Eppur si muove? Si, forse, ma non basta…
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Eppur si muove? Si, forse, ma non basta…
Eppur si muove? Si, forse, ma non basta… Alessandro Santo Anche io sto percependo il cambiamento, ma non penso sia sufficiente… Premetto che sto seguendo questa campagna elettorale in maniera distratta, leggendo i giornali, ascoltando TV e cliccando sulle pagine Internet ma senza impegnarmi in prima persona, senza partecipare ai dibattiti della mia città. Si percepisce chiaramente una certa tendenza a volersi presentare agli elettori come nuovi, diversi e “più giovani” ed a volte penso che siamo sulla strada giusta. Poi però, provando ad approfondire, cosa vedo? Vedo le stesse facce di sempre al comando, e penso ad un rinnovamento solo di facciata. Il Veltroni che scimmiotta Obama è lo stesso che entrò in Parlamento prima della caduta del Muro di Berlino; il Berlusconi che probabilmente vincerà le elezioni, è lo stesso che ha vinto nel ’94, perso nel ’96, vinto nel ’01 e perso nel ’06 (per non parlare di Bossi e Fini). Ha forse ragione Tomasi di Lampedusa (“Tutto cambia affinché tutto rimanga come prima”)? Perché non c’è rinnovamento anche nelle sfere “alte ed altissime” dei partiti politici, ma ci si limita a candidare la Madia, Calearo e Colaninno in posizioni di primo piano, ma non di assoluta leadership? Non parlo del PDL, nel quale l’esigenza di rinnovamento non pare esserci nemmeno sulle seconde linee. Forse perché in fondo, in fondo, non ci si fida completamente del nuovo che avanza e si pensa che la ventata di antipolitica si possa ancora controllare dall’alto e che il “popolo” si accontenti di qualche nome buttato li? Ma vediamo cosa dicono i programmi e cerchiamo di capire se la ventata di nuovo si è estesa anche alle proposte contenute nei programmi. Prima però una veloce divagazione sul tema delle candidature: il PD corre da solo, il PDL ha rinunciato a La Destra ed all’UDC e forse questa è la più grande novità delle elezioni 2008: I partiti stanno cominciando a capire che più dei programmi e degli annunci contano i fatti e comprendono che una colazione composta di minuscoli partiti non coesi può sì vincere le elezioni ma non riuscirà mai a cambiare il paese: benché da più parti si guardi ad un ritorno al proporzionale, questa nuova ventata maggioritaria “a turno secco” fa ben sperare. Il problema dell’Italia non è mai stato quello delle persone o dei programmi, bensì quello del “fare le cose” e mettere in pratica quanto promesso agli elettori. Su questo punto sono più ottimista e lo sono tanto più per il PD che ha una gruppo omogeneo (se si trascurano Binetti & Co e le loro pulsioni cattolico-papaline) vs. il PDL che associa veri liberali alla Martino e Capezzone a neo-colbertisti come Tremonti a statalisti come Alemanno e Gasparri fino a persone difficili da inquadrare come Berlusconi stesso. I programmi si assomigliano in maniera a volte disarmante a conferma il fatto che le idee giuste sono note a tutti e cio che conta è la loro realizzazione. Se il PD utilizza in maniera ripetuta parole come mercato e concorrenza, il PDL pone l’accento sulla riduzione delle tasse. Entrambi i programmi sono mediamente approfonditi con, ovviamente considerata la diversa lunghezza, molti più dettagli contenuti in quello del PD. Solo questo risponde in maniera precisa alle pulsioni della marea dell’antipolitica, definendo nei particolari una nuova struttura di Stato e di organizzazione delle sue funzioni (in primis riduzione dei parlamentari). Il programma del PDL accenna al tema, ma rimane molto più vago ed evasivo. Riguardo al punto, a me caro, di come mettere in pratica le proposte, si leggono diversi punti significativi in ognuno di essi, ma nessuno – purtroppo – spiega come gestire la transizione alla proposta economia di mercato, di concorrenza e liberale: non si prende spunto dall’esperienza delle “lenzuolate di Bersani” che tanto vennero osteggiate dai cittadini, tutti rinchiusi nelle proprie corporazioni e tesi ad auto-difendersi. In entrambi i programmi, non si spreca nemmeno una frase – e questa è forse la loro manchevolezza più grave – sul tema del cambiamento culturale necessario per una vera riforma di questo paese. Le idee sono chiare e spesso condivisibili, ma siamo sicuri che siano condivise dalla maggioranza dei cittadini? Siamo sicuri che le liberalizzazioni e la riforma dell’amministrazione pubblica siano realmente “fattibili”? Ne dubito fortemente… L’Italia rimane un paese fatto di liberali “a parole”. Ultima osservazione è sul perché abbia letto i programmi solo a tre settimane dal voto e perché cosi poco se ne discuta nei vari dibattiti politici. Sembrano incredibili gli errori di comunicazione e l’incapacità di trasmettere un messaggio semplice, preciso e chiaro da parte dei diversi partiti. Entrambi gli schieramenti, ma soprattutto il PD, devono migliorare notevolmente nella comunicazione. Ciò detto si conferma la tendenza dei giornali a rincorrersi sulle polemiche “urlate” (v. caso Malepensa) rispetto allo stile BBC e questo forse anche per il volere della domanda (di chi i giornali li legge) e/o le necessità di aumentare il numero di copie vendute con titoloni in prima pagina (a quando la 3° pagina del Sun anche sul Corriere della Sera?). In questo caso la colpa è condivisa tra mezzi di stampa e cittadini. Alessandro Santo Alessandro lavora come consulente per Bain & Company, principale società di consulenza strategica in Italia. Alessandro si è unito al team Bain nel 2006 e finora ha lavorato all’interno di diverse practice quali banche, beni di consumo, industriale e manifatturiero. Prima di Bain Alessandro ha lavorato per oltre 4 anni come venditore per Euromobiliare SIM. Alessandro ha conseguito il suo MBA alla Columbia University a New York nel 2006 e si è laureato con lode in Bocconi nel 2001 discutendo una tesi sulla volatilità nel mercato delle opzioni su indice. Alessandro adora viaggiare ed incontrare i propri amici; i suoi principali interessi sono il motociclismo, l’informatica, la storia e la letteratura.