Partita UE – UK: supplementari
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Partita UE – UK: supplementari
Partita UE – UK: supplementari “Brexit Scrabble” di Jeff Djevdet, licenza CC BY 2.0 da flickr.com “Dear Donald” sono le parole di apertura della lettera che lo scorso 10 novembre 2015 David Cameron ha inviato a Donald Tusk per definire le condizioni del new settlement del Regno Unito all’interno dell’UE. Con “Dear David” si sarà aperta invece la riunione del vertice UE lo scorso 18 febbraio, dato che l’argomento scottante, e decisivo al fine di discutere di tutte le altre questioni, era proprio la cosiddetta Brexit. Mentre il Sud Est Asiatico si ispira, con le dovute cautele, al nostro modello di integrazione, l’Unione Europea sembra stia risanando le sue profonde fratture con deboli cerotti. Reggeranno gli accordi raggiunti al termine del Consiglio europeo? Per capirlo è necessario tornare alle richieste di Cameron e vedere come, e se, tre mesi dopo, i leader UE sono riusciti ad accontentare. Le condizioni di Cameron I quattro punti fondamentali di riforma di Cameron, che dovranno essere soddisfatti dall’Unione, perché il primo ministro faccia il possibile per evitare che il referendum abbia come esito l’uscita del Regno Unito 1. Governance economica. L’UE è una unione multicurrency: non tutti i paesi hanno adottato l’euro, Bulgaria, Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Romania, Svezia, Croazia, Danimarca e Regno Unito hanno infatti mantenuto la loro moneta nazionale. I primi non hanno ancora ottenuto i requisiti necessari per l’accesso alla zona euro, gli ultimi due Stati, invece, godono della clausola di opt-out, per cui vi hanno rinunciato. La Svezia si trova nella posizione intermedia di avere i requisiti e non entrarvi comunque, nonostante non abbia formalmente la possibilità di Danimarca e Regno Unito. Ciò che Cameron ha chiesto a Tusk è la definizione di principi legalmente vincolanti che possano salvaguardare la posizione di questi Stati in modo da evitare decisioni dell’UE sul mercato unico eccessivamente sbilanciate a favore della zona euro. 2. Competitività. Limitare la burocrazia ed eliminare gli ostacoli agli scambi sono le soluzioni di Cameron, che definisce il suo paese fuoriclasse nel rendere l’UE più competitiva, per la crescita e l’aumento di produttività dell’Unione. 3. Sovranità. Quella che potremmo anche definire il tallone d’Achille dell’Unione. Cedere potere al governo sovranazionale non è mai stato facile ed ecco che si ripresenta il classico tira e molla Stati Nazionali-UE. E il Regno Unito questa volta ci dà un taglio: la closer union cui si aspira nei trattati non è più un loro obiettivo. In secondo luogo propone di aumentare il potere dei parlamenti nazionali, perché possano essere in grado di rovesciare indesiderate decisioni del Parlamento Europeo. Terzo, rammenta il principio di sussidiarietà con la formula “Europa dove necessario, nazionale dove possibile”. 4. Immigrazione. Last, but not least. E questa volta non si parla solo di immigrazione extra europea. Gli inglesi sentono di aver fatto abbastanza beneficienza, pertanto propongono condizioni più stringenti per le economie dei paesi che desiderano entrare nell’Unione, un maggior controllo per evitare abusi della libera circolazione di persone (e dei vari ricongiungimenti familiari possibili) e infine una riduzione dell’accesso al welfare inglese, il quale sarà garantito solamente a coloro che sono stati residenti e hanno contribuito all’economia del paese per almeno quattro anni. La risposta del Consiglio europeo Tutti i punti sollevati da Cameron sono stati analizzati e discussi. Per mantenere nell’Unione il Regno Unito, seconda economia dell’UE e quinta del mondo, come Cameron ricorda in chiusura della sua lettera, i leader europei hanno dovuto mostrarsi accondiscendenti, ma per mantenere unita l’Unione è stato necessario evitare di piegare troppo il capo. Per quanto riguarda l’impegno del Regno Unito in vista di una continua integrazione, il Consiglio europeo ha convenuto che i Trattati vadano letti in un’ottica di coesistenza di prospettive diverse, pertanto laddove alcuni Stati hanno deciso di non essere coinvolti non sarà loro richiesto alcun apporto. Questo relativamente alla governance economica e anche alla questione della sovranità. Infatti, sulla base di rispetto reciproco e leale cooperazione tra gli Stati Membri, garantiti da misure concrete, il Regno Unito potrà dormire sonni tranquilli, senza il rischio di vedere l’economia di Londra schiacciata da decisioni della zona euro nelle quali non ha avuto voce in capitolo. Inoltre, le disposizioni dei Trattati sono “compatibili con i diversi percorsi di integrazione a disposizione dei diversi Stati membri e non obbligano tutti gli Stati membri a puntare a una destinazione comune”[1], quindi gli Stati che condividono una visione del futuro comune sono liberi di perseguirla e di attuare le politiche migliori per il raggiungimento di tale obiettivo, senza tuttavia pregiudicare la possibilità degli altri di restarne fuori. Poi lezione di diritto dell’Unione Europea al primo ministro: le competenze dell’Unione si fondano sul principio di attribuzione, è l’utilizzo di tali competenze ad essere regolato dai principi di sussidiarietà e proporzionalità. Pertanto la sussidiarietà invocata da Cameron riguarda il livello di intensità dell’azione dell’Unione e quindi il come agire, non il se. I parlamenti nazionali hanno, inoltre, già la possibilità di esprimere un parere motivato in caso di mancato rispetto del principio di sussidiarietà da parte di un progetto di atto legislativo UE. Senza sorpresa, si è successivamente convenuto fosse una buona idea quella di limitare la farraginosità della burocrazia europea e di impegnarsi “per attuare pienamente e rafforzare il mercato interno, nonché adattarlo per stare al passo con il contesto in evoluzione”[2]. In chiusura, i migranti: le richieste originali sono state accolte, ma con molte limitazioni. Le proposte di modifica del diritto UE vigente riguardano in primo luogo le prestazioni per i figli a carico che vivono in uno altro Stato membro. Esse saranno ancora possibili, ma saranno adattate alle condizioni dello Stato membro in questione. Per quanto riguarda invece la limitazione dell’accesso al welfare da parte dei lavoratori non provenienti da quello Stato, sono stati accettati i quattro anni di lavoro prima di potervi accedere, ma è stato stabilito che si tenga comunque conto del crescente collegamento del lavoratore con il mercato del lavoro dello Stato membro ospitante. Si tratterebbe in ogni caso di una misura eccezionale e temporanea, a cui possono fare ricorso tutti gli Stati che si trovino in una situazione di difficoltà, la quale dovrà essere analizzata ed approvata dalla Commissione e dal Consiglio. Le richieste sono dunque state in parte soddisfatte, in parte sono state lasciate a frasi vaghe e a “misure concrete” sulla carta, ma che di concreto davvero hanno ben poco. La partita non è ancora conclusa però, si passa ai tempi supplementari. Infatti il tutto è sotto condizione: la nuova intesa avrà effetto solo a seguito del referendum per l’eventuale Brexit. Il primo ministro britannico ne ha annunciato la data definitiva pochi giorni fa: 23 giugno. SONIA BASSO Bibliografia Conclusioni del Consiglio europeo: http://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2016/02/19-euco-conclu sions/ Lettera di David Cameron: https://www.gov.uk/government/uploads/system/uploads/attachment_data/file/475 679/Donald_Tusk_letter.pdf [1] Conclusioni Consiglio europeo 18 e 19 febbraio 2016, p. 16 [2] Idem, p. 15