
perché è rotto. E poi ci sono rivoli di sangue che colano
sulla fronte, sulla nuca e lungo i capelli, sgorgando
da tante piccole ferite. Queste sono disposte a raggiera
intorno al capo e salgono fino a coprire tutta la testa:
all’uomo della Sindone è stato messo sul capo un casco
di aculei appuntiti che gli hanno trafitto la carne.
Al centro della fronte c’è una spessa traccia di sangue.
Ha la strana forma di un
“3” rovesciato,
perché il sangue, scendendo, ha seguito
l’andamento delle rughe irrigidite dalla morte.
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“Il fatto che sulla testa dell’uomo della Sindone
siano state poste delle spine è veramente
eccezionale. A parte quella riportata dai Vangeli,
non ci sono altre testimonianze di una simile
usanza né presso i Romani, né presso altri popoli”
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I terribili segni del flagello
S
ono più di cento le
ferite, tonde e appaiate,
che si vedono sul torace, sulla schiena
e sulle gambe dell’uomo della Sindone. Sono tutte
lunghe circa 2 centimetri e larghe 5 millimetri. Questo
fa supporre che siano state provocate dal flagello,
Il sangue che esce dalla ferita sul costato, all’altezza del quinto spazio intercostale destro, è misto a siero ed è costellato da macchie rossastre. Ciò è tipico
del sangue che esce da un cadavere, con la parte sierosa già separata da quella
cellulare, prevalentemente costituita da globuli rossi. È la dimostrazione che la
ferita fu inferta dopo la morte dell’uomo della Sindone, come narra il Vangelo
secondo Giovanni (19, 33-34): «Venuti però da Gesù e vedendo che era già
morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con
la lancia e subito ne uscì sangue e acqua». La tradizione cristiana ha dato un
nome a questo soldato, chiamandolo Longino.
Le stesse particolarità possiede anche la cosiddetta “cintura di sangue”, che
si vede sulla schiena.
uno strumento di tortura usato dai Romani. In alcuni punti
sono visibili anche i segni avvolgenti lasciati dalle corde
di questo terribile attrezzo. Sulla scapola sinistra e sopra
quella destra ci sono, inoltre, due profondi segni
quadrangolari. Sono stati lasciati da un oggetto pesante
e ruvido, molto probabilmente il patibulum, il braccio
orizzontale della croce che a volte il condannato
era costretto a portare sulle spalle fino al luogo
dell’esecuzione. Sul petto, a destra, una grande macchia
di sangue cola da una ferita ovoidale, che potrebbe
essere stata inferta dalla punta di una lancia. È un segno
molto importante. Le sue caratteristiche, infatti,
dimostrano che l’uomo era già morto quando ricevette
questo ennesimo colpo, proprio come accadde a Gesù.
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“Il flagello era fatto da un manico di legno,
dal quale partivano due o tre corde di cuoio.
In cima a queste erano fissati dei piccoli piombi
a forma di manubrio, detti taxilli, affiancati
a due a due. Orazio, il grande poeta latino,
lo definisce horribile flagrum”
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Le ferite dei chiodi
S
ull’immagine anteriore della Sindone si vede bene
“Lo ‘spazio di Destot’ si trova
nel polso, in un intervallo libero
tra le ossa del carpo”
la mano sinistra, che è posta sopra la destra. Qui c’è
una chiazza di sangue. È divisa in due rivoli che
fuoriescono da una ferita ovale causata da uno strumento
appuntito, come un chiodo. Questa ferita non è sul palmo
della mano, come siete abituati a vederla in tanti dipinti
e sculture, ma sul
polso, in quello che i medici chiamano
“spazio di Destot”. Il chiodo è stato conficcato in quel
punto per fissare saldamente le braccia alla croce.
Il palmo della mano, infatti, non può reggere il peso
del corpo: si strapperebbe e l’uomo cadrebbe. Il segno
di un chiodo si vede bene anche sul piede, guardando
l’immagine posteriore dell’uomo della Sindone, mentre su
quella anteriore è molto evidente una macchia di sangue.
Altri segni visibili sono di sbucciature alle ginocchia,
probabilmente dovuti a cadute. Qui e sulle piante dei piedi
sono state trovate tracce di terra. Sulla Sindone ci sono
anche molte bruciature e aloni d’acqua, che ricordano
le tante brutte avventure vissute dal lenzuolo nei secoli.
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La croce era composta da un asse verticale alto circa due metri, lo stipes,
conficcato nel terreno, e da un patibulum che veniva issato e incastrato orizzontalmente. Il condannato era sollevato insieme al patibulum, al quale era
inchiodato per le braccia. Una volta collocato sulla croce, il corpo era assicurato allo stipes con un altro chiodo che trapassava entrambi i piedi. In alcuni casi, invece, il prigioniero era legato strettamente con delle corde. Non
si moriva in fretta sulla croce. Il supplizio durava ore. Sono state formulate
molte ipotesi su che cosa abbia provocato, da ultimo, la morte dell’uomo della Sindone. Le più attuali indicano più cause insieme, tra
cui: asfissia, shock traumatico ed emorragico, fatica e dolore.
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La sua
STORIA
prende
il
cuore
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NELLE NEBBIE DI SECOLI LONTANI
Il Mandylion di Edessa
N
oi pollini non possiamo rivelarvi
ciò che avvenne alla Sindone prima
del XIV secolo. Lo sappiamo, ma è compito
degli uomini scoprirlo. Possiamo, però, raccontarvi
alcuni avvenimenti che sono come orme di luce lungo
un sentiero buio. Nel VI secolo d.C. a Edessa,
in Mesopotamia (l’attuale Urfa, una città
della Turchia), è venerato il
Mandylion
(“fazzoletto”), un’immagine «non fatta da mano
d’uomo», che la tradizione fa risalire ai tempi di Gesù
e sul quale Gesù avrebbe impresso il proprio volto.
Alcuni suppongono che la Sindone e il Mandylion
siano collegati. Secondo questa tesi, l’immagine
di Edessa avrebbe, quindi, conservato l’impronta
di un intero corpo, pur essendo ripiegata
per mostrare il solo volto.
Il Mandylion rimane in Turchia
per altri quattrocento anni.
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La leggenda narra che il re
di Edessa Abgar V, malato,
abbia inviato una lettera a Gesù
chiedendogli di guarirlo.
Gesù, allora, gli inviò
il Mandylion con impresso
il suo volto e il re guarì.
Secondo un’altra versione,
Abgar avrebbe mandato
in Palestina un messaggero
con l’incarico di ritrarre Gesù
in un quadro. L’inviato, però,
per quanto provasse
non riusciva a catturarne
i tratti fondamentali.
Allora Gesù chiese
un asciugamano.
Gli fu dato un telo doppio
ripiegato quattro volte
(tetradiplon) e vi impresse
l’immagine del suo volto.
Proprio il fatto che il telo
fosse tetradiplon
ha talmente incuriosito
alcuni studiosi
da portarli a formulare
la tesi che il Mandylion
fosse la Sindone stessa.
Questa, infatti, piegata
a metà e poi ancora quattro
volte si riduce
a un rettangolo al cui centro
spicca il solo volto.
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pacifico. Il cavaliere francese Robert de Clari scrive
di aver visto in città l’esposizione di una Sindone
contenente l’impronta del corpo di Gesù. La situazione,
però, cambia all’improvviso. Il 12 aprile del 1204 i crociati
attaccano Costantinopoli, la conquistano, la bruciano,
la saccheggiano. La Sindone sparisce.
Il tesoro dell’imperatore
L’
immagine di Edessa diventa tanto nota
e venerata, da suscitare nell’imperatore
di Costantinopoli il desiderio di possederla
per arricchire la sua già straordinaria collezione di reliquie.
Nel 944 il generale bizantino Giovanni Curcas assedia
la città e si fa consegnare il Mandylion dall’emiro arabo
Robert de Clari faceva parte del corpo di spedizione francese della quarta crociata, bandita da papa Innocenzo III nel 1198 per colpire al cuore il potere dei
sultani in Egitto. Invece di seguire il cammino stabilito, l’esercito cristiano deviò
prima verso Zara, che fu restituita al dominio di Venezia, poi si diresse a Costantinopoli per riportare sul trono il deposto imperatore. Quando i crociati
giunsero sotto le mura della città, l’usurpatore fuggì e i crociati entrarono in
città pacificamente. Una rivolta popolare, però, depose di nuovo l’imperatore.
I crociati, allora, attaccarono la città mettendola a ferro e fuoco e s’impadronirono dei favolosi tesori che vi erano custoditi. I veneziani, ad esempio, portarono in patria i quattro cavalli di bronzo che sono sulla facciata di San Marco
(oggi sono esposte delle copie) e molte preziose reliquie ancora conservate nel
tesoro della Basilica.
che la governa, nonostante le proteste dei cristiani
del luogo. Ottenuto ciò che vuole, il generale torna
in patria e il 15 agosto dello stesso anno arriva
a
Costantinopoli. Qui consegna la preziosa
immagine all’imperatore, che la accoglie con grandi onori
insieme a tutta la corte. Tra il 1203 e il 1204 Costantinopoli
è circondata dai crociati, all’inizio in modo abbastanza
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“La testimonianza di Robert de Clari è la prima
notizia certa dell’esistenza di una Sindone
come quella di Torino”
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Il segreto dei Templari
Teodoro Angelo Comneno, nipote del deposto
opo il saccheggio
D
per lamentarsi della perdita delle reliquie,
di Costantinopoli,
tra cui «il lenzuolo nel quale fu avvolto, dopo la morte
le tracce della Sindone
e prima della risurrezione, nostro Signore Gesù Cristo».
scompaiono. Forse è portata
Secondo un’affascinante ma molto fantasiosa ipotesi
ad Atene, in Grecia.
la Sindone entrò segretamente in possesso
imperatore bizantino, nel 1205 scrive al papa
dei cavalieri
Templari, ai quali fu affidata
da Othon de la Roche, signore di Atene,
che l’aveva rubata a Costantinopoli.
In realtà sulla Sindone per oltre un secolo
scende il silenzio.
“L’ultimo Maestro
dei Templari,
Jacques de Molay,
arse sul rogo a Parigi
il 18 marzo 1314”
I Templari furono un ordine di monaci guerrieri fondato nel XII secolo da Hugues de Payns e da altri otto cavalieri per proteggere i pellegrini che si recavano in Terra Santa dopo la conquista di Gerusalemme, avvenuta nel 1099
durante la prima crociata. Nei due secoli successivi, i Templari divennero
sempre più ricchi e potenti. Nel 1291, con la perdita dei territori conquistati,
cominciò la loro caduta, che fu accelerata dal loro acerrimo nemico Filippo
IV il Bello, re di Francia. Con un colpo di mano, il 14 settembre 1307 il sovrano
fece arrestare tutti i Templari in terra francese e confiscò i loro beni. I cavalieri furono accusati di terribili colpe (tra le quali di adorare una testa barbuta), torturati e condannati.
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DA LIREY A TORINO
Finalmente alla luce, ma senza pace
A
ll’improvviso, nel 1353, la Sindone riappare
a Lirey, in Francia. Il suo proprietario è il valoroso
cavaliere
Geoffroy de Charny,
feudatario del luogo, che la colloca nella chiesa
dell’Annunciazione da lui stesso fondata.
Il lenzuolo è conservato ed esposto
nella chiesa di Lirey fino al 1418.
Il 6 luglio di quell’anno, Humbert de la Roche,
marito di Marguerite de Charny,
porta via la Sindone dalla chiesa di Lirey
per metterla al sicuro dall’infuriare
della guerra dei Cent’anni. Promette
di rimetterla al suo posto passato il pericolo,
ma muore nel 1438. Marguerite, vedova
e senza figli, comincia a vagare per la Francia
portandosi dietro la preziosa reliquia,
fino a quando trova rifugio
alla corte dei duchi di Savoia.
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“Lirey è un piccolo villaggio con meno di cento
abitanti. Si trova nella regione francese
della Champagne-Ardenne, dipartimento
dell’Aube, a circa 200 chilometri a sud-est di Parigi”
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Al fuoco! Al fuoco!
N
el 1453, Marguerite
de Charny cede
la Sindone
Nella cappella ducale di Chambéry la Sindone era custodita in uno scrigno di grande valore, opera dell’artista fiammingo Lievin Van Lathelm.
Probabilmente era d’argento massiccio con ornamenti d’oro. Si trattava, quindi, di un oggetto
molto robusto e pesante. Nonostante ciò, il calore
causato dalla violenza delle fiamme fu tale da distaccarne il coperchio, il quale cadde obliquamente sul telo di lino.
Questa non fu la prima volta che il fuoco aggredì la Sindone.
Sul telo esistono tracce di bruciature più antiche, riprodotte nella Sindone di
Lier, copia di una tavola di Albrecht Dürer del 1516. E il fuoco metterà di nuovo
in pericolo il lenzuolo nel 1997.
ai duchi di Savoia, i quali,
pochi anni dopo lo pongono
nella
Sainte-Chapelle du Saint-Suaire
a Chambéry, la loro capitale. Qui, la notte del 4 dicembre
1532 scoppia uno spaventoso incendio nel quale rischia
di bruciare completamente anche il lenzuolo. L’immagine
è salva, ma il telo è gravemente ferito lungo i lati.
Si mettono, allora, all’opera le suore Clarisse della città,
che riparano i buchi con delle toppe e foderano
la Sindone con un tessuto di sostegno,
chiamato telo “d’Olanda”.
“Il telo di lino che le Clarisse
del convento di Sainte-Claire-en-Ville
di Chambéry cucirono come supporto
alla Sindone è chiamato ‘d’Olanda’
perché questo tipo di tessuto
nel Rinascimento era prodotto
nei Paesi Bassi”
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L’arrivo a Torino
N
on c’è ancora pace
per la Sindone.
A causa delle guerre
che coinvolgono i Savoia,
il lenzuolo viene più volte
portato via da Chambéry
fino a quando, nel 1578, il duca Emanuele Filiberto
Le ostensioni della Sindone non furono molto numerose nel corso degli ultimi
secoli, celebrate soprattutto in occasione di eventi legati alla dinastia dei Savoia.
Nell’Ottocento avvennero sei ostensioni pubbliche e una privata, nel 1804, alla
presenza di Pio VII. Nel Novecento, le ostensioni furono cinque (1931, 1933, 1978,
1998 e 2000), alle quali si aggiunse quella televisiva nel 1973. Sempre nel corso
del XX secolo, la Sindone fu vista privatamente da molti studiosi e, nel 1981, da
Giovanni Paolo II, durante il suo viaggio pastorale a Torino. Lo stesso papa tornò
a venerare la Sindone il 24 maggio 1998. Due, invece, le “fughe” della Sindone
da Torino per motivi bellici. Nel 1706 fu portata a Genova, per salvarla dall’assedio della città da parte dei francesi; nel 1939, allo scoppio della seconda guerra
mondiale, fu trasferita nell’Abbazia di Montevergine, in provincia di Avellino. Tra
le molte traversie vissute dalla Sindone, la più curiosa è forse quella raccontata
da un cronista del XVI secolo, secondo cui fu addirittura bollita nell’olio.
decide di trasferirlo a Torino per accorciare il viaggio
a san Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano,
che ha fatto voto di venerarlo. Da allora la Sindone
rimane a Torino, che nel frattempo è diventata
la capitale del ducato. Il 1° giugno 1694 è collocata
nella cappella del Guarini, tra l’abside della Cattedrale
e il Palazzo Reale, dove resta per trecento anni,
a parte brevi periodi nei quali è di nuovo
messa in salvo dai pericoli delle guerre.
Il suo
viaggio è finito, non le sue avventure.
“Il 4 maggio ricorre la festa liturgica
dedicata alla Sindone”
“La Sindone rimase di proprietà dei Savoia
fino alla morte di Umberto II, nel 1983,
quando per volontà testamentaria
dell’ex sovrano passò alla Santa Sede”
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Ancora fuoco
Nel 2000 la Sindone è riportata in Duomo, nella nuova
iamo nel 1997. Da quattro anni la Sindone
S
la conservazione del lenzuolo, nel 2002 sono eseguiti
si trova dietro l’altar maggiore
importanti lavori di restauro. Sono, ad esempio, tolte
della Cattedrale di Torino,
le toppe applicate nel 1534 dalle Clarisse ed è sostituito
protetta da una teca di cristallo blindato.
il telo di supporto. Dal 4 maggio 2004 la Sindone
È stata trasferita perché la vicina cappella
è protetta da un nuovo contenitore ermetico
del Guarini è in restauro. Nella notte
a prova di fuoco.
cappella allestita sotto il palco reale. Per migliorare
tra l’11 e il 12 aprile, le fiamme si scatenano
devastando la cappella. Il pericolo
per la Sindone è gravissimo.
Si salva dalla furia dell’incendio
solo grazie all’intervento dei vigili
del fuoco e alla robustezza
della teca che la protegge.
La Sindone è, quindi, trasportata
provvisoriamente in un luogo
segreto e sicuro fuori città.
Torna a Torino il 25 giugno
ed è posta nella chiesa
del SS. Sudario.
La teca per la conservazione ordinaria della Sindone è stata costruita da Alenia Spazio e Microtecnica, con tecnologie e materiali d’avanguardia del settore
aerospaziale. È composta da un guscio ermetico di lega leggera aeronautica. Sulla superficie superiore è sistemato un cristallo multistrato blindato. Pesa
circa una tonnellata ed è a sua volta inserita in un “sarcofago” realizzato con una
struttura a più strati che garantisce grande resistenza meccanica e protezione contro
gli incendi. Al suo interno
circola una miscela di argon, un
gas inerte, con una minima quantità di ossigeno. La teca, inoltre, è dotata di un sistema
computerizzato che controlla la pressione interna ed
esterna, la temperatura e l’umidità. Per le ostensioni, la Sindone
è posta in un’altra teca dal peso di 2.500 chilogrammi. Prodotta nel 1998
dalla ditta Bodino, ha la forma di un enorme parallelepipedo di 4.640 x 1.380 x
282 mm. La faccia superiore è un cristallo di sicurezza multistrato. La teca è collocata su un carrello che consente di ruotarla in verticale per rendere visibile il
lenzuolo durante l’esposizione.
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ENIGMA
sfida
l’ INTELLIGENZA
Il suo
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Una fotografia sconvolgente
Secondo Pia, avvocato di Asti e noto fotografo, fu autorizzato a ritrarre la Sindone da re
Umberto I, durante l’ostensione del 1898. Pia pagò di tasca sua tutte le spese e rinunciò ai diritti sulle immagini. Utilizzò un grosso apparecchio fotografico, montato su un
T
ra il 25 e il 28 maggio 1898 avviene un fatto
straordinario, che cambia il modo di vedere
la Sindone.
Secondo Pia scatta per la prima
volta una fotografia del lenzuolo. Quando la sviluppa,
palco scorrevole. Il 25 maggio scattò una prima serie di fotografie di prova con tempi
differenti, servendosi di due diversi obiettivi, Dalmayer e Voigtländer. Si accorse subito
della negatività fotografica dell’impronta, ma volle una conferma. La sera del 28 maggio scattò due prove e poi quattro pose su grandi lastre, che confermarono in modo
inequivocabile la scoperta. Altre fotografie “ufficiali” della Sindone furono eseguite da
Giuseppe Enrie nel 1931, da Giovanni Battista Judica Cordiglia (per la prima volta a colori) nel 1969 e da Gian Carlo Durante nel 1997 e nel 2000. In questo stesso anno venne
si accorge che sulla lastra, dove dovrebbe essere
introdotto uno scanner tra il lenzuolo e il telo d’Olanda. Ciò rese possibile esplorare
impresso un negativo, c’è invece un’immagine positiva.
ampie aree del retro della Sindone, non più visibili dal 1534.
Questo significa che l’impronta sul telo è al negativo.
È la scoperta che inaugura la ricerca scientifica
sulla Sindone. Da questo momento, infatti, gli studiosi
possono iniziare a studiare in modo approfondito
le caratteristiche e la natura dell’impronta.
In oltre un secolo sono stati compiuti molti progressi
nella conoscenza della Sindone, ma il suo mistero
più grande non è ancora stato svelato:
come si è formata l’immagine?
“Nel negativo è ritratto il vero aspetto
dell’uomo della Sindone, come potremmo
vederlo se fosse di fronte a noi”
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L’immagine “impossibile”
N
essuno fino a oggi è riuscito
a spiegare come si sia impressa
sul lenzuolo l’impronta del corpo
“La reale altezza dell’uomo
della Sindone è valutata
in modo diverso da vari studiosi.
Secondo una stima ragionevole
sarebbe intorno
ai 175 centimetri”
umano che appare sulla Sindone.
Dal 1898 sono stati compiuti numerosi tentativi,
durante i quali scienziati di fama mondiale
hanno provato a riprodurre una figura simile,
seguendo differenti teorie e con diversi
procedimenti. Tutti i risultati sono stati molto
approssimativi. Secondo le attuali conoscenze
scientifiche, quindi, quella della Sindone
è un’immagine ancora misteriosa,
perché non potrebbe esistere.
EPPURE ESISTE.
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Le tre principali teorie scientifiche formulate nel
tempo sul modo in cui si è formata l’immagine
della Sindone partono dall’ipotesi di una genesi naturale, prendendo spunto dalla presenza di aloe e mirra nel lenzuolo. Secondo
la teoria del contatto, il corpo dell’uomo
della Sindone ha lasciato la
sua impronta aderendo
direttamente al telo. La teoria vaporigrafica, invece, sostiene che la causa siano state
emanazioni del cadavere dovute
alla decomposizione dell’urea presente
nel sudore, in reazione con la miscela di
aloe e mirra. Per la teoria dell’energia radiante, un’energia di vario tipo,
come quella termica o elettromagnetica, ha agito sulla soluzione di aloe e
mirra. In particolare, secondo ricercatori statunitensi, la causa dell’immagine fu un lampo, durato qualche milionesimo di secondo e della temperatura di alcuni milioni di gradi, che si accese al momento della risurrezione.
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Il sangue è sangue
n passo avanti molto importante
(Acido
Desossiribonucleico).
nella ricerca scientifica sulla Sindone
Scoprono che il sangue
è compiuto dall’analisi delle macchie
appartiene sicuramente
U
che secondo la tradizione religiosa sono
di
Gli studiosi non si fermano qui.
sangue. Alcuni studiosi – tra i quali
Cercano il DNA
a un uomo, ma che c’è anche
DNA femminile. Questo fatto si spiega
Pierluigi Baima Bollone – si domandano: “È vero?”
con il gran numero di donne che hanno
I risultati delle indagini, svolte in modo
maneggiato e riparato il lenzuolo nei secoli.
indipendente tra loro, confermano
che le tracce sono effettivamente
di sangue appartenuto
a un essere umano,
del gruppo AB.
“Le ricerche sul DNA del sangue
presente sulla Sindone dimostrano
che questo sangue è molto antico,
essendosi già suddiviso in segmenti
di 323 basi, come accade
nei reperti archeologici”
Sulla Sindone le macchie di sangue, al contrario di quanto avviene per
l’impronta anatomica, non hanno carattere di negatività. Esse,
quindi, sono negative sul negativo fotografico e positive sul positivo, come avviene per qualsiasi fotografia di tracce materiali.
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“La discussione sull’autenticità della Sindone è sempre stata
vivace, fin da quando riapparve a Lirey nel XIV secolo”
È un dipinto?
e affreschi i segni hanno una certa direzione
L
a domanda principale
mentre sull’immagine della Sindone nessun tratto
alla quale tutti gli studiosi
ha questa caratteristica. Inoltre se la Sindone
cercano di dare una risposta
fosse un dipinto, anche molto antico, sul lenzuolo
(pensate, ad esempio, a una pennellata),
è se la Sindone sia o no il lenzuolo
dovrebbero esserci tracce visibili di colore,
funerario che ha avvolto il corpo
che invece non ci sono.
di Gesù. Sono molti gli scienziati convinti
della sua autenticità, sulla base delle prove
fino a oggi scoperte. Altri studiosi, invece,
affermano che la Sindone è un falso.
Secondo alcuni di questi, l’impronta dell’uomo
sarebbe stata abilmente
dipinta su un telo.
Della Sindone – dicono – esistono molte versioni,
tutte dipinte, e quella di Torino
è un’altra opera dello stesso genere.
Gli studi scientifici dimostrano che la Sindone
conservata a Torino da oltre 400 anni
non è una pittura. In tutti i quadri, disegni, incisioni
“Negli ultimi cento anni ha raggiunto punte molto
Un certo numero di studiosi sostiene che la Sindone sia opera di Leonardo da Vinci. Per alcuni di essi è un suo autoritratto fotografico, eseguito utilizzando una camera oscura e una tela impregnata di una
“miscela alchemica” che solo lui conosceva, forse a base di bianco
d’uovo e sali di cromo. Per altri è stata “fabbricata” da un grande artista del Quattro-Cinquecento, che ha usato la tecnica dello sfumato leonardesco, il che spiegherebbe sia la mancanza di direzionalità delle
immagini, sia l’assenza di contorni. Questa teoria, però, si scontra col
fatto che non sono state trovate tracce di colore in quantità tale da impressionare l’occhio umano. Ma che la Sindone sia stata eseguita
da Leonardo da Vinci è impossibile anche solo per questa ragione: la sua esistenza in Europa è documentata dal 1353.
Leonardo, invece, nacque a Vinci, vicino a Firenze, il 15
aprile 1452. Novantanove anni dopo.
acute con il crescere degli studi sul lenzuolo”
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Il “famigerato” carbonio 14
N
el 1988 c’è un “colpo di scena”.
Dalla Sindone sono prelevati alcuni campioni
di tessuto per tentarne la datazione
con il metodo del radiocarbonio C 14. Il risultato ottenuto
dai tre laboratori incaricati dell’esame (Oxford, Zurigo
e Tucson) è che esso ha un’origine compresa
tra il 1260 e il 1390 d.C. Nascono subito forti polemiche.
Il dibattito coinvolge tutti i ricercatori
che s’interessano della Sindone.
Il risultato del test col C 14 rende ancora più misteriosa la Sindone. Tutti gli altri dati ottenuti dalle ricerche interdisciplinari
svolte sulla Sindone, infatti, concordano nel definirla come
un oggetto “irriproducibile”. Se non è un manufatto, allora
l’immagine può essere stata impressa sul lenzuolo solo dal
cadavere di un uomo che ha subito la flagellazione ed è stato
crocifisso. L’unico modo per far andare d’accordo questi risultati con la radiodatazione del tessuto è ipotizzare che
un falsario medievale, ispirandosi alla lettera ai Vangeli,
abbia torturato e ucciso un suo contemporaneo con metodi
e caratteristiche non più in uso nella sua epoca, allo scopo di
costruire un falso telo funerario di Gesù. Questo “artista dell’horror” sarebbe stato così abile nella sua macabra impresa,
da creare un’immagine talmente unica che gli studiosi del
XXI secolo non sono ancora riusciti a riprodurla e che
presenta caratteristiche non visibili a occhio
nudo, ma rilevabili solo con gli strumenti più
avanzati di indagine.
Tra le critiche sollevate, una delle più importanti
è dovuta al fatto che il campione è stato
prelevato da un unico posto, tra i più maneggiati
del lenzuolo durante la sua storia e quindi
tra i meno adatti a essere esaminato in modo
corretto. Gli studi sperimentali più recenti, in effetti,
sembrano provare una possibile contaminazione chimica
e biologica del tessuto avvenuta lungo i secoli.
Le indagini sono in corso e la questione
della
datazione della Sindone è aperta.
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“Il carbonio C 14,
o radiocarbonio, è
un isotopo radioattivo
del carbonio. Il contenuto
di C 14 diminuisce in modo
regolare negli organismi vegetali
e animali. Misurando la quantità
residua di carbonio 14 in un
reperto storico, si può calcolare
il tempo trascorso tra la misura
e la morte dell’organismo da cui
proviene il campione analizzato”
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La Sindone nel computer
U
n altro aspetto sorprendente dell’immagine
impressa sulla Sindone è la sua tridimensionalità,
elaborazione informatica
rivelata dall’
che è in grado di rendere visibile ciò che a occhio nudo
non si può cogliere. Grazie all’elettronica, quindi,
emergono nuovi dettagli prima sconosciuti, che molto
difficilmente qualcuno ha potuto inserire apposta
nell’immagine. Ad esempio si distinguono i particolari
delle torture subite dall’uomo della Sindone, del tutto simili
a quelle sopportate da Gesù. È possibile, inoltre, “ripulire”
il volto dalle ferite e dal sangue e ottenerne un’immagine
tridimensionale molto vicina all’aspetto del vero volto
prima della flagellazione e della crocifissione.
Sempre con l’aiuto del computer, infine, sono
ben riconoscibili impronte lasciate sulle palpebre
probabilmente da monete romane.
“La tridimensionalità è la prerogativa
di un corpo di estendersi nelle tre direzioni:
altezza, larghezza e profondità”
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I segni nelle zone degli occhi del volto sindonico furono notati per la prima
volta dal gesuita padre Filas, partendo da una copia delle lastre fotografiche
originali della Sindone realizzate da Enrie nel 1931.
Il religioso distinse la scritta YCAI e l’immagine di un
bastone rituale ricurvo, simile al lituo degli
auguri pagani. Queste lettere e il simbolo
del lituo si trovano effettivamente su una
piccola moneta di bronzo coniata da Ponzio Pilato, procuratore romano in Giudea
dal 26 al 36 d.C.
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parla
anima
Il suo SILENZIO
all’
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I Vangeli raccontano che…
T
utti i segni presenti sull’uomo
della Sindone corrispondono
a quelli lasciati dalle torture subite
da Gesù come sono raccontate nei
Vangeli:
la flagellazione seguita dalla crocifissione,
i colpi sul volto, l’incoronazione di spine,
l’uso dei chiodi, la ferita al costato dopo la morte.
Più difficile è capire che cosa avvenne esattamente
per la sepoltura. I Vangeli sinottici
(Marco, Matteo e Luca), infatti, non dicono
molto a questo riguardo, mentre Giovanni parla di teli
o bende o pezze al plurale, di un sudario usato
per Gesù e del ritrovamento del suo sepolcro vuoto
con i panni funerari abbandonati.
C’era più di una Sindone, allora? La risposta è no,
perché il sudario era il fazzoletto che passava
sotto il mento per fermare la bocca e i “teli”,
in realtà, erano un unico grande lenzuolo piegato
a metà e che, quindi, sembrava essere più di uno.
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“I Vangeli di Marco, Matteo e Luca sono detti
‘sinottici’ perché sono molto simili tra di loro.
Questo permette di ‘vederli insieme’
(dal greco sun opsis). ‘Sinossi’ è il manuale
che consente la loro visione simultanea,
accostando i tre testi su colonne parallele”
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Parola di papa
È muta, ma interroga l’umanità
N
dice: «La Sindone è provocazione all’intelligenza.
I
Essa richiede innanzitutto l’impegno di ogni uomo,
Ancora papa Giovanni Paolo II dice: «La Sacra Sindone,
in particolare del ricercatore, per cogliere con umiltà
singolarissima testimone – se accettiamo gli argomenti
il messaggio profondo inviato alla sua ragione
di tanti scienziati – della Pasqua, della passione,
e alla sua vita… Non trattandosi di una materia di fede,
della morte e della risurrezione. Testimone muto
la Chiesa non ha competenza specifica per pronunciarsi
ma nello stesso tempo sorprendentemente eloquente».
su tali questioni. Essa affida agli scienziati il compito
La ricerca storica e quella scientifica continuano
di continuare a indagare per giungere a trovare risposte
il loro cammino di approfondimento.
adeguate agli interrogativi connessi con questo
Ma la Sindone non è solo un oggetto di studio.
Lenzuolo... La Chiesa esorta ad affrontare lo studio
Ogni uomo, prima o poi, dovrà rispondere alle domande
della Sindone senza posizioni precostituite, che diano
che la Sindone gli rivolge attraverso i segni
per scontati risultati che tali non sono; li invita ad agire
impressi sul lenzuolo.
el maggio del 1998 Giovanni Paolo II va a Torino
per venerare la Sindone. In questa occasione
pronuncia un’importante omelia, nella quale
con libertà interiore e premuroso rispetto
sia della metodologia scientifica, sia della sensibilità
dei credenti. Ciò che soprattutto conta per il credente
è che la Sindone è specchio del Vangelo».
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l compito di noi pollini finisce qui.
Adesso tocca a voi mettervi di fronte a questo telo,
che – autentico o meno – pone tutti gli uomini
di fronte al mistero della risurrezione di Gesù.
“La Sindone non arresta in sé il cuore della gente,
ma rimanda a Colui al cui servizio la Provvidenza
amorosa del Padre l’ha posta”
GIOVANNI PAOLO II
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Finito di stampare nel marzo 2010 da G. Canale & C. – via Liguria, 24 – 10071 – Borgaro T.se (To)