Edifici stratificati dell`area partenopea: miglioramento sismico

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Edifici stratificati dell`area partenopea: miglioramento sismico
II UNIVERSITÀ DI NAPOLI
DOTTORATO IN CONSERVAZIONE DEI BENI ARCHITETTONICI
Coordinatore: Prof. Arch. Giuseppe Fiengo
Tesi di dottorato
EDIFICI STRATIFICATI DELL’AREA PARTENOPEA
M I G L I O R A M E N T O S IS M I C O C O M P A T I B I L E
Tutor:
Dottoranda:
Prof. Ing. Pietro Lenza
Ing. Emilia Angela Cordasco
Co-tutor:
Prof. Arch. Luigi Guerriero
XX Ciclo
Ringraziamenti
Sono doverosi i ringraziamenti alle persone che hanno guidato e contribuito alla stesura di
questo lavoro:
il Prof. Pietro Lenza, per essere stato, sin dalla laurea, un punto di riferimento costante e
significativo;
il Prof. Luigi Guerriero per avermi insegnato che la realtà costruita è complessa e
stratificata;
il Prof. Bruno Calderoni, per avermi trasmesso l’entusiasmo nell’attività di ricerca e di
sperimentazione sugli elementi di costruzioni in muratura;
il Prof. Giuseppe Fiengo, coordinatore del Dottorato in Conservazione dei Beni
Architettonici, per la cura dedicata alla formazione di noi dottorandi del XX ciclo;
i miei colleghi e amici: Giuseppe Brandonisio, Manuela Brescia, Mario D’Aniello ed
Ernesto Grande per i confronti costruttivi e il sostegno morale;
ed infine Gaetana Pacella per avermi aiutato a realizzare le prove sperimentali sulle fasce
di piano
Indice
Capitolo 1 Metodologia e finalità della ricerca
1.1 Finalità della ricerca
1.2 Stato dell’arte
1.3 Areale di studio
1.4 Le stratificazioni dell’architettura
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p.
p.
p.
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3
8
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Capitolo 2 Caratteri metrologici delle murature tradizionali in tufo giallo
napoletano. Tipologie strutturali degli edifici storicizzati
2.1 Evoluzione delle tipologie strutturali
2.2 Evoluzione delle tecniche di muro post-medievali nell’areale del tufo giallo
napoletano
p. 14
p. 23
Capitolo 3 Modellazione della muratura in tufo giallo napoletano. Analisi
sperimentale su macromodelli
3.1 Sperimentazione: legame σ-ε
3.2 Realizzazione dei macromodelli
3.3 I materiali: tufo e malta
3.4 La muratura
3.5 Risultati sperimentali e valori di normativa
3.6 Discussione dei risultati
p. 34
p. 36
p. 43
p. 50
p. 67
p. 71
Capitolo 4 Modellazione della struttura complessa. Elementi strutturali
determinanti
4.1 Edificio speciale
4.1.1 Comportamento sismico degli elementi snelli (piedritti)
4.2 Edificio ordinario alto: submodello parete – modello non lineare a plasticità
concentrata
4.2.1 Comportamento limite della parete: fascia debole; fascia resistente
4.2.2 Analisi di diversi tipi di fasce di piano (resistenza aumentata con diversi
tipi di intervento: cordoli aderenti, semiaderenti, scorrevoli)
4.2.3 Ruolo strategico della fascia di piano, per la riduzione della vulnerabilità
sismica della parete.
p. 76
p. 76
p. 79
p. 80
p. 82
p. 92
Capitolo 5 Analisi sperimentale sull’elemento fascia “storico” e “moderno”
5.1 Individuazione delle tipologie delle fasce di piano
5.2 Caratterizzazione morfologica delle fasce di piano storiche in area
Napoletana
5.3Attività sperimentale sui modelli in scala
5.3.1 Realizzazione delle fasce di piano
5.3.2 Prove definitorie
5.3.3 Apparecchiatura di prova e protocollo delle prove
p.100
p.101
p.127
p.127
p.132
p.135
5.3.4 Risultati sperimentali
5.3.5 Considerazioni critiche sui risultati
p.137
p.167
Capitolo 6 Casi studio
6.1 Introduzione ai casi studio, complessità della modellazione
6.2 Palazzo Petrucci a Napoli
6.2.1 Configurazione strutturale della fabbrica
6.2.2 Cenni storici e cronologia della struttura
6.2.3 Modellazione della struttura
6.2.4 Analisi del comportamento sismico
6.3 Complesso di S. Lorenzo ad septimum ad Aversa
6.3.1 Rilievo, configurazione strutturale e stratigrafia della fabbrica
6.3.2 Modellazione della struttura
6.3.3 Analisi del comportamento sismico
p.174
p.175
p.175
p.180
p.184
p.193
p.248
p.248
p.252
p.255
Capitolo 7 Conclusioni
7.1 Risultati conseguiti
7.2 Possibili sviluppi
p.261
p.266
Capitolo 1
Metodologia e finalità della ricerca
1.1 Finalità della ricerca
La finalità primaria della presente ricerca è quella di precisare una metodologia per la
valutazione del comportamento sismico degli edifici storici in muratura e dell’efficacia di
limitati interventi per il loro miglioramento sismico, rispettosi della materia antica,
testimonianza, anche attraverso le tecniche costruttive, delle civiltà del passato.
Per valutare correttamente la vulnerabilità sismica delle strutture e limitare gli
interventi è necessaria un’approfondita conoscenza delle fabbriche, in particolare degli
elementi strutturali che risultano strategici per il comportamento sismico globale
dell’edificio, dei materiali utilizzati e delle tecniche adottate per la realizzazione
dell’apparecchiatura muraria.
L’importanza della conoscenza dell’edificio in ordine alla geometria, ai particolari
costruttivi e ai materiali è sancita anche dalla normativa sismica italiana. Questa stabilisce
tre livelli di conoscenza che si possono raggiungere prima della fase di progettazione e che
incidono notevolmente sui valori da utilizzare per la resistenza attraverso un coefficiente
riduttivo (fattore di confidenza) che oscilla tra 1, per un livello di conoscenza completo, ed
1.3 per una conoscenza limitata della fabbrica. Ne deriva che la valutazione della
vulnerabilità sismica dell’edificio e di conseguenza gli interventi da adottare sono
influenzati dal livello di conoscenza attinto. La nota ordinanza emanata con OPCM
3274/03 ed ulteriori modifiche forniscono la possibilità di sostituire prove eseguite
direttamente sull’edificio con test sperimentali condotti su altre fabbriche, purchè sia
comprovata la corrispondenza tipologica per materiali, e dimensione degli elementi lapidei
costituenti le relative apparecchiature murarie.
Come è noto le murature storiche non sono omogenee e non costituiscono il prodotto
di un processo costruttivo normalizzato. Infatti esse sono costituite da elementi lapidei
naturali ed artificiali e dalla malta. La messa in opera delle murature è molto diversa dalla
“regola dell’arte” riportata dai vari trattatisti, come il noto Rondelet, ed è fortemente
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determinata dalle tecniche di coltivazione delle cave e di lavorazione della pietra estratta,
dal magistero, dalla qualità e dalla quantità del legante, nonché dalle modalità di
esecuzione dell’apparecchiatura muraria, fattori che mutavano nell’arco di alcuni decenni.
In sintesi nella maggior parte dei casi i materiali utilizzati sono condizionati dal luogo,
mentre la disposizione dei conci, la qualità della malta e quindi la tessitura dipendono dalle
tecniche costruttive, fortemente influenzate da ragioni economiche e sociali e che possono
variare nello stesso luogo nell’arco del tempo.
Il presente lavoro è focalizzato sullo studio delle caratteristiche meccaniche dei
materiali che costituiscono la muratura, del materiale “muratura” e del comportamento
strutturale dei singoli elementi (blocchi snelli, maschi, fasce), considerando le specifiche
tecniche adottate per realizzare elementi costruttivi ordinari e speciali (piattabande,
cantonali) dei fabbricati murari nell’areale costruttivo del tufo giallo (area napoletana) in
relazione al periodo che va dal XVI secolo alla metà del XX secolo.
La ricerca muove dagli studi condotti negli ultimi anni da alcuni specialisti di
restauro sui materiali e di storia delle tecniche costruttive dell’area napoletana, che hanno
definito tre cronotipi fondamentali per le murature in tufo giallo napoletano postmedievali, utilizzando indicatori di natura morfologica e dimensionale.
Per valutare sia la resistenza che la capacità di adattamento plastico del materiale
muratura, caratterizzato in funzione di un areale costruttivo e di tre periodi storici
(cronotipi), l’autrice ha partecipato alla sperimentazione (prove di compressione a
deformazione controllata) su macromodelli che riproducevano in scala reale tali murature
(cronotipi). Si è poi ricavato il legame teorico σ-ε in funzione di quattro parametri
meccanici caratteristici.
Nella fase successiva dell’analisi, individuate le categorie strutturali che
caratterizzano gli edifici in muratura: ordinario e speciale si è determinato per entrambi
l’elemento “strategico” del loro comportamento sismico: i piedritti per il primo e le fasce
per il secondo.
Per i piedritti, muovendo dai risultati delle prove a compressione condotte sul
materiale e da prove in scala ridotta svolte in campagne sperimentali precedenti a questa, si
è determinato attraverso formulazioni teoriche la capacità rotazionale dell’elemento snello.
Per le fasce si è invece condotta prima un’analisi delle caratteristiche morfologiche e
dimensionali di questo elemento in età post-medievale e successivamente si sono effettuate
prove su diversi elementi murari differenziati sia per classe di snellezza che per cronotipo.
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Dalle curve sperimentali si sono ricavate le caratteristiche meccaniche e di
deformabilità della muratura e il legame Momento-Rotazione sia per i piedritti che per le
fasce.
Tali valori sono stati utilizzati nell’ultima fase conclusiva del lavoro per valutare il
comportamento sismico di due edifici (casi studio), tra di loro diversi per categoria e
configurazione. Per entrambe gli edifici sono state delineate le problematiche relative alla
modellazione e le modalità d’intervento compatibili con la struttura storicizzata per
conseguirne un miglioramento sismico.
Si rilevi, infine, che le analisi sperimentali sul materiale e sugli elementi strutturali e
quelle teoriche sugli edifici sono state condotte rivolgendo una particolare attenzione alle
capacità deformative del materiale, in modo da poter ottenere un più alto fattore di
riduzione delle forze sismiche e sfruttare al meglio i vantaggi connessi ad un’analisi
dell’edificio secondo l’approccio del displacement based design.
1.2 Stato dell’arte
L’edificio in muratura è stato concepito, di solito, per resistere a carichi verticali, e ad
eventuali spinte orizzontali, indotte da volte o archi, non bilanciate da tiranti, tenendo
conto raramente di azioni diverse da quelle verticali. Ciò si evince anche dall’analisi dei
trattati di Vitruvio, Alberti, Palladio, Vignola, Scamozzi e quello ottocentesco di Rondelet,
dove le norme costruttive vengono fornite in modo da garantire la firmitas nei confronti
delle forze ordinarie (i carichi verticali). Quindi, le costruzioni in muratura sono
intrinsecamente vulnerabili alle sollecitazioni orizzontali indotte dai terremoti.
S. Di Pasquale [Di Pasquale, 2003] ha ripercorso sinteticamente l’atteggiamento che
nel corso dei secoli si è avuto in ambito scientifico nei confronti degli eventi sismici.
L’autore ha evidenziato che il terremoto veniva avvertito come una punizione divina da
subire, a causa della sua carica distruttiva. Solo dopo il terremoto di Lisbona (1755) si
prese coscienza della possibilità di attenuare le conseguenze del sisma e si diede inizio
quindi ad indagini condotte razionalmente sul fenomeno assumendo i modelli meccanici e
le teorie matematicamente enunciate (moto del pendolo, teoria delle corde vibranti e
dell’elasticità) che dalla fine del Seicento si stavano sviluppando. In particolare E. Sgaurio
nel 1756 espone le prime ipotesi sul comportamento sismico degli edifici, le cui pareti
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vengono considerate come pendoli rovesci che oscillano per effetto del sisma. Inoltre viene
data particolare attenzione alla conoscenza degli effetti, acquisibile attraverso
l’osservazione e all’elaborazione di nuovi accorgimenti tecnici per la riduzione del rischio.
In seguito, il terremoto calabro-siculo del 1783 e il terremoto di Napoli del 1857 diedero la
possibilità a F. Milizia di sviluppare alcune regole costruttive antisismiche, riportate nel
suo trattato (1781) e a R. Mallet di pubblicare le osservazioni condotte dopo il terremoto
del 1783.
Nei primi anni del Novecento, successivamente al terremoto di Messina (1908) si
cominciò ad avvertire l’esigenza della sicurezza degli edifici nei confronti delle azioni
sismiche, da cui scaturiscono le prime normative sismiche.
Una disciplina specifica del consolidamento degli edifici in funzione antisismica è
apparsa dopo i terremoti del Friuli (1976) e dell’Irpinia (1980). Come si evince dal
D.M.’81 i provvedimenti tecnici per aumentare la resistenza degli elementi strutturali degli
edifici in muratura consistevano sostanzialmente nell’inserimento diffuso di elementi in
c.a., come cordoli e pilastri in breccia, iniezioni armate e pareti in cemento armato;
soluzioni adottate in particolare a causa della mancata fiducia nelle capacità resistenti della
muratura, indifferenti alle alterazioni dello schema statico originario.
Nel
D.M.’86
compare
il
concetto
di
miglioramento
sismico
in
luogo
dell’adeguamento come unica modalità di intervento compatibile con i monumenti.
Solo agli inizi degli anni Novanta alcuni studi sono stati dedicati alla valutazione del
comportamento sismico degli edifici in muratura, cercando di raggiungere un
compromesso tra le esigenze di sicurezza delle persone che lo abitano e di conservazione
della fabbrica. In questo ambito sono noti i codici di pratica per la sicurezza dei centri
storici [Giuffrè, 1991; Giuffrè, 1993; Giuffrè, 1999] che si ispirano per alcuni versi ai
principi del restauro: tra cui quello della necessità della conoscenza preventiva del
fabbricato prima del progetto dell’intervento. Giuffrè nei suoi codici di pratica (Ortigia,
Matera, Castelvetere, Palermo) analizza in primo luogo la serie storica dei terremoti
distruttivi locali, successivamente l’evoluzione tipologica per poter studiare le modalità di
aggregazione delle cellule e quindi l’efficacia dei collegamenti tra le varie pareti. Esamina
poi le tecniche costruttive adoperate per la realizzazione degli edifici dei centri storici in
esame al fine di verificarne la sicurezza sismica e di individuare le eventuali carenze in tal
senso. Vengono forniti, infine, una serie di interventi atti a migliorare il comportamento
sismico degli edifici.
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In particolare si sottolinea che l’analisi del palinsesto delle murature in un
determinato luogo viene condotto in modo tale da riconoscere diverse tipologie delle
apparecchiature murarie, differenziate in funzione della forma, delle dimensioni dei conci,
della loro lavorazione e disposizione. Da queste, in relazione alla loro aderenza alla regola
dell’arte, codificata dai trattatisti ottocenteschi, si deduce il comportamento meccanico
delle murature. In sostanza ciò che interessa è la possibilità che l’elemento murario si
possa comportare come un blocco rigido, evitando lo scompaginamento prima che si attivi
qualsiasi meccanismo di danno, con un conseguente elevato livello di danneggiamento.
Altri studi provenienti dal settore del restauro riguardano la conoscenza degli edifici
in muratura, fondata sulla conoscenza delle tecniche costruttive che caratterizzano l’area
geografica e l’epoca storica. Si individuano delle tipologie accomunate dall’indicatore
cronologico che hanno caratteristiche dimensionali e morfologiche omogenee [Fiengo e
Guerriero, 1998; Fiengo e Guerriero, 2003].
Una seconda generazione dei codici di pratica interessa i comuni umbri e
marchigiani colpiti dai terremoti del 1997, che dall’analisi dei meccanismi di collasso
riscontrati con maggiore frequenza durante l’evento sismico traggono spunto per
individuare i tipi di intervento da attuare sull’edificato storico sia per riparare gli edifici
che per migliorarne il comportamento sismico [Modena et al., 2006; Cardani, 2007,
Doglioni et al., 2007; Valluzzi, 2007].
In generale si diffonde, almeno in ambito scientifico, la consapevolezza che l’
intervento di consolidamento statico o di miglioramento sismico di un edificio storico in
muratura presuppone la conoscenza della fabbrica, dalle vicende storiche, dalla
stratificazione e dei materiali di cui è costituita [Anzani, 2007; Ceroni, 2007;].
Quest’ultima in particolare si può raggiungere sia attraverso prove distruttive, che indagini
non distruttive, che negli ultimi anni si sono notevolmente diffuse [Binda, 1999; Binda
2007].
Con le linee guida per la valutazione e riduzione del rischio sismico del patrimonio
culturale (2006) si ribadisce più volte la necessità di interventi compatibili con le esigenze
di tutela del bene architettonico definendo un indice di sicurezza sismico, calcolato prima e
dopo l’intervento di miglioramento, da confrontare con un livello di protezione sismica,
funzione sia della “categoria di rilevanza” che della “categoria d’uso”. Si considera anche
l’eventualità di non riuscire a raggiungere l’indice di sicurezza auspicabile evitando
interventi eccessivamente invasivi e danni in termini culturali. Si esamina inoltre la
5
possibilità
dell’inadeguatezza
del
modello
meccanico
nell’interpretazione
della
complessità della costruzione storica; in tal caso sono ammesse valutazioni qualitative
della vulnerabilità sismica basata sull’analisi storica e sull’osservazione della costruzione.
Viene sottolineato ulteriormente l’importanza della conoscenza fornendo il fattore di
confidenza come combinazione dei coefficienti relativi a livello di approfondimento
conseguito in merito alla configurazione geometrica, ai dettagli costruttivi, alle proprietà
meccaniche e al tipo di terreno e di fondazione.
In particolare per valutare il comportamento sismico della struttura assume notevole
importanza la conoscenza delle caratteristiche meccaniche della muratura, la quale, rispetto
agli altri materiali, ha un comportamento meccanico con valori molto eterogenei che
dipende da una serie di fattori: spessori dei giunti, tessitura muraria, caratteristiche
meccaniche della malta e degli elementi lapidei adoperati. Negli anni ’70 si sviluppano una
serie di campagne sperimentali, su murature di mattoni con lo scopo di determinare
l’influenza che la resistenza a compressione dei componenti esercita quella della muratura
[Francis et al., 1971; Lenczner, 1972]. Dalle prove è stato riscontrato che la resistenza della
muratura è influenzata maggiormente dalla resistenza del mattone che da quella della
malta, che l’incremento dello spessore dei giunti di malta incide negativamente sulla
resistenza a compressione della muratura. Da queste osservazioni durante le campagne
sono state ricavate da diversi autori numerose formule a carattere empirico, alle quali si
sono ispirate le formulazioni della normativa, che hanno lo scopo di omogeneizzare le
caratteristiche meccaniche della muratura in funzione di quelle locali della malta e dei
mattoni.
Inoltre, i dati ottenuti sperimentalmente hanno permesso di convalidare le teorie che
interpretano il comportamento meccanico della muratura, basate sull’assunto che la malta è
sottoposta ad un regime di compressione triassiale, mentre il mattone ad un regime di
trazione biassiale e di compressione verticale. La teoria sviluppata da Haller considera che
la crisi della muratura dipende dalla rottura del mattone; mentre per Hilsdorf una teoria
secondo la quale il collasso avviene in funzione dell’interazione tra mattoni e giunti nei
vari step che portano alla rottura del solido murario [Hilsdorf, 1969].
In realtà tali teorie e tecniche di omogeneizzazione non sono in grado di descrivere il
comportamento meccanico di murature storiche, costituite da conci irregolari.
Parallelamente si sviluppano una serie di studi, atti a valutare la resistenza a taglio
della muratura, di più difficile determinazione, rispetto alla resistenza a compressione. Si
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possono condurre prove a compressione diagonale o prove Sheppard o prove analoghe di
taglio-compressione, nella quale la sollecitazione di compressione è controllata. In
particolare per le prove a compressione diagonale la valutazione di resistenza a taglio in
assenza di sforzo normale risulta non essere univoca, a causa delle diverse interpretazioni
che esistono in letteratura sul regime tensionale al centro del pannello, durante
l’esecuzione della prova. [Nishi e Teshigawara, 1991; Ghanem et al., 1994, Chiostrini et
al., 1999; Galano e Vignoli, 2006]
In Italia si sono condotte prove sperimentali su murature realizzate unicamente con i
materiali che caratterizzano l’edilizia tradizionale nelle varie aree geografiche. Solo negli
ultimi anni si evince una particolare attenzione a condurre prove sperimentali su elementi
di muratura storica, spesso realizzando prove distruttive in sito. Un esempio sono la
campagna sperimentale di prove a taglio e di prove soniche condotte su pannelli murari
storici della Toscana [Brignola1 et al., 2006; Brignola2 et al., 2006] e di prove a
compressione e di prove a taglio su murature dell’Umbria e delle Marche [Borri et al.,
1999, Borri et al., 2004].
Per quanto riguarda il comportamento globale del fabbricato durante l’evento
sismico si ha che nel caso in cui gli impalcati siano costituiti semplicemente da solai
appoggiati sulle murature o da volte il comportamento sismico della struttura può essere
ricondotto ad un meccanismo di collasso della parete della muratura fuori dal proprio piano
[Pagano, 1968], noto anche come meccanismo di I modo [Giuffrè, 1993], generando
scenari di danno particolarmente gravi. Nel caso in cui, invece, le pareti siano tra di loro
collegate e sia presente un solaio rigido il comportamento meccanico dell’edificio può
essere ricondotto a quello delle pareti nel proprio piano. Questo tipo di collasso è stato
confermato dall’osservazione dei danni delle strutture successivamente agli eventi sismici.
La risposta sismica della parete è fortemente determinata dal comportamento del
maschio e della fascia. Numerosi studi sia teorici che sperimentali sono stati condotti sui
maschi murari, permettendo di determinare con una certa accuratezza i livelli di resistenza
ma anche di deformabilità [Magenes, 1992]. In particolare la rottura del maschio murario
può avvenire per:
•
scorrimento orizzontale
•
trazione diagonale
•
presso flessione.
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Per quanto riguarda il comportamento sismico della fascia gli studi sperimentali e
teorici sono ridotti generando uno stato di non chiarezza anche tra le varie normative
vigenti nei vari paesi. In particolare alcune prove [Roca, 2005; Foraboschi, 2006;
Foraboschi, 2007] sono state condotte sulla porzione di muro corrispondente ad una cellula
abitativa, costituita da due maschi murari e da un elemento di fascia. Si nota, quindi,
l’importanza che ha determinare il comportamento meccanico della fascia di piano sia in
termini di resistenza che di deformabilità. Di conseguenza questo studio ha focalizzato
l’attenzione sull’elemento fascia, riprodotto in scala ridotta (1:10), dopo un’attenta analisi
dei caratteri costruttivi che assume in area napoletana, conducendo prove monotone e
cicliche che simulano l’effetto del sisma su di esse.
1.3. Areale di studio
Si è analizzato nello specifico l’areale napoletano compreso, fino al riassestamento
amministrativo seguito alla seconda guerra mondiale, in un'unica area conosciuta
anticamente col nome di Terra di Lavoro e che racchiude circa i due terzi dell’attuale
estensione di ben otto province (Napoli, Caserta, Avellino, Benevento, Salerno, Latina,
Frosinone ed Isernia).
Terra di Lavoro è geo-morfologicamente costituita da zone vallive, montuose e
vulcaniche, mentre litologicamente è riferibile ai calcari e ai calcari-dolomitici, data
l’origine delle formazioni montuose e ai tufi grigi e gialli prodotti dagli apparati vulcanici
composti dal sistema spento di Roccamonfina, dal Somma-Vesuvio e dai Campi Flegrei (la
cui attività eruttiva si fa risalire alla fine del Pliocene o al principio del Pleistocene).
I materiali dell’industria edilizia in Terra di Lavoro sono riferibili per la maggior
parte ai prodotti delle attività vulcaniche dei tre centri eruttivi, la cui successione temporale
è piuttosto controversa ancora oggi [Di Girolamo et al., 1972].
Il prodotto piroclastico maggiormente diffuso in Campania è “L’Ignimbrite
Campana” che avendo subito due diversi processi petrogenetici si può ritrovare sia nella
facies gialla (tufo giallo casertano) che in quella grigia, detto tufo pipernoide per la
tendenza che hanno le scorie a fornire una tessitura tale da acquisire caratteri simili al
“piperno” dei Camaldoli. In particolare De Lorenzo e Di Girolamo fanno risalire la
produzione dell’Ignimbrite Campana insieme al piperno al I periodo flegreo [De Lorenzo,
8
1904]. Il materiale è caratterizzato da diversi strati, dall’alto verso il basso da cinerazzo,
materiale incoerente (adoperato in associazione o in sostituzione della pozzolana per la
preparazione della malta), tufi grigi appena cementati e da tufo pipernoide e piperno tra di
loro differenziati per il grado di autocementazione. I prodotti nell’area salernitana sono
noti come il tufo di Nocera e la pietra di Sorrento, piuttosto scura, caratterizzata da una
matrice rossiccia o violacea.
Il prodotto tipico del II periodo flegreo è il “tufo giallo napoletano”, costituito
litologicamente da pomici e in quantità inferiore da frammenti lavici immersi in una
matrice cineritica.
Infine al III periodo flegreo appartengono i materiali incoerenti costituiti da
pozzolane (sabbie e ceneri), pomici e lapilli.
L’attività vesuviana, posteriore all’inizio di quella flegrea, ha generato sia materiali
incoerenti (lapilli, pomici e scorie) che lava nota come pietrarsa, caratterizzata da notevole
durezza, compattezza e resistenza meccanica.
Il patrimonio costruito della provincia napoletana e di parte di quella casertana è
caratterizzato dall’uso diffuso del tufo grigio campano, del piperno ed in particolar modo
del tufo giallo napoletano o campano.
Il tufo grigio campano e il piperno furono utilizzati come pietra da taglio, sostituiti
alla fine del XVIII secolo dalla pietrarsa a causa degli innumerevoli crolli delle gallerie
scavate per l’estrazione del materiale lapideo, determinando la fine della coltivazione del
piperno, di cui i blocchi ancora disponibili furono adottati per gli sbalzi dei balconi.
Il tufo grigio campano ha consistenza litoide, costituito da una massa cineritica con
tessitura medio fine con inclusi pomicei e scorie nere, veniva estratto in cave a cielo aperto
o sotterranee.
Il piperno, è costituito da una matrice granulare grigia e da intrusi lenticolari scuri,
tenaci e compatti dette fiamme, con gli assi maggiori paralleli tra di loro e con giacitura
orizzontale, di cui il numero, le dimensioni e la compattezza determinano la tenacità del
materiale. Tale tipo lapideo si differenzia dal tufo grigio campano per il più marcato
processo di autometamorfismo del materiale vulcanico che ha determinato il maggior
numero e la forma degli inclusi e per una minore lavorabilità che conduce alla formazione
di conci con una geometria più approssimata. Le cave di piperno, aperte fin dal XIII secolo
ed attualmente abbandonate, erano localizzate sulla collina dei Camaldoli.
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Il piperno e il tufo grigio furono utilizzati per strutture particolarmente caricate come
i cantonali e i contrafforti, i pilastri delle chiese e dei chiostri, le parti basse dei campanili,
le arcate, le scale e i portali e con scopi ornamentali, in particolare per realizzare gli ordini
architettonici, cornicioni, le cornici delle aperture e le membrature profilate.
Raramente nel patrimonio si riscontrano intere facciate in pietra da taglio, utilizzate
solo per la faccia esterna ed associate ad un masso interno in tufo giallo. È invece molto
più frequente osservare paramenti in piperno per i basamenti dei prospetti stradali dei
fabbricati. In particolare nel Seicento l’uso del piperno fu limitato a paraste e cornicioni,
utilizzando gli stucchi per gli ordini.
Un particolare tipo di tufo grigio campano: la pietra di Sorrento, grazie al suo basso
peso specifico e alla buona resistenza è stato utilizzato per le membrature ai livelli più alti,
quali lanternini, cupole e cornicioni.
La pietrarsa è stata adoperataa inizialmente per la pavimentazione stradale e dalla
fine del XVIII secolo in sostituzione del piperno, per cantonali, rivestimenti, basamenti e
sotto forma di scheggioni per le fondazioni [Guerriero e Manco, 1998].
Il materiale maggiormente diffuso nelle costruzioni napoletane è il tufo giallo, per la
sua lavorabilità, discreta resistenza associata ad una relativa leggerezza - data dalla
presenza di pori e pomici - e per la sua facilità di estrazione, essendo posto a pochi metri
dal piano di campagna. Questo materiale è contraddistinto da un ottimo grado di affinità
con le malte, ma da una modesta durabilità agli agenti atmosferici, motivo per cui è stato
raramente usato a faccia vista.
Il tufo è una roccia vulcanica prodotta dalla cementazione di frammenti di varia
dimensione e forma (ceneri, sabbie, pomici e lapilli).
Il tufo giallo napoletano è costituito da diverse varietà che si distinguono tra loro in
funzione della finezza della grana, per la ricchezza di pomici e per le loro dimensioni
dando luogo a tufi con diverse resistenze, lavorabilità, durezza e tenacità. Dell’Erba ha
condotto uno studio approfondito sulle principali caratteristiche (porosità, grado
d’imbibizione, tenacità e resistenza) e ha classificato le diverse qualità di tufo che si
possono trovare dall’alto verso il basso nei giacimenti napoletani distinguendo tra:
Mappamonte, tufo arenoso, cima di monte, tufo selvaiuolo, tufo duro, tufo comune, tufo
fino, tufo pomicioso e tufo ferrigno, considerando per ognuna di queste ulteriori sottocategorie.
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Dai saggi sperimentali da lui eseguiti egli ha notato che la resistenza a compressione
è scarsamente influenzata dal peso e dalla frequenza delle pomici e dalla presenza di
lapilli, mentre risulta condizionata dal grado di finezza della massa cementata, dal livello
di cementazione, dalla compattezza, dalla tenacità e dal grado di porosità. Si deve notare,
così come evidenziato dallo stesso Dell’Erba e verificato sperimentalmente anche da
Ceroni et al., 2004 che essendo il tufo una roccia tenera e porosa, con capacità
d’imbibizione piuttosto elevate le sue caratteristiche meccaniche sono fortemente
influenzate dalla presenza di acqua, che porta ad una riduzione della resistenza a
compressione di circa 1/3. Il coefficiente d’imbibizione è fortemente influenzato dalla
porosità minuta del tufo e dalla percentuale di pomici presenti nei conci. Da ciò si deduce
l’inadeguatezza del tufo per la costruzione dei setti murari di fondazione.
La densità del tufo è fortemente condizionata dalla grossezza della grana e dalla
presenza di pori variando tra valori di poco superiori ad 1 e 1.75 KN/m3.
Il tufo giallo napoletano nei secoli scorsi fu estratto con due procedure differenti: a
cielo aperto e in galleria. I due sistemi di cavatura sono isolati anche se in alcuni casi si è
proseguita in galleria una cava a cielo aperto [Dell’Erba, 1923].
La prima consiste nella coltivazione di cave localizzate sui fianchi delle colline, che
interessò inizialmente la collina di Capodimonte, al ridosso del centro antico, e si estese tra
il 1600 e il 1700 ai Ventaglieri, a S.ta Lucia a Monte e al versante orientale della collina
del Petraio. Successivamente nel settecento fu sfruttata la collina di Posillipo.
La procedura in galleria permette di cavare il tufo sottoterra, lasciando il fondo
superiore edificabile. Questo tipo di cava veniva aperta o lateralmente, in particolare in
presenza di alti fronti verticali ottenuti da tagli precedenti allo scoperto, oppure attraverso
pozzi scavati superiormente.
Questa pratica – economicamente vantaggiosa a causa dell’eliminazione degli oneri
di trasporto - era molto diffusa nel cantiere edilizio realizzando cave in gallerie nel sito da
edificare, che in alcuni casi venivano successivamente utilizzate come locali sotterranei
dell’edificio (come per Castel S. Elmo).
Il tufo veniva estratto con scavi circolari da pozzi estesi fino al raggiungimento del
banco tufaceo, attraversato per 4-5 metri. I pozzi realizzati in uno stesso cantiere nelle aree
non edificate in particolare nelle corti erano numerosi ed allineati e le basi erano collegate
tra di loro da cunicoli, formando in questo modo delle gallerie. Questa tecnica di
coltivazione ha portato ad una configurazione del sottosuolo napoletano cavo, provocando
11
in alcuni casi l’instabilità delle fondazioni successivamente realizzate in corrispondenza
dei pozzi.
Il decreto ferdinandeo del 1781 vietò la coltivazione del tufo in galleria che fu ripresa
alla fine dell’Ottocento e definitivamente soppressa dopo la seconda guerra mondiale,
parallelamente all’utilizzo di tecniche di estrazione meccanizzate [Fiengo, 1983].
La ricchezza di tufo giallo e l’assenza di banchi di argilla nel territorio napoletano ha
comportato uno scarso impiego dei laterizi, adottati per le parti di edificio più caricate,
come cantonali, pilastri, e piattabande, oppure come interventi di consolidamento di parti
danneggiate. Nelle fabbriche murarie napoletane si riscontrano raramente apparecchiature
in mattoni, adoperati solo come paramento esterno del masso murario realizzato in tufo.
Salerno, Ischia e Gaeta erano le uniche località dove si erano sviluppate attività estrattive
di un certo rilievo.
In alcuni casi è possibile rinvenire murature listate in tufo giallo napoletano, riferibili
per la maggior parte all’Ottocento e al Novecento adottate per interventi di consolidamento
di strutture ammalorate e per la sostituzione di piattabande, trovandosi in contesti murari
caratterizzati da notevole stratificazione [Guerriero, 1998].
Come inerti vengono usati la sabbia vulcanica, addizionata spesso con pozzolana,
estratta negli stessi luoghi in cui si cavava il tufo.
Per quanto riguarda le malte viene utilizzato come legante il grassello, il cemento
viene prodotto solo verso l’inizio del Novecento. Fino alla fine del settecento la quantità di
grassello utilizzato per il confezionamento delle malte alcune volte era insufficiente, a
causa del suo eccessivo costo e delle tasse da cui era gravata [Fiengo, 1983].
1.4. Le stratificazioni dell’architettura
Come è noto gli edifici tradizionali sono segnati nella loro forma e nella loro materia
dall’evoluzione storica.
Infatti un edificio fondato in un determinato secolo può subire notevoli
trasformazioni, dovute al cambiamento della tipologia abitativa, della destinazione d’uso o
a semplici interventi di consolidamento della struttura. Si ha quindi che al nucleo originario
si aggiungono corpi di fabbrica sullo stesso livello, cellule abitative, elementi strutturali, o
che i vani nel tempo si modifichino.
12
L’edificio è in continuo mutamento e la sua storia è segnata dalle diverse tecniche
costruttive adottate, che contraddistinguono un’epoca storica dall’altra. Ad esempio, nel
centro storico di Napoli è facile rinvenire fabbricati non intonacati a causa dello stato di
degrado in cui versano, e rendersi conto che nei secoli hanno subito diverse trasformazioni.
Da un edificio all’altro, ma anche nello stesso fabbricato si possono notare notevoli
differenze tra le tessiture delle murature, le tipologie di impalcato, le orditure dei solai, e le
finiture (infissi, portoni, elementi metallici e pavimentazioni). Le tecniche cambiano dando
testimonianza dell’evoluzione di una civiltà.
Si viene così a creare una stratificazione, non solo nella forma ma anche nella
struttura. Gli elementi murari, a seconda della tecnica utilizzata (tessitura, tipo di malta,
presenza di elementi trasversali) raggiungono differenti resistenze e comportamenti
meccanici nei confronti delle azioni sismiche.
Le parti che si accrescono su se stesse, gli elementi aggiunti o sottratti, determinano
uno stato tensionale (una storia dei carichi) diverso rispetto a quello che si avrebbe nel caso
in cui fosse stato costruito così come è nella sua configurazione attuale.
Dunque nell’ambito di uno stesso edificio, a causa dell’ uso di differenti tecniche non
si ha una configurazione strutturale omogenea, ma stratificata a cui corrispondono
differenti resistenze e comportamenti meccanici.
13
Capitolo 2
Caratteri metrologici delle murature tradizionali in tufo giallo
napoletano. Tipologie strutturali degli edifici storicizzati
2.1 Evoluzione delle tipologie strutturali
Gli edifici in muratura sono riconducibili essenzialmente a due categorie funzionali; ad
ognuna di esse corrisponde una diversa configurazione degli ambienti di cui sono costituiti
ed una conseguente distribuzione in pianta degli elementi murari resistenti. Un’ulteriore
differenza è data dalla frequenza con cui queste due categorie si possono riscontrare nel
costruito storico, distinguendo tra edifici speciali ed ordinari.
Alla prima categoria appartengono fabbricati con funzione di rappresentanza, spesso
costituiti da ambienti molto ampi, adeguati ad ospitare assemblee collettive. Si generano
quindi vani di forma rettangolare allungata, dettata dalla necessità di avere un lato più
corto parallelamente al quale è ordita la copertura. Le pareti perimetrali, molto alte,
collocate lungo una direzione prevalente a distanze elevate, sono collegate trasversalmente,
in genere, solo da pannelli murari posti in corrispondenza delle testate dell’edificio e dai
solai o dalle volte di copertura.
In questo caso, il solaio, a causa della sua notevole estensione, non è in grado di
svolgere una funzione di collegamento o di ridistribuzione delle forze ai muri nel proprio
piano, disposti ad interassi troppo elevati; per cui ogni parete può essere considerata isolata
rispetto alle altre parti della struttura e scomposta nei maschi murari presenti tra due
aperture successive, interessati da meccanismi di ribaltamento fuori del piano.
Alla seconda categoria appartengono gli edifici ordinari, che costituiscono l’edilizia
di tessuto dei centri storici italiani, spesso adibiti a funzione residenziale e caratterizzati da
locali di dimensioni modeste con una disposizione dei setti murari in pianta che si ripete
con sostanziale regolarità in altezza (piano tipo), con un numero di piani variabili da due
(nei piccoli centri) fino ad un massimo di sei-sette (come accade a Napoli) e con un altezza
d’interpiano variabile tra i 4 e i 5 m. Il fabbricato è concepito in modo tale che ci siano
14
elementi portanti in entrambe le direzioni principali, determinando una conformazione
globale di tipo scatolare. In questo modo nessuna parete è libera, ma è vincolata dagli
elementi murari nell’altra direzione, purché le croci di muro siano realizzate con una
tessitura adeguata a svolgere tale funzione di collegamento.
Entrambe le categorie di edifici, pur essendo caratterizzate da un assetto geometrico
complessivo piuttosto costante nel tempo, hanno subito notevoli modifiche nel corso dei
secoli. Tali innovazioni, conseguite con l’applicazione di nuove tecniche costruttive, frutto
dell’evoluzione tecnologica, hanno interessato in particolare l’impalcato, che svolge un
ruolo fondamentale per il comportamento meccanico dell’edificio sia nei confronti delle
azioni sismiche che verticali. Questo elemento è stato assunto da Pagano come
discriminante per la classificazione degli edifici in muratura, distinguendo tra prima,
seconda e terza classe [Pagano, 1968; Pagano, 1990].
Giuffrè contrappone alle “tipologie meccanicamente controllate” tipiche degli edifici
moderni quelle strutturali storiche, assai varie a seconda del periodo storico e delle aree
geografiche, individuando l’appartenenza ad una determinata tipologia in relazione al
lessico strutturale e tecnologico comune. In sostanza Giuffrè, pur introducendo una
classificazione tipologica più articolata di quella proposta da Pagano, analizza il
comportamento meccanico degli edifici durante un evento sismico in funzione dei
meccanismi di danno che si possono innescare, distinguendo tra danno di primo modo,
corrispondente al ribaltamento fuori del piano delle pareti o di porzioni di esse, e danno di
secondo modo, equivalente a rotture a taglio o a pressoflessione dell’elemento murario nel
proprio piano [Giuffrè, 1993].
Pur essendo l’edificio storico di notevole complessità, costituito da orizzontamenti
con materiali diversi sia in pianta che in sezione, per analizzarne il comportamento si fa
riferimento alla classificazione tipologica proposta da Pagano, concepita in particolare per i
fabbricati di tipo ordinario, ma valida per entrambe le categorie.
L’edificio di prima classe è integralmente in muratura. Per garantire un regime di
sollecitazioni di sola compressione, a causa della scarsa resistenza a trazione della
muratura, le strutture orizzontali e le parti superiori delle aperture sono realizzate con
intradossi curvi, che esercitano delle spinte sulle pareti, tanto più elevate quanto più l’arco
è ribassato [Fig. 2.1].
Tale configurazione morfologica comporta la nascita di momenti flettenti
instabilizzanti in particolare per le pareti perimetrali; mentre per i muri interni la presenza
15
su entrambe i lati sia delle riseghe che delle volte genera sforzi normali piuttosto centrati
nella sezione muraria.
Fig. 2.1: Prospetto pianta e sezione dell’edificio di I classe [Pagano, 1990]
Si ha che i muri esterni risultano notevolmente più spessi di quelli interni, in modo
che la risultante dei carichi sia contenuta all’interno del nocciolo centrale d’inerzia, così da
evitare fenomeni di fessurazione. Per questo tipo di edificio la possibilità di sopportare le
spinte dipende dal peso proprio della struttura, quindi si ottengono strutture massicce con
spessori elevati.
Lesioni di tipo fisiologico possono interessare la chiave e le reni degli archi o delle
volte, portando comunque alla formazione di una struttura isostatica non sollecitata a
flessione, che può crollare nel caso in cui si abbia la formazione di una quarta cerniera
[Fig. 2.2].
Modello di comportamento
Fisiologia
Patologia
Fig. 2.2: Lesioni di tipo fisiologico e instabilizzanti per l’edificio di I classe [Pagano, 1990]
L’instabilità della struttura così conformata si può ottenere quando sotto l’azione
delle spinte delle volte le pareti murarie a causa di errori di dimensionamento o per altre
ragioni iniziano a ruotare, con la formazione di fessure verticali, la cui ampiezza aumenta
dal basso verso l’alto. Tale fenomeno può comportare l’abbassamento della volta con un
16
conseguente aumento della spinta, fino ad arrivare al crollo della parete e allo
scompaginamento della volta [Fig. 2.2].
Gli interventi spesso eseguiti per evitare questo tipo di danno consistono
nell’inserimento di catene che eliminano le spinte o nella costruzione di barbacani o
contrafforti, che aumentano lo spessore delle murature ai piani bassi, evitando il
ribaltamento delle pareti.
Altri dissesti ricorrenti sono rappresentati dallo schiacciamento delle murature
verticali e dall’avvallamento delle volte, che risultano particolarmente vulnerabili quando
sono molto ribassate. In alcuni casi il crollo del fabbricato può essere conseguito a causa
dell’alleggerimento di rinfianchi delle volte, privando la struttura del regime di
compressione necessario per la sua stabilità.
Fig. 2.3: Teora, terremoto 1980, crollo di pareti fuori dal piano nel caso di edificio con volte.
La vulnerabilità sismica è data dalla nascita di forze (proporzionali alle masse) di
notevole entità per questo tipo di struttura interamente in muratura. Inoltre in questo caso si
deve tenere conto delle componenti sussultorie del sisma (spesso trascurate) che
determinano l’aumento non solo dei carichi verticali ma anche delle spinte.
Per gli edifici della seconda categoria la presenza di volte di luce ridotta e di elementi
murari in entrambe le direzioni, se ben collegati tra di loro, permette un comportamento
iniziale simile a quello di un impalcato resistente con una rigidezza ridotta, efficace per
17
forze sismiche di modesta entità. Per gli edifici della seconda categoria è più difficile
riscontrare tale efficacia, a causa delle elevate luci tra i setti portanti.
Si ha comunque per entrambi le categorie di edifici, per eventi sismici di una certa
intensità che le forze orizzontali generate dal sisma si sommano alle spinte delle volte
comportando il ribaltamento delle pareti fuori del piano (danni di primo modo) con scenari
di crollo preoccupanti, così come è stato evidenziato durante molti terremoti [Fig. 2.3].
Solo nel caso in cui le pareti siano tra loro collegate, ad esempio con delle semplici
catene, si possono evidenziare meccanismi di rottura della parete nel proprio piano (danni
di secondo modo), generando rotture meno invasive.
Gli edifici della seconda classe sono costituiti da elementi murari verticali che
sostengono solai orizzontali semplicemente appoggiati, costituiti da travi in legno o in
ferro, evitando così spessori eccessivi delle murature.
Fig. 2.4: Prospetto, pianta e sezione tipici dell’edificio di II classe [Pagano, 1990]
In sintesi i solai in legno nell’area partenopea erano composti nel XVI secolo con
travi squadrate disposte ad un interasse (valera) di circa 140 cm e tavole. Nell’edilizia di
tessuto l’impalcato era “a cassettoni” o ripartito mediante l’uso di regoli e controregoli. Nel
XVII secolo i palchi in legno erano costituiti da travi asciate e tavole, disposti ad una
valera di circa 100 cm. Nel XVIII e nel XIX secolo venivano utilizzate travi
semplicemente scorzate, a causa della scarsa disponibilità di elementi lignei di elevato
diametro, con un interasse (valera) variabile tra 3 ½ e 4 palmi nell’Ottocento e tra 88 e 93
cm nel Novecento; l’orditura secondaria era realizzata con tavole (chiancarelle) o
tronchetti spaccati longitudinalmente (solarini) [De Marco, 2005].
I solai in ferro si cominciarono a diffondere dopo la rivoluzione industriale, in
particolare a Napoli furono utilizzati per realizzare i solai degli edifici costruiti tra la fine
dell’Ottocento e l’inizio del Novecento dalla Società del Risanamento [AA. VV., 1993]. Il
profilato maggiormente utilizzato, dopo una serie di sperimentazioni iniziali, fu quello a
18
doppio T con altezza variabile tra i 12 e i 22 cm, disposti ad un interasse variabile tra i 60
cm e 150 cm. Il riempimento tra le putrelle fino alla fine dell’Ottocento fu realizzato,
sostanzialmente, con archetti costituiti da mattoni pieni in foglio o di coltello o da conci di
tufo sagomati a cuneo di un’altezza non inferiore a 16 cm.
All’inizio del Novecento in alternativa furono adottati voltine in mattoni forati con
l’intradosso orizzontale (le volterrane) o elementi completamente orizzontali. In questo
modo si otteneva una posa in opera meno onerosa e la superficie piana dell’intradosso
pronta per essere intonacata, evitando i notevoli spessori di malta, con la relativa
applicazione di grappe metalliche, necessari nel caso in cui gli elementi lapidei erano
disposti a forma di arco. Da ciò consegue una maggiore leggerezza del solaio. In questi
edifici le piattabande sono realizzate con tavole lignee sulle quali poggiano conci di tufo
disposti di coltello, sagomate a forma di cuneo. Più raramente è possibile riscontrare
putrelle in ferro, ma comunque in entrambi i casi le piattabande sono scarsamente ancorate
nei vani adiacenti [Catalano, 1993]. Gli impalcati di copertura sono spesso realizzati con
capriate lignee o in ferro.
Da un punto di vista statico le due tecnologie adottate per realizzare i solai hanno un
comportamento analogo, essendo in entrambi i casi gli elementi murari e i solai in
materiali diversi e quasi del tutto indipendenti. Le travi sono sollecitate a flessione e a
taglio per effetto dei carichi verticali.
Sui muri non agiscono più forze orizzontali dovute alle spinte degli archi, ma sono
soggetti a soli carichi verticali, con un notevole vantaggio per la scatola muraria costituita
da pareti con spessori ridotti rispetto agli edifici della prima classe. Per tale tipologia si
conserva solo l’eccentricità del peso proprio per le pareti di facciata, data dalla risega degli
spessori lungo la verticale, che porta alla rotazione del muro verso l’esterno; l’effetto può
essere in parte equilibrato nel caso in cui i solai siano orditi perpendicolarmente ai muri
perimetrali, grazie all’azione dei carichi verticali da essi trasmessi.
Per gli edifici ordinari si ha che pur apparendo la scatola muraria pluriconnessa, in
realtà il comportamento globale della struttura può venire meno a causa di svariati fattori.
Infatti l’azione dei carichi concentrati in corrispondenza delle travi, i cedimenti del terreno,
le variazioni termiche tra interno ed esterno e la differente entità di carico su pareti tra di
loro ortogonali con l’eventuale rottura delle croci di muro perimetrali possono produrre col
tempo sia fratture verticali che sconnettono i muri appartenenti ai due ordini che la
suddivisione in strisce di muratura verticali tra di loro indipendenti, comprese tra due vani
19
consecutivi. Può quindi accadere che le singole porzioni di muratura – nel caso in cui non
ci sia la possibilità di un concatenamento da parte delle travi – tendano a ruotare o per
effetto della spinta del meccanismo ad arco che si forma al di sopra dei vani o per
l’eccentricità delle risultanti dei pesi data dalla morfologia della parete perimetrale [Fig.
2.5].
Fig. 2.5: Lesioni fisiologiche e patologiche degli edifici di II classe [Pagano, 1990]
Anche in questo caso per ovviare alla mancanza di un comportamento scatolare della
struttura si possono inserire catene o cerchiature, o anche bulzoni tra la testa delle travi e le
murature.
Lesioni di tipo fisiologico per gli edifici di questa classe si hanno al di sopra dei vani
di apertura al centro e ai due lati, mostrando un comportamento ad arco della struttura
sovrastante, che permette di trasmettere i carichi della piattabanda alle spallette in muratura
dell’apertura. Altre lesioni di lieve entità si possono avere nelle voltine di riempimento dei
solai in ferro, che provocano dei micro-effetti spingenti anche sul resto della struttura.
Sono frequenti i danni derivanti dall’azione concentrata delle travi sui muri, che
determinano fenomeni di schiacciamento locale della muratura in prossimità dell’appoggio
a causa della mancanza di elementi ripartitori o dell’eccessiva deformabilità del solaio.
Per questa classe tipologica le forze sismiche sono generalmente minori rispetto agli
edifici di prima classe essendo la struttura orizzontale più leggera. Per i fabbricati si riesce
a creare una certa connessione tra i muri perpendicolari all’orditura del solaio a causa
dell’effetto benefico dell’attrito generato dalla presenza dei carichi verticali trasmessi dal
solaio. Tale effetto si riduce all’aumentare della luce delle travi, per cui è quasi del tutto
inesistente per gli edifici speciali.
20
Anche per questa tipologia la vulnerabilità dell’edificio è determinata dalla
mancanza di collegamenti delle pareti tra di loro e quindi da un meccanismo di danno che
interessa principalmente le pareti perimetrali fuori del proprio piano come mostrato in
Figg. 2.6 e 2.7.
Fig. 2.6: Teora, terremoto 1980, danno di primo modo per edificio con solaio costituito da putrelle ordite
parallelamente alla parete crollata.
Fig. 2.7: Teora, terremoto 1980, danno di primo modo per edificio con solaio ligneo ordito parallelamente
alla parete crollata.
21
Inoltre per effetto del sisma si può avere lo sfilamento delle travi dai piani di
appoggio o il martellamento delle travi sulle murature, causando il crollo parziale dei muri.
L’ancoraggio delle travi nella muratura o la cerchiatura delle pareti perimetrali può essere
benefico anche per ridurre la vulnerabilità sismica dell’edificio, ottenendo rotture degli
elementi murari nel proprio piano.
Infine si possono individuare gli edifici di terza classe, costituiti da impalcati in
cemento armato solidali con le pareti portanti, così da impedire gli spostamenti relativi e
raggiungere la congruenza delle rotazioni tra solai e pareti realizzando una struttura
iperstatica con un effettivo comportamento scatolare. Pagano contrappone gli edifici di
terza classe, di generazione moderna, ai quali si può quindi applicare la teoria
dell’elasticità con una certa approssimazione, agli edifici di prima e seconda classe,
concepiti senza alcun riferimento a leggi teoriche ma solo affidandosi alla prassi
costruttiva.
La consuetudine di realizzare, sulla sommità della muratura di ciascun piano, cordoli
in cemento armato, ebbe probabilmente origine agli inizi del novecento con la diffusione
del conglomerato cementizio. Un simile telaio piano orizzontale esercita un’azione di
solidarizzazione dei maschi appartenenti a ciascun muro e di collegamento delle pareti tra
di loro e consente la distribuzione uniforme dei carichi, trasmessi dalle travi in legno o in
ferro, sui cordoli. La realizzazione di tale tecnica costruttiva diventò obbligatoria con la
Legge 2105/1937, prescrivendo la realizzazione di cordoli in cemento armato estesi per
tutto lo spessore delle pareti in muratura.
Un’ulteriore evoluzione si verificò quando si diffuse la realizzazione degli impalcati
in cemento armato, che si estendevano sulle murature e si ammorsavano ad esse attraverso
i cordoli di bordo.
Questo tipo di struttura nel caso di edifici ordinari mostra una buona capacità
sismica, infatti collegando le pareti tra di loro e al solaio si evitano crolli al di fuori del
piano, risultando determinante il comportamento meccanico della parete nel proprio piano
e quindi le capacità di resistenza e di deformazione degli elementi di cui è costituita:
maschi e fasce.
Analizzando in sintesi il comportamento sismico delle due categorie di edifici si ha
per entrambe nella configurazione originaria per le tipologie di prima e seconda classe un
meccanismo prevalente di ribaltamento fuori dal piano. L’elemento discriminante tra le
due categorie è dato dalla possibilità per gli edifici ordinari, con un intervento di
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miglioramento, di aumentare la rigidezza dell’impalcato o di collegare le pareti tra loro
sviluppando a pieno il suo comportamento a vocazione scatolare; mentre per gli edifici
speciali, in presenza di ambienti molto allungati ed alti si ha la quasi impossibilità di
raggiungere un comportamento globale della struttura a causa della configurazione
geometrica originale degli elementi, per cui il comportamento sismico della struttura è
determinato dal ribaltamento degli elementi strutturali al di fuori del piano.
Si deve sottolineare, inoltre, che nella realtà storica costruita risulta difficile ascrivere
un edificio ad una sola classe tipologica essendo costituito nella maggior parte dei casi sia
da impalcati realizzati interamente in muratura, sia da solai in legno o in ferro.
L’applicazione di diverse tecniche per la realizzazione delle strutture portanti
orizzontali interessa anche lo stesso piano. Tale stratificazione delle tipologie costruttive
all’interno di un unico edificio è data sia dall’evoluzione della tecnica, ma in particolar
modo da ragioni complesse sociali, economiche, estetiche o tipologiche che hanno
condotto a preferire nel corso dei secoli volte a solai lignei o viceversa.
Inoltre è possibile riscontrare per alcuni piani o solo per qualche vano interventi di
consolidamento che inducono un locale comportamento scatolare. Si ha quindi una
configurazione
dell’edificio
storico
in
muratura
piuttosto
complessa
con
un
comportamento meccanico misto, ma che può essere studiato riconducendo le varie parti
dell’edificio alle tre classi analizzate.
2.2 Evoluzione delle tecniche di muro post-medievali nell’areale del tufo
giallo napoletano
Le ricerche metrologiche condotte sulle murature in tufo giallo napoletano realizzate
tra la fine del XVI secolo e la prima metà del XX hanno individuato tre tipi costruttivi
fondamentali, definiti da indicatori cronologici di tipo morfologico e dimensionale: i
registri murari di pietrame spaccato allestiti a cantieri, diffusi nel XVI e nel XVII secolo,
quelli di bozzette a filari, riferibili al XVIII secolo, e quelli di blocchetti a filari, a sacco,
adottati nel XIX e nella prima metà del XX secolo. Le suddette classi cronotipologiche
possono essere ulteriormente articolate, consentendo la datazione, con apprezzabile
23
precisione, dei paramenti post-medievali dell'areale del tufo giallo napoletano [Fiengo e
Guerriero, 1998 (Eds); Fiengo et al, 2003; Guerriero, 2005].
Le tipologie analizzate riguardano una elevata frazione del patrimonio storico
dell’areale napoletano. In particolare pur vantando il centro storico di Napoli una
stratificazione millenaria, a partire dall'età greca, circa 3/4 delle strutture in elevazione
sono ascrivibili alle tipologie murarie post-medievali.
L’industria edilizia di Terra di Lavoro e napoletana era caratterizzata
dall’organizzazione in corporazioni d’arti e mestieri che attraverso la redazione di Statuti
stabilivano le regole e i principi cui gli aderenti dovevano sottostare, garantendo una buona
qualità dei manufatti edilizi. Tale sistema, non consentiva la diffusione del sapere
costruttivo, gelosamente custodito e tramandato oralmente attraverso il discepolato.
In sintesi, durante il viceregno spagnolo, le murature in tufo giallo napoletano
furono costantemente apparecchiate a cantieri, riproponendo una tipologia del passato mai
abbandonata [Russo, 1998]. Questo magistero può sembrare una disposizione irrazionale di
materiale estremamente irregolare, ma in realtà l’orizzontalità è ottenuta non attraverso
l’uso di pietre squadrate che richiederebbero tempi di lavorazione molto lunghi, ma
realizzando un doppio strato di malta disposto ogni due o tre ricorsi di pietrame di spacco –
impilato senza curare la giacitura orizzontale – utilizzato in combinazione con materiale
minuto prodotto durante le fasi di lavorazione e di trasporto in cantiere e abbondanti strati
di malta, simile ad un conglomerato per la presenza di aggregati di granulometria mediogrossa e di frantumi di pietra. Tale tecnica permette di ottenere una grossa partita di
fabbrica, priva di particolari differenze tra paramenti esterni e nucleo interno. L’altezza del
cantiere, intesa come la distanza tra due corsi di malta successivi (variabile tra i 35 cm e i
65 cm) dipendeva da più fattori, tra cui le buche pontaie, disposte circa ogni 130 cm (5
palmi), in cui si ritrovano due o tre cantieri, ed anche dalle dimensioni dei blocchi
squadrati di piperno dei cantonali delle fabbriche, che fungevano da guida alle adiacenti
partite murarie.
Il pietrame veniva spaccato con cunei e mazzuoli, talvolta sgrossato con la
mannara da muratore (un'ascia a testa rettangolare, dal taglio parallelo al manico), dando
luogo ad elementi di pezzatura e configurazione eterogenee (condizionate dal sistema
estrattivo), con superfici esterne marcatamente irregolari. A seconda della conformazione e
delle dimensioni, le pietre – grossolanamente definite solo sulla faccia esterna e su quelle
24
orizzontali – assumevano la denominazione di spaccatoni, spaccate, spaccatelle e pietre
rustiche.
Dalla norma prammatica del 27 Agosto 1564, che fornì prescrizioni tese a
regolamentare l’opera dei tagliamonti, si possono ricavare le dimensioni degli elementi
lapidei fissati nel pezzo (circa 39.5x35x13 cm) e nella pietra spaccata (circa 52x35x13
cm).
In realtà è difficile riscontrare tali conci nelle pareti murarie, avendo essi soprattutto
la funzione di unità di riferimento per la contabilizzazione dell’opera dei cavamonti, bensì
è più frequente ritrovare elementi ottenuti dal loro frazionamento, tra cui le spaccatelle
(35x26x13 cm), pari a mezza spaccata grossolanamente definite sul lato esterno e su quelli
orizzontali, e le pietre rustiche (45-60x8-13x20-25 cm) sgrossate solo sulla faccia vista,
con forma quadrata e spesso coincidente con lo spacco di cava. Inoltre venivano adoperate
le asche (elementi lapidei di piccole dimensioni) e gli spaccatoni (45–60x8-13x20-25 cm);
le prime sono scarti di lavorazione, dalla sagoma cuneiforme, adoperati per colmare i vuoti
risultanti dalla messa in opera delle pietre di diverse dimensioni; mentre i secondi sono
elementi speciali, lunghi e bassi, con rapporto tra base ed altezza uguale o maggiore di
quattro, assimilabili alle pietre spaccate. I suddetti conci utilizzati come diatoni
assicuravano l’ingranamento trasversale del masso murario.
È possibile ottenere una datazione più precisa delle apparecchiature murarie di età
vicereale se si considerano caratteri distintivi quali l'altezza dei cantieri (distanza tra i corsi
di pareggiamento), le tipologie degli elementi lapidei, con le relative frequenze
dimensionali e i criteri di disposizione dei conci.
È da notare che nelle opere pubbliche i materiali erano quasi sempre forniti dalla
committenza che pagava alle maestranze il magistero mentre i privati, generalmente, per
motivi prudenziali, provvedevano all’acquisto della calce e del legname, ma non alla
fornitura di tufo, pozzolana e lapillo, facilmente reperibili nel sito stesso della costruzione,
spesso utilizzato come cava, da cui si estraevano i materiali necessari per la costruzione.
Un esempio di questo tipo è rappresentato da Castel S. Elmo, con il tufo prelevato in
parte dal banco su cui sorge ed utilizzando successivamente le cavità risultanti a servizio
del complesso [Fiengo, 1998].
Frequentemente pozzolana e lapillo risultavano dallo spianamento dell’area
edificabile o dallo scavo delle fondazioni. Le pietre provenienti da demolizioni di strutture
preesistenti erano riservate alle fondazioni, e al sacco dei muri. Il legante presenta molto
25
spesso, accanto agli usuali inerti, taglime di tufo e di piperno, frammenti di cotto, residui di
lavorazione e nodi di calce non spenta.
Le fabbriche murarie di questo periodo sono contraddistinte dal principio del
massimo sfruttamento delle risorse disponibili, per cui spesso venivano riutilizzate pietre
provenienti da demolizioni. Le pietre ripulite dallo stato di malta aderente venivano
impiegate nelle zone della fabbrica muraria in cui era richiesta un minor grado di finitura,
negli strati interni, come riempimenti delle fondazioni e delle volte.
Risulta di notevole importanza soffermarsi sul prezzo che la calce assume dal 1500 al
1700, determinando frodi sulla quantità realmente utilizzata e influenzando notevolmente
la qualità di malta ottenuta. Infatti a causa dei numerosi passaggi di mano che subiva il
prodotto dal 1557 in poi si ebbe il crescente rialzo della calce. Furono emanate diverse
prammatiche nel 1564, nel 1619 ed un bando nel 1627 allo scopo di frenare tali rialzi,
vietando l’acquisto da parte di intermediari e indicando una tariffa massima. A partire dal
1638, con l’istituzione dell’ufficio del pesatore, la calce fu gravata da imposte crescenti nel
tempo, che unite alle enormi richieste del mercato e alle speculazioni messe in atto da
capimastri e fornitori ne fece alzare ulteriormente il prezzo che in seguito al terremoto del
1688 raddoppiò. A causa di ciò si ebbero frodi sulla quantità di calce realmente utilizzata
per la realizzazione della malta, in particolare in tutto il XVIII secolo.
Fig. 2.8: Napoli, complesso di S. Caterina a Formiello, prospetto su vico S. Caterina [Russo, 1998]
Le murature a cantieri sono state utilizzate estesamente per l'edificazione dei
quartieri extra moenia sorti, dalla seconda metà del XVI secolo, lungo la Costigliola, a
26
Fonseca e nella Sanità, in un periodo di notevole sviluppo demografico ed urbanistico della
capitale del viceregno. Tale cronotipo si riscontra, inoltre, nelle fasi di impianto dei
Quartieri Spagnoli e nelle sopraelevazioni degli edifici esistenti all'interno delle mura
urbane.
Fig. 2.9: Napoli, palazzo Donn’Anna, cortina della galleria del primo piano [Russo, 1998]
Fig. 2.10: Napoli, palazzo Donn’Anna, cortina del cortile orientale [Russo, 1998]
Tra le murature a cantieri, si cita un tratto della parete del complesso di S. Caterina a
Formiello (1501-1514) prospettante sul vico S. Caterina [Fig. 2.8]. Qui, si nota che nei
27
cantieri composti da materiale di spacco di diversa pezzatura sono interposti filari di
spaccatoni, con funzione stabilizzante.
Un esemplare egualmente significativo [Fig. 2.9] è costituito dal palazzo Donn’Anna
a Posillipo (1642-1644): nella cortina della galleria del primo piano si riconoscono cantieri
a due filari, alti tra 40 e 45 cm, associati a ricorsi di 30 cm da pezzame di notevoli
dimensioni, lavorato con precisione nella giacitura di assetto e sommariamente nei lati
verticali, sul quale sono disposti spessi strati di malta e scaglie minute, allo scopo di
ripristinare l’orizzontalità del filare. Nella cortina del cortile orientale [Fig. 2.10] dello
stesso edificio si nota l’uso di elementi lapidei assemblati in modo che ciascun
allineamento sia approssimativamente orizzontale.
Alla fine del Settecento si assiste ad un graduale cambiamento della tecnica
costruttiva che porta all’affermazione delle murature a filari nell’area napoletana. I fattori
determinanti per il rinnovamento delle pratiche di cantiere e il loro affinamento furono in
primo luogo l’esigenza di realizzare spessori di muratura ridotti per la sopraelevazione
degli edifici esistenti e successivamente la necessità di eseguire dopo il terremoto del 1688
interventi di consolidamento o di parziale ripristino adottando provvedimenti che
proteggessero la struttura dagli effetti del sisma. Inoltre il cambiamento di tecnica fu
favorito dal miglioramento economico dei ceti borghesi, che comportò un incremento di
capitali investiti [D’Aprile, 1998].
Pertanto, la muratura a filari di bozzette (XVIII secolo) fu realizzata con elementi
lapidei (bozzette) – rapidamente regolarizzati, in varia misura, sugli assetti orizzontali e
verticali e sulla faccia di paramento - allineati su filari, con letti di malta distanziati di circa
mezzo palmo (13 cm), associati, nei nuclei murari, ad elementi di pezzatura analoga, ma
rifiniti sommariamente. L’esecuzione di queste strutture murarie avveniva per piccoli strati
verticali e prevedeva il preventivo posizionamento delle pietre di paramento in modo da
formare con esse le casseforme per il successivo riempimento del nucleo interno, realizzato
cercando di colmare tutti i vuoti della muratura. Sui paramenti esterni venivano disposti
alcuni conci trasversalmente che garantivano una maggiore connessione con il nucleo
interno.
Per il confezionamento della malta venivano utilizzati sabbia vulcanica e pozzolana
di granulometria medio-grande ed una quantità insufficiente di calce, dovuta alle tasse
imposte su queste dall’amministrazione borbonica. In più all’interno della malta si possono
riscontrare una quantità elevata di calcinelli non idrati e di frammenti di calcare non cotto,
28
dovuto in primo luogo all’impreparazione tecnica degli operatori. Infatti il processo di
produzione della calce risentì della sommarietà con cui erano condotte le operazioni di
cottura e di spegnimento della calce. A causa delle suddette caratteristiche la malta
utilizzata in questo periodo viene considerata scadente.
Tali murature erano caratterizzate, in senso generale, dal progressivo affinamento
delle tecniche di conformazione e di messa in opera del materiale. Infatti, si possono
riscontrare alcune differenze presenti nella realizzazione dei paramenti della muratura a
bozzette permettendo di distinguere tre periodi (1689-1740, 1741-1775, 1776-1800). In
sintesi si ha che le pareti in tufo giallo della prima parte del secolo sono costituiti da conci
di altezza variabile tra 13 e 17 cm, sommariamente sbozzati su due o tre facce, per i quali
si cura maggiormente la complanarità della superficie a vista e dei lati inferiore e superiore
della pietra e sono disposti secondo ricorsi orizzontali di spessore variabile, di fascia e di
punta (con minore frequenza) con l’uso di materiale minuto.
Nella seconda metà del Settecento l’altezza degli elementi lapidei si riduce a 12-15
cm. In questo periodo, grazie al lento perfezionamento delle tecniche estrattive e di
sbozzatura, vi è anche una maggiore attenzione per la sagomatura dei conci lavorati su
cinque facce, comportando una riduzione delle dimensione dei giunti ed un’omogeneità di
spessori tra i vari filari con un conseguente minore utilizzo del minuto di cava e dei
ringrossi di malta. Infine vi è più cura nella disposizione dei pezzi in modo da ottenere lo
sfalsamento dei giunti verticali.
Verso la fine del Settecento si assiste al diffondersi di apparecchi murari con blocchi
di altezza quasi costante (pari a circa 11-14 cm ossia mezzo palmo) e rifiniti su cinque
piani a spigoli vivi comportando una riduzione degli spessori dei letti e dei giunti di malta
pari a 1-1.5 cm. Viene rivolta maggiore attenzione allo sfalsamento delle connessure
verticali e all’ammorsamento dei due paramenti esterni con il nucleo interno, attraverso la
maggiore frequenza di conci di punta.
Murature realizzate a filari di bozzette si riscontrano negli edifici ristrutturati a
seguito del sisma del 1668 e in quelli oggetto di profonde modifiche e sopraelevazioni
motivate dalla loro trasformazione in case di affitto. Per i nuovi piani veniva utilizzata la
tecnica a filari di bozzette, che consentivano il confezionamento di pareti di spessore
ridotto, più leggere di quelle apparecchiate a cantieri. La tecnica di filari a bozzette è stata
utilizzata anche per l'erezione dei nuovi edifici, a partire dalle grandi opere pubbliche del
regno carolino, quali l’Albergo dei Poveri, il palazzo reale di Portici, e dalle residenze di
29
svago della nobiltà sorte lungo la costa vesuviana. Tra queste, viene illustrato [Fig. 2.11]
un tratto delle murature del braccio ovest del belvedere della reggia di Portici, terminato
nel 1763. Si nota che le pietre sono disposte secondo filari di altezza quasi costante (circa
15 cm) paralleli, con giunti di malta sottili, accuratamente sfalsati, di spessore 1-1.5 cm; è
evidente la presenza di elementi di ammorsamento di dimensioni speciali (pressoché
quadrate) in prospetto.
Fig. 2.11: Portici, palazzo reale, braccio ovest del belvedere, particolare del fronte occidentale [D’Aprile,
1998]
Fig. 2.12: Napoli, chiesa dell’Annunziata, particolare del fianco settentrionale [D’Aprile, 1998]
30
In Fig. 2.12 è riportato un tratto delle murature della chiesa dell’Annunziata a
Napoli, ricostruita da L. Vanvitelli dopo l'incendio del 1757. Si nota l’impiego di elementi
ben riquadrati lunghi 30-35 cm ed alti 12-13 cm, allettati su giunti di spessore ridotto, con
numerosi elementi disposti di punta, con funzione di ammorsamento.
Dall'età napoleonica, le murature furono allestite con blocchetti, riquadrati con la
mannara da muratore, alti 20-25 cm, apparecchiati a filari, con letti di malta di spessore
eterogeneo. I conci di cortina, con spigoli esterni a squadro e facce di paramento
complanari, avevano le zone interne grossolanamente sbozzate, per favorirne
l'ammorsamento con il masso interno, realizzato a sacco, utilizzando pietrame irregolare,
asche (frantumi di pietra di piccole dimensioni) e abbondante malta. Le suddette murature
sono caratterizzate dalla presenza di pietre dette, a seconda del rapporto tra i lati delle facce
esterne, "da uno", "da uno e mezzo"e "da due" (h:l pari rispettivamente a 1:1, 1:1.5 e 1:2).
Intorno alla metà del XIX secolo furono utilizzati elementi lapidei ben regolarizzati
di altezza 20-25 cm con strati sottili di malta e disposti con particolare attenzione per lo
sfalsamento dei giunti. I conci erano lavorati con cura nella faccia di paramento e negli
assetti, ovvero nei letti e nei “fianchi”, i quali costituiscono rispettivamente le facce a
contatto con i blocchi inferiori e superiori e con quelli contigui. Le pietre venivano
disposte alternativamente con la maggiore dimensione parallela al fronte del muro e
ortogonale a questo, alternanza che veniva ripetuta tanto in orizzontale quanto in verticale,
posizionandoli con giacitura parallela al letto di cava [Carillo, 1998].
I collegamenti tra le pietre sono affidati alla malta. Lo spessore iniziale di malta era
sempre esuberante rispetto a quello strettamente necessario per riempire le connessure. La
compressione del concio nel proprio alloggiamento, infatti, garantiva il perfetto
ricoprimento dei fianchi e del letto di posa permettendo, nel contempo, il rifluimento verso
l’esterno della malta in eccesso. Per occludere gli eventuali interstizi rimasti si spargeva
sulla superficie di ciascun filare una malta molto fluida, detta beverone.
Per quanto riguarda le dimensioni delle pietre nei primi due decenni dell’ottocento
presentano un altezza pari a 16-18 cm con un rapporto h:l di 1:2. Nel ventennio successivo,
si riscontrano pezzi alti 19-21 cm, meno estesi longitudinalmente, con lunghezze non
superiori ai 30 cm. Proseguendo nei decenni si ha che l’altezza delle pietre aumenta e le
proporzioni dei lati del paramento a vista sono prossime a quelle di un quadrato o di un
rettangolo breve.
31
Nel XIX secolo era disponibile una vasta gamma di malte, variabili per la natura del
legante, ma anche per il tipo e per la granulometria degli inerti. Per gli aggregati ci si
avvaleva della pozzolana, della sabbia e del lapillo, materiali reperibili sul territorio. La
malta più diffusa, addirittura imposta dalla tariffa municipale, prevedeva l’uso di malta
realizzata con calce spenta e sabbia raccolta da depositi di torrenti o di cava.
Fig. 2.13: Napoli, barriera doganale al ponte della Maddalena, particolare del paramento [Carillo, 1998]
Fig. 2.14: Napoli, ospedale psichiatrico “L.Bianchi”, muratura a blocchetti [Carillo, 1998]
32
La suddetta tipologia di murature è stata utilizzata negli edifici dei quartieri di
espansione orientale (Arenaccia), occidentale (Chiaia) e collinare (Vomero) e negli opifici
della nuova area industriale orientale.
A siffatta tipologia è riconducibile, tra le altre, la cortina della barriera doganale
ponte della Maddalena, allestita con blocchetti ben lavorati, alti circa 20 cm [Fig. 2.13]. Un
paramento che ben illustra l'ulteriore evoluzione del suddetto cronotipo è quello del fronte
stradale dell’ospedale psichiatrico “L. Bianchi”, costituito da blocchi ben lavorati alti circa
22 cm [Fig. 2.14]. In entrambi i casi, i tufelli sono caratterizzati da un rapporto h:l pari a
1:1-1.5, i giunti di malta sono sottili e sfalsati.
Nella stagione del Risanamento, seguita all'epidemia colerica del 1884, e delle
contestuali iniziative di urbanizzazione delle aree collinari, sino all'introduzione, nel sesto
decennio del XX secolo, di sistemi meccanizzati di estrazione del tufo, si fece ricorso a
blocchetti delle medesime dimensioni, ma riquadrati meno accuratamente di quelli
adoperati in precedenza.
33
Capitolo 3
Modellazione della muratura in tufo giallo napoletano. analisi
sperimentale su macromodelli
3.1 Sperimentazione: legame σ-ε
La conoscenza delle tecniche costruttive adottate per la realizzazione delle murature in area
napoletana in età post-medievale ha permesso di effettuare prove di compressione a
deformazione controllata su macromodelli di muratura tradizionale, in scala reale, allestiti
riproducendo le tecniche costruttive riscontrabili nell'areale del tufo giallo napoletano per il
periodo che va dal XV al XX secolo.
In questo modo è stato possibile, in primo luogo, determinare il comportamento
meccanico di questo tipo di muratura non solo in termini di resistenza, ma anche
deformativi, potendone valutare in particolare la capacità di adattamento plastico, una volta
raggiunta la resistenza massima. Inoltre si è valutato quali sono gli elementi che
caratterizzano e determinano il comportamento meccanico e deformativo dei tre crono-tipi
analizzati.
La conoscenza delle caratteristiche meccaniche è indispensabile per valutare la
vulnerabilità sia nei confronti delle ordinarie azioni gravitazionali che di quelle sismiche;
le caratteristiche da considerare non si riducono solo alla resistenza massima a
compressione ed alla corrispondente deformazione ma si estendono alla valutazione della
capacità portante della muratura nella fase plastica, esprimibile come la deformazione
corrispondente ad un’aliquota della capacità massima.
Il seguente lavoro è stato preceduto da una sperimentazione analoga condotta su
blocchi snelli in scala 1:10 [Calderoni1 et Lenza, 2004; Calderoni et al., 2004]. La
riproduzione dei massi murari in scala pur determinando una limitazione dell’analisi, data
l’impossibilità di rispettare un criterio di rigorosa analogia geometrica e meccanica, in
particolare a causa della difficoltà di riproporre in scala lo spessore dei giunti di malta, ha
fornito le prime indicazioni sul comportamento meccanico della muratura e la forma del
legame costitutivo del materiale (σ-ε).
34
Per la realizzazione dei provini in scala ridotta sono stati impiegati elementi di tufo
giallo provenienti da una cava di Chiaiano, dapprima tagliati in pezzame regolare, secondo
variabili dimensionali analoghe a quelle dei paramenti tradizionali, in seguito rilavorati
conformandoli secondo la scabrezza ed il grado di finitura connesso alla tipologia muraria
da realizzare; per la malta si è adoperato un impasto di grassello di calce e sabbia
pozzolanica.
Durante le prove a compressione le prime lesioni si sono manifestate poco prima del
raggiungimento della tensione massima, variabile tra 0.6 ed 1.5 N/mm2, a cui
corrispondeva una deformazione variabile tra 0.5 e 1,3%. La deformazione ultima
registrata oscillava tra 1.3 e 2.9%.
I diagrammi σ−ε erano caratterizzati da un tratto crescente che presentava sin
dall’inizio un legame non lineare con riduzione progressiva del modulo elastico sino al
raggiungimento della tensione di picco. Il tratto di softening, molto esteso in tutti i casi, era
caratterizzato da un flesso, non sempre particolarmente accentuato, che testimonia un
rallentamento di decadimento di resistenza del provino.
Dai diagrammi σ−ε sperimentali è stata ricavata una formulazione analitica del
legame costitutivo in grado di descrivere il comportamento di tutte le tipologie analizzate
in funzione di quattro parametri caratteristici: la resistenza massima, la deformazione
corrispondente, la deformazione ultima e la resistenza corrispondente.
Il suddetto lavoro preliminare ha consentito di definire la base di conoscenza utile
per la sperimentazione sistematica, attraverso prove a compressione, di modelli di
murature tradizionali in scala reale, riferibili alla produzione edilizia postmedievale
dell'areale del tufo giallo napoletano.
I macromodelli realizzati sono stati sottoposti a prove di compressione semplice a
deformazione controllata, in modo da ottenere il legame costitutivo della muratura, in
particolare il ramo decrescente, dipendendo il comportamento duttile di un elemento
strutturale dalle capacità che ha di attingere alle risorse plastiche.
Come già evidenziato al par. 2.2 circa i ¾ dei fabbricati napoletani in elevazione
sono riconducibili alle tipologie murarie post-medievali. Di conseguenza, la costruzione di
macromodelli riconducibili ai suddetti cronotipi e la loro analisi meccanica consente di
valutare la vulnerabilità nei confronti delle azioni gravitazionali e di quelle sismiche di una
frazione considerevole del patrimonio architettonico napoletano di interesse culturale.
35
L’analisi delle caratteristiche meccaniche dei provini riprodotti in laboratorio non
può prescindere da un’ attenta analisi dei materiali costituenti l’organismo murario stesso,
per cui si sono valutate anche le proprietà meccaniche del tufo e della malta utilizzati per il
confezionamento dei campioni murari, rivestendo particolare interesse anche la valutazione
della capacità di adattamento plastico, conducendo per tutti i materiali costituenti le
murature prove a compressione semplice a deformazione controllata, ottenendo il legame
σ-ε.
Si sono confrontati i diagrammi dei diversi tipi malta e di tufo con il legame
costitutivo del materiale in modo da poter valutare l’influenza che hanno sul
comportamento globale della muratura.
Si è proposta un’espressione analitica del legame costitutivo σ−ε funzione di alcuni
parametri meccanici caratteristici.1
3.2 Realizzazione dei macromodelli
Per ciascuna delle tre tipologie murarie tradizionali individuate, sono stati allestiti in
laboratorio due provini in una fase precedente della sperimentazione da specialisti del
restauro [Prof. L. Guerriero, Arch. G. Cecere]. Qui si riportano i materiali adottati, le
modalità e le fasi costruttive, pur non essendo oggetto diretto del lavoro di tesi, per poter
meglio comprendere in che modo hanno determinato il comportamento meccanico dell
muratura.
L'intervento diretto di specialisti di restauro nella fase di costruzione dei massi
murari è stato reso necessario dalla difficoltà di trasferire ai muratori contemporanei le
cognizioni tecniche relative a pratiche costruttive estranee alla prassi professionale odierna.
L'allestimento dei macromodelli non ha la finalità di imtare le tecniche costruttive
tradizionali, ma di analizzare le caratteristiche meccaniche della muratura dei tre cronotipi,
le cui peculiarità sono state sintetizzate nei macromodelli realizzati.
1
I risultati qui riportati sono in parte anticipati in: B. Calderoni, E.A. Cordasco, L. Guerriero; P. Lenza;
G. Manfredi; Prove sperimentali su macromodelli di murature di tufo postmedievali; Atti del convegno
nazionale “Sperimentazioni su materiali e strutture”, e in B. Calderoni, E.A. Cordasco, L. Guerriero; P.
Lenza; G. Manfredi, Experimental tests on post-medieval and modern tuff masonry walls
36
Per l’allestimento dei campioni murari "a cantieri" e "a bozzette" è stato adoperato
pietrame spaccato di tufo giallo napoletano estratto a metà del XVIII secolo in una cava
sottostante il cantiere vanvitelliano della chiesa dei Padri della Missione, ai Vergini,
accatastato in occasione dell'ampliamento settecentesco del complesso sovrastante
[Fig.3.1]. Per quelli a blocchetti si è fatto ricorso ad elementi di recupero, del medesimo
litotipo, provenienti dalla demolizione di un partito murario tardo-ottocentesco del
complesso di S. Lorenzo ad septimum, ad Aversa, allestito con materiale proveniente,
presumibilmente, da cave locali.
Fig. 3.1: Napoli, Complesso dei Preti della Missine ai Vergini, pietre di tufo accatastate nella cavità
sotterranea creata nel XVIII secolo. [foto G. Cecere]
La disponibilità di tufo ridotto ab origine secondo le classi morfologiche e
dimensionali tipiche delle cronotipologie tradizionali ha consentito, la realizzazione di
partiti murari che approssimano assai da vicino le murature degli edifici postmedievali
dell’area partenopea. L'utilizzo del pietrame settecentesco anche per i provini "a cantieri",
riconducibili al XVI e al XVII secolo, è giustificato dalla continuità dei metodi di
estrazione delle cave nel corso dell'età moderna, caratterizzati dalla produzione di
scheggioni spaccati o grossolanamente attozzati, riferibili alle pezzature tradizionali
(spaccate, spaccatoni, spaccatelle e pietre rustiche). Pertanto, il materiale lapideo estratto
nel XVIII secolo (spaccato in cava e destinato ad essere sbozzato in cantiere) è risultato
37
adeguato anche al confezionamento dei campioni riferibili alla tipologia muraria del
periodo precedente. Il pietrame è stato sottoposto ad un accurato vaglio morfologicodimensionale, selezionandolo in modo da approntare un numero adeguato di elementi,
delle classi dimensionali necessarie per approssimare con buona verosimiglianza le
tipologie murarie tradizionali che si intendeva riprodurre.
I blocchetti di recupero utilizzati per la realizzazione della muratura ottocentesca “a
blocchetti” sono stati accuratamente ripuliti dai residui di malta e messi in opera
apportandovi limitate modifiche [Fig. 3.3].
Fig. 3 2: Pietre di tufo dalle dimensioni prossime alla classe dimensionale delle spaccate (circa 52x35x13
cm), delle spaccatele (circa 35x26x13), del pezzo (circa 35x39.5x13), osservata da due lati.
Anche la malta, di calce aerea, è stata confezionata adeguandosi alle caratteristiche
delle murature tradizionali, in relazione al rapporto legante-aggregati ed alla natura e
granulometria di questi ultimi. Per tal via, nei provini a cantieri, con giunti di notevole
spessore, si è fatto ricorso ad un impasto costituito da 1/3 di sabbia vulcanica, 1/3 di
grassello di calce, addizionato ad 1/3 di inerti grossolani come pomice, lapilli e scaglie di
tufo, ottenendo un conglomerato.
38
Nelle murature a filari di bozzette e in quelle a blocchetti è stata utilizzata una malta
costituita da tre parti di sabbia vulcanica ed una di grassello di calce, lavorata, al pari della
precedente, con quantitativi ridotti di acqua.
Le murature realizzate hanno le dimensioni minime, esplicitate nel seguito, ritenute
rappresentative delle morfologie in esame.
Per i provini a cantieri e a filari di blocchetti si è provveduto innanzitutto a prove di
allestimento a secco [Fig. 3.4], per scegliere accuratamente le pietre da utilizzare e la loro
disposizione all’interno della sezione muraria. In questa fase, si sono effettuate, sulla base
delle conoscenze storico-critiche precedenti, numerose puntualizzazioni in ordine alle
dimensioni dei provini delle diverse tipologie, al grado di finitura degli elementi lapidei e
della loro disposizione su ciascun orizzontamento.
Fig. 3 3: Viste della faccia esterna e del profilo di blocchetti di altezza pari a circa 20 cm, h:l pari a 1:1 ,h:l
pari a 11.5, h:l pari a 1:2.
Ciascuno dei provini della tipologia cinque-secentesca (nominati C1 e C2) è
costituito da due "cantieri" alti circa 45 cm, dello spessore di circa 65 cm, divisi da un
39
doppio strato di malta. Alla base di ogni cantiere si sono disposte "spaccatelle" alte circa
13 cm, con base 30-35 cm, profonde circa 26 cm, e "spaccate" di circa 13x35x52 cm circa,
posizionate una per lato, disposte come diatoni per realizzare un parziale ingranamento
trasversale. Sopra siffatto ricorso sono state impilate "pietre rustiche", sgrossate
rapidamente, con giunti non sfalsati colmati con il conglomerato prima menzionato,
facendo ricorso anche a taglime e asche di tufo. Gli elementi lapidei dei paramenti e quelli
interni hanno un grado di lavorazione e pezzature analoghi. La messa in opera è avvenuta
in diverse giornate lavorative, una per ciascun cantiere, stendendo, in occasione della
ripresa del lavoro, uno strato di malta di allettamento sul ricorso orizzontale sottostante.
Fig. 3 4: Fasi di allestimento dei macromodelli a cantieri
Ciascuno dei provini della tipologia settecentesca a filari a bozzette (B1 e B2),
40
dello spessore di 55 cm, è costituito da sei ricorsi di "spaccatelle", con elementi di
paramento, alti circa 13 cm, sbozzati accuratamente sulla faccia esterna e sugli assetti
orizzontali, più rapidamente su quelli verticali, avente una base quadrangolare con lati
variabili tra 20 e 30 cm, posizionati curando lo sfalsamento dei giunti verticali. Su ciascun
filare, per ognuno dei paramenti, una "spaccatella" è stata disposta trasversalmente, per
ottenere un discreto ingranamento trasversale della sezione muraria. Lo spazio residuo tra i
paramenti è stato colmato con elementi di altezza analoga a quelli di paramento,
regolarizzati solo sugli assetti orizzontali, facendo ricorso in maggiore misura alla malta, in
particolare per i giunti verticali.
Fig. 3 5: Fasi di allestimento dei macromodelli a filari di bozzette
Ogni campione di muratura ottocentesca a blocchetti (S1 e S2), di spessore
41
complessivo pari a 42 cm, è costituito da quattro filari di blocchetti regolarizzati sulla
faccia esterna e su una parte degli assetti orizzontali e verticali, conformati secondo un
tronco di piramide, alti circa 20 cm, larghi 22-28 cm, con spessore variabile tra 12 e 15 cm,
disposti curando lo sfalsamento dei giunti verticali. Solo sulle testate laterali del blocco
murario sono presenti elementi di ingranamento trasversale, con lo scopo di riprodurre
l'effetto di contenimento esercitato, nelle costruzioni reali, dai maschi murari ortogonali e
dalle spallette delle aperture. Il nucleo interno è costituito da elementi di forma irregolare,
di pezzatura analoga a quelli dei paramenti, combinato con l’uso diffuso di asche di
pezzatura variabile, annegato in abbondante malta.
Fig. 3.6: Fasi di allestimento dei macromodelli a filari di blocchetti
42
3.3 I materiali: Tufo e malta
Si sono valutate preliminarmente le proprietà meccaniche dei materiali costituenti
la muratura, sottoponendoli a prove di compressione, a deformazione controllata,
ottenendone i corrispondenti legami σ−ε, nonché indicazioni anche sulla loro capacità di
adattamento plastico.
Si noti che le pietre di tufo usate per la realizzazione dei provini “a cantieri” e “a
bozzette” sono state denominate “Tufo dei Vergini”, mentre il “Tufo di Aversa” indica i
conci utilizzati per la muratura “a filari di blocchetti”. Inoltre la malta adoperata per la
muratura “a blocchetti” e “a bozzette” è stata indicata con la sigla MB, mentre per quella
utilizzata per la muratura “a cantieri” si è adottata la sigla MC.
Le prove sugli elementi di tufo sono state eseguite secondo la norma UNI EN 772-1
e quelle ad essa correlate, che indicano in sei il numero minimo di provini da realizzare e
prescrivono che da ciascun blocco lapideo si possa ricavare un solo campione da sottoporre
a prova. La norma UNI EN 772-1 prescrive una prova a controllo di carico, indicandone la
velocità di applicazione e specificando che il carico massimo deve essere raggiunto entro
circa un minuto dall’inizio della prova. In questo lavoro si è scelto di realizzare delle prove
a deformazione guidata, per percorrere il ramo decrescente del diagramma ed investigare
l’andamento plastico del materiale. Gli incrementi di deformazione sono stati applicati con
velocità molto basse per rispettare i tempi di applicazione dei carichi prescritti dalla norma.
Le prove a deformazione guidata sono state eseguite con un’apparecchiatura
costituita da un telaio in acciaio, la cui traversa è forata nel centro per consentire la discesa
di una vite con escursione massima di 65 cm, azionata manualmente, che comprime il
provino imponendo uno spostamento controllato. Una cella di carico da 100 KN e quattro
trasduttori, collegati ad una centralina, leggono rispettivamente la forza agente e
l’abbassamento verticale.
Sono stati realizzati quattordici provini in tufo, di 70x70x70 mm (come da UNI EN
771-6), otto ricavati dal pezzame della cava dei Vergini, sei dai blocchetti recuperati nel
complesso aversano.
Nessuno dei provini ha evidenziato l'insorgenza di lesioni sensibili prima del
raggiungimento della tensione massima: solo con l’aumentare delle deformazioni si sono
riscontrate ampie fessurazioni inclinate a 45°. Durante le prove non si sono verificati
fenomeni esplosivi ed il materiale ha mostrato una notevole capacità portante per elevate
43
deformazioni, raggiungendo valori superiori al 3% per carichi considerevoli. A fine prova
le basi, poco fessurate, erano costituite da due piramidi prive, in alcuni casi, degli inclusi
piroclastici di maggiori dimensioni, staccatisi durante la sperimentazione.
Provino
V0
σmax
(N /mm 2 )
3.89
εp
0.64 %
σu
(N /mm 2 )
1.26
εu
3.18 %
Eco
(N /mm 2 )
732.47
(188 )
V1
3.31
1.39 %
0.85
2.79 %
335.75
(101)
V2
4.59
1.47 %
2.03
2.84 %
366.87
(80)
V3
3.52
1.49 %
0.90
2.85 %
283.22
(80)
V4
6.01
0.45 %
1.67
3.51 %
1723.85
(287)
V5
4.21
0.37 %
2.20
3.04 %
1311.27
(311)
V6
4.55
0.38 %
1.53
3.11 %
1522.78
(335)
V7
4.35
0.49 %
1.92
3.35 %
995.56
(229)
A1
4.92
0.56 %
1.10
3.77 %
1625.08
(330)
A2
4.86
0.44 %
2.07
3.94 %
1283.98
(264)
A3
2.47
0.51 %
1.32
3.54 %
545.10
(221)
A4
1.96
0.64 %
0.81
3.35 %
654.26
(336)
A5
3.48
0.53 %
1.94
3.33 %
865.19
(249)
A6
3.24
0.37 %
2.10
2.86 %
989.23
(305 )
Tab. 3.1: Riepilogo caratteristiche meccaniche dei provini di tufo
La tensione massima, ottenuta come media sui campioni analizzati, è di 4.31
2
N/mm per il tufo dei Vergini e di 3.49 N/mm2 per quello di Aversa.
44
Il diagramma σ–ε è caratterizzato da un tratto iniziale elastico lineare, che diventa
non lineare poco prima di raggiungere la tensione massima, e da un tratto softening molto
esteso.
7
σ (N/mm 2 )
V4
6
V7
5
V2
V6
V0
V5
4
V1
3
V3
2
1
ε
0
0,0%
0,5%
1,0%
1,5%
2,0%
2,5%
Fig. 3.7: Diagrammi σ−ε per i provini di tufo dei Vergini
3,0%
3,5%
4,0%
4,5%
5,0%
Come riportato in [Fig.3.7], i provini di tufo dei Vergini hanno evidenziato
comportamenti differenziati. V1, V2 e V3 (caratterizzati, all'esame visivo condotto dopo la
rottura, da una matrice di materiale piroclastico fine, con inclusi sferoidali di ridotte
dimensioni, di circa 2 mm di diametro) hanno registrato una deformazione in
corrispondenza del carico massimo molto elevata, pari in media ad 1.45%, con un
conseguente abbassamento del valore del modulo elastico. Infatti, il modulo secante,
valutato in corrispondenza di un carico pari ad 1/3 di quello massimo, oscilla tra 283 e 366
N/mm2, e i diagrammi hanno una forma a campana. I campioni V0, V4, V5, V6, V7 sono
caratterizzati da un modulo elastico più alto rispetto al gruppo precedente, con modulo
elastico secante oscillante tra 733 e 1724 N/mm2, e da una deformazione a tensione
massima pari mediamente a 0.47%. La curva è costituita dopo il raggiungimento della
tensione massima da un tratto non lineare con pendenza elevata, che tende a diminuire
gradualmente al crescere delle deformazioni, terminando con un tratto quasi orizzontale. In
ogni caso per i gruppi di provini considerati le deformazioni ultime sono elevate, variabili
tra il 2.67% e il 5.00%.
45
Per i provini ricavati dal tufo proveniente dal cantiere aversano (indicati con la sigla
A), durante le prove si è registrato di frequente il distacco, in corrispondenza degli spigoli
del solido lapideo, di elementi abbastanza consistenti. I campioni in causa sono
caratterizzati da deformazione a tensione massima pari a circa lo 0.5% e a deformazione
ultima variabile tra il 3.9% e il 5.0%. Il diagramma [Fig 3.8] è costituito da un tratto
lineare elastico, con una curvatura molto dolce in corrispondenza della tensione massima, e
da un ramo discendente, pressappoco lineare, con una pendenza minore rispetto a quella
riscontrata per il tufo ricavato dalla cava settecentesca. Sono emerse, inoltre, notevoli
differenze di resistenza tra i diversi provini. A1 e A2, di colore giallo intenso, hanno
raggiunto una tensione di rottura di 4.89 N/mm2, con un modulo elastico secante pari in
media a 1454.53 N/mm2. A3 ed A4, caratterizzati dalla presenza di inclusioni di elementi
di colore rosso, vantano una tensione massima pari in media a 2.22 N/mm2, con un modulo
secante pari a 600 N/mm2. I provini A5 ed A6 hanno evidenziato un comportamento
intermedio registrando una tensione massima di 3.36 N/mm2 ed un modulo secante di
927.21 N/mm2. In Tab.3.1 si sintetizzano le caratteristiche meccaniche dei due tipi di tufo.
7
σ ( N/mm 2 )
6
A2
5
4
A1
A6
A5
3
A3
A4
2
1
ε
0
0,0%
0,5%
1,0%
1,5%
2,0%
2,5%
3,0%
3,5%
4,0%
4,5%
5,0%
Fig. 3 8: Diagrammi σ−ε per i provini di tufo di Aversa
Nella colonna del modulo elastico viene riportato in parentesi anche il rapporto
(Es/σmax). In entrambe i casi si è riscontrato un rapporto circa uguale a 250, evidenziando
46
un elevato comportamento deformativo del materiale tufo.
I valori di resistenza a compressione sono in accordo con quelli disponibili in
letteratura. Dell’Erba [Dell’Erba, 1923] durante i suoi saggi sperimentali per i diversi tipi
di tufo ha riscontrato un elevato range di variazione, passando da 1.26 N/mm2 fino a 12.1
N/mm2. Tale intervallo si riduce nel caso in cui si considera il tipo di tufo utilizzato
generalmente nei secoli passati per le costruzioni (tufo fine comune) per il quale la
resistenza varia tra 2.64 N/mm2 a 4.78 N/mm2. Valori della resistenza a compressione
analoghi sono stati trovati anche da altri studi condotti sul tufo: Ceroni et al. [Ceroni et al.,
2004] riscontrano una resistenza a compressione pari a 3.72 N/mm2 e 3.28 N/mm2 su
cubetti (di lato 7 cm) provenienti da conci di tufo odierni e da un’apparecchiatura muraria
demolita; mentre Calderoni [Calderoni, 1996] rileva su mattoncini di dimensioni 2.5x2.5x4
cm una tensione pari a 3.14 N/mm2 nell’altra direzione.
Per il confezionamento dei provini di malta è stata seguita la norma UNI EN 101511, che fissa le dimensioni dei provini in 40x40x160 mm e in tre il loro numero minimo.
Sono stati realizzati cinque provini (MB3, MB4, MB5, MB6, MB7) sottoposti dapprima a
prove a flessione e poi a compressione, effettuate sui due monconi ottenute dalla prova a
flessione.
Come si nota dalla tabella riassuntiva dei risultati [Tab.3.2], nonostante valori
apprezzabilmente diversi di resistenza a flessione, le resistenze a compressione presentano
una certa omogeneità. La suddetta circostanza è da riferire all’influenza sulla resistenza a
flessione di fattori esterni come la fessurazione da ritiro, ininfluenti sul comportamento a
compressione. Infatti, i provini maggiormente fessurati presentano una bassa resistenza a
flessione, pur restituendo a compressione risultati analoghi agli altri campioni. La
resistenza a compressione della malta utilizzata è pari in media a 1.51 N/mm2.
Provino
Fmax
(N)
σf
(N /mm 2 )
σt
(N /mm 2 )
Nmax
(N)
σmax
(N /mm 2 )
MB3
240
0.60
0.48
2400
1.50
MB4
110
0.27
0.22
2200
1.38
MB5
180
0.4 .5
0.36
2400
1.50
MB6
210
0.5 .2
0.42
2650
1.66
MB7
180
0.4 .5
0.36
2400
1.50
T ab . 3 . 2 : Ca r a t t er i s t ich e me c c an iche d e l la ma l ta M B
47
Su altri due campioni (MB1, MB2) di dimensioni 40x40x90 mm, sono state eseguite
anche prova a compressione a deformazione controllatata, con la stessa attrezzatura
utilizzata per le prove sui cubetti di tufo.
Il primo fenomeno osservato durante la prova è stato l’incremento dell’ampiezza
delle fessure presenti a causa del ritiro; successivamente si è registrata una fessurazione
diffusa in tutta la massa del provino, che appariva, al termine della prova, quasi sgretolato.
Nelle prove in discorso non sembra aver giocato un ruolo significativo il fenomeno, tipico
delle prove a compressione, del confinamento, causato dalle piastre di appoggio.
7
σ (N/mm 2 )
6
5
4
3
MB1
MB2
2
1
ε
0
0,0%
0,5%
1,0%
1,5%
2,0%
2,5%
3,0%
3,5%
4,0%
4,5%
5,0%
F ig . 3.9 : D ia gra mmi σ −ε p er i provin i d i ma lta MB
Il diagramma σ–ε è costituito da un tratto crescente inizialmente lineare che
presenta un abbattimento graduale della rigidezza fino al raggiungimento di un valore
massimo, superato il quale si ha un tratto decrescente lineare con una pendenza quasi nulla.
Da quanto precede si deduce il notevole contributo, in termini di capacità deformativa
complessiva della muratura, fornito dalla malta di calce.
Dai diagrammi riportati in Fig. 3.9 emerge un ottimo comportamento deformativo
del materiale, che assume elevate deformazioni con capacità portanti ancora rilevanti. Si
registra una tensione massima media di 1.85 N/mm2 per una deformazione corrispondente
di circa il 2.2%, ed un modulo elastico molto basso. Per una deformazione del 4% il
48
provino vanta una resistenza pari alla metà di quella massima. In definitiva la resistenza a
compressione media per la malta MB (valutata su tutti i campioni provati) è stata di 1.57
N/mm2 [Tab. 3.4].
Sui provini di malta del tipo MC sono state realizzate cinque prove a flessione e a
compressione, la prima su un cubo (MC1) di lato 150 mm, le rimanenti su cubi (MC2,
MC3, MC4, MC5) di lato70 mm.
MC1
σmax
(N /mm 2 )
4,31
MC2
0.0077
σu
(N /mm 2 )
1.34
0.0504
3.71
0.0110
1.42
0.0393
MC3
3.54
0.0205
2.20
0.0453
MC4
3.34
0.0107
0.78
0.0440
MC5
3.92
0.0119
1.51
0.0454
Provino
εp
εu
T ab . 3 . 3 : Ca r a t t er i s t ich e me c c an iche d e l la ma l ta d i t ip o MC
7
σ (N/mm 2 )
6
5
MC1
MC5
MC2
4
MC4
MC3
3
2
1
ε
0
0,0%
0,5%
1,0%
1,5%
2,0%
2,5%
3,0%
3,5%
4,0%
4,5%
5,0%
Fig. 3.10: Diagrammi σ−ε per i provini di malta MC
L'affinità tra il legante di calce aerea ed il materiale minuto aggregato, costituito da pomice
e taglime di tufo, e la diversificazione granulometrica di questi ultimi conferiscono alla
malta ottime caratteristiche meccaniche. Infatti, prima del raggiungimento del carico
massimo si sono riscontrate solo microlesioni, né si sono manifestate espulsioni
49
improvvise di materiale. Il tipo di rottura registrato è molto simile a quello dei provini di
tufo: anche in questo caso le tensioni tangenziali che nascono tra le piastre ed i cubetti
inducono lesioni diagonali che portano ad una rottura bipiramidale.
Dall’analisi dei risultati ottenuti emerge l'omogeneità di comportamento dei provini
di 70 mm, sia in relazione al valore della tensione massima che per quello della
deformazione corrispondente al carico massimo: ne consegue un modulo elastico molto
simile per i quattro provini analizzati.
Il diagramma σ–ε [Fig. 3.10] è caratterizzato da un tratto crescente quasi lineare, che
diventa non lineare, anche per questo materiale, poco prima del raggiungimento del carico
massimo, seguito da un tratto decrescente molto “dolce” che si può suddividere in quasi
tutti i casi in tre tratti: il primo e il terzo pressappoco lineari, quello intermedio con
andamento curvilineo e caratterizzato da una maggiore pendenza rispetto agli altri.
Dopo aver raggiunto la tensione massima, la capacità portante diminuisce molto
lentamente: al 3 % di deformazione, i provini MC2, MC3 e MC5 vantano una resistenza
residua superiore a metà di quella massima.
Il comportamento del provino MC1, di lato 150 mm, è stato anche migliore, con
deformabilità minore e resistenza maggiore (4.31 N/mm2), ma con uguale capacità
deformativa post elastica. Ciò è dovuto probabilmente alle dimensioni maggiori di questo
provino in relazione al diametro degli inerti.
In Tab.3.4 sono riportati in sintesi le caratteristiche meccaniche medie riscontrate per
i vari materiali adottati per il confezionamento.
Provino
σ m a x (N/mm2)
εp
ε(σmax/2
Tufo dei Vergini
4.30
0.84%
2.38%
Tufo di Aversa
3.49
0.51%
3.31%
Malta MB
1.57
2.29%
5.00%
Malta MC
3.76
1.24%
3.86%
)
Tab.3 .4 : Proprietà me ccan ich e del tufo e d e lla ma lta
3.4 La muratura
Sui campioni murari in scala reale (C1, C2, B1, B2, S1, S2) sono state effettuate
prove di compressione semplice utilizzando una pressa oleodinamica da 3000 kN in
50
controllo di spostamento. Per evitare eccentricità di carico ed ottenere una distribuzione
uniforme di tensioni sulla muratura sono state posizionate tra il provino e la testa
dell’attuatore una traversa d’acciaio molto rigida ed una cerniera sferica. Il perfetto
contatto tra il provino e la superficie inferiore è stato poi garantito mediante il getto di uno
strato di malta autolivellante a ritiro compensato [Fig.3.11].
Per monitorare gli spostamenti sono stati installati sei (tre per paramento)
trasduttori di spostamento di tipo induttivo, nonché, per i provini B1, B2, S1, S2, due
potenziometri a filo fissati alla traversa superiore mobile ed al banco di prova fisso sul
quale si poggia il campione murario.
F ig .3.11 : Sch e ma d e ll’app are c ch ia tur a d i p rova
Tutte le prove sono state caratterizzate dall’insorgere delle prime lesioni subverticali solo al raggiungimento della tensione di picco. All’incrementarsi della
deformazione, poi, sono comparse anche lesioni diagonali trasversali (nello spessore del
muro).
Queste lesioni hanno causato il distacco, più o meno evidente, dei paramenti
esterni, tanto che l’intero carico verticale è rimasto quindi sostenuto solo dal nucleo
interno.
In generale nessuna significativa separazione si è evidenziata tra le pietre di tufo e
la malta (soprattutto per la tipologia “a cantieri”), testimoniando una sostanziale
omogeneità del materiale muratura così realizzato.
La prova è consistita in una prima fase a controllo di carico avente lo scopo di
imprimere una tensione iniziale di assestamento pari a 0,1 N/mm2, con successivo scarico,
e da una seconda fase a controllo di spostamento, caratterizzata da abbassamenti di 0.1
mm, con una velocità di applicazione del carico di 0.05 mm/s e soste di 10 secondi.
I risultati ottenuti dalle prove sono riportati in Tab3.2, dove sono anche indicate,
51
per ciascun provino, la tipologia, le dimensioni ed i componenti della muratura.
I risultati ottenuti hanno evidenziato
resistenze massime variabili tra 2.55 N/mm2 (B1)
e
4.34
N/mm2
(C2),
con
deformazioni
corrispondenti variabili tra 0.35% (S1) e 0.88%
(C1). Come deformazione ultima (εu) sono stati
ottenuti valori tra 3.20% (S2) e 4.90% (B1). Si
noti che per deformazione ultima si è intesa
quella corrispondente alla rottura definitiva del
campione,
ovvero
quella
relativa
ad
una
resistenza residua pari al 20% di quella di picco
nel caso in cui la rottura sia avvenuta per un
valore di resistenza inferiore. Nella tabella è
comunque riportata anche la deformazione
(ε(σmax/2)) relativa ad una resistenza (misurata sul
ramo decrescente) del 50% della massima
F ig .3 12 : App arr ec ch ia tur a d i p rova
Provino
Tipologia
raggiunta.
Dimensioni
(cm)
Componenti
L
Tufo
t
H
σmax
(N/mm2)
εp
3.60
0.88%
2.40%
1.60%
Cantieri
125 67
90
C2
Cantieri
120 65
95
4.34
0.49%
B1
Bozzette
100 55
82
2.85
0.49%
B2
Bozzette
100 55
86
3.32
0.55%
Blocchetti 133 42
91
2.55
0.35%
2.74
0.61%
Vergini
S1
Aversa
S2
Blocchetti 120 42
88
max/2)
σu
(N/mm2)
εu
Ec0
(N/mm2)
Malta
C1
Vergini
ε(
MC
MB
0.72
4.00%
(0.2 σmax)
746
1.32
4.60%
(0.3 σmax)
1.36
3.10% (0.45σ ) 4.90%
max
)
0.66
3.10%
1.78%
(0.2 σmax)
1252
1.26%
0.51
3.20%
(0.2 σmax)
923
1.69%
0.54
2.80%
(0.2 σmax)
743
MB
1183
1067
Tab.3 .5 : Car a tter is tiche d e i camp ion i prov ati e r isu ltati otte nu ti
Per tutte le tipologie murarie analizzate si è riscontrata una resistenza massima
decisamente superiore a quella registrata per i provini in scala ridotta ed una perdita di
52
capacità portante molto più lenta, dato che si raggiungono deformazioni ultime pari a circa
sette volte la deformazione corrispondente al carico massimo.
Le curve σ-ε ottenute sperimentalmente presentano un primo tratto elastico lineare,
che inizia a diventare non lineare poco prima del raggiungimento della tensione massima.
Al di là del picco di resistenza il diagramma è caratterizzato da un tratto
decrescente (softening) che continua fino alla rottura, anche se con pendenza in genere
decrescente.
Le deformazioni notevoli (se si considera che sono riferite ad un materiale fragile
come la muratura) raggiunte al collasso dimostrano una inaspettata significativa capacità
“plastica” del materiale.
Per meglio approfondire il comportamento meccanico mostrato da macromodelli
durante le prove, si riporta di seguito per ogni cronotipologia una descrizione accurata dei
meccanismi di rottura, seguiti da due schede (una per ogni prova). In ognuna di esse è
riportato:
-
lo schema dell’apparecchiatura di prova in pianta, con indicate le posizioni
dei trasduttori, l’area di carico e l’area del provino
-
il diagramma σ-ε
-
l’evoluzione dello stato fessurativo sui vari lati ai differenti step di
deformazione.
53
Provini a cantieri
I provini a cantieri (C1, C2) hanno manifestato inizialmente microlesioni, sia nel tufo che
nella malta, per valori del carico prossimi a quello massimo.
Le prime fessure, con andamento subverticale, sono comparse nella parte superiore
del provino, in corrispondenza dell’estremità della superficie di carico, per differenze
localizzate di sforzi, dovute alla maggiore area di base del provino rispetto a quella della
traversa.
Per il campione C1, a causa della sua maggiore sporgenza rispetto al filo della
traversa, si è avuta una più accentuata estensione e apertura delle fessure sino al completo
distacco dei paramenti, che, di conseguenza, hanno subito limitate lesioni per
schiacciamento, a differenza del nucleo, che è risultato particolarmente danneggiato
[Scheda 3.1].
Nel provino C2 in corrispondenza dei paramenti esterni si è avuto il distacco di
lamelle di tufo e malta; associato al crescere delle deformazioni alla loro fessurazione,
evidenziando la diffusione degli sforzi esternamente all’area di carico, essendo il provino
solo leggermente più grande della traversa. [Scheda 3.2].
In entrambe i casi, lo strato di malta autolivellante solidale con la traversa di carico,
più rigido e con un’impronta planimetrica più piccola rispetto alla faccia superiore del
provino, ha provocato un effetto cuneo su quest'ultimo. Successivamente le lesioni si sono
estese senza differenze tra il tufo e la malta, proseguendo dagli spigoli esterni della base
alla parte centrale interna, con andamento obliquo. A rottura avvenuta i campioni hanno
assunto una forma bipiramidale, tipica dei provini in materiale omogeneo, evidenziando
una buona affinità di comportamento meccanico da parte dei materiali costituenti.
Considerando la media dei valori registrati per C1 e C2 il carico massimo è pari a 3.9
N/mm2 in corrispondenza di una deformazione di 0.7%, con una deformazione ultima
media del 4.3%.
Per il provino C2, l'omogenea distribuzione delle fessurazioni e la posizione assunta
dalla traversa consentono di dedurre che il carico ha agito simmetricamente. Per il muro
C1, durante la prova si è riscontrata una rotazione della traversa, che ha determinato un più
evidente danneggiamento del lato C-B, lasciando quasi indisturbata la sezione residua.
Tale comportamento è da imputare ad un eccentricità di carico o di deformazione, che ha
influenzato la prova, comportando probabilmente una tensione di picco più bassa ed un
maggiore degrado delle capacità portanti per elevate deformazioni.
54
Dai diagrammi della tipologia a cantieri [Schede 3.1, 3.2] emerge che il provino C1 è
caratterizzato da una tensione di picco più bassa del provino C2, ma da un andamento più
dolce intorno alla tensione massima. Al contrario, il diagramma del provino C2 presenta un
valore della resistenza massima più alta, seguito da un breve tratto caratterizzato da
un’elevata pendenza. Successivamente il ramo decrescente curva rapidamente per
continuare con un tratto poco inclinato sino a deformazioni significative, uniformandosi al
comportamento del provino C1. Per entrambi i provini si riscontra una deformazione
ultima molto pronunciata ed una notevole capacità di portare i carichi per deformazioni
estese. A fine prova e durante la demolizione del macromodello si è avuta ulteriore
conferma del comportamento omogeneo del provino, non avendo evidenziato nessun piano
di rottura preferenziale tra malta e tufo. Infatti la scabrezza e la non regolarità del materiale
lapideo, unita alla presenza di inerti grossi nella malta ed alla buona affinità tra i due
materiali da luogo alla formazione di un materiale omogeneo, così come mostrato in
Fig.3.13.
F ig .3 13 : De mo liz ion e d e l prov ino “ a c an ie r i” : p ar te in terna
55
Provino a cantieri – C1
5
σ (N/mm 2 )
4
3
2
1
ε
0
0.0% 0.5% 1.0% 1.5% 2.0% 2.5% 3.0% 3.5% 4.0% 4.5% 5.0%
Foto 1 –Lato C, ε = 0.0137
Foto 2 –Lato A, ε = 0.0154
Foto 3 –Lato D, ε = 0.0218
Foto 4 – Lato A, ε = 0.0224
Foto 5 – Lato C, ε = 0.0363
Foto 6 – Lato B, demolizione
Scheda 3.1
56
Provino a cantieri – C2
5
σ (N/mm 2 )
4
3
2
1
ε
0
0.0% 0.5% 1.0% 1.5% 2.0% 2.5% 3.0% 3.5% 4.0% 4.5% 5.0%
Foto 1 –Lato A, ε = 1.37%
Foto 2 –Lato A, ε = 1.40%
Foto 3 –Lato D, ε = 1.53%
Foto 4 –Lato B, ε = 1.74%
Foto 5 –Lato D, ε = 4.50%
Foto 6 –Lato B, demolizione
Scheda 3.2
57
Tipologia a “filari di bozzette”
I pannelli di muratura realizzati con filari di bozzette (B1, B2), con base di carico
minore della traversa, non hanno manifestato lesioni significative sino a valori elevati del
carico, prossimi a quelli massimi. Le prime fessure si sono verificate nelle zone centrali dei
paramenti e sono caratterizzate da un andamento verticale, dovuto probabilmente
all’effetto di confinamento esercitato dalle superfici di appoggio. Nel seguito della prova,
si sono manifestati fenomeni fessurativi di tipo superficiale, con lesioni parallele ai
paramenti esterni, che hanno provocato il distacco di lamelle di tufo e malta.
All’aumento delle deformazioni si associa la formazione di fessure verticali, tipiche
dei meccanismi di schiacciamento, concentrate nella parte alta e in quella bassa del provino
e nelle zone d’angolo, che provocano il distacco di schegge di tufo. Successivamente si
notano lesioni leggermente inclinate che partono dalle basi dei paramenti e proseguono
verso l’interno dell’elemento murario, tipico meccanismo di rottura di un materiale
omogeneo non resistente a trazione. Col proseguire della prova, si accentuano
maggiormente le fessure lungo le diagonali, particolarmente visibili sui lati corti.
Infine, la malta autolivellante, molto più rigida della compagine muraria sottostante,
sprofonda all'interno di questa, provocando il distacco e il successivo crollo di grossi pezzi
di tufo, riducendo la sezione trasversale del provino ad un terzo circa di quella primitiva.
Anche dopo la rottura la malta integra aderisce strettamente al pietrame.
Per il provino B1 non si sono determinate eccentricità di carico, con conseguente
distribuzione uniforme degli sforzi [Scheda 3.3]. Per quello B2 si è notata sui lati corti una
lesione diagonale più accentuata, che evidenzia un meccanismo di scorrimento lungo il
piano diagonale che congiunge lo spigolo in alto sul paramento C a quello in basso sul
paramento A, provocando anche una leggera rotazione della traversa; ciò comporta in fase
anelastica una minore area di carico e quindi un più rapido decadimento della resistenza
della muratura [Scheda 3.4].
Considerando la media dei valori di B1 e B2 si ha che la tensione massima di
compressione è di 3.08 N/mm2, cui corrisponde una deformazione dello 0.32%, con una
deformazione ultima del 4%.
I relativi diagrammi [Schede 3.3, 3.4] evidenziano che il provino B1 ha il flesso
subito dopo la tensione di picco ed una fase decrescente molto lenta; infatti, con
deformazioni superiori al 4.5% mostra una capacità portante pari ai 2/3 del carico
massimo. Questo tratto quasi orizzontale potrebbe essere dovuto ad un meccanismo
58
resistente formatosi a seguito della messa in forza, da parte del campione, del profilato
metallico. Al contrario, il provino B2 ha una fase decrescente più ripida, che, dopo la
presenza di un flesso, rallenta, tendendo ad annullare il carico.
59
Provino a filari di bozzette – B1
5
σ (N/mm 2 )
4
3
2
1
ε
0
0.0% 0.5% 1.0% 1.5% 2.0% 2.5% 3.0% 3.5% 4.0% 4.5% 5.0%
Foto 1 – Lato D, ε=1.60%
Foto 2 – Lato B; ε =1.60%)
Foto 3 – Lato A , ε =1.76%
Foto 4 – Lato D, ε =2.53%
Foto 5 – Lato C, B, ε =2.54%
Foto 6 – Lato D, demolizione
Scheda 3.3
60
Provino a filari di bozzette – B2
5
σ (N/mm 2 )
4
3
2
1
ε
0
0.0% 0.5% 1.0% 1.5% 2.0% 2.5% 3.0% 3.5% 4.0% 4.5% 5.0%
Foto 1 – Lato D, ε =1.69%
Foto 2 – Lato C, ε = 2.00%
Foto 3 – Lato B, ε = 2.24%
Foto 4 – Lato D, ε = 2.50%
Foto 5 – Lato A, ε = 2.67%
Foto 6 – Lato B, Demolizione
Scheda 3.4
61
Tipologia "a filari di blocchetti"
I provini "a blocchetti" (S1, S2) sono caratterizzati da una lunghezza maggiore
rispetto a quella della traversa, in particolar modo S1. Non si sono avute lesioni prima del
raggiungimento del carico massimo, successivamente si è notato un fenomeno fessurativo
localizzato sul bordo dei paramenti, in corrispondenza delle zone di contatto della traversa
di carico con il campione murario, dovute ad una concentrazione locale di sforzi sulla
superficie superiore. Di conseguenza, all’aumentare delle deformazioni, i tratti estremi del
campione non sono più caricati e tendono a distaccarsi progressivamente dal resto del
provino.
Per l’allestimento dei provini a blocchetti i conci che creano connessione tra i
paramenti esterni e il nucleo centrale sono disposti lateralmente, per cui l’elevata
sporgenza del provino S1 rispetto alla traversa di carico ha diminuito ulteriormente
l’efficienza di tali elementi di ingranamento trasversale, comunque quasi del tutto assenti
nella pratica costruttiva partenopea del XIX secolo e della prima metà del XX.
Infatti, la rottura del provino S1 è caratterizzata da lesioni principali localizzate nelle
giunzioni tra il nucleo centrale ed i paramenti esterni, i quali, dopo il raggiungimento della
tensione di picco, si sono instabilizzati, perdendo velocemente il carico portato e
determinando il punto di cuspide visibile nel diagramma [Scheda 3.5].
Il provino S2, in virtù della maggiore efficienza degli elementi trasversali dovuta alla
minore sporgenza del campione rispetto alla traversa di carico, ha avuto un tipo di rottura
simile ai provini a cantieri e a bozzette, con una sconnessione tra i paramenti più lenta.
Rispetto ad S1, per S2 si ha un valore maggiore della tensione ultima, un vertice meno
acuto intorno alla tensione massima ed una minore velocità di decadimento della capacità
portante [Scheda 3.6].
Per il provino S2 si è avuta una leggera rotazione della traversa rispetto al paramento
C, comportando una leggera eccentricità di carico.
Dai diagrammi relativi [Schede 3.5, 3.6] si evince una perdita di carico più veloce
rispetto ai campioni delle altre tipologie; il ramo decrescente del diagramma si estende fino
a valori della deformazione prossimi al 3% ma associati a valori di tensione abbastanza
modesti. La media delle tensioni massime è pari a 2.64 N/mm2 per una deformazione
corrispondente dello 0,38% ed una deformazione ultima del 3.5%.
62
Provino a filari di blocchetti – S1
5
σ (N/mm 2 )
4
3
2
1
ε
0
0.0% 0.5% 1.0% 1.5% 2.0% 2.5% 3.0% 3.5% 4.0% 4.5% 5.0%
Foto 1 – Lato B, ε = 0.54%
Foto 1 – Lato C, ε= 1.69%
Foto 1 – Lato A, ε = 1.44%
Foto 1 – Lato A, ε = 2.19%
Foto 1 – Lato C, ε =2.47%
Foto 1 – Lato B, Demolizione
Scheda 3.5
63
Provino a filari di blocchetti – s2
5
σ (N/mm 2 )
4
3
2
1
ε
0
0.0% 0.5% 1.0% 1.5% 2.0% 2.5% 3.0% 3.5% 4.0% 4.5% 5.0%
Foto 1 – Lato A, ε =1.09%
Foto 2 – Lato A, ε = 1.16%
Foto 3 – Lato B-A, ε = 2.12%
Foto 4 – Lato C, ε = 2.62%
Foto 5 – Lato D, ε = 2.89%
Foto 6 – Lato B, demolizione
Scheda 3.6
64
Legame σ-ε
Sulla base delle curve sperimentali σ−ε  ottenute dalle prove a compressione semplice a
deformazione guidata, si è proceduto, in funzione di alcuni parametri caratteristici di tipo
meccanico, alla formulazione analitica del legame costituitivo della muratura, che
approssimi adeguatamente il comportamento registrato sperimentalmente.
Si è considerata l’espressione indicata da EC2 per il calcestruzzo (modello di
Sargin), ricavata sperimentalmente.:
⎡ ( K ⋅η − η 2 ) ⎤
⎥ ⋅ σ max
σ =⎢
⎢⎣ ⎡⎣1 + ( K − 2 ) ⋅η ⎤⎦ ⎥⎦
[1]
dove:
K = 1,8 ⋅
Eo ⋅ ε p
σ max
and η =
ε
εp
con:

Ec
modulo secante all’origine;
σmax
tensione di picco;
εp
deformazione corrispondente alla tensione di picco;
In questo caso per descrivere meglio la curva sperimentale si è adottata una diversa
espressione di K ottenuta attraverso una regressione lineare dei parametri registrati
sperimentalmente.
La relazione [1] descrive bene i rami crescenti (lineare e non lineare) del diagramma
σ-ε ed anche quello decrescente fino alla deformazione ε =1.4 εp (η=1.4), dove si ha una
significativa riduzione della sua pendenza, indicando il rallentamento della perdita di
resistenza ad elevate deformazioni. Tale effetto è ben descritto da una curva di tipo
logaritmico, per cui, per il ramo di softening, per valori di η>1.4, si propone la seguente
espressione:
σ = σ max ⎡⎣ a ⋅ ln (η ) + b ⎤⎦
[2]
65
a=
⎤
1 ⎡ σu −σs
⎢
⎥
σ max ⎣ lnηu − ln ( 1,4 ) ⎦
dove: ηu =
b=
[3]
εu
εp
σs
− a ⋅ ln ( 1,4 )
σ max
[4]
con:
σs
tensione fornita da [1] in corrispondenza di η = 1.4
σu
tensione corrispondente alla deformazione ultima, pari almeno al 20% di
σmax
εu
deformazione ultima.
In Figg.3.14-3.16, per ogni tipologia muraria analizzata, i diagrammi sperimentali σ-
ε sono confrontati con quelli teorici, ottenuti applicando le formule [1] e [2]. Può essere
notata una buona corrispondenza, mostrando la correttezza della formulazione adottata.
7
σ ( N/mm 2 )
6
Diagramma sperimentale
5
Diagramma teorico
4
3
2
1
ε
0
0.0% 0.5% 1.0% 1.5% 2.0% 2.5% 3.0% 3.5% 4.0% 4.5% 5.0%
Fig .3.14 : Confron to tra le curv e sper imen ta li e qu elle teo r ic he per i prov in i “a cantier i”
66
7
σ ( N/mm 2 )
6
Diagramma sperimentale
5
Diagramma teorico
4
3
2
1
ε
0
0.0% 0.5% 1.0% 1.5% 2.0% 2.5% 3.0% 3.5% 4.0% 4.5% 5.0%
Fig .3.15 : Confron to tra le curv e sperimen ta li e qu elle teo r ic he per i prov in i“a bozzette”
7
σ ( N/mm 2 )
6
Diagramma sperimentale
5
Diagramma teorico
4
3
2
1
ε
0
0.0% 0.5% 1.0% 1.5% 2.0% 2.5% 3.0% 3.5% 4.0% 4.5% 5.0%
Fig .3.16 : Confron to
b lo cch e tti” .
tr a
le
curv e
sper imen tali equelle
teor ich e per
i prov in i “ a
3.5 Risultati sperimentali e valori di normativa
Se si considerano i valori sperimentali del modulo elastico secante [Tab. 3.5], ottenuto
dalla curva σ-ε in corrispondenza di 1/3 della σmax si ha che i valori riscontrati sono
67
inferiori rispetto a quelli che si otterrebbero applicando le indicazioni dell’EC6 e del
D.M.’87, che propongono il valore E=1000 fk , anche se si pone fk = σmax. I valori
sperimentali, infatti, variano tra 240 σmax e 380 σmax, risultando invece in buon accordo con
le indicazioni riportate in letteratura, che suggeriscono di adottare E=300÷500fk [Carbone
et al., 2001].
Tipologia
fm (sper)
2
fm(med)
2
fm(max)
2
Eco (sper)
Eco (Tab.11D1)
2
N/mm
N/mm
N/mm
N/mm
N/mm2
Cantieri
3.97
2.25
2.70
964 (357)
1620 (600)
Bozzette
3.08
1.50
1.80
1159(644)
1080 (600)
Blocchetti
2.64
1.00
1.20
843(702)
1080 (900)
Tab. 6.6: Confronto tra caratteristiche meccaniche sperimentali e quelle fornite dall’ordinanza
Inoltre per ogni tipologia sia i valori della resistenza che del modulo elastico sono
stati confrontati con quelli forniti dall’ordinanza nella Tab. 11D1 per una muratura a conci
di pietra tenera, tenendo conto della presenza di elementi trasversali di collegamento e del
tipo di malta a seconda delle tipologie analizzate. Tali valori saranno diversi in funzione
del livello di conoscenza raggiunto e del numero di prove realizzato. Nella tabella sono
riportati nella seconda colonna i valori della resistenza medi, nella terza quelli che si
dovrebbero utilizzare per un’eventuale analisi di vulnerabilità sismica dato un livello di
conoscenza di tipo LC3 ed avendo condotto due prove. Infine è stato riportato il modulo
elastico calcolato sia come media delle prove che come valore medio degli estremi
dell’intervallo fornito dalla tabella della normativa. Questi due valori possono essere
utilizzati indifferentemente nei casi in cui il livello di conoscenza sia pari ad LC3 e
qualsiasi sia il numero di prove a disposizione. Dalla tabella si può notare come i valori
ottenuti sperimentalmente per le resistenza a compressione siano sensibilmente più elevati
di quelli forniti dall’ordinanza, mentre i moduli elastici non forniti più come rapporto con
la resistenza caratteristica del materiale, sono molto prossimi a quelli ottenuti
sperimentalmente.
Con riferimento alla resistenza a compressione ottenuta dalle prove, può essere
interessante analizzare le prescrizioni fornite dalle norme in relazione alla determinazione
di tale resistenza delle murature. Come è noto, esistono in letteratura una serie di
correlazioni su base teorico-sperimentale che permettono di risalire alla resistenza della
muratura realizzata con blocchi o pietre squadrate a partire da quelle della malta e delle
68
pietre che la compongono. Su alcune di tali relazioni si basano le indicazioni riportate nel
D.M. 20/11/1987 e dell’EC6. Queste espressioni sono state adottate per le tre tipologie
storiche analizzate, per valutare se la forma dei conci e la tessitura irregolare influenzino
negativamente le proprietà meccaniche delle murature tradizionali.
Il D.M.’87 permette di ricavare la resistenza caratteristica della muratura (fk),
interpolando i valori riportati in una tabella, ottenuti in funzione dei differenti valori di
resistenza caratteristica delle pietre (fbk) e di quattro tipi di malta, caratterizzati da una
determinata composizione, indicata in normativa o da valori minimi di resistenza media a
compressione.
La resistenza a compressione caratteristica delle pietre naturali deve essere
calcolata come:
f bk = 0.75 ⋅ f bm
dove fbm rappresenta la resistenza media a compressione degli elementi.
Successivamente si calcola la resistenza caratteristica della muratura, considerando i
valori ottenuti dalle prove sulla muratura, usando la seguente formula:
f k = f bm − K ⋅ s
dove K è un coefficiente tabellato, funzione del numero di provini, fissato non inferiore a
6, ed s è lo scarto quadratico medio. In questa sperimentazione si sono analizzati solo due
provini, per cui K=2.33, corrispondente a 6 provini, è stato incrementato del 20%, per
evitare sovrastime a causa del numero limitato di muri analizzati.
Per la muratura a bozzette ed a sacco non è stato possibile eseguire il confronto
secondo il D.M.’87 in quanto la malta utilizzata per tali provini non è classificabile tra
quelle indicate; mentre per il provino a cantieri si è considerata la malta di tipo M4.
L’EC6 propone di calcolare la resistenza caratteristica della muratura a partire da
quella degli elementi, attraverso la seguente formula, valida per murature con malta
ordinaria:
f k = k ⋅ fb 0,7 ⋅ f m 0,3
dove fb è la media delle resistenze dei conci, fm è la media delle resistenze della malta,
mentre k, tabellato in funzione delle caratteristiche degli elementi e della muratura, è stato
assunto pari a 0.45, relativo alle murature costituite con pietra naturale. Secondo normativa
questo coefficiente deve essere moltiplicato per 0.8 per tenere conto della presenza di
giunti verticali paralleli alla faccia della parete muraria.
69
Per calcolare la resistenza caratteristica della muratura, l’EC6 fa riferimento alla
norma UNI-EN 1052-1 sui metodi di prova per la determinazione della resistenza a
compressione della muratura. Come resistenza caratteristica a compressione si deve
considerare il minore tra i valori che si ottengono con le seguenti espressioni:
fk =
f
1.2
f k = f i ,min
dove f è la media delle resistenze a compressione ottenute dalle prove sui singoli provini
murari.
La norma UNI-EN 1052-1 specifica che bisogna analizzare almeno tre provini per
valutare la resistenza a compressione. In questo caso, essendo stati provati solo due
elementi, si è deciso di ridurre la resistenza caratteristica ottenuta sperimentalmente del
10% per tener conto di eventuali sovrastime.
Le dimensioni dei provini non possono rispettare le indicazioni del D.M.’87 e
dell’EC6, essendo determinate in funzione delle caratteristiche geometriche della tipologia
da riprodurre. In particolare, la snellezza dei provini confezionati è più bassa rispetto a
quella indicata dal D.M.’87, variabile tra 2.4 e 5, e dall’EN 1052-1, compresa tra 3 e 15.
Per ovviare ad eventuali sovrastime, comunque limitate, i valori ottenuti per le murature
sperimentate sono stati ridotti di un ulteriore 5%.
Dal confronto tra la resistenza media sperimentale e il valore teorico, ottenuti
seguendo le indicazioni delle normative, emerge che la resistenza delle murature storiche è
maggiore di quella che si otterrebbe dalla muratura in pietra squadrata se fosse realizzata
con gli stessi elementi, evidenziando per l’EC6 uno scarto pari quasi al 50%.
Mur a tura
Re s itenz a a c o mpr es s ion e me d ia (f m ) (N / mm 2 )
V a lor i n o r m a t i v i
V a lor i
s p e r i me n t a li
D M ‘87
E C6
Cantieri
3.97
2.9
2.1
Bozzette
3.09
–
1.6
–
1.4
Blocchetti
2.65
Tab. 6.7: Resistenza muratura sperimentale e normativa
Se si applicano tali indicazioni ai casi analizzati risulterebbero valori di resistenza
media delle murature provate significativamente più basse di quelle ottenute
70
sperimentalmente [Tab. 6.7]. Ciò significa che le relazioni fornite dalle norme si possono
utilizzare per tipologie ben definite di murature “moderne” ed in fase di progetto, mentre
non sono applicabili tout-court a murature storiche di tufo di differenti fatture, in
particolare assemblate con malta di calce di limitata resistenza, per le quali fornirebbero
valori troppo cautelativi e quindi non adatti ad un consapevole ed efficace progetto di
restauro statico di strutture esistenti.
3.6 Discussione dei risultati
Nelle Schede 3.1, 3.2, 3.3, 3.4, 3.5, 3.6 per ciascuna tipologia di muratura provata sono
riportati il diagramma σ−ε sperimentale ed alcune immagini del muro durante la prova.
Come si può notare, le tre tipologie di muratura analizzate hanno mostrato un
comportamento simile, anche se con valori differenti di resistenza massima e deformazione
ultima. Il valore medio della tensione di picco per la muratura a cantieri è stata di 3.97
N/mm2, per quella a bozzette di 3.09 N/mm2 mentre, per quella “a sacco” di 2.65 N/mm2.
Le differenze nella resistenza e nella deformabilità non dipendono solo dalle
caratteristiche meccaniche della malta e delle pietre di tufo utilizzate, ma anche dalla
tessitura corrispondente alla specifica tipologia muraria e, quindi, dalla maggiore o minore
presenza di elementi di cucitura trasversale.
Le prove a deformazione guidata eseguite sul tufo, sulla malta e sulla muratura
offrono la possibilità di confrontare sia i valori ottenuti in termini di resistenza che le
caratteristiche di deformabilità. Tenendo conto dei diversi tipi di tufo e malta utilizzati per
le tipologie murarie analizzate si sono sovrapposti i vari diagrammi σ-ε medi, per
analizzare come il legame σ-ε della muratura è influenzato da quello degli elementi
costitutivi.
Si è scelto di considerare per le murature il diagramma teorico ottenuto con i
parametri medi (fco, εmo, fcu, εu) ricavati sperimentalmente per ogni tipologia muraria,
mentre per il tufo e la malta si sono adoperati i diagrammi sperimentali medi. Per la
costruzione della curva σ-ε della malta non si è considerato il provino MC1, che aveva
dimensioni diverse dagli altri.
71
Per tutti i provini analizzati, si ha inizialmente che la curva σ-ε della muratura
coincide con quella del tufo; successivamente si pone in una fascia di comportamento
intermedia tra la malta e il tufo ed infine il ramo softening scende al di sotto del
diagramma della malta.In ogni caso, come atteso, la resistenza di picco della muratura è
più bassa di quella delle pietre ma più alta di quella della malta, anche se più vicina a
quella delle pietre [vedi anche Tab. 6.4 e 6.5].
In particolare, quindi, la resistenza a compressione della muratura “a cantieri” è
maggiore di quella a bozzette e di quella a blocchetti, dato che essa è costituita da pietre di
tufo e da malta aventi le caratteristiche meccaniche migliori. Per la muratura con filari di
bozzette la diminuzione di resistenza è data dall’utilizzo di una malta caratterizzata da una
tensione di picco inferiore alla metà di quella del conglomerato utilizzato per il provino a
cantieri e dalla sua abbondanza nel nucleo. La tensione massima raggiungibile dalla
muratura è influenzata soprattutto da quella dei conci di tufo e la deformazione ad essa
corrispondente è molto prossima a quella degli elementi lapidei. Ovviamente il peggior
risultato in termini di resistenza è stato ottenuto dalla muratura a blocchetti che, anche se
più moderna, è costituita da pietre e malta entrambe di qualità inferiore.
Il dato che i tipi di muratura più recenti non siano le migliori può sembrare
sorprendente, ma è bene ricordare che (come evidenziato nel par. 2.2) nel XVIII secolo il
prezzo della calce era molta alto, generando frodi sulla quantità di calce utilizzata
realmente per la malta e ottenendo così una malta più scadente. Inoltre nel XIX secolo si
sciolsero le corporazioni, che fino a quel momento avevano permesso di tramandare per
via orale le tecniche del buon costruire ed avevano controllato sulla buona fattura delle
fabbriche murarie.
La malta a causa dell’elevata deformabilità si comporta come un “cuscinetto”,
interposto tra i conci di tufo, capace di assecondare le deformazioni imposte dalla
macchina. Per deformazioni elevate si verifica una sostanziale analogia tra i diagrammi del
tufo e della malta, a testimonianza del buon grado di affinità anche dal punto di vista
deformativo.
Allo stesso modo la deformazione ultima raggiunta nelle prove (che rappresenta il
comportamento plastico del materiale) è fortemente condizionata dalla tipologia muraria,
nel senso, come già detto, di apparecchiatura e tessitura. Ciò significa che una buona
tessitura svolge nella muratura un ruolo equivalente a quello delle staffe nelle strutture in
c.a.. Come è noto l’aumento della staffatura in un elemento compresso, oltre a migliorare
72
la resistenza, determina un significativo incremento delle capacità deformative. Questo è
proprio ciò che si è riscontrato dalle prove svolte, nelle quali la migliore tessitura
trasversale della muratura ha consentito di raggiungere valori più alti di deformazione
ultima.
7
6
5
σ ( N/mm 2 )
Muratura a cantieri
Tufo dei Vergini
Malta MC
4
3
2
1
ε
0
0.0% 0.5% 1.0% 1.5% 2.0% 2.5% 3.0% 3.5% 4.0% 4.5% 5.0%
Fig.3.17: Confronto tra la curva σ-ε teorica del provino a cantieri e i legami costitutivi della malta e del tufo
D’altronde, l’efficacia delle connessioni trasversali nella massa muraria è
chiaramente riscontrabile dai meccanismi di collasso evidenziati nelle prove. Si può notare
che la εu dei provini “a cantiere” è significativamente maggiore di quella della tipologia “a
blocchetti”; ed infatti essa presenta una buona tessitura trasversale unitamente ad una
ottima affinità degli elementi componenti, (malta e pietre hanno all’incirca le stesse
caratteristiche meccaniche), da cui deriva una buona omogeneità della muratura, che può
essere considerata come un unico materiale solido [Fig.3.13].
Come si osserva in [Fig.3.17], nel primo tratto il modulo elastico della muratura “a
cantieri” è leggermente maggiore di quello del tufo; in corrispondenza dei 2/3 della
tensione massima la muratura ha una diminuzione di rigidezza, mentre il tufo ha un
andamento quasi lineare sino al raggiungimento della tensione massima. Per il ramo
decrescente, in corrispondenza di una deformazione del 1%, in prossimità del punto di
flesso, il diagramma della muratura si colloca al di sotto dei diagrammi del tufo e della
malta, a causa della riduzione della sezione resistente della muratura.
73
7
σ ( N/mm 2 )
6
Muratura a bozzette
Tufo Vergini
5
malta MB
4
3
2
1
ε
0
0.0% 0.5% 1.0% 1.5% 2.0% 2.5% 3.0% 3.5% 4.0% 4.5% 5.0%
Fig.3.18: Confronto tra la curva σ-ε teorica del provino a cantieri e i legami costitutivi della malta e del tufo
Si nota che il legame costitutivo della muratura è molto simile a quello del tufo,
grazie alla malta MC, che presenta un buon comportamento deformativo, prossimo a
quello del tufo.
7
6
5
σ ( N/mm 2 )
Muratura a blocchetti
Tufo Aversa
Malta MB
4
3
2
1
ε
0
0.0% 0.5% 1.0% 1.5% 2.0% 2.5% 3.0% 3.5% 4.0% 4.5% 5.0%
Fig.3.19: Confronto tra la curva σ-ε teorica del provino a cantieri e i legami costitutivi della malta e del tufo
74
In [Fig.3.18] si osserva che il primo tratto del legame costitutivo della muratura si
sovrappone al legame costitutivo del tufo, incurvandosi per un carico pari al 70% di quello
massimo. Il ramo decrescente segue lo stesso andamento del ramo softening del tufo,
addolcendo leggermente la pendenza quando i tratti del legame costitutivo del tufo e della
malta tendono a sovrapporsi.
L’ulteriore diminuzione della resistenza dei provini a blocchetti è giustificata
dall’uso di elementi di tufo con tensione di picco leggermente più bassa, che influenza più
della malta la tensione di rottura della muratura. La minore differenza riscontrata tra le
tensioni di picco della muratura e del tufo rispetto alla muratura a bozzette è dovuta allo
scarto tra la resistenza massima dei conci e della malta. La deformazione corrispondente
alla tensione massima coincide con quella del tufo.
Il tipo di tessitura incide sul comportamento del provino dopo il raggiungimento
della tensione massima, in particolare sulla pendenza del ramo decrescente. Infatti, nel
caso della muratura a bozzette, per la quale si ha un buon ingranamento trasversale, la
velocità di decadimento delle capacità di resistenza è più lenta di quella registrata per la
muratura a blocchetti, dove lo scarso ingranamento comporta la divisione del pannello in
tre strati, innescandosi fenomeni d’instabilità [Fig.3.19] dei paramenti, e portando ad una
diminuzione repentina della capacità di resistere ai carichi [Oliveira et al., 2006].
75
Capitolo 4
Modellazione della struttura complessa. Elementi strutturali
determinanti
4.1 Edificio speciale
4.1.1Comportamento sismico degli elementi snelli (piedritti)
L’edifico speciale,come già detto nel capitolo 2, è costituito da murature molto alte,
di notevole estensione, disposte lungo una direzione prevalente; sulle quali sono attestate
volte o capriate lignee, non assimilabili ad un diaframma rigido capace di trasferire le
sollecitazioni determinate da eventi sismici alle strutture verticali parallele all’azione del
sisma. Il collasso tipico di questi edifici è determinato dalla eccessiva snellezza delle pareti
rispetto a forze ad esse ortogonali. La rotazione del blocco snello alla base rappresenta il
meccanismo cinematico più significativo per questo tipo di strutture.
Nella prassi progettuale il comportamento sismico delle pareti fuori dal piano è
analizzato con un’analisi cinematica lineare, di notevole utilità per calcolare il
moltiplicatore ultimo di collasso della parete, che in base allo spettro fornito dall’OPCM
3431 nell’allegato 11.C.1 permette di risalire all’effettiva PGA della struttura utilizzando
un fattore di struttura 2, valutando a priori le capacità non lineari della struttura. Volendo
esaminare l’effettive non linearità geometrioche della struttura, considerata rigida, è
possibile condurre un’analisi cinematica non lineare, la quale però pur considerando il
comportamento del blocco rigido, per determinare la sicurezza della struttura in termini di
spostamento necessita della definizione di un periodo T, riferito alle caratteristiche del
corpo elastico.
In alternativa si può considerare direttamente il comportamento deformabile della
struttura valutando la capacità plastica della cerniera che si forma alla base dell’elemento.
Per determinare l’effettiva capacità plastica di un blocco snello durante un evento
sismico è stata condotta in passato una campagna sperimentale su elementi snelli in scala
ridotta in muratura storica ed ordinaria [Calderoni e Lenza, 2001; Calderoni e Lenza,
2004]. I provini sono stati sottoposti sia prove a compressione a deformazione controllata
che a forze orizzontali cicliche per differenti valori del carico verticale.
La capacità dissipativa e la duttilità si sono mostrati influenzati dal valore del carico e
76
dalla resistenza massima del materiale a compressione. Infatti, cicli meno duttili ma più
dissipativi sono stati registrati per carichi maggiori, mentre l’incremento di resistenza
comportava nella maggior parte dei casi una minore isteresi. Sono stati valutati
analiticamente valori di duttilità pari a 10 ed una capacità dissipativa pari al 20-30%
dell’energia dissipata da un elemento strutturale di forma analoga ma con un
comportamento elastico perfettamente plastico e privo di degrado.
I test condotti hanno fornito la curva σ-ε e il diagramma F-δ e hanno permesso di
sviluppare un modello teorico capace di prevedere il comportamento strutturale di un
elemento snello in muaratura sottoposto a carichi orizzontali.
Più in particolare, partendo dai diagrammi sperimentali σ−ε si ricava il diagramma
M-χ e il diagramma M-φ, consentendo così di disegnare il diagramma F-δ.
Fig. 4.1: Comportamento schematico di un pannello murario di una chiesa in muratura
Si ha quindi che la conscenza del legame costitutivo completo del materiale, che di
solito non è utile per analizzare le strutture murarie soggette a soli carichi verticali, è al
contrario uno strumento essenziale per analizzare la capacità sismica di un blocco murario
snello (per esempio l’elemento di Fig.4.1) che rappresenta un tipico muro di una chiesa
storica in muratura, che sorregge la volta centrale) strettamente connesso anche al
comportamento post-elastico, essendo il meccanismo di collasso principalmente dovuto
alla flessione piuttosto che al taglio.
Infatti una realistica valutazione del comportamento sismico di un semplice elmento
strutturale, ed ancor di più per una complessa struttura muraria, richiede di condurre analisi
77
non lineari. Per questo scopo è necessaria la definizione della curva momento- curvatura
(M -χ) della base trsversale dell’elemento, quando è sollecitata anche dallo sforzo normale
[Calderoni et al., 2004]
Questa curva può essere determinata, attraverso una procedura iterativa, dal
diagramma σ−ε (nella sua formulazione analitca) del materiale strutturale, considerando la
resistenza a trazione nulla e una distribuzione lineare delle deformazioni lungo la sezione
trasversale.
90
Muratura cantieri
Murtura bozzette
Muratura blocchetti
M (kN*m)
L=120
t=60
L=100
60
t=55
L=126
t=42
30
Χ *1000000
0
0
50
100
Fig. 4.2: Diagramma M-χ per i tre tipi di muratura analizzata
150
200
250
Un esempio delle curve M-χ che si possono ottenere è dato in Fig. 4.2 per la sezione
di base dell’elemento strutturale rappresentato in Fig. 4.1, considerando le tre differenti
tipologie ed una forza assiale pari ad 1/5 della massima capacità portante.
I diagrammi M-χ hanno anche il ramo di scarico, che si è ottenuto considerando un
comportamento lineare della curva σ−ε nelle fase di scarico, con una pendenza uguale a
quella iniziale del ramo di carico.
La forma del diagramma M-χ, ottenuto dal diagramma σ-ε teorico calibrato sui
risultati sperimentali relativi ai macroldelli, evidenzia un'inaspettata capacità dissipativa
e una duttilità dell'elemento murario che potrebbe giuistificare il buon comportamento
78
sismico di strutture, spesso osservate dopo i terremoti. Questa capacità cresce con
l’aumentare elle caratteristiche meccaniche della muratura sia in termini di resistenza a
compressione che di tensione ultima.
4.2. Edificio ordinario alto: submodello parete – modello non lineare a
plasticità concentrata2
Se si considera un edificio ordinario si ha che il comportamento sismico della struttura può
essere ricondotto a quello delle pareti nel proprio piano, qualora siano evitati i meccanismi
di I modo. In tal caso, diventano fondamentali le caratteristiche meccaniche sia dei maschi
murari che delle fasce di piano, che costituiscono ciascuna parete muraria.
La parete dell’edificio in muratura, configurabile come una lastra forata dotata di
eventuali tiranti orizzontali, quali cordoli o catene più o meno efficaci, può essere
interpretata in maniera sufficientemente approssimata anche con modelli semplificati.
In tale ambito la modellazione a telaio, con nodi rigidi estesi corrispondenti ai
pannelli di nodo (intersezione dei maschi murari con le fasce di piano), già utilizzata da
tempo in ambito scientifico [Lenza 1987; Lenza 1989; Magenes et al 1996] trova piena
legittimazione operativa anche nelle più recenti normative sismiche (OPCM 3274/03 e
succ. mod., EC8,) e nelle linee guida per i monumenti, ove viene indicata come schema di
riferimento. Essa si ritiene necessaria per valutare l’effettiva capacità deformativa della
struttura evitando di ricorrere a modellazioni più complesse e meno controllabili agli
elementi finiti a non linearità diffusa. Lo schema a telaio, tende a sostituire il modello
POR, usato ed abusato nelle applicazioni tecniche dal 1980 ad oggi. Paradossalmente
anche il POR, apprezzabile per i suoi sviluppi non lineari, configura le pareti come un
telaio: però mentre da un lato considera la fascia di piano infinitamente rigida e resistente
(senza poi porsi il problema di effettuare le corrispondenti verifiche), dall’altro ne trascura
la capacità di accoppiamento, tanto che non vengono considerate le variazioni di sforzo
normale dovute all’azione ribaltante delle forze orizzontali.
2
I risultati riportati in questo paragrafo sono anticipati in: B. Calderoni, E.A. Cordasco, P. Lenza, Il ruolo
della fascia di piano nel comportamento sismico degli edifici in muratura, Ingegneria Sismica, n°1, 2007
79
La modellazione a telaio, invece, non pone tali limitazioni mentre si presta, mediante
opportuni accorgimenti nella schematizzazione, ad interpretare il comportamento anche di
pareti che non presentino perfetta regolarità nella disposizione delle aperture.
L’analisi non lineare può facilmente conseguirsi adottando un modello di telaio
elastico a plasticità concentrata, che prevede la formazione di cerniere plastiche per
pressoflessione e/o taglio, sia negli elementi di fascia che in quelli di maschio. Negli ultimi
anni diversi autori hanno condotto studi per valutare l’efficacia della suddetta
modellazione per gli edifici in muratura [Kappos et al., 2002; Salonikios et al., 2003; Roca
et al., 2005].
In questo modo non si può cogliere la progressiva maggiore deformabilità connessa
alla estensione delle parzializzazioni, ma si considera comunque la non linearità meccanica
del materiale connessa alla plasticizzazione degli elementi.
Le maggiori difficoltà si incontrano, in questo caso, proprio nella modellazione della
fascia di piano, in quanto le potenziali cerniere plastiche devono interpretare, sia in termini
di resistenza che di deformabilità, il comportamento ultimo di un elemento strutturale
molto complesso e poco studiato.
4.2.1 Comportamento limite della parete: fascia debole; fascia resistente
Entrando nel merito della valutazione delle capacità sismiche delle pareti nel proprio
piano, si può affermare che la “fascia di piano”, costituita dalla striscia orizzontale di
muratura al di sopra dei vani, assume un ruolo fondamentale sia per la resistenza che per la
deformabilità (e quindi la duttilità) delle pareti stesse. Infatti al variare della loro
morfologia e dalla loro tipologia strutturale si ottengono comportamenti strutturali delle
pareti molto diversi a fronte di assetti geometrici e di carichi verticali simili: durante
l’evento sismico può accadere che le fasce di piano risultino più resistenti dei maschi, che
quindi si lesionano, evidenziando un comportamento che tende ad un meccanismo di tipo
shear-type piano per piano [Fig. 4.3a], oppure che le fasce si fessurino prima dei maschi
[Fig. 4.3b], che, al limite, assumono il comportamento di mensole estese sull’intera altezza
dell’edificio.
La diversa resistenza e rigidezza delle fasce dipende dalle configurazioni che di volta
in volta la fascia stessa assume nell’ambito della parete. In questo capitolo si vogliono
80
individuare differenti configurazioni, il modello meccanico equivalente e di conseguenza il
grado di accoppiamento che la fascia di piano fornisce ai maschi, ed evidenziare come le
diversità individuate influenzino la vulnerabilità sismica della parete muraria e quindi
dell’intero edificio.
La scarsa attenzione data al ruolo che la fascia di piano svolge all’interno di una
parete muraria si può desumere da un’analisi delle normative sismiche degli edifici in
muratura, dove è evidente un ridotto approfondimento della sua funzione nel determinare
la risposta sismica della struttura.
a)
b)
Fig. 4.3: Meccanismi di danno delle pareti nel proprio piano: a) lesioni nei maschi; b) lesioni nelle fasce
Solo nell’OPCM 3431, ultimo aggiornamento dell’Ordinanza 3274, si considera la
possibilità che possa esistere una certa resistenza flessionale della fascia anche nel caso in
cui sia presente un solo elemento orizzontale tensoresistente, quale una catena, un cordolo
o una piattabanda efficacemente ammorsata alle estremità. L’EC8 invece considera che la
capacità di accoppiamento dei pannelli di fascia possa essere considerata solo nel caso in
cui sia presente sia un cordolo superiormente che una piattabanda inferiormente, cioè
quando si può instaurare un classico comportamento di trave a doppia armatura. La norma
americana FEMA 375 non fa alcun riferimento alla capacità di accoppiamento delle fasce
di piano, pur considerando per i maschi murari sia il comportamento a mensola che di tipo
shear – type.
81
4.2.2 Analisi di diversi tipi di fasce di piano (resistenza aumentata con diversi tipi di
intervento: cordoli aderenti, semiaderenti, scorrevoli)
Nel costruito storico si può osservare per le fasce di piano una significativa varietà di
tipologie strutturali, che determina la necessità di definire modelli diversi per interpretarne
il comportamento strutturale. Le diverse configurazioni delle fasce sono quasi sempre
correlate alle varie tipologie di impalcato al quale le pareti sono in qualche modo collegate.
Tali configurazioni possono schematicamente ricondursi ai seguenti tipi:
a) fascia debole
a.1) Negli edifici caratterizzati da orizzontamenti a volta e da vani nelle pareti
sovrastati da archi, la fascia è priva di qualsiasi elemento tenso-resistente, sempre che si
voglia cautelativamente trascurare la debole resistenza a trazione della muratura sia della
fascia vera e propria che della striscia di volta in prossimità del collegamento alla parete.
a.2) Negli edifici con impalcati orizzontali e solai isostatici con travi in legno o in
ferro, la fascia è egualmente priva di elementi tenso-resistenti anche volendo considerare,
come nel caso precedente, la collaborazione di una fascia di solaio; le piattabande, in legno
o ferro, sono semplicemente appoggiate, senza ancoraggi, alle spalle dei vani e non
possono quindi svolgere la funzione di efficaci tiranti [Fig.4.4].
Per entrambe queste tipologie alla debolezza della fascia è associata l’inaffidabilità
dell’impalcato ad assicurare un comportamento a diaframma rigido.
Fig. 4.4: Fascia di piano caratterizzata dalla presenza di solai e piattabande in legno
b) fascia confinata.
b.1) Gli edifici in muratura dotati dei primi impalcati in c.a. sono costituiti da pareti
verticali interrotte dal cordolo di piano che, assieme ad una striscia adiacente di solaio,
costituisce un vero e proprio elemento resistente a trazione, anche se l’aderenza di tale
cordolo alla muratura è affidato al solo attrito tra i due materiali. Quindi tale elemento può
82
configurarsi come una catena aderente o scorrevole in funzione del carico verticale agente
sul cordolo: nel caso di solaio di copertura ordito parallelamente alla parete tale capacità
attritiva può rivelarsi insufficiente per cui il cordolo è da considerarsi per tutta la sua
lunghezza alla stregua di una catena scorrevole; nel caso degli impalcati degli altri piani,
ancor più se il solaio scarica sulla parete, si ha un comportamento “aderente” dei cordoli in
corrispondenza delle zone di parete intersezione dei maschi murari e delle fasce di piano
(pannelli di nodo), mentre lungo la luce libera della fascia i cordoli si comportano da
catene scorrevoli, essendo ovviamente ridotti i carichi verticali agenti in corrispondenza
dei vani d’apertura sovrastanti. In questo caso la catena risulta localmente scorrevole.
Le piattabande, anch’esse in c.a., sono generalmente ancorate comunque in misura
insufficiente sulle spalle dei vani, presentandosi quindi come tiranti inaffidabili.
b.2) Le pareti presentano ad ogni piano una cordolatura continua non solo in
corrispondenza del solaio ma anche al di sopra dei vani, così realizzata in alcuni casi
invece delle piattabande discontinue a causa della vicinanza delle aperture. Si determina in
questo modo una configurazione pienamente confinata della fascia, con due elementi (uno
superiore ed uno inferiore) tenso-resistenti. I due cordoli possono configurarsi poi come
catene aderenti o scorrevoli, sulla base delle stesse considerazioni esposte in precedenza
per il caso (b.1).
Per entrambe tali categorie l’impalcato è generalmente idoneo ad assicurare la
funzione di diaframma rigido.
a)
b)
Fig. 4.5: Fascia di piano caratterizzata dalla presenza di piattabande e cordoli di piano in c.a.: a) Piattabande
in corrispondenza dei vani; b) cordolatura continua al di sopra dei vani di apertura
83
c) fascia consolidata
In questa categoria rientrano tutte le numerose tipologie ottenute come risultato di
una trasformazione delle configurazioni originarie. In generale la trasformazione interessa
sia la fascia stessa che l’impalcato vero e proprio. In particolare:
c.1) L’adozione di una catena metallica ancorata sulle testate dell’edificio, collocata
in adiacenza alla parete muraria ed in genere alla quota di intradosso del solaio, costituisce
l’intervento minimo che tuttavia è sufficiente a conferire alla fascia di piano una prima
capacità di accoppiamento tra i maschi murari [Fig. 4.6].
Fig. 4.6: Fascia di piano con solai e piattabande in legno consolidata attraverso l’inserimento di una catena
metallica
c.2) La creazione invece di elementi tenso-resistenti alla quota del solaio, spesso
come completamento di un intervento sull’impalcato, e/o alla quota delle piattabande dei
vani, ha la stessa efficacia della fascia confinata, senza necessariamente interrompere la
continuità verticale del paramento. La necessità di ancorare i nuovi elementi alle murature,
mediante chiodature frequenti, determina poi, sia che si adotti la tecnologia del c.a. che
quella dell’acciaio, l’aderenza dei tiranti per tutta la lunghezza della parete.
c.3) L’adozione su una fascia confinata da catene aderenti anche di ulteriori
interventi di rinforzo, che impediscano l’instaurarsi di un meccanismo fragile per rottura a
taglio, porta ad un elemento strutturale fortemente consolidato. Tra gli interventi più
frequentemente adottati si ricorda il placcaggio del pannello di fascia con reti metalliche e
betoncino, la disposizione di rinforzi in acciaio lungo le diagonali o la fasciatura con
materiali innovativi del tipo fibrorinforzati. In questa configurazione si rende pienamente
disponibile la deformabilità flessionale dell’elemento (ottenendo un meccanismo di rottura
più duttile).
In definitiva, ai fini della modellazione strutturale finalizzata alla valutazione della
capacità delle pareti di controvento, il rilievo, oltre ad evidenziare l’efficacia
84
dell’impalcato come collegamento bidimensionale tra le pareti e, eventualmente, come
piano rigido, deve verificare la presenza, in corrispondenza delle fasce, di elementi tensoresistenti efficaci, che possano configurarsi come catene scorrevoli, localmente scorrevoli
ovvero del tutto aderenti.
Il modello nel quale la capacità di accoppiamento della fascia è correlata alla
formazione di un unico puntone diretto nel verso delle forze orizzontali agenti può
descrivere il comportamento di tutte le configurazioni precedentemente elencate. Questo
meccanismo resistente, basato sullo sfruttamento della resistenza a compressione del
materiale anche per resistere a taglio, si può attivare, però, solo se esiste la possibilità di
assorbire uno sforzo assiale di trazione pari alla componente orizzontale dello sforzo di
compressione (inclinato) agente nel puntone [Liberatore 2000].
Ne consegue che tale modello trova applicazione nelle configurazioni a “fascia
debole” solo nei limiti modesti della resistenza a trazione (in direzione orizzontale) della
muratura della fascia, mentre ben si presta ad interpretare il comportamento delle fasce nei
casi di fascia confinata o consolidata. Invece diviene non significativo nella configurazione
di “fascia consolidata” c.3, nella quale è esclusa a priori la possibilità di una crisi per
taglio.
a)
b)
Tensione di Compressione
c)
Tensione di Trazione
Fig. 4.7: Sforzi normali di compressione in una parete muraria quando si adotta una schematizzazione
reticolare: a) presenza di sole catene scorrevoli in corrispondenza dei solai; b) presenza di soli cordoli di
piano (solai in cls); c) presenza di sole piattabande al di sopra dei vani
Utilizzando, invece dello schema a telaio, una modellazione della parete muraria di
tipo reticolare, nella quale i pannelli murari di fascia e di maschio sono sostituiti da sistemi
85
reticolari semplici equivalenti ai pannelli stessi in termini di deformabilità, è possibile
evidenziare l’importante funzione dei tiranti orizzontali di fascia, anche nei casi di fascia
confinata.
Nella Fig. 4.7 è mostrata la risposta, in termini di sforzi normali, di una parete così
schematizzata soggetta a carichi verticali ed orizzontali. In essa tutte le aste diagonali e
verticali del sistema reticolare sono considerate non resistenti a trazione, ad eccezione di
quelle orizzontali che rappresentano appunto elementi tenso-resistenti.
La capacità di accoppiamento delle fasce è evidente sia che si adotti una catena
scorrevole ancorata solo sulle testate della parete [Fig.4.7a], sia che siano presenti solo i
cordoli di piano considerati come tiranti localmente scorrevoli [Fig.4.7b] o le sole
piattabande al di sopra dei vani [Fig.4.7c].
Nell’OPCM 3431 per la prima volta viene considerato per la fascia di piano il
meccanismo resistente corrispondente al modello a puntone, che può attivarsi solo se esiste
almeno un elemento (cordolo, piattabanda, catena) resistente a trazione.
La formulazione proposta dall’ordinanza è la seguente:
Vp = H p ⋅
H
L
Hp
⎛
⎞
⋅⎜1−
⎟
⎝ 0,85 f hd ⋅ H ⋅ t ⎠
[4.1]
nella quale Hp è il minimo valore tra la resistenza a trazione dell’elemento presente ed il
40% della resistenza a compressione in orizzontale della sezione trasversale della fascia di
piano (Hp=0,4fhdHt), che, in una schematizzazione di pannello murario soggetto a sforzo
normale eccentrico ed a taglio, corrisponde all’incirca al valore dello sforzo normale
agente che fornisce la massima resistenza del pannello ad azioni taglianti.
Come si vede l’ordinanza riconosce la possibilità di resistere a flessione grazie alla
presenza di uno sforzo di compressione nella fascia; ma tale sforzo di compressione viene
dimenticato nella valutazione della resistenza a taglio per scorrimento della sezione
trasversale dell’elemento di fascia, per la quale viene proposta la formulazione:
Vt = Htf vo
[4.2]
essendo fvo la resistenza a taglio della muratura in assenza di sforzo normale.
86
Invece il formarsi del puntone con conseguente compressione in orizzontale della
fascia comporta sicuramente un incremento della resistenza a taglio, analogamente a
quanto avviene nei maschi murari. Per cui sembrerebbe opportuno non trascurare tale
contributo, connesso alla massima resistenza a taglio ma non noto a priori come nel
maschio murario. In prima analisi si è considerata la seguente formula:
Vt = Ht( f vo + 0.4σ n )
[4.3]
Nella quale si tiene conto del pieno sviluppo di un comportamento a puntone nella fascia di
piano generando uno sforzo normale Hp=0,4fhdHt. In realtà questa è solo un’ipotesi e
necessita di una verifica sperimentale.
È evidente che in assenza di azioni orizzontali non si attiva tale comportamento a
puntone; pertanto, in presenza di soli carichi verticali, l’esiguo taglio corrispondente può
essere assorbito anche attraverso un comportamento locale ad arco.
Per la valutazione delle capacità ultime di resistenza sismica delle pareti murarie,
perseguita mediante un’analisi non lineare, non è sufficiente definire la resistenza
dell’elemento di fascia, ma è indispensabile anche conoscerne le capacità deformative.
Il modello a puntone suggerisce due modalità di valutazione del limite di
deformabilità che, fortunatamente, conducono a risultati sufficientemente concordanti.
Ld
H
L
Ld
Ld
H
H
Fig. 4.8: Schema per la valutazione della deformazione ultima della fascia quando si attiva il meccanismo a
puntone
In primo luogo, in via semplificata, si può ipotizzare che la plasticizzazione del
puntone si estenda per un quarto della lunghezza del puntone in corrispondenza di ciascun
estremo. Pertanto, considerando un comportamento del materiale ideale di tipo elasto
87
plastico e facendo coincidere per semplicità l’asse del puntone con la diagonale geometrica
del pannello (Ld), risulta un accorciamento totale limite del puntone pari a:
Δ l d = ε mu ⋅
Ld
2
[4.4]
essendo εmu la deformazione unitaria ultima a compressione della muratura, ricavabile da
prove di compressione semplice condotte in controllo di spostamento.
A tale contrazione diagonale corrisponde, mediante semplici considerazioni
geometriche [Fig.4.8], una rotazione ultima della fascia pari a:
φlim =
Δ Ld
( H 2 + L2 )
= 0.5ε mu
senα ⋅ H
HL
[4.5]
dove h e l sono rispettivamente l’altezza e la lunghezza della fascia ed α l’inclinazione
della diagonale rispetto alla verticale.
In alternativa si può assumere che la crisi del puntone corrisponda alla formazione di
una cerniera plastica all’estremità della fascia. In questo caso, se si assume che la
lunghezza della cerniera plastica sia pari all’estensione della zona plasticizzata e quindi
alla larghezza del puntone [Calderoni 1989], la rotazione limite (φlim) risulta coincidente
con la deformazione unitaria ultima a compressione (εmu), cioè:
φlim = ε mu
[4.6]
Si può vedere quindi che nel caso di pannello di fascia tozzo (H ≅ L) le due
espressioni di φlim coincidono. Viceversa per pannelli di fascia più snelli (H ≅ L/2) la
rotazione limite valutata con il primo modello è pari al 125% di quella risultante dal
secondo.
In ogni caso, considerando che la rottura del pannello in cui si forma il puntone è in
effetti una rottura a taglio e che per le applicazioni pratiche di tipo non lineare è quindi
richiesta la definizione di una cerniera plastica “a taglio”, è utile passare dalla rotazione
ultima dell’estremità del pannello ad uno spostamento ultimo equivalente a taglio δu [Fig.
4.8], che definisce il limite deformativo della corrispondente cerniera. Si ha quindi:
88
δ u = 2φlim ⋅
L
= φlim ⋅ L
2
[4.7]
Pertanto, riferendosi alla notazione utilizzata dall’Ordinanza per definire i limiti di
deformabilità ammessi per i maschi murari, risulta:
δu
L
= φlim
[4.8]
con φlim variabile, a seconda del modello considerato, tra εmu ed 1.25 εmu.
Se si considera che per εmu si possono adottare, in via cautelativa, valori compresi tra lo 0.5
% e l’1.0 %, come evidenziato dalle prove di compressione a deformazione controllata, si
ritrovano per le fasce di piano valori numerici dello stesso ordine di grandezza di quelli
forniti dall’Ordinanza per i maschi murari (δu/L = 0.8% per la rottura a presso-flessione e
δu/L = 0.4% per la rottura a taglio).
Nel caso di fascia confinata da cordoli e/o catene aderenti e dotata inoltre di
interventi di rinforzo che escludano la crisi per meccanismo di taglio (crisi del puntone),
può evidenziarsi un comportamento più duttile di tipo flessionale, caratteristico degli
elementi “trave”.
A differenza del caso di fascia confinata con tiranti localmente scorrevoli,
caratterizzati da un valore costante dello sforzo assiale, il modello prevede nei cordoli,
assimilabili ai due registri estremi di armatura di una sezione in cemento armato, una
variazione della sollecitazione lungo la luce del pannello, generalmente con netta
inversione di segno. Il modello suggerito trae spunto dal comportamento di trave o di trave
tozza, a seconda dell’altezza della sezione trasversale della fascia, ove la muratura
sostituisce il materiale calcestruzzo [Leonhardt, 1977]. Per attivare questo funzionamento,
oltre all’aderenza dei cordoli ai pannelli di fascia è importante anche l’ancoraggio degli
stessi nei nodi rigidi della parete-telaio.
Per calcolare il momento resistente della fascia schematizzata come una trave si
possono utilizzare le indicazioni riportate dall’EC6 per la muratura armata. La normativa
considera la presenza di sola armatura inferiore, fornendo i seguenti valori del momento
ultimo resistente:
89
-
per la rottura lato acciaio
M rd = As ⋅ f yd ⋅ z
[4.9]
Con
As ⋅ f yd
⎛
z = d ⋅ ⎜ 1 − 0.5
b ⋅ d ⋅ fd
⎝
-
⎞
⎟ ≤ 0.95d
⎠
[4.10]
per la rottura lato muratura
M rd = β ⋅ f d ⋅ b ⋅ d
[4.11]
con β = 0.4 (nel caso specifico di muratura in pietra naturale o in mattoni pieni)
essendo in entrambe le formule:
b la larghezza della trave;
d l’altezza efficace della trave;
fd la resistenza di calcolo a compressione della muratura;
fyd la resistenza di calcolo a trazione dell’acciaio
Per trave a semplice armatura il coefficiente 0.4 determina un valore del momento
resistente ultimo (lato muratura) corrispondente a quello di una sezione a forte armatura
(con distanza dell’asse neutro dal lembo compresso pari a 0.69d) e quindi ad una crisi di
tipo fragile per compressione della muratura con l’acciaio al limite di snervamento. Lo
stesso valore del momento resistente (lato muratura) viene però restituito dall’elemento
strutturale con un comportamento molto più duttile ove mai si aggiunga armatura in
compressione a partire dal rapporto tra armatura compressa e tesa pari a 0.3. Tale
circostanza si verifica quasi sempre nei casi reali dove le fasce sono armate con
abbondanza rispetto alle necessità sia superiormente (cordoli) che inferiormente
(piattabande).
Nel caso di travi corte (travi tozze con H/L> 0.5), caso peraltro abbastanza comune in
edifici esistenti, si utilizzano le stesse formulazioni considerando però, in accordo con la
teoria delle travi tozze, un’altezza utile ridotta in funzione dello stesso rapporto tra altezza
90
e lunghezza della trave.
Per quanto riguarda la resistenza a taglio, l’EC6 indica che nel caso in cui non sia
presente una specifica armatura trasversale, che rappresenta la maggioranza delle
situazioni reali, essa è data dalla somma della resistenza a taglio della muratura non armata
compresa tra gli elementi resistenti a trazione e quella del calcestruzzo del cordolo e della
piattabanda (se sono in c.a.). L’aliquota di resistenza a taglio relativa alla muratura,
analogamente a quanto prescritto nell’Ordinanza, viene valutata senza considerare il
contributo offerto dall’eventuale sforzo normale che si può instaurare in direzione
orizzontale. Pertanto si ha:
Vsd = f vd ⋅ b ⋅ d
essendo: f vd =
f vk
γM
=
f vk 0
γM
[4.12]
Anche in questo caso si ritiene invece che possa essere considerato nella valutazione
della resistenza a taglio della fascia anche il contributo attritivo connesso alla formazione
del puntone all’interno della fascia stessa durante l’evento sismico.
È ovvio che nel caso in cui la trave sia specificamente armata a taglio si debba
considerare, in linea con i principi dello stato limite ultimo, oltre al contributo della
muratura anche quello dato dalle armature stesse.
Per la valutazione dei limiti di deformabilità delle fasce di piano che si comportano
come travi, nel caso di elementi snelli si potrebbe fare riferimento ai limiti di duttilità
validi per le travi in cemento armato. D’altronde le parti estreme della sezione sono proprio
i cordoli e le piattabande, per cui, se essi sono in cemento armato, sembrerebbe abbastanza
ragionevole adottare i limiti di deformazione specifica validi per il calcestruzzo, ottenendo
rotazioni limiti corrispondenti valutabili nell’ordine dell’1- 2 %.
Nella realtà le fasce di piano, almeno negli edifici esistenti, sono sempre piuttosto
tozze, per cui sembrerebbe più opportuno riferirsi al comportamento delle pareti in c.a.
piuttosto che a quello delle travi, anche in considerazione del fatto che l’attivazione del
puntone all’interno del pannello comporta comunque la presenza di sforzo normale di
compressione nell’elemento strutturale. Pertanto è molto probabile che l’abbassamento
dell’asse neutro e la non conservazione della sezione piana determinino, come nelle pareti,
riduzioni anche significative delle capacità rotazionali della fascia. Ad esempio
nell’OPCM 3431 è prevista per le pareti in c.a. una riduzione di circa il 40 % della
rotazione ultima valutata per elementi snelli. D’altronde l’estensione della sezione
91
trasversale rispetto alla lunghezza della trave rende anche piuttosto difficile adottare nei
calcoli non lineari i più semplici modelli a plasticità concentrata.
Su questo argomento, però, mancano ancora sicuri riferimenti bibliografici basati su
studi esaustivi, in particolare per gli elementi in muratura, per cui è sicuramente necessario
approfondire la questione dal punto di vista sia teorico che sperimentale.
4.2.3 Ruolo strategico della fascia di piano, per la riduzione della vulnerabilità sismica
della parete
Per evidenziare il ruolo della fascia di piano nel comportamento sismico degli edifici, si è
condotta un’analisi parametrica su pareti murarie a geometria regolare, caratterizzate da
fasce di piano di diversa altezza e da maschi murari di dimensioni e assortimento variabili.
Le pareti poi sono state analizzate facendo variare la configurazione dei pannelli di fascia
di piano nell’ambito di quelle descritte nei paragrafi precedenti.
Fig. 4.9: Schema delle pareti analizzate: 1, 3, 5, 7 con fascia di altezza 0.5 m; 2, 4, 6, 8 con fascia di altezza
1.0 m
92
In Fig. 4.9 sono riportate le pareti considerate con l’indicazione delle dimensioni dei
maschi e delle fasce di piano.
Sono stati considerati due gruppi di pareti, tutte simmetriche. Il primo gruppo
presenta i maschi uguali, di larghezza 1.80 m, mentre il secondo è caratterizzato da maschi
centrali più rigidi, aventi larghezza di 4.5 m, e laterali più snelli da 0.75 m. Nell’ambito di
ciascun gruppo sono state considerate due diverse altezze della fascia di piano (0.5 e 1.0
m) e due diverse altezze di parete (4 e 6 piani). Gli spessori variano tra 0.7 m e 0.5 m per le
pareti di 6 piani, e tra 0.6 m e 0.5 m per quelle di 4 piani.
Per analizzare la risposta sismica delle pareti si è utilizzata l’analisi statica non
lineare, che consente di determinare in modo abbastanza agevole la curva di capacità della
struttura in relazione ad azioni orizzontali crescenti (push-over) con carichi verticali
costanti. Da tale curva è possibile ricavare indicazioni sia sulla resistenza alle azioni
orizzontali che sulla duttilità globale (intesa come rapporto tra spostamento massimo
raggiunto e spostamento elastico equivalente). L’insieme di resistenza e duttilità consente
di valutare la vulnerabilità sismica della parete. Per vulnerabilità sismica si intende qui la
massima accelerazione al suolo sopportabile dalla struttura, valutata riferendosi allo spettro
di risposta elastico (fornito dall’OPCM 3431 per un suolo di tipo B) ridotto in relazione
alla capacità plastica della struttura (ricavata dalla curva di push-over), mediante un
coefficiente di struttura determinato, caso per caso, in funzione del periodo principale e
della duttilità globale. Come consentito dalla norma, tutte queste valutazioni sono state
svolte considerando la struttura complessa (cioè a più gradi di liberta) ridotta ad un
oscillatore semplice equivalente sulla base dei risultati della push-over.
Nella determinazione delle curve di push-over sono state considerate due differenti
distribuzioni di forze orizzontali lungo l’altezza delle pareti: la prima proporzionale
direttamente alle masse di piano e la seconda proporzionale al prodotto delle masse per gli
spostamenti corrispondenti al primo modo di vibrare.
La vulnerabilità è stata valutata per lo SLU, arrestando l’analisi quando il primo
elemento strutturale raggiunge lo spostamento ultimo definito, accettando quindi un livello
di danneggiamento basso. Infatti, la parete in muratura è ancora in grado di sopportare le
forze sismiche pur subendo un degrado di rigidezza.
Si è ipotizzato che le pareti siano costituite da muratura di tufo avente le seguenti
caratteristiche meccaniche:
93
fm
fvmo
E
G
w
1.85 N/mm2
0.1 N/mm2
3000 N/mm2
1200 N/mm2
17 kN/m3
Tab. 4.1: Caratteristiche meccaniche della muratura considerata
Per quanto riguarda i carichi verticali, oltre al peso proprio della parete, si è
considerato ad ogni piano un carico distribuito di 19.25 kN/m, corrispondente ad un solaio
portato di circa 6 m di luce.
L’analisi non lineare è stata svolta su un modello semplificato a telaio delle pareti. In
esso le aste, dotate di deformabilità estensionale oltre che flessionale tagliante,
corrispondono ai maschi murari ed ai pannelli di fascia di piano, mentre le zone di nodo
sono state schematizzate con tratti infinitamente rigidi.
Tutte le aste presentano alle estremità cerniere plastiche. Nella valutazione del
momento flettente plastico corrispondente si è tenuto conto in modo opportuno della
presenza o meno dello sforzo normale di compressione. Tale sforzo è stato sempre
considerato presente nei maschi murari, variabile in funzione delle forze esterne, mentre è
stato portato in conto nelle fasce di piano, con un valore costante, solo quando si è
utilizzata la schematizzazione a puntone.
Inoltre, per tutti gli elementi strutturali, si è inserita una cerniera plastica “a taglio”,
che consente di tener conto della possibilità di occorrenza di rotture a taglio prima di quelle
flessionali. Il valore del taglio di “plasticizzazione” di tali cerniere è stato valutato, nei
maschi murari, con riferimento sia alla rottura a taglio per scorrimento che alla rottura a
taglio per fessurazione diagonale.
Per i maschi murari si è considerata una rotazione plastica ultima a flessione (δ/H) di
0.8% ed una deformazione ultima a taglio (δ/H) pari a 0.4%, essendo H l’altezza del
maschio.
Le analisi sono state svolte considerando 3 diversi comportamenti statici della fascia
di piano, ciascuno corrispondente ad una diversa tipologia morfologica. In particolare sono
state analizzate: la fascia priva di qualsiasi affidabile elemento resistente a trazione (fascia
debole), la fascia dotata di almeno un elemento resistente a trazione (anche non aderente) e
la fascia dotata di due elementi (superiore ed inferiore) entrambi “aderenti” e resistenti a
trazione.
94
Nel primo caso l’elemento murario di fascia non presenta in pratica alcuna resistenza
flessionale ed è quindi privo di capacità di accoppiamento tra i maschi, riducendosi ad un
pendolo nella schematizzazione della parete. In realtà, poiché la deformazione dei maschi
(quand’anche ridotti a mensole) costringe le fasce a deformarsi, è in ogni caso necessario
verificare se la rotazione subita dalle estremità dell’elemento orizzontale sia compatibile
con le sue capacità deformative. In altri termini, pur non collaborando al meccanismo
resistente della parete, la fascia di piano si rompe per eccesso di deformazione; dato che le
analisi sono state condotte raggiungendo uno stato di danno ridotto per la parete si è
adottato un limite di rotazione pari a 0.4%
Pertanto ai soli fini operativi la fascia debole viene comunque modellata con un
elemento trave dotata di cerniere plastiche flessionali all’estremità, aventi però momenti
plastici irrisori e limitate rotazioni plastiche ultime. In tal modo si simula l’incapacità della
fascia a resistere a sforzi di trazione anche piccoli in assenza di un qualche elemento
resistente a trazione o comunque di uno sforzo normale di compressione in orizzontale. In
particolare, per la rotazione ultima si è considerato un valore, in prima analisi molto
cautelativo, pari a 0.4%.
Nel secondo caso il modello di comportamento dell’elemento di fascia è quello di
puntone. Pertanto nello schema di telaio i traversi sono stati modellati con elementi trave
privi di cerniere plastiche flessionali alle estremità, ma dotati di una “cerniera plastica a
taglio” avente resistenza limite pari al massimo taglio sopportabile dallo schema di
puntone. Non si è adottata la formulazione relativa alla formazione di meccanismi di taglio
classicocce non tiene conto del contributo dello sforzo normale. I limiti di deformabilità
considerati sono quelli relativi allo stesso schema, già riportati al par. 4.2.2.
Nel terzo caso l’elemento di fascia, come già detto, si comporta effettivamente come
una trave. Pertanto i traversi sono stati modellati con elementi trave a plasticità concentrata
con limiti di resistenza (momenti plastici) e deformativi (rotazione ultima) relativi a tale
schema (vedi par. 4.2.2 ). Si noti che, per semplicità, ma anche perché le dimensioni delle
fasce di piano rientrano all’incirca nei corrispondenti limiti geometrici, sono state adottati i
valori relativi alle travi non tozze, con un limite di rotazione ultima pari all’1.5%. Per i
momenti plastici si è ipotizzato che le armature presenti nei cordoli e nelle piattabande
fossero comunque sufficienti a permettere il raggiungimento del massimo momento
flettente corrispondente alla rottura lato muratura.
95
Con riferimento a quest’ultimo caso le pareti sono state analizzate nuovamente
diminuendo opportunamente i momenti plastici delle travi, cercando di migliorare in tal
modo la vulnerabilità delle pareti stesse. Si tratta in pratica di “calibrare” la resistenza delle
fasce di piano in relazione a quella dei maschi murari, applicando una sorta di criterio di
gerarchia delle resistenze [Calderoni et al., 2004].
La “calibrazione” della resistenza delle fasce è possibile nella realtà, in quanto è
facile ridurre in modo opportuno (entro certi limiti) l’armatura nei cordoli e/o nelle
piattabande oppure l’entità dei rinforzi nel caso di ristrutturazioni.
Con questa operazione diminuisce la resistenza ultima della parete ma ne aumenta la
duttilità globale, in quanto l’evoluzione delle plasticizzazioni diviene più favorevole,
privilegiando la formazione di cerniere nelle travi prima che nei maschi murari.
2000
F b (kN)
2000
PARETE 1
1600
PARETE 2
F b (kN)
Fascia debole
Puntone
Trave
Fascia calibrata
Fascia debole
Puntone
Trave
Fascia calibrata
1600
1200
P.G.A.=0,43g
1200
PGA=0,44g
P.G.A.=0,30g
PGA=0,49g
800
P.G.A.=0,46g
800
PGA=0,33g
400
400
PGA=0,06g
δ top (m)
0
0,00
0,02
0,04
0,06
0,08
0,10
0,12
6 piani, H fascia = 0.5 m
P.G.A.=0,06g
0
δ top (m)
.
0,00
0,02
0,04
0,06
0,08
0,10
0,12
6 piani, H fascia = 1.0 m
2000
2000
F b (kN)
F b (KN)
PARETE 3
Fascia debole
Puntone
Trave
Fascia calibrata
1600
PARETE 4
Fascia debole
Puntone
Trave
Fascia calibrata
1600
1200
1200
P.G.A.=0,54g
P.G.A.=0,52g
800
800
P.G.A.=0,59g
P.G.A.=0,38g
P.G.A.=0,63g
P.G.A.=0,36g
400
400
P.G.A.=0,07g
P.G.A.=0,07g
δ top (m)
0
0,00
δ top (m)
0
0,02
0,04
0,06
0,08
4 piani, H fascia = 0.5 m
Fig. 4.10: Push-over per le pareti 1, 2, 3, 4
0,10
0,12
0,00
0,02
0,04
0,06
0,08
0,10
0,12
4 piani, H fascia = 1.0 m
Nei telai analizzati in questo lavoro la calibratura si è attuata riducendo nella stessa
percentuale il momento resistente di tutte le fasce di piano. È ovvio che sarebbe possibile,
anche se più complesso, procedere ad una calibrazione più mirata, diversa per ciascun
elemento di fascia.
Nelle Figg. 4.10 e 4.11 sono riportate le curve di capacità, ottenute come detto,
relative alle pareti analizzate per tutte le diverse tipologie considerate per le fasce di piano.
96
Nella stesse figure sono indicati anche i corrispondenti valori calcolati della vulnerabilità
sismica, espressa in PGA.
Come prevedibile il ruolo della fascia di piano si rivela determinante ai fini del
comportamento della parete, sotto l’aspetto sia della resistenza che della duttilità.
Prima di tutto risulta evidente il miglioramento che si consegue anche con la sola
introduzione a livello di fascia di un elemento tenso-resistente, che permette l’attivazione
di un meccanismo a puntone. Infatti, passando dalla parete con le fasce deboli a quella con
le fasce funzionanti a puntone, la vulnerabilità sismica passa da un minimo di 0.06g per la
fascia debole ad un minimo di 0.29g per la fascia a puntone.
È evidente che mentre il valore di 0.06 g è assolutamente insufficiente per sopportare
terremoti reali, il valore di 0.29g rappresenta una capacità di resistere efficacemente a
terremoti relativi anche alle zone sismiche di II categoria. D’altronde è ben nota l’efficacia
che hanno avuto i semplici interventi di incatenamento (con catene scorrevoli) di edifici
antichi, come quelli effettuati su molti fabbricati del centro storico di Napoli dopo il
terremoto del 1930.
2000
2000
F b (KN)
Fascia debole
Puntone
Trave
Fascia calibrata
1600
P.G.A.=0,40g
1200
PARETE 6
F b (KN)
PARETE 5
Fascia debole
Puntone
Trave
Fascia calibrata
1600
PG.A. = 0,39g
1200
P.G.A.=0,52g
800
P.G.A. = 0,70g
P.G.A. = 0,49g
800
P.G.A.=0,29 g
P.G.A. = 0,08g
P.G.A.=0,07 g
400
400
δ top (m)
δ top (m)
0
0
0,00
0,02
0,04
0,06
0,08
0,10
0,12
0,00
0,02
0,04
0,06
6 piani, H fascia = 0.5m
6 piani, H fascia = 1.0m
2000
2000
PARETE 7
F b (kN)
1600
1200
P.G.A.= 0,75g
1600
P.G.A.=0,38g
800
0,12
Fascia debole
Puntone
Trave
Fascia calibrata
P.G.A.= 0,46g
1200
P.G.A.=0,46g
0,10
PARETE 8
F b (KN)
Fascia debole
Puntone
Trave
Fascia calibrata
0,08
P.G.A.= 0,59g
800
P.G.A.=0,51g
P.G.A.=0,14g
P.G.A.= 0,13g
400
400
δ top (m)
0,00
δ top (m)
0
0
0,02
0,04
0,06
0,08
4 piani, H fascia = 0.5m
Fig. 4.11: Push-over per le pareti 5, 6, 7, 8.
0,10
0,12
0,00
0,02
0,04
0,06
0,08
0,10
0,12
4 piani, H fascia = 1.0m
L’ulteriore rafforzamento delle fasce di piano con cordoli e piattabande aderenti
comporta un ulteriore sensibile incremento sia di resistenza che duttilità. In questi casi si
97
arriva a vulnerabilità sismiche dell’ordine di 0.40g con punte anche di 0.75g. Tale
configurazione della fascia di piano è peraltro quella corrispondente agli edifici di nuova
realizzazione (i cosiddetti edifici della 3a classe), per cui si rileva ancora una volta che tale
tipologia costruttiva è in realtà notevolmente affidabile in zona sismica, e che valori del
coefficiente di struttura anche superiori a 3 siano applicabili anche agli edifici in muratura,
se assimilabili a tale classe.
Per quanto riguarda i casi di fascia calibrata, si osserva che i miglioramenti
conseguiti in termini di vulnerabilità sismica non sono significativi ed a volte si hanno
anche peggioramenti. Pertanto, almeno per la casistica considerata, non sembrerebbe
particolarmente conveniente adottare una procedura iterativa di riduzione generalizzata
della resistenza delle fasce di piano, come quella utilizzata nei casi qui presentati.
I risultati ottenuti sono abbastanza costanti anche al variare della geometria delle
pareti e delle fasce di piano, a parità di comportamento strutturale degli elementi di fascia.
Viceversa è abbastanza ovvio che le pareti più basse presentino livelli di sisma sopportabili
più alti, anche se il comportamento globale esibito non si differenzia molto
all’incrementarsi del numero dei piani. Allo stesso modo, per le pareti più alte, ad una
riduzione di resistenza si accompagna un incremento di deformabilità (e quindi di duttilità)
con un comportamento complessivo comunque piuttosto buono.
Si ha che il collasso viene raggiunto sempre per attingimento della rotazione ultima
in qualche cerniera plastica o dei maschi murari o delle travi. Viceversa, mentre spesso si
raggiunge il limite di resistenza a taglio in alcuni dei maschi murari, mai, nei casi studiati,
si è arrivati alla rottura per deformazione ultima per taglio.
C’è da notare però che, nel caso di fasce di piano funzionanti a puntone, l’attivazione
della cerniera plastica corrisponde ad un comportamento limite a taglio e presso flessione
combinato, per cui l’attingimento della deformazione ultima non è da considerarsi come
una vera e propria rottura a flessione in quanto coinvolge anche il funzionamento a taglio.
Si ricorda ancora che nel caso di fasce di piano con comportamento a trave, la rottura
a taglio dei traversi non si è considerata possibile, in quanto è implicito il fatto che bisogna
garantire all’elemento un comportamento il più duttile possibile, prendendo gli opportuni
provvedimenti in termini di resistenza a taglio.
Nel caso di fasce di piano deboli, come ovvio, i maschi murari si comportano come
mensole a tutta altezza e, quindi, nel caso specifico, raggiungono il momento ultimo alla
base. La rottura della parete, però, è dovuta all’eccesso di deformazione degli elementi di
98
fascia ai piani più alti, condizionando quindi pesantemente la capacità della parete a
sopportare il sisma.
Le dimensioni delle fasce di piano sono chiaramente ininfluenti, in questo caso, sulla
deformata a collasso delle pareti. Viceversa, negli altri casi (fascia-puntone e fascia-trave),
la maggiore altezza degli elementi orizzontali, pur non influenzando in maniera
significativa la vulnerabilità della parete in termini di PGA, sposta la configurazione
deformata a collasso della parete verso meno rassicuranti meccanismi di piano, con rotture
finali a flessione nei maschi murari e con un maggiore impegno a taglio dei maschi stessi,
che spesso raggiungono i corrispondenti limiti di resistenza; ciò soprattutto quando le
dimensioni dei maschi sono paragonabili a quelle delle fasce di piano (pareti del primo
gruppo) e quando queste ultime sono maggiormente resistenti (fascia-trave). Ed infatti si
verificano rotture a taglio nei maschi murari per fessurazione diagonale solo nel caso di
fasce di piano alte con comportamento a trave. Miglioramenti significativi in tal senso si
hanno calibrando la resistenza delle fasce rispetto a quella dei maschi (fascia calibrata): in
tal modo si riesce sempre ad evitare che le rotture avvengano nei ritti e si riduce in modo
significativo anche la formazione di cerniere a taglio negli stessi ritti, restituendo quindi
validità alle procedure di progetto basate sui criteri di capacity design.
L’analisi parametrica mette in luce il ruolo strategico della fascia di piano nei
confronti della risposta sismica degli edifici, quando l’impalcato consente di impegnare le
pareti come controventi (nel proprio piano). Infatti la configurazione strutturale dei
pannelli di fascia, che può assumere assetti molto diversi nel costruito storico e/o a seguito
di possibili interventi di consolidamento, determina, alla luce delle modellazioni esaminate
e delle analisi numeriche svolte, comportamenti sismici delle pareti molto diversi.
Questo risultato può essere utile anche per limitare il consolidamento dell’edificio
alle sole fasce determinando così un intervento strutturale moderato e quindi
maggiormente compatibile con le esigenze di conservazione del fabbricato.
Dato il ruolo strategico che assume la fascia di piano nel determinare il
comportamento sismico della struttura e gli scarsi riferimenti presenti sia in normativa che
in letteratura e le problematiche riscontrate nella modellazione del comportamento
meccanico si è deciso di svolgere una campagna sperimentale per indagare il
comportamento sismico della fascia di piano con la presenza di una catena nel caso di
evento sismico.
99
Capitolo 5
Analisi sperimentali sull’elemento fascia “storico” e “moderno”
5.1 Individuazione delle tipologie strutturali delle fasce di piano
Appurato il ruolo strategico che assume la fascia nel determinare il comportamento sismico
della parete muraria e quindi dell’intero edificio in muratura e la mancata chiarezza da
parte delle normative vigenti europee e americane nel considerare in modo univoco
l’efficacia dell’accoppiamento della fascia, si è focalizzata l’attenzione sul comportamento
meccanico che questo elemento ha durante un evento sismico.
Si è quindi condotta una campagna sperimentale su elementi murari in scala ridotta
(1:10) per valutare non solo i valori di resistenza, ma anche le capacità deformative di tale
elemento (del tutto sottaciute al momento dalla normativa italiana OPCM 3274).
Partendo dalle diverse morfologie che la fascia può assumere nel costruito storico riportate
nel par. 4.2.1 si possono considerare tre differenti tipi di comportamento strutturale.
a) fascia priva di significativa capacità di accoppiamento (fascia debole)
Questa tipologia comprende le fasce di piano caratterizzate da piattabande ad arco o
con elementi lignei o metallici semplicemente appoggiati, senza ancoraggi, alle spalle dei
vani. Esse sono tipiche degli edifici più antichi con orizzontamenti a volte o con solai con
travi parallele in legno od acciaio e sono prive in pratica di qualsiasi elemento tensoresistente [Fig. 4.4]. In genere alla loro conseguente "debolezza" è associata anche
l’inaffidabilità dell’impalcato ad assicurare un comportamento a diaframma rigido.
La mancanza di affidabile resistenza a trazione della muratura comporta l'incapacità
di resistere a taglio e flessione e quindi di accoppiare i maschi murari se la parete è
soggetta a forze orizzontali.
b) fascia con comportamento a puntone (fascia-catena)
In questa tipologia rientrano le fasce di piano dotate di almeno un elemento
orizzontale resistente a trazione, che sia efficacemente ancorato in modo da impedire
spostamenti relativi tra i singoli pannelli della fascia [Fig. 4.6]. Pertanto può nascere
all'interno della fascia di piano uno sforzo normale orizzontale di compressione (di valore
100
non noto) che rende il pannello simile ad un maschio murario, con un comportamento a
puntone equivalente (Magenes et al., 2000), (Liberatore, 2000). La differenza sostanziale è
che nel pannello di fascia il valore dello sforzo normale che nasce al suo interno e del
taglio che il pannello stesso può trasmettere sono in relazione diretta tra loro (Calderoni et
al., 2007), mentre nei maschi murari lo sforzo normale è noto e non dipende dal taglio
agente.
In ogni caso la possibilità di attivarsi di tale meccanismo, come si mostrerà nel
seguito, dipende anche dalla forma (snellezza) del pannello di fascia.
c)
fascia con comportamento a trave (fascia-trave)
In questa categoria rientrano tutte le fasce di piano dotate di armature aderenti sia
inferiormente che superiormente (sotto forma ad es. di cordoli, piattabande ben ammorsate
o continue, catene aderenti etc.) [Fig. 4.5]. È possibile allora l'attivazione di un vero e
proprio comportamento flessionale a trave, con resistenza a taglio e a flessione
praticamente disaccoppiate e valutabili come per una trave in muratura armata. È chiaro
però che, in mancanza di specifiche armature, il taglio trasmissibile è limitato comunque
dalla resistenza a taglio del materiale muratura, che costituisce la parte centrale (anima)
della trave e non già dai massimi momenti flettenti sopportabili dalle estremità della trave.
5.2 Caratterizzazione morfologica delle fasce di piano storiche in area
napoletana
Si sono condotte ricerche sulle caratteristiche morfologiche e dimensionali delle fasce di
piano nel costruito storico napoletano per i tre cronotipi fondamentali – individuati per gli
elementi in muratura ordinaria – che caratterizzano l’edilizia storica napoletana in tufo
giallo tra il XVI e il XX secolo, di cui si è discusso nel par. 2.2. Tali caratteri costruttivi
sono stati identificati nel corso di sopralluoghi coordinati dal prof. arch. Luigi Guerriero e i
risultati del lavoro sono anticipati in parte in: Calderoni B., Cordasco E.A., Guerriero L.,
Lenza P.: Experimental analysis of spandrels in historical and modern URM buildings in
Naples area (c.s.).
101
In particolare si sono precisati i caratteri determinati dalla speciale funzione
costruttiva assolta dalle fasce di piano, che consiste nel trasferimento del suo peso proprio
e di parte del solaio o della volta ai maschi murari adiacenti il vano.
In questi elementi costruttivi speciali si viene ad instaurare un meccanismo ad arco,
per cui pur presentando la fascia un intradosso orizzontale o leggermente arcuato i conci
sono disposti di coltello, così da poter trasmettere meglio gli sforzi di compressione, con la
configurazione tipica dell’arco, svolta però nel caso particolare di freccia nulla.
Tutti i trattatisti dell’Ottocento hanno considerato il vano con profilo intradossale
piano come un caso particolare dell’arco a freccia nulla indicando come disposizione
ottimale per i conci quella per cui le facce degli elementi lapidei avessero dei piani di
taglio tali che il loro prolungamento si congiungesse in un unico punto. Nella realtà
costruttiva si è potuto osservare tale tendenza, pur non essendo rigorosamente rispettata.
Si ha quindi che sull’apertura è allestito un archetto ad intradosso orizzontale,
realizzato con elementi lapidei appositamente lavorati, sovrapposti per due o tre ordini, che
occupa una parte a volte significativa dell’estensione della fascia muraria.
Talvolta, la struttura ad arco presenta un profilo intradossale lievemente rialzato,
regolarizzato con alcuni piccoli conci sagomati a cuneo o con materiale minuto (con
funzione di casseforma), sostenuti da tavole lignee di modesto spessore.
In alcuni casi si è riscontrata la presenza di fasce ordite secondo le caratteristiche
tipiche del cronotipo a cui appartengono (a filari o a cantieri) sovrapposti su tavole lignee
di altezza pari a 7-9 cm che interessano l’intero spessore. Ciò si è potuto osservare nella
maggior parte dei casi per gli edifici a carattere rurale, per i vani di luci piccole disposti al
primo o al massimo al secondo piano, con parti di muro superiore non eccessivamente alte;
si evidenzia, comunque, una particolare conformazione di tali elementi, pur non
interrompendo la continuità del partito murario.
Ad esemplificazione di tale tipologia si riportano in Fig. 5.1 i particolari dei due vani
della facciata ovest della masseria Prati, sita nel comune di Piana di Monteverna (CE),
databile alla fine dell’Ottocento. Si nota sia per l’apertura del primo piano che del secondo
la disposizione dei conci a filari disposti su tavole non efficacemente ammorsate sui muri
adiacenti, portando in un caso al suo sfilamento. Per il vano del primo piano i conci, quasi
tutti di forma quadrata, sono disposti in modo tale da ottenere un profilo intradossale
leggermente arcuato, tanto che la piattabanda non sembra svolgere alcuna funzione di
sostegno. La piattabanda al secondo piano è costituita da cinque elementi lapidei, disposti
102
di fascia, di forma differente rispetto a quelli che caratterizzano il partito murario; di
altezza tale che sommata allo spessore della piattabanda lignea raggiungono la quota dei
filari adiacenti. Risulta di particolare interesse la forma marcatamente cuneiforme del
concio di chiave e il taglio obliquo delle facce dei due conci addossati.
b)
a)
Fig. 5.1: Piana di Monteverna (CE), masseria Prati, particolari della fronte di ingresso.
In Figg. 5.2 e 5.3 si riportano i prospetti di due edifici rurali, siti a Casoria (NA) in
località Lufrano, databili a metà Ottocento. In entrambi i casi gli elementi lapidei del primo
filare, appoggiati almeno inizialmente su una piattabanda lignea, sono blocchetti di tufo di
larghezza inferiore rispetto ai conci adiacenti e con un rapporto di forma h:l inferiore ad
1:1.
Fig. 5.2: Casoria (NA), località Lufrano
103
Fig. 5.3: Casoria (NA), località Lufrano
Fig. 5.4: Napoli, ospedale “Incurabili” fronte su via Longo
Si è riscontrato che in tutti i casi in cui era necessaria la presenza di un elemento
resistente a flessione venivano utilizzate delle tavole lignee che, in talune occasioni, sono
state sostituite in seguito a lavori di ristrutturazione o rinforzo da putrelle in ferro o da travi
in calcestruzzo armato. Tale caso si può osservare in Fig. 5.4 dove è rappresentato un vano
del prospetto orientale dell’ospedale gli Incurabili, al di sopra del quale è stato inserito un
elemento in calcestruzzo armato, efficacemente ancorato nelle spalle dei muri adiacenti,
con lo scopo di mantenere la parte di muro superiore.
104
Per meglio valutare i caratteri morfologici delle fasce appartenenti ai tre cronotipi si
sono redatte delle schede fotografiche e di rilievo (sommario) dei prospetti a vista in cui
fosse chiara la tessitura muraria adoperata per apparecchiare l’elemento di fascia [Fig. 5.5].
Si è evidenziato in primo luogo la morfologia della fascia nella sua globalità, data sia dal
rapporto dell’altezza di muratura compresa tra due vani successivi in elevazione e la luce
dell’apertura (H/L), sia dal rapporto tra l’altezza della piattabanda e quella della fascia
(H1/H). Successivamente vengono analizzate le peculiarità della tessitura dell’archetto e gli
elementi morfologicamente caratterizzanti, evidenziando le dimensioni dei conci di tufo
disposti di coltello (lc, hc) e confrontandole con quelle degli elementi ordinari che
interessano la restante muratura (lt, ht). Infine è stato evidenziato in che modo viene risolto
il passaggio dall’apparecchiatura della piattabanda a quella tipica del cronotipo, dalla cui
osservazione si può evincere se la piattabanda è stata costruita contemporaneamente alle
pareti o in una fase successiva. In Fig. 5.5 è mostrato uno schema di rilevo di una fascia di
piano, in cui sono indicate le grandezze considerate per valutarne le caratteristiche
morfologiche.
Fig. 5.5: Rappresentazione di fascia e delle dimensioni analizzate
Il rinvenimento di poche fasce appartenenti al XVI ed al XVII secolo durante i
sopralluoghi svolti non permette di dare precise indicazioni, pur essendo lecito supporre
che le stesse siano allestite a cantieri, per cui le piattabande sono spesso costituite da
semplici tavole lignee. Talvolta però si rinvengono anche piattabande ad arco realizzate
105
con scapoli di tufo giallo di modeste dimensioni, grossolanamente sagomati a cuneo, con
giunti di malta di notevole spessore. La stabilità della fascia è assicurata dalla buona
qualità della malta che determina una omogeneità della corrispondente muratura.
Un maggior numero di casi è stato, invece, possibile raccogliere per le tipologie
apparecchiate a filari del XVIII e del XX secolo.
Per le fasce tardo–settecentesche e ottocentesche, spesso, si è riscontrato nella
piattabanda l’uso di due o tre filari di laterizi in combinazione ai conci di tufo,
probabilmente proprio per la funzione particolare che questa assolve nel trasferimento dei
carichi.
Le fasce osservate sono per la maggior parte tozze (H/L>1) fino a valori di 2 con
un’estensione della piattabanda pari a circa il 30-50% della fascia; solo in rari casi è pari al
100%.
In sintesi le fasce settecentesche sono realizzate a filari di bozzette, con piattabande
sottostanti realizzate con elementi lapidei d’altezza pari a quella del pietrame destinato ai
paramenti e di lunghezza leggermente inferiore. In questo caso i giunti di malta sono
piuttosto grossi, consentendo una scarsa lavorazione a cuneo degli elementi disposti di
coltello. Le piattabande hanno gli intradossi piani, costituiti raramente da sottoarchi,
eventualmente realizzati con materiale minuto e malta.
Ad esemplificazione di questa tipologia si riportano le fasce rinvenute a Napoli, in un
edificio fondato nell’alto Medioevo sito alla via S. Biagio dei Librai al n° 36, che
estesamente consolidato nel XVIII secolo, presenta un’elevata complessità data dalla
mancata omogeneità della tessitura muraria, assumendo differenti soluzioni anche per gli
elementi di fascia.
La piattabanda lapidea all’estremità sinistra del secondo impalcato [Scheda 5.1] è
costituita da un doppio ordine di conci di tufo alternati a due filari di mattoni con
connessure orizzontali sfalsate e si estende per circa la metà dell’elemento murario al di
sopra del vano. I conci non presentano una particolare lavorazione a cuneo e sono
leggermente più alti (hc > ht) e di lunghezza inferiore (lc < lt) rispetto agli elementi ordinari.
Si nota una sostanziale continuità di tessitura tra la piattabanda e la parte di muratura
adiacente.
All’estremità destra dello stesso impalcato [Scheda 5.2] si osserva una fascia
realizzata con soli conci di tufo di forma leggermente più tozza rispetto agli elementi dei
setti murari. Pur non essendo particolarmente sagomati, gli elementi lapidei sono disposti
106
con le facce inclinate, realizzando una superficie di estradosso orizzontale ed un profilo di
intradosso leggermente curvo ottenuto con una casseforma costituita da malta e materiale
minuto stesa su una piattabanda lignea. La realizzazione della fascia sembra avvenuta in
sostanziale continuità con le parti di muro adiacenti.
In corrispondenza del terzo e quarto impalcato [Scheda 5.3] sono visibili due fasce
interamente in conci di tufo, disposti in verticale probabilmente per due filari, della stessa
dimensione e forma di quelli adoperati per realizzare la tessitura ordinaria.
In un altro edificio, in via Longo, si possono osservare all’ultimo piano fasce molto
tozze (H/L=2) [Scheda 5.4], apparecchiate con un doppio ordine di elementi lapidei,
sostanzialmente analoghi ai conci di tufo dei paramenti murari adiacenti rispetto ai quali si
nota una continuità di soluzione.
Sul prospetto orientale dell’Albergo dei Poveri [Scheda 5.5] si osservano fasce
settecentesche con tessitura omogenea, costituite da tre ordini di conci di tufo disposti in
verticale, alternati a tre strati di elementi laterizi con letti di malta orizzontali
accuratamente sfalsati e giunti verticali leggermente inclinati. La piattabanda lapidea
interessa una porzione di fascia notevole pari a circa un terzo.
Dall’esame del prospetto sud dell’ala settecentesca del complesso di S. Lorenzo ad
septimum ad Aversa [Fig. 5.6] è possibile riscontrare una notevole varietà di soluzioni per
la realizzazione delle fasce. Al primo piano le piattabande sono caratterizzate da conci di
tufo più snelli rispetto a quelli ordinari, sagomati a cuneo solo in corrispondenza della
parte centrale del vano, alternati a due strati di elementi laterizi con profilo intradossale
curvo e superficie estradossale talvolta curva ed altre piana, interessando un’altezza pari a
circa la metà dell’intera fascia.
Al secondo impalcato le piattabande assumono una conformazione ad arco con
estradosso curvo attestandosi sulle cornici lapidee della finestra, in sommità a forma di
timpano. In sostanza la conformazione degli elementi lapidei e dei laterizi è simile a quelli
precedentemente descritti.
Al terzo impalcato la piattabanda che interessa circa la metà dell’intera fascia è
costituita da soli elementi di tufo non sagomati con altezza pari a circa 13 cm, disposti
alternando un concio molto snello con due tozzi con particolare cura per lo sfalsamento
delle connessure orizzontali.
Le piattabande otto-novecentesche venivano realizzate con sottili giunti di malta e
con blocchi accuratamente sagomati a cuneo, caratterizzati da un’altezza minore (18-20
107
Fig. 5.6: Prospetto sud del Quarto dell’Abate, complesso di S. Lorenzo ad Septimum ad Aversa (rilievo
di R. Cestari, M. Pastore, A. Serracino, laboratorio di R.A. II Università Napoli, prof. arch. G. Fiengo,
a.a. 2005-2006)
cm) rispetto agli elementi ordinari (20-25 cm) e da una lunghezza variabile, fino a
raggiungere una notevole estensione (sino a circa 50 cm). L’uso di elementi anche molto
piccoli consentiva un discreto sfalsamento dei giunti lungo l’orizzontale. L’intradosso della
108
piattabanda è in alcuni casi leggermente arcuato, in altre occasioni veniva reso piano
costruendo sottoarchi, con conci di tufo opportunamente sagomati.
A Napoli, in via S. Gregorio Armeno n° 108 sono presenti a vista tre piattabande
lapidee, che pur se databili tutte all’Ottocento sono caratterizzate da tessiture notevolmente
diverse, a testimonianza ancora una volta dell’elevata complessità del costruito storico. La
parte superiore del vano in corrispondenza del lato destro del primo impalcato [Scheda 5.6]
è costituita da un triplo ordine di conci di tufo disposti in verticale con una leggera
curvatura ottenuta con materiale minuto e malta stesa sulla piattabanda lignea. In
particolare gli elementi lapidei leggermente sagomati a cuneo hanno un’altezza inferiore ai
blocchetti di tufo ordinari, adoperando sia elementi di forma rettangolare allungata (h:l
=1:1.7÷2.5) che quadrata; questi ultimi indispensabili per ottenere un piano orizzontale
continuo alla sommità della piattabanda in pietrame. Tale elemento presenta una superficie
di netta discontinuità nei confronti degli elementi murari adiacenti, tanto da poter supporre
la sua costruzione in una fase successiva a quella dei maschi.
Sul lato sinistro al secondo impalcato si può osservare una fascia [Scheda 5.7]
realizzata da un doppio ordine di conci di tufo sagomati a cuneo alternati a due filari di
mattoni, collocati ad arco a sesto ribassato su elementi in tufo che, poggiati su piattabanda
lignea, fungono da cassaforma.
Al secondo impalcato la fascia [Scheda 5.8] è realizzata interamente in tufo con
elementi a cuneo, di altezza superiore a quelli del partito murario ordinario, alternando un
concio con h:l = 1:2 con due quadrati (h:l = 1:1).
A Napoli, in piazza Garibaldi, ad angolo con Corso Umberto [Scheda 5.9] si sono
rilevate fasce di piano internamente all’edificio realizzato tra il 1894 e il 1904. Una di esse
è costituita da elementi lapidei sagomati a cuneo, snelli (h:l = 1:2.5), alti circa 20 cm a
differenza dei blocchetti di tufo (circa 25 cm) e disposti su un doppio ordine sia
internamente che esternamente con una netta corrispondenza dei giunti verticali sui due
lati, mostrando la continuità lungo lo spessore del muro. Anche in questo caso vengono
adoperati elementi lapidei di pareggiamento di lunghezza minore (circa 20 cm) di forma
trapezia. Si nota inoltre che i conci sui due lati delle spalle sulle quali scarica la piattabanda
sono accuratamente sagomati. La fascia del vano esterno [Scheda 5.10] è interamente
realizzata con elementi dimensionalmente analoghi a quelli precedenti, disposti di coltello
sovrapposti su tre ordini.
109
E’ stato possibile osservare nel complesso di S. Lorenzo ad septimum di Aversa [Fig.
5.7] il prospetto interno di una fascia, databile all’Ottocento, rinvenuta in un locale
prospiciente il ballatoio del chiostro sul fronte sud al secondo piano. Si evince un doppio
ordine di conci di tufo di forma piuttosto snella collocati su sottoarchi in tufo. In questo
caso l’estradosso della piattabanda lapidea ha un profilo curvo pareggiato adoperando
elementi speciali triangolari.
Fig. 5.7: Aversa, complesso di S. Lorenzo ad Septimum, facciata interna di un vano al secondo piano del
chiostro, lato Nord
Fig. 5.8: Napoli, fascia settecentesca
110
Fig. 5.9: Napoli, fascia ottocentesca
In generale si può ritenere, per la particolare funzione statica che assolve la
piattabanda, che gli elementi lapidei del nucleo interno siano di pezzatura analoga a quelli
dei paramenti e non realizzati con materiale minuto.
111
Napoli, via S. Biagio dei Librai, 36
Datazione: fine XVIII sec.
ELEMENTI CARATTERIZZANTI
TESSITURA:
Doppio ordine di conci di tufo alternati a due filari di
mattoni sfalsati lungo il piano
MORFOLOGIA DELLA FASCIA:
H/L = 1.07; H1 = 0.5 H,
MORFOLOGIA DELLA PIATTABANDA:
hc = 1-1.2 ht; lc=0.8 lt, gli elementi non sono sbozzati
a cuneo
SOLUZIONE DI CONTINUITÀ:
Continuità tra la piattabanda e i filari di muratura
sovrastanti
Scheda 5.1
112
Napoli, via S. Biagio dei Librai, 36
Datazione: XVIII sec.
ELEMENTI CARATTERIZZANTI
TESSITURA:
Doppio ordine di conci di tufo sfalsati lungo
l’orizzontale
MORFOLOGIA DELLA FASCIA:
H/L = 1.3; H1 = 0.40 H,
MORFOLOGIA DELLA PIATTABANDA:
hc=1.0 ht; lc = 0.8 lt, gli elementi non sono sbozzati a
cuneo;
SOLUZIONE DI CONTINUITÀ:
Realizzata in continuità con la muratura adiacente
separata da una superficie sub-orizzontale rispetto ai
filari superiori
Scheda 5.2
113
H
H1
L
Napoli, via S. Biagio dei Librai, 36
H
H1
L
Datazione: XVIII sec.
ELEMENTI CARATTERIZZANTI
TESSITURA:
Doppio ordine di conci di tufo sfalsati lungo
l’orizzontale disposti su sottoarco in tufo
MORFOLOGIA DELLA FASCIA:
H/L=2; H1=0.250H
MORFOLOGIA DELLA PIATTABANDA:
hc = ht, lc = lt, gli elementi non sono sbozzati a cuneo
SOLUZIONE DI CONTINUITÀ:
Superficie di separazione sub-orizzontale tra la
piattabanda e i filari di muratura sovrastanti,
sostanziale continuità
Scheda 5.3
114
Napoli, via Longo
H
H
H1
H1
L
L
Datazione: XVIII sec.
ELEMENTI CARATTERIZZANTI
TESSITURA:
Doppio ordine di conci di tufo sfalsati lungo
l’orizzontale su sottoarco di malta su tavola lignea
MORFOLOGIA DELLA FASCIA:
H/L = 1.57; H1 = 0.50 H
MORFOLOGIA DELLA PIATTABANDA:
hc=1-1.1 ht, lc=0.8-1 lt, gli elementi sono leggermente
sbozzati a cuneo;
SOLUZIONE DI CONTINUITÀ:
Superficie di separazione estradossale curva, è
permessa la continuità con la parte superiore
utilizzando elementi di pareggiamento orizzontali
Scheda 5.4
115
Napoli, Albergo dei Poveri, prospetto orientale
Datazione: metà XVIII sec.
ELEMENTI CARATTERIZZANTI
TESSITURA:
Tre ordini di conci di tufo alternati a due filari di
mattoni sfalsati lungo l’orizzontale
MORFOLOGIA DELLA FASCIA:
H/L = 2.00; H1 = 0.30 H,
MORFOLOGIA DELLA PIATTABANDA:
hc=ht; lc=lt, gli elementi non sono sbozzati a cuneo
SOLUZIONE DI CONTINUITÀ:
Superficie di separazione netta tra la piattabanda e i
filari di muratura sovrastanti
Scheda 5.5
116
Napoli, via S. Gregorio Armeno, 108
Datazione: XIX sec.
ELEMENTI CARATTERIZZANTI
TESSITURA:
Tre ordini di conci di tufo sfalsati lungo l’orizzontale
su sottoarco di malta su tavola lignea
MORFOLOGIA DELLA FASCIA:
H/L = 1.17; H1 = 0.6H,
MORFOLOGIA DELLA PIATTABANDA:
hc = 0.8-0.9 ht; lc = 1.5 lt; lc = 1.7-2.5 hc; conci
leggermente sbozzati a cuneo; l’intradosso è
leggermente arcuato
SOLUZIONE DI CONTINUITÀ:
Superficie di separazione netta tra la piattabanda e i
filari di muratura sovrastanti; probabilmente costruita
successivamente al muro
Scheda 5.6
117
Napoli, via S. Gregorio Armeno, 108
Datazione XIX sec.
ELEMENTI CARATTERIZZANTI
TESSITURA:
Conci di tufo alternati a doppio strato di mattoni
disposti su sottoarco di tufo
MORFOLOGIA DELLA FASCIA:
H/L=1.15; H1=0.56H,
MORFOLOGIA DELLA PIATTABANDA:
hc=1-1.1 ht; lc=0.9-1 lt; lc=1.2-1.5 hc, gli elementi
sono sbozzati a cuneo; l’intradosso è leggermente
arcuato
SOLUZIONE DI CONTINUITÀ:
Profilo estradossale curvo, con sostanziale continuità
tra i filari adiacenti e la piattabanda
Scheda 5.7
118
Napoli, via S. Gregorio Armeno, 108
Datazione: XIX sec.
ELEMENTI CARATTERIZZANTI
TESSITURA:
Doppio ordine di conci di tufo sfalsati lungo
l’orizzontale disposti su sottoarco in tufo (si alterna un
concio lungo a due medi)
MORFOLOGIA DELLA FASCIA:
H/L=1; H1=0.50H
MORFOLOGIA DELLA PIATTABANDA:
hc=1.3ht; lc=1-1.5hc; lc=2-2.5hc, gli elementi sono
sbozzati a cuneo; l’intradosso è arcuato
SOLUZIONE DI CONTINUITÀ:
Superficie di separazione netta tra la piattabanda e i
filaridi muratura sovrastanti
Scheda 5.8
119
Napoli, Piazza Garibaldi, angolo Corso Umberto
Datazione: 1894-1904
ELEMENTI CARATTERIZZANTI
TESSITURA:
Due ordini di conci di tufo sfalsati lungo i giunti
orizzontali su entrambe i lati
MORFOLOGIA DELLA FASCIA:
H/L=1.5; H1=0.5H,
MORFOLOGIA DELLA PIATTABANDA:
hc=0.8ht; lc=1.5-2lt, gli elementi sono riquadrati a
cuneo, profilo d’intradosso è arcuato
SOLUZIONE DI CONTINUITÀ:
Superficie di separazione netta tra la piattabanda e i
filari di muratura sovrastanti
Scheda 5.9
120
Napoli, Piazza Garibaldi angolo Corso Umberto
Datazione: 1894-1904
ELEMENTI CARATTERIZZANTI
TESSITURA:
Due ordini di conci di tufo sfalsati lungo i giunti
orizzontali su entrambe i lati
MORFOLOGIA DELLA FASCIA:
H/L=1.5; H1=H
MORFOLOGIA DELLA PIATTABANDA:
hc=0.8ht; lc=1.5-2lt, gli elementi sono riquadrati a
cuneo, profilo d’intradosso è arcuato
SOLUZIONE DI CONTINUITÀ:
Superficie di separazione netta tra la piattabanda e i
filari di muratura adiacenti
Scheda 5.10
121
Napoli, quartiere Poggioreale, via Aquileia 1
H
H1
L
Datazione: metà XIX sec.
ELEMENTI CARATTERIZZANTI
TESSITURA:
Doppio ordine di conci di tufo alternati a tre filari di
mattoni sfalsati lungo l’orizzontale
MORFOLOGIA DELLA FASCIA:
H/L=2.50; H1=0.30H,
MORFOLOGIA DELLA PIATTABANDA:
hc=0.8ht; lc=1-1.3lt, ,gli elementi non sono sbozzati a
cuneo, profilo d’intradosso leggermente arcuato
SOLUZIONE DI CONTINUITÀ:
Superficie di separazione netta tra la piattabanda e i
filari di muratura sovrastante
Scheda 5.11
122
Napoli, angolo via Stadera via S. Severino
H
H1
L
Datazione: XIX sec.
ELEMENTI CARATTERIZZANTI
TESSITURA:
Due ordini di conci di tufo sfalsati lungo i giunti
orizzontali
MORFOLOGIA DELLA FASCIA:
H/L=1.40; H1=0.3H
MORFOLOGIA DELLA PIATTABANDA:
hc=0.8ht; lc=0.8-1.6lt, gli elementi sono sbozzati a
cuneo
SOLUZIONE DI CONTINUITÀ:
Superficie di separazione netta tra la piattabanda e i
filari di muratura sovrastanti
Scheda 5.12
123
Napoli, quartiere Poggioreale, via S. Maria del Pianto 2A
H
H1
L
Datazione: XIX sec.
ELEMENTI CARATTERIZZANTI
TESSITURA:
Triplo ordine di conci di tufo sfalsati lungo
l’orizzontale
MORFOLOGIA DELLA FASCIA:
H/L=1.50; H1=0.40H,
MORFOLOGIA DELLA PIATTABANDA:
hc=1.2ht; lc=0.8lt, gli elementi sono riquadrati a
cuneo, profilo d’intradosso è arcuato
SOLUZIONE DI CONTINUITÀ:
Superficie di separazione netta tra la piattabanda e i
filari di muratura sovrastante
Scheda 5.13
124
Napoli, via S. Biagio dei Librai, 1
Datazione: metà XIX sec.
ELEMENTI CARATTERIZZANTI
TESSITURA:
Conci di tufo alternati doppio strato di mattoni disposti
su sottoarco in tufo e tavola lignea
MORFOLOGIA DELLA FASCIA:
H/L=1.17; H1=0.46H, hc=0.9ht
MORFOLOGIA DELLA PIATTABANDA:
hc=0.9ht; ,gli elementi sono sbozzati a cuneo;
l’intradosso è arcuato
SOLUZIONE DI CONTINUITÀ:
Superficie di separazione netta tra la piattabanda e i
filari di muratura sovrastanti; costruita
successivamente al muro adiacente
Scheda 5.14
125
Napoli, Via Egiziaca, 9
Datazione: fine XVIII sec.
ELEMENTI CARATTERIZZANTI
TESSITURA:
Tre ordini di conci di tufo sfalsati lungo l’orizzontale
su sottoarco in conci di tufo
MORFOLOGIA DELLA FASCIA:
H/L=2; H1=0.25H
MORFOLOGIA DELLA PIATTABANDA:
hc=ht; lc=lt, gli elementi sono leggermente sbozzati a
cuneo
SOLUZIONE DI CONTINUITÀ:
Superficie di separazione netta e a profilocurvo tra la
piattabanda e i filari di muratura sovrastanti
Scheda 5.15
126
5.3 Attività sperimentale sui modelli in scala ridotta
5.3.1 Realizzazione delle fasce di piano
La campagna sperimentale è stata condotta su elementi di fascia realizzati in scala
ridotta (1:10) la quale, come precedentemente detto, determina una limitazione
dell’indagine essendo impossibile applicare un criterio di rigorosa similitudine geometrica
e meccanica, in particolare a causa dello spessore dei giunti di malta. Ciò però non
pregiudica la valutazione qualitativa dei fenomeni, specie in termini comparativi tra i
provini appartenenti a diversi rapporti di snellezza e di differenti epoche storiche.
Il programma sperimentale ha previsto la realizzazione di 10 provini sia per il
cronotipo settecentesco (indicati con la sigla S) che per quello ottocentesco (nominati O),
tralasciando per il momento la sperimentazione sulle fasce d’epoca vicereale, non essendo
ancora del tutto certe le caratteristiche morfologiche e dimensionali. Inoltre sono stati
realizzati 15 campioni con ordinaria disposizione dei blocchi a filari orizzontali (muratura
ordinaria) [Fig. 5.10] e indicati con la sigla P, così da poter valutare come la presenza delle
piattabande con i conci disposti a cuneo influenza la rottura della fascia durante l’evento
sismico. I conci di tufo, sono stati ottenuti dal taglio di blocchi di dimensioni maggiori
prelevati dalla cava di Frullone per i provini in muratura storica e dalla cava di Quarto per i
campioni in muratura ordinaria. In particolare per l’allestimento dei provini storici tali
elementi sono stati “lavorati a mano”, in modo da simulare il materiale di spacco antico.
Per entrambe si è utilizzata una malta di calce e pozzolana, (una parte in volume di
grassello e tre parti di pozzolana).
Per ogni cronotipo analizzato, la larghezza dei provini è costante (14 cm), variando
l’altezza H in modo da ottenere tre diversi rapporti di snellezza, realizzando fasce snelle
(H/L ≅ 0.5), fasce intermedie (H/L ≅ 0.71) e tozze (H/L≅1.07). Per i diversi cronotipi le
altezze nell’ambito della stessa classe di snellezza variano leggermente a causa dell’uso di
conci dimensionalmente diversi per il loro allestimento [Figg. 5.10-5.12]. Gli spessori dei
provini, sono tali da essere rappresentativi della tipologia analizzata, per cui tra di loro
variano e sono pari a 4.5 cm per i campioni in muratura ordinaria, a 7.5 cm per
l’apparecchiatura settecentesca ed a 6.5 cm per i provini ottocenteschi.
Per le tre classi di snellezza realizzate l’altezza della piattabanda non è in rapporto
costante con l’estensione del provino, essendo più alta per i provini snelli (H1/H ≅0.6) e
minore per le fasce intermedie e tozze (H1/H ≅0.4) [Figg. 5.11,5.12].
127
..
Fig. 5.10: Dimensioni e tessitura delle fasce ordinarie
a)
b)
c)
Fig. 5.11: I tre rapporti di snellezza per le fasce settecentesche: a) H/L=0.5; b) H/L=0.8; c) H/L=1.17
Fig. 5.12: I tre rapporti di snellezza per le fasce ottocentesche: a) H/L=0.5; b) H/L=0.8; c) H/L=1.17
Per la realizzazione dei provini storici si è cercato di riprodurre, con le limitazioni
che permette la scala ridotta, il grado di lavorazione dei conci, la forma e la tessitura
riscontrate con maggiore frequenza nel patrimonio costruito, tralasciando per il momento il
caso di fascia realizzata con muratura listata.
Per entrambe i cronotipi storici si è realizzato un sottoarco di malta e materiale
minuto al di sopra del quale si sono affiancati trasversalmente tre strati di conci tra di loro
uniti solo dalla malta senza nessun collegamento trasversale, con i giunti orizzontali
sfalsati sia in elevazione che nello spessore del setto murario. È stato realizzato un piano di
128
discontinuità netta, ponendo uno strato di malta tra la piattabanda e la muratura sovrastante
realizzata a filari.
Fig. 5.13: Elementi speciali usati per l’allestimento delle piattabande dei provini a filari di bozzette
Fig. 5.14: Elementi ordinari usati per l’allestimento dei paramenti a filari di bozzette
Per i provini settecenteschi, di spessore pari a 7.5 cm, si sono adottati elementi della
stessa pezzatura per la piattabanda [Fig. 5.13] e per la muratura a filari [Fig. 5.14] (h=1.82cm; l=3.4 cm; t= 2.5 cm), differenziando solo la forma e aggiungendo nella costruzione
della piattabanda elementi speciali più piccoli di altezza pari ad 1.5-2 cm, atti ad assicurare
un buon sfalsamento dei giunti. La muratura sovrastante è stata realizzata da paramenti
esterni ottenuti con conci di altezza 2 cm, posizionati in modo da ottenere un discreto
sfalsamento dei giunti. Per ogni filare, all’estremità di ognuno dei paramenti è stato
disposto un concio trasversale, così come era avvenuto per la costruzione dei macromodelli
di muratura a filari di bozzette. Lo spazio interno è stato colmato con elementi di
dimensioni leggermente ridotte, pur conservando la stessa altezza, come si può vedere in
Fig. 5.15, nella quale sono riportate le fasi di allestimento di un provino settecentesco.
Per i provini otto-novecenteschi la piattabanda è stata realizzata disponendo elementi
lavorati a forma di cuneo a base quadrata 2x2 cm con tre diversi valori dell’altezza,
129
variabile tra 3 e 5 cm [Fig. 5.16]. Anche in questo caso si sono adottati elementi molto
piccoli (di forma quasi cubica).
Fig. 5.15: Fasi di allestimento della fascia tozza con filari a bozzette
Fig. 5.16: Elementi speciali usati per l’allestimento delle piattabande dei provini a filari di blocchetti
130
Fig. 5.17: Elementi ordinari usati per l’allestimento dei paramenti a filari di blocchetti
Fig. 5.18: Fasi di allestimento della fascia tozza con filari a blocchetti
131
I filari superiori sono stati allestiti con conci di altezza 2.5 cm e con dimensioni di
base pari a 2x4 cm o 2x3 cm, simulando un’apparecchiatura con blocchetti in rapporto 1:1
e 1:1.5 [Fig. 5.17]. Per ogni paramento un concio di punta è stato posizionato a chiusura
del provino. Lo spazio interno è stato riempito a sacco con malta e materiale minuto
[fig.5.18]
I provini in muratura ordinaria sono setti murari a due teste con conci di dimensioni
squadrati 2x2x4 cm e 2x2x3 cm, disposti in modo da ottenere un discreto sfalsamento sia
dei giunti orizzontali che nello spessore della muratura pari a 4.5cm. Per ogni filare è stato
disposto un elemento di connessione.
5.3.2 Prove definitorie
Sul tufo e sulla malta utilizzati per il confezionamento dei provini è stata svolta una
preventiva analisi sperimentale.
Sugli elementi di tufo sono state eseguite prove di compressione secondo le norme
UNI EN 772-1 e UNI EN 771-6. Pertanto sono stati schiacciati nove cubetti di tufo
provenienti dalla cava di Quarto (nominati con la sigla Q) e 9 provenienti dalla cava di
Frullane (nominati con la sigla F), di lato circa 70 mm.
I Provini Q sono stati sottoposti a prove a compressione semplice raggiungendo il
carico massimo in non più di un minuto dall’inizio della prova e hanno presentato a rottura
le classiche fessurazioni diagonali, con configurazione finale di tipo bipiramidale. La
resistenza a compressione è risultata piuttosto omogenea, variando tra 3.52 N/mm2 e 5.43
N/mm2, con un valore medio di 4.70 N/mm2, come nelle norma per tale materiale.
Pertanto, ai sensi del D.M. 20/11/87, risulterebbe una resistenza caratteristica del tufo
fbk=3.5 N/mm2.
I provini F sono stati sottoposti a prove di compressione a deformazione controllata
riscontrando valori compresi tra 2.35 N/mm2 e 5.28 N/mm2 con un valore medio di 3.91
N/mm2 e un modulo elastico pari a circa 780 N/mm2, valori tutti in accordo con quelli
registrati per la caratterizzazione di materiali per le prove a compressione sui macromodelli
in tufo. In Fig. 5.19 si riportano i grafici relativi alle suddette prove.
132
7
σ ( N/mm 2 )
6
5
4
F1
F3
F5
F7
F9
F2
F4
F6
F8
3
2
1
ε
0
0.0% 0.5% 1.0% 1.5% 2.0% 2.5% 3.0% 3.5% 4.0% 4.5% 5.0%
Fig. 5.19: Prove a compressione sul tufo F
Le prove sulla malta sono state eseguite in accordo alla UNI EN 1015-11 su otto
diversi campioni. La resistenza media a compressione ottenuta da tali prove è risultata di
2.06 N/mm2
Dei 15 provini realizzati in muratura ordinaria, due per ogni classe di snellezza (per
un totale di 6 campioni), sono stati sottoposti anche a prove di compressione semplice. Tre
prove sono state effettuate applicando il carico parallelamente ai letti di malta, e tre nella
direzione ortogonale ad essi. I risultati ottenuti in termini di massima resistenza a
compressione sono riportati in Tab. 5.1. Come si può rilevare da essa, si conferma che, per
la muratura di tufo, i valori di resistenza sono sostanzialmente indipendenti dalla direzione
di applicazione del carico [Calderoni, 1996]. Il valore medio della tensione massima
riscontrata è di 2.50 N/mm2, al quale corrisponde un valore caratteristico (D.M. 20/11/87)
fk=1.85 N/mm2.
Tale valore è solo leggermente inferiore a fk = 2.25 N/mm2, che si otterrebbe applicando la
tabella fornita dallo stesso D.M. 20/11/87, in funzione delle resistenze del tufo e della
malta ottenute dalle prove. Allo stesso modo la resistenza caratteristica a taglio risulta fvko
= 0.1 N/mm2.
133
H/L
Direzione di carico
Area
σmax
(risp. ai giunti orizz.)
di carico
(N/mm2)
(mm2)
1,07
parallela
45x150
2,62
1,07
ortogonale
45x140
2,51
0,71
parallela
45x100
2,16
0,71
ortogonale
45x140
2,33
0,50
parallela
45x70
2,99
0,50
ortogonale
45x140
2,41
Tab. 5.1: Resistenza a compressione dei provini murari
Per i provini in muratura storica sono state condotte due prove (una per ogni cronotipo) a
compressione a deformazione controllata, applicando il carico parallelamente ai giunti di
malta su provini di snellezza intermedia. Si è registrato per il provino ottocentesco σ pari a
1.6 N/mm2, mentre per la fascia settecentesca σ è pari a 2.15 N/mm2. per entrambi i
provini si nota un comportamento simile a quello riscontrato nei macromodelli registrando
una grande capacità defpormativa del materiale in fase post-elastica.
7
σ ( N/mm 2 )
6
5
Fascia '700
4
Fascia '800
3
2
1
ε
0
0.0% 0.5% 1.0% 1.5% 2.0% 2.5% 3.0% 3.5% 4.0% 4.5% 5.0%
Fig. 5.19: Prove a compressione sulle fasce realizzate secondo i due cronotipi settecentesco e ottocentesco
134
5.3.3 Apparecchiatura di prova e protocollo delle prove
I restanti provini murari sono stati sottoposti a prove tali da simulare il comportamento
delle fasce quando la parete muraria di cui fanno parte è soggetta ad azioni orizzontali.
Si è utilizzata una apparecchiatura di prova appositamente realizzata, costituita da un
telaio in acciaio orizzontale, nel quale è inserito un martinetto elettrico a funzionamento
anche ciclico, avente una capacità massima di carico statico di 25 kN [Fig 5.20]. Tale
martinetto esercita la forza alle estremità di due bracci rigidi in acciaio incernierati
inferiormente, collegati tra loro con un pendolo, realizzato con un tirante filettato. I due
bracci, ruotando insieme, sollecitano a flessione e taglio il provino murario contenuto tra le
due opposte estremità dei bracci stessi. Disponendo il pendolo in posizione diversa sui due
bracci, è possibile anche assegnare rotazioni differenti alle due facce del provino. In questa
fase della sperimentazione, comunque, tutte le prove sono state eseguite imponendo
sempre rotazioni uguali.
I bracci mobili ben riproducono il comportamento dei pannelli di nodo (rigidi) della
parete muraria, mentre il provino rappresenta il pannello di fascia di piano (deformabile).
Essendo fissi i due punti intorno ai quali ruotano i bracci di acciaio, le estremità del
pannello murario non possono spostarsi tra loro in corrispondenza del loro asse. In questo
modo si simula la situazione reale di fascia di piano dotata di un elemento resistente a
trazione (non aderente) disposto a metà altezza della fascia stessa.
Fig. 5.20: Schema dell’apparecchiatura di prova
135
Fig. 5.21: Dispositivo di prova realizzato
Per ciascuna delle tipologie geometriche di provino sono state eseguite due prove
cicliche ed una monotona, condotte tutte in controllo di spostamento. Più precisamente alle
estremità dell'elemento di fascia in prova è stata applicata una rotazione (uguale per le due
estremità) ottenuta mediante lo spostamento orizzontale imposto dal martinetto ai bracci
d'acciaio.
Nelle prove cicliche sono state eseguite nove step di carico di tre cicli ognuno,
essendo ciascuno step caratterizzato da una rotazione massima prefissata. In particolare, la
rotazione massima delle serie di tre cicli si è fatta variare da un minimo di 0.002 rad ad un
massimo di 0.018 rad (corrispondente ad uno spostamento orizzontale massimo dei bracci
di 10.8 mm). La legge di carico di tipo sinusoidale per i provini in muratura “moderna” è
stata data con un periodo T=10s ad ogni step di carico, mentre per i campioni con le
piattabande lapidee è stata fissata la velocità media pari a 0.48mm/s per ogni step di carico.
Nelle prove monotone si è raggiunta sempre una rotazione massima di 0.042 rad
(pari a 25 mm di spostamento del martinetto (δ)) ottenuta con una bassa velocità media di
incremento, pari a 0.4 mm/s per i provini in muratura moderna e 0.125mm/s per quelli in
muratura storica.
136
5.3.4 Risultati sperimentali
L'output di ogni prova è rappresentato da un diagramma F-δ, nel quale lo
spostamento è quello imposto, mentre la forza è quella misurata dalla cella di carico
inserita tra il martinetto ed il primo braccio. Dal diagramma F-δ si è poi ricavato
analiticamente il diagramma M-φ della fascia di piano.
Provini in muratura ordinaria
a
Step 3, φ=0.6%
b
Step 4, φ=-0.8%
c
d
Step 9, φ=-1.8%.
Step 9, φ=1.8%
Fig. 5.22: Fasi della prova ciclica per il provino P14 (H/L=0.5)
Analizzando le fasce in muratura ordinaria si ha che durante l'esecuzione delle prove
tutti i campioni hanno mostrato un quadro fessurativo caratteristico di rotture a taglio. La
forma e l'evoluzione delle lesioni è stata però diversa in relazione alla snellezza del
pannello provato.
Nelle Figg. 5.22-5.25 sono raffigurati per ogni classe di snellezza gli stati fessurativi
significativi, indicando per ciascuno di essi lo step di carico e la rotazione per cui si sono
manifestati.
137
a
b
φ=4.2%.
φ=-4.2%.
Fig. 5.23: Fasi della prova monotona per il provino P11 (H/L=1.07)
a
Step 4, φ=0%.
b
Step 6, φ=0%.
c
d
Step 9, φ=-1.8%.
Step 9, φ=-1.8%.
Fig. 5.24: Fasi della prova ciclica per il provino P10(H/L=1,07)
In generale, comunque, le lesioni si sono evidenziate essenzialmente in corrispondenza
dell’interfaccia tra i giunti di malta e i conci di tufo; esse poi, quasi sempre, si sono
formate inizialmente nella zona centrale del provino, per estendersi poi, all'aumentare del
carico esterno, verso gli spigoli.
138
In particolare, per i provini più snelli (H/L=0.5) le lesioni, al loro primo apparire,
mostrano un andamento obliquo al centro del pannello; ma, subito dopo, la lesione centrale
tende a proseguire sui due lati lungo i giunti orizzontali di malta [Fig. 5.22].
All'aumentare della rotazione imposta, poi, lo scorrimento avviene lungo tutto il
giunto di malta, interessando orizzontalmente tutta la lunghezza del pannello [Fig.5.22c],
tanto che al termine di una prova ciclica il provino risulta separato nei filari di blocchi che
lo compongono, anche se continua a mostrare una certa resistenza residua, dovuta
probabilmente all'attrito tra i filari stessi [Fig 5.22d].
Per i provini tozzi (H/L =1.07) le lesioni fin dal primo apparire seguono la diagonale
al pannello [Fig.5.23] e non modificano la loro inclinazione iniziale anche all'aumentare
della rotazione imposta, fino a rottura. Ovviamente, nel caso specifico di malta con bassa
resistenza a compressione, le fessure seguono il percorso definito dai giunti di malta senza
interessare il corpo degli elementi di tufo [Fig.5.23]. Nelle prove cicliche al di sopra di
certi valori di rotazione imposta, nelle zone triangolari superiore ed inferiore definite dalle
lesioni diagonali, si nota l'apparire di lesioni anche lungo i giunti orizzontali tra i filari
[Fig. 5.24d].
a
Step 3, φ=0%.
b
Step 5, φ=0%.
c
Step 7, φ=0%.
Step 9, φ=0%.
Fig. 5.25: Fasi della prova ciclica per il provino P2 (H/L=0.71)
d
139
Per i provini di snellezza intermedia (H/L=0.71) si è avuto corrispondentemente un
quadro fessurativo misto, nel quale convivono sia lesioni diagonali che fessurazioni
evidenti lungo i giunti orizzontali, soprattutto nelle prove cicliche [Fig.5.25].
In Fig. 5.26 è riportato l’andamento della lesione principale evidenziatasi durante la
prova monotona per le tre diverse classi di snellezza. Si nota che in tutti casi la lesione si
sviluppa all’incirca lungo la diagonale del provino, anche se tende a posizionarsi in
corrispondenza dei giunti tra i vari filari, mostrando una estensione maggiore in orizzontale
nei casi di minore snellezza. La prima lesione ha mostrato ovviamente un analogo
andamento anche nelle prove cicliche, nelle quali però, al susseguirsi dei cicli di carico si
sono manifestate, come detto, anche altre fessurazioni. E’ evidente comunque che il quadro
fessurativo e quindi anche la resistenza del pannello è influenzata sia dai rapporti
dimensionali tra altezza e lunghezza che dal tipo di tessitura muraria.
Fig. 5.26: Lesioni iniziali per le diverse classi di snellezza.
Dalla stessa figura si evince chiaramente che l’inclinazione della diagonale del
pannello, rispetto al piano verticale è in tutti casi superiore a 22°, che rappresenta l’angolo
di attrito corrispondente al coefficiente 0.4 fornito dalla norma per le verifiche a taglio per
scorrimento dei pannelli di maschi murari. Comunque l’inclinazione della diagonale dei
pannelli provati è in tutti i casi superiore o uguale a 45°, che può considerarsi pari al reale
angolo di attrito di primo distacco tra i filari di blocchi.
140
Ciò significa che un eventuale puntone compresso che volesse svilupparsi lungo la
diagonale in pratica non potrebbe farlo, almeno nei due casi più snelli: infatti la sua
inclinazione (cioè quella della risultante delle forze in esso agente) sarebbe superiore a
quella consentita dall’attrito interno della muratura, attivandosi prima lo scorrimento lungo
un piano orizzontale.
Le Figg. 5.27-5.29 rappresentano i diagrammi momento-rotazione ottenuti dalle
prove cicliche, relativamente a ciascuna snellezza geometrica considerata. Sugli stessi
diagrammi è anche riportata (sia per le escursioni positive che per quelle negative) la curva
della corrispondente prova monotona.
Dalle prove monotone si evince in tutti i casi un comportamento del pannello
sostanzialmente lineare nella fase di carico fino al raggiungimento della massima
resistenza. All’aumentare della rotazione si ha poi un ramo decrescente piuttosto ampio,
che mostra una caduta di resistenza significativa ma non brusca, unitamente ad una
capacità di mantenere una certa resistenza residua anche per rotazioni abbastanza elevate.
Le prove cicliche hanno evidenziato un degrado abbastanza graduale ma
significativo sia della resistenza che soprattutto della rigidezza. In ogni caso, comunque,
esse sono ben inviluppate dalle corrispondenti curve monotone.
In definitiva tutti i provini hanno evidenziato un comportamento degradante ma con una
inaspettata e non trascurabile capacità di deformazione in campo plastico.
In Tab. 5.2 sono riportati, per tutti i campioni provati, il momento ed il taglio massimo
raggiunti negli elementi durante le prove con la corrispondente rotazione. Inoltre, solo per
le prove monotone, sono anche indicate la rotazione ultima a rottura, intesa come quella
raggiunta quando il momento resistente si è ridotto al 50% di quello massimo, e la
corrispondente duttilità, calcolata come il rapporto tra la rotazione ultima e la rotazione
corrispondente alla resistenza di picco. Si può notare che essa, pur calcolata in modo molto
cautelativo (con riferimento al picco di resistenza e non al limite elastico) risulta comunque
significativa (3% - 4%). Si rilevano spostamenti ultimi (du) piuttosto elevati che giungono
fino al 3.71% di L, registrando solo per il provino intermedio un valore piuttosto basso pari
a 0.65%L.
141
75
M (Nm)
φ=0,2%
φ=0,4%
φ=0,6%
φ=0,8%
φ=1,0%
φ=1,2%
φ=1,4%
φ=1,6%
φ=1,8%
Monotona
75
M (Nm)
H/L=0.50
50
25
φ=0.2%
φ=0.4%
φ=0.6%
φ=0.8%
φ=1.0%
φ=1.2%
φ=1.4%
φ=1.6%
φ=1.8%
Monotona
50
25
0
-4.5%
-3.0%
-1.5%
0
0.0%
1.5%
φu
-25
3.0%
4.5% -4.5%
-3.0%
-1.5%
0.0%
φ (rad)
-50
-50
-75
-75
75
M (Nm)
φ=0.4%
φ=0.6%
φ=0.8%
φ=1.0%
φ=1.2%
φ=1.4%
φ=1.6%
φ=1.8%
Monotona
-3.0%
75
M (Nm)
H/L=0.71
50
25
-1.5%
φ=0,2%
φ=0,4%
φ=0,6%
φ=0,8%
φ=1,0%
φ=1,2%
φu
1.5%
3.0%
φ=1,4%
φ=1,6%
φ=1,8%
Monotona
φ=0,8%
φ=1,0%
φ=1,2%
φ=1,4%
φ=1,6%
φ=1,8%
Monotona
4.5% -4.5%
-3.0%
-1.5%
-3.0%
-1.5%
-50
-50
-75
-75
1.5%
3.0%
4.5%
φ (rad)
75
M (Nm)
H/L=1.07
25
-25
φu
b)
50
0.0%
H/L=0.71
0.0%
-25
φ=0,2%
φ=0,4%
φ=0,6%
φ=0,8%
φ=1,0%
φ=1,2%
φ=1,4%
φ=1,6%
φ=1,8%
Monotona
0
-4.5%
φ (rad)
25
φ (rad)
75
M (Nm)
φ=0,6%
4.5%
50
a)
Fig. 5.28: Diagramma M-φ: a) P1 e P3; b) P2 e P3.
φ=0,4%
3.0%
0
0.0%
-25
φ=0,2%
φu
b)
0
-4.5%
1.5%
-25
a)
Fig. 5.27: Diagramma M-φ: a) P14 e P15; b) P14 e P15.
φ=0.2%
H/L=0.50
H/L=1.07
50
25
0
1.5%
φu
3.0%
4.5%
φ (rad)
-4.5%
-3.0%
-1.5%
0.0%
-25
-50
-50
-75
-75
a)
Fig.5.29 Diagramma M-φ: a) P9 e P11; b) P10 e P11.
1.5%
φu
3.0%
4.5%
φ (rad)
b)
142
Provino
H/L
Tmax
(N)
Mmax
(Nm)
φ(Mmax)
φ(Mu)
μ
P13
0.50
416
29.12
0.55%
–
–
P14
0,.50
376
26.32
0.47%
–
–
P15
0.50
430
30.10
0.84%
2.61%
3.10
P1
0.71
430
30.10
0.11%
–
–
P2
0.71
430
30.10
0.20%
–
–
P3
0.71
388
27.16
0.31%
0.92%
2.89
P9
1.07
958
67.06
0.50%
–
–
P10
1.07
804
56.28
0.31%
–
–
P11
1.07
804
56.28
0.82%
3.47%
4.21
Tab. 5.2: Momento e rotazione ottenuti dalle prove sperimentali
Provini in muratura storica
Successivamente si è analizzato il comportamento delle fasce di piano nel caso degli
edifici storici, caratterizzate, molto spesso, come evidenziato nel capitolo precedente, dalla
presenza di piattabande lapidee.
Per ogni test sperimentale condotto, è stata redatta una scheda, dove viene riportato:
–
il diagramma F-d così come è registrato dall’apparecchiatura di prova,
–
il diagramma M-φ della fascia,
–
l’evoluzione del quadro fessurativo della fascia.
Si anticipa che:
–
per il provino O2 durante la prova alla fine del primo step vi è stato un movimento
accidentale del martinetto di circa 3.6 mm che ha provocato la rottura diagonale del
provino. Negli step di carico successivi per gli spostamenti positivi non si è quindi
registrata la massima forza. Si fa quindi riferimento ai valori e al diagramma
ottenuto per gli spostamenti negativi.
–
Per il provino O4 si sono avuti problemi relativi alla registrazione dei dati, per cui
si riporta solo l’evoluzione del quadro fessurativo.
143
PROVINO OTTOCENTESCO H/L=1.14, prova monotona – O1
1.8
240
M(Nm)
F(kN)
1.2
160
0.6
80
0
-27
-18
-9
0
0
-0.6
9
18
27
-4.5%
-3.0%
-1.5%
d (mm)
0.0%
1.5%
3.0%
4.5%
φ ( rad)
-80
-1.2
-160
-1.8
-240
d=25mm
d=-10mm
d=-25mm
d=-25mm
demolizione
demolizione
Scheda 5.16
144
PROVINO OTTOCENTESCO H/L=1.14, prova monotona – O2
240
1.8
d=1.2
d=2.4
d=3.6
d=4.8
d=6.0
d=7.2
d=8.4
d=9.6
φ=0.2%
φ=0.6%
φ=1.0%
φ=1.4%
φ=1.8%
F (kN)
1.2
d=10.8
φ=0.4%
φ=0.8%
φ=1.2%
φ=1.6%
M (Nm)
160
0.6
80
0.0
-27
-18
-9
0
0
9
18
27 -4.5%
-3.0%
-1.5%
0.0%
d (mm)
-0.6
-80
-1.2
-160
-1.8
-240
Dopo il I step d=3.6mm
Step4, d=-4.8mm
Step 5, d=6mm
Step 5 d=-6mm
Step 9, d=10.8mm
Step 9, d=-10.8mm
1.5%
3.0%
4.5%
φ (rad)
Scheda 5.17
145
PROVINO OTTOCENTESCO H/L=1.14, prova ciclica – O3
240
1.8
d=1.2
d=2.4
d=3.6
d=4.8
d=6.0
d=7.2
d=8.4
d=9.6
F (kN)
φ=0.2%
φ=0.6%
φ=1.0%
φ=1.4%
φ=1.8%
1.2
d=10.8
φ=0.4%
φ=0.8%
φ=1.2%
φ=1.6%
M (Nm)
0.6
80
0.0
-27
-18
-9
160
0
0
9
18
27
d (mm)
-4.5%
-3.0%
-1.5%
0.0%
-0.6
-80
-1.2
-160
-1.8
-240
Step 1 d=2.4mm
Step3, d=3.6mm
Step 3, d=-3.6mm
Step 8 d=9.6mm
Step 9, d=0mm
Step 9, d=0mm
1.5%
3.0%
4.5%
φ (rad)
Scheda 5.18
146
PROVINO OTTOCENTESCO H/L=0.77, prova monotona – O4
Prova non registrata
d=10mm
d=25mm
d=15mm
d=0mm
d=-25 mm
Fine prova
Scheda 5.19
147
PROVINO OTTOCENTESCO H/L=0.76, prova monotona – O5
240
1.8
M(Nm)
F(kN)
1.2
160
0.6
80
0
0
-27
-18
-9
0
-0.6
9
18
27
-4.5%
-3.0%
d (mm)
-1.5%
0.0%
1.5%
3.0%
4.5%
φ ( rad)
-80
-1.2
-160
-1.8
-240
d=10mm
d=25mm
d=15mm
d=-15 mm
d=-25 mm
Fine prova
Scheda 5.20
148
PROVINO OTTOCENTESCO H/L=0.76, prova ciclica – O6
1.8
d=1.2
d=2.4
d=3.6
d=4.8
d=6.0
d=7.2
d=8.4
d=9.6
240
φ=0.2%
φ=0.6%
φ=1.0%
φ=1.4%
φ=1.8%
F (kN)
1.2
d=10.8
φ=0.4%
φ=0.8%
φ=1.2%
φ=1.6%
M (Nm)
0.6
160
80
0.0
-27
-18
-9
0
0
9
18
27
-4.5%
-3.0%
-1.5%
0.0%
d (mm)
-0.6
-80
-1.2
-160
-1.8
-240
Step 4, d=0mm
Step 7, d=0mm
Step 9, d=-6mm
Step 9, d=-10.8
Fine prova
1.5%
3.0%
4.5%
φ (rad)
Fase di demolizione
Scheda 5.21
149
PROVINO OTTOCENTESCO H/L=0.57, prova monotona – O7
240
1.8
M(Nm)
F(kN)
1.2
160
0.6
80
0
0
-27
-18
-9
0
-0.6
9
18
27
-4.5%
-3.0%
d (mm)
-1.5%
0.0%
1.5%
3.0%
4.5%
φ ( rad)
-80
-1.2
-160
-1.8
-240
d=13 mm (fase di carico)
d=16 mm
d=21 mm
d=25.2 mm
d=-8 mm
d=-24mm
Scheda 5.22
150
PROVINO OTTOCENTESCO H/L=0.56, prova monotona – O8
1.8
d=1.2
d=2.4
d=3.6
d=4.8
d=6.0
d=7.2
d=8.4
d=9.6
240
φ=0.2%
φ=0.6%
φ=1.0%
φ=1.4%
φ=1.8%
F (kN)
1.2
d=10.8
φ=0.4%
φ=0.8%
φ=1.2%
φ=1.8%
M (Nm)
0.6
80
0.0
-27
-18
-9
160
0
0
9
18
27
-4.5%
-3.0%
-1.5%
0.0%
d (mm)
-0.6
-80
-1.2
-160
-1.8
-240
Step 3, d=-3.6
Step 4, d=4.8
Step 5, d=0
Step 6 d=7.2
Step 8 d=-9.6
1.5%
3.0%
4.5%
φ (rad)
Fine prova
Scheda 5.23
151
PROVINO OTTOCENTESCO H/L=0.56, prova ciclica – O12
1.8
d=1.2
d=2.4
d=3.6
d=4.8
d=6.0
d=7.2
d=8.4
d=9.6
240
φ=0.2%
φ=0.6%
φ=1.0%
φ=1.4%
φ=1.8%
F (kN)
1.2
d=10.8
φ=0.4%
φ=0.8%
φ=1.2%
φ=1.8%
M (Nm)
0.6
80
0.0
-27
-18
-9
160
0
0
9
18
27
-4.5%
-3.0%
-1.5%
0.0%
1.5%
d (mm)
-0.6
-80
-1.2
-160
-1.8
-240
Step 3,d=3.6 mm (fase di carico)
Step 4, d=-3.6 mm
Step 6, d=6 mm (fase di carico)
Step 7, d=-8 mm (fase di carico)
Step 8, d=-9mm
Step 9, d=-10.8mm
3.0%
4.5%
φ (rad)
Scheda 5.24
152
PROVINO SETTECENTESCO H/L=0.56, prova monotona – S9
1.8
240
M(Nm)
F(kN)
1.2
160
0.6
80
0
0
-27
-18
-9
0
-0.6
d= 10mm
9
18
27
-4.5%
-3.0%
d (mm)
-1.5%
0.0%
1.5%
3.0%
4.5%
φ ( rad)
-80
-1.2
-160
-1.8
-240
d=22,5 mm
153
Anche per i provini in muratura storica si è riscontrato sostanzialmente un quadro
fessurativo di rottura a taglio con un’evoluzione delle fessure diversa in funzione della
classe di snellezza e fortemente influenzata dalla presenza dei conci disposti di coltello.
In particolare per il caso di fascia snella (H/L≅0.50) si ha la formazione di lesioni che
mostrano un andamento obliquo. Si osserva in genere una rottura verticale tra i primi due
conci che diventa orizzontale per un piccolo tratto in corrispondenza della superficie di
separazione tra la piattabanda e i filari di muratura e successivamente attraversa i conci
disposti di coltello con un andamento obliquo fino a raggiungere l’estremo destro in
corrispondenza del quale non si hanno netti distacchi ma si evidenziano delle lesioni da
compressione per una zona pari a circa 1/3 dell’altezza della fascia. L’instaurarsi di
fenomeni di schiacciamento nelle zone di estremità è confermato dalla forma del
diagrammi M-φ relativi alle prove monotone, nei quali si nota un’ elevata duttilità del
meccanismo di rottura, tipica dello schiacciamento del puntone agli estremi. In sintesi si
evidenzia un comportamento misto taglio per rottura diagonale e rottura per compressione
delle estremità della fascia. Si ritiene che tale meccanismo si attivi proprio grazie alla
presenza degli elementi lapidei disposti quasi ortogonalmente alla risultante delle azioni,
impedendo l’instaurarsi di meccanismi di taglio per scorrimento orizzontale riscontrati
invece per le fasce di piano con orditura regolare. A fine prova si è notato un degrado
diffuso della fascia e solo in un caso (provino O12 – ottocentesco) le lesioni si sono
sviluppate in modo tale da creare la rottura completa della piattabanda lapidea.
Nel caso di fascia intermedia (H/L≅0.70) si ha la formazione di lesioni lungo la
diagonale, sia nella zona tessita regolarmente che in quella “speciale”, attraversando
l’intero provino e congiungendo i due spigoli opposti. Le lesioni piuttosto nette e definite
lungo piani obliqui sono tali che alla fine della prova monotona o dopo un numero elevato
di step di carico e scarico (φ= 1.6%) per le prove cicliche si ha il distacco totale di una
parte più o meno rilevante della piattabanda lapidea pur avendo ancora una capacità
resistente. Nella realtà si avrebbe quindi solo un crollo parziale della fascia, ma non della
parte sovrastante. Naturalmente tale crollo può essere impedito dalla presenza di una
piattabanda lignea o in ferro. Anche in questo caso la presenza di elementi speciali disposti
in verticale determina l’attivarsi di una rottura diagonale che nel caso di fasce a tessitura
moderna non era così evidente ed era associata ad una rottura diagonale che nel caso di
fasce a tessitura moderna non era così evidente ed era associata ad una rottura per
scorrimento orizzontale.
162
4000
4000
H/L=1.10
V (N)
H/L=1.10
V (N)
3000
3000
2000
2000
50% V max
50% V max
1000
1000
δδ//Hh
0
0.0%
1.0%
2.0%
3.0%
4.0%
δδ//Hh
0
0.0%
1.0%
2.0%
3.0%
4.0%
Fig. 30: curve monotone provini tozzi: a) cronotipo ottocento b) cronotipo settecento
4000
4000
H/L=0.76
V (N)
H/L=0.76
V (N)
3000
3000
2000
2000
1000
1000
50% V max
δ/Hh
δ/
0
0.0%
1.0%
2.0%
3.0%
4.0%
δδ/
/Hh
0
0.0%
1.0%
2.0%
3.0%
4.0%
Fig. 31: curve monotone provini intermedi: a) cronotipo ottocento b) cronotipo settecento
4000
4000
H/L=0.57
V (N)
3000
3000
2000
2000
77% V max
1000
0.0%
1000
δδ//Hh
0
1.0%
2.0%
3.0%
H/L=0.76
V (N)
4.0%
58% V max
δ/Hh
δ/
0
0.0%
1.0%
2.0%
3.0%
4.0%
Fig. 32: curve monotone provini snelli: a) cronotipo ottocento b) cronotipo settecento
163
Provino
H/L
O7
0.57
Tmax
(N)
1041
Mmax
(Nm)
72.90
φ(Mmax)
0.55%
φ(Mu)
μ
4.20%
7.64
(77%Mmax)
O8
0.57
1053
73.74
-
O12
0.57
847
59.30
-
O4
0.77
1194
83.55
1.90%
3.50%
1.84
(50%Mmax)
O5
0.77
0
0.00
-
O6
0.77
973
68.13
-
O1
1.14
2680
187.57
0.70%
2.00%
2.86
(50%Mmax)
O2
1.14
2344
164.08
-
O3
1.14
2150
150.50
-
Tab. 5.3 Momento e rotazione ottenuti sperimentalmente per i provini ottocenteschi
Provino
H/L
S9
0.57
Tmax
(N)
1027
Mmax
(Nm)
71.92
φ(Mmax)
1.30%
φ(Mu)
μ
4.20%
3.23
(58%Mmax)
S13
0.57
1318
92.24
-
S14
0.57
915
64.07
-
S10
0.77
1596
111.73
1.20%
3.30%
2.75
(50%Mmax)
S15
0.77
1446
101.21
-
s16
0.77
1374
96.17
-
S11
1.14
3194
223.60
0.80%
3.80%
4.75
(50%Mmax)
S18
1.14
2370
165.90
-
S17
1.14
2218
155.26
-
Tab. 5.4 Momento e rotazione ottenuti sperimentalmente per i provini
Analogamente a quanto fatto per i provini in muratura ordinaria si riportano in Tab.
5.3 e 5.4 le principali caratteristiche meccaniche riscontrate durante l’esecuzione della
164
prova. In particolare si rilevano valori molto alti dello spostamento ultimo pari a circa il
2.5% L, fino ad arrivare ad un valore pari a 4.33% (provino tozzo settecentesco)
Per i provini tozzi (H/L=1.07) si riconferma il tipo di rottura diagonale riscontrato
nel caso di tessitura regolare. Si evidenziano lesioni oblique che congiungono gli spigoli
opposti, portando anche in questo caso al distacco netto della parte inferiore della fascia.
In Figg. 5.30-5.32 sono riportate le curve monotone indicando il livello di
deformazione per il quale si ha un degrado di resistenza pari al 50%. Si evidenzia che per i
provini snelli in corrispondenza del limite deformativo ultimo, raggiunto per limiti della
corsa dell’apparecchiatura di prova, si ha un degrado di resistenza del 33% per il provino
ottocentesco e del 42% per il provino settecentesco.
240
240
M (Nm)
φ=0.2%
φ=0.6%
φ=1.0%
φ=1.4%
φ=1.8%
M (Nm)
φ=0.4%
160
φ=0.8%
φ=1.2%
φ=1.6%
80
Monotona
φ=0.2%
φ=0.6%
φ=1.0%
φ=1.4%
φ=1.8%
φ=0.4%
160
φ=0.8%
φ=1.2%
φ=1.6%
80
Monotona
0
-4.5%
-3.0%
-1.5%
0
0.0%
1.5%
3.0%
4.5%
-4.5%
-3.0%
-1.5%
0.0%
φ (rad)
-80
1.5%
-80
-160
-160
-240
-240
3.0%
4.5%
φ (rad)
Fig. 5.33: Diagramma M-φ: provini tozzi ottocenteschi, a) provini O1e O2, b) provini O1 e O3
240
M (Nm)
φ=0.2%
φ=0.6%
φ=1.0%
φ=1.4%
φ=1.8%
φ=0.4%
160
φ=0.8%
φ=1.2%
φ=1.6%
80
Monotona
0
-4.5%
-3.0%
-1.5%
0.0%
1.5%
-80
3.0%
4.5%
φ (rad)
-160
-240
Fig. 5.34: Diagramma M-φ: provini intermedi ottocenteschi, O5 e O6
165
240
240
d=1.2mm
d=2.4mm
d=3.6mm
d=4.8mm
d=6mm
d=7.2mm
d=8.4mm
d=9.6mm
d=10.8mm
Monotona
M(Nm)
180
120
180
120
60
60
0
-5%
-4%
-3%
-2%
-1%
d=1.2mm
d=2.4mm
d=3.6mm
d=4.8mm
d=6mm
d=7.2mm
d=8.4mm
d=9.6mm
d=10.8mm
Monotona
M(Nm)
0
0%
1%
2%
3%
4%
5%
-5%
-4%
-3%
-2%
-1%
0%
1%
2%
3%
4%
5%
-60
-60
φ
-120
φ
-120
-180
-180
-240
-240
Fig. 5.35: Diagramma M-φ: provini snelli ottocenteschi
240
240
M (Nm)
M (Nm)
φ=0.2%
φ=0.6%
φ=1.0%
φ=1.4%
φ=1.8%
φ=0.4%
160
φ=0.8%
φ=1.2%
φ=1.6%
80
Monotona
φ=0.2%
φ=0.6%
φ=1.0%
φ=1.4%
φ=1.8%
φ=0.4%
160
φ=0.8%
φ=1.2%
φ=1.6%
80
Monotona
0
0
-4.5%
-3.0%
-1.5%
0.0%
1.5%
4.5% -4.5%
3.0%
-3.0%
-1.5%
φ (rad)
-80
0.0%
1.5%
-160
-240
-240
4.5%
φ (rad)
-80
-160
3.0%
b)
a)
Fig. 5.36: Diagramma M-φ: provini tozzi settecenteschi, a) S11 e S17, b) S11 e S18
240
240
M (Nm)
M (Nm)
φ=0.2%
φ=0.6%
φ=1.0%
φ=1.4%
φ=1.8%
φ=0.2%
φ=4.2%
φ=0.8%
φ=1.2%
φ=1.6%
φ=0.4%
160
φ=0.8%
φ=1.2%
φ=1.6%
80
Monotona
φ=0.4%
160
φ=0.6%
φ=1.0%
φ=1.4%
80
Monotona
0
0
-4.5%
-3.0%
-1.5%
0.0%
-80
1.5%
3.0%
4.5%
φ (rad)
-4.5%
-3.0%
-1.5%
0.0%
-80
-160
-160
-240
-240
1.5%
3.0%
4.5%
φ (rad)
b)
a)
Fig.5.37: Diagramma M-φ: provini intermedi settecenteschi, a) S10 e S15 b)S10 e S16
166
240
240
d=1.2mm
d=2.4mm
d=3.6mm
d=4.8mm
d=6mm
d=7.2mm
d=8.4mm
d=9.6mm
d=10.8mm
Monotona
M(Nm)
180
H/L=0.56
120
60
180
120
60
0
0
-5%
-4%
-3%
-2%
-1%
d=1.2mm
d=2.4mm
d=3.6mm
d=4.8mm
d=6mm
d=7.2mm
d=8.4mm
d=9.6mm
d=10.8mm
Monotona
H/L=0.57
M(Nm)
0%
1%
2%
3%
4%
-60
5%
φ
-5%
-4%
-3%
-2%
-1%
0%
1%
2%
3%
4%
5%
-60
-120
-120
-180
-180
-240
-240
φ
Fig. 5.38: Diagramma M-φ: provini snelli settecenteschi
Le Figg. 5.33-5.38 rappresentano i diagrammi momento rotazione ottenuti dalle prove
cicliche, relativamente a ciascuna snellezza geometrica considerata confrontate con la
corrispettiva curva della prova monotona. Dal confronto si evince un comportamento
piuttosto analogo in termini di resistenza ad eccezione dei provini tozzi settecenteschi per i
quali si è riscontrato nelle prove cicliche un abbassamento pari a circa il 20%. Per la
deformabilità sembra, invece, incidere negativamente il degrado ciclico ma non di
deformabilità sulla quale sembra incidere negativamente il degrado ciclico, che comporta
una diminuzione della resistenza al crescere della deformazione. Nelle prove cicliche non
si è riscontrato quasi mai il comportamento estesamente duttile registrato per le prove
monotone, in particolare per i provini snelli e intermedi, per cui i valori elevati di
spostamento ultimo non sono del tutto confermati. Analizzando il degrado ciclico dei
campioni si ritiene di poter considerare valori pari almeno a 1.5% (in alcuni casi
cautelativo)
5.3.5 Considerazioni critiche sui risultati
Con riferimento alle sollecitazioni massime ed alle rotazioni ultime raggiunte nelle prove
risulta interessante confrontare i risultati ottenuti con le formule fornite dall’ultimo
aggiornamento dell’Ordinanza per la valutazione del momento resistente e della
deformazione ultima di una fascia di piano dotata di almeno un elemento tensoresistente.
Come già detto nel capitolo 4, l’OPCM 3431 fornisce due formulazioni. Nella prima
si fa riferimento al modello nel quale la capacità di accoppiamento della fascia è correlata
167
alla formazione di un unico puntone diagonale diretto nel verso delle forze orizzontali
agenti. Questo schema resistente, basato sullo sfruttamento della resistenza a compressione
del materiale anche per resistere a taglio, si può attivare, però, solo se esiste la possibilità
di assorbire uno sforzo assiale di trazione pari alla componente orizzontale dello sforzo di
compressione (inclinato) agente nel puntone.
Nell’attrezzatura di prova, la posizione dei bracci di carico è fissa, quindi il campione
non ha la possibilità di “allentarsi” e l’attivazione del meccanismo a puntone è comunque
possibile.
L’espressione corrispondente del taglio massimo proposta dall’ordinanza è la
seguente:
Hp
⎞
h ⎛
Vp = H p ⋅ ⋅ ⎜ 1 −
⎟
l ⎝ 0,85 f h ⋅ h ⋅ t ⎠
(1)
La seconda formulazione si riferisce invece ad un meccanismo di rottura a taglio
“classico”, connesso al raggiungimento di una massima tensione tangenziale sulla sezione
trasversale, come dalla seguente espressione:
Vt = htf v0
(2)
Per valutare effettivamente il comportamento meccanico della fascia di piano
soggetta ad evento sismico si valutano i meccanismi di rottura che si possono attivare per
un pannello di fascia soggetto a taglio ortogonalmente ai letti di malta e a sforzo normale
parallelamente ad essi, con uno sforzo normale strettamente collegato al massimo sforzo di
taglio. In Fig. 5.38 sono riportati tre tipi di rottura che si possono verificare oltre la rottura
per schiacciamento del puntone.
Scorrimento orizzontale
R
Scorrimento verticale
R
V
N
Trazione diagonale
R
V
N
N
H
V
τ
t
H
H
N
L
R
Fig. 5.39: Possibili meccanismi di rottura della fascia
L
V
t
σo
N
V
N
R
L
V
R
168
Per tutte le rotture si è considerato il contributo dello sforzo normale, messo in
relazione con il taglio. Si ha che:
N ⋅H =V ⋅L Æ N =
V ⋅L
H
Per lo scorrimento orizzontale si ha che:
N max = f vo ⋅ t ⋅ L + V ⋅ tgϕ Æ
V ⋅L
= f vo ⋅ t ⋅ L + V ⋅ tgϕ
H
H
⎛
⎞
Vmax = ( f vo ⋅ t ⋅ H ) ⎜ 1 − tgϕ ⎟
L
⎝
⎠
Se si considera il caso di scorrimento verticale si ha che:
Vmax = f vo ⋅ t ⋅ H + N ⋅ tgϕ Æ Vmax = f vo ⋅ t ⋅ H +
Vmax ⋅ L
⋅ tgϕ
H
L
⎛
⎞
Vmax = ( f vo ⋅ t ⋅ H ) ⎜ 1 − ⋅ tgϕ ⎟
H
⎝
⎠
Per entrambe le rotture nel caso in cui si trascuri l’effetto dell’attrito si ottiene la
formula proposta dall’ordinanza.
Se si considera la rottura diagonale per trazione si ha:
V = ft ⋅ t ⋅ H ⋅
σ
1
1+ 0
k
ft con k=L/H e 1<k<1.5
V = t 2 ⋅ H 2 ⋅ ft 2 ⋅
1 ⎛
V ⋅L ⎞
⋅ 1+ 2
⎟
2 ⎜
k ⎝
H ⋅ t ⋅ ft ⎠
Risolvendo l’equazione di secondo grado si ottiene:
V = ft ⋅ t ⋅ H ⋅
L
2⋅ H ⋅a⋅k2
⎛
4 ⋅ H 2 ⋅ a2 ⋅ k 2
⋅⎜1+ 1+
⎜
L2
⎝
⎞
⎟
⎟
⎠
169
1400
V(N)
1200
V-OPCM (fvo)
1000
Scor. Verticale
Scor. Orizzontale
Rottura diagonale
800
Puntone
600
400
200
H/L
0
0
0.25
0.5
0.75
1
1.25
Fig. 5.40: Confronto tra i dati sperimentali e le formulazioni della norma peri provini di tipo ordinario
170
3000
V(N)
2500
Puntone
V-OPCM
fvko=1/10
Rottura diagonale
2000
Scor. Orizzontale
1500
Scor. Verticale
1000
500
H/L
0
0
0.25
0.5
0.75
1
1.25
Fig. 5.41: Confronto tra i dati sperimentali e le formulazioni della norma peri provini ottocenteschi
171
4000
V(N)
3500
V-OPCM (fvo)
3000
Scor. Verticale
Scor. Orizzontale
Rottura diagonale
2500
Puntone
2000
1500
1000
500
H/L
0
0
0.25
0.5
0.75
1
1.25
Fig. 5.42: Confronto tra i dati sperimentali e le formulazioni della norma peri provini ottocenteschi
In Figg 5.40-5.42 sono diagrammati i risultati ottenuti sperimentalmente, in termini
di taglio massimo raggiunto in funzione del rapporto di snellezza (H/L) del pannello
provato. Sullo stesso grafico sono riportate le curve corrispondenti ai due meccanismi
resistenti indicati dalla norma e ai tre meccanismi di taglio sopra descritti. Per calcolare
questi valori si è considerato fh (cioè la resistenza a compressione in orizzontale) per la
muratura ordinaria pari al valore caratteristico della corrispondente tensione massima a
172
compressione (1.85 N/mm2) e per la muratura storica, avendo a disposizione una sola
prova a compressione per ciascun cronotipo, si è adottato il valore medio pari ancora ad
1.85 N/mm2. Per fvo ed ft si è assunto per la muratura ordinaria il valore di 0.0925 N/mm2.
pari a circa 1/20 della resistenza a compressione, mentre per la muratura storica si è
adottato un valore fittizio di fvo pari ad 1/10 fh, necessario per tenere conto dell’effetto
benefico provocato dalla presenza della piattabanda lapidea.
In tutti i casi si nota una buona corrispondenza tra i valori ottenuti sperimentalmente
e quelli ottenuti utilizzando la formulazione di Turnsek & Cacovic modificata.
Per quanto riguarda le capacità deformative dell’elemento di fascia l’Ordinanza non
da alcuna indicazione sui limiti, mentre per i maschi murari, indica i seguenti valori:
δu/L = 0,8%
δu/L= 0,4%
rottura a presso flessione
rottura a taglio
Per il primo tipo di rottura nel caso di muratura storica la rotazione ultima è
ulteriormente ridotta a 0.6%.
Dall’analisi delle rotazioni ultime osservate sperimentalmente si è riscontrato in media un
valore pari a circa 2%, quindi nettamente superiore a quelli indicati dalla normativa per la
rottura a taglio.
173
Capitolo 6
Valutazione della vulnerabilità sismica e delle modalità di
miglioramento su edifici storici in area partenopea: casi studio
6.1 Introduzione ai casi studio
L’obbiettivo del seguente capitolo è la valutazione della vulnerabilità sismica di edifici
storici in area napoletana e dell’efficacia degli interventi da attuare per conseguirne il
miglioramento sismico; si è tenuto conto delle tecniche costruttive adottate per la
realizzazione degli elementi murari, della stratificazione storica dell’edificio e delle
effettive capacità deformative degli elementi strutturali, riscontrati dalla prove sperimentali
descritte in questo lavoro.
I due edifici analizzati sono entrambe il prodotto delle modifiche, degli ampliamenti
e delle aggiunte succedutesi nei vari secoli e costruiti per la maggior parte in tufo con le
tecniche costruttive tipiche dell’area napoletana, raggiungendo entrambi altezze molto
elevate (17-23 m). I due fabbricati si distinguono per la destinazione d’uso originaria e per
la conseguente diversa configurazione assunta sia in pianta che in elevazione. Infatti il
primo (palazzo Petrucci a Napoli) con una forma piuttosto compatta, appartiene al tessuto
edilizio storico di Napoli, ed ha subito negli anni mutamenti di tipo tipologico e funzionale
portando all’aggiunta ed alla modifica degli ambienti.
La seconda fabbrica (Il complesso di S. Lorenzo ad septimum ad Aversa), invece, è
costituita da più parti costruite in epoche differenti che hanno un comportamento
strutturale tra di loro piuttosto indipendente e molto diverso.
I due casi studio sono stati scelti in modo da poter analizzare il comportamento di
fabbriche appartenenti sia alla categoria ordinaria che speciale, evidenziando anche
problemi relativi alla modellazione ed al tipo di analisi da condurre, essendo le strategie
d’intervento scelte strettamente connesse alla fase di valutazione.
174
6.2 Palazzo Petrucci a Napoli
6.2.1 Rilievo e configurazione strutturale della fabbrica
Il primo edificio oggetto di studio è sito nel centro antico di Napoli in corrispondenza del
decumano inferiore (via Benedetto Croce) ed è conosciuto come palazzo Petrucci dal nome
del proprietario che detenne l’immobile nella seconda metà del XV secolo. Le notizie sulle
sue vicissitudini storiche, la configurazione morfologica e i grafici di rilievo sono state
forniti da Helen Rotolo [H. Rotolo, 2003].
Il nucleo originario fu costruito nel XIV secolo, pur non conoscendo la data certa, e
subì numerosi ampliamenti, modifiche e consolidamenti nei secoli successivi fino a
raggiungere la configurazione attuale.
Fig. 6.1: prospetto di Palazzo Petrucci su P.zza S. Domenico Maggiore
L’edificio confina a sud-est con un fabbricato ad uso residenziale, avente lo stesso
numero di piani, in minima parte a nord-ovest con la chiesa di S. Arcangelo a Morfisa e a
Nord-Est con la scalinata fatta costruire nel XV secolo da Alfonso D’Aragona per accedere
alla suddetta chiesa. Tale scala si estende in pianta per poco meno della metà
175
dell’estensione dell’edificio su P.zza S. Domenico e raggiunge la chiesa in corrispondenza
del primo piano nobile dell’edificio.
Le facciate principali prospettano su via Benedetto Croce e su piazza S. Domenico
Maggiore, sulla quale è disposto l’ingresso.
Il fabbricato è situato presso l’estremo sud-occidentale della Neapolis greca, le cui
mura di IV secolo si trovano al di sotto di S. Domenico Maggiore – come rinvenuto da
alcuni scavi condotti nel XVII secolo e nel 1943 in corrispondenza della guglia di P.zza S.
Domenico Maggiore.
La presenza delle mura ha determinato per la basilica di S. Domenico Maggiore una
posizione differente rispetto agli altri spazi claustrali e alle chiese che fanno parte del
centro antico e che risultano disposte trasversalmente o longitudinalmente alle insulae.
L’orientamento della chiesa segue, infatti, la direzione delle mura greche utilizzate come
fondazioni.
Di conseguenza l’orientamento delle fabbriche appartenenti a questo isolato e
prospicienti su Via Benedetto Croce sono state quelle più condizionate da tale
orientamento. In particolare l’influenza è accentuata per Palazzo Petrucci che presenta un
lato su P.zza S. Domenico Maggiore, e che si configura secondo gli allineamenti imposti
dalla omonima basilica.
Palazzo Petrucci con un assetto geometrico in pianta piuttosto articolato, raggiunge
un’altezza di circa 23 m, ed è costituito da un piano terra, un piano ammezzato e da tre
livelli superiori.
Attualmente, i locali al piano terra che affacciano sulla strada e sulla piazza sono
adibiti a destinazione commerciale mentre quelli sul cortile interno sono utilizzati come
depositi e per attività varie. I vani ai piani superiori hanno destinazione d’uso
prevalentemente residenziale.
L’edificio presenta una configurazione tipologica a corte chiusa, è dotato di giardino
alla quota del piano nobile. Esso è costituito da sei vasti ambienti disposti in linea su via
Benedetto Croce dal piano terra fino al secondo e con i due muri longitudinali disposti ad
un interasse di 8.00 m. A questi vani è addossato il volume della scala che serve anche le
cellule abitative retrostanti e quelle disposte intorno alla corte interna. L’ala Nord-orientale
è costituita da altri quattro vani tra di loro allineati secondo una direzione più o meno
ortogonale a quella della facciata di S. Domenico Maggiore. I muri entro cui sono collocati
i suddetti ambienti hanno un interasse di circa 5.30 m. Vi sono inoltre una serie di ambienti
176
disposti anch’essi in linea in adiacenza all’altro edificio e compresi tra due muri
longitudinali con un interasse variabile tra 5.30 m e 6.30 m. Le ultime cinque cellule
prospicienti tutte il giardino interno si estendono in elevazione fino al primo piano nobile.
Dalle piante si evince che i due ambienti disposti all’estremità Sud-occidentale, quello
all’estremità Nord-orientale e gli altri interni sono costituiti da setti murari ruotati rispetto
alle adiacenti di circa 45°, in modo da adeguarsi da un lato agli andamenti di vico S.
Geronimo – che all’epoca della fondazione della fabbrica proseguiva lateralmente fino a
raggiungere il sagrato della chiesa di S. Arcangelo a Morfisa - e dall’altro l’orientamento
di piazza S. Domenico Maggiore. In entrambi i casi la rotazione dà luogo a cellule
triangolari con la funzione di “cerniere” in cui alloggiano le scale di servizio tra i due
livelli del pianterreno. La prima è sovrastata da solai lignei, mentre la seconda è conclusa
secondo la consuetudine medievale da volte a botte ribassate. Ai livelli superiori si trovano
due ambienti di forma trapezia.
La struttura è servita da un unico vano scala in muratura con volte, situato in asse con
l’ingresso su P.zza S. Domenico Maggiore, sul lato opposto dell’atrio del palazzo. Gli
ultimi due livelli si possono raggiungere anche attraverso un ascensore, installato di
recente.
Si è ipotizzato che le murature portanti della struttura si estendano al di sotto del
piano di campagna per circa due metri escludendo la possibilità di cavità sotterranee. Le
pareti portanti hanno spessore variabile da un massimo di 120 cm ad un minimo di 45 cm,
con riseghe variabili per ogni piano.
Ai vari livelli gli impalcati non sono disposti tutti alla stessa quota, ma sono sfalsati
anche fino a 40 cm. Considerando la quota zero in corrispondenza del piano stradale di via
Benedetto Croce si ha che partendo dal basso verso l’alto gli interassi tra i vari impalcati
sono: 3.85, 3.75, 5.87, 5.20, e 3.60. Sul lato della piazza, si ha che il piano stradale è in
pendenza, raggiungendo il valore di 1.76m all’inizio della scalinata che conduce alla chiesa
di S. Arcangelo a Morfisa, con una quota di 1m in corrispondenza del portone d’ingresso
di palazzo Petrucci. Di conseguenza il piano di imposta del cortile e quindi dei locali che
affacciano su di esso sono situati ad una quota di 1.00 m. e per la maggior parte si
estendono fino a raggiungere un’ altezza di circa 6.40 m.
Per le tipologie d’impalcato non vi è omogeneità di soluzione né in pianta né in
elevazione. Gli orizzontamenti al terzo piano sono tutti costruiti da putrelle in ferro, al
secondo da solai lignei e al piano terra da volte a vela o a botte ad eccezione di un paio di
177
solai in legno. In corrispondenza del piano ammezzato e del primo piano la configurazione
degli impalcati è molto più complessa. Al piano ammezzato gli ambienti in linea
prospicienti via Benedetto Croce e la piazza sono voltati tranne la cellula disposta ad
angolo, mentre al primo piano nobile sono tutti coperti con solai in legno. Gli ambienti
adiacenti l’altro edificio al piano ammezzato sono tutti voltati, mentre a l primo piano solo
gli ultimi cinque che affacciano sul giardino. Per quanto riguarda i locali disposti intorno
alla corte e alla scala sia al piano ammezzato che al primo piano sono in parte voltati ed in
parte coperti con solai in legno. Inoltre, si fa notare che alcuni ambienti nell’arco dei secoli
hanno subito modifiche proprio in relazione alla morfologia dell’impalcato; in particolare i
locali al piano terra prospicienti via Benedetto Croce erano inizialmente a doppia altezza,
successivamente divisi in elevazione con solai lignei in età angioina, sostituiti nell’arco del
XVIII secolo con volte a vela ribassate. In tabella 6.1 sono sintetizzati le principali
caratteristiche geometriche.
Si ha quindi riprendendo la classificazione di Pagano per gli edifici in muratura che il
comportamento meccanico cambia in relazione alla sezione verticale che si esamina,
riscontrando comunque nella maggior parte dei casi una struttura continua in muratura per
i primi due piani, mentre per i tre superiori si ha un assetto morfologico tipico della
seconda classe.
Livello
Altezza (h)
Spessore (s)
Terra
Ammezzato
Primo
Secondo
Terzo
3.85
3.75
5.90
5.20
3.60
1.20-0.60
1.20-0.60
0.90-0.60
0.90-0.50
0.90-0.40
Snellezza
(h/s)
3.20 - 6.40
3.12 - 6.25
6.55 - 9.07
5.77 –10.04
4.00 - 9.00
Tipo Impalcati
Volte
Volte/ Solai legno
Solai legno/ volte
Solai legno
Solai ferro
Tab. 6.1: caratteristiche morfologiche di palazzo Petrucci
Si può notare come ai piani bassi le pareti murarie abbiano una snellezza minore, che
dipende sia dal carico maggiore che devono sopportare ma anche dalla costruzione del
nucleo originario che inizialmente aveva un’altezza di 7.40m. Solo successivamente a metà
del XV secolo è stato creato un impalcato intermedio. Se si considera l’altezza e lo
spessore dei muri eretti nel 1300 (1.20m-0.80m) si ha che la snellezza varia tra 6.16 e 9.25
e quindi piuttosto omogenea lungo tutti i livelli.
178
L’orditura dei solai in alcuni casi si è potuta riscontrare da rilievi visivi, mentre nei
rimanenti è stata ipotizzata cercando di individuare le murature su cui con maggiore
probabilità scaricano i solai. Di seguito è riportato il rilievo di ogni piano in cui sono
indicati i diversi tipi di impalcati e nel caso dei solai le orditure ipotizzate e note.
Pianta piano terra
Pianta piano ammezzato
Pianta primo piano
Pianta secondo piano
Pianta terzo piano
Fig. 6.2: Rilevo architettonico Palazzo Petrucci – piante (Helen Rotolo)
La copertura dell’edificio è adibita a terrazzo praticabile, perimetralmente delimitata
da un parapetto in muratura di 70 cm, dove è presente un piccolo belvedere a forma
179
cilindrica accessibile attraverso una scala; mentre la parte restante della copertura è in
legno a due falde priva di elementi che eliminino le spinte sulle pareti.
Sezione A-A’
Sezione B-B’
Prospetto su P.zza S. Domenico Maggiore
Prospetto su via Benedetto Croce
Fig. 6.3: Rilevo architettonico Palazzo Petrucci – sezioni e prospetti (Arch. Helen Rotolo)
6.2.2 Cenni storici e cronologia della struttura
Diversi autori fanno risalire la fondazione di palazzo Petrucci ai primi anni del 1300 dalla
famiglia De Balzo. Il nucleo originario era costitiuito da cinque cellule disposte in linea
lungo via Benedetto Croce, caratterizzato, quindi, da una distribuzione funzionale in linea
a cui era addossato il volume della scala. L’edificio comprendeva un alto basamento e due
piani sovrastanti e coincideva salvo l’ultimo modulo di Sud-ovest con il volume allineato
lungo via Benedetto Croce. La copertura era realizzata a terrazzo. Probabilmente sin
dall’età angioina il volume a doppia altezza fu soppalcato.
Le strutture dei tre vani centrali sono disposte parallellamente ed ortogonalmente
alla strada ed inoltre in corrispondenza della cellula centrale era disposto il vestibolo
180
d’ingresso contraddistinto dalla presenza di due volte a crociera acute a differenza degli
altri ambienti voltati a botte.
Successivamente la proprietà del palazzo passò ad Antonello Petrucci che
intraprese l’acquisto durante gli anni sessanta del XV secolo concludendolo nel decennio
successivo, incamerando oltre ai vari appartamenti in cui era articolato il giardino tuttora
esistente.
Durante i lavori di restauro in seguito al terremoto del 1456 l’immobile fu ampliato
e rinnovato in modo da soddisfare le esigenze abitative e di rappresentanza di Antonello
Petrucci, segretario di Ferdinando I D’Aragona. A tale periodo (1470 circa) è ascrivibile
l’ampliamento del palazzo su P.zza S. Domenico Maggiore, con la relativa costruzione del
portale quattrocentesco che soppiantò il vestibolo realizzato in origine su Via Benedetto
Croce [Fig. 6.4]. A tale variazione seguì l’innalzamento del cortile interno rispetto a via
Benedetto Croce di circa 1m per portare la quota della corte interna allo stesso livello di
P.zza S. Domenico.
a)
b)
Fig. 6.4: I due vestiboli di Palzzo Petruuci: a) Lato interno tamponato del vestibolo trecentesco su via
Benedetto croce; b) Portale su P:zza S. Domenico
Il palazzo fu di proprietà della famiglia D’Aquino dagli inizi del 1600 fino al 1697,
anno in cui fu ceduto ai governatori del Banco del Salvatore, successivamente ai lavori di
181
restauro di connotazione prevalentemente statica succeduti al terremoto del 1688, che lo
aveva gravemente danneggiato e reso inagibile.
In
seguito
all’acquisizione
dell’immobile
furono
eseguiti
lavori
di
rifunzionalizzazione, fino al 1710 svolti sotto la guida dell’architetto Giustiniano Cafaro.
Parte dell’edificio fu destinato ad alloggiare le attività proprie del banco; mentre su Via
Benedetto Croce alcuni ambienti furono adibiti a residenza del portiere e dei funzionari ed
altri locali, al piano terra e al piano ammezzato, ospitavano le botteghe.
Nei primi lavori furono sostituite le porte, le finestre, rinforzato qualche solaio
ligneo, inserite cancellate per la sicurezza e realizzato l’arredamento. Successivamente
furono ampliati gli spazi disponibili a danno della superficie del giardino, aggiungendo in
particolare un corpo seminterrato, destinato ad accogliere i locali della Revisione, a forma
di L, coperto con volta a vela ribassata sul lato Nord-Ovest del fabbricato e Sud-Ovest
dell’edificio adiacente. I solai lignei delle botteghe su via Benedetto Croce furono
sostituite con le volte a vela.
Fig. 6.5: Stratificazione di Palazzo Petrucci – pianta piano terra
La seconda fase dei lavori di adattamento alla nuova destinazione d’uso, diretta
dall’architetto Giuseppe Stendardo, relativa agli anni 1714-1727 interessò principalmente il
182
rifacimento dei tetti e l’allestimento della nuova cassa dei pegni. La terza fase tra il 1726 e
il 1741, riconducibile sostanzialmente a lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria, fu
seguita da diversi architetti.
Tra il 1761 e il 1793 le trasformazioni furono condotte sotto la guida dell’architetto
Giuseppe Amendola ed interessarono fino al 1781 l’ampliamento delle superfici disposte
per le operazioni di cassa e di deposito, il rifacimento dei tetti e il consolidamento dei vani
particolarmente caricati, come le botteghe su via Benedetto Croce e i locali costruiti tra il
1698 e il 1710, dove fu dislocato anche l’archivio. Intanto emerse il problema
dell’ampliamento dell’archivio risolto dal 1793 in poi con la realizzazione di cinque vani
in linea, voltati a vela, al di sopra degli ambienti prospicienti il giardino sul lato sudoccidentale,destinati alla revisione, che furono consolidati.
Fig. 6.6: Stratificazione di Palazzo Petrucci – pianta primo piano
Alla fine del 1806 il Banco del Salvatore fu soppresso e il fabbricato divenne la sede
della Corte dei Conti fino al 1829, anno in cui fu acquistato dal prof. Gennaro Galbiati,
acquisendo nuovamente l’originaria funzione residenziale. Nel 1834 furono realizzati sotto
la guida di Giuseppe Califano interventi con lo scopo di trasformare il sottotetto a piano
abitabile, l’aggiunta di un belvedere e l’avanzamento dei fronti Nord-Est e Nord-Ovest del
183
cortile attraverso la realizzazione di volumi pensili. In seguito alla morte del Prof. Galbiati
l’immobile è stato frazionato nell’arco del tempo, raggiungendo la condizione attuale di
condominio.
Nelle Figg. 6.5-6.7 si riporta la lettura stratigrafica in pianta dell’edificio che ben
sintetizza le vicissitudini storiche della fabbrica.
Fig. 6.7: Stratificazione di Palazzo Petrucci – pianta secondo piano
6.2.3 Modellazione della struttura
Per valutare la vulnerabilità sismica di palazzo Petrucci si è considerata una modellazione
a lastre, per comodità configurate con elementi monodimensionali deformabili a taglio.
Tale scelta è stata effettuata per svolgere analisi di tipo non lineare, necessarie per valutare
l’effettiva capacità deformativa della struttura.
In realtà per un edificio in muratura storica di notevole complessità morfologica e
stratigrafica risulta difficile condurre delle analisi di tipo lineare (statica o modale che sia)
senza correre il rischio di sottovalutare il comportamento meccanico della muratura, e
quindi di ricorrere ad interventi eccessivi ed invasivi per mettere in sicurezza l’edificio
184
dalle azioni sismiche. Infatti per utilizzare analisi di tipo lineare è necessaria l’adozione di
un coefficiente di struttura q, che sintetizza la duttilità dell’edificio in modo piuttosto
arbitrario non potendo tenere in conto la particolare complessità che caratterizza in genere
un edificio in muratura.
Si è ricorsi ad una modellazione a plasticità concentrata, essendo piuttosto difficile e
non del tutto affidabile la modellazione ad elementi finiti a non linearità diffusa. Infatti nel
primo caso si devono conoscere i meccanismi di rottura che governano gli elementi
resistenti della struttura in muratura, pochi valori sulle caratteristiche del materiale
(modulo elastico, la tensione di rottura e la tensione tangenziale) e le capacità deformative
degli elementi resistenti. Nel caso di non linearità diffusa è necessaria la definizione del
campo di rottura dei pannelli soggetti a stati di tensione biassiale, la cui definizione
dipende non solo dai materiali costituenti, ma anche dalle loro caratteristiche geometriche,
dalla tessitura e dall’inclinazione del carico rispetto ai giunti di malta, per cui è necessaria
una sperimentazione condotta su un notevole numero di elementi per ogni tipologia
muraria. L’uso di domini di rottura di elementi murari tessiti diversamente può portare ad
una non corretta valutazione del comportamento sismico della struttura. Inoltre la
soluzione di analisi non lineari agli elementi finiti non è univoca ed è fortemente
influenzata da problemi numerici.
La risposta sismica di Palazzo Petrucci è stata valutata considerando separatamente
la struttura lungo le due direzioni principali, (indicate con x ed y) individuate mediante
schemi piani di pareti riportate in Fig. 6.8 così come si configurano al piano terra. Volendo
considerare una rigidezza, se pur limitata, per gli impalcati, non è stato calcolato un valore
preciso, essendo di dubbia valutazione, come nel caso delle volte per le quali non si
conosce l’effettiva configurazione in sezione dei materiali adottati e di conseguenza delle
corrispondenti caratteristiche meccaniche. Si è quindi considerata la possibilità d’impalcato
sia deformabile che rigido, rappresentando i due limiti estremi della fascia in cui è
compresa la risposta effettiva della struttura. Nel primo caso le pareti sono state esaminate
singolarmente, ognuna con la propria massa di competenza, nel secondo si sono adottati i
treni di pareti lungo le due direzioni principali, trascurando le forze dovute agli effetti
torsionali. Tale semplificazione è resa possibile se si considera che per gli edifici in
muratura le masse e le rigidezze sono sostanzialmente coincidenti, per cui l’eccentricità è
trascurabile.
185
Nel caso in cui si intenda studiare il comportamento meccanico di un edificio in
muratura, si devono considerare in primo luogo le difficoltà insite nella modellazione di
una struttura complessa per morfologia e stratificazione, concepita secondo le regole della
prassi costruttiva e quindi difficilmente riconducibili a modelli sviluppati per studiare il
comportamento meccanico di strutture di concezione moderna.
La modellazione con elementi monodimensionali richiede di risolvere alcune
problematiche diverse da caso a caso e di effettuare scelte ed accorgimenti di cui si deve
tenere conto anche nella fase di interpretazione dei risultati. Solo in questo modo la
risposta del modello è prossima a quella della struttura reale.
Direzione x
Direzione y
Fig. 6.8: Individuazione delle pareti resistenti lungo le due direzioni principali
186
Figura 6.9: Modello a telaio per le pareti in direzione x
Il modello adottato è costituito da aste verticali ed orizzontali che schematizzano la
parte di muratura compresa tra due vani di apertura, anche se presenti a quote diverse. In
187
presenza di vani non allineati gli elementi sono stati tracciati coincidenti con gli assi degli
elementi murari (fasce o maschi) di dimensioni minori.
Figura 6.10: Modello a telaio per le pareti in direzione y
188
Nel caso in cui sia presente un’apertura al di sopra o al di sotto di un elemento
murario pieno, quest’ultimo è stato schematizzato con due aste a sezione equivalente che
sono collegate in corrispondenza dell’impalcato da un doppio pendolo impedendo le
traslazioni e le rotazioni relative.
L’arco è stato modellato con un elemento orizzontale e due aste oblique, tali da
simulare l’effetto spingente sui maschi murari. Ulteriore difficoltà risulta dalla
determinazione della lunghezza effettiva del nodo rigido nel caso in cui le aperture non
sono tra di loro allineate, come accade spesso per Palazzo Petrucci.
L’estensione della parte deformabile dell’elemento orizzontale coincide con la zona
compresa tra le due rette che uniscono gli spigoli delle aperture presenti lungo la verticale.
Il tratto rigido di un ritto compreso tra due aperture di altezza differente è determinata
dall’altezza della fascia con dimensione minore.
In Figg. 6.9 e 6.10 è riportata la modellazione adottata per le pareti resistenti di
Palazzo Petrucci, lungo le due direzioni principali, effettuata secondo le indicazioni
suddette. Si deve sottolineare che tale modello può essere adottato solo per valutare il
comportamento della struttura per effetto del sisma per la presenza del doppio pendolo che
vincolando la rotazione relativa tra due aste che compongono lo stesso maschio, non
restituisce le sollecitazioni effettive che su di esso gravano per effetto dei soli carichi
verticali.
Le analisi statiche non lineari sono state svolte con il codice di calcolo SAP 2000,
assumendo un comportamento a plasticità concentrata a flessione e a taglio per le fasce di
piano e per i maschi; e rigido per i nodi. Il taglio resistente per i maschi è stato valutato con
la formula di Turnsek & Cacovic, come suggerito dall’OPCM 3431 nel capitolo relativo
agli edifici esistenti. Sia il taglio che il momento ultimo sono stati valutati in
corrispondenza dello sforzo assiale generato dalla presenza dei soli carichi verticali, non
tenendo conto delle variazioni di sforzo normale originate dalle azioni sismiche. Il codice
di calcolo non ha reso possibile l’applicazione contemporanea dei carichi verticali e delle
forze sismiche. Accade infatti che per la sola applicazione del peso della struttura si
verifichino plasticizzazioni o rotture in corrispondenza delle fasce di piano, in netta
contraddizione
con
la
configurazione
dell’edificio
che
non
presenta
nessun
danneggiamento dovuto all’eccessivo carico. La scelta effettuata è inoltre avvalorata dalla
consapevolezza che il programma di calcolo non tiene conto della capacità di adattamento
della fabbrica in fase costruttiva, bensì applica contemporaneamente i carichi sulla
189
struttura. Un’ulteriore limitazione della modellazione è data dall’impossibilità di
considerare contemporaneamente i due diversi schemi resistenti che si instaurano nelle
fasce per trasmettere i carichi verticali (effetto arco) e le forze orizzontali (effetto puntone).
Fig. 6.11: Stratificazioni delle tecniche costruttive adottate per le pareti in direzione x
190
Fig. 6.12: Stratificazioni delle tecniche costruttive adottate per le pareti in direzione y
Lo spostamento ultimo per i maschi murari è stato assunto secondo le indicazioni
dell’OPCM 3431 pari a 0.4% dell’altezza per le rotture a taglio e a 0.8% dell’altezza per
rotture a pressoflessione. Tale valore è indicato per gli edifici di nuova realizzazione,
mentre per quelli esistenti viene ridotto a 0.6%. Per questa analisi si è adottato ugualmente
191
una rotazione pari a 0.8%, data l’elevata deformabilità riscontrata durante le campagne
sperimentali condotte
Data la stratificazione costruttiva dell’edificio si sono considerate le tecniche
costruttive corrispondenti con cui gli elementi murari sono stati realizzati, con riferimento
ai cronotipi che caratterizzano l’area napoletana dal XVI al XX secolo. Per quanto riguarda
il nucleo originario realizzato nel Trecento e le modifiche subite nel Quattrocento si è
considerato l’uso della tecnica a cantieri. In Figg. 6.11 e 6.12 si riporta l’individuazione
delle differenti tecniche costruttive per le pareti murarie in direzione x ed y. Per ognuna
delle fasi costruttive individuate, si sono adottati i valori di resistenza a compressione ed il
modulo elastico medi riscontrati per ogni cronotipo dalle prove a compressione a
deformazione controllata sui macromodelli in scala reale. La resistenza a compressione è
stata ridotta del 20% per tenere conto di eventuali sovrastime dovute al numero esiguo di
campioni esaminato e alla buona qualità della malta, non sempre riscontrabile nella realtà
storica degradata nell’area partenopea. Per la resistenza a taglio non avendo eseguito
apposite prove sperimentali, sono stati adottati valori tali da rispettare il rapporto, che si
evince dall’allegato 11 D dell’Ordinanza, tra resistenza a compressione e resistenza a
taglio, pari a circa 1/28 per la muratura a conci di pietra tenera: (calcarenite, tufo, ecc.). In
Tab. 6.2 si riportano le caratteristiche meccaniche adottate per i tre cronotipi.
σmax
τo
E
(N/mm2)
(N/mm2)
(N/mm2)
Cantieri
3.25 (83%x3.90)
0.12 (1/27σmax)
965
Bozzette
2.60 (83%x3.00)
0.10 (1/26σmax)
1160
Blocchetti
2.17 (83% x2.60)
0.08 (1/27σmax)
830
Cronotipo
Tab. 6.2: Caratteristiche meccaniche della muratura adottate nella modellazione
Per modellare il comportamento della fascia si è esaminato sia il caso in cui la
capacità di accoppiamento è inesistente (fascia debole), sia la presenza di un elemento
tensoresistente, dotando così la fascia di piano di una certa capacità di accoppiamento
(fascia con “catena”). Nel primo caso si è considerato un momento ultimo molto basso pari
a 5 Nm ed una capacità rotazionale limitata a 0.4%. Per la fascia con “catena” si è data la
possibilità di attivare sia rotture a flessione cha a taglio. Quest’ultima che spesso domina
sulla rottura a compressione del puntone è stata valutata in una prima fase con la formula
fornita dall’OPCM 3274 (T=fvoHt),con un valore di deformabilità ultima pari a 0.4% della
192
luce della fascia, e in secondo luogo considerando le capacità resistenti e deformative
riscontrate durante la sperimentazione condotta sulle fasce storiche in scala ridotta,
riportate nel capitolo 5. Si è quindi assunta la formulazione di Turnsek & Cacovic
modificata, valutando lo sforzo normale in funzione del massimo taglio agente e
considerando una resistenza a taglio fittizia fvo di 0.20 N/mm2, pari in media al doppio di
quella adottata per i tre cronotipi, in modo da portare in conto l’effetto benefico che si
instaura per la presenza della piattabanda lapidea nelle fasce storiche. Il valore di
deformabilità ultima si è posto pari a 0.8%L, in maniera cautelativa rispetto ai dati ottenuti
dalla sperimentazione sulle fasce di piano.
6.2.4 Analisi del comportamento sismico
Per valutare la risposta sismica della struttura si sono condotte analisi statiche non
lineari utilizzando due differenti distribuzioni di forze orizzontali lungo l’altezza delle
pareti: la prima proporzionale direttamente alle masse di piano (cioè costante lungo
l’altezza), denominata UP, e la seconda proporzionale al prodotto delle masse per gli
spostamenti corrispondenti al primo modo di vibrare (denominata MP).
5
Treno X
4
UP
MP
3
2
1
0
0
2000
4000
6000
Fig. 6.13: Distribuzione di forze per il treno di pareti in direzione x
193
In relazione alla distribuzione di forze si nota una certa particolarità data dalla
concentrazione delle masse ai piani bassi, determinata dalla variazione della morfologia
degli impalcati lungo la verticale, con pesanti volte ai primi piani, in contrapposizione con
i leggeri solai lignei e in ferro al secondo e al terzo piano, come si nota in Fig. 6.13, nella
quale sono riportate le distribuzioni di forze assunte per il treno di pareti in direzione x.
L’analisi statica non lineare consente di determinare in modo abbastanza agevole la
curva di capacità della struttura, che rappresenta la relazione tra il tagliante di base del
telaio e lo spostamento in sommità al crescere delle forze sismiche (push-over) con carichi
verticali costanti. Da tale curva, come precedentemente visto nel par. 4.3.3, è possibile
ricavare la vulnerabilità sismica, in termini di accelerazione, intesa come la massima
accelerazione al suolo sopportabile dalla struttura, valutata riferendosi allo spettro di
risposta elastico (fornito dall’OPCM 3431 per un suolo di tipo B) ridotto in relazione alla
capacità plastica della struttura (ricavata dalla curva di push-over) trasformata in fattore di
struttura equivalente, utilizzando le espressioni dello spettro di progetto fornite dalla stessa
OPCM 3431. Come consentito dalla norma, tutte queste valutazioni sono state svolte
considerando la struttura complessa (cioè a più gradi di libertà) ridotta ad un oscillatore
semplice equivalente.
La vulnerabilità della struttura è stata valutata per lo SLU, arrestando l’analisi,
inizialmente, nel momento in cui il primo elemento strutturale raggiunge lo spostamento
ultimo definito. Successivamente l’analisi è stata proseguita tenendo conto che la rottura di
un elemento per un edificio in muratura non coincide generalmente con il crollo dell’intera
fabbrica. Si ha infatti nel caso della fascia di piano che, pur avendo raggiunto il limite di
deformazione, non cade se sorretta da una piattabanda lignea o in ferro, e qualora ciò
accadesse si avrebbe un danneggiamento locale. Inoltre quando la fascia non è più in grado
di esplicare la capacità di accoppiamento tra i maschi si ha che la parete è capace di
sopportare le azioni sismiche, pur subendo una diminuzione di resistenza ed un
abbassamento della rigidezza.
Nel caso in cui il maschio raggiunge il limite di deformabilità il suo crollo comporta
conseguenze più gravi, non essendo più in grado di portare i carichi verticali. Tale rottura
si è considerata accettabile solo nel caso in cui non provochi abbassamenti di resistenza
repentini per la struttura.
Per il modello di fascia debole non si è fissato un limite di deformabilità in modo da
pervenire alla rottura del maschio.
194
In sintesi per ogni modello analizzato si sono considerati due differenti livelli di
danneggiamento della struttura: il primo più lieve, con la rottura in un solo punto, indicato
con DS, il secondo di tipo diffuso, indicato con CO. In quest’ ultimo caso la vulnerabilità
sismica è stata calcolata nel punto in cui si raggiunge un decremento del 20% della forza
massima che è in grado di sostenere la parete.
Si sottolinea che dall’esame dei risultati delle analisi condotte si possono dedurre non
solo delle indicazioni sulla vulnerabilità sismica della struttura ma anche sul tipo
d’interventi da effettuare per aumentarne la capacità sismica. Infatti i vari modelli
considerati non restituiscono l’effettiva risposta della struttura ma i limiti di
comportamento che essa può assumere.
Si analizza inizialmente la capacità sismica della struttura nel caso in cui l’impalcato
sia effettivamente rigido. In Figg. 6.14, 6.15, 6.20, 6.21 sono riportate le curve push-over
relative rispettivamente alla direzione x ed y, mentre in tabella 6.3 sono dati i valori delle
corrispondenti vulnerabilità sismiche, valutate, per entrambe i livelli di danno ( DS e CO),
al variare della configurazione della fascia: debole (indicata con FD), con “catena”,
valutata quest’ultima con due formulazioni: quella fornita dall’OPCM 3431 (indicata con
FC-fvo) e quella ricavata dalla sperimentazione condotta sulle fasce (indicata di seguito con
FC-RD). Si è proceduto in tale valutazione attraverso le bilineari equivalenti alle pushover, tracciate individuando la rigidezza elastica coincidente con la secante alla curva di
capacità nel punto corrispondente ad un taglio alla base pari a 0.7 volte il valore massimo
(taglio massimo alla base) e una retta orizzontale passante per un livello di forza tale da
soddisfare il criterio delle eguaglianza delle aree.
In direzione x, si ha che la vulnerabilità sismica, valutata per la distribuzione di forze
più gravosa, passa da 0.04g per una configurazione di fascia debole a 0.20g nel caso di
fascia con “catena”-RD [Tab. 6.3], evidenziando quindi ancora una volta la forte influenza
che ha la fascia di piano sul comportamento sismico globale della struttura.
Come mostrato dalle curve push-over riportate in Fig. 6.14, in tutti i casi si riscontra
un valore di duttilità piuttosto basso che varia da circa 1 (FD) a circa 1.5 (FC-RD)
evidenziando al collasso un comportamento a mensola [Fig. 6.16]. Nel caso di fascia
debole e fascia con “catena”- fvo la rottura della parete si ha per il raggiungimento del
limite di deformazione in corrispondenza delle fasce di piano agli ultimi impalcati [Fig.
6.17], mentre per il modello FC-RD un maschio murario raggiunge la rottura per taglio al
quarto impalcato della parete N [Fig. 6.18].
195
Se si considera la capacità della struttura in muratura per un danno esteso CO
sembrerebbe in grado di raggiungere livelli di PGA considerevoli per fascia debole e fascia
con “catena”- formulazione fvo, pari a circa 0.31g, per una distribuzione di forze MP. Per
fascia “con catena”-RD la capacità sismica della fabbrica è invece variata di poco,
passando da 0.20g a 0.23g. Considerando le deformate al collasso per danno CO è evidente
in tutti i casi un meccanismo che interessa gli ultimi tre impalcati, molto simile ad una
mensola [Fig. 6.16].
Il mancato instaurarsi di un meccanismo globale è data dall’elevata rigidezza, in
direzione x, delle pareti A e B ai primi due livelli che assorbono le forze sismiche quasi
interamente e spostano le rotture ai piani superiori.
La configurazione al collasso è molto simile per la fascia debole e fascia catena-fv0
per un danno esteso, osservando la rottura nello stesso elemento e una deformata al
collasso pressoché identica per i vari tipi di fascia [Fig. 6.16]. In particolare si ha una
rottura a presso-flessione della parete A al terzo livello per una distribuzione di forze UP e
una rottura del pilastro al quinto livello della parete G per una distribuzione di forze MP
[Fig. 6.18].
Per la fascia con catena-RD la struttura si rompe per l’innescarsi di meccanismi
locali al quarto e al quinto livello. In questo caso la resistenza della fascia provoca un
aumento della resistenza globale della parete con un corrispondente aumento dello
spostamento per il quale si ha il limite di snervamento, ma non si consegue un aumento
dello spostamento ultimo per cui la duttilità diminuisce.
In Tab. 6.3 vengono riportate, per le diverse resistenze della fascia di piano in
relazione alla distribuzione di forze e al tipo di danneggiamento considerato per effetto di
quali elementi strutturali si raggiunge il limite di capacità sismica della struttura muraria.
La presenza di fasce più resistenti richiede un maggior impegno flessionale e
tagliante dei maschi, in particolare ai piani alti dove invece la struttura in muratura è più
vulnerabile essendo sottoposta a minori carichi verticali e quindi meno resistente.
Sembrerebbe quindi dalle considerazioni suddette che la risposta sismica
dell’edificio sia influenzata negativamente da una discreta capacità di accoppiamento delle
fasce.
Dal confronto delle push-over (rappresentate adimenzionalizzando il tagliante alla
base rispetto al peso sismico corrispettivo) riportate in Fig. 6.15 si nota come al crescere
della resistenza della fascia aumenta il massimo tagliante alla base che la struttura è in
196
grado di sopportare, ma contemporaneamente diminuisce la duttilità con valori pari circa a
4 per il modello di fascia debole e fascia con “catena” - fvo e di 2 per un livello di
resistenza di fascia relativo alla rottura diagonale.
Si può, inoltre, notare che pur essendo il comportamento della struttura con fascia
con “catena” - fvo inizialmente diverso sia in termini di resistenza che di rigidezza rispetto
al modello con fascia debole, all’aumentare dello stato di danneggiamento il
comportamento della struttura tende ad avvicinarsi ad esso.
Sembrerebbe quindi che la capacità sismica della struttura è piuttosto analoga e
indipendente dal comportamento resistente e deformativo della fascia, riscontrando in
questo caso, perfino l’influenza negativa per una discreta capacità di accoppiamento della
fascia. In realtà valori simili di PGA si conseguono per livelli di danneggiamento molto
diversi per cui si deve valutare se la capacità sismica restituita dall’analisi numerica sia
corrispondente ad un livello di danneggiamento accettabile.
In effetti il modello di fascia debole-CO rappresenta un comportamento limite della
struttura a cui corrispondono fessure diffuse nei maschi e le rotture di tutte le fasce [Fig.
6.18] raggiungendo rotazioni pari a circa il 6%, valore per il quale è difficile ritenere che le
fasce siano ancora in grado di sostenere i carichi verticali e restare in loco, provocando
crolli locali.
Nel caso di fascia con “catena” si perviene ad una capacità sismica piuttosto elevata
per un livello di danneggiamento esteso a molte fasce di piano che raggiungono limiti di
deformazione ultima al massimo pari allo 0.5% (pari al 20% del limite deformativo
imposto). Il verificarsi di questa deformazione ultima senza il conseguimento del crollo è
realistico se si tiene conto della possibilità dell’instaurarsi di un benefico effetto arco che
permette di portare almeno il peso proprio.
Nel caso in cui il comportamento effettivo della fascia sia quello verificato
sperimentalmente (rottura diagonale) si raggiunge una vulnerabilità sismica della struttura
sostanzialmente analoga ma con un livello di danneggiamento poco esteso, tenendo conto
che gli elementi che superano il limite di deformabilità imposta sono molto ridotti.
Se si analizza la capacità sismica della struttura in direzione y per una configurazione
di danno severo si ha un danneggiamento limitato passando, per condizioni di carico più
gravose, da una PGA pari a 0.03g (FD) ad una PGA pari a 0.11 g (FC- fvo) ad una PGA di
0.21g (FC-RD). Per un livello di danneggiamento più esteso si ha una PGA di 0.21g per la
fascia debole e un valore leggermente superiore per una struttura con fascia con “catena”
197
pari a 0.27g per entrambi i modelli di comportamento adottati a fronte però di un diverso
livello di danneggiamento della struttura.
Anche in questo caso lo spostamento ultimo maggiore si raggiunge per la
configurazione di fascia debole e si ha che la struttura con fascia FC–fv0 tende a un
comportamento sismico limite della fascia debole con una configurazione al collasso
simile. In particolare come evidenziato in Tab. 6.4 e da alcune configurazioni al collasso
riportate di seguito [Figg. 6.24-6.27] per un danneggiamento lieve il primo elemento che
perviene al limite di deformazione ultima è una fascia mentre il crollo definitivo della
struttura si raggiunge per effetto della rottura di uno o più maschi murari.
Per tutti i modelli considerati si ha un meccanismo di collasso globale evidenziando
nel caso di fascia debole e di fascia con catena, modello OPCM, una deformata a mensola,
mentre per meccanismo di rottura diagonale si ha una deformazione al collasso a telaio.
Per la fascia con catena, modello rottura diagonale al collasso si perviene ad una resistenza
maggiore con un livello di deformazione minore ed una conseguente minore duttilità pari a
circa 2.5.
Facsia debole
Treno x
Treno y
Fascia con "catena"- f vo Facsia con "catena" - RD
DS
CO
DS
CO
DS
CO
PGA (g)
PGA (g)
PGA (g)
PGA (g)
PGA (g)
PGA (g)
UP
0.09
0.41
0.23
0.52
0.40
0.49
MP
0.04
0.31
0.10
0.32
0.20
0.23
UP
0.04
0.33
0.11
0.32
0.22
0.36
MP
0.03
0.21
0.08
0.27
0.21
0.27
Tab. 6.3: Vulnerabilità sismica per i treni di pareti
Successivamente si è analizzato il comportamento sismico della struttura nel caso in
cui l’impalcato sia deformabile. Avendo appurato dalle considerazioni precedenti la
necessità di inserire un elemento tensoresistente nella parete per permettere l’instaurarsi di
un buon comportamento sismico della struttura con un livello di danneggiamento della
struttura non elevato, si è considerato per le singole pareti il caso di fascia con catena,
valutando la vulnerabilità sismica con due differenti limiti di resistenza e deformabilità.
Per ogni parete si sono riportate le curve push-over relative alle due diverse
formulazioni considerate per la configurazione di fascia con “catena” e per i due diversi
198
livelli di danneggiamento: CO e DS. Si è inoltre riportata la configurazione al collasso che
assume la parete nel caso di formulazione per rottura diagonale e stato di danno DS.
Come si evince dalle schede riportate le pareti AX, BX, DX, GX ,NX, CY, EY; FY,
GY, HY, IY ed OY non sono influenzate dalle capacità resistenti e deformative della
fascia. Infatti AX, IY ed OY sono delle mensole interamente in muratura, DX; NX ed EY
si rompono all’ultimo piano per effetto di un meccanismo di labilità che interessa l’ultimo
piano, mentre la rottura di FY, GY, HY è governata dalla rottura a presso flessione alla
base del maschio.
Confrontando le curve push-over della struttura complessiva con quelle relative alle
pareti si evidenzia come in questo caso alla rottura di una singola fascia corrisponde un
evidente decremento della resistenza, quasi impercettibile nel treno di pareti. Ciò indica la
minore influenza delle rotture locali sul comportamento complessivo della struttura qualora
sia presente un impalcato rigido.
In Figg. 6.28 e 6.29 si confrontano le percentuali di forza sismica che gravano su
ogni parete nel caso di impalcato rigido e deformabile. Si nota come la presenza
dell’impalcato rigido comporta la concentrazione delle forze nelle pareti più rigide, caso
evidente per le pareti AX e BX; mentre nel caso di impalcato deformabile si ha una
distribuzione di forze piuttosto omogenea e in accordo con le capacità resistenti della
struttura, portando comunque a concentrare le forze. sismiche nelle pareti con maggiore
rigidezza. Ciò accade perché la struttura in muratura ha una maggiore sezione resistente
corrispondente a una maggiore massa e quindi ad una migliore capacità della struttura di
resistere alle forze sismiche.
In Tab. 6.5 e 6.6 sono riportati a confronto in direzione x ed in direzione y i risultati
ottenuti in termini di vulnerabilità per la struttura considerando l’impalcato rigido e
deformabile.
In particolare volendo considerare la capacità sismica della struttura nelle due
direzioni nel caso di impalcato deformabile in direzione x le PGA più basse si riscontrano
nelle pareti D (PGA = 0.10g), G (PGA=0.14g) ed N (PGA=0.09g).
In particolare per la parete D si ha un meccanismo locale all’ultimo livello, per N un
crollo degli ultimi due impalcati e per G la rottura per presso flessione di una colonna
all’ultimo livello.
Per quanto riguarda la direzione y i valori di maggiore vulnerabilità si riscontrano per
la parete B (0.15g), la parete E (0.16g) e parete L (0.16g). Nel caso della parete B si ha una
199
rottura della fascia all’ultimo impalcato. Per la parete E si ha un meccanismo all’ultimo
impalcato mentre per la L si riscontra una rottura a pressoflessione dei maschi alla base.
L’atteggiamento nei confronti di queste rotture può essere sia di accettare che si
verifichino, essendo crolli locali che incidono poco sul comportamento globale della
struttura, o decidere di intervenire su di essi in modo da ottenere una migliore risposta
sismica dell’edificio senza pervenire ad un elevato danneggiamento. In particolare si può
aumentare la resistenza dei maschi con interventi puntuali ma meno invasivi e più efficaci
dell’inserimento di un impalcato rigido.
In sintesi si ha che con l’inserimento di semplici catene si permette sia di attivare i
meccanismi (più resistenti nel piano) sia una maggiore capacità sismica della struttura con
un danneggiamento non eccessivamente elevato.
Livello di
danneggiamento
DS
Distribuzion
e di forze
UP
FD
FC-fvo
FC-RD
Fasce parete L
Fasce parete F
Maschio parete N
III-IV impalcato
IV-V impalcato
– Taglio IV livello
Fasce parete L
Fasce parete F
Maschio parete N
III-IV impalcato
IV-V impalcato
– Taglio IV livello
Maschio parete A –
Maschio parete A
Rottura parete N
Taglio III livello
– Taglio III livello
IV e V livello
Maschio parete G –
Maschio parete G
Rottura parete N
PMM V livello
– PMM V livello
IV e V livello
MP
UP
CO
MP
Tab. 6.4: Rotture pere i diversi modelli utilizzati per il treno di pareti in direzione x
Prima rottura
20
Prima rottura
20
20
20
15
15
Ultima rottura
Ultima rottura
15
15
UP FD
10
UP C fvo
UP FD
10
UP C fvo
UP C T&C
5
0.05
0.1
0.15
0.05
0.1
MP C T&C
∠(m)
δ (m)
0
0
MP C fvo
5
δ (m)
0
MP FD
10
MP C T&C
5
δ (m)
0
MP C fvo
UP C T&C
5
0
MP FD
10
0.15
0
0
0.05
0.1
0.15
0
0.05
0.1
0.15
Fig. 6.16 Deformata al collasso per il treno di pareti lungo x
200
Fb /W
Treno X
0.45
MP FD
UP FD
MP fvo
UP fvo
PGA=0.40g
MP C T&C
0.3
UP C T&C
PGA=0.23g
PGA=0.09g
PGA=0.20g
0.15
PGA=0.10g
PGA=0.04g
δ (m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Fig. 6.14: Curva push-over in direzione x per un livello di danneggiamento lieve (DS)
Fb /W
Treno X
0.45
MP FD
UP FD
MP C fvo
UP C fvo
PGA=0.49g
MP C T&C
0.3
UP C T&C
PGA=0.52g
PGA=0.41g
PGA=0.23g
0.15
PGA=0.32g
PGA=0.32g
0 (m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Fig. 6.15 Curva push-over in direzione x per un livello di danneggiamento esteso (CO)
201
LEGENDA Figg.16-20, 24-27
A
B
C
D
202
F
E
G
H-I
L
M
N
Fig. 6.17: Stato di danneggiamento al collasso del treno di pareti x: caso di fascia debole, DS
203
A
B
C
E
D
F
204
H-I
G
L
M
N
Fig. 6.18: Stato di danneggiamento al collasso del treno di pareti x: fascia resistente- RD, DS
205
A
B
C
E
D
F
206
G
L
H-I
M
N
Fig. 6.19: Stato di danneggiamento al collasso del treno di pareti x: fascia debole, CO
207
339
A
B
C
D
F
E
208
G
L
H-I
M
N
Fig. 6.20: Stato di danneggiamento al collasso del treno di pareti x: fascia resistente- RD, CO
209
Fb /W
Treno Y
0.45
UP C fvo
UP FD
MP FD
MP C fvo
MP C T&C
UP C T&C
0.3
PGA=0.22g
PGA=0.11g
PGA=0.19g
PGA=0.08g
0.15
PGA=0.04g
δ (m)
PGA=0.03g
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Fig. 6.21: Curva push-over in direzione y per un livello di danneggiamento lieve (DS)
Fb /W
Treno Y
0.45
MP FD
UP FD
MP C fvo
UP C fvo
MP C T&C
UP C T&C
0.3
PGA=0.36g
PGA=0.27g PGA=0.27g
PGA=0.33g
0.15
PGA=0.32g
PGA=0.21g
δ (m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Fig. 6.22: Curva push-over in direzione y per un livello di danneggiamento lieve (CO)
210
Ultima rottura
Prima rottura
Prima rottura
Ultima rottura
20
20
20
20
15
15
15
15
UP FD
10
MP FD
10
UP C fvo
MP C fvo
UP C T&C
5
0.05
0.1
0.15
0.05
0.1
0.15
UP C T&C
δ (m)
0
0
UP C fvo
5
δ (m)
0
10
MP C T&C
5
δ (m)
0
0
MP C fvo
MP C T&C
5
UP FD
MP FD
10
δ (m)
0
0
0.05
0.1
0.15
0
0.05
0.1
0.15
Fig. 6.23: Confronto tra le deformate per i vari livelli di danneggiamento per le due diverse distribuzioni di
forze: MP ed UP
Livello di
danno
DS
Distribuzione
di forze
UP
MP
UP
CO
MP
FD
FC-fvo
FC-RD
Fasce parete M
Fasce parete M
Fasce parete A
IV impalcato
II impalcato
I impalcato
Fasce parete M
Fasce parete M
Fasce parete B
IV impalcato
II impalcato
II impalcato
Maschio parete E –
Maschio parete O –
Maschio parete M-N –
PMM III livello
PMM V livello
PMM IV livello
Maschio parete E –
Maschio parete O –
Maschio parete M-N –
PMM III livello
PMM V livello
O- PMM IV-V livello
Tab. 6.5: Rotture per i diversi modelli utilizzati per il treno di pareti in direzione y
211
A
B
C
D
212
E
F-G-H
I-L
M-N-O
Fig. 6.24: Stato di danneggiamento al collasso del treno di pareti y: fascia debole, DS
213
A
B
C
D
214
E
F-G-H
I-L
M-N-O
Fig. 6. 25: Deformata al collasso del treno di pareti y: fascia con “catena”-RD, DS
215
A
B
C
D
216
E
F-G-H
I-L
M-N-O
Fig. 6. 26: Stato di danneggiamento al collasso del treno di pareti y: fascia debole, CO
217
A
B
C
D
218
E
F-G-H
I-L
M-N-O
Fig. 6. 27: Deformata al collasso del treno di pareti y: fascia con “catena”-RD, CO
219
PARETE AX
Fb (kN)
PGA=0.48g
Fb (kN)
Parete AX
0.45
PGA=0.48g
Parete AX
0.45
MP
UP
PGA=0.68g
MP
UP
PGA=0.68g
0.3
0.3
0.15
0.15
δ(m)
0
δ(m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
0
Catena fvo-DS
Fb (kN)
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-DS
PGA=0.48g
Fb (kN)
Parete AX
0.45
PGA=0.48g
Parete AX
0.45
MP
UP
PGA=0.68g
MP
UP
PGA=0.68g
0.3
0.3
0.15
0.15
δ(m)
0
δ(m)
0
0
0.03
Catena fvo-CO
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-CO
Stato di danneggiamento al collasso, fascia con “catena”- RD, DS
220
PARETE BX
Fb /W
Fb /W
Parete BX
0.45
Parete BX
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
PGA=0.61g
PGA=0.61g
0.15
0.15
PGA=0.20g
PGA=0.36g
δ (m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena fvo-DS
δ (m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-DS
Fb /W
Fb /W
Parete BX
0.45
Parete BX
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
PGA=0.61g
PGA=0.61g
0.15
0.15
PGA=0.27g
PGA=0.49g
δ (m)
0
0
0.03
Catena fvo-CO
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
80% Fmax
δ(m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-CO
Stato di danneggiamento al collasso, fascia con “catena”- RD, DS
221
PARETE CX
Fb /W
Fb /W
Parete CX
0.45
Parete CX
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
PGA=0.36g
PGA=0.14g
0.15
0.15
PGA=0.24g
PGA=0.11g
δ (m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
δ (m)
0
0.18
0
Catena fvo-DS
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-DS
Fb /W
Fb /W
Parete CX
Parete CX
0.45
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
PGA=0.36g
80% Fmax
PGA=0.18g
0.15
80% Fmax
PGA=0.36g
80% Fmax
δ(m)
0.03
Catena fvo-CO
0.06
0.09
0.12
PGA=0.30g
80% Fmax
0
0
0.15
0.15
0.18
δ (m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-CO
Stato di danneggiamento al collasso, fascia con “catena”- RD, DS
222
PARETE DX
Fb /W
Fb /W
Parete DX
Parete DX
0.45
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
0.15
0.15
PGA=0.19g
PGA=0.09g
PGA=0.10g
PGA=0.06g
δ(m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
δ (m)
0
0
0.18
Catena fvo-DS
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-DS
Fb /W
Fb /W
Parete DX
Parete DX
0.45
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
0.15
0.15
PGA=0.19g
PGA=0.09g
PGA=0.10g
PGA=0.06g
δ(m)
0
0
0.03
Catena fvo-CO
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
δ (m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-CO
Stato di danneggiamento al collasso, fascia con “catena”- RD, DS
223
PARETE EX
Fb /W
Fb /W
Parete EX
0.45
Parete EX
0.45
MP
UP
MP
UP
PGA=0.35g
0.3
0.3
PGA=0.19g
PGA=0.29g
PGA=0.13g
0.15
0.15
δ (m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena fvo-DS
δ (m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-DS
Fb /W
Fb /W
Parete EX
0.45
Parete EX
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
PGA=0.43g
80% Fmax
PGA=0.22g
80% Fmax
80% Fmax
80% Fmax
0.15
0.15
PGA=0.35g
PGA=0.14g
δ (m)
0
0
0.03
Catena fvo-CO
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
δ (m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-CO
224
PARETE FX
Fb /W
Fb /W
Parete FX
0.45
Parete FX
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
0.15
0.15
PGA=0.31g
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PGA=0.26g
PGA=0.10g
δ(m)
0
δ(m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena fvo-DS
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-DS
Fb /W
Fb /W
Parete FX
0.45
Parete FX
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
c
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0.15
PGA=0.55g
0.15
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PGA=0.47g
δ (m)
0
0
0.03
Catena fvo-CO
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
δ (m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-CO
Stato di danneggiamento al collasso, fascia con “catena”- RD, DS
225
PARETE GX
Fb /W
Fb /W
Parete GX
Parete GX
0.45
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
PGA=0.24g
0.15
0.15
PGA=0.13g
PGA=0.14g
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δ(m)
δ(m)
0
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0
0.18
Catena fvo-DS
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-DS
Fb /W
Fb /W
Parete GX
0.45
Parete GX
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
0.15
PGA=0.25g
0.15
PGA=0.15g
80%Fmax
PGA=0.10g
80%Fmax
δ (m)
0
0
0.03
Catena fvo-CO
0.06
0.09
0.12
PGA=0.15g
0.15
0.18
δ (m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-CO
Stato di danneggiamento al collasso, fascia con “catena”- RD, DS
226
PARETE HX
Fb /W
Fb /W
Parete HX
PGA=0.25g
0.45
Parete HX
PGA=0.36g
0.45
PGA=0.35g
PGA=0.23g
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
0.15
0.15
δ(m)
0
δ(m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena fvo-DS
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-DS
Fb /W
0.45
0
Fb /W
Parete HX
MP
UP
PGA=0.31g
80%Fmax
PGA=0.49g
0.45
Parete HX
PGA=0.45g
MP
UP
80%Fmax
0.3
0.3
PGA=0.28g
0.15
0.15
δ (m)
0
δ(m)
0
0
0.03
Catena fvo-CO
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-CO
Stato di danneggiamento al collasso, fascia con “catena”- RD, DS
227
PARETE IX
Fb /W
Fb /W
Parete IX
0.45
Parete IX
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
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PGA=0.17g
0.15
0.15
PGA=0.17g
PGA=0.10g
δ(m)
0
δ(m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena fvo-DS
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-DS
Fb /W
Fb /W
Parete IX
0.45
Parete IX
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
PGA=0.39g
PGA=0.17g
80%Fmax
0.15
0.15
80%Fmax
80%Fmax
PGA=0.10g
PGA=0.17g
δ (m)
0
δ(m)
0
0
0.03
Catena fvo-CO
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-CO
Stato di danneggiamento al collasso, fascia con “catena”- RD, DS
228
PARETE LX
Fb /W
Fb /W
Parete LX
0.45
Parete LX
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
0.15
0.15
PGA=0.20g
PGA=0.19g
PGA=0.09g
PGA=0.24g
δ (m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena fvo-DS
δ (m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-DS
Fb /W
Fb /W
Parete LX
Parete LX
0.45
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
0.15
0.15
PGA=0.34g
PGA=0.23g
PGA=0.12g
80%Fmax
PGA=0.25g
80%Fmax
δ(m)
0
0
0.03
Catena fvo -CO
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
δ(m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-CO
Stato di danneggiamento al collasso, fascia con “catena”- RD, DS
229
PARETE MX
Fb /W
Fb /W
Parete MX
0.45
Parete MX
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
0.15
PGA=0.32g
0.15
PGA=0.16g
PGA=0.23g
PGA=0.12g
δ (m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena fvo -DS
δ (m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-DS
Fb /W
Fb /W
Parete MX
Parete MX
0.45
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
PGA=0.35g
PGA=0.42g
0.15
0.15
PGA=0.33g
PGA=0.32g
δ (m)
0
0
0.03
Catena fvo -CO
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
δ(m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-CO
Stato di danneggiamento al collasso, fascia con “catena”- RD, DS
230
PARETE NX
Fb /W
Fb /W
Parete NX
0.45
Parete NX
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
PGA=0.18g
PGA=0.18g
0.15
0.15
PGA=0.09g
PGA=0.09g
δ(m)
0
δ(m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena fvo -DS
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-DS
Fb /W
Fb /W
Parete NX
0.45
Parete NX
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
PGA=0.18g
PGA=0.18g
0.15
0.15
PGA=0.09g
PGA=0.09g
δ(m)
0
δ(m)
0
0
0.03
Catena fvo -CO
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-CO
Stato di danneggiamento al collasso, fascia con “catena”- RD, DS
231
PARETE AY
Fb /W
Fb /W
Parete AY
0.45
Parete AY
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
PGA=0.22g
PGA=0.12g
0.15
PGA=0.21g
0.15
PGA=0.10g
δ(m)
0
δ(m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena fvo -DS
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-DS
Fb /W
Fb /W
Parete AY
Parete AY
0.45
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
PGA=0.32g
PGA=0.16g
0.15
0.15
80% Fmax
PGA=0.28g
80% Fmax
PGA=0.14g
80% Fmax
80% Fmax
δ(m)
0
δ (m)
0
0
0.03
Catena fvo -CO
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-CO
Stato di danneggiamento al collasso, fascia con “catena”- RD, DS
232
PARETE BY
Fb /W
Fb /W
Parete BY
Parete BY
0.45
0.45
MP+
UP+
MP+
UP+
0.3
0.3
0.15
0.15
PGA=0.20g
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PGA=0.15g
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δ (m)
0
0
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0.06
0.09
0.12
0.15
δ (m)
0
0
0.18
Catena fvo-DS
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-DS
Fb /W
Fb /W
Parete BY
0.45
Parete BY
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
PGA=0.32g
0.15
0.15
PGA=0.16g
PGA=0.24g
PGA=0.14g
δ(m)
0
0
0.03
Catena fvo -CO
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
δ (m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-CO
Stato di danneggiamento al collasso, fascia con “catena”- RD, DS
233
PARETE CY
Fb /W
Fb /W
Parete CY
Parete CY
0.45
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
0.15
0.15
PGA=0.51g
PGA=0.25g
PGA=0.29g
PGA=0.29g
δ(m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
δ(m)
0
0
0.18
Catena fvo-DS
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-DS
Fb /W
Fb /W
Parete CY
0.45
Parete CY
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
0.15
0.15
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PGA=0.51g
PGA=0.29g
δ(m)
0
δ(m)
0
0
0.03
Catena fvo-CO
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-CO
Stato di danneggiamento al collasso, fascia con “catena”- RD, DS
234
PARETE DY
Fb /W
Fb /W
Parete DY
0.45
Parete DY
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
PGA=0.26g
0.15
0.15
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PGA=0.22g
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δ(m)
0
δ(m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena fvo-DS
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-DS
Fb /W
Fb /W
Parete DY
Parete DY
0.45
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
PGA=0.32g
0.15
0.15
PGA=0.18g
PGA=0.22g
PGA=0.14g
δ(m)
0
0
0.03
Catena fvo-CO
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
δ (m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-CO
Stato di danneggiamento al collasso, fascia con “catena”- RD, DS
235
PARETE EY
Fb /W
Fb /W
Parete EY
Parete EY
0.45
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
0.15
0.15
PGA=0.28g
PGA=0.16g
PGA=0.16g
PGA=0.07g
δ(m)
δ(m)
0
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0
0.18
Catena fvo-DS
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-DS
Fb /W
Fb /W
Parete EY
0.45
Parete EY
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
0.15
0.15
PGA=0.28g
PGA=0.17g
PGA=0.16g
80%Fmax
PGA=0.09g
δ(m)
0
0
0.03
Catena fvo-CO
0.06
80%Fmax
80%Fmax
0.09
0.12
0.15
0.18
δ(m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-CO
Stato di danneggiamento al collasso, fascia con “catena”- RD, DS
236
PARETE FY
Fb /W
Fb /W
Parete FY
0.45
Parete FY
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
0.15
0.15
PGA=0.19g
PGA=0.19g
δ(m)
PGA=0.18g
0
δ(m)
PGA=0.18g
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena fvo-DS
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-DS
Fb /W
Fb /W
Parete FY
0.45
Parete FY
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
0.15
0.15
PGA=0.19g
PGA=0.19g
δ(m)
PGA=0.18g
0
δ(m)
PGA=0.18g
0
0
0.03
Catena fvo-CO
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-CO
Stato di danneggiamento al collasso, fascia con “catena”- RD, DS
237
PARETE GY
Fb /W
Fb /W
Parete GY
0.45
Parete GY
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
0.15
0.15
PGA=0.19g
PGA=0.19g
δ(m)
PGA=0.20g
0
δ(m)
PGA=0.20g
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
0
Catena fvo-DS
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-DS
Fb /W
Fb /W
Parete GY
0.45
Parete GY
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
0.15
0.15
PGA=0.19g
PGA=0.19g
δ(m)
PGA=0.20g
0
δ(m)
PGA=0.20g
0
0
0.03
Catena fvo-CO
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-CO
Stato di danneggiamento al collasso, fascia con “catena”- RD, DS
238
PARETE HY
Fb /W
Fb /W
Parete HY
0.45
Parete HY
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
0.15
0.15
PGA=0.21g
PGA=0.22g
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
PGA=0.21g
δ(m)
0.15
0.18
Catena fvo-DS
PGA=0.22g
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
δ(m)
0.15
0.18
Catena RD-DS
Fb /W
Fb /W
Parete HY
0.45
Parete HY
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
0.15
0.15
PGA=0.21g
PGA=0.22g
0
0
0.03
Catena fvo-CO
0.06
0.09
0.12
0.15
PGA=0.21g
δ(m)
0.18
PGA=0.22g
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
δ(m)
0.18
Catena RD-CO
Stato di danneggiamento al collasso, fascia con “catena”- RD, DS
239
PARETE IY
Fb (kN)
Fb (kN)
Parete IY
PGA=0.74g
0.3
Parete IY
PGA=0.74g
MP+
UP+
PGA=0.71g
0.3
MP+
UP+
PGA=0.71g
0.15
0.15
δ(m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0
0.18
Catena fvo-DS
δ(m)
0
0.03
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-DS
Fb (kN)
Fb (kN)
Parete IY
PGA=0.74g
0.3
0.06
Parete IY
PGA=0.74g
MP+
UP+
PGA=0.71g
0.3
MP+
UP+
PGA=0.71g
0.15
0.15
δ(m)
0
0
0.03
Catena fvo-CO
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
δ(m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-CO
Stato di danneggiamento al collasso, fascia con “catena”- RD, DS
240
PARETE LY
Parete LY
Fb/W
0.45
Parete LY
Fb/W
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
PGA=0.24g
PGA=0.15g
0.15
0.15
PGA=0.26g
PGA=0.14g
δ (m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena fvo-DS
0.45
δ(m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-DS
Parete LY
Fb (kN)
0.45
Parete LY
Fb (kN)
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
PGA=0.24g
0.15
80%Fmax
0.15
PGA=0.16g
PGA=0.26g
PGA=0.14g
δ(m)
0
δ(m)
0
0
0.03
Catena fvo-CO
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-CO
Stato di danneggiamento al collasso, fascia con “catena”- RD, DS
241
PARETE MY
0.45
Parete MY
Fb (kN)
0.45
Parete MY
Fb (kN)
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
0.15
PGA=0.18g
0.15
PGA=0.09g
PGA=0.16g
PGA=0.07g
δ(m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena fvo-DS
0.45
δ(m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-DS
Parete MY
Fb (kN)
0.45
Parete MY
Fb (kN)
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
0.15
0.15
PGA=0.19g
PGA=0.43g
PGA=0.33g
80%Fmax
80%Fmax
δ(m)
PGA=0.15g
0
0
0.03
Catena fvo-CO
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
δ (m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-CO
Stato di danneggiamento al collasso, fascia con “catena”- RD, DS
242
PARETE NY
Parete NY
Fb/W
0.45
Parete NY
Fb/W
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
PGA=0.30g
PGA=0.15g
0.15
PGA=0.20g
0.15
PGA=0.09g
δ(m)
0
δ(m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
Catena fvo-DS
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-DS
Parete NY
Fb /W
0.45
0
0.18
Parete NY
Fb /W
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
PGA=0.30g
PGA=0.15g
0.15
PGA=0.09g
0.15
80%Fmax
80%Fmax
δ (m)
0.03
Catena fvo-CO
0.06
80%Fmax
PGA=0.20g
0
0
0.09
80%Fmax
0.12
0.15
0.18
δ (m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-CO
Stato di danneggiamento al collasso, fascia con “catena”- RD, DS
243
PARETE OY
Parete OY
Fb/W
0.45
Parete OY
Fb/W
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
0.15
0.15
PGA=0.35g
PGA=0.26g
PGA=0.35g
PGA=0.26g
δ(m)
0
δ(m)
0
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena fvo-DS
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-DS
Parete OY
Fb/W
0.45
0
Parete OY
Fb/W
0.45
MP
UP
MP
UP
0.3
0.3
0.15
0.15
PGA=0.46g
PGA=0.39g
PGA=0.46g
PGA=0.39g
δ(m)
0
δ(m)
0
0
0.03
Catena fvo-CO
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
0
0.03
0.06
0.09
0.12
0.15
0.18
Catena RD-CO
Stato di danneggiamento al collasso, fascia con “catena”- RD, DS
244
35%
30%
imp. deformabile
25%
imp. rigido
20%
15%
10%
5%
0%
A
B
C
D
E
F
G
H
I
L
M
N
Fig. 6.28: Distribuzione delle forze sismiche per i due tipi di pareti sul treno di pareti x
35%
30%
imp. deformabile
25%
imp. rigido
20%
15%
10%
5%
0%
A
B
C
D
E
F
G
H
I
L
M
N
O
Fig. 6.29: Distribuzione delle forze sismiche per i due tipi di pareti sul treno di pareti y
245
Fascia con "catena"- fvo
Treno x
Parete AX
Parete BX
Parete CX
Parete DX
Parete EX
Parete FX
Parete GX
Parete HX
Parete IX
Parete LX
Parete MX
Parete NX
Facsia con "catena" - RD
DS
CO
DS
CO
PGA (g)
PGA (g)
PGA (g)
PGA (g)
UP
0.23
0.57
0.40
0.49
MP
0.10
0.32
0.20
0.23
UP
0.48
0.48
0.48
0.48
MP
0.68
0.68
0.68
0.68
UP
0.61
0.61
0.61
0.61
MP
0.20
0.27
0.36
0.36
UP
0.14
0.18
0.36
0.36
MP
0.11
0.36
0.24
0.30
UP
0.09
0.09
0.19
0.19
MP
0.06
0.06
0.10
0.10
UP
0.19
0.22
0.35
0.43
MP
0.13
0.14
0.29
0.35
UP
0.12
0.54
0.31
0.55
MP
0.10
0.48
0.26
0.47
UP
0.13
0.15
0.24
0.25
MP
0.08
0.10
0.14
0.15
UP
0.26
0.31
0.36
0.49
MP
0.24
0.28
0.35
0.45
UP
0.17
0.17
0.39
0.39
MP
0.10
0.10
0.17
0.18
UP
0.09
0.23
0.20
0.34
MP
0.08
0.12
0.19
0.25
UP
0.16
0.42
0.32
0.35
MP
0.12
0.32
0.23
0.33
UP
0.18
0.18
0.18
0.18
MP
0.09
0.09
0.09
0.09
Tab. 6.5: Vulnerabilità sismica delle pareti e del treno di pareti in direzione x
246
Fascia con "catena"- f vo
Treno y
Parete A
Parete B
Parete C
Parete D
Parete E
Parete F
Parete G
Parete H
Parete I
Parete L
Parete M
Parete N
Parete O
Facsia con "catena" - RD
DS
CO
DS
CO
PGA (g)
PGA (g)
PGA (g)
PGA (g)
UP
0.11
0.32
0.22
0.36
MP
0.08
0.27
0.21
0.27
UP
0.12
0.16
0.22
0.32
MP
0.10
0.14
0.21
0.28
UP
0.10
0.16
0.20
0.29
MP
0.08
0.14
0.15
0.24
UP
0.25
0.45
0.51
0.51
MP
0.29
0.29
0.29
0.29
UP
0.12
0.18
0.26
0.32
MP
0.09
0.14
0.22
0.22
UP
0.16
0.17
0.28
0.28
MP
0.07
0.09
0.16
0.16
UP
0.19
0.19
0.19
0.19
MP
0.18
0.18
0.18
0.18
UP
0.19
0.19
0.19
0.19
MP
0.20
0.20
0.20
0.20
UP
0.21
0.21
0.21
0.21
MP
0.22
0.22
0.22
0.22
UP
0.74
0.74
0.74
0.74
MP
0.71
0.71
0.71
0.71
UP
0.15
0.16
0.24
0.24
MP
0.14
0.14
0.26
0.26
UP
0.09
0.17
0.18
0.43
MP
0.07
0.09
0.16
0.33
UP
0.15
0.15
0.30
0.30
MP
0.09
0.09
0.20
0.20
0.35
0.46
0.35
0.46
0.26
0.26
0.26
0.26
Tab. 6.6: Vulnerabilità sismica delle pareti e del treno di pareti in direzione y
247
6.3 Complesso di S. Lorenzo ad septimum ad Aversa
6.3.1 Rilievo, configurazione strutturale e stratigrafica della fabbrica
Il secondo fabbricato analizzato è il complesso di S. Lorenzo ad septimum, monastero
benedettino, eretto esternamente al centro storico di Aversa.
È possibile riconoscere diversi corpi di fabbrica tra di loro adiacenti e realizzati in
epoche successive, con un comportamento meccanico piuttosto indipendente. L’
organismo murario più antico è la chiesa fondata, molto probabilmente, al tempo di
Riccardo I tra il 1054 e il 1078, costituita da tre navate: la centrale coperta con solaio
ligneo e le laterali con volte a crociera, alle quali nel Cinquecento si sono aggiunte
lateralmente cappelle coperte da cupolette. Agli inizi del Settecento si ebbe un riassetto
della basilica ad opera di Porciani su disegno di Giovan Battista Nauclerio, che consisteva
sostanzialmente in opere di stuccatura della chiesa.
Nel Seicento, adiacente sul fronte Sud della basilica è stata realizzata un’ampia parte
dell’attuale complesso costituito da ambienti che si organizzano attorno a due chiostri,
disposti in linea. Il primo, più piccolo, di forma quadrata e lato 10 m, è costituito da un
doppio ordine di portici voltati a crociera al piano terra e con volte a vela al primo, che
scaricano sui muri e su colonne a base quadrata di lato 50 cm, ad un interasse di 3.50 m.
Nel Settecento, il primo piano del porticato è stato chiuso, realizzando tra le colonne
murature sottili dello spessore di 30 cm ed inserendo ampie finestre alte circa 2.50 m e di
luce 1.50 m. Gli ambienti attorno al chiostro, con uno sviluppo lineare, sono coperti con
volte a botte lunettate, che scaricano sui muri paralleli ai lati del chiostro disposti ad un
interasse di circa 6.50 m, con spessori sostanzialmente omogenei sia al piano terra che al
primo, variabili tra 1.10 m 1.50 m. Nell’Ottocento si è realizzato un volume aggiuntivo al
secondo piano con i muri perimetrali allineati a quelli sottostanti e dello spessore di circa
0.80 m.
Il secondo chiostro, di lati 32x42 m, è realizzato con un doppio ordine di porticati in
elevazione, con colonne a sezione circolare in marmo, rastremate dal basso verso l’alto, di
diametro pari a 65 cm al piano terra e 50 cm al primo, disposti ad un interasse di 3.90 m e
voltati a crociera. Sul lato Nord del chiostro si affaccia la chiesa, mentre sui rimanenti
fronti sono disposti gli ambienti su tre piani sovrapposti, originariamente destinati alle
celle dei monaci e al refettorio. I muri perimetrali all’interno dei quali erano realizzati i
vari ambienti sono disposti ad un interasse costante di circa 9 m sul lato orientale, mentre
nel corpo a sud la distanza è pari a circa 11 m, tra i quali si inserisce un ulteriore elemento
248
murario di spessore inferiore. Gli interassi tra i vari impalcati sono 6.00 m, 5.80 m e 5.10
m, raggiungendo snellezze tra i vari impalcati variabile tra 4.2 e 5.5. Da notare sul fronte
occidentale il corpo al piano terra che si estende a doppia altezza con un interpiano di
11.82m ed un muro perimetrale di circa 2.40 m, con una snellezza di 4.92. Gli ambienti ai
primi due piani sono tutti voltati, ad esclusione di quelli disposti sul fonte sud del chiostro
al primo impalcato costituiti da solai in ferro, al di sotto dei quali sono visibili gli antichi
solai lignei, scarichi. Al terzo impalcato sono presenti capriate realizzate in epoca moderna
in legno lamellare o con travi reticolari in acciaio. Gli ambienti sul fronte meridionale del
chiostro sono coperti da volte in nervometal.
Fig. 6.30: Stratificazione del complesso di S. Lorenzo ad septimum - pianta piano terra (comunicazione orale
con il prof. arch. L. Guerriero)
Tra il 1776 e il 1807 venne costruito il nuovo Quarto dell’Abate in prolungamento
dell’ala meridionale del chiostro, ideato da Ferdinando Fuga e la cui costruzione fu diretta
da Francesco Iovene e Giuseppe Vecchietti, chiamati a controllare la corretta esecuzione
dei lavori. La fabbrica è di forma rettangolare, si estendeva inizialmente per tre livelli ed
249
ha uno sviluppo lineare con vani di forma quasi quadrata, tutti coperti con volte, che si
svolgono sui lati di un corridoio centrale largo 4m e coperto con volta a botte lunettata. La
configurazione geometrica è costante in altezza, conservando anche le aperture allineate. In
direzione longitudinale i muri, di spessore 1.40m si trovano ad una distanza di circa 7m da
quelli interni di spessore pari a 95 cm; alla fine dell’Ottocento è stato realizzato un altro
piano.
Fig. 6.31: Stratificazione del complesso di S. Lorenzo ad septimum - pianta piano terra (comunicazione orale
con il prof. arch. L. Guerriero)
In seguito alla soppressione napoleonica degli ordini religiosi il complesso
benedettino divenne proprietà pubblica e fu inizialmente utilizzato come sede dell’Istituto
Carolino e successivamente per una scuola di arti e mestieri, annessa ad un orfanotrofio.
Nel 1890 il complesso di San Lorenzo subì notevoli modifiche, tra cui il
consolidamento dei locali del chiostro e l’aggiunta di alcuni corpi. In particolare fu
realizzato un nuovo braccio di fabbrica, su tre livelli nel cortile della ginnastica sul lato
meridionale. Tale corpo costruito con muri di spessore pari a circa 1m (quasi costante in
250
altezza) è costituito da ambienti uguali in elevazione, di lunghezza 41 m e larghezza 7.50
m, originariamente adibiti al pian terreno a refettorio e ai piani superiori a dormitorio. Il
secondo piano, in seguito ad ulteriori lavori, fu ridotto ad infermeria dividendo l’ambiente
in cinque sale per gli infermi, oltre alla camera dell’infermiere e al corridoio di
disimpegno; attualmente presenta la configurazione iniziale di locale unico. Il primo e
secondo impalcato sono realizzati con solai a putrelle in ferro (NP 260) e voltine alla
siciliana, con soletta superiore in c.a. I profilati in ferro poggiano su appoggi in acciaio
ancorati nella retrostante muratura.
Al momento il complesso di S. Lorenzo ospita la facoltà di Architettura ed ha subito
alcuni interventi volti a rifunzionalizzare e a consolidare l’intera fabbrica.
In Figg. 6.30-6.32 sono riportate le piante del complesso di S. Lorenzo ai vari impalcati,
riportando anche la stratificazione cronologica della fabbrica.
Fig. 6.32: Stratificazione del complesso di S. Lorenzo ad septimum - pianta piano terra (comunicazione orale
con il prof. arch. L. Guerriero)
251
Fig. 6.33: Sezioni- prospetto del complesso di S. Lorenzo ad septimum
6.3.2 Modellazione della struttura
Studiando la fabbrica si nota che l’analisi del comportamento sismico della struttura può
essere condotta considerando separatamente i diversi corpi di cui è costituita.
In particolare il quarto dell’Abate è una struttura a configurazione scatolare e
regolare. Data la funzione di rappresentanza che assolveva, questo corpo è stato costruito
con spessori elevati e con un’apparecchiatura muraria di buona fattura. La risposta sismica
di questa parte può essere analizzata analogamente a quanto fatto per Palazzo Petrucci e
quindi riconducendo il comportamento della struttura nel suo piano. Si ritiene comunque in
base alle considerazioni svolte sulle analisi di Palazzo Petrucci e alla particolare regolarità
che presenta il corpo di fabbrica sia in altezza che in pianta che non sia particolarmente
vulnerabile sismicamente se si inseriscono delle catene in corrispondenza delle fasce di
piano con la doppia funzione di ricondurre il comportamento dell’edificio nel piano e di
attivare meccanismi benefici nelle fasce, permettendo l’accoppiamento dei maschi ed un
conseguente buon comportamento di questo corpo di fabbrica.
Nel caso di S. Lorenzo si è focalizzata l’attenzione sulle parti della fabbrica che in
prima analisi sembrano presentare una certa vulnerabilità per azioni perpendicolari alle
pareti. In particolare la sezione trasversale della chiesa, le sezioni sui quattro lati del
chiostro e la sezione trasversale del corpo ottocentesco, indicate in Figg. 6.33 e 6.34. Tra
252
queste la più critica sembrano essere quella in corrispondenza del corpo ottocentesco a
causa della particolare snellezza dei setti murari e della presenza di sezioni resistenti molto
ridotte in direzione trasversale Si è quindi considerata una porzione significativa.
Fig. 6.33 Individuazione in pianta delle sezioni del complesso di S. Lorenzo critiche nei confronti del sisma
Sez.2
Sez.1
Sez.3
Fig. 6.34 Alcune delle sezioni critiche per azioni fuori dal piano
Sez. 4
La struttura è stata modellata con aste a plasticità concentrata ed è stata condotta
anche un analisi cinematica lineare e non lineare. Si è considerato un livello di conoscenza
253
LC3 dato che lo studio si basa su un’analisi sperimentale delle caratteristiche meccaniche
elastiche e plastiche dei tre cronotipi a cui le murature del fabbricato sono riconducibili.
Data la stratificazione che l’edificio ha subito nel tempo, anche in questo caso, si
sono considerate le tecniche costruttive corrispondenti con cui gli elementi murari sono
stati realizzati, con riferimento ai cronotipi che caratterizzano l’area napoletana dal XVI al
XX secolo. In Fig. 6.35 si riporta l’individuazione delle differenti tecniche costruttive per il
corpo esaminato, omogeneo non solo in elevazione, come evidente in Fig. 6.35, ma anche
in pianta. Si noti che pur avendo assunto il complesso di S. Lorenzo ad septimum la
configurazione odierna nel corso dei secoli, nella sostanza ogni corpo è di impianto
omogeneo e solo in alcuni casi presenta aggiunte o consolidamenti realizzati negli anni
successivi.
Per le fasi costruttive individuate, si è adottato il valore di resistenza riscontrato per il
cronotipo ottocentesco dalle prove a compressione a deformazione controllata sui
macromodelli in scala reale. Non si è considerata nessuna decurtazione di tale valore [Tab.
6.6], affidandosi alla buona qualità costruttiva dei materiali di tale complesso.
Fig. 6.36 : Stratificazioni delle tecniche costruttive adottate per le sezioni esaminate
Cronotipo
Blocchetti
E (≅1000 σmax)
σmax
2
2
E (≅300 σmax)
(N/mm )
(N/mm )
(N/mm2)
2.60
2500
700
Tab. 6.6: Caratteristiche meccaniche della muratura adottate nella modellazione
Per quanto riguarda il modulo elastico le analisi sono state svolte con due differenti
valori pari a circa 1000 σmax (indicato da EC6 e D.M.’87)e a circa 300 σmax (ottenuto dalla
sperimentazione) così da stimare in che modo questo parametro incide sulla valutazione
della capacità sismica della struttura. Per la rotazione ultima è stato adottato un valore pari
a 1%, leggermente maggiore di quello considerato dall’ordinanza per i meccanismi di
254
presso flessione per gli edifici esistenti (φu=0.6%), dati i buoni valori di deformazione
ultima riscontrati durante la sperimentazione condotta sui macromodelli.
6.3.3 Analisi del comportamento sismico
Fig. 6.37 : Sezione e schema geometrico del corpo ottocentesco
Si è condotta inizialmente l’analisi cinematica lineare, considerando il meccanismo
di ribaltamento della parete, valutato per tre spigoli, corrispondenti alle due riseghe e alla
linea di terra, in modo da calcolare a quale altezza avviene il ribaltamento e la
corrispondente forza sismica. Si ottiene che il ribaltamento avviene intorno allo spigolo
alla base raggiungendo un coefficiente moltiplicativo pari a 0.058.
Si è poi considerata una zona plasticizzata di circa 10cm, con uno spigolo arretrato di circa
5 cm rispetto a quello esterno, ottenendo un α0 pari a 0.053.
Dato tale coefficiente si può ricavare l’accelerazione considerando una massa
partecipante valutata dagli spostamenti virtuali associati ai vari pesi come una forma di
vibrare della struttura. Utilizzando lo spettro di progetto che l’ordinanza fornisce
nell’allegato 11C per condurre la verifica di sicurezza nei confronti dello SLU riferito ad
una suolo di tipo B si ottiene una PGA pari a 0.07g, per il blocco rigido, e pari a 0.06g se
plasticizzato alla base per un estensione di 10 cm.
Per ottenere una valutazione effettiva e meno cautelativa della capacità sismica si è
condotta un’analisi cinematica non lineare. In Fig. 6.38 si riporta la curva che rappresenta
l’evoluzione del cinematismo, mettendo in relazione l’accelerazione (a), corrispondente al
moltiplicatore di collasso, allo spostamento della struttura (dk). Si è inoltre riportata con
255
una linea a tratto spesso la curva di capacità corrispondente, utilizzata per condurre le
verifiche di sicurezza, ottenuta arrestando la retta a- dk per uno spostamento pari al 40%
del valore per cui si arriva all’annullamento del moltiplicatore α e con un periodo secante
del corpo (Ts).
1.4
a
1.2
1
0.8
Analisi cinematica
0.6
0.4
0.2
d k (m)
0
0
ds
0.1
0.2
du
0.3
0.4
0.5
0.6
Fig. 6.38 : Curva di capacità ottenuta dall’analisi cinematica lineare
Anche in questo caso si è valutata la PGA utilizzando gli spettri forniti
dall’ordinanza per la verifica di sicurezza del blocco rigido nel caso di analisi cinematica
non lineare. Per poter utilizzare tale spettro è necessario conoscere un periodo T1 pari al
primo modo di vibrare della struttura nella direzione considerata, facendo quindi
riferimento alle sue caratteristiche elastiche. Nel caso del corpo di fabbrica analizzato,
molto snello ed allungato si sono registrati valori molto alti pari a 1.85 s per E=2500
N/mm2 e uguale a 3.02 s per E=700 N/mm2, con una massa partecipante pari al 67%.
Per tali periodi si ha che gli intervalli di definizione dello spettro degli spostamenti
(0-1.5T1; 1.5T1-TD, >TD) non sono univocamente definiti essendo validi fino a T1 pari ad
1.33s. Per poter comunque valutare la vulnerabilità sismica si è considerato sia il secondo
tratto dello spettro ottenendo una PGA pari a 0.04g che il terzo con una PGA pari a 0.03g.
Si sono registrati in sintesi dei valori di capacità sismica più bassi rispetto a quelli ottenuti
256
dall’analisi cinematica lineare, in netto contrasto con la capacità deformativa che si evince
dalla curva di push-over, per cui tali risultati non sembrano attendibili.
Successivamente si è condotta un’analisi statica non lineare modellando i blocchi
rigidi con aste a plasticità concentrate e si è riscontrato anche in questo caso che il collasso
della struttura avviene alla base della parete. In Fig. 6.39 si riportano le curve push-over
relative all’oscillatore semplice, ottenute per le due differenti distribuzioni di forze per i
due moduli elastici considerati in un diagramma a-dk, nel quale sono rappresentate anche
le curve di capacità ricavate dall’analisi cinematica non lineare, considerando sia la base
ancora in campo elastico che parzialmente plasticizzata.
1.4
a
E=7000 MP
1.2
E=7000UP
E=25000 UP
1
E=25000 MP
0.8
Analisi cinematica
- corpo rigido
Analisi cinematica
- base plasticizzata
0.6
0.4
0.2
d k (m)
0
0
ds
0.1
0.2
du
0.3
0.4
0.5
0.6
Fig. 6.39 : Curve di capacità a confronto per il ribaltamento della parete fuori dal piano
E
dist forze
T
q
Fmax
2
(kN)
(N/mm )
700
non lin (UP)
2.68
2.32
47
700
non lin (MP)
3.31
2.27
33
2500
non lin (UP)
1.54
4.31
57
2500
non lin (MP)
1.81
3.92
45
Tab. 6.7 : Valori di vulnerabilità per il ribaltamento della parete fuori dal piano
ag
0.21
0.18
0.29
0.24
Dal grafico si evidenzia in primo luogo che le curve relative al corpo rigido hanno
una forma piuttosto simile a quelle del corpo elastico e che si inseriscono all’interno della
fascia di comportamento determinata dai quattro modelli considerati, registrando in
sostanza un’analogia sia in termini di resistenza che di deformabilità. Si nota inoltre che
257
decurtare del 60% lo spostamento ultimo equivale a considerare una capacità rotazionale
del blocco pari ad 1%. Si precisa che i rami discendenti della curva non hanno la stessa
pendenza a causa di una diversa posizione delle forze applicate alla sezione per i due tipi di
analisi condotte
Analizzando la vulnerabilità sismica della struttura, considerando gli spettri di
risposta elastici, si ottengono dei valori nettamente più elevati rispetto a quelli conseguiti
con l’analisi cinematica non lineare, con una PGA variabile tra 0.19g e 0.22g per un
modulo elastico di 700 N/mm2 e PGA tra 0.24g e 0.28g per E=2500 N/mm2.
1.8
d(m)
spettro elastico
T1=0.333
1.2
T1=0.5
T1=1
T1=1.33
T1=1.75
0.6
T(s)
0
0
1
2
3
4
Fig. 6.40 : Confronto tra gli spettri forniti dall’ordinanza per un suolo di tipo B
Dall’esame della forma si evince che ciò che differenzia i due tipi di analisi
riguarda sostanzialmente il metodo adottato per la verifica di sicurezza nei confronti delle
azioni sismiche. In sostanza le due procedure si differenziano per il mancato passaggio nel
secondo caso dal MDOF al SDOF ma soprattutto per gli spettri adottati. Per evidenziare
tale differenza si riportano a confronto in Fig. 6.40 lo spettro degli spostamenti per i corpi
deformabili e quelli per il corpo rigido relativi ad un suolo di tipo B.
Nel secondo caso lo spettro non è univocamente definito ma come detto in
precedenza dipende dalle caratteristiche geometriche (coordinate del baricentro delle
masse) e dalle sue caratteristiche di deformabilità.
258
Si ha che lo spettro degli spostamenti per l'analisi cinematica non lineare coincide
come intervalli di definizione con quello elastico per T1=0.33s (suolo B). Nel caso in cui
Z/H=0.25 corrisponde esattamente. Per Z/H=0.75 la richiesta degli spostamenti si
amplifica del 50%( in corrispondenza del tratto orizzontale). Ma la variazione più
significativa si ha al crescere di T1. Si ha infatti che la richiesta dello spostamento per
Z/H=0.5 è cinque volte maggiore passando da T1=0.33s a T1=1.75s. Ciò mostra come una
non corretta valutazione di T1 può portare a richieste di spostamento e quindi a valori di
vulnerabilità sismica diversi tra loro. Si ritiene che l’uso di spettri così fortemente
influenzati dal periodo della struttura è da evitare per gli edifici in muratura, non essendo
in realtà una caratteristica della struttura di certa determinazione, essendo fortemente
dipendente dal modulo elastico. Anche tale caratteristica meccanica non è facile da
determinare e, come visto, i valori forniti dalla letteratura e dalle varie normative oscillano
in un range ampio che ha come estremi 300 fk e 1000fk. È necessario quindi un ulteriore
approfondimento per fare in modo che il modello restituisca valori effettivi sulla capacità
sismica della struttura.
1.40
a
1.20
1.00
E=25000 (UP)
0.80
E=7000 (UP)
E=7000 (MP)
0.60
E=25000(MP)
0.40
0.20
d k (m)
0.00
0
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.6
Fig. 6.41 : Curva push-over per impalcati flessionalmente efficaci
Dai valori di vulnerabilità forniti dall’analisi cinematica non lineare si deduce un
buon comportamento sismico della struttura, nonostante una valutazione cautelativa della
rotazione ultima e una certa influenza del modulo elastico, che per E=2500 N/mm2 porta
259
ad un incremento del 33%. Si ha però che a tale comportamento corrispondono elevati
spostamenti in testa (fino a 36 cm), per permettere i quali è necessario che gli impalcati
siano opportunamente collegati alle pareti in modo da consentire tali spostamenti, evitando
crolli. Per permettere ciò non necessariamente l’impalcato deve essere solidale con la
parete, ma è sufficiente che uno degli appoggi del solaio sia scorrevole.
E
2
(N/mm )
7000
7000
25000
25000
distribuzione
forze
UP
MP
UP
MP
T
q
1.47
1.79
0.99
1.19
3.07
2.40
4.39
4.38
Fmax
(kg)
22589
22092
25452
20106
ag
0.32
0.39
0.35
0.33
Tab. 6.8 Valori di vulnerabilità per impalcati flessionalmente efficaci
Successivamente si è analizzato il caso in cui gli impalcati e il tetto siano in grado
di permettere un certo accoppiamento dei maschi, portando sia per E=700 N/mm2 che
E=2500 N/mm2 ad una PGA di 0.32g. Si ha quindi che un ulteriore intervento (anche se
più invasivo) potrebbe consistere nel rendere solidale l’impalcato con la parete.
260
CAPITOLO 7
CONCLUSIONI
7.1 Risultati conseguiti
L’oggetto della tesi è l’analisi del comportamento sismico degli edifici in muratura in tufo
giallo in area campana, basata sulla conoscenza delle tecniche costruttive adottate nel corso
dei secoli, con lo scopo di valutare sia le capacità di resistenza che le sue risorse plastiche.
Quest’ultime sono di fondamentale importanza per poter stimare il reale comportamento
sismico della struttura e permettere su di essa un intervento di tipo compatibile.
Il conseguimento di tale obbiettivo ha comportato l’approfondimento di differenti
ambiti di ricerca, tra di loro correlati, raggiungendo alcuni risultati in ognuno di essi.
In primo luogo si è condotta una campagna sperimentale per conoscere il
comportamento elastico e post-elastico della muratura e degli elementi che la costituiscono
(tufo e malta).
La sperimentazione condotta sulle tipologie di muratura di tufo storiche
avvicendatesi in territorio napoletano per circa quattro secoli (dal XVI al XX) ha
evidenziato innanzitutto la buona affinità tra il tufo e le malte di calce aerea che venivano
usualmente utilizzate, che conferisce alla muratura una sostanziale omogeneità, anche in
presenza di apparecchiature fortemente diverse.
È stata confermata la buona capacità di queste murature nel resistere a carichi
verticali, contestualmente ad un’inattesa e significativa capacità “plastica”, con elevate
deformazioni a rottura anche se accompagnate da una non trascurabile perdita di
resistenza.
Il dato ottenuto più significativo è proprio questa capacità di adattamento plastico
della muratura, che può considerarsi alla stessa stregua della duttilità degli altri materiali
strutturali. Questa capacità appare condizionata più che dai parametri di resistenza
meccanica dei componenti e quindi della stessa muratura, soprattutto dal tipo di tessitura
specifico di ogni tipologia. In particolare sembra assumere, a questo fine, notevole
rilevanza l’ingranamento trasversale tra i conci, la presenza di specifici elementi di
261
cucitura e l’uso di una malta con caratteristiche particolarmente affini a quelle del tufo:
l’insieme di tali elementi svolge quindi, nella muratura, un ruolo simile a quello delle staffe
nel caso degli elementi in c.a..
Per tutte le tipologie si riscontra che la resistenza ottenuta dalle prove sulla muratura
è maggiore di quella calcolata in funzione delle resistenze dei componenti seguendo le
indicazioni delle norme per le murature in pietra naturale squadrata. Non sembra quindi
lecito utilizzare le formule semplificate riportate dalle norme nel caso di murature storiche
di tipo tradizionale, in quanto la sottovalutazione della resistenza a compressione, se può
essere accettata in sede di progetto per le nuove costruzioni, può portare ad un inutile
appesantimento degli interventi di rinforzo nel caso di restauro di manufatti storici
esistenti.
Inoltre le prove a compressione condotte sui macromodelli sono state utilizzate per
studiare il comportamento sismico del blocco snello, essendo l’elemento strutturale
elementare in cui si può scomporre un edificio speciale. Questo tipo di edificio è concepito
come sistema di blocchi, per il quale durante un evento sismico il cinematismo di collasso
è caratterizzato dalla rotazione degli elementi murari e la cui duttilità dipende dalla
capacità rotazionale dell’elemento.
La formulazione teorica del legame costitutivo σ-ε della muratura è stata data in
funzione di quattro parametri, facilmente ottenibili dai test di compressione a deformazione
controllata. Per ogni cronotipo dalle curve σ-ε teoriche sono stati ricavati i diagrammi
momento curvatura relativi ad una sezione trasversale di elementi snelli in muratura. I
diagrammi Momento-curvatura mostrano una notevole capacità dissipativa di questo tipo
di struttura, e spiegano il buon comportamento sismico degli edifici in muratura antichi
sebbene esistenti.
La conoscenza del legame costitutivo completo del materiale è così essenziale per
esplorare il ruolo importante del comportamento post-elastico del materiale per il
comportamento sismico delle strutture murarie.
Successivamente si è passati all’analisi del comportamento sismico di un edificio
ordinario. In presenza d’impalcato rigido o di connessioni delle pareti, realizzato ad
esempio con delle catene, l’analisi dell’intera struttura può essere ricondotta a quella della
parete muraria nel suo piano. Le analisi numeriche condotte hanno messo in luce il ruolo
strategico della fascia di piano nei confronti della risposta sismica degli edifici, quando
l’impalcato consente di impegnare le pareti come controventi (nel proprio piano). Infatti la
262
configurazione strutturale dei pannelli di fascia, che può assumere assetti molto diversi nel
costruito storico e/o a seguito di possibili interventi di consolidamento, determina, alla luce
delle modellazioni esaminate e delle analisi numeriche svolte, comportamenti sismici delle
pareti molto diversi.
Si è condotto anche uno studio sulle caratteristiche morfologiche e dimensionali di
tale elemento costruttivo, rilevando un numero elevato di campioni murari riferibili sia al
Settecento che all’Ottocento. Le fasce esaminate sono caratterizzate da un rapporto di
snellezza (H/L) compreso tra 1 e 2.5 e sono costituite da elementi lapidei, sovrapposti per
due, tre ordini apparecchiati ad arco con freccia molto ridotta o nulla. Le differenze
riscontrate tra i due cronotipi sono date dalla forma dei conci “speciali” e dal loro rapporto
dimensionale con quelli ordinari. Infatti, nell’Ottocento gli elementi lapidei sono sagomati
a cuneo e più snelli, mentre nel Settecento non veniva prestata particolare cura alla
sbozzatura di tali conci, più tozzi rispetto a quelli adiacenti.
Per approfondire il comportamento sismico della fascia di piano si è condotta una
campagna sperimentale su campioni murari in scala ridotta corrispondenti a fasce di piano
dotate di un elemento (ad es. una catena scorrevole) in grado di contenerle, considerando
tre differenti tessiture murarie, corrispondenti a quelle tipiche del Settecento, a quelle
ottocentesche e a quelle contemporanee (post 1950), con l’impiego di conci squadrati.
Per i provini in muratura ordinaria si sono osservate rotture per scorrimento
orizzontale (fascia snella o medio snella) o per trazione diagonale (fascia tozza).
Per le fasce in muratura storica (con la presenza di una piattabanda lapidea) è stato
riscontrato per quelle snelle un comportamento misto di rotture a taglio e di compressione
del puntone (particolarmente rilevabile dall’elevata capacità deformativa della fascia),
mentre per le fasce medie e tozze si è riscontrato una rottura per taglio diagonale.
Si è accertato per le fasce storiche un aumento di resistenza rispetto a quelle in conci
squadrati, dato dall’effetto benefico che provoca la presenza della piattabanda lapidea sul
comportamento meccanico dell’elemento strutturale.
Per nessuna tipologia di fascia la formulazione a taglio fornita dall’ordinanza
descrive il meccanismo effettivamente riscontrato. Dall’esame di diverse formule
alternative si è verificato che la formulazione di Turnsek & Cacovic, modificata per le
fasce di piano, con sforzo normale agente in funzione del taglio resistente della fascia
descrive al meglio il comportamento meccanico effettivamente registrato.
263
In particolare nel caso di fasce storiche con piattabande lapidee la formula di Turnsek
& Cacovic viene adottata con un valore di resistenza a taglio fittizia, doppia rispetto a
quella considerata per gli elementi in muratura ordinaria.
In tutte le prove si è riscontrata un’elevata capacità deformativa delle fasce di piano
durante l’evento sismico, anche se la rottura è associata a meccanismi di taglio, superando i
limiti imposti dall’ordinanza per i maschi murari.
Lo studio ha evidenziato inoltre che l’instaurarsi di uno schema resistente a puntone
e di una conseguente rottura a compressione delle zone esterne del puntone, che sarebbe
più
favorevole,
difficilmente
si
riesce
ad
attivare,
instaurandosi
prima
o
contemporaneamente (nel caso di alcune fasce storiche) una crisi per scorrimento
orizzontale o per rottura diagonale. Si deve tuttavia considerare che nella sperimentazione
condotta si è valutato il comportamento della fascia nella condizione più sfavorevole, non
essendo applicato nessun carico verticale. Invece nelle pareti murarie la presenza del peso
proprio e del solaio comporta in corrispondenza delle fasce quanto meno l’instaurarsi di
uno schema ad arco e quindi la nascita di uno sforzo di compressione che si oppone in
parte allo scorrimento lungo i giunti orizzontali.
Risulta evidente, in fine, che gli interventi di recupero delle fasce di piano,
soprattutto nei casi di interesse storico, devono tendere a consentire l’instaurarsi del più
resistente meccanismo a puntone, evitando per quanto possibile il ricorso ad invasive
applicazioni di armature a taglio. Ciò probabilmente si può ottenere anche solo
incrementando il confinamento superiore ed inferiore del pannello di fascia mediante
l’inserimento di elementi metallici.
Nella fase finale del lavoro di tesi è stata valutata la vulnerabilità sismica di due
edifici, entrambi stratificati e complessi, che appartengono alle due categorie individuate
(ordinaria e speciale), esaminate entrambe con procedure di analisi non lineari.
Nel caso di Palazzo Petrucci (edificio ordinario) il comportamento della struttura è
stato modellato a lastre a plasticità concentrata tenendo conto della sua stratificazione
storica, di due configurazioni dell’impalcato e di due diverse tipologie strutturali di fascia:
debole e con “catena”; quest’ultimo caso è stato analizzato valutando la resistenza a taglio
sia con la formulazione dell’OPCM 3274, sia con quella fornita in questo lavoro , basata
sull’interpretazione della campagna sperimentale effettuata sulle fasce di piano.
Si sono inoltre considerati due diversi livelli di danneggiamento. Nella sostanza si è
riscontrata una buona capacità sismica della struttura con un limitato danneggiamento nel
264
caso in cui si inserisce la catena in corrispondenza delle fasce di piano, se il suo apporto
viene calcolato valutato secondo le formule dedotte dalla sperimentazione. Tale intervento
è necessario per poter attivare un meccanismo di rottura nel piano, per cui se
adeguatamente inserite (in corrispondenza delle fasce di piano) nel muro permette una
migliore risposta sismica della parete stessa e quindi dell’edificio a cui appartiene.
Valutando la capacità sismica del fabbricato sia nel caso in cui l’impalcato sia
effettivamente rigido e resistente sia nel caso in cui sia deformabile, si è riscontrata una
maggiore vulnerabilità all’ultimo livello dell’edificio, maggiormente evidente quando le
pareti non sono tra di loro collegate. Ciò evidenzia una buona qualità della struttura ad
eccezione delle parti aggiunte tra la fine dell’ottocento e gli inizi del novecento, in numero
e di spessore inferiore rispetto a quelle presenti ai piani inferiori. Inoltre questi livelli sono
particolarmente vulnerabili essendo la capacità resistente degli elementi in muratura in
termini di taglio e sforzo normale funzione del regime di compressione cui sono sollecitati.
Nonostante tali difetti dell’edificio siano maggiormente evidenti nel caso in cui le
pareti abbiano un comportamento sismico tra loro indipendente, si ritiene inutile
l’inserimento di un impalcato rigido, la cui effettiva realizzazione non è certa. Sembra più
opportuno intervenire localmente in corrispondenza dei pochi elementi più vulnerabili.
Nel caso del complesso di S. Lorenzo ad septimum ad Aversa, la struttura si può
dividere in diverse parti con comportamenti meccanici indipendenti. In particolare si è
valutato la risposta sismica di alcune sezioni murarie maggiormente vulnerabili al di fuori
del piano. Tali sezioni sono state analizzate facendo riferimento alla capacità plastica alla
base del blocco snello. Anche in questo caso si è verificato un buon comportamento
sismico, riscontrabile solo se si considerano le capacità non lineari della struttura,
migliorabile con l’inserimento di catene o consentendo all’impalcato di svolgere una
funzione di accoppiamento tra i setti murari. In particolare, essendo la capacità sismica di
questa struttura connessa alla non linearità geometrica risulta di fondamentale importanza
poter permettere alla struttura elevati spostamenti in sommità evitando il crollo degli
impalcati.
In sintesi dall’analisi della vulnerabilità sismica degli edifici appartenenti alle due
categorie si sottolinea l’importanza della fase della conoscenza dei materiali, delle tecniche
costruttive e delle sue caratteristiche meccaniche e delle vicissitudini storiche della
fabbrica determinanti per un’attenta valutazione della sua capacità sismica, in modo da
poter accuratamente valutare interventi minimi ma indispensabili da eseguire sull’edificio
265
storico. Nel corso del lavoro si sono evidenziate le difficoltà connesse ad un’adeguata
modellazione della struttura in muratura e della scelta del tipo di analisi da condurre. Infatti
a causa della sua complessità è impossibile realizzare un modello unico che tenga conto
della reale rigidezza del materiale (di difficile valutazione), della progressiva
parzializzazione degli elementi resistenti in muratura, della reale rigidezza dell’impalcato,
dell’effettivo comportamento deformativo e resistente degli elementi portanti (in
particolare delle fasce) e del livello di danneggiamento che la struttura è in grado di
sopportare. Per cui è necessario esaminare diversi modelli e valutare accuratamente i
risultati conseguiti dalle analisi numeriche.
Si ritiene che solo con un’attenta sperimentazione sulle effettive capacità resistenti
degli elementi in muratura e conducendo analisi che tengano conto delle effettive capacità
plastiche della struttura muraria si possano ottenere valori non eccessivamente cautelativi
del comportamento sismico della struttura.
7.2 Possibili sviluppi
Il lavoro presentato in questa tesi apre la strada a diversi possibili sviluppi e nello stesso
tempo individua una serie di problemi che richiedono ulteriori approfondimenti.
In particolare per quanto riguarda la caratterizzazione meccanica del materiale
muratura di tufo per i tre crono-tipi analizzati, una limitazione dell’analisi consiste
nell’effettiva riproduzione della qualità della malta, ma soprattutto nel non aver
considerato il degrado che la malta subisce nell’arco dei secoli, influenzando il
comportamento meccanico della muratura. Per cui per avere un quadro più completo delle
caratteristiche storiche delle murature in tufo giallo napoletano post-medievali si
potrebbero condurre delle prove a compressione a deformazione controllata su pannelli
murari prelevati in sito.
Dagli studi condotti sulle caratteristiche morfologiche della fascia di piano in area
napoletana si evince la necessità di rilevare campioni di fasce di età vicereale in modo da
poter estendere i risultati ottenuti sul miglior comportamento sismico della fascia di piano
“storica”.
Avendo riscontrato (solo in pochi casi e nelle prove monotone) che quando si
instaura un meccanismo a puntone il comportamento sismico della fascia migliora
266
notevolmente in termini di duttilità, risulta necessario condurre successive ricerche per
determinare con quale tipo di intervento (il minimo possibile) si può effettivamente
instaurare un meccanismo a puntone, riuscendo a sfruttare la sua elevata capacità
deformativi, anche se sottoposta a carichi ciclici.
Infine per quanto riguarda le analisi condotte sul complesso di S. Lorenzo ad
septimum, data la diversità ottenuta per la valutazione della vulnerabilità sismica con due
modellazioni sostanzialmente analoghe su una delle sezioni di S. Lorenzo, si è riscontrata
la necessità di indagare sul reale comportamento sismico di strutture molto snelle soggette
ad azioni perpendicolari al piano, realizzabile solo conducendo analisi dinamiche in modo
da determinare l’effettivo spettro degli spostamenti elastico da adottare.
267
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