Untitled - Centro Studi Economia Reale

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Untitled - Centro Studi Economia Reale
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NOTA DI AGGIORNAMENTO X° RAPPORTO SULL’ECONOMIA ITALIANA
LE PREVISIONI 2017-2021
INDICE
1.- LE VARIABILI ESOGENE INTERNAZIONALI AL GENNAIO 2017
2.- UNA PREMESSA: Nel 2014/2015 finestra di quattro anni - Nel 2017 finestra di un anno
3.- A -PREVISIONE BASE E CONFRONTO CON I DATI DEF SETTEMBRE 2016
3.- B -QUANDO FUORI DALLA CRISI? CIOE’ QUANDO PIL ED OCCUPAZIONE
TORNERANNO AI LIVELLI PRE CRISI DEL 2007?
3.- C -IPOTESI ALTERNATIVE:
3C.1 - RISPETTO CLAUSOLE SALVAGUARDIA
3C.2 – PROPOSTA ECONOMIA REALE
3.- D - QUANDO FUORI DALLA CRISI? SE SI RISPETTANO LE CLAUSOLE DI
SALVAGUARDIA O SI ADOTTA LA MANOVRA PROPOSTA DA
ECONOMIA REALE
4.- PRIME STIME DELL’EFFETTO TRUMP SULL’ECONOMIA MONDIALE,
NEO-PROTEZIONISMO ??? DUE IPOTESI SUL COMMERCIO INTERNAZIONALE:
- FRENATA MORBIDA, COMMERCIO INTERNAZIONALE FRENA LA CRESCITA
- FRENATA FORTE, COMMERCIO INTERNAZIONALE AZZERA LA CRESCITA AL 2019
E NEGLI ANNI SUCCESSIVI MANTIENE I LIVELLI DEI FLUSSI COMMERCIALI
PRECEDENTI.
UN GIOCO A SOMMA NEGATIVA PER TUTTI, USA COMPRESI
VITTORIA DI PIRRO:
DALLA STORIA DEL III° SECOLO A.C. ALLA CRONACA DEL XXI° SECOLO D.C. ???
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1.- LE VARIABILI ESOGENE INTERNAZIONALI
Le nostre previsioni sull’economia italiana poggiano come sempre sulle prospettive
economiche e finanziarie internazionali: l’andamento dei prezzi delle materie prime,
l’evoluzione dei tassi di interesse, i profili dei cambi delle diverse monete, la crescita
del Commercio internazionale e del Pil mondiale, il quadro economico-finanziario
delle diverse grandi aree continentali, gli andamenti delle economie europee.
Sulla base delle informazioni disponibili al Gennaio 2017, la Oxford Economics ha
prodotto questi quadri di riferimento che il nostro Centro Studi Economia Reale ha
poi inserito nel modello econometrico dell’economia Italiana per ottenere il quadro
delle previsioni sul nostro paese per gli anni 2017-2021.
Come indicato nella Tav.1, la crescita del Pil mondiale è prevista in lieve
accelerazione e comunque attestata tra il 2,5 ed il 3%. Superiore al 3% si profila la
crescita dello stesso Pil mondiale se misurata in Parità di Potere di Acquisto.
Anche il commercio mondiale dovrebbe accelerare al 2,8% quest’anno, per poi
collocarsi ben sopra il 3% negli anni successivi.
Nonostante la “frenatina” in atto la crescita dei due colossi asiatici, Cina ed India, si
profila sostenuta ed attestata tra il 6 ed il 7%, con gli altri paesi emergenti che
consolidano la loro crescita attorno al 4,5%.
Nei paesi occidentali, gli Stati Uniti continuano a guidare la crescita anche se con
tassi moderati poco sopra il 2% nel biennio 2017/18 ed un po’ sotto nei successivi
due anni.
L’Eurozona perdura in un crescita modesta attorno all’1,5% ed, infine, il Giappone
non sembra muoversi dal suo ultradecennale asfittico sviluppo all’1% che appare per
di più destinato a frenare ulteriormente fino allo zero nel 2020.
Questi profili si basano tutti su un andamento del prezzo del petrolio in ripresa ma
che comunque è previsto stabilizzarsi attorno a 60 dollari al barile per il Brent.
Appare inoltre un profilo in aumento dei tassi di interesse.
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Nella Zona Euro i tassi a breve termine si dovrebbero rimanere attorno allo zero
mentre i tassi a lungo termine risultano in crescita, dallo 0,9% del 2016 ad oltre il 2%
nel 2020.
Infine, il cambio dell’euro è previsto stabile per tutto il periodo e poco sopra la parità
sul dollaro (vedi Figg.1-4).
Sulla base di queste previsioni, lo scenario mondiale per i prossimi quattro anni
non sembra contenere elementi di particolare tensione.
Va però precisato che questo stesso scenario “numerico” non è privo di rischi.
In primo luogo, l’andamento del commercio internazionale potrebbe essere
fortemente influenzato dalle spinte protezionistiche che provengono in particolare
dagli annunci della nuova amministrazione americana e dalla uscita della Gran
Bretagna dall’Unione Europea. Questi potrebbero infatti attivare azioni “uguali e
contrarie” (retaliation) che determinerebbero un freno sui tassi di crescita degli
scambi internazionali con la diretta conseguenza di un rallentamento della crescita del
Pil mondiale.
In secondo luogo, eventuali guerre commerciali potrebbero condurre a scossoni sui
cambi della maggiori monete. Ad esempio la Cina, laddove fosse oggetto di barriere
doganali, potrebbe riprendere in modo consistente la via della svalutazione dello
yuan, visto che al momento del suo ingresso nel WTO si è lasciata alla Cina la facoltà
di manovrare il suo tasso di cambio “politicamente”. Altri paesi, come il Messico,
potrebbero essere indotti a percorrere la stessa via.
In terzo luogo, il previsto aumento dei tassi a lungo termine potrebbe determinare
ulteriori divaricazioni degli spreads tra i paesi dell’Area Euro, con i paesi periferici a
più alto debito pubblico che potrebbero trovarsi in condizioni di forte difficoltà. Le
conseguenze sulla stabilità dell’Eurozona potrebbero pertanto essere negative e
preoccupanti.
In quarto luogo, anche se non direttamente quantificabile in termini economici, non
può essere dimenticato il problema del terrorismo internazionale e quello delle
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migrazioni che potrebbero influire pesantemente sulle aspettative economiche e
finanziarie.
Infine, per l’Italia non va trascurato il fatto che comunque si profila un aumento dei
tassi di interesse, magari senza un ulteriore aumento dello spread cos come ipotizzato
nella nostra Previsione BASE, che però, se tutto va bene, ci porterà da qui a fine
periodo ad un aumento di quasi 2 punti percentuali dei tassi di interesse a lunga. A
regime si potrebbe pertanto profilare un maggiore onere del servizio del debito
pubblico attorno a 30 miliardi di euro (vedi Figg.5-7).
Ad ogni buon conto, la finestra di opportunità, aperta circa tre anni fa dal presidente
della BCE Mario Draghi e che ci avrebbe potuto dare quattro anni di occasione
favorevole, sembra oggi ridursi ad una finestra ancora aperta…ma per non più di un
ulteriore anno.
TAV. 1
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2.- UNA PREMESSA
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3.A -PREVISIONE BASE E CONFRONTO CON I DATI DEF SETT. 2016
Sulla base delle variabili internazionali prima illustrate, presentiamo in primo luogo
la nostra PREVISIONE BASE che esclude il rispetto delle clausole di salvaguardia
tuttora in essere a partire dal 2018. Successivamente la porremo a confronto con gli
ultimi dati ufficiali disponibili indicati dal governo nella Nota di Aggiornamento DEF
del 27 settembre 2016 che invece includeva il rispetto delle clausole di salvaguardia
per il 2018.
Nel 2016, l’economia italiana sembra aver fatto registrare una crescita dello 0,9%,
alla quale però seguirà quest’anno una “frenatina” allo 0,6%. Negli anni successivi
dovremmo poi attestarci attorno all’1%. Pertanto la fase di ripresa in atto dal 2015
continua a presentare elementi di modesta crescita del Pil e di grande fragilità. E tutto
questo a condizione che nel resto d’Europa e del Mondo non accadano elementi
negativi dirompenti.
Di conseguenza, il livello di disoccupazione si mantiene elevato passando dagli oltre
3 milioni di disoccupati del 2015 agli oltre 2,9 milioni del 2017-18 e poco sotto tale
livello nel successivo biennio. Il tasso di disoccupazione si manterrà pertanto sopra
l’11% nei prossimi tre anni per poi scendere lentamente verso il 10% nel 2021.
Il Deficit pubblico, rispetto al 2016 aumenta di circa 10 miliardi e di circa mezzo
punto di Pil. Successivamente appare in lieve riduzione (sia in valore assoluto che in
percentuale del Pil) ma non si azzera mai neanche al 2021, contrariamente agli
impegni assunti in sede europea.
Il Debito Pubblico aumenta sempre in valore assoluto e, in percentuale del Pil,
raggiunge un picco del 133,1% in questo 2017 per poi scendere di uno o due punti
all’anno negli anni successivi.
Sembrano in gran parte dileguarsi i rischi di deflazione ma ad ogni buon conto sia i
prezzi al consumo che il deflatore del Pil si mantengono abbondantemente al di sotto
del 2% (vedi Tav. 2).
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I dati della nostra Previsione BASE appena illustrati vengono ora messi a confronto
con quelli indicati dal governo nel settembre 2016.
Da tale confronto emerge che (vedi Tavv. 3-5 e Figg. 8-17 ):
1.- La crescita è più bassa di quanto previsto dal governo a settembre 2016;
2.- La disoccupazione si mantiene molto più elevata;
3.- Il deficit pubblico, cresce nel 2017, e non si azzera mai, contrariamente ai dati
previsti a settembre dal governo;
4.- Il Debito pubblico in rapporto al Pil presenta un profilo molto più elevato;
5.- L’inflazione risulta più contenuta rispetto alle previsioni del governo e pertanto il
Pil nominale cresce molto meno e gioca come elemento che conduce a più alti
rapporti tra Debito e Pil.
Come si vede quindi il problema reale dell’economia italiana è la bassa crescita e
l’alta disoccupazione che si mantiene fino al 2021.
Sul piano della finanza pubblica il problema che appare centrale non è assolutamente
l’eventuale aggiustamento di 3,4 miliardi di euro chiesto dalla Commissione europea
sui conti per il 2017, quanto piuttosto le prospettive preoccupanti che si aprono per i
conti italiani per il 2018 laddove si richiederebbe una manovra di oltre 30 miliardi di
euro secondo quanto già concordato in sede europea.
Da questo punto di vista, la risposta vera che il governo dovrebbe dare all’Italia ed
all’Europa è quella che dovrà essere contenuta nel prossimo DEF di aprile e
soprattutto nella Legge di Bilancio 2018 che dovrà essere presentata in settembre.
C’è da auspicare che questi due importanti appuntamenti “politici” partano da una
“operazione verità” sulla situazione economica ed occupazionale sul bilancio
pubblico, seguita da una “operazione coraggio” che conduca ad una manovra
strutturale veramente incisiva, sia sul piano delle quantità che sul piano della
composizione/qualità della spesa pubblica.
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3.B -QUANDO FUORI DALLA CRISI? CIOE’ QUANDO PIL ED
OCCUPAZIONE TORNERANNO AI LIVELLI PRE CRISI DEL 2007?
Questi modesti profili di crescita e la fragilità del quadro di finanza pubblica indicano
che le prospettive di una vera uscita dalla crisi in Italia non appaiono potersi
determinare entro l’orizzonte temporale delle previsioni a breve-medio termine.
Come di consueto abbiamo pertanto proiettano queste condizioni anche nel lungo
periodo per valutare quando il Pil italiano potrà tornare ai livelli pre-crisi del 2007 e
quando la disoccupazione ed il tasso di disoccupazione potranno tornare ai livelli di
quello stesso anno. Questo è l’orizzonte che noi consideriamo come “vera” uscita
dalla crisi.
Come si vede dalla Tav. 6 e dalle Fig.18-20, ad i ritmi medi di crescita dei prossimi
quattro anni, il Pil italiano tornerebbe al livello del 2007 soltanto nel 2024/2025. Per
contro, la disoccupazione in valore assoluto ed il tasso di disoccupazione non
tornerebbero ai livelli del 2007 se non ben oltre il 2030.
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3.C -IPOTESI ALTERNATIVE:
3C.1 - RISPETTO CLAUSOLE SALVAGUARDIA
Abbiamo ritenuto utile ed interessante proporre anche la valutazione di uno scenario
nel quale l’Italia venisse costretta a rispettare pedissequamente le note clausole di
salvaguardia.
Come si vede dalla Tav.7, il rispetto delle clausole di salvaguardia per il 2018
creerebbe un ulteriore freno alla crescita economica con un rallentamento allo 0,4%
della crescita del Pil nel 2018.
Per contro non migliorerebbero, se non marginalmente, le condizioni di finanza
pubblica: il deficit, pur inferiore alla nostra previsione BASE, si manterrebbe
comunque elevato e non sarebbe azzerato fino oltre il 2021 ed il rapporto Debito/Pil
si ridurrebbe molto lentamente e comunque sarebbe ancora attorno al 125% nel 2021.
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3C.2 – PROPOSTA ECONOMIA REALE
Il nostro Centro Studi presenta qui di seguito una sua Proposta di Politica economica
a valere sul biennio 2017/2018 che sembrerebbe in grado di rafforzare la crescita e la
ripresa dell’occupazione, consolidare in modo virtuoso la nostra finanza pubblica ed
usare questo ultimo anno di finestra di opportunità per evitare rischi seri ed
incombenti di inviluppo della crescita e di preoccupanti squilibri finanziari.
Riteniamo che questa nostra proposta possa essere un contributo in positivo
all’impegno che il governo dovrà esercitare nel predisporre il prossimo DEF di aprile
2017 e soprattutto la legge di Bilancio per il 2018, nella consapevolezza che questo
anno potrebbe essere…l’ultima finestra di opportunità.
La manovra che abbiamo simulato come Proposta di Economia Reale si basa su un
taglio di spese correnti sulla voce acquisti di beni e servizi per un totale di 20 miliardi
ripartiti in 10 miliardi per il 2018 e ulteriori 10 miliardi per il 2019. Tali risparmi di
spesa corrente sono stati poi considerati per gli stessi importi e con la stessa
tempistica a riduzione dell’IRPEF su lavoratori e famiglie. Inoltre, si è previsto un
taglio di trasferimenti a fondo perduto in conto corrente ed in conto capitale per un
totale di 30 miliardi, 15 miliardi nel 2018 ed ulteriori 15 miliardi nel 2019. A fronte
di questa riduzione di spesa si è ipotizzata una riduzione di tasse sulle imprese con
azzeramento dell’IRAP per 20 miliardi in totale. Gli ulteriori 10 miliardi di risorse
provenienti dai tagli della spesa sono stati portati in aumento degli investimenti
pubblici.
I risultati di questa simulazione sono presentati nella Tav. 8.
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Con questa ipotesi di manovra di politica economica da incorporare nella legge di
Bilancio 2018 a valere anche per il 2019, l’economia italiana potrebbe collocarsi su
un profilo di crescita superiore al 2% nel biennio 2018/2019 (contro l’asfittico 1%
della Previsione BASE).
A fine periodo il Pil sarebbe più alto di 122 miliardi rispetto al 2016 con un
incremento percentuale pari all’8% e sarebbe comunque maggiore rispetto alla
Previsione BASE per il 2021 del 2,7%.
Di conseguenza il tasso di disoccupazione scenderebbe più rapidamente e si
collocherebbe all’8% a fine periodo con una maggiore occupazione appena inferiore
a 1,4 milioni di unità.
Il deficit pubblico sarebbe azzerato a fine 2019 ed il rapporto Debito/Pil scenderebbe
sotto il 120%.
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Nelle Figg. 21-32 mettiamo a confronto i dati della nostra Previsione BASE, con
quelli peggiorativi dell’ipotesi del rispetto delle clausole di salvaguardia e quelli
migliorativi conseguenti alla proposta di Economia Reale.
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3.D - QUANDO FUORI DALLA CRISI? SE SI RISPETTANO LE
CLAUSOLE DI SALVAGUARDIA O SI ADOTTA LA MANOVRA
PROPOSTA DA ECONOMIA REALE
Abbiamo in precedenza valutato quando Pil, disoccupazione e tasso di
disoccupazione potessero ritornare ai livelli del 2007 sulla base dei profili di crescita
indicati nella nostra Previsione BASE. Cioè quando, a quei ritmi, l’economia italiana
potrebbe uscire dalla crisi.
Vogliamo pertanto valutare quelle previsioni di lungo termine anche per le due ipotesi
alternative per le quali abbiamo prodotto le nostre simulazioni. Intendiamo cioè
stimare quanto l’ipotesi di rispetto delle clausole di salvaguardia e quella relativa alla
Proposta di Economia Reale appaiano in grado di “allungare o accorciare” i tempi per
l’uscita dalla crisi.
Nelle Figg.33-35, si noti innanzitutto che l’ipotesi di rispetto delle clausole di
salvaguardia per il 2018 peggiorerebbe la situazione allungando, anche se non di
molto, il rientro dalla crisi.
Per contro, una manovra di politica economica secondo le linee proposte da
Economia Reale consentirebbe di recuperare il livello di Pil del 2007 nel 2021, cioè
3/4 anni prima rispetto alla previsione BASE. Il tasso di disoccupazione tornerebbe al
6% nel 2023/24 così come il totale dei disoccupati tornerebbe al livello 2007 pari a
1,5 milioni di unità. In termini di disoccupazione quindi si tratterebbe di uscire dalla
crisi circa 10 anni prima.
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4.- PRIME STIME DELL’EFFETTO TRUMP SULL’ECONOMIA
MONDIALE, NEO-PROTEZIONISMO (?):
DUE IPOTESI SUL COMMERCIO INTERNAZIONALE
In queste ultime settimane le dichiarazioni e le prime decisioni della nuova
amministrazione americana del presidente Donald Trump hanno destato serie
preoccupazioni circa la possibilità che si vada verso restrizioni nel commercio
internazionale che potrebbero determinare reazioni a catena in termini della
cosiddetta retaliation.
Il nuovo presidente americano sostiene la sua linea nella intenzione di proteggere di
più i lavoratori ed i cittadini degli Stati Uniti con il suo noto slogan “America First”.
Come noto però i processi di protezionismo hanno sempre indotto nella Storia effetti
negativi sui flussi di Commercio internazionale che, a loro volta, hanno determinato
effetti di rallentamento o riduzione del Pil mondiale.
Certamente un singolo paese, se abbastanza grande e potente, può prefiggersi una
linea di protezionismo mirando ad ottenere vantaggi per il proprio paese senza
doversi far carico degli svantaggi che produrrebbe sugli altri paesi e sul resto del
Mondo.
D’altra parte, in Europa, c’è da anni un paese come la Germania che accumula
ingenti avanzi della propria bilancia dei pagamenti e, non usando quelle positive
performance a fini di miglioramento dei consumi e degli investimenti interni a favore
dei cittadini tedeschi, sottrae di fatto domanda al resto d’Europa e del mondo e
determina un freno alla crescita globale1.
Il tema vero però è quello di valutare se una linea di protezionismo nazionale non
finisca per danneggiare non soltanto il resto del mondo ma anche i lavoratori ed i
cittadini del paese che la determina.
Si tratta cioè di verificare i rischi che una simile strategia inneschi in realtà un “gioco
a somma negativa per tutti”, dove magari qualcuno perde di meno e qualcun altro di
più ma alla fine del gioco tutti ci perdono.
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Cfr. Mario Baldassarri, Le Radici Europee della Crisi Europea-Le Radici Italiane della Crisi Italiana, Rubbettino Editore,
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A tal fine abbiamo voluto produrre un esercizio econometrico che il modello della
Oxford Economics consente di fare, proprio perché è un modello globale articolato
per aree e paesi di tutto il mondo e pertanto consente, pur con tutti i limiti noti, di
catturare effetti diretti ed effetti indotti di ritorno nella varie aree e paesi del mondo.
A tal proposito abbiamo formulato due diverse ipotesi circa l’andamento del
Commercio Mondiale nei prossimi anni a seguito di eventuale inasprimento di
politiche protezionistiche.
In una prima ipotesi, che abbiamo chiamato “frenata morbida”, abbiamo
immaginato che il commercio internazionale nei prossimi anni riduca il previsto tasso
di crescita per un -0,5% nel 2017, per un 1% nel 2018 e per l’1,5% nel 2019. Di
conseguenza, abbiamo simulato cosa verrebbe a determinarsi nell’economia mondiale
e nelle sue diverse aree qualora i tassi di crescita del Commercio internazionale si
ridurrebbero al 2,3% nel 2017 ed al 2,2% negli anni successivi invece di seguire i
tassi di crescita indicati all’inizio di questo Rapporto nella Tav. 1 (vedi Tav. 9).
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In queste condizioni gli effetti che si produrrebbero sul Pil mondiale e su quello delle
diverse aree sono riportati nella Tav.10 e nelle Figg.36 e 37.
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Si noti subito che i risultati che abbiamo ottenuto mostrano che una riduzione
cumulata della crescita del Commercio internazionale pari al 4,5% per gli anni 2017-
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2020 ridurrebbe il Pil Mondiale soltanto di circa lo 0,8%. In realtà negli ultimi
decenni abbiamo sperimentato una relazione tra commercio internazionale e crescita
del Pil molto superiore a quanto qui risulterebbe. Ne consegue che l’effetto di
riduzione della crescita mondiale conseguente alla ipotizzata frenata del commercio
nei risultati delle nostre simulazioni potrebbe essere sottostimato.
Evidentemente a fronte di una riduzione del Pil Mondiale di circa lo 0,8% (indicata in
Fig. 37 dalla linea tratteggiata rossa) la perdita che verrebbero a subire in termini di
Pil le diverse aree è abbastanza diversificata, come si vede nella stessa figura.
Risulterebbe infatti che gli Stati Uniti perderebbero meno Pil rispetto a Cina, India ed
Europa. Come però indica palesemente il grafico, tutte le aree perderebbero Pil, Stati
Uniti compresi. Si tratterebbe pertanto di quello che abbiamo definito “un gioco a
somma negativa…per tutti”. Per di più non andrebbero sottostimate le tensioni
politiche e sociali che ne potrebbero essere diretta conseguenza, anche in termini di
rafforzamento dei flussi migratori.
Nella Tav. 11 abbiamo riportati gli effetti in termini di Occupazione totale dove anche
in questo senso “tutti perdono”: -4 milioni di occupati in Cina, circa 2 milioni in
meno in India, poco meno di un milione in America Latina e circa mezzo milione in
Europa. Sta di fatto però che anche gli Stati uniti, pur perdendo meno, perderebbero
comunque circa 170.000 posti lavoro.
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In una seconda ipotesi, che abbiamo chiamato “frenata forte”, abbiamo
immaginato che il commercio internazionale cresca solo del 2% nel 2017, dell’1%
nel 2018 ed azzeri la crescita dal 2019 in poi, mantenendo quindi i livelli dei flussi
commerciali raggiunti nel 2018 (vedi Tav.12).
Si tratta in questo caso di immaginare un effetto ben più dirompente del commercio
internazionale dei prossimi anni che avrebbe conseguenze più pesanti sulla crescita
mondiale del Pil e più dirompenti sui livelli di occupazione,Tav.13 e 14.
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In questa seconda più drastica ipotesi, il Mondo verrebbe a perdere nel periodo quasi
il 2% del Pil e tale perdita complessiva si spalmerebbe su tutte le aree e su tutti i paesi
pur con significative differenze: dal -3,4% della Cina a circa il -3% del Messico, da
poco del -3% nei paesi emergenti al quasi -2,5% in Europa e -2% nel Regno Unito.
Anche qui però ci sarebbe una perdita di Pil degli Stati Uniti di circa il -0.6%.
In termini di occupazione totale si avrebbero decine di milioni in meno di unità: -10
milioni in Cina, -4 in India, -800 mila in Brasile, -600 mila in Messico, -1,4 milioni
nell’Eurozona con -400 mila in Germania e -300mila in Italia. La perdita di occupati
ci sarebbe anche negli Stati Uniti e sarebbe pari a quasi 400 mila unità.
A maggior ragione, in questo scenario, si profilerebbe pertanto un più forte “gioco a
somma negativa per tutti”, Stati Uniti compresi.
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Il Mondo è ormai una realtà “globale” e pertanto le decisioni prese, magari con fini di
protezione dei propri cittadini, possono innescare effetti di retroazione tali che in
realtà si danneggiano anche i cittadini e le aree che mirerebbero ad essere protette.
Sicurezza e protezione sono da secoli considerati “beni pubblici” in tutti i paesi del
Mondo. Il problema vero è che, in un mondo globalizzato, questi “beni pubblici”
possono essere concretamente perseguiti solo in termini di “beni pubblici globali”.
Ecco allora che l’argomento centrale di ciò che stiamo sperimentando è quale
governance dare al mondo della globalizzazione e quale inclusione avere in tale
governance delle varie aree del mondo. Ma questo non sarebbe esprimibile con
“numeretti” econometrici bensì con serie analisi e fattive decisioni di Geo-politica e
di Geo-economia.