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DOSSIER LE TIGRI D’ORIENTE
Campioni
Mary Kom, pugni di confine
Da un povero villaggio del Nord-Est dell’India martoriato dai
conflitti alle luci di Bollywood. Come Mary Kom, storica
medaglia di bronzo nel pugilato femminile alle Olimpiadi di
Londra, ha messo knockout i cliché e conquistato la gloria a
suon di cazzotti.
di Giulia Sbarigia
n metro e cinquanta d’altezza per
46 chili di peso, Mangte
Chungneijang, 30 anni compiuti a
marzo, alle cronache nota come Mary
Kom, o anche solo MC, è un fuscello dal
pugno formidabile. Alle Olimpiadi di
Londra, le prime ad ammettere le donne
nel pugilato, si è conquistata una storica
medaglia di bronzo nei pesi mosca, una
delle tre categorie in cui è suddivisa la
boxe femminile. Lei, unica indiana a
qualificarsi, più minuta delle sue
avversarie, ha combattuto allo stremo la
semifinale contro l’inglese Nicola
Adams, di qualche chilo più pesante e
con la tecnica impeccabile che le è valsa
il primo oro nel pugilato femminile a
cinque cerchi. Mary Kom ha perso e si è
scusata con il suo popolo per non aver
centrato il podio più alto, ma quando è
tornata in patria era già la “regina del
ring”. L’India, maglia nera tra i paesi
Brics con appena 26 medaglie vinte in
oltre cent’anni di Giochi, l’ha acclamata
come la sua “Magnificent Mary”.
Mary Kom, insignita del prestigioso
Padma Bhushan, la seconda più alta
onorificenza civile indiana, è una gloria
nel Subcontinente e ha fatto innamorare
anche il cinema. Il regista inglese Danny
Boyle, premio Oscar per il film The
Millionaire, ha in progetto di girare un
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documentario su di lei mentre Bollywood
ha già acceso i motori di una costosa
macchina da kolossal. Nel ruolo di questa
esile signora in guantoni è stata scelta la
bomba sexy nazionale Priyanka Chopra.
Tutta la vita di “Magnificent Mary” è una
magnifica anomalia. È nata poverissima
a Kangathei, villaggio nello stato
federale di Manipur, un luogo remoto
del Nord-Est che gli indiani facevano
fatica a collocare sulla mappa prima
che Mary Kom irrompesse sulla scena.
Ancora una volta MC ha infranto un
tabù: “La gente non capisce chi siamo.
Spesso ci chiamano ching-chong-chingchong, perché ci scambiano per cinesi.
La nostra faccia è diversa, il nostro
modo di parlare anche, ma noi siamo
indiani”, ha spiegato ai giornalisti.
Nel Paese si è aperto il dibattito, con
giornali locali e blog costretti ad
allargare i confini delle cronache
nazionali oltre l’esotico, a fare i conti
con questo mondo a parte, con il
razzismo strisciante riservato alle
comunità etniche del Nord.
Frotte di cronisti hanno attraversato le
strade sterrate alla frontiera con il
Myanmar, ai piedi delle montagne
dell’Himalaya, per raggiungere Imphal.
Lì, a 50 chilometri dal suo villaggio
natale, dove la notte senza luci artificiali
cala alla 5 della sera, MC ha scelto di
vivere e fondare la sua accademia, in cui
insegna il pugilato ai ragazzi che
altrimenti non potrebbero permetterselo.
Anche ora che è diventata “Million dollar
Mary”. Una scelta coraggiosa quella di
restare in una zona insanguinata dai
conflitti etnici. I Kom, cui Mangte
Chungneijang appartiene, sono solo una
delle 40 tribù presenti sul territorio. La
violenza tra clan, che si incrocia con le
rivolte naxalite e le rivendicazioni
indipendentiste, è una costante da oltre
70 anni. Tra le valli e le colline di Manipur
scorrazzano almeno 35 gruppi ribelli che
usano lo stupro come strumento di
guerra con la complicità delle forze
speciali dell’esercito indiano. In questa
faida senza fine è rimasto ucciso anche il
padre del marito di Mary Kom,
ammazzato nel 2006 dal sedicente
“Manipur Komrem Revolutionary Front”.
A chi bussa alla sua porta, MC racconta
la sua storia, parlando inglese, hindi o
più agilmente in meitei, il dialetto
tibeto-birmano delle origini. Racconta
dei genitori contadini di religione
cristiana, dei primi allenamenti che
sfidavano l’ira del padre. “La boxe –
ammoniva il signor Pontinkhup Kom –
è una cosa da uomini”.
Mary ha quindici anni quando il pugile
Dingko Singh torna vittorioso a Manipur
dopo aver vinto la medaglia d’oro agli
Asian Games di Bangkok. È una
folgorazione che rivoluzionerà per
sempre la sua vita. Senza attrezzatura,
senza ring, Mary Kom, di nascosto dai
genitori, comincia a tirare di boxe e
subito raggiunge i primi successi.
Quando il padre, sfogliando il giornale
locale, riconosce in una foto la sua
“bambina” vittoriosa in guantoni ai
campionati regionali, si arrabbia molto,
east european crossroads
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DOSSIER
REUTERS/CONTRASTO/DANISH SIDDIQUI
INDIA
ma ormai è troppo tardi per convincere
la figlia a lasciar perdere. Mary Kom,
diciotto anni compiuti, fa il suo debutto
ufficiale nel primo Women World Boxing
Championship in Pennsylvania (Usa),
dove vince la medaglia d’argento. Solo
un anno dopo ad Antalya, in Turchia, ai
Campionati del mondo dell’Aiba
(Association Internationale de Boxe
Amateur), conquista l’oro. È l’inizio di
una serie di successi in mezzo ai quali
Mary riesce a infilare anche la maternità
e una pausa di un paio d’anni per
dedicarsi ai suoi due gemelli per poi
tornare sul ring e ricominciare a vincere.
“Se un uomo può farlo, anche una
donna può”, è il suo motto.
Le donne di Manipur sono fatte così.
numero 48 luglio/agosto 2013
Iniziarono nel 1904 a dare battaglia al
colonialismo britannico per l’abolizione
del lavoro forzato. Trent’anni più tardi le
agguerrite signore di Manipur erano
ancora lì a rivendicare riforme
economiche e sociali, con quella che
nei libri viene ricordata come Nupi Lal,
la “guerra delle donne”, immortalata in
un monumento nel centro di Imphal e
ricordata ogni anno con una cerimonia.
E anche oggi non hanno smesso di
lottare per denunciare gli abusi e i
rapimenti subiti da parte di ribelli
armati, esercito e polizia. Leader del
movimento è l’attivista per i diritti civili
Irom Sharmila Chanu. La chiamano
l’Iron lady di Manipur da quando nel
2000 è diventata l’icona della
L’indiana Mary Kom ha conquistato alle
Olimpiadi di Londra, le prime ad ammettere le
donne nel pugilato, una storica medaglia di
bronzo nei pesi mosca. Oggi è acclamata in
patria come la “regina del ring”.
resistenza con uno sciopero della fame
durato 500 settimane. Una protesta non
violenta ispirata a Gandhi per chiedere
al governo indiano di ritirare le forze
speciali dalla zona. Mozione respinta, e
arresto con l’accusa di tentato suicidio.
“Quando sono sul ring per una
competizione internazionale nella mia
testa c’è sempre il pensiero che lo sto
facendo per la madrepatria Manipur.
Sharmila deve sentire la stessa cosa”,
l’ha sostenuta da lontano Mary Kom.
Wonderwomen così cambiano la storia.
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