I fiori di Raimon - Germana Giannini
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I fiori di Raimon - Germana Giannini
PREMESSA Mi permetto qui di seguito di raccontare alcuni momenti vissuti accanto alle meravigliose figure di Raimon Panikkar e Milena Carrara per mettere a fuoco due temi a cui ho dedicato la vita e che mi stanno veramente a cuore: l’Unione dell’anima e l’ascolto femminile. Il breve racconto che segue serve a contestualizzare una dimensione che credo non si possa affrontare direttamente se non attraverso l’arte e la poesia. Una dimensione sulla quale ho già avuto modo di riflettere tante volte con le persone che hanno condiviso, accanto a me, i laboratori sul canto: l’Unione generativa, libera e per questo sacra nel senso più semplice ed umano del termine. Ringrazio sin d’ora gli amici che avranno il desiderio di continuare a dialogare attorno a questi temi sottili e preziosi rendendo possibile trovare parole poetiche che ne rispettino l’essenza profonda. ‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐ . ‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐ . ‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐ Con il termine Sangama si intendono alcune giornate di condivisione, riflessione e meditazione, da parte di un piccolo gruppo di persone, nell’ospitale casa Milarupa di Milena Carrara affacciata sul mar mediterraneo in Catalogna. I FIORI DI RAIMON Il Sangama che si creò quella volta era dedicato all’incontro fra alcuni traduttori dell’Opera Omnia di Raimon Panikkar per confrontarsi su diversi temi dell’opera stessa e sulla traduzione linguistica pertinente. Io ero stata invitata a portare i miei canti di differenti culture come un diverso aspetto da integrare a tutta la profonda dimensione legata alla parola, all’ascolto e al rito, che è propria dei Sangama creati da Milena a Milarupa la sua bella casa nella prossimità di Roses in Catalogna. Oltre a Raimon e Milena in quell’occasione erano presenti James, traduttore dei testi di Raimon in inglese, in compagnia della moglie Angela, Amaldas, gesuita indiano, traduttore in lingua tamil, Jean, monaco zen, per la traduzione francese e Lucia, traduttrice dal tedesco. Io ero giunta a Roses con Andrea, un giovane cantore amante della filosofia poetica di Raimon, per dedicare al convivio melodie ad una sola voce e alcuni canti a due voci caratteristici di tante culture ed evocativi del senso d’unione umana. Le giornate si svolsero con delle tappe che ne regolarono dolcemente il ritmo diventando, in modo molto naturale, dei momenti rituali: andare incontro all’alba dopo una camminata silenziosa, cantare alla nascita del sole, ritrovarsi per scambiare riflessioni su dei temi proposti da Raimon, meditare due volte al giorno davanti al mare e al monte, confrontare il lavoro di traduzione fra le diverse lingue, il convivio dei pasti…Il tutto intrecciato da momenti di canto e da un costante, sensibile, rispetto reciproco. Avevo già partecipato a diverse occasioni di convivenza creativo‐teatrale in case‐laboratorio dedicate alla dimensione pedagogica e all’incontro fra linguaggi artistici di differenti culture e proprio per questo rimasi colpita dal fatto che, in modo molto spontaneo e naturale, la forma di convivio nata a Milarupa avesse delle caratteristiche così simili alle dimensioni di ritualità artistica che avevo vissuto già tante volte nei luoghi dediti a questo. L’arte senza amore spesso è puro egocentrismo e non genera unione profonda, nello stesso tempo la dimensione spirituale quando ha delle regole senza una creatività che le renda vive può diventare rigida. Ero entusiasta di sentire come in quell’occasione, che non si autodefiniva artistico‐pedagogica, lo spirito creativo fosse vivo, scorrendo come un fiume silenzioso fra un momento e l’altro, senza complicazioni. I momenti di ritrovo erano precisi, si arrivava puntuali ma non si percepiva mai rigidità e la possibilità improvvisativa aleggiava su tutto: non si rinunciava certo ad accogliere la bellezza spontanea se questa dolcemente si mostrava… Milena era istintivamente capace di captare i segnali di qualcosa di bello e profondo che potesse nascere e riusciva immediatamente a creare il contesto dove questo potesse avvenire. Un gesto dell’anima molto femminile: capace di dare luogo. Riuscì a coinvolgerci con entusiasmo affinché la messa celebrata da Raimon potesse essere un evento con‐celebrato da tutti i presenti poiché, come afferma lo stesso Raimon, “tutta la razza umana è razza sacerdotale”. Ognuno di noi aveva il ruolo di esprimere qualcosa che appartenesse ad un elemento (aria, acqua, terra, fuoco, spirito e canto) nella forma che desiderava: una danza, un pensiero personale, una lettura… Andrea ed io avevamo il compito di creare dei canti per ogni elemento e uno specifico canto dedicato al tema centrale della messa: era il giorno del Corpus Domini. Fu un rito di una semplicità e una profondità indimenticabile. Man mano che la messa proseguiva fra le parole di Raimon, la lettura in italiano del vangelo da parte del sacerdote indiano, la presentazione e benedizione degli elementi, i nostri canti del mondo, la condivisione di pane e vino, le frasi pronunciate assieme a lui, il ruolo di sacerdote diventava il ruolo di tutti. Ricordo che molto naturalmente, dentro di me sorse questa intuizione: “Lo Spirito Santo è Ascolto”. Sì, mi sembrava esattamente questo: che lo Spirito Santo venisse generato dall’ascolto profondo e aperto in comunione con altri. In quei giorni, l’intreccio fra parola e canto, che facevano da ponte fra le diverse culture, fece sorgere in me questa parola: Spirito Santo, che scaturì in modo spontaneo, come fosse nuova, emozionandomi portando stupore e pace. La messa era stata celebrata a Milarupa, all’aperto sotto una pergola, alla presenza di alcune altre persone che scelsero di rimanere dopo la cerimonia. Milena mi invitò a raccontare ai presenti la mia esperienza dei canti delle diverse culture, ed io potei esprimere, in modo del tutto estemporaneo, il percorso legato a questa pluralità di incontri nella voce e fra i popoli. Fu fantastico poter raccontare ad un uditorio così sensibile alle caratteristiche culturali, in una sintesi vivace, circa venti anni di confronti fra le attitudini creative e pedagogiche differenti dei vari cantori del mondo… Raimon si divertì ad ascoltare i racconti sugli sforzi da me fatti nel tentativo di non offendere mai i cantori del luogo dove mi trovavo, cercando di rispettare le loro usanze che spesso erano esattamente all’opposto di quelle di altri paesi. Ad esempio: mai mettere i piedi in un certo modo con le punte verso il cantore indiano perché poteva tradursi in mancanza di rispetto; in certe culture non entrare mai nel centro di un cerchio di cantori perché si potrebbe pensare di voler rubare l’anima del canto; presso altri popoli mai cantare da sola: è possibile solo come accompagnamento ad una voce maschile o accanto ad altre due donne. In India la “A” è considerata la vocale per eccellenza a cui prestare una cura estrema nel canto (si dice che Dio stia nella “A”); presso i gipsy, con cui ho lavorato, tutta la forza sta in quei mucchietti di consonanti pieni di ZRST da esprimere con virulenza. In alcuni contesti guai a toccare il corpo altrui mentre gli si insegna qualcosa e se in molte culture si selezionano i cantori facendo la cosiddetta audizione, in Tibet i cantori si scelgono ascoltando le loro voci urlanti al contatto del gelo di una cascata poiché i canti richiedono una tempra fisica non indifferente… Durante tutto il mio racconto intrecciato di esempi canori, Raimon faceva collegamenti con le tante sue esperienze fra le culture e, mentre tutti si stupivano all’ascolto di questa molteplicità di miei racconti bizzarri e veritieri, lui rideva con gioia della fantastica ricchezza che è il mondo nella sua apparente contraddittorietà. A Milarupa ho così vissuto la profonda unione generata dall’Ascolto Aperto e la bellezza dell’unione fra Raimon e Milena in risonanza con quello che Raimon ha sempre detto ed incarnato: il rispetto, la dignità, la profondità e la libertà. La dimensione che si respirava nella loro unione non ha nome. Fortunatamente, perché così è rimasta libera dalle etichette limitanti che Raimon amava dissolvere. Le unioni capaci di andare aldilà di etichette precostituite rassicuranti o giudicanti (dove spesso il giudizio serve alla propria rassicurazione) e quando non sono egocentricamente provocatorie o dannose, possono essere dei solchi trasparenti dove la libertà cammina cercando il suo giusto passo. Nello stesso tempo, descrivere la bellezza del servizio e del gesto d’amore che Milena ha avuto nei confronti di Raimon, sento sia giusto farlo, e mi permetto di farmi portavoce di un ascolto femminile di cui tanto si è parlato con Raimon e che lui si auspicava potesse essere un elemento più presente in tutti: l’unione dell’anima. Milena è stata Ospite eccellente, nella doppia valenza che questa parola porta con sé. Sempre nel rispetto della sua famiglia, ha ospitato Raimon con gioia consentendo incontri a lui preziosi e nello stesso tempo è stata ospite rispettosa dei luoghi di Raimon, collaboratrice instancabile, discepola di un maestro che non voleva porsi come tale, è stata compagna di viaggio e saggia consigliera in tanti momenti, lo ha accudito nel tempo in cui lui era anziano ed è stata la sacerdotessa, senza saperlo, che ha custodito le sue ceneri, si è trovata a riceverne le benedizioni e le ha sciolte nel Gange. Per una figura femminile così, come le tante a lei simili che hanno attraversato senza vanità la storia, ancora oggi fa fatica a nascere un nome. Per un’Unione così evidentemente non è tempo. Un nome che non limiti ma che illumini… In questo senso allora, molto intimo e personale, sento il bisogno di riconoscere a Milena la sua capacità di essere feconda avendo generato tanta bellezza attorno a Raimon. Ha permesso che nascessero continuamente gioia e condivisione, e questo è stato come un mazzo di fiori luminosi che ha reso più profumata la vita di Raimon negli ultimi suoi anni. C’è un lavoro che fanno certe donne nell’invisibile, che fa fatica a rendersi dicibile, ma che non per questo è inesistente. Ma l’indicibile può farsi canto. Questo ho cercato di cantare a Roses. A Raimon e a Milena, al Noi che diventa Tutto.