A.S. 2014/2015 - Istituto di Istruzione Superiore (IIS)
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Numero 1 – Anno 7 Gennaio MMXV Periodico a cura degli studenti del Liceo Classico “G. Leopardi” – SBT EDITORIALE Lorenzo Cameli e Davide Clementi La punta di una matita spezzata. Della tempera rossa a macchiare la superficie, a simboleggiare il sangue della strage al settimanale satirico francese Charlie Hebdo. Non volevamo iniziare col sangue, ma con il temperino che si appresta a ritemperare la matita, a simboleggiare la rinascita della creatività, della libertà, della vita. Questa è l’interpretazione che ci ha dato il grande Pietro Laureati (VC) al suo lavoro che ci siamo sentiti, come Redazione del giornale d’Istituto, di mettere in prima pagina insieme al piccolo logo usato da tutti i giornali del mondo all’indomani del vile atto contro la libertà d’espressione. Stavolta l’ironia non è in prima pagina, ma, vi avvertiamo, dalla seconda e un po’ per tutto il numero troverete di che ridere perché se c’è una e una cosa soltanto che mai nessuno potrà impedire all’essere umano è ridere. Scordatevi però il solito Lògos! La vignetta, Alberto Catto | Je suis Charlie mais pas la haine, Lorenzo Cameli pag2 Tutta colpa dell’Islam?, Ilaria di Francesco pag3 Contro l’etica della paura, Davide Clementi pag4 ¡Cuba libre!, Ludovico Mariscano pag5 Noi ad Atene facciamo così, Kalimero pag6 Lingua 0, Alice Lambertelli-Valentina Belleggia | La sindrome della velina, A&G pag7 I migliori 10 album del 2014, Riccardo Nikpali pag8 Ve li siete persi? Beh, non avreste dovuto… (ovvero il meglio e il peggio cinematografico del 2014), Giovanni Merlini pag10 I film più interessanti nel 2015, Niccolò Tomassini – Il fantasitico mondo di Hayao Miyazaki, Vincenzo Forlini pag11 In difesa di Abbot Thayer, apologia di una mimesi del mimetismo, Lorenzo Marchetti pag12 Un genio e le sue considerazioni: Henry Cartier Bresson, Pietro Laureati La chiesa di Rennes Le Chateau: il luogo dei misteri, Simone Amabili pag13 Il respiro della montagna, Ludovico Marsicano pag14 Intervista al regista di ‘Fango e gloria’ Leonardo Tiberi, L. Cameli, D. Clementi, L. Marchetti pag14 Domande e risposte dai Paesi Bassi: uno sguardo sulla vita degli italiani all’estero, Gianmaria Acciarri pag16 Uno spettro si aggira per la scuola: lo spettro di Bella Storia, Matteo Testasecca pag17 Il mio augurio più grande (La settimana bianca), Lorenzo Cameli pag18 A volto scoperto, Daniele Goffi – Poesie, G. Acciarri, M. Civicillo pag20 #LERCIOLEOPARDI, JeSuisCharlie(Sheen) Pagina 1 Numero 1 – Anno 7 Gennaio MMXV JE SUIS CHARLIE, MAIS PAS LA HAINE Q #JESUISCHARLIE uesto l'hashtag che è impazzato sul web circa tre settimana fa. Ma siamo veramente tutti Charlie? In realtà, si è molto speculato sulla risposta a questa domanda. Molti hanno accusato altri di ipocrisia. Altri hanno accusato molti di insensibilità. Ma, a mio giudizio, la risposta va maturata in due passaggi fondamentali, opposti ma complementari nell'ottica della soluzione finale. Perché nessuno di noi è Charlie? Perché nessuno di noi è stato ucciso per aver disegnato una vignetta satirica sulla religione islamica; nessuno ha messo a repentaglio la propria vita per il proprio lavoro o, ancora, nessuno di noi ha lasciato a casa orfani i propri figli, vedove le proprie mogli, in lacrime i propri parenti. Perché nessuno di noi, in questo istante, non è qui, e questa certezza risiede nel fatto non rientriamo nella lista dei dodici uccisi nell'attentato. Di qui, la seconda domanda: perché siamo tutti Charlie Hebdo? E' giusto chiamarci Charlie? Sì. Tutti noi siamo Charlie. Perché tutti noi abbiamo subito un attentato che Pagina 2 Lorenzo Cameli (VC) va oltre la sfera religiosa, che va oltre la sfera ideologica o razziale. Tutti noi abbiamo subito un attentato in quanto partecipi dell'umanità e, come tali, la morte di qualsiasi uomo ci sminuisce. Tutti noi abbiamo subito un attentato per la stessa ragione che ci rende quello che siamo: uomini. «Nessun uomo è un'isola completo in se stesso – scriveva il poeta inglese John Donne in uno dei suoi sermoni – Ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. Se anche solo una nuvola venisse lavata via dal mare, l'Europa ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio, come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi, o la tua stessa casa. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell'umanità.» Dunque, è giusto scrivere JeSuisCharlie, ma solo per manifestare la partecipazione ad un dolore umano, senza la pretesa di essere strenui difensori della libertà di stampa o d'espressione. Sembrerà ingenuo, ma a me non provoca dolore la violenza dei terroristi in quanto tali. A me non intimorisce la loro ignoranza in merito all'ermeneutica del loro libro sacro, il Corano, nè tanto meno m'allarma l'urlo " Allah u Akbar" che si Numero 1 – Anno 7 è levato alto in una strada di Parigi in quel drammatico 7 Gennaio. La questione è molto più viscerale. A me scoraggia il fatto che quei ragazzi che impugnavano due kalashnikov nella Rue Nicolas Appert in un mercoledì di Gennaio fossero ragazzi come me, come voi che state leggendo, come molti altri. A me fa paura l'odio che può nascere in una persona, che questa sia fondamentalista, atea, cattolica o semplicemente musulmana. A me fa paura l'odio umano. E mi stupisce il fatto che, se avessi incontrato gli attentatori in un qualsiasi momento di vita quotidiana, in loro avrei potuto trovare centinaia di differenze, ma sempre un motivo in più per considerarli miei simili. Quello di essere umani. Così uguali, nonostante il modo con cui affrontiamo la paura di impugnare un'arma da fuoco. Così uguali, nonostante il modo con cui reagiamo davanti alla possibilità di uccidere una vita umana. «Io sono come lei, noi siamo uguali – recita Ascanio Celestini leggendo l'opera "Carta Carbone" – Io adesso qui sto in piedi, dietro la mia finestra chiusa e vedo lei dall'altra parte della strada nel suo palazzo in piedi, dietro la sua finestra chiusa. Tutt'e due con la stessa voglia di aprirla e di buttarsi di sotto. Tutt'e due con la stessa paura di farlo per davvero.» L'essere umani ci rende simili. Ma non consapevoli di esserlo. E così, come la consapevolezza s'acquisisce con la conoscenza dell'umanità e con la sensibilità, allo stesso tempo si disintegra di fronte all'odio. Quell'odio che nella giornata dell'11 Settembre 2001 fece schiantare quattro aerei di linea passeggeri contro le Torri Gemelli di New York. Quell'odio a cui l'allora presidente degli Stati Uniti d'America George W. Bush rispose con una dichiarazione di guerra che avrebbe inevitabilmente sparso altro odio e sangue sul suolo arabo. Il giornalista e scrittore fiorentino Tiziano Terzani, in M olti di noi sanno che per più di un miliardo di persone di ogni razza, nazionalità, cultura, rappresentanti di un quinto della popolazione mondiale, l’Islam non rappresenta soltanto una religione ma uno stile di vita. Invece, ciò che molti di noi ignorano è che quella professata dai musulmani è una religione di pace e misericordia che nulla ha a che vedere con le gravi vicende associate a quegli estremisti ‘finti musulmani’ i quali, prima di recare insulto all’Occidente, infangano il nome dell’Islam stesso. In seguito ai recenti fatti di cronaca acquista una fondamentale importanza il rapporto dell’Occidente con i credenti Islamici, i quali sono stati resi oggetto di gravi offese e generalizzazioni da parte di molti. Infatti la reazione generale e univoca dell’Occidente, come evidenzia la pagina web ‘’The post internazionale” nell’articolo “Occidente Gennaio MMXV occasione dell'attentato dell'11 Settembre di matrice terroristica, ci aveva avvertito in una breve ma intensa corrispondenza con Oriana Fallaci, nella quale ammoniva con le seguenti parole l'autrice de ‘La rabbia e l'Orgoglio’: «Tu pensi davvero che la violenza sia il miglior modo per sconfiggere la violenza? Da che mondo e mondo non c’è stata ancora la guerra che ha messo fine a tutte le guerre. Non lo sarà nemmeno questa[...], perché a ricordare all'uomo la necessità di rompere il circolo vizioso della vendetta al fine di dare origine alla civiltà vengono in soccorso miti radicati nella cultura occidentale, quali quello di Caino e quello delle Erinni» e poi, con estrema lungimiranza e saggezza, aggiungeva: «Il nostro di ora e' un momento di straordinaria importanza. L'orrore indicibile e' appena cominciato, ma è ancora possibile fermarlo facendo di questo momento una grande occasione di ripensamento. E un momento anche di enorme responsabilità perché' certe concitate parole, pronunciate dalle lingue sciolte, servono solo a risvegliare i nostri istinti più bassi, ad aizzare la bestia dell'odio che dorme in ognuno di noi ed a provocare quella cecità delle passioni che rende pensabile ogni misfatto e permette, a noi come ai nostri nemici, il suicidarsi e l'uccidere.» A questo punto, la domanda viene spontanea: dove ci ha portati la politica dell'odio e della guerra? Il sangue dei marines e dei fondamentalisti musulmani sul suolo arabo e quello dei vignettisti francesi sulle strade di Parigi rappresentano veramente la vittoria che l'America e tutti noi volevamo? L'estrema attualità delle parole di Tiziano Terzani, scritte 14 anni fa, dovrebbe farci riflettere su quale decisione dovesse veramente essere presa e sulla quale dovremo oggi riflettere tutti noi. Ma fino a quando la guerra soddisferà i nostri governi e, apparentemente, il nostro bisogno di sentirci al sicuro, ci ritroveremo qui, nella stessa situazione. A farci domande. Senza avere risposte. Ilaria di Francesco (VC) e Islam”, è stata: “L’Islam, violento per natura e incapace di essere ragionevole, è la matrice di questi conflitti, l’Islam è il problema.” A sostegno di queste riflessioni, è notevole il fatto che in seguito alla strage della redazione di Charlie Hebdo la collera dei cittadini francesi si sia abbattuta su alcune Moschee a Parigi, fortunatamente causando soltanto qualche danno alle strutture architettoniche. È forse proprio della natura umana rispondere alla violenza con la violenza, rendendo sempre più profonda e radicata quella frattura tra culture, tra Oriente e Occidente, che sembra non trovare risoluzione ormai da anni? Forse. Eppure è qualcosa che vorrei rifiutarmi di credere; il dialogo tra diversità può essere sostenuto soltanto da interlocutori formati e disposti ad aprirsi verso tutto ciò che è considerato diverso da sé. È per questa ragione che ho ritenuto necessario pro- Pagina 3 Numero 1 – Anno 7 porvi una conversazione avuta con una mia stimata amica, Gulcan, di origine curda e di religione islamica, riguardo la barbarie di Charlie Hebdo. Non è necessario uno studio particolarmente approfondito di questa cultura per scoprire che l’Islam All these happenings have no connection with the Islam because in our religion it is prohibited to kill people! Allah (God) is the only one who can decide when the life of a person ends. The salagists in Syria and Paris are extremists, they manipulate people and exploit them to get more power. They don’t fight for Islam they fight for politics to get more power and to build like a new empire. On the other hand our religion says we should live life in harmony with everyone and that’s why Muhammed came a prophet. He never injured a person, he always tried to handle problems and never fight. People connect these happenings with Islam but that’s wrong. I’m really angry because our religion is so beautiful like every religion. Every religion wants to change people’s behavior to a good side. non solo non è lontano dalle altre religioni per quanto riguarda fini e principi etici, ma ha molto in comune con il cristianesimo; infatti insieme con il Giudaismo, Islam e Cristianesimo risalgono al profeta e patriarca Abramo, e i tre profeti discendono direttamente dai figli di quest'ultimo: Muhammad dal maggiore, Ismaele, e Mosè e Gesù da Isacco. Abramo fondò l'insediamento che oggi è La Mecca, città dove costruì la Ka'ba, verso la quale i Musulmani si rivolgono quando pregano. La guerra santa sostenuta dagli esponenti dell’estremismo Islamico si fonda su una interpretazione deviata delle parole di Maometto, il quale giustifica il conflitto soltanto in caso di autodifesa, infatti: «Combattete per la causa di Dio, contro coloro che vi combattono, ma non eccedete, perché Dio non ama coloro che eccedono. Ma se il nemico inclina verso la pace, anche tu inclina verso la pace.» (2:190) Gennaio MMXV Per quanto riguarda la tolleranza, Maometto stesso nel Corano afferma: «Allah non vi proibisce di agire con bontà ed equità verso coloro che non vi combattono per religione e non vi hanno scacciato dalle vostre dimore, poiché Allah ama gli equanimi.» (Corano 60:8). Sorprendente, vero? Purtroppo le sole informazioni che riceviamo giornalmente riguardo questo mondo sono ben poco rassicuranti, riguardano infatti un Islam violento, che genera terrore; l’immagine che ne abbiamo è quella di una religione fondamentalmente chiusa, che scoraggia la cultura e il progresso allo scopo di tenere sotto controllo le menti delle genti. Questo è in parte vero se lo si restringe all’uso che ne viene fatto da quelle organizzazioni fondamentaliste (Isis, Al Quaeda), ovvero strumento di terrore. Eppure Maometto in persona incoraggiò il buon uso del potere dell’intelletto e della capacità di riflessione. Sotto la sua spinta nacquero numerose università, nelle quali scienze come la matematica (vedi numeri arabi, concetto di 0), l’astronomia, la medicina e molte altre trovarono grande sviluppo e che diedero un importante contributo alla cultura Occidentale; secondo il profeta infatti l’approfondimento della conoscenza è non solo un diritto, ma anche un dovere. I recenti avvenimenti hanno riempito di collera gli animi di tutti noi; ora è nostro compito, in quanto persone dotate di buone capacità razionali e di una certa cultura, mantenerci obbiettivi affinché questo sentimento non venga erroneamente esteso ai milioni di musulmani che vivono ogni giorno dignitosamente nel rispetto delle altre culture. Soltanto tramite il confronto ed il rispetto reciproco sarà possibile indebolire queste organizzazioni, che si alimentano d’odio e di paura. «Di fronte ad episodi di fondamentalismo violento che ci preoccupano, l’affetto verso gli autentici credenti dell’Islam deve portarci ad evitare generalizzazioni, perché il vero Islam e un’adeguata interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza» Benedetto XVI S i ha la sensazione, in questi giorni, che avere paura sia qualcosa di eticamente corretto. È quantomeno scontato che questo sentimento si stia diffondendo a macchia d’olio fra tutti noi e che sia naturale provarlo. Provare, sì, e sentire la paura attanagliare vite che fino a qualche istante prima erano sicure o no in una salda tranquillità non deve essere facile per noi donne e uomini del ventunesimo secolo, abituati o ad accantonare paure viscerali o a crearne di nuove e sempre più tremende. E gli umori, spesso maggioritari, che innalzano il timore e la paura verso tutto e verso tutti a stati d’animo considerati eticamente corretti ci fa ripiombare nella contraddizione antica che è in seno a questa stramba società occidentale di cui oggi ci Pagina 4 Davide Clementi (VD) facciamo strenui difensori solo in nome della morte di alcuni vignettisti che prima, per la loro opera, venivano messi in croce quotidianamente dai censori della nostra libera e civile Europa. Avere timore, non averlo. Tollerare, non tollerare. Accettare, non accettare. Ignorare, non ignorare. A partire da quel disastroso 11 settembre 2001, noi civili uomini figli della Rivoluzione francese, abbiamo scoperto il nostro ennesimo nuovo nemico, il mondo islamico (radicale). Un mondo che fino a qualche anno prima di quella data che tutti abbiamo bene in mente – chi vi scrive ricorda ancora la paura provata ad appena cinque anni – che ci era anche alleato nella lotta contro nemici ormai tramontati: Afghanistan, Iraq, Iran, tutti territori marchiati innegabilmente dal matrimonio fra il civile Numero 1 – Anno 7 Occidente e l’Islam radicale. E poi ancora oggi, Arabia Saudita, Emirati, califfati vari sono fedelissimi alleati degli Stati Uniti d’America. Giusto per ricordare a chi legge che gli alleati sauditi triturano le mani a chi è in possesso di una Bibbia o a chi è ateo. Dov’è allora la paura verso questo oscuro e tremendo nemico quando compie esattamente le stesse cose che non solo fino a poco tempo fa noi stessi compivamo, ma che ancora oggi nostri amici e alleati continuano a fare? La paura è soltanto verso un totalitarismo – quello islamico che ha attentato a New York e a Parigi –, che è sovvertitore di un ordine in cui noi giochiamo un ruolo chiave, oppure è anche verso un totalitarismo che di quest’ordine fa parte insieme a noi? Oggi l’imperativo comune è quello di imporci la paura, perché la paura verso fenomeni come questo è d’obbligo, è anzi una paura etica: è stato compiuto un attentato alla sacralità dell’Occidente e, come tale, va perseguito in ogni modo, usando ogni mezzo possibile. E ora che Charlie Hebdo è diventato sinonimo di libertà, ora che tutti si sono stracciati le vesti per rincorrere il Je suis Charlie, il re è nudo, per noi civili occidentali: abbiamo H asta la victoria siempre!”. Questa scritta campeggia un po’ ovunque a Cuba e questa volta i cubani possono pronunciarla con orgoglio. Il 17 Dicembre 2014, il presidente degli USA Barack Obama ha aperto alla possibilità di concludere l’embargo commerciale, iniziato 52 anni fa, di rivedere lo status internazionale della nazione cubana (finora vista come uno stato terrorista). Per la socialista Cuba è una delle più grandi vittorie sul paese simbolo del capitale, gli Stati Uniti d’America. Non tutti sono d’accordo con questa visione. Si è venuto a creare un dibattito intorno all’accaduto: per alcuni il merito si deve riconoscere alla mediazione del Vaticano, per altri è invece una vittoria del capitalismo sul socialismo. Iniziamo dalla storia di questo piccolo paese caraibico ribelle e rivoluzionario. Fidel Castro e Che Guevara insieme ad altri loro compagni sbarcarono con la loro nave e iniziò la guerriglia rivoluzionaria contro la dittatura filo-americana di Fulgencio Batista. L’8 Gennaio 1959 Castro e i suoi entrarono all’Avana e la rivoluzione poté dirsi vittoriosa. Durante gli anni ’60 le relazioni tra Cuba e gli Usa furono pessime. Nel 1961 il governo statunitense con l’appoggio di alcuni cubani in esilio tentò un’invasione di Cuba nella Baia dei Porci, ma i contro-rivoluzionari furono sconfitti. Il massimo della tensione vi Gennaio MMXV covato la serpe in seno alla nostra stessa cultura. Abbiamo sempre avuto paura del diverso di turno, sia dentro che fuori di noi, trovando escamotage e feticci che potessero rappresentare quanto meglio chi siamo noi veramente, un po’ come in “Cuore di tenebra” di Conrad, dove a forza di portare civiltà si è sempre e solo schiavizzato e barbarizzato. Da un giorno all’altro l’Occidente, reo di aver imbavagliato anche nel XXI secolo innumerevoli giornalisti, si è ritrovato in massa ad essere Charlie, giornale fieramente laico e antifascista che, con l’ipocrita marcia dei leader del “mondo libero” non aveva niente a che spartire. Russia, Turchia, Congo e tanti altri paesi non proprio leader per democrazia e libertà hanno sfilato nella marcia repubblicana di Parigi… per l’occasione avremmo potuto chiamare anche Breivik dalla Norvegia, lui che in nome del Dio cristiano ha ucciso 77 persone. Ecco che forse la paura verso il terrorista islamico non è che verso di noi, uomini e donne che desideriamo soltanto avere una libertà, quella di tiranneggiare su chi, per secoli, abbiamo additato come infedele, ed oggi come terrorista Ludovico Marsicano (VB) fu nel 1962, durante la “crisi dei missili”. Quei giorni furono quanto di più vicino vi sia mai stato ad una guerra nucleare. L’URSS aveva portato dei missili nucleari a Cuba con lo scopo di proteggerla. Gli americani scoperto il tutto minacciarono l’invasione di Cuba e la guerra con l’Unione Sovietica. Dopo 13 giorni però si giunse ad un accordo in cui gli Usa si impegnavano a non attaccare Cuba mentre i sovietici smantellarono i missili lì presenti. Da quel momento in poi i rapporti tra Usa e Cuba sono continuati in modo conflittuale ma senza momenti particolari di tensione. Nel frattempo a Cuba si stava venendo a creare quel tipo di società sognato da molti e che forse solo lì è riuscita a svilupparsi nel modo più ampio possibile, per quanto poi una società socialista vera e propria sia utopica. C’è da riconoscere che il tasso di alfabetizzazione è al 100%, che vi è un servizio sanitario completamente gratuito e di altissima qualità e che tanti altri diritti sono rispettati, ma essendo comunque una dittatura non si ha libertà di espressione, di pensiero politico. Non è tutto oro quello che luccica ma molti sperano che questa nuova apertura diplomatica degli Stati Uniti potrà permettere un nuovo Rinascimento in uno stato da sempre ostile agli Usa per motivi storici. [ULTIM’ORA] Superato record mondiale di Bolt: il prof. De Angelis intravede una nube di fumo in cortile dal secondo piano ed impiega 15 secondi per percorrere sei rampe di scale. #LERCIOLEOPARDI Pagina 5 Numero 1 – Anno 7 L’apertura di questo piccolo stato verso occidente è iniziata con la visita di Papa Giovanni Paolo II negli anni ’90, tanto che ancora oggi la Santa Sede dice di avere ottimi rapporti con Cuba. Da quel momento in poi c’è stata una graduale apertura verso la libertà, anche con Internet, l’allargamento graduale della possibilità di viaggiare all’estero. Ma tutto ciò non è sufficiente, e probabilmente nemmeno lo sarà la revoca dell’embargo. Senza la libertà non può esserci democrazia e senza democrazia non può esserci libertà. Le due cose sono collegate, non si può avere l’una senza l’altra. Gennaio MMXV Molte persone di sinistra, con il mito del comunismo, continuano ancora oggi a elogiare Cuba per il suo saper resistere al capitalismo senza per questo perdere qualità in servizi fondamentali per il cittadino. Io stesso credo che Cuba sia, tra tutti gli stati ad ispirazione socialista mai esistiti, l’esempio migliore di socialismo reale che sia mai esistito, ma non per questo elogio la sua forma dittatoriale di stato. La libertà è al di sopra di tutto, niente può essere scambiato con la libertà. L’uomo fonda se stesso sulla libertà. I tempi sono cambiati. Forse per Cuba questa apertura sarà una vittoria solo quando riuscirà a spezzare le catene, per quanto belle e decorate siano, della dittatura. Piccola spiegazione della vittoria di Alexis Tsipras e del Συνασπισμός Ριζοσπαστικής Αριστεράς Kalimero E ra il dicembre del 2009 quando il premier socialista Papandreou annunciava che il debito pubblico greco era molto più alto del previsto, al 110% del PIL: per farvi capire, una percentuale che equivale alla intera ricchezza prodotta in più da un anno dalla piccola e fragile Repubblica ellenica, sorta dal regime dei colonnelli e da appena quarant’anni entrata nella democrazia che i suoi antichissimi avi avevano creato. Papandreou si dimise dopo aver fallito nel proporre ai greci ma in special modo alla Troika, il triumvirato composto da Unione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale, un referendum sul pacchetto di misure di austerità collegate al rilascio di ben 110 miliardi di euro al tesoro greco. I tagli vennero intrapresi sia da Papandreou che dal governo tecnico che lo susseguì, composto dal centrodestra e dal centrosinistra. Arrivato lo scadere naturale della legislatura, la Grecia vede due elezioni nel giro di appena due mesi, nel maggio e nel giugno 2012: è l’exploit di Syriza, la coalizione della sinistra radicale guidata da Alexis Tsipras, di Alba Dorata, un partito neonazista i cui leader sono tutti in carcere per reati che vanno dalla frode fiscale all’omicidio, e la retrocessione di tutti i partiti favorevoli alle misure della Troika. Fatto sta che un altro governo si forma, guidato da Antonis Samaras, presidente del partito di centro-destra Nuova Democrazia e appoggiato dai socialisti del PASOK (il “PD” greco) e dal centro liberale. L’esperimento della Troika sulla Grecia riesce a pieno titolo: il debito pubblico si assesta e i conti pubblici tornano in ordine. Ma il costo sociale è altissimo: La disoccupazione è al 27%; quella giovanile è al 50%; i suicidi sono aumentati del 40%; aumentata anche la diffusione dell’HIV, spesso inoculato volontariamente per ottenere 700 euro di sussidi statali; aumentano gli abbandoni di minori del 337% e Pagina 6 la degradazione minorile arriva al 37% a causa dei tagli lineari all’istruzione e alla sanità. Questi sono soltanto alcuni numeri che mettono in luce come il rigorismo dei conti voluto in primo luogo dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel ma un po’ in generale in tutti i paesi dell’area euro, senza alcuna distinzione politica fra i governi, abbia ridotto il Paese di Socrate e di Leonida sul baratro. Costi economici e umani del genere non si vedevano dal secondo dopoguerra. Ed è su queste non certo incoraggianti basi che l’ingegnere Alexis Tsipras, leader di Syriza e vincitore delle ultime elezioni, ha da misurarsi. Il suo partito, che ha fondato il suo successo sul modello tradizionale dei vecchi partiti di Sinistra, ossia sulla sostituzione momentanea dei cittadini allo Stato (Syriza fornisce infatti servizi di sanità, d’istruzione, di rifugio ai tanti cittadini greci impoveriti da questa drammatica crisi), e l’alleato della destra anti-austerità, devono confrontarsi. Molti in Italia son saliti subito sul carro del giovane Tsipras, arrancandosi il diritto e l’onore di essere la formazione più vicina – se non identica – al partito di ispirazione eurocomunista guidato dal neo Premier greco, dimenticando proprio sia la radicalità delle posizioni espresse da Syriza sia il ruolo che Syriza ha giocato all’interno della complicatissima situazione greca ed europea. Essa è stata un argine contro Alba Dorata, un partito apertamente neonazista che ha seminato il panico in Grecia, macchiandosi di omicidi chiaramente politici che sono culminati con l’omicidio di due giovani sostenitori della formazione di Tsipras. Ora, la prova più dura per l’opposizione radicale andata al governo del Paese è quella di dimostrare ai suoi cittadini e a una Europa ancora fortemente dominata da Merkel e dai “falchi del neoliberismo” che un’altra Europa è possibile: un’Europa che ponga al centro le persone invece che la moneta Numero 1 – Anno 7 Gennaio MMXV che combatta la povertà e le disuguaglianze sociali e materiali e non favorisca l’accentramento L a nostra lingua ha subito, con il passare dei secoli, diversi mutamenti fino ad arrivare ai nostri giorni. È importante ricordare come questa sia nata e quali fossero le sue caratteristiche, per comprendere fino a fondo quale importante cambiamento abbia subito da parte dei nostri contemporanei. Inizialmente non vi era alcuna lingua unitaria bensì diversi dialetti, solo i più fortunati potevano dilettarsi nell’ars retorica latina, ma grazie all’arrivo di un grande personaggio, quale il sommo poeta Dante Alighieri, assistiamo alla nascita di una creatura nuova nella quale possiamo ritrovare molti aspetti attuali sia dal punto di vista morfologico che sintattico. In particolar modo nel ‘Convivio’ e nel ’De vulgari eloquentia’ notiamo la cura che Dante riservava alla creazione di una lingua nuova, eclettica, sentimentale ed emotiva che si distaccasse dal modello statico latino. Dante, pur considerando quest’ultimo una lingua nobile ed erudita, la reputava immobile e incapace di suscitare alcuna emozione. Ma cosa sta accadendo oggi a quella creatura tanto desiderata dal sommo poeta? Per noi classicisti è facile pensare alla lingua italiana come qualcosa di nostro, che ci appartiene, qualcosa che sentiamo e che curiamo. Ma se ci guardiamo intorno vediamo che ci troviamo in una società che tratta questa con sufficienza. Una lingua creata prima di uno stato, una lingua che si rese fautrice di un popolo e di un’identità nazionale all’epoca assente. Una creatura nata grande ma purtroppo destinata a diventare miseramente piccola. La società in cui viviamo ci sottopone sin dall’infanzia ad un bombardamento mediatico che non è caratterizzato semplicemente dal continuo riproporsi di immagini suggestive e superficiali, ma anche da un ‘’linguaggio di tipo 0’’. La semplificazione della lingua italiana inizialmente poteva essere visto come un fenomeno accettabile e piuttosto prevedibile data la diversità di dialetti presenti nelle mani di pochi dell’enorme capitale di cui il nostro continente ancora oggi gode. Alice Lambertelli e Valentina Belleggia (3A) nel nostro paese, ma ai giorni nostri questa semplificazione sta portando la nostra lingua a perdere quella bellezza così introspettiva e affascinante che tanto la caratterizzava. L’italiano neostandard, così potremmo definirlo, è leggermente diverso rispetto a quello delle grammatiche. È infatti importante considerare che l'italiano è una lingua grammaticalmente instabile e complessa, ancora non del tutto assestata. Nel corso del tempo i parlanti hanno alterato i suoi aspetti morfologici, in quanto sentivano la necessità di semplificare espressioni e termini fortemente legati al latino. Questi fenomeni di ristrutturazione d'impianto sono forse dovuti al fatto che l'italiano è stato a lungo una lingua esclusivamente scritta; non solo si nota l'affiorare di forme espressive caratteristiche dei suoi dialetti, ma si avverte anche un movimento di "semplificazione”: trovandosi di fronte una lingua complessa sotto diversi aspetti legati alla “derivazione” dal latino, i parlanti plasmarono in base alle loro esigenze una lingua semplice e di facile comprensione. Giovanni Nencioni scrive che questa crisi di stabilità della lingua italiana va attribuita alla «rapida e impetuosa estensione della lingua nazionale a milioni di cittadini di scarsa formazione culturale e di permanente soggezione al sostrato dialettale». Questo sentiero “disperatissimo” ha trasformato la creatura di Dante in un guanto che può essere indossato da chiunque, ma la sua più splendida natura è purtroppo mutabile. Se continuassimo questa indagine glottologica ci accorgeremmo invece che la lingua italiana non si ferma a quelle frasi uguali in tutto e prive di espressività, che ci sottopongono i mass media, ma nascosta nei cassetti di giovani scrittori o in libri di poeti già dichiarati vi è una lingua che vive, parla, pulsa sentimenti ed emozioni come un cuore che vuole e deve ancora battere. La sindrome della velina P A&G regiudizi, stereotipi e luoghi comuni sono radicati più che mai nella nostra società, modelli fissi che ci vengono quotidianamente proposti dai mezzi di comunicazione tradizionali, ma anche da internet e dai social network che ci presentano immagini con una visione parziale della bellezza, non includendo elementi che vanno oltre l'aspetto fisico. Si deve parlare di un'altra verità: quella di donne intelligenti dalle quali prendere ispirazione. I modelli a cui le ragazze si ispirano non dovrebbero essere soubrette apparse in televisione in abiti succinti, bensì donne vere che hanno, in un modo o nell'altro, lasciato un segno indelebile nella storia, diventandone parte. Altro che dive dei reality show e aspiranti showgirl, le donne che devono diventare punti di riferimento dovrebbero essere ben altre: famose non per i loro corpi, come detta la moda Pagina 7 Numero 1 – Anno 7 Gennaio MMXV [ULTIM’ORA] Panico in VD – diagnosticata a Giulia Renzi un’incipiente scoliosi #LERCIOLEOPARDI attuale, ma per le loro menti. Prendere spunto da quelle donne, paladine dei diritti civili, come Eleonor Roosevelt; menti scientifiche come Marie Curie, Rita Levi Montalcini e Margherita Hack; vite vissute per il prossimo come Madre Teresa di Calcutta; donne di potere come Thatcher in Inghilterra, Merkel in Germania e Dilma Rousseff in Brasile. Noi non ci stiamo allo stereotipo dell'avvenenza dettato dalla dittatura mediatica che ci fa esistere solo se belle ed appetibili. Noi non ci stiamo ad essere solo corpi da guardare, toccare, giudicare e mercificare. Pretendiamo rispetto e che si dia spazio a tutte le nostre diversità. Non vogliamo un mondo in cui tutte le bionde sono oche; chi porta gli occhiali è una secchiona, solo chi è magra può essere bella e dove si esiste solo attraverso la rappresentazione iconografica ossessiva di sé. Vogliamo le differenze, la fantasia e la libertà di essere se stesse, perché in ciò c'è la qualità e l'unicità della vita umana. 10. Songs of Innocence, U2 loro. I migliori pezzi sono rispettivamente la funkeggiante “Digital Witness”, e l’epica ‘Iron Sky’. 8. Sonic Highways, Foo Fighters In primis, mettiamo da parte le polemiche legate alle modalità di lancio di quest’album (“imposto” gratis a tutti gli utenti di iTunes in occasione dela presentazione del nuovo iPhone). Un nuovo disco degli U2 ha sempre un grandissimo impatto mediatico, soprattutto se esce a distanza di cinque anni dal precedente, ‘No Line on the Horizon’. Il risultato di questa lunga attesa sono undici nuove canzoni dedicate ai ricordi di gioventù; non tutte molto efficaci, ma spiccano senza dubbio ‘The Miracle (of Joey Ramone)’, ‘Song for Someone’, “Iris (Hold Me Close)” e ‘Raised by Wolves’. Piacevole rock di facile ascolto, ma i tempi di ‘The Unforgettable Fire e The Joshua Tree’ sono lontani anni luce ormai. L’ottava posizione mi sembrava la più giusta per l’ottavo album del gruppo capitanato da Dave Grohl, già batterista dei Nirvana; composto da otto canzoni, registrate in otto città diverse degli USA, con otto ospiti per ciascuna località toccata, accompagnato inoltre da una docu-serie tv di otto puntate sulla storia musicale di ciascuna delle otto città e la relativa registrazione delle otto tracce (ho scritto troppe volte otto). ‘Something From Nothing’ e ‘Outside’ le canzoni che lasciano il segno. 7. Alaska, Fast Animals and Slow Kids più emergente della musica indipendente italiana. 6. Turn Blue, The Black Keys Vi anticipo che sono molto di parte, sono un grande fan del duo di Akron, Ohio. Album dal loro ormai classico stampo vintage anni ‘70, ma più psichedelico rispetto al precedente El Camino, che risente nei testi del recente e difficile divorzio di Dan Auerbach (voce, chitarra e principale compositore). Premio assolo dell’anno a ‘Weight of Love’, spettacolare canzone che apre il disco; altri pezzi clou sono ‘Bullet in the Brain’, ‘It’s Up to You Now’ e ‘Gotta Get Away’. 5. Lullaby and… the Ceaseless Roar, Robert Plant 9. (ex aequo) St. Vincent, St. Vincent e Caustic Love, Paolo Nutini Incerto nella scelta, li ho proposti entrambi. I lavori della definitiva maturità per l’eclettica chitarrista newyorkese Annie Clark (in arte St. Vincent) e il cantautore scozzese di origini italiane Paolo Nutini: due artisti e due album molto diversi fra Pagina 8 Non fatevi trarre in inganno dal nome, sono solo quattro ragazzi di Perugia che cantano in italiano. “Solo” si fa per dire, perché dopo l’assai convincente prova di Hybris (leggesi Υβρις) hanno bissato con Alaska, trainato da potenti pezzi come ‘Il Mare Davanti’ e ‘Coperta’. Una nuova realtà sempre Un paio di mesi fa girava la notizia che Robert Plant avesse rifiutato un’offerta di 500 milioni di sterline per riunire nuovamente i Led Zeppelin e fare una serie di concerti, dopo il successo di ‘Celebration Day’, disco live registrato nel 2007 all’ultima reunion del leggendario gruppo. Secondo me ha le sue ottime ragioni! Invece di portare Numero 1 – Anno 7 Gennaio MMXV avanti sempre gli stessi pezzi da 40 anni e fare ristampe su ristampe, Plant si è creato una solida e varia carriera solista, di cui l’ultimo lavoro è uno dei più riusciti, con ballate folk, hard rock in senso stretto (“Turn It Up”) e persino contaminazioni africane nel brano ‘Little Maggie’. Rinnovarsi, sempre. 4. Lazaretto, Jack White John Anthony Gills colpisce ancora. Uno degli artisti più geniali degli ultimi anni (The White Stripes, The Raconteurs, ecc.) firma un album rock-blues vario e di ottima fattura, che va dalla micidiale titletrack e primo singolo (“Lazaretto” appunto) a ‘Would You Fight For My Love?’. Uscito quasi in contemporanea al già citato Turn Blue deiBlack Keys, che White proprio non può sopportare e vedere soprattutto adesso che entrambi fanno base a Nashville, rispetto alla controparte ha quel qualcosa in più che ha convinto critica e pubblico. …E IL PODIO 3. Everyday Robots, Damon Albarn Dopo più di 20 anni di carriera e dopo avere fondato i Blur, icone del britpop e degli anni ‘90, ed i Gorillaz, primo gruppo virtuale della storia e tra i più importanti del nuovo secolo, Damon Albarn rilascia finalmente un disco sotto suo nome. Il “debutto” da solista è veramente ottimo. Un curatissimo mix tra strumenti elettronici e acustici, testi che affrontano tematiche personali ma anche sulla perdita di contatto umano a causa della tecnologia (“We are everyday robots on our phones / In the process of getting home”). Un album profondo, che vanta anche la collaborazione di Brian Eno in ‘Heavy Seas of Love’, e si concede anche un piacevole momento di spensieratezza in ‘Mr. Tembo’, canzone dedicata ad un cucciolo di elefante incontrato in una riserva in Kenya. 2. Morning Phase, Beck Avete presente Beck? Quello che ha scritto ‘Loser’? Quello che compare nella puntata di Futurama in cui Bender rimane paralizzato e diventa un musicista della sua band! Anche se non lo avete presente, vi basti sapere che salì alla ribalta negli anni ‘90 proprio con il singolo ‘Loser’ e ha proseguito fino ad oggi la sua carriera tra alti e bassi. L’ultimo episodio della sua produzione fa decisamente parte degli alti, tanto da valergli la nomina per il Grammy all’album dell’anno (dovrà vedersela con giganti del pop come Pharrell Williams). Morning Phase è un disco rilassato, acustico, ideale da ascoltare la mattina all’alba: l’inizio soffuso con gli archi di ‘Cycle’ che confluiscono in ‘Morning’, seguita da ‘Heart Is a Drum’ e la bellissima “Blue Moon”; il cerchio si chiude nella floydiana e quasi commovente ‘Waking Light’. 1. Il Padrone della Festa, Fabi Silvestri Gazzè Mi sbilancio, per me questo è il miglior album dell’anno perché è una splendida boccata di aria fresca nel ristagnante panorama musicale italiano, dilaniato ormai sempre più dalla mediocrità e dai talent show. Tre cantautori romani, amici da sempre, dopo un viaggio in Sud Sudan, decidono di fare un disco insieme: il risultato non è una semplice somma tra Niccolò Fabi, Daniele Silvestri e Max Gazzè, ma qualcosa di nuovo, che risente ovviamente degli stili di ciascuno dei tre che si amalgamano alla perfezione, grazie anche all’aiuto di strumentisti eccezionali come Adriano Viterbini, Fabio Rondanini e molti altri. Ogni canzone è un piccolo capolavoro, e non potrei elencarle tutte, ma “Alzo le mani”, “Life is sweet”, “L’amore non esiste” e “Il Padrone della Festa” sono un gradino sopra a tutte le altre. Professore arriva in classe a mezzogiorno e mezza. La classe: «Già qui?» #LERCIOLEOPARDI [ULTIM’ORA] Reallizzato un punto programmatico delle liste. Non accadeva dal 1969 #LERCIOLEPARDI Pagina 9 Numero 1 – Anno 7 Gennaio MMXV Ve li siete persi? Beh, non avreste dovuto… (ovvero il meglio e il peggio cinematografico del 2014) Giovanni Merlini (VA) C osa fareste se vi dicessi che i film migliori dell’anno vi sono sfuggiti da sotto il naso? Se vi siete fermati a ‘Interstellar’, ‘American Hustle’ e ‘The Wolf of Wall Street’ o addirittura, con un grande sforzo, a ‘Dallas Buyer Club’ questa lista potrebbe fare per voi. IL MEGLIO che vi siete persi… Snowpiercer – Un treno che sfreccia senza sosta intorno al mondo grazie a un motore perpetuo, fendendo i cumuli di neve formatisi a seguito di una nuova apocalittica glaciazione, trasporta gli ultimi resti di un’umanità decimata. Un marxistico riflesso della società nel microcosmo ferroviario stravolto da lotte intestine tra poveri, confinati nella coda dello Snowpiercer, e ricchi, rintanati nel benessere della prima classe. Riadattando il fumetto francese ‘Le Transperceneige’, Bong Joon-ho, regista sud-coreano, crea un piccolo gioiello passato inosservato ai più. Sfruttando un cast multietnico, Snowpiercer regala attimi di ansia e scariche di adrenalina dimostrandosi il miglior film d’azione dell’anno. Anime Nere – Pensate che nulla possa superare la cattiveria di Gomorra-La serie di Salvatore Sollima? Francesco Munzi ci riesce splendidamente catapultandovi nei drammi familiari della malavita Calabrese. Un ritmo reale, a fasi alterne lento o incalzante, reso possibile dall’utilizzo quasi totale della telecamera a spalla continuerà a stupirvi minuto dopo minuto raccontandovi una tragedia imprevedibile ma inevitabile. Assieme al collega Paolo Virzì, regista de “Il Capitale Umano”, bocciato agli Accademy, Munzi diventa nuovamente simbolo di un “cinema italiano finalmente adulto, autorevole, coraggioso” (cit.Mereghetti). The Grand Budapest Hotel – Se vi siete persi anche questo allora dovete rivalutare i vostri criteri di scelta. Forse avete ritenuto fosse troppo hipster per voi? Già premiato con un Golden Globe, l’ultimo lavoro di Wes Anderson supera i limiti del razionale sfociando nell’assurdo e nel rocambolesco con una storia che è a tutti gli effetti la summa dei temi più ricorrenti dei suoi film (che consiglio caldamente tutti) e ridicolizzata nella sua agrodolce comicità da riprese sempre fisse ma perfettamente simmetriche a comporre piccoli quadretti. Capolavoro! IL PEGGIO che avete visto… Lo Hobbit III – Se vi siete emozionati riascoltando ‘Concerning Hobbits’ di Howard Shore sul finale del film vuol dire che ci siete cascati di nuovo. Come resistere al fascino del fantasy che ci ha cresciuti un po’ tutti? E invece falle nella trama e improbabili amori rendono la seconda trilogia di Jackson una vera e propria schifezza. Se da un lato si è deciso di sacrificare il terrore che ci faceva chiudere gli occhi da bambini per lasciare spazio a scene più infantili al fine di andare incontro al racconto fiabesco, scevro di sangue e volgarità, dall’altro le promesse non mantenute e la trama TOTALMENTE reinventata (in peggio, dico io) smascherano Lo Hobbit per quello che è: un’astuta operazione commerciale per avvicinare i più piccoli ad un mondo forse troppo adulto. Ne sono scontento? Nì. Sin City 2 – Rodriguez… che ci combini? Se il primo Sin City era diventato il simbolo della rivalsa del digitale sulla pellicola, il suo fratello minore trasforma la saga da un’attento e sensato accostamento di paradossali effetti speciali a quella che mi permetto di definire “UNA TAMARRATA senza precedenti”. In questo film, che diventa gradevole solo per le indubbie “doti recitative” dell’amata Eva Green, è difficile scorgere i resti di quel gore Tarantiniano che tanto ci aveva affascinato nel primo capitolo. Nymphomaniac – Volgare, volgare e ancora volgare. Tanto se ne è parlato ma non tutti sembrano convinti. C’è ancora chi cerca tra quelle carrellate falliche e quei paragoni decisamente poco azzeccati tra musica, pesca e sesso un’analisi psicologica della libidine umana. Lars ha lasciato la telecamera a spalla e i piani sequenza per dedicarsi ad attività documentaristiche e ad effetti speciali banali e prevedibili che letteralmente invadono la pellicola. Il cinema era morto. E’ questa la sua resurrezione? ...e ciò che vi avrebbe confuso. Il Ragazzo invisibile – «Un film di genere Italiano? Quindi una commedia» «No, no, di genere ma non una commedia.» «Quindi tipo Sorrentino» «No, non d’autore, di genere! Tipo Spiderman, però italiano» «... ma almeno fa ridere?» Quest’anno Salvatores sforna il suo nuovo film che, AUDITE, AUDITE, è un po’ merda come l’80% dei film sui supereroi. Ma non donereste due soldi alla rivalsa del cinema di genere in Italia? Thermae Romae – Hideki Takeuchi non lo conoscete. Non lo conoscevo neanche io. Eppure la sua commediola Giapponese, girata a Cinecittà, che senza troppe spiegazioni ci racconta di Lucius, architetto della Roma imperiale che raggiunge il Giappone del XXI secolo per studiarne i moderni complessi termali, è uno dei film più genuinamente divertenti dell’anno. Con una scenografia e dei costumi così meticolosamente perfetti, l’apprezzabilità di Thermae Romae è minata non tanto dall’assurdità della trama, fedele nell’insensato contesto a una sua logica, quanto più da una recitazione talvolta perfetta e altre volte terribilmente scadente, banale o fin troppo teatrale. Comunque geniale! Pagina 10 Numero 1 – Anno 7 Gennaio MMXV Niccolò Tomassini(IC) I l vecchio 2014 è terminato e con lui tutto ciò che ha portato. Infatti con l'inizio del 2015, i cinema hanno subito incominciato a mandare in programmazione i nuovi film dell'anno. Il 2015 è iniziato immediatamente con un bel film ‘AMERICAN SNIPER’ di Clint Eastwood, che ha subito dominato le classifiche. Il film racconta la storia di uno dei migliori cecchini americani ucciso nel 2013 in un poligono di tiro da un altro veterano. Il nostro caro "pistolero" Clint Eastwood ha diretto meravigliosamente il bellissimo film ormai amato da tutto il mondo. In queste prime settimane è uscito anche il primo fail del 2015. ‘SI ACCETTANO MIRACOLI’ di Alessandro Siani è stato amato poco, sia dal pubblico che dalla critica, la quale gli dà 1 stella e mezza su 5. Per il 2015 si attendono molti film meravigliosi ed originali. Primo tra tutti il nuovo cartone targato Pixar ‘INSIDE OUT’: un film molto originale che toccherà anche grazie ai suoi personaggi, le emozioni. Quindi gioia, paura, rabbia, disgusto e tristezza, accompagneranno nella crescita il personaggio principale Riley. Un altro film che sto aspettando con ansia è il nuovo western di Quentin Tarantino ‘THE HATEFUL EIGHT’. Con un budget che si aggira intorno ai 44 milioni di dollari, il registra sta effettuando le riprese dallo scorso dicembre ed alcuni anticipano che il film sarà “insolitamente” violento e ad altissima tensione. Numerosi saranno i disastrosi e noiosi remake di film ormai noti al pubblico. Tra i tanti il mondo aspetta con ansia il ritorno di Sylvester Stallone con il nuovo ‘RAMBO V’. I fans di Rambo si aspettino almeno un intreccio solido a sostegno delle riprese ma ci sono poche possibilità che ciò avvenga. Un altro caro arrivo sarà il nuovo film della saga ‘VENERDI' 13’. Come sempre ci ritroveremo nell'infernale Camp Lake dove, a causa di sadiche uccisioni, ritroveremo l'ormai vecchio Jason. Mentre io attendo con ansia questi e molti altri il mondo sta iniziando una lotta letale per acquistare i biglietti per quello che molti hanno già definito film dell’anno: ‘50 SFUMATURE DI GRIGIO’. Sono molto stupito da questa cosa, il film, rivisitazione del famoso romanzo, ha già incassato moltissimo perché i cinema hanno già venduto i posti a sedere per le future proiezioni. Quindi ad un mese dall'uscita ha già superato moltissimi altri negli incassi e gli spettatori lo giudicano già film dell'anno! Che bell'inizio! P er quanto nel nostro paese le opinioni circa il panorama d’animazione Giapponese siano contrastanti, tra chi ne ha fatto il proprio stile di vita e chi la giudica per i bambini al pari dell’animazione occidentale, certamente i più avranno sentito parlare del regista, sceneggiatore, animatore, fumettista, e produttore cinematografico Hayao Miyazaki, che proprio di recente, nel novembre 2014, è stato insignito dall’Academy del Premio Oscar alla carriera. Nato nel 1941, nel 1985 Miyazaki fonda assieme al suo collega Isao Takahata il famosissimo Studio Ghibli, ancora oggi ritenuto uno più importanti del settore. Considerato una sorta di Walt Disney giapponese, è stato ed è ancora oggi uno dei più influenti animatori della storia del cinema, ed a lui va il merito di aver contribuito a rivendicare il valore della cinematografia nipponica che era visto come inferiore. Il film che ha segnato l’inizio del successo dello studio ghibli è stato certamente Il mio vicino Totoro, rilasciato nel 1988. La pellicola narra le vicende di due sorelle, Satsuki e Mei, che vanno a vivere assieme al padre in una casa in campagna, in cui fanno la conoscenza di esseri soprannaturali, tra cui lo stesso Totoro, il custode della foresta, ed apprendono il rispetto per la natura. Il personaggio di Totoro è stato talmente apprezzato da essere ancora oggi utilizzato come logo della studio di produzione, e la canzone simbolo del lungometraggio, scritta dallo stesso Miyazaki, è persino insegnata ai bambini nelle scuole. Una parte della critica giudica il film molto lento, adatto ad un pubblico in età prescolare, Vincenzo Forlini (4A) tuttavia altri apprezzano il talento pittorico del regista, nelle cui ambientazioni quotidiano e fantastico coesistono in perfetta simbiosi. Dopo aver riscosso un record di incassi al botteghino nella madrepatria nel 1997 grazie al film Principessa Mononoke, una “favola per adulti” dalle tematiche ecologiste e dai personaggi complessi, uniti ai toni poetici e alla colonna sonora, che ne fanno una vera e propria pietra miliare dell’animazione giapponese, lo studio di Miyazaki rilascia del 2001 il lungometraggio animato che sarà considerato uno dei migliori della storia del cinema, vincitore del Premio Oscar e dell’Orso d’Oro: La città incantata. La protagonista, Chihiro, in compagnia dei genitori, senza rendersene neanche conto, si ritrova in una città popolata da spiriti e divinità e governata dalla maga Yubaba. Essendo stati da questa trasformati i genitori in maiali, la ragazzina dovrà trovare un modo per tornare a casa, non senza sacrifici, ambientandosi alla città e ai suoi ritmi di lavoro, utilizzando il suo ingegno e coraggio per superare le difficoltà che le si presenteranno contro. Il capolavoro di Miyazaki è stato elogiato soprattutto per la ricchezza immaginativa, che si esprime attraverso tutte le strane creature che popolano la città, dal dio del rafano allo spirito Senza Volto, e la superba tecnica di animazione, caratterizzata da una cura maniacale dei dettagli. Per la piccola protagonista l’avventura all’interno del luogo incantato costituisce una sorta di rito di passaggio: ella è costretta, per la prima volta nella sua vita, a fare affidamento solamente sulle sue forze, ed alla [ULTIM’ORA] Acceso dibattito tra bidelli per i corridoi: chiamato traduttore pugliese per decifrare le urla e coinvolgere nella discussione anche la minoranza marchigiana. #LERCIOLEOPARDI Pagina 11 Numero 1 – Anno 7 fine del film sarà un personaggio mutato, che non è più annoiato e vulnerabile, ma pieno di vita. Altro pregio del lungometraggio è la ripresa del folklore giapponese. Seguendo questa chiave di lettura, ogni personaggio può essere associato ad una figura mitologica. Ultimo tra le numerose pellicole del regista, che segna il suo ritiro dalle scene, è Si Alza il Vento, uscito nelle sale giapponesi nel luglio 2013, e vincitore di numerosi premi. Può essere considerato un film biografico sulla vita dell’ingegnere aeronautico Jiro Horikoshi, i cui aeroplani furono impiegati dall’Impero giapponese nel corso della seconda guerra mondiale. Il film vuole mostrare un sincero lamento per la corruzione della bellezza: la passione per il volo di Horikoshi finisce infatti per essere prigioniera del capitale e del militarismo. Gennaio MMXV In conclusione, le storie di Miyazaki non hanno nulla a che vedere con i prodotti dell’uomo a cui è stato paragonato: si allontanano dalla realtà pur mantenendo degli agganci con essa, sono semplici e chiare, ma allo stesso tempo coinvolgenti, emozionanti, a volte struggenti. In esse sono presentate tutti i temi cari al regista: la difesa della natura, la critica all’incessante progresso, sfoggiando un pacifismo tenace. La particolarità dei prodotti dello Studio Ghibli sta nell’immedesimazione dello spettatore nei personaggi del film, Nelle pellicole di Miyazaki si fondono valori, magia, crescita, rappresentazioni a volte crude e realistiche, ma anche ricche di filosofia e spiritualità. E’ un mondo incantato dal quale è difficile riemerge. Lorenzo Marchetti (VB) A bbott Handerson Thayer (Boston, 1849 – Dublino, 1921) nacque pittore impressionista e morì-zimbello per-Darwinisti. Di solida formazione accademica, dedicò la sua arte al vedutismo, al naturalismo e alla ritrattistica, vivendo da ramingo tra le campagne del New-Hampshire. Tra le ultime tele della sua vita si distinguono gli studi sul mimetismo animale: i nostri occhi faticano a discernere le sagome di lepri e pavoni dai cespugli sullo sfondo e intuiscono, insieme con la vaghezza per la natura, anche un’ulteriore emanazione del genio di Abbott Thayer: il Darwinismo. Durante il suo lavoro, egli aveva appurato come gli animali con ventre chiaro e dorso scuro si mimetizzavano con l’ambiente circostante non solo per la comune colorazione, ma anche per un’illusoria perdita di tridimensionalità offerta loro dall’incidenza dei raggi solari. Tale intuizione, vagliata dagli scienziati del tempo, era stata incoronata come legge dell’occultamento per contro-ombreggiatura. Il nostro Thayer, tuttavia, si macchiò del peccato di ubris quando, nel 1903, pretese che tale teoria (un po’ estetica, un po’ darwiniana) interpretasse il fenomeno del mimetismo nella sua totalità; Il Pittore volle dimostrarlo con i suoi Red Flamingoes: a costo di trascurare l’evidenza di tutte le leggi della prospettiva, dell’ottica, dell’etologia e del senso comune, egli sostenne che i fenicotteri, come nella sua tela, sarebbero dovuti sparire anche nella realtà; e tutto ciò per intercessione di Madre Natura (aka Selezione Naturale), la quale aveva donato al volatile il suo caratteristico piumaggio roseo proprio perché si occultasse nei tramonti dell’Africa. «In Africa c’è un babbuino con le natiche blu. Se, messosi il babbuino a testa in giù vicino alla riva del Mediterraneo, lei provasse che il suo deretano si confonde con il mare, mio caro signor Thayer, lei non dimostrerebbe nulla, se non qualche interessante punto di ottica; niente che abbia qualche pertinenza con il ruolo svolto dalla colorazione dell’animale nella vita reale.» Pagina 12 Questa la sentenza, a riguardo, di Theodore Roosevelt in persona, esperto di caccia e vorace di vittorie intellettuali. In cosa Abbott Thayer aveva sbagliato? Egli non aveva fatto altro che lasciarsi scivolare nel mondo bidimensionale dell’opera pittorica; stretto tra le assi della cornice, aveva visto il mondo spalmarglisi davanti sulla tela e l’arte era divenuta sublimazione-della-scienza. Confidandosi ad un amico, aveva partorito quanto segue: «La questione del mimetismo è stata nelle mani dei custodi sbagliati per troppo tempo. Essa appartiene propriamente all’ambito dell’arte pittorica e può essere interpretata solo da pittori. Verte infatti, per intero, su illusioni ottiche, e queste sono l’essenza della vita di un pittore. Il pittore nasce con un senso particolare dell’illusione della luce, dell’ombra e del colore; e, dalla culla alla tomba, i suoi occhi, ovunque si volgano, sono incessantemente all’opera su questo problema. Non sorprende quindi che a lui solo toccasse di scoprire che l’arte stessa che egli pratica è realizzata pienamente negli animali.» Chi-fu,-insomma,-Abbott-Handerson-Thayer? Fu, come lo definì, John Jay Chapman, “un egocentrico depresso, che dipinge per tre ore, poi gli viene il mal di testa, cammina per quattro ore, si sente il polso (…) e ha accessi di abbattimento durante i quali quaranta donne gli tengono la mano dicendogli di non disperare, per il bene dell’umanità”? Oppure fu uno dei tanti eroi della lotta per l’emancipazione dalla scimmia, dalla quale ci distinguono il colore delle natiche, il pollice opponibile, logos e peito? La storia di Abbott Thayer ravviva in noi la coscienza di essere uomini, ammassi di mitocondri e basi azotate cui Madre Natura (aka Selezione Naturale) ha fatto dono della razionalità come della capacità di abbandonarsi alla finzione artistica, sacrosanto scandaglio di una vita che si compie nello stupore del suo enigma. Numero 1 – Anno 7 Gennaio MMXV Pietro Laureati (VC) Il grande merito dell'uomo è la fantasia: senza questa la vita sarebbe un monotono susseguirsi di avvenimenti più o meno sensati. Le grandi menti che l'umanità ha prodotto sono il segno più evidente della vittoria della fantasia. Tra i monumenti più importanti e ammirabili colloco uno dei fotografi più sensazionali di sempre: Henry Cartier Bresson. Dal 26 settembre 2014 fino al 25 gennaio 2015 ha avuto luogo a Roma l’esposizione dell'artista Francese, il cui nome ancora oggi è avvolto di misteri e interrogativi. In questo articolo intendo esporvi le particolarità più curiose della sua opera, tralasciando gli aspetti più facilmente reperibili. Per iniziare parto da un presupposto: gran parte delle sue fotografie, presentate ad un vasto pubblico come quello di Facebook, ipotizzando che esistano solo esse e non la fama del loro autore, riscuoterebbero poco successo in confronto alle suggestive immagini pubblicate dalle più note pagine fotografiche(National Geographic, ecc).Le fotografie scattate dall'artista francese sono immagini fatte per essere esplorate prima di capirne il significato, a differenza degli scatti in alta definizione di coloratissimi paesaggi, che non attendono di essere guardati ma ci assalgono inavvertitamente. É un po’ come la differenza che c'è tra cinema e teatro: il primo lo subisci, nel secondo sei protagonista. Notiamo bene inoltre che tutte le sue fotografie sono in bianco e nero. Questa è per Bresson la caratteristica che distingue la fotografia da tutte le altre arti. Così facendo risalta il contenuto e la forma, lasciando da parte il piacere del colore: è fotografia pura. Bresson inizia la sua attività fotografica nel 1926 e termina nel 1970: in questo periodo di tempo fotografa tutti gli avvenimenti più importanti, con lui nasce la figura del fotoreporter moderno e infine fonda la famosissima cooperativa ‘Magnum Photos’. È tuttavia quando aderisce al movimento surrealista che dà sfogo a tutta la sua creatività artistica. Nei suoi lavori di questo periodo infatti si rifà alla teoria della bellezza convulsiva dello scrittore suo contemporaneo Andrè Breton. La bellezza convulsiva è data da tre fattori: 1) erotico velato 2) esplosivo fisso 3) magico circostanziale. Ritroviamo tutti e tre questi elementi nelle sue fotografie surrealiste. Gli scatti dove compare l'erotico velato sono composti da elementi che rimandano alla sensualità, al piacere, all'amore, per esempio corpi coperti, busti visibili solo in parte, ecc. dove la componente incognita gioca un ruolo fondamentale poiché la mente è costretta a penetrare nell'ignoto per completare ciò che non vede. Bresson in questo caso ragiona in modo del tutto analogo a Giacomo Leopardi nello ‘Zibaldone’ quando nel passo riguardante la teoria della visione il poeta dice espressamente che ciò che è incognito è molto più affascinante e poetico di ciò che è noto. Intendetemi, è la differenza che c’è fra una donna vestita e la stessa, svestita. L'esplosivo fisso consiste nell' includere nella stessa inquadratura uno sfondo fisso e un soggetto dinamico: in questo modo l'osservatore si chiede cosa accadrà nel tempo in un definito spazio. Il magico circostanziale è quel momento irripetibile in cui in un fotogramma si immortala l'attimo decisivo. Di mille foto solo una è quella giusta. Come noterete il mio articolo non è accompagnato da foto. Sta a voi ora guardare i suoi capolavori e cercare di capire con la vostra testa: «Osservo, osservo, osservo Sono uno che comprende attraverso gli occhi.» Simone Amabili (ID) La più famosa chiesa dove viene celebrato il culto della Maddalena, grazie al ‘Codice da Vinci’, è quella di Rennes le Chateau, un piccolo paesino della Francia. Nel 1891 il curato Sauniere volle iniziare il restauro dell’edificio. Durante i lavori si accorse che una delle colonne che sosteneva l’altare conteneva quattro pergamene. Trovati questi scritti, egli si recò immediatamente dal vescovo affinché i documenti potessero essere analizzati. Dopo l’analisi degli scritti, l’abate divenne inspiegabilmente ricco. Possiamo ipotizzare che la sua ricchezza derivi da un suo silenzio, custode di segreti molto pericolosi per la Chiesa Romana. Il restauro si concluse meravigliosamente cambiando decisamente l’aspetto della chiesa. Prima di morire, Saunierè comunicò il segreto scoperto alla perpetua Marie, che, a sua volta, cercò qualcuno a cui trasmettere le informazioni ma riuscì a pronunciare solo una frase: “la gente di Rennes cammina sull’oro e neanche lo sa”. Ma cosa unisce arte, religione ed esoterismo? Degli elementi che ci possono aiutare a decifrare i messaggi in codici con cui Sauniere divenne ricco, sono custoditi all’interno della Chiesa, sparsi in vari punti. Prima dell’ingresso sulla sinistra, troviamo, sotto la statua della Vergine una croce rovesciata al posto dell’antico altare, detta Croce del Silenzio, sulla quale è scritta la data dell’inizio del restauro. Sul timpano del portale abbiamo due iscrizioni, però, la seconda è quella che più ci colpisce: Terribilis est locus iste. Come può un sacerdote scrivere questo di una chiesa? Evidentemente, Sauniére Pagina 13 Numero 1 – Anno 7 non si riferiva al luogo ma a quella scomoda verità che questa chiesa contiene. Sempre sul timpano, abbiamo la raffigurazione, in un triangolo equilatero, della Maddalena circondata da dodici rose in quattro vasi. Da questa raffigurazione possiamo dedurre possibili legami con il gruppo dei Rosacroce. Entrando in Chiesa ci accorgiamo di strani particolari: il primo è l’acquasantiera, sorretta da un demone, Asmodeo, custode del Tempio di Salomone. Esso è sormontato da uno zoccolo con due grifoni. Sotto di essi è incisa la frase: “Par ce signe tu le vincrais”, frase simile a quella vista da Costantino nel suo famoso sogno che lo spinse a convertirsi. L’unica differenza è il pronome “le” francese che si traduce in latino con il pronome “lo”. Lavorando sulla frase, troviamo 22 lettere come i merli e i gradini delle scalinate della Torre vicina alla Chiesa. i denti della grotta del Calvario. Le lettere del pronome sono rispettivamente la tredicesima e la quattordicesima lettera della frase. Otteniamo dunque 1314, la data del rogo di Jacques de Molay, l’ultimo Maestro dell’ordine templare. Proseguendo il giro nella chiesa, troviamo degli spunti interessanti dalla via crucis. Nell’ottava stazione, notiamo una Gennaio MMXV vedova in compagnia di un bambino coperto da un tessuto scozzese blu. C’è un evidente collegamento con la Massoneria. Infatti esiste una loggia blu, c’è un rito scozzese e per indicare l’appartenenza all’ordine, i massoni si chiamano figli della vedova. Lungo le navate, poi, troviamo varie statue. Oltre alla sacra famiglia, ci sono sei statue di santi: Antonio Eremita, Germana, Maddalena, Antonio da Padova, Rocco, Giovanni Battista e Luca. Disegnando una M di collegamento tra le iniziali dei santi si forma la parola GRAAL. La M va a trovarsi sotto la statua della Maddalena che sorregge un calice. Infine, l’ultima serie di messaggi è rappresentata dalla luce solare, che, in alcune date, colpisce precise parti della Chiesa: il 17 la statua di Sant’Antonio o il 13 Gennaio il sole colpisce la statua di Gesù. Fu Saunierè che volle tutte queste allusioni durante il restauro. Dopo aver ripercorso il mondo di simboli all’interno della chiesa, ci dobbiamo chiedere cosa avesse trovato Sauniere, cosa contiene il suo tesoro? Si tratta del Graal, dell’arca dell’alleanza o solo di un segreto che avrebbe sconvolto la cristianità? Non sapremo mai quello che cercava Sauniere, ma affascina pensare che un piccolo borgo contenga pericolosi e misteriosi segreti. Ludovico Marsicano (VB) Se non avete mai provato l’emozione di avere il vento in faccia mentre camminate su un sentiero di alta montagna, di respirare la sua aria pura, di sporgersi dalla cresta e vedere il precipizio e da lì tutta la natura che vi chiama e ti fa sentire minuscolo nell’universo allora non avete mai potuto apprezzare la pura bellezza della Natura. La montagna è il luogo dell’anima, il luogo in cui l’uomo è più vicino al cielo, dove può sentirsi piccolo senza sminuirsi. La montagna fa conoscere se stessi, vi permette di comprendere i tuoi limiti, le tue paure e vi permette di riflettere. Pochi giorni fa sono andato in montagna con i miei amici e ci siamo dovuti scontrare con la neve, con il freddo ma soprattutto con il vento. Proprio a causa del vento non ci è stato possibile arrivare in cima ed ammirare lo spettacolo della Natura e dei Monti Sibillini, ma siamo riusciti ad arrivare sulla cresta della montagna anche se eravamo colpiti da fortissime raffiche di vento. Arrivati lassù ci siamo stesi a terra, abbiamo visto il panorama e, tra raffiche di vento e raggi di sole, mi sono sentito così piccolo ma anche così grande. In montagna si sente la difficoltà, ci si sente impotenti di fronte alle forze della natura, ci si sente atomi nell’universo quando si raggiunge la cima e ci si guarda intorno; ma quando si arriva lassù ci si sente anche grandi, si capisce di aver vissuto un’avventura irripetibile e che, nonostante tutto quello che accadeva, si è continuato ad andare avanti, ad andare oltre se stessi. L’uomo per pensare deve camminare e deve salire in alto, là dove l’uomo crede di poter toccare il cielo con un dito. È proprio lassù dove molte persone credono ci siano solo pietre ed erba e freddo che si a comprendersi e si pensa. Quale antidoto migliore allo stress cittadino del camminare in montagna? Abituati a camminare sulla pianura noi stessi ci siamo appiattiti con il tempo. Non riusciamo più a guardare oltre noi, a superare le difficoltà. Crediamo di poter aggirare le salite prendendo il bus o la macchina, crediamo di poter andare dappertutto e fare qualsiasi cosa solo perché ne abbiamo i mezzi. In montagna è diverso, si deve dare fiducia a sé e ai propri compagni, e soprattutto ci si deve affidare alla bontà della Natura. La Natura indifferente e matrigna di Leopardi si sente nelle difficoltà del cammino ma insieme a questa visione vediamo la Natura spettacolare e benigna che ci regala spettacoli tali. Di notte è ancora più bello camminare in montagna sotto un tappeto di stelle, sentire la bellezza tutta intorno a sé, sentirsi così immersi nell’infinità della bellezza della Natura da potervi naufragare ed esserne comunque felici. C’è chi identifica Dio con la Natura, io credo che la Natura, soprattutto là dov’è più vivida, possa essere un tramite per la spiritualità propria di ognuno. La montagna è un luogo spirituale, forse più di una chiesa, di un tempio. Proprio sul Monte Sibilla, dove sono andato io, c’era la grotta della Sibilla Cumana, secondo le leggende. La montagna è anche, nella Bibbia, il luogo d’incontro tra l’uomo e Dio, il Monte Sinai dove Dio consegna le tavole della Legge a Mosè, la montagna dove Asciugatori elettrici installati tre mesi fa ma ancora non attivati. La scuola: «Meglio non creare troppe aspettative per il futuro.» #LERCIOLEOPARDI Pagina 14 Numero 1 – Anno 7 Gennaio MMXV Gesù fa il discorso detto appunto “della montagna”. Lì dove l’aria è rarefatta, dove all’uomo sarebbe impossibile vivere senza difficoltà, lì l’uomo viene a ritrovarsi. Nel camminare si conosce e sperimenta se stesso nella fatica, ma è una fatica riposante, una fatica che riequilibra dentro. Camminare e salire, trovare il modo di arrivare là dove si vuole arrivare, l’uomo spinto dalla sua curiosità può arrivare dappertutto ma la montagna è altro, lì l’uomo è in balia di cose che non può controllare. Ma la bellezza della vita sta anche nel non poter controllare sempre tutto. Per questo invito tutti a provare, almeno una volta, l’esperienza di salire in vetta. Intervista al regista di ‘Fango e gloria’ Leonardo Tiberi Lorenzo Cameli (VC), Davide Clementi (VD), Lorenzo Marcheti (VB) Nell’ambito del cineforum organizzato dall’Assessorato alle Politiche Giovanili di San Benedetto del Tronto e dal nostro Liceo, la nostra redazione ha avuto l’occasione di confrontarsi con il registra ed ex-direttore dell’Istituto Luce Leonardo Tiberi, presente alla visione del film ‘Fango e gloria’ da lui girato in occasione del centenario dall’entrata in guerra dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale: un docufilm che unisce le immagini di repertorio dell’Istituto Luce e quelle della fiction che narra la vicenda di un giovane italiano, Mario, protagonista sul fronte italiano. DC: Sappiamo che la Prima Guerra Mondiale è il primo evento bellico che investe sotto ogni aspetto gli stati coinvolti. La trama del suo film si snoda nel rapporto fra Mario e Agnese, lei è una donna che parte da una condizione più o meno agiata… LT: Sì, la madre è una sarta. Si vede poi che Agnese va a lavorare in un’industria bellica. Del resto di sarti in quel momento non ce n’era bisogno. La gente non pensava a farsi i vestiti. Una piccola borghesia, diciamo. DC: Da una condizione quindi piccolo-borghese a una “inedita”. L’aspetto economico e quello della condizione femminile quanto possono avere influito nella sua trasposizione e, in special modo, nella guerra? LT: Intanto scindiamo le due questioni. La guerra ha provocato una accelerazione non prevista dell’emancipazione femminile. Vuol dire che se non ci fosse stata quella guerra, le donne avrebbero continuato a fare figli e a cucinare. Mentre invece, gioco forza, essendo gli uomini impegnati al fronte, le donne entrano in scena, nelle fabbriche. Questo non vuol dire che in quel periodo ci sia stata la prima emancipazione femminile, ma sicuramente uno scatto perché le donne hanno dimostrato che volendo potevano fare altre cose. La situazione economica italiana, invece, potremmo definirla un portento: l’Italia era nata da appena cinquant’anni, aveva un tasso di analfabetismo al 90% e un’industria traballante. Partendo da queste premesse l’Italia nel 1915 era già la settima potenza mondiale e, prima che arrivasse il fascismo, senza più Austria, Germania e Russia, l’Italia era la quarta potenza del mondo. Questo ci dovrebbe dare un po’ di fiducia per il futuro. Va ricordato poi che l’Italia – e per fortuna! – non aveva un’industria militare come quella della Germania o dell’Inghilterra, che ci viene sempre presentata come una campionessa di democrazia ma che, va ricordato, in quegli anni aveva sotto il suo controllo mezzo mondo: su un miliardo e mezzo di abitanti, cinquecento milioni erano governati dall’Inghilterra. Sotto l’impulso bellico nacquero anche industrie manifatturiere minori. Sapete quante cartucce produsse l’Italia in quegli anni? Tre miliardi e ottocento milioni di cartucce e novanta milioni di colpi di artiglieria…poco meno di Francia e Inghilterra! Una nazione che partiva da zero, da contadini e analfabeti. Nella tragedia generale, l’esempio italiano ha stupito. DC: a me viene in mente una frase di Kant che diceva che «un Paese non dovrebbe guardare la guerra come un investimento, ma come una spesa». Nel suo film e anche in quello di Kubrik, che ovviamente ci viene in mente, questa dimensione si coglie nel rapporto fra il padre e Mario. LT: nel padre convive il sentimento progressista-socialista e quello nazionalista. Da una parte sente di dire al figlio di imboscarsi e scappare, di dargli una mano nella sua tipografia, dall’altra quello di servire la nazione. È un essere in carne ed ossa, è umano. Che poteva fare? LC: il pretesto per il suo film è la commemorazione del centenario della Grande Guerra. Nel suo film prevale per due terzi l’aspetto documentaristico su quello filmico. Si vede che nel rispetto formale della parte filmica c’è soltanto un accenno alla trama in sé per sé. Se dovessi pensare a un docufilm penserei più a ‘La mafia uccide solo d’estate’ di Pif, dove la trama è calata in un contesto e le vicende dei personaggi si intrecciano alla perfezione nelle vicende. LT: Non sono molto favorevole alla classificazione rigida, è un compito che lascio ad altri. Il docufilm esiste come genere però ci sono tantissime sfaccettature. Ci sono docufilm in cui la parte ripresa si limita soltanto a pochi dettagli, come quelli Pagina 15 Numero 1 – Anno 7 della BBC. Definirlo documentario non direi, perché comunque c’è un filone narrativo che si sviluppa e che si nutre dei documentari di repertorio. LC: Ecco, però la presenza del filone narrativo serve anche per arrivare a un pubblico più ampio… LT: Questo è molto importante. Non è un film pensato per vendere, e neanche un film pensato per fare esercitazioni artistiche. Io lo definisco un film nazional-popolare, deve colpire sull’emozione il cittadino medio. Attraverso un film vero e proprio non si riuscirebbe a colpire la realtà. Quello che ho voluto fare è cercare di far dire alle persone “Qui ci potevo essere io!”. LM: Riguardo l’aspetto storico e il blitz del capitano di corvetta, ho notato la trasposizioni di eventi inediti. LT: Sì, ho voluto riportare ad esempio il fatto della linea ferroviaria usata a scopo bellico Gennaio MMXV qui nell’Adriatico, cosa che non conosce quasi nessuno. Dieci o dodici treni nascosti dentro le gallerie che, non appena avvistate le navi, uscivano e attaccavano. Il capitano Rizzo e le sue imprese sono arcinote, e si trovano in qualsiasi manuale di storia! LM: Per quanto sia comunque una risorsa il fatto di avere avuto a disposizione il materiale dell’Istituto Luce, può avere costituito anche un limite avere a disposizione soltanto un certo numero di filmati? LT: la sceneggiatura è stata scesta soltanto dopo aver analizzato il repertorio e, partendo da quello, sono state sceneggiate sia la parte filmata che la voce fuori campo. LM: quindi è stato un limite? LT: sì, indubbiamente. Si sarebbero potuti raccontare altri avvenimenti, sicuramente molto importanti, se ci fosse stato il materiale adatto. Anche se, ripeto, non è un film didascalico, ma basato sulle emozioni. Non è una pecca se non parliamo del Monte Grappa. DC: quanto materiale c’è nell’archivio dell’Istituto Luce sulla Prima Guerra Mondiale? LT: se consideriamo tutto il materiale dell’Istituto Luce, pochissimo. L’Istituto ha cinquemila ore di video in tutto e sulla Prima Guerra Mondiale venti ore, non di più. Poi ci sono in queste venti ore scene ripetitive, anche brutte, sfuocate, rovinate. Considerate che le strumentazioni all’epoca erano molto limitate. Inoltre ho dovuto ricorrere ad archivi esteri: quello di Vienna, quello americano, quello russo per quanto riguarda la Rivoluzione d’Ottobre. LM: sbaglio o ha girato il film in un formato ridotto? LT: Bravo! Sempre per adeguare il film e per restaurarlo, ho scelto il formato da 14:9 invece che quello da 16:9 che si adattava meglio al lavoro che bisognava compiere. [ULTIMO’ORA] Trovato impiccato al canestro della palestra un ragazzo: era stato colto in flagrante da sir Giuseppe ‘Peppe’ Gaggiano mentre cercara di aprire il suo cassetto. #LERCIOLEOPARDI Domande e risposte dai Paesi Bassi: Uno sguardo sulla vita degli italiani all'estero. Fin dagli inizi del secolo scorso, la parola “Estero” ha sempre risuonato ambita e altisonante nelle bocche degli italiani, e ha sempre scaturito nella loro immaginazione la figura quasi idilliaca di questo orizzonte misterioso, pieno di esperienze e di opportunità che aspettano solo il momento opportuno per essere colte. Questa era l'immagine che avevano dell'estero i circa 8 milioni di italiani che, a partire dal 1900, avevano deciso di lasciarsi alle spalle la miseria assieme alla propria patria per andare in cerca di fortuna nei paesi oltremare. Pagina 16 Tale immagine persiste ancora oggi indelebile nei nostri pensieri nonostante sia passato più di un secolo e la miseria di allora sembri solo un vago ricordo. Eppure ancora oggi la miseria si sente, in forme ben più insidiose, in questa cappa di crisi che grava sul nostro paese e che manifesta in maniera sempre più cupa i propri effetti attorno a noi. E allora è facile intravedere al di là del mare o semplicemente al di là delle barriere doganali, un mondo migliore dove investire le proprie energie e il proprio entusiasmo. Gianmaria Acciarri (VD) Perciò ancora oggi l'estero risulta avere un richiamo fortissimo nei confronti di noi italiani, sono già molti coloro che in questo periodo hanno lasciato l'Italia in cerca di lavoro, riuscendo a realizzarsi e persino a mettere su una famiglia. Io ho avuto il piacere di incontrare proprio una di queste famiglie, la quale con grandissima gentilezza e disponibilità ha risposto alle mie domande riguardo l'esperienza della loro vita all'estero. Per voi dall'Olanda le parole di Brigitt (32 anni) e Sergio (40 anni), entrambi laureati, che si sono trasferiti con tutta la famiglia a Leiden nei pressi di Amsterdam; Numero 1 – Anno 7 Da quanto tempo vivete all'estero e cosa vi ha spinto a tale scelta? Siamo una famiglia con due bambini di 8 e 6 anni, e ci siamo trasferiti in Olanda nell'agosto 2011. Era da tanto che volevamo vivere un'esperienza di lungo periodo all'estero, ed abbiamo colto al volo un’opportunità di lavoro per mio marito presso l'Agenzia Spaziale Europea, che ha sede proprio in Olanda, precisamente a Noordwijk, tra Amsterdam e Den Haag. Gennaio MMXV Qual è stato il primo impatto con un contesto diverso da quello italiano? A dire la verità l'impatto e' stato alquanto "morbido". Mia madre e' olandese, ed io ho visitato spesso l'Olanda nella mia infanzia e adolescenza. Erano quindi un mondo ed una società a me conosciute prima del trasferimento, e parlavo già correttamente la lingua. Per i bambini l'impatto è stato stupefacente, nel senso che sono entrati a L'italiano medio tende a mitizzare l'estero per la presunta facilità di trovarvi lavoro. Voi cosa ne pensate? In Olanda il mercato del lavoro è assai più dinamico di quello italiano, con maggiori sgravi fiscali per chi assume. Questo significa che ci sono maggiori possibilità di trovare lavoro dopo averlo perso in tempi relativamente brevi (e lo dico per esperienza personale). Ciò che ci ha maggiormente colpito è il fatto che qui vige davvero la meritocrazia che tanto vorremmo in Italia. Chi ha un curriculum corposo oppure un'idea vincente è sicuramente avvan- taggiato nella ricerca del lavoro, e la raccomandazione è davvero poco utilizzata. Cosa offre l'estero dal punto di vista scolastico? I vostri figli hanno avuto difficoltà dovendo poi convivere con più lingue diverse? Il capitolo scuola e' piuttosto interessante, con il metodo didattico e il cammino scolastico profondamente diversi da quelli italiani. I bambini cominciano la scuola a 4 anni, e rimangono nella " scuola di base" fino ai 12 anni. In pratica la scuola materna, elementare e media sono fuse insieme per dare una progressione didattica nell'arco di 8 anni. Il carico didattico e' poi assai ridotto rispetto all'Italia. I nostri bambini non hanno ancora la necessità di fare compiti a casa! Semplicemente per gli insegnanti è sufficiente la permanenza a scuola degli alunni (tra l'altro ridotta rispetto all'Italia visto che i bambini escono alle 15, ed il mercoledi' alle 12:30) per poter pienamente educare i bambini senza ricorrere a compiti extra. E se pensiamo che gli alunni olandesi sono sempre in testa alle graduatorie internazionali (OCSE, metodo PISA), vuol dire che questo metodo funziona in maniera efficace, lasciando ai bambini anche ampio spazio pomeridiano per lo sport e per altre attività extra-scolastiche come la musica o la socializzazione con altri È luogo comune pensare che all'estero gli italiani godano di una pessima fama. Vi siete mai dovuti confrontare con simili pregiudizi o siete stati accolti diversamente? Qui è assolutamente il contrario! Gli italiani sono visti benissimo, considerati portatori di cultura e di creatività. Siamo stati subito accolti con curiosità, e tutti i nostri amici sono desiderosi di conoscere più in profondità l'Italia, tanto che molti di loro hanno cominciato a visitare l’Italia per le loro vacanze dopo la nostra pubblicità. E poi scuola subito dopo il nostro arrivo senza conoscere una sola parola di olandese ed hanno reagito entusiasticamente, senza minimamente soffrire il distacco dall'Italia. Il modo di vita quotidiano olandese è poi così diverso da quello italiano, e molto più a misura d'uomo e di famiglia. Al di là dei soliti cliché' (biciclette ovunque, meteo meno invitante di quello italiano), devo dire che qui la quotidianità' è molto meno stressante rispetto a quella italiana. tutti fanno a gara per venire a mangiare a casa nostra! Quali sono state le principali difficoltà che avete incontrato nel crearvi una nuova vita e una famiglia all'estero? Indubbiamente non sono state tutte rose e fiori. Ci mancano gli amici e la famiglia (a mio marito pure le montagne! Ma per fortuna viviamo in un mondo altamente tecnologico ed interconnesso, e così è più facile mantenere i contatti con l'Italia tramite i social network e Skype. Ormai ci sentiamo integrati qui, ci siamo creati un ricco tessuto sociale fatto di amicizie vere, ed anche i nostri bambini sono più olandesi che italiani. bambini. Tutti i bambini praticano sport e l’attività sportiva ha un posto di primo piano nella formazione del bambino/ragazzo, merito anche dell'abbondanza di strutture sportive all'avanguardia. 7) Per il futuro preferireste rimanere all'estero o ritornare in Italia? Direi che 3 anni e mezzo di vita delle "terre basse" ci hanno fatto capire come si possa vivere bene anche al di fuori dell'Italia, per cui si', ci piacerebbe proseguire questa esperienza all'estero Pagina 17 Numero 1 – Anno 7 Gennaio MMXV DJ Aky Beat in merito ai Daft Punk: «Ma chi sono questi due pagliacci con le maschere?» #LERCIOLEOPARDI Da dove nascono certi striscioni e certi cartelloni appesi sui muri dell’istituto? Che senso hanno i vari fogli sparsi per classi e corridoi contenenti date di incontri e nomi di studenti? Chi è quella ragazza del 5D che va continuamente in giro fermando alunni e professori? Ebbene ragazzi, la risposta è una e semplice: PROGETTO BELLA STORIA. Tranquilli! non è un piano di distruzione di massa! Il progetto ha un nobile scopo: favorire la socializzazione tra tutti gli alunni del Liceo, disabili e non. Per fare ciò, con una cadenza bisettimanale, i partecipanti si incontrano a scuola, di pomeriggio – subito dopo pranzetto ed eventuale sonnellino – pronti per svolgere entusiasmanti attività di laboratorio. O almeno questo è quello che spera di fare la creatrice-capo-direttore esecutivo del progetto, Chiara Stramaccioni (la stalker del 5D sopra menzionata). In realtà si fa molto di più di mascherine, bigliettini e cartelloni; all’ordine del giorno abbiamo scherzi, balli improvvisati, musica, merende, foto... e chi più ne ha più ne metta. Tante volte si inscenano piccole recite, ovviamente non ai livelli del gruppo di teatro, ma, come spesso si dice‘’ la perfezione non è di questo mondo ’’. Inoltre a Bella Storia non manca mai occasione per far baldoria: festa di carnevale, festa di pasqua, festa di fine anno e, reggetevi forte, tombolata natalizia, la quale ha da sempre riscosso un notevole successo! Sono appunto tutte queste occasioni di incontro che favoriscono l’integrazione degli studenti disabili nella grande famiglia degli studenti del Liceo Clas- Matteo Testasecca (VD) sico. Non si tratta di semplice socializzazione, si stringono veri e propri legami di amicizia (talvolta nascono addirittura storie d’amore). Bella Storia è più che volontariato, non si basa su di un mero atto di filantropia, bensì sulla sincera convinzione che ci si possa divertire in modo diverso e maturo, lavorando, giocando e scherzando insieme a quei ragazzi ai quali si pensa di dover dar qualcosa, ma che in realtà per primi ci regalano una cosa preziosa e rara, ossia un sincero sorriso di felicità. Spontaneità e divertimento sono le parole d’ordine, e lo star bene insieme è il modus operandi del progetto. Partecipano anche molti professori, che gratuitamente trascorrono le due ore dell’incontro prendendo parte alle attività. Inoltre, non per vantarsi, ma il progetto, fin dalla sua lontana genesi (l’anno scorso) ha riscosso le simpatie e il benestare di ben due presidi! E visto che questo è un Liceo Classico, non si può non citare quanto meno un filosofo! Aristotele disse che l’uomo è uno ζῷοv πολιτικόv. Che l’uomo sia un animale, nessuno lo mette in dubbio, ma la prova lampante che siamo esseri sociali è Bella Storia, il progetto che riunisce in allegria studenti disabili e non, professori e qualche volta viene anche la preside. Quindi, classicisti, cambiate routine, e al posto delle solite venti ‘’vasche’’ al corso o della divertentissima versione di greco venite a Bella Storia, e non ve ne pentirete! Lorenzo Cameli (VC) Premessa: questo non vuole essere, e non è, il solito articolo su ‘un qualsiasi viaggio’. Forse perché la Settimana bianca non può essere considerata un qualsiasi viaggio. Forse perché il soggetto che sta scrivendo non è il solito ragazzo che scrive con tono nostalgico e melenso dopo il ritorno dalla Settimana Bianca. Forse perché il soggetto in considerazione sta dicendo addio a questo progetto, definitivamente. Questo articolo non è uno sfogo, né tanto meno una confidenza. Questo articolo è un augurio, il più grande augurio che possa farvi. Vi auguro di svegliarvi almeno una volta l'anno alle 4 di mattina senza aver voglia di prendervela col mondo. Probabilmente sarà la prima ed unica volta Pagina 18 in cui non lo maledirete a quell'ora. Sicuramente, non lo farete perché starete partendo per la Settimana Bianca. Vi auguro di trovare tutte le valigie pronte quella mattina, di doverle solo prendere e accompagnare fino al pullman. Probabilmente non sarà così, perché i vostri genitori, in quell'esatto momento, vi staranno colpevolizzando per l'eccessiva pigrizia che avete manifestato la sera prima. Ma sicuramente a voi questo non importerà, perché starete partendo per la Settimana Bianca. Vi auguro di trovare liberi sul pullman i posti in fondo o, almeno, quelli intorno al tavolino. Probabilmente avevate sperato che li occupasse il vostro amico. Sicuramente, al vostro arrivo, il vostro amico starà Numero 1 – Anno 7 ancora dormendo, ma se questa volta non vi arrabbierete con lui sarà solo perché starete partendo per la Settimana Bianca. Vi auguro di dormire durante quel viaggio, e di svegliarvi solo quando l'autista annuncia la fermata imminente all'Autogrill. Vi auguro di trovare, intorno a voi, più volti sconosciuti che conosciuti, perché saranno proprio gli incontri meno aspettati quelli che vi aspetterete di più al vostro ritorno. Vi auguro di non dover ascoltare Ida urlare durante il viaggio. Probabilmente, in quel momento, non se la starà prendendo con voi. Ma non cantate vittoria. Sicuramente il vostro momento arriverà e lì capirete di essere in Settimana Bianca. Vi auguro di arrivare in orario; nel caso in cui non doveste farcela, leggere l'augurio precedente. Vi auguro, una volta arrivati, di vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo di quella settimana. Vi auguro di trovare piste innevate, magari senza neve artificiale. Vi auguro di non avere mai paura davanti un salto e di averla davanti ad un albero. Vi auguro di trovare nel vostro gruppo almeno un ragazzo che cada sempre, perché quelle cadute faranno parte di quelle briciole di ricordi memorabili con le quali sfamerete la vostra nostalgia. Probabilmente, non fosse stato per me l'ultimo anno, quel ragazzo sarei stato io. Sicuramente molti miei ex compagni di gruppo, leggendo questo augurio, ricorderanno una caduta. Vi auguro di trascorrere il tempo libero con i vostri amici, perché è in loro, oltre che in voi, che quelle tracce di memoria troveranno spazio in un tempo che non gli appartiene. Vi auguro di sentire il tempo che rallenta, e la voglia di bloccarlo del tutto per continuare a vivere quegli Gennaio MMXV istanti fino a quando non vi riterrete pronti per tornare a casa. Sicuramente, non lo sarete mai. Vi auguro di non avere un compagno di stanza con seri problemi intestinali, uno di quelli che prediligono esibirsi in lunghi ed estenuanti spettacoli notturni a ritmo di flatulenze. Loro, in realtà, vogliono solo eliminarvi per un posto letto più comodo. Vi auguro di trascorrere l'ultima sera nel modo e con la compagnia migliore che potevate auspicare, e di svegliarvi quel maledetto sabato mattina consapevoli che il viaggio sarà lungo e la vostra voce dovrà superare le ore d'esibizione di quel vostro compagno di stanza che la malasorte vi ha fatto capitare in camera in segno di sfida. Vi auguro, una volta tornati, di guardarvi intorno al momento del ritiro delle valigie e, in un battito ci ciglia, di trovarvi soli, in camera, a guardare il soffitto. Ve lo auguro perché, nel momento in cui comincerete a ricordare tutto, vi accorgerete di aver lasciato qualcosa in quel posto innevato. Questa volta, non avrete lasciato il solito calzino che manca all'appello una volta tornato a casa, mancanza per la quale vostra madre magari vi starà dando degli "sbadati che non sanno neanche tener d'occhio neanche un pezzo di seta". Questa volta, avrete lasciato qualcosa che va bene oltre della semplice seta. Questa volta, avrete lasciato dei ricordi. Tra le mura della vostra camera. Sulle piste. Nell'albergo. Nell'aria di quel paesino di montagna. Negli occhi della gente. Nei vostri. Probabilmente, tutto questo vi susciterà un sorriso. Sicuramente, accadrà perché avrete vissuto la Settimana Bianca. E viverla, è il mio più grande Augurio. P.S.: Ringrazio tutti i ragazzi e gli amici che hanno contribuito alla realizzazione dei miei ricordi nel corso di questi 4 anni di esperienza i Ritengo inoltre doveroso volgere un plauso alla coppia di professoresse Ida Marida Castelletti e Maddalena Calinich che ogni anno si prodigano per rendere possibile il Progetto Neve, e ai professori che hanno deciso sostenerlo assistendo le due veterane e accompagnando i ragazzi. Un grazie, di cuore. [ULTIM’ORA] 13 morti al Liceo Classico di San Benedetto del Tronto: Pietro Laureati voleva testare la potenza delle sue schicchere. #LERCIOLEOPARDI Pagina 19 Numero 1 – Anno 7 Gennaio MMXV A volto scoperto Daniele Goffi (IVA) Il Sonno Due guardie mi trascinano Dovrei imparar a cedere al Sonno per un lungo e al richiamo dello sbadiglio corridoio che sempre inviato dal Sonno quasi di peso, mi accosta alle sue belle labbra. come se ci fosse una Dal Sonno dovrei farmi inghiottire qualche nella gola del mio dormiveglia fretta. Un loro nel suo ventre di stoffa e coperte collega ci pieno del mio accoccolarmi. apre la porta Un ventre da me condiviso e, senza percon dei sogni in gestazione dere tempo, e nel Sonno fecondati mi fanno “acdalla mente che possiedo. comodare” sulla sedia. Mi Prima in due sacche divise immobilizda una parete soffice e calda, zano le bracpoi in un unico spazio cia e il petto nella sintesi di nuove forme. con delle faAmalgamar l'io mio dormiente sce di cuoio, con i fatti nati dal giorno facendo ben diluiti da ignota presenza attenzione dei moti nell'animo posti. che io non possa libeNel denso torpor del riposo rarmi. Ma qual bellezza sentir le carezze sul ventre nutrito del Sonno dove potrei dirette all'Io lì ospitato. andare ormai? La In questa morte apparente stanza è intoove lo Spirito riposa nacata di trapassato al contempo bianco e il da oscure introspezioni, pavimento è stato accurail Mistero apre le sue porte tamente pualla nostra mente ferma e lì si rende autore lito in ogni di affreschi indefiniti. punto, non riesco a veCome bolo prima e poi feto, dere un po’ di nel Sonno trovano culla polvere neanle memorie e i discendenti che agli andei figli dello Spirito goli. Se non ne fossi sicuro, direi di essere uno dei primi ad esserci entrato. E’ impensabile quanto radicalmente si possa cambiare la propria vita in un pomeriggio. Sicuramente, se fossi rimasto a casa a guardare una serie tv ora non sarei qui seduto, con i polsi che strisciano su del cuoio così liscio da non sembrare neanche vero. Riflettendoci ora, effettivamente ho sbagliato a pensare di poter risolvere i miei problemi con in mano una revolver, ma ormai è troppo tardi per pensare a cos’altro avrei potuto fare per fargliela pagare. Mi avevano truffato quei tre, pensavano di potersi godere i miei soldi, impuniti, difesi da Gianmaria Acciarri (VD) Pagina 20 SPEZZATE VOCI ALATE Maria Cimicillo qualche Sconforto opprimente cavillo; si sbagliaIn un istante apparente vano. Ho Mestizia che toglie il fiato sempre Un gelido torpore consumato fatto catUn volo interrotto tive scelte Sulle rigide orme del complotto nel mondo Del respiro una struggente concludel lavoro, sione ma il penTrafugata e trattenuta anche l'ultima siero di opinione dover riVilipendi cominMiscredenti ciare da L'alacre abbandono capo per colpa In un reale non più dono loro, dopo tanta fatica per trovare un impiego con uno stipendio adatto alle mie esigenze, mi ha annebbiato la mente. Ero riuscito a diventare indipendente, a non dover chiedere più soldi ai miei genitori, a smettere di pregare il padrone di casa di darmi tempo aggiuntivo per pagare l’affitto… Tornare indietro era impensabile. Due uomini mi mettono sulla testa e sul polpaccio gli elettrodi umidi, freddi. Un brivido mi sale sulla schiena. Davanti a me, dietro una vetrata, compaiono i miei genitori. Mia madre appena alza gli occhi su di me scoppia a piangere e si copre il volto con le mani. Vedo le sue labbra muoversi verso mio padre che guarda fisso in basso, ma non riesco a sentire nulla. Sono quasi felice che siano qui: non ho mai pensato a come sarei morto, ma l’idea che ci siano loro, mi fa piacere, sebbene immagini il loro dolore. Conoscendoli, si staranno chiedendo cosa hanno sbagliato con me. Vorrei tranquillizzarli, ma non penso mi sia permesso. Vicino a loro si staglia la figura trionfante dell’ispettore, mentre cerca di non sorridere per il suo successo. Immagino debba essere stato difficile per lui trovarmi dopo l’omicidio in casa mia, mentre aspettavo di pagare per quello che avevo fatto, un crimine, sebbene quei tre non fossero innocenti. Uno dei due uomini nella stanza va all’ interruttore e fa cenno di essere pronto. Mia madre si volta e mio padre con lei. L’altra guardia mi mette una maschera di cuoio sul volto. No, non me ne andrò con una maledetta maschera marrone in testa. La mordo e la scaravento lontano girandomi, poi alzo gli occhi sull’ ispettore che fino ad un secondo fa rideva sotto i baffi. Non c’è niente da ridere, guardami. La guardia abbassa l’interruttore.