A.S. 2014/2015 - Istituto di Istruzione Superiore (IIS)

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A.S. 2014/2015 - Istituto di Istruzione Superiore (IIS)
Numero 1 – Anno 7
Gennaio MMXV
Periodico a cura degli studenti del Liceo Classico “G. Leopardi” – SBT
EDITORIALE
Lorenzo Cameli e Davide Clementi
La punta di una matita spezzata. Della tempera rossa a macchiare la superficie, a simboleggiare il sangue della strage al settimanale satirico francese Charlie Hebdo.
Non volevamo iniziare col sangue, ma con il
temperino che si appresta a ritemperare la
matita, a simboleggiare la rinascita della
creatività, della libertà, della vita. Questa è
l’interpretazione che ci ha dato il grande Pietro Laureati (VC) al suo lavoro che ci siamo
sentiti, come Redazione del giornale d’Istituto, di mettere in prima pagina insieme al
piccolo logo usato da tutti i giornali del
mondo all’indomani del vile atto contro la libertà d’espressione. Stavolta l’ironia non è in
prima pagina, ma, vi avvertiamo, dalla seconda e un po’ per tutto il numero troverete
di che ridere perché se c’è una e una cosa
soltanto che mai nessuno potrà impedire
all’essere umano è ridere. Scordatevi però il
solito Lògos!
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La vignetta, Alberto Catto | Je suis Charlie mais pas la haine, Lorenzo
Cameli pag2
Tutta colpa dell’Islam?, Ilaria di Francesco pag3
Contro l’etica della paura, Davide Clementi pag4
¡Cuba libre!, Ludovico Mariscano pag5
Noi ad Atene facciamo così, Kalimero pag6
Lingua 0, Alice Lambertelli-Valentina Belleggia | La sindrome della velina, A&G pag7
I migliori 10 album del 2014, Riccardo Nikpali pag8
Ve li siete persi? Beh, non avreste dovuto… (ovvero il meglio e il peggio cinematografico del 2014), Giovanni Merlini pag10
I film più interessanti nel 2015, Niccolò Tomassini – Il fantasitico mondo
di Hayao Miyazaki, Vincenzo Forlini pag11
In difesa di Abbot Thayer, apologia di una mimesi del mimetismo, Lorenzo Marchetti pag12
Un genio e le sue considerazioni: Henry Cartier Bresson, Pietro Laureati
La chiesa di Rennes Le Chateau: il luogo dei misteri, Simone Amabili
pag13
Il respiro della montagna, Ludovico Marsicano pag14
Intervista al regista di ‘Fango e gloria’ Leonardo Tiberi, L. Cameli, D.
Clementi, L. Marchetti pag14
Domande e risposte dai Paesi Bassi: uno sguardo sulla vita degli italiani
all’estero, Gianmaria Acciarri pag16
Uno spettro si aggira per la scuola: lo spettro di Bella Storia, Matteo Testasecca pag17
Il mio augurio più grande (La settimana bianca), Lorenzo Cameli
pag18
A volto scoperto, Daniele Goffi – Poesie, G. Acciarri, M. Civicillo pag20
#LERCIOLEOPARDI, JeSuisCharlie(Sheen)
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Numero 1 – Anno 7
Gennaio MMXV
JE SUIS CHARLIE, MAIS PAS LA HAINE
Q
#JESUISCHARLIE
uesto l'hashtag che è impazzato sul web
circa tre settimana fa.
Ma siamo veramente tutti Charlie?
In realtà, si è molto speculato sulla risposta a questa domanda.
Molti hanno accusato altri di ipocrisia. Altri hanno
accusato molti di insensibilità.
Ma, a mio giudizio, la risposta va maturata in due
passaggi fondamentali, opposti ma complementari nell'ottica della soluzione finale.
Perché nessuno di noi è Charlie?
Perché nessuno di noi è stato ucciso per aver disegnato una vignetta satirica sulla religione islamica;
nessuno ha messo a repentaglio la propria vita per
il proprio lavoro o, ancora, nessuno di noi ha lasciato a casa orfani i propri figli, vedove le proprie
mogli, in lacrime i propri parenti. Perché nessuno di
noi, in questo istante, non è qui, e questa certezza
risiede nel fatto non rientriamo nella lista dei dodici
uccisi nell'attentato.
Di qui, la seconda domanda: perché siamo tutti
Charlie Hebdo? E' giusto chiamarci Charlie? Sì. Tutti
noi siamo Charlie.
Perché tutti noi abbiamo subito un attentato che
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Lorenzo Cameli (VC)
va oltre la sfera religiosa, che va oltre la sfera ideologica o razziale.
Tutti noi abbiamo subito un attentato in quanto
partecipi dell'umanità e, come tali, la morte di
qualsiasi uomo ci sminuisce.
Tutti noi abbiamo subito un attentato per la stessa
ragione che ci rende quello che siamo: uomini.
«Nessun uomo è un'isola completo in se stesso –
scriveva il poeta inglese John Donne in uno dei
suoi sermoni – Ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. Se anche solo una nuvola venisse lavata via dal mare, l'Europa ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio, come se venisse a mancare una dimora di
amici tuoi, o la tua stessa casa. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte
dell'umanità.»
Dunque, è giusto scrivere JeSuisCharlie, ma solo
per manifestare la partecipazione ad un dolore
umano, senza la pretesa di essere strenui difensori
della libertà di stampa o d'espressione.
Sembrerà ingenuo, ma a me non provoca dolore
la violenza dei terroristi in quanto tali.
A me non intimorisce la loro ignoranza in merito
all'ermeneutica del loro libro sacro, il Corano, nè
tanto meno m'allarma l'urlo " Allah u Akbar" che si
Numero 1 – Anno 7
è levato alto in una strada di Parigi in quel drammatico
7
Gennaio.
La questione è molto più viscerale. A me scoraggia
il fatto che quei ragazzi che impugnavano due kalashnikov nella Rue Nicolas Appert in un mercoledì
di Gennaio fossero ragazzi come me, come voi che
state
leggendo,
come
molti
altri.
A me fa paura l'odio che può nascere in una persona, che questa sia fondamentalista, atea, cattolica o semplicemente musulmana.
A
me
fa
paura
l'odio
umano.
E mi stupisce il fatto che, se avessi incontrato gli attentatori in un qualsiasi momento di vita quotidiana,
in loro avrei potuto trovare centinaia di differenze,
ma sempre un motivo in più per considerarli miei simili.
Quello
di
essere
umani.
Così uguali, nonostante il modo con cui affrontiamo
la paura di impugnare un'arma da fuoco.
Così uguali, nonostante il modo con cui reagiamo
davanti alla possibilità di uccidere una vita umana.
«Io sono come lei, noi siamo uguali – recita Ascanio
Celestini leggendo l'opera "Carta Carbone" – Io
adesso qui sto in piedi, dietro la mia finestra chiusa
e vedo lei dall'altra parte della strada nel suo palazzo in piedi, dietro la sua finestra chiusa. Tutt'e due
con la stessa voglia di aprirla e di buttarsi di sotto.
Tutt'e due con la stessa paura di farlo per davvero.»
L'essere umani ci rende simili.
Ma
non
consapevoli
di
esserlo.
E così, come la consapevolezza s'acquisisce con la
conoscenza dell'umanità e con la sensibilità, allo
stesso tempo si disintegra di fronte all'odio.
Quell'odio che nella giornata dell'11 Settembre
2001 fece schiantare quattro aerei di linea passeggeri contro le Torri Gemelli di New York.
Quell'odio a cui l'allora presidente degli Stati Uniti
d'America George W. Bush rispose con una dichiarazione di guerra che avrebbe inevitabilmente
sparso altro odio e sangue sul suolo arabo.
Il giornalista e scrittore fiorentino Tiziano Terzani, in
M
olti di noi sanno che per più di un miliardo di persone di ogni razza, nazionalità, cultura, rappresentanti di un quinto
della popolazione mondiale, l’Islam non
rappresenta soltanto una religione ma uno stile di
vita. Invece, ciò che molti di noi ignorano è che
quella professata dai musulmani è una religione di
pace e misericordia che nulla ha a che vedere con
le gravi vicende associate a quegli estremisti ‘finti
musulmani’ i quali, prima di recare insulto all’Occidente, infangano il nome dell’Islam stesso.
In seguito ai recenti fatti di cronaca acquista una
fondamentale importanza il rapporto dell’Occidente con i credenti Islamici, i quali sono stati resi
oggetto di gravi offese e generalizzazioni da parte
di molti. Infatti la reazione generale e univoca
dell’Occidente, come evidenzia la pagina web
‘’The post internazionale” nell’articolo “Occidente
Gennaio MMXV
occasione dell'attentato dell'11 Settembre di matrice terroristica, ci aveva avvertito in una breve ma
intensa corrispondenza con Oriana Fallaci, nella
quale ammoniva con le seguenti parole l'autrice de
‘La rabbia e l'Orgoglio’: «Tu pensi davvero che la
violenza sia il miglior modo per sconfiggere la violenza? Da che mondo e mondo non c’è stata ancora la guerra che ha messo fine a tutte le guerre.
Non lo sarà nemmeno questa[...], perché a ricordare all'uomo la necessità di rompere il circolo vizioso della vendetta al fine di dare origine alla civiltà vengono in soccorso miti radicati nella cultura
occidentale, quali quello di Caino e quello delle
Erinni» e poi, con estrema lungimiranza e saggezza,
aggiungeva:
«Il nostro di ora e' un momento di straordinaria importanza. L'orrore indicibile e' appena cominciato,
ma è ancora possibile fermarlo facendo di questo
momento una grande occasione di ripensamento.
E un momento anche di enorme responsabilità perché' certe concitate parole, pronunciate dalle lingue sciolte, servono solo a risvegliare i nostri istinti
più bassi, ad aizzare la bestia dell'odio che dorme
in ognuno di noi ed a provocare quella cecità delle
passioni che rende pensabile ogni misfatto e permette, a noi come ai nostri nemici, il suicidarsi e l'uccidere.»
A questo punto, la domanda viene spontanea:
dove ci ha portati la politica dell'odio e della
guerra? Il sangue dei marines e dei fondamentalisti
musulmani sul suolo arabo e quello dei vignettisti
francesi sulle strade di Parigi rappresentano veramente la vittoria che l'America e tutti noi volevamo?
L'estrema attualità delle parole di Tiziano Terzani,
scritte 14 anni fa, dovrebbe farci riflettere su quale
decisione dovesse veramente essere presa e sulla
quale
dovremo
oggi
riflettere
tutti
noi.
Ma fino a quando la guerra soddisferà i nostri governi e, apparentemente, il nostro bisogno di sentirci al sicuro, ci ritroveremo qui, nella stessa situazione. A farci domande. Senza avere risposte.
Ilaria di Francesco (VC)
e Islam”, è stata: “L’Islam, violento per natura e incapace di essere ragionevole, è la matrice di questi
conflitti, l’Islam è il problema.”
A sostegno di queste riflessioni, è notevole il fatto
che in seguito alla strage della redazione di Charlie
Hebdo la collera dei cittadini francesi si sia abbattuta su alcune Moschee a Parigi, fortunatamente
causando soltanto qualche danno alle strutture architettoniche. È forse proprio della natura umana rispondere alla violenza con la violenza, rendendo
sempre più profonda e radicata quella frattura tra
culture, tra Oriente e Occidente, che sembra non
trovare risoluzione ormai da anni?
Forse. Eppure è qualcosa che vorrei rifiutarmi di credere; il dialogo tra diversità può essere sostenuto
soltanto da interlocutori formati e disposti ad aprirsi
verso tutto ciò che è considerato diverso da sé. È
per questa ragione che ho ritenuto necessario pro-
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porvi una conversazione avuta con una mia stimata amica, Gulcan, di origine curda e di religione
islamica, riguardo la barbarie di Charlie Hebdo.
Non è necessario uno studio particolarmente approfondito di questa cultura per scoprire che l’Islam
All these happenings have no connection with the Islam because in our religion it is prohibited to kill people! Allah (God) is the only one who can decide when
the life of a person ends. The salagists in Syria and Paris
are extremists, they manipulate people and exploit
them to get more power. They don’t fight for Islam they
fight for politics to get more power and to build like a
new empire.
On the other hand our religion says we should live life
in harmony with everyone and that’s why Muhammed
came a prophet. He never injured a person, he always
tried to handle problems and never fight.
People connect these happenings with Islam but that’s
wrong. I’m really angry because our religion is so
beautiful like every religion.
Every religion wants to change people’s behavior to a
good side.
non solo non è lontano dalle altre religioni per
quanto riguarda fini e principi etici, ma ha molto in
comune con il cristianesimo; infatti insieme con il
Giudaismo, Islam e Cristianesimo risalgono al profeta e patriarca Abramo, e i tre profeti discendono
direttamente dai figli di quest'ultimo: Muhammad
dal maggiore, Ismaele, e Mosè e Gesù da Isacco.
Abramo fondò l'insediamento che oggi è La
Mecca, città dove costruì la Ka'ba, verso la quale i
Musulmani si rivolgono quando pregano.
La guerra santa sostenuta dagli esponenti
dell’estremismo Islamico si fonda su una interpretazione deviata delle parole di Maometto, il quale
giustifica il conflitto soltanto in caso di autodifesa,
infatti:
«Combattete per la causa di Dio, contro coloro che vi
combattono, ma non eccedete, perché Dio non ama
coloro che eccedono. Ma se il nemico inclina verso la
pace, anche tu inclina verso la pace.» (2:190)
Gennaio MMXV
Per quanto riguarda la tolleranza, Maometto stesso
nel Corano afferma: «Allah non vi proibisce di agire
con bontà ed equità verso coloro che non vi combattono per religione e non vi hanno scacciato
dalle vostre dimore, poiché Allah ama gli equanimi.» (Corano 60:8). Sorprendente, vero?
Purtroppo le sole informazioni che riceviamo giornalmente riguardo questo mondo sono ben poco
rassicuranti, riguardano infatti un Islam violento, che
genera terrore; l’immagine che ne abbiamo è
quella di una religione fondamentalmente chiusa,
che scoraggia la cultura e il progresso allo scopo di
tenere sotto controllo le menti delle genti. Questo è
in parte vero se lo si restringe all’uso che ne viene
fatto da quelle organizzazioni fondamentaliste (Isis,
Al Quaeda), ovvero strumento di terrore. Eppure
Maometto in persona incoraggiò il buon uso del potere dell’intelletto e della capacità di riflessione.
Sotto la sua spinta nacquero numerose università,
nelle quali scienze come la matematica (vedi numeri arabi, concetto di 0), l’astronomia, la medicina
e molte altre trovarono grande sviluppo e che diedero un importante contributo alla cultura Occidentale; secondo il profeta infatti l’approfondimento della conoscenza è non solo un diritto, ma
anche un dovere.
I recenti avvenimenti hanno riempito di collera gli
animi di tutti noi; ora è nostro compito, in quanto
persone dotate di buone capacità razionali e di
una certa cultura, mantenerci obbiettivi affinché
questo sentimento non venga erroneamente
esteso ai milioni di musulmani che vivono ogni
giorno dignitosamente nel rispetto delle altre culture. Soltanto tramite il confronto ed il rispetto reciproco sarà possibile indebolire queste organizzazioni, che si alimentano d’odio e di paura.
«Di fronte ad episodi di fondamentalismo violento
che ci preoccupano, l’affetto verso gli autentici credenti dell’Islam deve portarci ad evitare generalizzazioni, perché il vero Islam e un’adeguata interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza»
Benedetto XVI
S
i ha la sensazione, in questi giorni, che avere
paura sia qualcosa di eticamente corretto. È
quantomeno scontato che questo sentimento si stia diffondendo a macchia d’olio
fra tutti noi e che sia naturale provarlo. Provare, sì, e sentire la paura attanagliare vite che fino
a qualche istante prima erano sicure o no in una
salda tranquillità non deve essere facile per noi
donne e uomini del ventunesimo secolo, abituati o
ad accantonare paure viscerali o a crearne di
nuove e sempre più tremende.
E gli umori, spesso maggioritari, che innalzano il timore e la paura verso tutto e verso tutti a stati
d’animo considerati eticamente corretti ci fa ripiombare nella contraddizione antica che è in seno
a questa stramba società occidentale di cui oggi ci
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Davide Clementi (VD)
facciamo strenui difensori solo in nome della morte
di alcuni vignettisti che prima, per la loro opera, venivano messi in croce quotidianamente dai censori
della nostra libera e civile Europa.
Avere timore, non averlo. Tollerare, non tollerare.
Accettare, non accettare. Ignorare, non ignorare.
A partire da quel disastroso 11 settembre 2001, noi
civili uomini figli della Rivoluzione francese, abbiamo scoperto il nostro ennesimo nuovo nemico, il
mondo islamico (radicale). Un mondo che fino a
qualche anno prima di quella data che tutti abbiamo bene in mente – chi vi scrive ricorda ancora
la paura provata ad appena cinque anni – che ci
era anche alleato nella lotta contro nemici ormai
tramontati: Afghanistan, Iraq, Iran, tutti territori marchiati innegabilmente dal matrimonio fra il civile
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Occidente e l’Islam radicale. E poi ancora oggi,
Arabia Saudita, Emirati, califfati vari sono fedelissimi
alleati degli Stati Uniti d’America. Giusto per ricordare a chi legge che gli alleati sauditi triturano le
mani a chi è in possesso di una Bibbia o a chi è ateo.
Dov’è allora la paura verso questo oscuro e tremendo nemico quando compie esattamente le
stesse cose che non solo fino a poco tempo fa noi
stessi compivamo, ma che ancora oggi nostri amici
e alleati continuano a fare?
La paura è soltanto verso un totalitarismo – quello
islamico che ha attentato a New York e a Parigi –,
che è sovvertitore di un ordine in cui noi giochiamo
un ruolo chiave, oppure è anche verso un totalitarismo che di quest’ordine fa parte insieme a noi?
Oggi l’imperativo comune è quello di imporci la
paura, perché la paura verso fenomeni come questo è d’obbligo, è anzi una paura etica: è stato
compiuto un attentato alla sacralità dell’Occidente e, come tale, va perseguito in ogni modo,
usando ogni mezzo possibile. E ora che Charlie
Hebdo è diventato sinonimo di libertà, ora che tutti
si sono stracciati le vesti per rincorrere il Je suis Charlie, il re è nudo, per noi civili occidentali: abbiamo
H
asta la victoria siempre!”.
Questa scritta campeggia un po’ ovunque a
Cuba e questa volta i cubani possono pronunciarla con orgoglio. Il 17 Dicembre 2014, il presidente degli USA Barack Obama ha aperto alla possibilità di concludere l’embargo commerciale, iniziato 52 anni fa, di rivedere lo status internazionale
della nazione cubana (finora vista come uno stato
terrorista). Per la socialista Cuba è una delle più
grandi vittorie sul paese simbolo del capitale, gli
Stati Uniti d’America. Non
tutti sono d’accordo con
questa visione. Si è venuto
a creare un dibattito intorno all’accaduto: per alcuni il merito si deve riconoscere alla mediazione del
Vaticano, per altri è invece
una vittoria del capitalismo
sul socialismo. Iniziamo
dalla storia di questo piccolo paese caraibico ribelle e rivoluzionario. Fidel Castro e Che Guevara
insieme ad altri loro compagni sbarcarono con la
loro nave e iniziò la guerriglia rivoluzionaria contro la
dittatura filo-americana di Fulgencio Batista.
L’8 Gennaio 1959 Castro e i suoi entrarono
all’Avana e la rivoluzione poté dirsi vittoriosa. Durante gli anni ’60 le relazioni tra Cuba e gli Usa furono pessime. Nel 1961 il governo statunitense con
l’appoggio di alcuni cubani in esilio tentò un’invasione di Cuba nella Baia dei Porci, ma i contro-rivoluzionari furono sconfitti. Il massimo della tensione vi
Gennaio MMXV
covato la serpe in seno alla nostra stessa cultura.
Abbiamo sempre avuto paura del diverso di turno,
sia dentro che fuori di noi, trovando escamotage e
feticci che potessero rappresentare quanto meglio
chi siamo noi veramente, un po’ come in “Cuore di
tenebra” di Conrad, dove a forza di portare civiltà
si è sempre e solo schiavizzato e barbarizzato. Da
un giorno all’altro l’Occidente, reo di aver imbavagliato anche nel XXI secolo innumerevoli giornalisti,
si è ritrovato in massa ad essere Charlie, giornale fieramente laico e antifascista che, con l’ipocrita marcia dei leader del “mondo libero” non aveva niente
a che spartire. Russia, Turchia, Congo e tanti altri
paesi non proprio leader per democrazia e libertà
hanno sfilato nella marcia repubblicana di Parigi…
per l’occasione avremmo potuto chiamare anche
Breivik dalla Norvegia, lui che in nome del Dio cristiano ha ucciso 77 persone. Ecco che forse la
paura verso il terrorista islamico non è che verso di
noi, uomini e donne che desideriamo soltanto
avere una libertà, quella di tiranneggiare su chi, per
secoli, abbiamo additato come infedele, ed oggi
come terrorista
Ludovico Marsicano (VB)
fu nel 1962, durante la “crisi dei missili”. Quei giorni
furono quanto di più vicino vi sia mai stato ad una
guerra nucleare.
L’URSS aveva portato dei missili nucleari a Cuba
con lo scopo di proteggerla. Gli americani scoperto
il tutto minacciarono l’invasione di Cuba e la guerra
con l’Unione Sovietica. Dopo 13 giorni però si giunse
ad un accordo in cui gli Usa si impegnavano a non
attaccare Cuba mentre i sovietici smantellarono i
missili lì presenti. Da quel momento in poi i rapporti
tra Usa e Cuba sono continuati in modo conflittuale
ma senza momenti particolari di tensione.
Nel frattempo a Cuba si
stava venendo a creare
quel tipo di società sognato
da molti e che forse solo lì è
riuscita a svilupparsi nel
modo più ampio possibile,
per quanto poi una società
socialista vera e propria sia
utopica. C’è da riconoscere che il tasso di alfabetizzazione è al 100%, che vi è un servizio sanitario
completamente gratuito e di altissima qualità e che
tanti altri diritti sono rispettati, ma essendo comunque una dittatura non si ha libertà di espressione, di
pensiero politico. Non è tutto oro quello che luccica
ma molti sperano che questa nuova apertura diplomatica degli Stati Uniti potrà permettere un nuovo
Rinascimento in uno stato da sempre ostile agli Usa
per motivi storici.
[ULTIM’ORA] Superato record mondiale di Bolt: il prof. De Angelis intravede una nube di fumo
in cortile dal secondo piano ed impiega 15 secondi per percorrere sei rampe di scale.
#LERCIOLEOPARDI
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L’apertura di questo piccolo stato verso occidente
è iniziata con la visita di Papa Giovanni Paolo II negli
anni ’90, tanto che ancora oggi la Santa Sede dice
di avere ottimi rapporti con Cuba. Da quel momento in poi c’è stata una graduale apertura verso
la libertà, anche con Internet, l’allargamento graduale della possibilità di viaggiare all’estero. Ma
tutto ciò non è sufficiente, e probabilmente nemmeno lo sarà la revoca dell’embargo.
Senza la libertà non può esserci democrazia e
senza democrazia non può esserci libertà. Le due
cose sono collegate, non si può avere l’una senza
l’altra.
Gennaio MMXV
Molte persone di sinistra, con il mito del comunismo,
continuano ancora oggi a elogiare Cuba per il suo
saper resistere al capitalismo senza per questo perdere qualità in servizi fondamentali per il cittadino.
Io stesso credo che Cuba sia, tra tutti gli stati ad ispirazione socialista mai esistiti, l’esempio migliore di
socialismo reale che sia mai esistito, ma non per
questo elogio la sua forma dittatoriale di stato. La
libertà è al di sopra di tutto, niente può essere scambiato con la libertà.
L’uomo fonda se stesso sulla libertà.
I tempi sono cambiati. Forse per Cuba questa apertura sarà una vittoria solo quando riuscirà a spezzare le catene, per quanto belle e decorate siano,
della dittatura.
Piccola spiegazione della vittoria di Alexis Tsipras e del Συνασπισμός Ριζοσπαστικής Αριστεράς
Kalimero
E
ra il dicembre del 2009 quando il premier socialista Papandreou annunciava che il debito
pubblico greco era molto più alto del previsto,
al 110% del PIL: per farvi capire, una percentuale
che equivale alla intera ricchezza prodotta in più da
un anno dalla piccola e fragile Repubblica ellenica,
sorta dal regime dei colonnelli e da appena quarant’anni entrata nella democrazia che i suoi antichissimi avi avevano creato.
Papandreou si dimise dopo
aver fallito nel proporre ai
greci ma in special modo
alla Troika, il triumvirato
composto da Unione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale, un referendum sul pacchetto di misure di austerità collegate
al rilascio di ben 110 miliardi di euro al tesoro greco.
I tagli vennero intrapresi sia da Papandreou che dal
governo tecnico che lo susseguì, composto dal
centrodestra e dal centrosinistra. Arrivato lo scadere naturale della legislatura, la Grecia vede due
elezioni nel giro di appena due mesi, nel maggio e
nel giugno 2012: è l’exploit di Syriza, la coalizione
della sinistra radicale guidata da Alexis Tsipras, di
Alba Dorata, un partito neonazista i cui leader sono
tutti in carcere per reati che vanno dalla frode fiscale all’omicidio, e la retrocessione di tutti i partiti
favorevoli alle misure della Troika. Fatto sta che un
altro governo si forma, guidato da Antonis Samaras,
presidente del partito di centro-destra Nuova Democrazia e appoggiato dai socialisti del PASOK (il
“PD” greco) e dal centro liberale.
L’esperimento della Troika sulla Grecia riesce a
pieno titolo: il debito pubblico si assesta e i conti
pubblici tornano in ordine. Ma il costo sociale è altissimo:
La disoccupazione è al 27%; quella giovanile è al
50%; i suicidi sono aumentati del 40%; aumentata
anche la diffusione dell’HIV, spesso inoculato volontariamente per ottenere 700 euro di sussidi statali; aumentano gli abbandoni di minori del 337% e
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la degradazione minorile arriva al 37% a causa dei
tagli lineari all’istruzione e alla sanità.
Questi sono soltanto alcuni numeri che mettono in
luce come il rigorismo dei conti voluto in primo
luogo dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel ma
un po’ in generale in tutti i
paesi dell’area euro, senza
alcuna distinzione politica
fra i governi, abbia ridotto il
Paese di Socrate e di Leonida sul baratro. Costi economici e umani del genere
non si vedevano dal secondo dopoguerra.
Ed è su queste non certo incoraggianti basi che l’ingegnere Alexis Tsipras, leader
di Syriza e vincitore delle ultime elezioni, ha da misurarsi. Il suo partito, che ha
fondato il suo successo sul modello tradizionale dei
vecchi partiti di Sinistra, ossia sulla sostituzione momentanea dei cittadini allo Stato (Syriza fornisce infatti servizi di sanità, d’istruzione, di rifugio ai tanti cittadini greci impoveriti da questa drammatica crisi),
e l’alleato della destra anti-austerità, devono confrontarsi. Molti in Italia son saliti subito sul carro del
giovane Tsipras, arrancandosi il diritto e l’onore di
essere la formazione più vicina – se non identica –
al partito di ispirazione eurocomunista guidato dal
neo Premier greco, dimenticando proprio sia la radicalità delle posizioni espresse da Syriza sia il ruolo
che Syriza ha giocato all’interno della complicatissima situazione greca ed europea. Essa è stata un
argine contro Alba Dorata, un partito apertamente
neonazista che ha seminato il panico in Grecia,
macchiandosi di omicidi chiaramente politici che
sono culminati con l’omicidio di due giovani sostenitori della formazione di Tsipras.
Ora, la prova più dura per l’opposizione radicale
andata al governo del Paese è quella di dimostrare
ai suoi cittadini e a una Europa ancora fortemente
dominata da Merkel e dai “falchi del neoliberismo”
che un’altra Europa è possibile: un’Europa che
ponga al centro le persone invece che la moneta
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che combatta la povertà e le disuguaglianze sociali e materiali e non favorisca l’accentramento
L
a nostra lingua ha subito, con il passare dei secoli, diversi mutamenti fino ad arrivare ai nostri
giorni. È importante ricordare come questa sia
nata e quali fossero le sue caratteristiche, per comprendere fino a fondo quale importante cambiamento abbia subito da parte dei nostri contemporanei. Inizialmente non vi era alcuna lingua unitaria
bensì diversi dialetti, solo i più fortunati potevano dilettarsi nell’ars retorica latina, ma grazie all’arrivo di
un grande personaggio, quale il sommo poeta
Dante Alighieri, assistiamo alla nascita di una creatura nuova nella quale possiamo ritrovare molti
aspetti attuali sia dal punto di vista morfologico che
sintattico.
In particolar modo nel ‘Convivio’ e nel ’De vulgari
eloquentia’ notiamo la cura che Dante riservava
alla creazione di una lingua nuova, eclettica, sentimentale ed emotiva che si distaccasse dal modello
statico latino. Dante, pur considerando quest’ultimo una lingua nobile ed erudita, la reputava immobile e incapace di suscitare alcuna emozione.
Ma cosa sta accadendo oggi a quella creatura
tanto desiderata dal sommo poeta?
Per noi classicisti è facile pensare alla lingua italiana
come qualcosa di nostro, che ci appartiene, qualcosa che sentiamo e che curiamo. Ma se ci guardiamo intorno vediamo che ci troviamo in una società che tratta questa con sufficienza. Una lingua
creata prima di uno stato, una lingua che si rese
fautrice di un popolo e di un’identità nazionale
all’epoca assente. Una creatura nata grande ma
purtroppo destinata a diventare miseramente piccola.
La società in cui viviamo ci sottopone sin dall’infanzia ad un bombardamento mediatico che non è
caratterizzato semplicemente dal continuo riproporsi di immagini suggestive e superficiali, ma anche da un ‘’linguaggio di tipo 0’’. La semplificazione della lingua italiana inizialmente poteva essere visto come un fenomeno accettabile e piuttosto prevedibile data la diversità di dialetti presenti
nelle mani di pochi dell’enorme capitale di cui il nostro continente ancora oggi gode.
Alice Lambertelli e Valentina Belleggia (3A)
nel nostro paese, ma ai giorni nostri questa semplificazione sta portando la nostra lingua a perdere
quella bellezza così introspettiva e affascinante che
tanto la caratterizzava.
L’italiano neostandard, così potremmo definirlo, è
leggermente diverso rispetto a quello delle grammatiche. È infatti importante considerare che l'italiano è una lingua grammaticalmente instabile e
complessa, ancora non del tutto assestata.
Nel corso del tempo i parlanti hanno alterato i suoi
aspetti morfologici, in quanto sentivano la necessità
di semplificare espressioni e termini fortemente legati al latino.
Questi fenomeni di ristrutturazione d'impianto sono
forse dovuti al fatto che l'italiano è stato a lungo
una lingua esclusivamente scritta; non solo si nota
l'affiorare di forme espressive caratteristiche dei suoi
dialetti, ma si avverte anche un movimento di "semplificazione”: trovandosi di fronte una lingua complessa sotto diversi aspetti legati alla “derivazione”
dal latino, i parlanti plasmarono in base alle loro esigenze una lingua semplice e di facile comprensione.
Giovanni Nencioni scrive che questa crisi di stabilità
della lingua italiana va attribuita alla «rapida e impetuosa estensione della lingua nazionale a milioni
di cittadini di scarsa formazione culturale e di permanente soggezione al sostrato dialettale».
Questo sentiero “disperatissimo” ha trasformato la
creatura di Dante in un guanto che può essere indossato da chiunque, ma la sua più splendida natura è purtroppo mutabile.
Se
continuassimo questa indagine glottologica ci accorgeremmo invece che la lingua italiana non si
ferma a quelle frasi uguali in tutto e prive di espressività, che ci sottopongono i mass media, ma nascosta nei cassetti di giovani scrittori o in libri di poeti
già dichiarati vi è una lingua che vive, parla, pulsa
sentimenti ed emozioni come un cuore che vuole e
deve ancora battere.
La sindrome della velina
P
A&G
regiudizi, stereotipi e luoghi comuni sono radicati più che mai nella nostra società, modelli fissi che ci
vengono quotidianamente proposti dai mezzi di comunicazione tradizionali, ma anche da internet e dai
social network che ci presentano immagini con una visione parziale della bellezza, non includendo elementi che vanno oltre l'aspetto fisico. Si deve parlare di un'altra verità: quella di donne intelligenti dalle
quali prendere ispirazione. I modelli a cui le ragazze si ispirano non dovrebbero essere soubrette apparse in
televisione in abiti succinti, bensì donne vere che hanno, in un modo o nell'altro, lasciato un segno indelebile
nella storia, diventandone parte. Altro che dive dei reality show e aspiranti showgirl, le donne che devono diventare punti di riferimento dovrebbero essere ben altre: famose non per i loro corpi, come detta la moda
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Numero 1 – Anno 7
Gennaio MMXV
[ULTIM’ORA] Panico in VD – diagnosticata a Giulia Renzi un’incipiente scoliosi
#LERCIOLEOPARDI
attuale, ma per le loro menti. Prendere spunto da quelle donne, paladine dei diritti civili, come Eleonor Roosevelt; menti scientifiche come Marie Curie, Rita Levi Montalcini e Margherita Hack; vite vissute per il prossimo
come Madre Teresa di Calcutta; donne di potere come Thatcher in Inghilterra, Merkel in Germania e Dilma
Rousseff in Brasile. Noi non ci stiamo allo stereotipo dell'avvenenza dettato dalla dittatura mediatica che ci fa
esistere solo se belle ed appetibili. Noi non ci stiamo ad essere solo corpi da guardare, toccare, giudicare e
mercificare. Pretendiamo rispetto e che si dia spazio a tutte le nostre diversità. Non vogliamo un mondo in cui
tutte le bionde sono oche; chi porta gli occhiali è una secchiona, solo chi è magra può essere bella e dove si
esiste solo attraverso la rappresentazione iconografica ossessiva di sé. Vogliamo le differenze, la fantasia e la
libertà di essere se stesse, perché in ciò c'è la qualità e l'unicità della vita umana.
10. Songs of Innocence, U2
loro. I migliori pezzi sono rispettivamente la funkeggiante “Digital Witness”, e l’epica ‘Iron Sky’.
8. Sonic Highways, Foo Fighters
In primis, mettiamo da parte le polemiche legate alle modalità di lancio di quest’album (“imposto” gratis a tutti gli utenti di iTunes in occasione dela presentazione del nuovo
iPhone). Un nuovo disco degli U2 ha
sempre un grandissimo impatto
mediatico, soprattutto se esce a distanza di cinque anni dal precedente, ‘No Line on the Horizon’. Il risultato di questa lunga attesa sono
undici nuove canzoni dedicate ai
ricordi di gioventù; non tutte molto
efficaci, ma spiccano senza dubbio ‘The Miracle (of Joey Ramone)’,
‘Song for Someone’, “Iris (Hold Me
Close)” e ‘Raised by Wolves’. Piacevole rock di facile ascolto, ma i
tempi di ‘The Unforgettable Fire e
The Joshua Tree’ sono lontani anni
luce ormai.
L’ottava posizione mi sembrava la
più giusta per l’ottavo album del
gruppo capitanato da Dave Grohl,
già batterista dei Nirvana; composto da otto canzoni, registrate in
otto città diverse degli USA, con
otto ospiti per ciascuna località
toccata, accompagnato inoltre da
una docu-serie tv di otto puntate
sulla storia musicale di ciascuna
delle otto città e la relativa registrazione delle otto tracce (ho scritto
troppe volte otto). ‘Something From
Nothing’ e ‘Outside’ le canzoni che
lasciano il segno.
7. Alaska, Fast Animals and Slow
Kids
più emergente della musica indipendente italiana.
6. Turn Blue, The Black Keys
Vi anticipo che sono molto di
parte, sono un grande fan del
duo di Akron, Ohio. Album dal
loro ormai classico stampo vintage anni ‘70, ma più psichedelico
rispetto al precedente El Camino,
che risente nei testi del recente e
difficile divorzio di Dan Auerbach
(voce, chitarra e principale compositore). Premio assolo dell’anno
a ‘Weight of Love’, spettacolare
canzone che apre il disco; altri pezzi
clou sono ‘Bullet in the Brain’, ‘It’s
Up to You Now’ e ‘Gotta Get
Away’.
5. Lullaby and… the Ceaseless Roar,
Robert Plant
9. (ex aequo) St. Vincent, St. Vincent
e Caustic Love, Paolo Nutini
Incerto nella scelta, li ho proposti
entrambi. I lavori della definitiva
maturità per l’eclettica chitarrista
newyorkese Annie Clark (in arte St.
Vincent) e il cantautore scozzese di
origini italiane Paolo Nutini: due artisti e due album molto diversi fra
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Non fatevi trarre in inganno dal
nome, sono solo quattro ragazzi di
Perugia che cantano in italiano.
“Solo” si fa per dire, perché dopo
l’assai convincente prova di Hybris
(leggesi Υβρις) hanno bissato con
Alaska, trainato da potenti pezzi
come ‘Il Mare Davanti’ e ‘Coperta’. Una nuova realtà sempre
Un paio di mesi fa girava la notizia
che Robert Plant avesse rifiutato
un’offerta di 500 milioni di sterline
per riunire nuovamente i Led Zeppelin e fare una serie di concerti,
dopo il successo di ‘Celebration
Day’, disco live registrato nel 2007
all’ultima reunion del leggendario
gruppo. Secondo me ha le sue ottime ragioni! Invece di portare
Numero 1 – Anno 7
Gennaio MMXV
avanti sempre gli stessi pezzi da 40
anni e fare ristampe su ristampe,
Plant si è creato una solida e varia
carriera solista, di cui l’ultimo lavoro
è uno dei più riusciti, con ballate
folk, hard rock in senso stretto (“Turn
It Up”) e persino contaminazioni
africane nel brano ‘Little Maggie’.
Rinnovarsi, sempre.
4. Lazaretto, Jack White
John Anthony Gills colpisce ancora.
Uno degli artisti più geniali degli ultimi anni (The White Stripes, The Raconteurs, ecc.) firma un album
rock-blues vario e di ottima fattura,
che va dalla micidiale titletrack e
primo singolo (“Lazaretto” appunto) a ‘Would You Fight For My
Love?’. Uscito quasi in contemporanea al già citato Turn Blue deiBlack
Keys, che White proprio non
può sopportare e vedere soprattutto adesso che entrambi fanno
base a Nashville, rispetto alla controparte ha quel qualcosa in più
che ha convinto critica e pubblico.
…E IL PODIO
3. Everyday Robots, Damon Albarn
Dopo più di 20 anni di carriera e dopo avere fondato i Blur, icone del britpop e degli anni ‘90,
ed i Gorillaz, primo gruppo virtuale della storia e tra i più importanti del nuovo secolo, Damon
Albarn rilascia finalmente un disco sotto suo nome. Il “debutto” da solista è veramente ottimo.
Un curatissimo mix tra strumenti elettronici e acustici, testi che affrontano tematiche personali
ma anche sulla perdita di contatto umano a causa della tecnologia (“We are everyday robots on our phones / In the process of getting home”). Un album profondo, che vanta anche
la collaborazione di Brian Eno in ‘Heavy Seas of Love’, e si concede anche un piacevole momento di spensieratezza in ‘Mr. Tembo’, canzone dedicata ad un cucciolo di elefante incontrato in una riserva in Kenya.
2. Morning Phase, Beck
Avete presente Beck? Quello che ha scritto ‘Loser’? Quello che compare nella puntata di
Futurama in cui Bender rimane paralizzato e diventa un musicista della sua band! Anche se
non lo avete presente, vi basti sapere che salì alla ribalta negli anni ‘90 proprio con il singolo
‘Loser’ e ha proseguito fino ad oggi la sua carriera tra alti e bassi. L’ultimo episodio della sua
produzione fa decisamente parte degli alti, tanto da valergli la nomina per il Grammy all’album dell’anno (dovrà vedersela con giganti del pop come Pharrell Williams). Morning Phase
è un disco rilassato, acustico, ideale da ascoltare la mattina all’alba: l’inizio soffuso con gli
archi di ‘Cycle’ che confluiscono in ‘Morning’, seguita da ‘Heart Is a Drum’ e la bellissima
“Blue Moon”; il cerchio si chiude nella floydiana e quasi commovente ‘Waking Light’.
1. Il Padrone della Festa, Fabi Silvestri Gazzè
Mi sbilancio, per me questo è il miglior album dell’anno perché è una splendida
boccata di aria fresca nel ristagnante panorama musicale italiano, dilaniato ormai
sempre più dalla mediocrità e dai talent show. Tre cantautori romani, amici da sempre, dopo un viaggio in Sud Sudan, decidono di fare un disco insieme: il risultato non
è una semplice somma tra Niccolò Fabi, Daniele Silvestri e Max Gazzè, ma qualcosa
di nuovo, che risente ovviamente degli stili di ciascuno dei tre che si amalgamano
alla perfezione, grazie anche all’aiuto di strumentisti eccezionali come Adriano Viterbini, Fabio Rondanini e molti altri. Ogni canzone è un piccolo capolavoro, e non
potrei elencarle tutte, ma “Alzo le mani”, “Life is sweet”, “L’amore non esiste” e “Il
Padrone della Festa” sono un gradino sopra a tutte le altre.
Professore arriva in classe a mezzogiorno e mezza. La classe: «Già qui?»
#LERCIOLEOPARDI
[ULTIM’ORA] Reallizzato un punto programmatico delle liste. Non accadeva dal 1969
#LERCIOLEPARDI
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Ve li siete persi? Beh, non avreste dovuto…
(ovvero il meglio e il peggio cinematografico del 2014)
Giovanni Merlini (VA)
C
osa fareste se vi dicessi che i film migliori dell’anno vi sono sfuggiti da sotto il naso? Se vi siete fermati a
‘Interstellar’, ‘American Hustle’ e ‘The Wolf of Wall Street’ o addirittura, con un grande sforzo, a ‘Dallas
Buyer Club’ questa lista potrebbe fare per voi.
IL MEGLIO che vi siete persi…
Snowpiercer – Un treno che sfreccia senza sosta intorno al mondo grazie a un
motore perpetuo, fendendo i cumuli di neve formatisi a seguito di una nuova
apocalittica glaciazione, trasporta gli ultimi resti di un’umanità decimata. Un marxistico riflesso della società nel microcosmo ferroviario stravolto da lotte intestine
tra poveri, confinati nella coda dello Snowpiercer, e ricchi, rintanati nel benessere
della prima classe. Riadattando il fumetto francese ‘Le Transperceneige’, Bong
Joon-ho, regista sud-coreano, crea un piccolo gioiello passato inosservato ai più.
Sfruttando un cast multietnico, Snowpiercer regala attimi di ansia e scariche di
adrenalina dimostrandosi il miglior film d’azione dell’anno.
Anime Nere – Pensate che nulla possa superare la cattiveria di Gomorra-La serie
di Salvatore Sollima? Francesco Munzi ci riesce splendidamente catapultandovi
nei drammi familiari della malavita Calabrese. Un ritmo reale, a fasi alterne lento
o incalzante, reso possibile dall’utilizzo quasi totale della telecamera a spalla continuerà a stupirvi minuto dopo minuto raccontandovi una tragedia imprevedibile
ma inevitabile. Assieme al collega Paolo Virzì, regista de “Il Capitale Umano”, bocciato agli Accademy, Munzi diventa nuovamente simbolo di un “cinema italiano finalmente adulto, autorevole,
coraggioso” (cit.Mereghetti).
The Grand Budapest Hotel – Se vi siete persi anche questo allora dovete rivalutare i vostri criteri di scelta. Forse
avete ritenuto fosse troppo hipster per voi? Già premiato con un Golden Globe, l’ultimo lavoro di Wes Anderson
supera i limiti del razionale sfociando nell’assurdo e nel rocambolesco con una storia che è a tutti gli effetti la
summa dei temi più ricorrenti dei suoi film (che consiglio caldamente tutti) e ridicolizzata nella sua agrodolce
comicità da riprese sempre fisse ma perfettamente simmetriche a comporre piccoli quadretti. Capolavoro!
IL PEGGIO che avete visto…
Lo Hobbit III – Se vi siete emozionati riascoltando ‘Concerning Hobbits’ di Howard
Shore sul finale del film vuol dire che ci siete cascati di nuovo. Come resistere al
fascino del fantasy che ci ha cresciuti un po’ tutti? E invece falle nella trama e
improbabili amori rendono la seconda trilogia di Jackson una vera e propria schifezza. Se da un lato si è deciso di sacrificare il terrore che ci faceva chiudere gli
occhi da bambini per lasciare spazio a scene più infantili al fine di andare incontro
al racconto fiabesco, scevro di sangue e volgarità, dall’altro le promesse non mantenute e la trama TOTALMENTE reinventata (in peggio, dico io) smascherano Lo
Hobbit per quello che è: un’astuta operazione commerciale per avvicinare i più
piccoli ad un mondo forse troppo adulto. Ne sono scontento? Nì.
Sin City 2 – Rodriguez… che ci combini? Se il primo Sin City era diventato il simbolo
della rivalsa del digitale sulla pellicola, il suo fratello minore trasforma la saga da
un’attento e sensato accostamento di paradossali effetti speciali a quella che mi
permetto di definire “UNA TAMARRATA senza precedenti”. In questo film, che diventa gradevole solo per le indubbie “doti recitative” dell’amata Eva Green, è difficile scorgere i resti di quel gore Tarantiniano che tanto ci aveva affascinato nel
primo capitolo.
Nymphomaniac – Volgare, volgare e ancora volgare. Tanto se ne è parlato ma non tutti sembrano convinti.
C’è ancora chi cerca tra quelle carrellate falliche e quei paragoni decisamente poco azzeccati tra musica,
pesca e sesso un’analisi psicologica della libidine umana. Lars ha lasciato la telecamera a spalla e i piani sequenza per dedicarsi ad attività documentaristiche e ad effetti speciali banali e prevedibili che letteralmente
invadono la pellicola. Il cinema era morto. E’ questa la sua resurrezione?
...e ciò che vi avrebbe confuso.
Il Ragazzo invisibile – «Un film di genere Italiano? Quindi una commedia» «No, no, di genere ma non una commedia.» «Quindi tipo Sorrentino» «No, non d’autore, di genere! Tipo Spiderman, però italiano» «... ma almeno fa
ridere?» Quest’anno Salvatores sforna il suo nuovo film che, AUDITE, AUDITE, è un po’ merda come l’80% dei film
sui supereroi. Ma non donereste due soldi alla rivalsa del cinema di genere in Italia?
Thermae Romae – Hideki Takeuchi non lo conoscete. Non lo conoscevo neanche io. Eppure la sua commediola
Giapponese, girata a Cinecittà, che senza troppe spiegazioni ci racconta di Lucius, architetto della Roma imperiale che raggiunge il Giappone del XXI secolo per studiarne i moderni complessi termali, è uno dei film più
genuinamente divertenti dell’anno. Con una scenografia e dei costumi così meticolosamente perfetti, l’apprezzabilità di Thermae Romae è minata non tanto dall’assurdità della trama, fedele nell’insensato contesto a
una sua logica, quanto più da una recitazione talvolta perfetta e altre volte terribilmente scadente, banale o
fin troppo teatrale. Comunque geniale!
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Niccolò Tomassini(IC)
I
l vecchio 2014 è terminato e con lui tutto ciò che ha portato. Infatti con l'inizio del 2015, i cinema hanno subito
incominciato a mandare in programmazione i nuovi film dell'anno. Il 2015 è iniziato immediatamente con un
bel film ‘AMERICAN SNIPER’ di Clint Eastwood, che ha subito dominato le classifiche. Il film racconta la storia
di uno dei migliori cecchini americani ucciso nel 2013 in un poligono di tiro da un altro veterano. Il nostro caro
"pistolero" Clint Eastwood ha diretto meravigliosamente il bellissimo film ormai amato da tutto il mondo. In queste
prime settimane è uscito anche il primo fail del 2015. ‘SI ACCETTANO MIRACOLI’ di Alessandro Siani è stato amato
poco, sia dal pubblico che dalla critica, la quale gli dà 1 stella e mezza su 5. Per il 2015 si attendono molti film
meravigliosi ed originali. Primo tra tutti il nuovo cartone targato Pixar ‘INSIDE OUT’: un film molto originale che
toccherà anche grazie ai suoi personaggi, le emozioni. Quindi gioia, paura, rabbia, disgusto e tristezza, accompagneranno nella crescita il personaggio principale Riley. Un altro film che sto aspettando con ansia è il nuovo
western di Quentin Tarantino ‘THE HATEFUL EIGHT’. Con un budget che si aggira intorno ai 44 milioni di dollari, il
registra sta effettuando le riprese dallo scorso dicembre ed alcuni anticipano che il film sarà “insolitamente”
violento e ad altissima tensione. Numerosi saranno i disastrosi e noiosi remake di film ormai noti al pubblico. Tra i
tanti il mondo aspetta con ansia il ritorno di Sylvester Stallone con il nuovo ‘RAMBO V’. I fans di Rambo si aspettino
almeno un intreccio solido a sostegno delle riprese ma ci sono poche possibilità che ciò avvenga. Un altro caro
arrivo sarà il nuovo film della saga ‘VENERDI' 13’. Come sempre ci ritroveremo nell'infernale Camp Lake dove, a
causa di sadiche uccisioni, ritroveremo l'ormai vecchio Jason. Mentre io attendo con ansia questi e molti altri il
mondo sta iniziando una lotta letale per acquistare i biglietti per quello che molti hanno già definito film
dell’anno: ‘50 SFUMATURE DI GRIGIO’. Sono molto stupito da questa cosa, il film, rivisitazione del famoso romanzo,
ha già incassato moltissimo perché i cinema hanno già venduto i posti a sedere per le future proiezioni. Quindi
ad un mese dall'uscita ha già superato moltissimi altri negli incassi e gli spettatori lo giudicano già film dell'anno!
Che bell'inizio!
P
er quanto nel nostro paese le opinioni circa il panorama d’animazione Giapponese siano contrastanti, tra chi ne ha fatto il proprio stile di vita e chi
la giudica per i bambini al pari dell’animazione occidentale, certamente i più avranno sentito parlare del
regista, sceneggiatore, animatore, fumettista, e produttore cinematografico Hayao Miyazaki, che proprio di recente, nel novembre 2014, è stato insignito dall’Academy del Premio Oscar alla carriera.
Nato nel 1941, nel 1985 Miyazaki fonda assieme al suo
collega Isao Takahata il famosissimo Studio Ghibli, ancora oggi ritenuto uno più importanti del settore. Considerato una sorta di Walt Disney giapponese, è stato ed
è ancora oggi uno dei più influenti animatori della storia
del cinema, ed a lui va il merito di aver contribuito a rivendicare il valore della cinematografia nipponica che
era visto come inferiore.
Il film che ha segnato l’inizio del successo dello studio
ghibli è stato certamente Il mio vicino Totoro, rilasciato
nel 1988. La pellicola narra le vicende di due sorelle,
Satsuki e Mei, che vanno a vivere assieme al padre in
una casa in campagna, in cui fanno la conoscenza di
esseri soprannaturali, tra cui lo stesso Totoro, il custode
della foresta, ed apprendono il rispetto per la natura. Il
personaggio di Totoro è stato talmente apprezzato da
essere ancora oggi utilizzato come logo della studio di
produzione, e la canzone simbolo del lungometraggio,
scritta dallo stesso Miyazaki, è persino insegnata ai bambini nelle scuole. Una parte della critica giudica il film
molto lento, adatto ad un pubblico in età prescolare,
Vincenzo Forlini (4A)
tuttavia altri apprezzano il talento pittorico del regista,
nelle cui ambientazioni quotidiano e fantastico coesistono in perfetta simbiosi.
Dopo aver riscosso un record di incassi al botteghino
nella madrepatria nel 1997 grazie al film Principessa Mononoke, una “favola per adulti” dalle tematiche ecologiste e dai personaggi complessi, uniti ai toni poetici e
alla colonna sonora, che ne fanno una vera e propria
pietra miliare dell’animazione giapponese, lo studio di
Miyazaki rilascia del 2001 il lungometraggio animato che
sarà considerato uno dei migliori della storia del cinema,
vincitore del Premio Oscar e dell’Orso d’Oro: La città incantata. La protagonista, Chihiro, in compagnia dei genitori, senza rendersene neanche conto, si ritrova in una
città popolata da spiriti e divinità e governata dalla
maga Yubaba. Essendo stati da questa trasformati i genitori in maiali, la ragazzina dovrà trovare un modo per
tornare a casa, non senza sacrifici, ambientandosi alla
città e ai suoi ritmi di lavoro, utilizzando il suo ingegno e
coraggio per superare le difficoltà che le si presenteranno contro.
Il capolavoro di Miyazaki è stato elogiato soprattutto per
la ricchezza immaginativa, che si esprime attraverso
tutte le strane creature che popolano la città, dal dio del
rafano allo spirito Senza Volto, e la superba tecnica di
animazione, caratterizzata da una cura maniacale dei
dettagli. Per la piccola protagonista l’avventura all’interno del luogo incantato costituisce una sorta di rito di
passaggio: ella è costretta, per la prima volta nella sua
vita, a fare affidamento solamente sulle sue forze, ed alla
[ULTIM’ORA] Acceso dibattito tra bidelli per i corridoi: chiamato traduttore pugliese per decifrare le urla e coinvolgere nella discussione anche la minoranza marchigiana.
#LERCIOLEOPARDI
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Numero 1 – Anno 7
fine del film sarà un personaggio mutato, che non è più
annoiato e vulnerabile, ma pieno di vita. Altro pregio del
lungometraggio è la ripresa del folklore giapponese. Seguendo questa chiave di lettura, ogni personaggio può
essere associato ad una figura mitologica.
Ultimo tra le numerose pellicole del regista, che segna il
suo ritiro dalle scene, è Si Alza il Vento, uscito nelle sale
giapponesi nel luglio 2013, e vincitore di numerosi premi.
Può essere considerato un film biografico sulla vita
dell’ingegnere aeronautico Jiro Horikoshi, i cui aeroplani
furono impiegati dall’Impero giapponese nel corso della
seconda guerra mondiale. Il film vuole mostrare un sincero lamento per la corruzione della bellezza: la passione per il volo di Horikoshi finisce infatti per essere prigioniera del capitale e del militarismo.
Gennaio MMXV
In conclusione, le storie di Miyazaki non hanno nulla a
che vedere con i prodotti dell’uomo a cui è stato paragonato: si allontanano dalla realtà pur mantenendo degli agganci con essa, sono semplici e chiare, ma allo
stesso tempo coinvolgenti, emozionanti, a volte struggenti. In esse sono presentate tutti i temi cari al regista: la
difesa della natura, la critica all’incessante progresso,
sfoggiando un pacifismo tenace. La particolarità dei
prodotti dello Studio Ghibli sta nell’immedesimazione
dello spettatore nei personaggi del film, Nelle pellicole di
Miyazaki si fondono valori, magia, crescita, rappresentazioni a volte crude e realistiche, ma anche ricche di filosofia e spiritualità. E’ un mondo incantato dal quale è
difficile riemerge.
Lorenzo Marchetti (VB)
A
bbott Handerson Thayer (Boston, 1849 – Dublino, 1921) nacque pittore impressionista e
morì-zimbello
per-Darwinisti.
Di solida formazione accademica, dedicò la
sua arte al vedutismo, al naturalismo e alla ritrattistica, vivendo da ramingo tra le campagne del
New-Hampshire.
Tra le ultime tele della sua vita si distinguono gli studi
sul mimetismo animale: i nostri occhi faticano a discernere le sagome di lepri e pavoni dai cespugli
sullo sfondo e intuiscono, insieme con la vaghezza
per la natura, anche un’ulteriore emanazione del
genio di Abbott Thayer: il Darwinismo.
Durante il suo lavoro, egli aveva appurato come gli
animali con ventre chiaro e dorso scuro si mimetizzavano con l’ambiente circostante non solo per la
comune colorazione, ma anche per un’illusoria perdita di tridimensionalità offerta loro dall’incidenza
dei raggi solari. Tale intuizione, vagliata dagli scienziati del tempo, era stata incoronata come legge
dell’occultamento per contro-ombreggiatura.
Il nostro Thayer, tuttavia, si macchiò del peccato di
ubris quando, nel 1903, pretese che tale teoria (un
po’ estetica, un po’ darwiniana) interpretasse il fenomeno del mimetismo nella sua totalità; Il Pittore
volle dimostrarlo con i suoi Red Flamingoes: a costo
di trascurare l’evidenza di tutte le leggi della prospettiva, dell’ottica, dell’etologia e del senso comune, egli sostenne che i fenicotteri, come nella
sua tela, sarebbero dovuti sparire anche nella
realtà; e tutto ciò per intercessione di Madre Natura
(aka Selezione Naturale), la quale aveva donato al
volatile il suo caratteristico piumaggio roseo proprio
perché si occultasse nei tramonti dell’Africa.
«In Africa c’è un babbuino con le natiche blu. Se,
messosi il babbuino a testa in giù vicino alla riva del
Mediterraneo, lei provasse che il suo deretano si
confonde con il mare, mio caro signor Thayer, lei
non dimostrerebbe nulla, se non qualche interessante punto di ottica; niente che abbia qualche
pertinenza con il ruolo svolto dalla colorazione
dell’animale nella vita reale.»
Pagina 12
Questa la sentenza, a riguardo, di Theodore Roosevelt in persona, esperto di caccia e vorace di vittorie intellettuali.
In cosa Abbott Thayer aveva sbagliato?
Egli non aveva fatto altro che lasciarsi scivolare nel
mondo bidimensionale dell’opera pittorica; stretto
tra le assi della cornice, aveva visto il mondo spalmarglisi davanti sulla tela e l’arte era divenuta sublimazione-della-scienza.
Confidandosi ad un amico, aveva partorito quanto
segue:
«La questione del mimetismo è stata nelle mani dei
custodi sbagliati per troppo tempo. Essa appartiene
propriamente all’ambito dell’arte pittorica e può
essere interpretata solo da pittori. Verte infatti, per
intero, su illusioni ottiche, e queste sono l’essenza
della vita di un pittore. Il pittore nasce con un senso
particolare dell’illusione della luce, dell’ombra e del
colore; e, dalla culla alla tomba, i suoi occhi, ovunque si volgano, sono incessantemente all’opera su
questo problema. Non sorprende quindi che a lui
solo toccasse di scoprire che l’arte stessa che egli
pratica è realizzata pienamente negli animali.»
Chi-fu,-insomma,-Abbott-Handerson-Thayer?
Fu, come lo definì, John Jay Chapman, “un egocentrico depresso, che dipinge per tre ore, poi gli
viene il mal di testa, cammina per quattro ore, si
sente il polso (…) e ha accessi di abbattimento durante i quali quaranta donne gli tengono la mano
dicendogli di non disperare, per il bene dell’umanità”?
Oppure fu uno dei tanti eroi della lotta per l’emancipazione dalla scimmia, dalla quale ci distinguono
il colore delle natiche, il pollice opponibile, logos e
peito?
La storia di Abbott Thayer ravviva in noi la coscienza
di essere uomini, ammassi di mitocondri e basi azotate cui Madre Natura (aka Selezione Naturale) ha
fatto dono della razionalità come della capacità di
abbandonarsi alla finzione artistica, sacrosanto
scandaglio di una vita che si compie nello stupore
del suo enigma.
Numero 1 – Anno 7
Gennaio MMXV
Pietro Laureati (VC)
Il grande merito dell'uomo è la fantasia: senza
questa la vita sarebbe un monotono susseguirsi di
avvenimenti più o meno sensati. Le grandi menti
che l'umanità ha prodotto sono il segno più
evidente della vittoria della fantasia. Tra i
monumenti più importanti e ammirabili colloco uno
dei fotografi più sensazionali di sempre: Henry
Cartier Bresson.
Dal 26 settembre 2014 fino al 25 gennaio 2015 ha
avuto luogo a Roma l’esposizione dell'artista
Francese, il cui nome ancora oggi è avvolto di
misteri e interrogativi. In questo articolo intendo
esporvi le particolarità più curiose della sua opera,
tralasciando gli aspetti più facilmente reperibili. Per
iniziare parto da un presupposto: gran parte delle
sue fotografie, presentate ad un vasto pubblico
come quello di Facebook, ipotizzando che esistano
solo esse e non la fama del loro autore,
riscuoterebbero poco successo in confronto alle
suggestive immagini pubblicate dalle più note
pagine fotografiche(National Geographic, ecc).Le
fotografie scattate dall'artista francese sono
immagini fatte per essere esplorate prima di
capirne il significato, a differenza degli scatti in alta
definizione di coloratissimi paesaggi, che non
attendono di essere guardati ma ci assalgono
inavvertitamente. É un po’ come la differenza che
c'è tra cinema e teatro: il primo lo subisci, nel
secondo sei protagonista. Notiamo bene inoltre
che tutte le sue fotografie sono in bianco e nero.
Questa è per Bresson la caratteristica che distingue
la fotografia da tutte le altre arti. Così facendo
risalta il contenuto e la forma, lasciando da parte il
piacere del colore: è fotografia pura. Bresson inizia
la sua attività fotografica nel 1926 e termina nel
1970: in questo periodo di tempo fotografa tutti gli
avvenimenti più importanti, con lui nasce la figura
del fotoreporter moderno e infine fonda la
famosissima cooperativa ‘Magnum Photos’. È
tuttavia quando aderisce al movimento surrealista
che dà sfogo a tutta la sua creatività artistica. Nei
suoi lavori di questo periodo infatti si rifà alla teoria
della bellezza convulsiva dello scrittore suo
contemporaneo Andrè Breton. La bellezza
convulsiva è data da tre fattori: 1) erotico velato 2)
esplosivo fisso 3) magico circostanziale. Ritroviamo
tutti e tre questi elementi nelle sue fotografie
surrealiste. Gli scatti dove compare l'erotico velato
sono composti da elementi che rimandano alla
sensualità, al piacere, all'amore, per esempio corpi
coperti, busti visibili solo in parte, ecc. dove la
componente
incognita
gioca
un
ruolo
fondamentale poiché la mente è costretta a
penetrare nell'ignoto per completare ciò che non
vede. Bresson in questo caso ragiona in modo del
tutto analogo a Giacomo Leopardi nello
‘Zibaldone’ quando nel passo riguardante la teoria
della visione il poeta dice espressamente che ciò
che è incognito è molto più affascinante e poetico
di ciò che è noto. Intendetemi, è la differenza che
c’è fra una donna vestita e la stessa, svestita.
L'esplosivo fisso consiste nell' includere nella stessa
inquadratura uno sfondo fisso e un soggetto
dinamico: in questo modo l'osservatore si chiede
cosa accadrà nel tempo in un definito spazio. Il
magico circostanziale è quel momento irripetibile in
cui in un fotogramma si immortala l'attimo decisivo.
Di mille foto solo una è quella giusta. Come
noterete il mio articolo non è accompagnato da
foto. Sta a voi ora guardare i suoi capolavori e
cercare di capire con la vostra testa: «Osservo,
osservo, osservo Sono uno che comprende
attraverso gli occhi.»
Simone Amabili (ID)
La più famosa chiesa dove viene celebrato il culto
della Maddalena, grazie al ‘Codice da Vinci’, è
quella di Rennes le Chateau, un piccolo paesino
della Francia. Nel 1891 il curato Sauniere volle iniziare il restauro dell’edificio. Durante i lavori si accorse che una delle colonne che sosteneva l’altare
conteneva quattro pergamene. Trovati questi
scritti, egli si recò immediatamente dal vescovo affinché i documenti potessero essere analizzati.
Dopo l’analisi degli scritti, l’abate divenne inspiegabilmente ricco. Possiamo ipotizzare che la sua ricchezza derivi da un suo silenzio, custode di segreti
molto pericolosi per la Chiesa Romana. Il restauro si
concluse meravigliosamente cambiando decisamente l’aspetto della chiesa. Prima di morire, Saunierè comunicò il segreto scoperto alla perpetua
Marie, che, a sua volta, cercò qualcuno a cui trasmettere le informazioni ma riuscì a pronunciare
solo una frase: “la gente di Rennes cammina
sull’oro e neanche lo sa”.
Ma cosa unisce arte, religione ed esoterismo?
Degli elementi che ci possono aiutare a decifrare i
messaggi in codici con cui Sauniere divenne ricco,
sono custoditi all’interno della Chiesa, sparsi in vari
punti. Prima dell’ingresso sulla sinistra, troviamo,
sotto la statua della Vergine una croce rovesciata
al posto dell’antico altare, detta Croce del Silenzio,
sulla quale è scritta la data dell’inizio del restauro.
Sul timpano del portale abbiamo due iscrizioni,
però, la seconda è quella che più ci colpisce: Terribilis est locus iste. Come può un sacerdote scrivere
questo di una chiesa? Evidentemente, Sauniére
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Numero 1 – Anno 7
non si riferiva al luogo ma a quella scomoda verità
che questa chiesa contiene. Sempre sul timpano,
abbiamo la raffigurazione, in un triangolo equilatero, della Maddalena circondata da dodici rose in
quattro vasi. Da questa raffigurazione possiamo dedurre possibili legami con il gruppo dei Rosacroce.
Entrando in Chiesa ci accorgiamo di strani particolari: il primo è l’acquasantiera, sorretta da un demone, Asmodeo, custode del Tempio di Salomone.
Esso è sormontato da uno zoccolo con due grifoni.
Sotto di essi è incisa la frase: “Par ce signe tu le vincrais”, frase simile a quella vista da Costantino nel
suo famoso sogno che lo spinse a convertirsi.
L’unica differenza è il pronome “le” francese che si
traduce in latino con il pronome “lo”. Lavorando
sulla frase, troviamo 22 lettere come i merli e i gradini delle scalinate della Torre vicina alla Chiesa. i
denti della grotta del Calvario. Le lettere del pronome sono rispettivamente la tredicesima e la
quattordicesima lettera della frase. Otteniamo dunque 1314, la data del rogo di Jacques de Molay,
l’ultimo Maestro dell’ordine templare. Proseguendo
il giro nella chiesa, troviamo degli spunti interessanti
dalla via crucis. Nell’ottava stazione, notiamo una
Gennaio MMXV
vedova in compagnia di un bambino coperto da
un tessuto scozzese blu. C’è un evidente collegamento con la Massoneria. Infatti esiste una loggia
blu, c’è un rito scozzese e per indicare l’appartenenza all’ordine, i massoni si chiamano figli della vedova. Lungo le navate, poi, troviamo varie statue.
Oltre alla sacra famiglia, ci sono sei statue di santi:
Antonio Eremita, Germana, Maddalena, Antonio
da Padova, Rocco, Giovanni Battista e Luca. Disegnando una M di collegamento tra le iniziali dei
santi si forma la parola GRAAL. La M va a trovarsi
sotto la statua della Maddalena che sorregge un
calice. Infine, l’ultima serie di messaggi è rappresentata dalla luce solare, che, in alcune date, colpisce
precise parti della Chiesa: il 17 la statua di Sant’Antonio o il 13 Gennaio il sole colpisce la statua di
Gesù. Fu Saunierè che volle tutte queste allusioni
durante il restauro. Dopo aver ripercorso il mondo
di simboli all’interno della chiesa, ci dobbiamo chiedere cosa avesse trovato Sauniere, cosa contiene il
suo tesoro? Si tratta del Graal, dell’arca dell’alleanza o solo di un segreto che avrebbe sconvolto
la cristianità? Non sapremo mai quello che cercava
Sauniere, ma affascina pensare che un piccolo
borgo contenga pericolosi e misteriosi segreti.
Ludovico Marsicano (VB)
Se non avete mai provato l’emozione di avere il
vento in faccia mentre camminate su un sentiero di
alta montagna, di respirare la sua aria pura, di sporgersi dalla cresta e vedere il precipizio e da lì tutta
la natura che vi chiama e ti fa sentire minuscolo
nell’universo allora non avete mai potuto apprezzare la pura bellezza della Natura. La montagna è il
luogo dell’anima, il luogo in cui l’uomo è più vicino
al cielo, dove può sentirsi piccolo senza sminuirsi. La
montagna fa conoscere se stessi, vi permette di
comprendere i tuoi limiti, le tue paure e vi permette
di riflettere.
Pochi giorni fa sono andato in montagna con i miei
amici e ci siamo dovuti scontrare con la neve, con
il freddo ma soprattutto con il vento. Proprio a
causa del vento non ci è stato possibile arrivare in
cima ed ammirare lo spettacolo della Natura e dei
Monti Sibillini, ma siamo riusciti ad arrivare sulla cresta della montagna anche se eravamo colpiti da
fortissime raffiche di vento. Arrivati lassù ci siamo
stesi a terra, abbiamo visto il panorama e, tra raffiche di vento e raggi di sole, mi sono sentito così piccolo ma anche così grande.
In montagna si sente la difficoltà, ci si sente impotenti di fronte alle forze della natura, ci si sente
atomi nell’universo quando si raggiunge la cima e
ci si guarda intorno; ma quando si arriva lassù ci si
sente anche grandi, si capisce di aver vissuto un’avventura irripetibile e che, nonostante tutto quello
che accadeva, si è continuato ad andare avanti,
ad andare oltre se stessi. L’uomo per pensare deve
camminare e deve salire in alto, là dove l’uomo
crede di poter toccare il cielo con un dito. È proprio
lassù dove molte persone credono ci siano solo pietre ed erba e freddo che si a comprendersi e si
pensa. Quale antidoto migliore allo stress cittadino
del camminare in montagna? Abituati a camminare sulla pianura noi stessi ci siamo appiattiti con il
tempo. Non riusciamo più a guardare oltre noi, a
superare le difficoltà. Crediamo di poter aggirare le
salite prendendo il bus o la macchina, crediamo di
poter andare dappertutto e fare qualsiasi cosa solo
perché ne abbiamo i mezzi. In montagna è diverso,
si deve dare fiducia a sé e ai propri compagni, e
soprattutto ci si deve affidare alla bontà della Natura. La Natura indifferente e matrigna di Leopardi
si sente nelle difficoltà del cammino ma insieme a
questa visione vediamo la Natura spettacolare e
benigna che ci regala spettacoli tali. Di notte è ancora più bello camminare in montagna sotto un
tappeto di stelle, sentire la bellezza tutta intorno a
sé, sentirsi così immersi nell’infinità della bellezza
della Natura da potervi naufragare ed esserne comunque felici. C’è chi identifica Dio con la Natura,
io credo che la Natura, soprattutto là dov’è più vivida, possa essere un tramite per la spiritualità propria di ognuno. La montagna è un luogo spirituale,
forse più di una chiesa, di un tempio. Proprio sul
Monte Sibilla, dove sono andato io, c’era la grotta
della Sibilla Cumana, secondo le leggende. La
montagna è anche, nella Bibbia, il luogo d’incontro
tra l’uomo e Dio, il Monte Sinai dove Dio consegna
le tavole della Legge a Mosè, la montagna dove
Asciugatori elettrici installati tre mesi fa ma ancora non attivati. La scuola: «Meglio non
creare troppe aspettative per il futuro.»
#LERCIOLEOPARDI
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Numero 1 – Anno 7
Gennaio MMXV
Gesù fa il discorso detto appunto “della montagna”. Lì dove l’aria è rarefatta, dove all’uomo sarebbe impossibile vivere senza difficoltà, lì l’uomo
viene a ritrovarsi. Nel camminare si conosce e sperimenta se stesso nella fatica, ma è una fatica riposante, una fatica che riequilibra dentro.
Camminare e salire, trovare il modo di arrivare là
dove si vuole arrivare, l’uomo spinto dalla sua curiosità può arrivare dappertutto ma la montagna è altro, lì l’uomo è in balia di cose che non può controllare. Ma la bellezza della vita sta anche nel non poter controllare sempre tutto. Per questo invito tutti a
provare, almeno una volta, l’esperienza di salire in
vetta.
Intervista al regista di ‘Fango e gloria’ Leonardo Tiberi
Lorenzo Cameli (VC), Davide Clementi (VD), Lorenzo Marcheti (VB)
Nell’ambito del cineforum organizzato dall’Assessorato alle
Politiche Giovanili di San Benedetto del Tronto e dal nostro Liceo, la nostra redazione ha
avuto l’occasione di confrontarsi con il registra ed ex-direttore dell’Istituto Luce Leonardo
Tiberi, presente alla visione del
film ‘Fango e gloria’ da lui girato in occasione del centenario dall’entrata in guerra
dell’Italia nella Prima Guerra
Mondiale: un docufilm che unisce le immagini di repertorio
dell’Istituto Luce e quelle
della fiction che narra la vicenda di un giovane italiano,
Mario, protagonista sul fronte
italiano.
DC: Sappiamo che la Prima
Guerra Mondiale è il primo
evento bellico che investe
sotto ogni aspetto gli stati
coinvolti. La trama del suo film
si snoda nel rapporto fra Mario e Agnese, lei è una donna
che parte da una condizione
più o meno agiata…
LT: Sì, la madre è una sarta. Si
vede poi che Agnese va a lavorare in un’industria bellica.
Del resto di sarti in quel momento non ce n’era bisogno.
La gente non pensava a farsi i
vestiti. Una piccola borghesia,
diciamo.
DC: Da una condizione quindi
piccolo-borghese a una “inedita”. L’aspetto economico e
quello della condizione femminile quanto possono avere influito nella sua trasposizione e,
in special modo, nella guerra?
LT: Intanto scindiamo le due
questioni. La guerra ha provocato una accelerazione non
prevista
dell’emancipazione
femminile. Vuol dire che se non
ci fosse stata quella guerra, le
donne avrebbero continuato a
fare figli e a cucinare. Mentre
invece, gioco forza, essendo gli
uomini impegnati al fronte, le
donne entrano in scena, nelle
fabbriche. Questo non vuol dire
che in quel periodo ci sia stata
la prima emancipazione femminile, ma sicuramente uno
scatto perché le donne hanno
dimostrato che volendo potevano fare altre cose. La situazione economica italiana, invece, potremmo definirla un
portento: l’Italia era nata da
appena cinquant’anni, aveva
un tasso di analfabetismo al
90% e un’industria traballante.
Partendo da queste premesse
l’Italia nel 1915 era già la settima potenza mondiale e,
prima che arrivasse il fascismo,
senza più Austria, Germania e
Russia, l’Italia era la quarta potenza del mondo. Questo ci dovrebbe dare un po’ di fiducia
per il futuro. Va ricordato poi
che l’Italia – e per fortuna! – non
aveva
un’industria militare
come quella della Germania o
dell’Inghilterra, che ci viene
sempre presentata come una
campionessa di democrazia
ma che, va ricordato, in quegli
anni aveva sotto il suo controllo
mezzo mondo: su un miliardo e
mezzo di abitanti, cinquecento
milioni erano governati dall’Inghilterra. Sotto l’impulso bellico
nacquero anche industrie manifatturiere
minori.
Sapete
quante cartucce produsse l’Italia in quegli anni? Tre miliardi e
ottocento milioni di cartucce e
novanta milioni di colpi di artiglieria…poco meno di Francia
e Inghilterra! Una nazione che
partiva da zero, da contadini e
analfabeti. Nella tragedia generale, l’esempio italiano ha
stupito.
DC: a me viene in mente una
frase di Kant che diceva che
«un Paese non dovrebbe guardare la guerra come un investimento, ma come una spesa».
Nel suo film e anche in quello
di Kubrik, che ovviamente ci
viene in mente, questa dimensione si coglie nel rapporto fra il padre e Mario.
LT: nel padre convive il sentimento progressista-socialista
e quello nazionalista. Da una
parte sente di dire al figlio di
imboscarsi e scappare, di
dargli una mano nella sua tipografia, dall’altra quello di
servire la nazione. È un essere
in carne ed ossa, è umano.
Che poteva fare?
LC: il pretesto per il suo film è la
commemorazione del centenario della Grande Guerra. Nel
suo film prevale per due terzi
l’aspetto documentaristico su
quello filmico. Si vede che nel
rispetto formale della parte filmica c’è soltanto un accenno
alla trama in sé per sé. Se dovessi pensare a un docufilm
penserei più a ‘La mafia uccide
solo d’estate’ di Pif, dove la
trama è calata in un contesto e
le vicende dei personaggi si intrecciano alla perfezione nelle
vicende.
LT: Non sono molto favorevole
alla classificazione rigida, è un
compito che lascio ad altri. Il
docufilm esiste come genere
però ci sono tantissime sfaccettature. Ci sono docufilm in cui la
parte ripresa si limita soltanto a
pochi dettagli, come quelli
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Numero 1 – Anno 7
della BBC. Definirlo documentario non direi, perché comunque c’è un filone narrativo che
si sviluppa e che si nutre dei documentari di repertorio.
LC: Ecco, però la presenza del
filone narrativo serve anche per
arrivare a un pubblico più ampio…
LT: Questo è molto importante.
Non è un film pensato per vendere, e neanche un film pensato per fare esercitazioni artistiche. Io lo definisco un film nazional-popolare, deve colpire
sull’emozione il cittadino medio. Attraverso un film vero e
proprio non si riuscirebbe a colpire la realtà. Quello che ho voluto fare è cercare di far dire
alle persone “Qui ci potevo essere io!”.
LM: Riguardo l’aspetto storico e
il blitz del capitano di corvetta,
ho notato la trasposizioni di
eventi inediti.
LT: Sì, ho voluto riportare ad
esempio il fatto della linea ferroviaria usata a scopo bellico
Gennaio MMXV
qui nell’Adriatico, cosa che non
conosce quasi nessuno. Dieci o
dodici treni nascosti dentro le
gallerie che, non appena avvistate le navi, uscivano e attaccavano. Il capitano Rizzo e le
sue imprese sono arcinote, e si
trovano in qualsiasi manuale di
storia!
LM: Per quanto sia comunque
una risorsa il fatto di avere
avuto a disposizione il materiale dell’Istituto Luce, può
avere costituito anche un limite
avere a disposizione soltanto
un certo numero di filmati?
LT: la sceneggiatura è stata
scesta soltanto dopo aver analizzato il repertorio e, partendo
da quello, sono state sceneggiate sia la parte filmata che la
voce fuori campo.
LM: quindi è stato un limite?
LT: sì, indubbiamente. Si sarebbero potuti raccontare altri avvenimenti, sicuramente molto
importanti, se ci fosse stato il
materiale adatto. Anche se, ripeto, non è un film didascalico,
ma basato sulle emozioni. Non
è una pecca se non parliamo
del Monte Grappa.
DC: quanto materiale c’è
nell’archivio dell’Istituto Luce
sulla Prima Guerra Mondiale?
LT: se consideriamo tutto il materiale dell’Istituto Luce, pochissimo. L’Istituto ha cinquemila
ore di video in tutto e sulla Prima
Guerra Mondiale venti ore, non
di più. Poi ci sono in queste venti
ore scene ripetitive, anche
brutte, sfuocate, rovinate. Considerate che le strumentazioni
all’epoca erano molto limitate.
Inoltre ho dovuto ricorrere ad
archivi esteri: quello di Vienna,
quello americano, quello russo
per quanto riguarda la Rivoluzione d’Ottobre.
LM: sbaglio o ha girato il film in
un formato ridotto?
LT: Bravo! Sempre per adeguare il film e per restaurarlo, ho
scelto il formato da 14:9 invece
che quello da 16:9 che si adattava meglio al lavoro che bisognava compiere.
[ULTIMO’ORA] Trovato impiccato al canestro della palestra un ragazzo: era stato colto in flagrante da sir Giuseppe ‘Peppe’ Gaggiano mentre cercara di aprire il suo cassetto.
#LERCIOLEOPARDI
Domande e risposte dai Paesi Bassi: Uno sguardo sulla vita degli italiani all'estero.
Fin dagli inizi del secolo scorso,
la parola “Estero” ha sempre risuonato ambita e altisonante
nelle bocche degli italiani, e ha
sempre scaturito nella loro immaginazione la figura quasi idilliaca di questo orizzonte misterioso, pieno di esperienze e di
opportunità che aspettano
solo il momento opportuno per
essere colte.
Questa era l'immagine che
avevano dell'estero i circa 8 milioni di italiani che, a partire dal
1900, avevano deciso di lasciarsi alle spalle la miseria assieme alla propria patria per
andare in cerca di fortuna nei
paesi oltremare.
Pagina 16
Tale immagine persiste ancora
oggi indelebile nei nostri pensieri nonostante sia passato più
di un secolo e la miseria di allora sembri solo un vago ricordo.
Eppure ancora oggi la miseria si
sente, in forme ben più insidiose, in questa cappa di crisi
che grava sul nostro paese e
che manifesta in maniera sempre più cupa i propri effetti attorno a noi. E allora è facile intravedere al di là del mare o
semplicemente al di là delle
barriere doganali, un mondo
migliore dove investire le proprie energie e il proprio entusiasmo.
Gianmaria Acciarri (VD)
Perciò ancora oggi l'estero risulta avere un richiamo fortissimo nei confronti di noi italiani,
sono già molti coloro che in
questo periodo hanno lasciato
l'Italia in cerca di lavoro, riuscendo a realizzarsi e persino a
mettere su una famiglia.
Io ho avuto il piacere di incontrare proprio una di queste famiglie, la quale con grandissima gentilezza e disponibilità
ha risposto alle mie domande
riguardo l'esperienza della loro
vita all'estero.
Per voi dall'Olanda le parole di
Brigitt (32 anni) e Sergio (40
anni), entrambi laureati, che si
sono trasferiti con tutta la famiglia a Leiden nei pressi di Amsterdam;
Numero 1 – Anno 7
Da quanto tempo vivete all'estero e cosa vi ha spinto a tale
scelta?
Siamo una famiglia con due
bambini di 8 e 6 anni, e ci siamo
trasferiti in Olanda nell'agosto
2011. Era da tanto che volevamo vivere un'esperienza di
lungo periodo all'estero, ed abbiamo colto al volo un’opportunità di lavoro per mio marito
presso l'Agenzia Spaziale Europea, che ha sede proprio in
Olanda,
precisamente
a
Noordwijk, tra Amsterdam e
Den
Haag.
Gennaio MMXV
Qual è stato il primo impatto
con un contesto diverso da
quello italiano?
A dire la verità l'impatto e' stato
alquanto "morbido". Mia madre
e' olandese, ed io ho visitato
spesso l'Olanda nella mia infanzia e adolescenza. Erano quindi
un mondo ed una società a me
conosciute prima del trasferimento, e parlavo già correttamente la lingua. Per i bambini
l'impatto è stato stupefacente,
nel senso che sono entrati a
L'italiano medio tende a mitizzare l'estero per la presunta facilità di trovarvi lavoro. Voi cosa
ne pensate?
In Olanda il mercato del lavoro
è assai più dinamico di quello
italiano, con maggiori sgravi fiscali per chi assume. Questo significa che ci sono maggiori
possibilità di trovare lavoro
dopo averlo perso in tempi relativamente brevi (e lo dico per
esperienza personale). Ciò che
ci ha maggiormente colpito è il
fatto che qui vige davvero la
meritocrazia che tanto vorremmo in Italia. Chi ha un curriculum corposo oppure un'idea
vincente è sicuramente avvan-
taggiato nella ricerca del lavoro, e la raccomandazione è
davvero poco utilizzata.
Cosa offre l'estero dal punto di
vista scolastico? I vostri figli
hanno avuto difficoltà dovendo
poi convivere con più lingue diverse? Il capitolo scuola e' piuttosto interessante, con il metodo didattico e il cammino
scolastico profondamente diversi da quelli italiani. I bambini
cominciano la scuola a 4 anni,
e rimangono nella " scuola di
base" fino ai 12 anni. In pratica
la scuola materna, elementare
e media sono fuse insieme per
dare una progressione didattica nell'arco di 8 anni.
Il carico didattico e' poi assai ridotto rispetto all'Italia. I nostri
bambini non hanno ancora la
necessità di fare compiti a
casa! Semplicemente per gli insegnanti è sufficiente la permanenza a scuola degli alunni (tra
l'altro ridotta rispetto all'Italia visto che i bambini escono alle
15, ed il mercoledi' alle 12:30)
per poter pienamente educare
i bambini senza ricorrere a
compiti extra. E se pensiamo
che gli alunni olandesi sono
sempre in testa alle graduatorie
internazionali (OCSE, metodo
PISA), vuol dire che questo metodo funziona in maniera efficace, lasciando ai bambini anche ampio spazio pomeridiano
per lo sport e per altre attività
extra-scolastiche come la musica o la socializzazione con altri
È luogo comune pensare che
all'estero gli italiani godano di
una pessima fama. Vi siete mai
dovuti confrontare con simili
pregiudizi o siete stati accolti
diversamente?
Qui è assolutamente il contrario! Gli italiani sono visti benissimo, considerati portatori di
cultura e di creatività. Siamo
stati subito accolti con curiosità, e tutti i nostri amici sono desiderosi di conoscere più in profondità l'Italia, tanto che molti
di loro hanno cominciato a visitare l’Italia per le loro vacanze
dopo la nostra pubblicità. E poi
scuola subito dopo il nostro arrivo senza conoscere una sola
parola di olandese ed hanno
reagito
entusiasticamente,
senza minimamente soffrire il distacco dall'Italia. Il modo di vita
quotidiano olandese è poi così
diverso da quello italiano, e
molto più a misura d'uomo e di
famiglia. Al di là dei soliti cliché'
(biciclette ovunque, meteo
meno invitante di quello italiano), devo dire che qui la quotidianità' è molto meno stressante rispetto a quella italiana.
tutti fanno a gara per venire a
mangiare a casa nostra!
Quali sono state le principali
difficoltà che avete incontrato
nel crearvi una nuova vita e
una famiglia all'estero?
Indubbiamente non sono state
tutte rose e fiori. Ci mancano gli
amici e la famiglia (a mio marito pure le montagne! Ma per
fortuna viviamo in un mondo altamente tecnologico ed interconnesso, e così è più facile
mantenere i contatti con l'Italia
tramite i social network e Skype.
Ormai ci sentiamo integrati qui,
ci siamo creati un ricco tessuto
sociale fatto di amicizie vere,
ed anche i nostri bambini sono
più olandesi che italiani.
bambini. Tutti i bambini praticano sport e l’attività sportiva
ha un posto di primo piano
nella formazione del bambino/ragazzo, merito anche
dell'abbondanza di strutture
sportive
all'avanguardia.
7) Per il futuro preferireste rimanere all'estero o ritornare in Italia?
Direi che 3 anni e mezzo di vita
delle "terre basse" ci hanno
fatto capire come si possa vivere bene anche al di fuori
dell'Italia, per cui si', ci piacerebbe proseguire questa esperienza all'estero
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Numero 1 – Anno 7
Gennaio MMXV
DJ Aky Beat in merito ai Daft Punk: «Ma chi sono questi due pagliacci con le maschere?»
#LERCIOLEOPARDI
Da dove nascono certi striscioni e certi cartelloni
appesi sui muri dell’istituto? Che senso hanno i vari
fogli sparsi per classi e corridoi contenenti date di
incontri e nomi di studenti? Chi è quella ragazza del
5D che va continuamente in giro fermando alunni
e professori? Ebbene ragazzi, la risposta è una e
semplice: PROGETTO BELLA STORIA.
Tranquilli! non è un piano di distruzione di massa! Il
progetto ha un nobile scopo: favorire la socializzazione tra tutti gli alunni del Liceo, disabili e non. Per
fare ciò, con una cadenza bisettimanale, i partecipanti si incontrano a scuola, di pomeriggio – subito
dopo pranzetto ed eventuale sonnellino – pronti per
svolgere entusiasmanti attività di laboratorio.
O almeno questo è quello che spera di fare la creatrice-capo-direttore esecutivo del progetto, Chiara
Stramaccioni (la stalker del 5D sopra menzionata).
In realtà si fa molto di più di mascherine, bigliettini e
cartelloni; all’ordine del giorno abbiamo scherzi,
balli improvvisati, musica, merende, foto... e chi più
ne ha più ne metta. Tante volte si inscenano piccole
recite, ovviamente non ai livelli del gruppo di teatro,
ma, come spesso si dice‘’ la perfezione non è di
questo mondo ’’. Inoltre a Bella Storia non manca
mai occasione per far baldoria: festa di carnevale,
festa di pasqua, festa di fine anno e, reggetevi
forte, tombolata natalizia, la quale ha da sempre
riscosso un notevole successo!
Sono appunto tutte queste occasioni di incontro
che favoriscono l’integrazione degli studenti disabili
nella grande famiglia degli studenti del Liceo Clas-
Matteo Testasecca (VD)
sico. Non si tratta di semplice socializzazione, si stringono veri e propri legami di amicizia (talvolta nascono addirittura storie d’amore). Bella Storia è più
che volontariato, non si basa su di un mero atto di
filantropia, bensì sulla sincera convinzione che ci si
possa divertire in modo diverso e maturo, lavorando, giocando e scherzando insieme a quei ragazzi ai quali si pensa di dover dar qualcosa, ma
che in realtà per primi ci regalano una cosa preziosa e rara, ossia un sincero sorriso di felicità. Spontaneità e divertimento sono le parole d’ordine, e lo
star bene insieme è il modus operandi del progetto.
Partecipano anche molti professori, che gratuitamente trascorrono le due ore dell’incontro prendendo parte alle attività. Inoltre, non per vantarsi,
ma il progetto, fin dalla sua lontana genesi (l’anno
scorso) ha riscosso le simpatie e il benestare di ben
due presidi!
E visto che questo è un Liceo Classico, non si può
non citare quanto meno un filosofo! Aristotele disse
che l’uomo è uno ζῷοv πολιτικόv. Che l’uomo sia
un animale, nessuno lo mette in dubbio, ma la
prova lampante che siamo esseri sociali è Bella Storia, il progetto che riunisce in allegria studenti disabili e non, professori e qualche volta viene anche la
preside.
Quindi, classicisti, cambiate routine, e al posto delle
solite venti ‘’vasche’’ al corso o della divertentissima versione di greco venite a Bella Storia, e non
ve ne pentirete!
Lorenzo Cameli (VC)
Premessa: questo non vuole essere, e non è, il solito
articolo
su
‘un
qualsiasi
viaggio’.
Forse perché la Settimana bianca non può essere
considerata
un
qualsiasi
viaggio.
Forse perché il soggetto che sta scrivendo non è il
solito ragazzo che scrive con tono nostalgico e melenso dopo il ritorno dalla Settimana Bianca.
Forse perché il soggetto in considerazione sta dicendo addio a questo progetto, definitivamente.
Questo articolo non è uno sfogo, né tanto meno
una confidenza. Questo articolo è un augurio, il più
grande augurio che possa farvi.
Vi auguro di svegliarvi almeno una volta l'anno alle
4 di mattina senza aver voglia di prendervela col
mondo. Probabilmente sarà la prima ed unica volta
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in
cui
non
lo
maledirete
a
quell'ora.
Sicuramente, non lo farete perché starete partendo per la Settimana Bianca.
Vi auguro di trovare tutte le valigie pronte quella
mattina, di doverle solo prendere e accompagnare fino al pullman. Probabilmente non sarà così,
perché i vostri genitori, in quell'esatto momento, vi
staranno colpevolizzando per l'eccessiva pigrizia
che
avete
manifestato
la
sera
prima.
Ma sicuramente a voi questo non importerà, perché starete partendo per la Settimana Bianca.
Vi auguro di trovare liberi sul pullman i posti in fondo
o,
almeno,
quelli
intorno
al
tavolino.
Probabilmente avevate sperato che li occupasse il
vostro
amico.
Sicuramente, al vostro arrivo, il vostro amico starà
Numero 1 – Anno 7
ancora dormendo, ma se questa volta non vi arrabbierete con lui sarà solo perché starete partendo
per la Settimana Bianca.
Vi auguro di dormire durante quel viaggio, e di svegliarvi solo quando l'autista annuncia la fermata imminente all'Autogrill.
Vi auguro di trovare, intorno a voi, più volti sconosciuti che conosciuti, perché saranno proprio gli incontri meno aspettati quelli che vi aspetterete di
più al vostro ritorno.
Vi auguro di non dover ascoltare Ida urlare durante
il
viaggio.
Probabilmente, in quel momento, non se la starà
prendendo
con
voi.
Ma non cantate vittoria. Sicuramente il vostro momento arriverà e lì capirete di essere in Settimana
Bianca.
Vi auguro di arrivare in orario; nel caso in cui non
doveste farcela, leggere l'augurio precedente.
Vi auguro, una volta arrivati, di vivere ogni giorno
come se fosse l'ultimo di quella settimana.
Vi auguro di trovare piste innevate, magari senza
neve artificiale.
Vi auguro di non avere mai paura davanti un salto
e di averla davanti ad un albero.
Vi auguro di trovare nel vostro gruppo almeno un
ragazzo che cada sempre, perché quelle cadute
faranno parte di quelle briciole di ricordi memorabili
con le quali sfamerete la vostra nostalgia.
Probabilmente, non fosse stato per me l'ultimo
anno, quel ragazzo sarei stato io.
Sicuramente molti miei ex compagni di gruppo, leggendo questo augurio, ricorderanno una caduta.
Vi auguro di trascorrere il tempo libero con i vostri
amici, perché è in loro, oltre che in voi, che quelle
tracce di memoria troveranno spazio in un tempo
che
non
gli
appartiene.
Vi auguro di sentire il tempo che rallenta, e la voglia
di bloccarlo del tutto per continuare a vivere quegli
Gennaio MMXV
istanti fino a quando non vi riterrete pronti per tornare a casa. Sicuramente, non lo sarete mai.
Vi auguro di non avere un compagno di stanza con
seri problemi intestinali, uno di quelli che prediligono
esibirsi in lunghi ed estenuanti spettacoli notturni a
ritmo di flatulenze. Loro, in realtà, vogliono solo eliminarvi per un posto letto più comodo.
Vi auguro di trascorrere l'ultima sera nel modo e con
la compagnia migliore che potevate auspicare, e
di svegliarvi quel maledetto sabato mattina consapevoli che il viaggio sarà lungo e la vostra voce dovrà superare le ore d'esibizione di quel vostro compagno di stanza che la malasorte vi ha fatto capitare
in
camera
in
segno
di
sfida.
Vi auguro, una volta tornati, di guardarvi intorno al
momento del ritiro delle valigie e, in un battito ci ciglia, di trovarvi soli, in camera, a guardare il soffitto.
Ve lo auguro perché, nel momento in cui comincerete a ricordare tutto, vi accorgerete di aver lasciato qualcosa in quel posto innevato. Questa
volta, non avrete lasciato il solito calzino che
manca all'appello una volta tornato a casa, mancanza per la quale vostra madre magari vi starà
dando degli "sbadati che non sanno neanche tener d'occhio neanche un pezzo di seta". Questa
volta, avrete lasciato qualcosa che va bene oltre
della
semplice
seta.
Questa volta, avrete lasciato dei ricordi. Tra le mura
della vostra camera. Sulle piste. Nell'albergo. Nell'aria di quel paesino di montagna. Negli occhi della
gente.
Nei
vostri.
Probabilmente, tutto questo vi susciterà un sorriso.
Sicuramente, accadrà perché avrete vissuto la Settimana
Bianca.
E viverla, è il mio più grande Augurio.
P.S.: Ringrazio tutti i ragazzi e gli amici che hanno
contribuito alla realizzazione dei miei ricordi nel
corso di questi 4 anni di esperienza i
Ritengo inoltre doveroso volgere un plauso alla
coppia di professoresse Ida Marida Castelletti e
Maddalena Calinich che ogni anno si prodigano
per rendere possibile il Progetto Neve, e ai professori
che hanno deciso sostenerlo assistendo le due veterane
e
accompagnando
i
ragazzi.
Un grazie, di cuore.
[ULTIM’ORA] 13 morti al Liceo Classico di San Benedetto del Tronto: Pietro Laureati voleva testare la potenza delle sue schicchere.
#LERCIOLEOPARDI
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Numero 1 – Anno 7
Gennaio MMXV
A volto scoperto
Daniele Goffi (IVA)
Il Sonno
Due guardie
mi trascinano
Dovrei imparar a cedere al Sonno
per un lungo
e al richiamo dello sbadiglio
corridoio
che sempre inviato dal Sonno
quasi di peso,
mi accosta alle sue belle labbra.
come se ci
fosse
una
Dal Sonno dovrei farmi inghiottire
qualche
nella gola del mio dormiveglia
fretta. Un loro
nel suo ventre di stoffa e coperte
collega
ci
pieno del mio accoccolarmi.
apre la porta
Un ventre da me condiviso
e, senza percon dei sogni in gestazione
dere tempo,
e nel Sonno fecondati
mi fanno “acdalla mente che possiedo.
comodare”
sulla
sedia. Mi
Prima in due sacche divise
immobilizda una parete soffice e calda,
zano le bracpoi in un unico spazio
cia e il petto
nella sintesi di nuove forme.
con delle faAmalgamar l'io mio dormiente
sce di cuoio,
con i fatti nati dal giorno
facendo ben
diluiti da ignota presenza
attenzione
dei moti nell'animo posti.
che io non
possa
libeNel denso torpor del riposo
rarmi.
Ma
qual bellezza sentir le carezze
sul ventre nutrito del Sonno
dove potrei
dirette all'Io lì ospitato.
andare
ormai?
La
In questa morte apparente
stanza è intoove lo Spirito riposa
nacata
di
trapassato al contempo
bianco
e
il
da oscure introspezioni,
pavimento è
stato accurail Mistero apre le sue porte
tamente pualla nostra mente ferma
e lì si rende autore
lito in ogni
di affreschi indefiniti.
punto,
non
riesco a veCome bolo prima e poi feto,
dere un po’ di
nel Sonno trovano culla
polvere neanle memorie e i discendenti
che agli andei figli dello Spirito
goli. Se non
ne fossi sicuro, direi di essere uno dei primi ad esserci
entrato. E’ impensabile quanto radicalmente si
possa cambiare la propria vita in un pomeriggio. Sicuramente, se fossi rimasto a casa a guardare una
serie tv ora non sarei qui seduto, con i polsi che strisciano su del cuoio così liscio da non sembrare
neanche vero. Riflettendoci ora, effettivamente ho
sbagliato a pensare di poter risolvere i miei problemi
con in mano una revolver, ma ormai è troppo tardi
per pensare a cos’altro avrei potuto fare per fargliela pagare. Mi avevano truffato quei tre, pensavano di potersi godere i miei soldi, impuniti, difesi da
Gianmaria Acciarri (VD)
Pagina 20
SPEZZATE VOCI ALATE
Maria Cimicillo
qualche
Sconforto opprimente
cavillo; si
sbagliaIn un istante apparente
vano. Ho
Mestizia che toglie il fiato
sempre
Un gelido torpore consumato
fatto catUn volo interrotto
tive scelte
Sulle
rigide
orme
del complotto
nel
mondo
Del respiro una struggente concludel lavoro,
sione
ma il penTrafugata e trattenuta anche l'ultima
siero
di
opinione
dover riVilipendi
cominMiscredenti
ciare da
L'alacre abbandono
capo per
colpa
In un reale non più dono
loro, dopo
tanta fatica per trovare un impiego con uno stipendio adatto alle mie esigenze, mi ha annebbiato la
mente. Ero riuscito a diventare indipendente, a non
dover chiedere più soldi ai miei genitori, a smettere
di pregare il padrone di casa di darmi tempo aggiuntivo per pagare l’affitto… Tornare indietro era
impensabile. Due uomini mi mettono sulla testa e sul
polpaccio gli elettrodi umidi, freddi. Un brivido mi
sale sulla schiena. Davanti a me, dietro una vetrata,
compaiono i miei genitori. Mia madre appena alza
gli occhi su di me scoppia a piangere e si copre il
volto con le mani. Vedo le sue labbra muoversi
verso mio padre che guarda fisso in basso, ma non
riesco a sentire nulla. Sono quasi felice che siano
qui: non ho mai pensato a come sarei morto, ma
l’idea che ci siano loro, mi fa piacere, sebbene immagini il loro dolore. Conoscendoli, si staranno chiedendo cosa hanno sbagliato con me. Vorrei tranquillizzarli, ma non penso mi sia permesso. Vicino a
loro si staglia la figura trionfante dell’ispettore, mentre cerca di non sorridere per il suo successo. Immagino debba essere stato difficile per lui trovarmi
dopo l’omicidio in casa mia, mentre aspettavo di
pagare per quello che avevo fatto, un crimine, sebbene quei tre non fossero innocenti. Uno dei due
uomini nella stanza va all’ interruttore e fa cenno di
essere pronto. Mia madre si volta e mio padre con
lei. L’altra guardia mi mette una maschera di cuoio
sul volto. No, non me ne andrò con una maledetta
maschera marrone in testa. La mordo e la scaravento lontano girandomi, poi alzo gli occhi sull’
ispettore che fino ad un secondo fa rideva sotto i
baffi. Non c’è niente da ridere, guardami. La guardia abbassa l’interruttore.