Accogliere per dire che Dio è Padre

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Accogliere per dire che Dio è Padre
Avvento Caritas
Accogliere per dire che Dio è Padre
“Io accolgo te …”. Con queste parole è stato cambiato, nel rito del matrimonio, il vecchio “io
prendo te”. Il verbo prendere si riferisce di più a cose inanimate, ad oggetti e al senso di padronanza
mentre ad una persona si addice molto di più il verbo accogliere.
Non c’è dubbio che la nostra società ci abbia via via abituato a “prendere” piuttosto che ad
“accogliere”. Certo, siamo consapevoli che accogliere gli altri, una persona, uno straniero, la
moglie, il marito, i figli, … è sicuramente faticoso.
Accogliere, infatti, ci obbliga, prima di tutto, a fermarci. Siamo costantemente in “agitazione”,
abbiamo mille cose da fare. Riusciamo a fermarci davanti a una persona che ha bisogno, che è
malata, che ha bisogno di noi? Qual è il senso di un’accoglienza e di fermarsi con queste persone?
Come comunità quanto ci facciamo sconvolgere dalle richieste che gli altri possono farci?
Accogliere una persona non è solamente ascoltare il suo problema. Dobbiamo essere attenti da dove
viene, quale è il suo passato. Conoscere davvero vuole dire combattere stereotipi e pregiudizi.
Ma perché impegnarsi nell’accoglienza?
Innanzi tutto, perché “la Carità copre una moltitudine di peccati” (1 Pt. 4, 8) e viene in soccorso alla
nostre mancanze e alle nostre piccolezze. E poi, perché vivere la carità e la prossimità ai fratelli nel
bisogno è connaturale all’essere cristiani, non è delegabile e deve andare insieme alla celebrazione
(liturgia) e all’annuncio (catechesi), così come ci ricorda anche Papa Benedetto XVI nella sua prima
enciclica “Deus Caritas Est”.
Inoltre, l’accoglienza e la carità ci sono necessarie per scardinare le nostre sicurezze, per metterci al
riparo dalla certezza di avere già dato tanto, per richiamarci alla condivisione e a stili di vita più
semplici e più sobri.
Sicuramente non risolveremo i problemi della nostra società dall’oggi al domani, con le poche cose
che riusciamo a fare, ma abbiamo la certezza che il cammino fatto insieme continua a rivelarci la
presenza del Signore e ci permette di seminare l’Amore che ci ha insegnato.
Cerchiamo di puntare sempre al meglio. Forse non riusciremo a far star bene i poveri e dobbiamo
tenere presente che non facciamo soltanto un bene sociale ma portiamo salvezza e speranza. Gesù fa
questo e di questo dobbiamo essere consapevoli, non possiamo dimenticarcelo. Il nostro essere e il
nostro fare deve far trasparire che annunciamo il Signore. Non dobbiamo fare solo della
promozione umana ma anche essere testimoni di un “qualcosa” in più.
Anche Papa Benedetto, nell’Angelus della prima domenica di Avvento, ci ha ricordato che nelle
nostre città “la vita diventa anonima e orizzontale, dove Dio sembra assente e l’uomo l’unico
padrone, come se fosse lui l’artefice e il regista di tutto. […] In realtà, il vero ‘padrone’ del mondo
non è l’uomo, ma Dio. […] Il Tempo di Avvento viene ogni anno a ricordarci questo, perché la
nostra vita ritrovi il suo giusto orientamento, verso il volto di Dio. Il volto non di un “padrone”, ma
di un Padre e di un Amico”.
Gianmarco Marzocchini
Direttore Caritas diocesana