Introduzione

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La sperimentazione teatrale di Mariano Fortuny, da tempo oggetto di
riflessioni significative da parte degli studiosi, continua a costituire materia d’indubbio fascino. Autore di snodo fra tradizione ed innovazione,
Fortuny è artefice di una riforma scenica pregna d’interrogativi che non
sembrano aver ottenuto opportune risposte e incline a sollevare temi che
aprono ancora a prospettive d’indagine degne di nota.
Ci sembra basilare porre in apertura una delle questioni più urgenti.
Se i dispositivi scenotecnici ed illuminotecnici che compongono la sua
riforma sono stati descritti in modo minuzioso da Fortuny stesso, così
come dagli studiosi che negli anni si sono avvicendati nell’analisi critica
della sua produzione, altrettanto non si può affermare per il versante
teorico della sua proposta, che permane ancora in una condizione di “semi-oscurità”. Lo stato dell’arte relativo all’artista lamenta in tal senso una
profonda lacuna. La bibliografia riguardante l’attività di Fortuny non è
di certo esigua, annoverando contributi fondamentali, ma ancora non è
stato rivolto al lavoro dell’artista uno sguardo che s’interroghi in modo
sistematico sulla dimensione speculativa delle sue creazioni. Molti sono
infatti gli argomenti che meritano indagini suppletive.
In primis ci si riferisce alla necessità di operare una ricognizione sulle
fonti di formazione e d’ispirazione che hanno contribuito a costituirne l’educazione, esercitando un’influenza determinante sulla sua produzione.
Il quadro di riferimento appare deficitario. Quel che sembra certo è che
tale ascendenza non è da circoscriversi ad un autore preciso ma piuttosto
ad un peculiare entourage culturale, vale a dire che è necessario definire
il rapporto che Fortuny intesse con la tradizione (o con l’idea di tradizione) vigente all’epoca delle sue sperimentazioni e che permea gli ambienti
spettacolari del tempo. Più nello specifico, s’intende la relazione di Maria-
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no con un corpus di conoscenze tramandate dalle generazioni precedenti,
di acquisizioni stratificate da secoli di prassi e che hanno contribuito alla
formazione di un prototipo scenico preciso che coincide con il modello
all’italiana. Si tratta di uno schema ampiamente codificato e collaudato
ma che pure, come è noto, giunge alla fine dell’Ottocento con un portato
denso di contraddizioni e di nodi irrisolti. Silvio Fuso e Giovanni Isgrò
hanno a più riprese annotato la dimestichezza con cui Fortuny si muove
tra le pieghe della spettacolarità ottocentesca, fatto che confermerebbe
una conoscenza approfondita delle dinamiche interne alla pratica scenica
del suo tempo1. All’apprendimento di queste istanze, affini alla tradizione, corrisponde una rielaborazione molto originale da parte dell’artista
che influenza poi anche la sua riforma. Urge dunque interrogarsi rispetto
agli adattamenti e agli avanzamenti da lui congegnati per far rifluire all’interno del suo lavoro un patrimonio tanto prezioso.
Nella messa a punto della riforma di Fortuny un approfondimento
suppletivo merita anche l’influenza prodotta da quegli orientamenti definiti dalla storiografia alternativi (e minoritari) rispetto a questa imponente
tradizione. Ci si riferisce ai generi spettacolari e alle sperimentazioni che
giungono a raffinare l’illusione a prescindere dalla scenografia prospettica, come ad esempio gli spettacoli ottici o più in generale tutte le proposte
che danno vita a ciò che Théophile Gautier alla metà dell’Ottocento chiama «spectacles purement oculaires»2, ovvero un teatro più squisitamente
visivo.
Rispetto agli interrogativi qui proposti Fortuny non lascia nulla di certo. Un punto di partenza sicuro sono le sue letture e quindi la consistente
mole di volumi che compongono la Biblioteca d’artista conservata presso
Cfr. Silvio Fuso, Sandro Mescola (a cura di), Immagini e materiali del laboratorio
Fortuny, catalogo della mostra, Venezia, Museo di Palazzo Fortuny, 30 giugno-30 settembre 1978, Venezia, Marsilio, 1978; Id, Fortuny e il teatro, in Cristina Nuzzi (a cura di),
Fortuny nella Belle Époque, catalogo della mostra, Firenze, Palazzo Strozzi, 29 settembre-2
dicembre 1984, Milano, Electa, 1984, pp. 49-59; Giovanni Isgrò, Fortuny e il teatro, Palermo, Novecento, 1986, p. 27 e sgg.
2
Théophile Gautier, Histoire de l’Art dramatique en France, Paris, Hetzel, 1859, 6
voll., vol. II, pp. 174-175, citato in Germain Bapst, Essai sur l’histoire du théâtre: la mise en
scène, le décor, le costume, l’architecture, l’éclairage, l’hygiène, Paris, Imprimerie Générale
Lahure, 1893, Museo Fortuny, BMF, A.7.40, p. 560; nel volume di Bapst conservato nella
Biblioteca Fortuny l’intero enunciato («Le temps des spectacles purement oculaires est
arrivé») è sottolineato a matita, probabilmente da Mariano stesso.
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l’abitazione veneziana Palazzo Fortuny. La collezione è divenuta oggetto
di studio nell’ambito di un Progetto di Ateneo, la cui responsabile scientifica è Cristina Grazioli, volto allo studio sistematico di questo patrimonio
librario3. In occasione di quelle ricerche, svolte da chi scrive, si è compiuta
un’operazione per così dire “a ritroso”: l’analisi della collezione è divenuto lo strumento per tentare il recupero degli assunti teorici che stanno
alla base del percorso creativo di Fortuny. Lo stato dell’arte relativo agli
studi teatrali sull’artista non aveva ancora visto un’indagine sistematica di
queste preziose letture4.
La Biblioteca è un ambiente incantevole in cui si assapora ancora intatto il fascino di “Fortuny studioso”. Un dattiloscritto del 1947 informa
circa il carattere della collezione: «Comprende unicamente numerosi libri
tecnici sulle industrie, sul teatro (dal punto di vista tecnico) e documenti
fotografici di architettura e di arte. Nessun libro raro né di valore bibliofilo»5. La collezione è composta da circa 2.200 pezzi, tra volumi ed opuscoli. Sono presenti alcuni periodici, ma in numeri non consecutivi. Vi sono
conservati anche materiali miscellanei manoscritti e dattiloscritti, molti
accuratamente raccolti e ordinati dallo stesso Fortuny in preziosi album,
fondamentali per ricostruirne l’esperienza teatrale.
3
Cfr. il Progetto di Ateneo dal titolo Atlante Fortuny. Patrimonio e innovazione nell’opera di Mariano Fortuny: fonti ispiratrici nell’arte di orchestrare la luce, relazioni, influssi,
testimonianze nel contesto artistico europeo, responsabile scientifica prof.ssa Cristina Grazioli, finanziato nel biennio 2012-2014.
4
Ricerche in tal senso erano state condotte nella tesi di laurea (cfr. Marzia Maino,
L’esperienza teatrale di Mariano Fortuny, relatore prof. Umberto Artioli, Università degli
Studi di Padova, Facoltà di Lettere e Filosofia, a. a. 2001-2002, poi riprese in occasione del
Progetto di Ateneo che ha consentito integrazioni e approfondimenti). Il presente studio
raccoglie i risultati più interessanti conseguiti nel corso di questi anni di lavoro.
5
Dattiloscritto di Mariano Fortuny datato Venezia, 30 giugno 1947, BNM, Fondo
Mariutti-Fortuny, M 6.16.1, 2 cc. Numerosi gli ambiti esplorati dai volumi; compaiono
opere di letteratura e di drammaturgia, di filosofia, trattati d’argomento spettacolare,
testi tecnici e scientifici (per lo studio della fisica, della meccanica, dell’ottica, dell’acustica, della chimica, dell’elettricità), manuali per i lavori d’artigianato, volumi sulla pittura,
sull’incisione e sulla scultura, sui tessuti, sulla lavorazione del vetro e dei metalli, testi
d’architettura, cataloghi di mostre ed esibizioni, d’aste, d’avvenimenti culturali, oltre a
guide turistiche e molte altre pubblicazioni inusuali che rinviano all’indole curiosa ed
incline al collezionismo propria di Fortuny e della moglie Henriette Nigrin, ma più in
generale peculiare della famiglia d’origine dell’artista (il ramo Fortuny y Marsal e Fortuny
y Madrazo).
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Quest’indagine ha dipanato, almeno in parte, l’aggrovigliato intreccio che compone l’universo culturale entro cui l’artista si è formato e il
complesso sistema delle relazioni artistiche che hanno costellato la sua
esistenza. Ciò che emerge dallo studio dei materiali è come la sperimentazione di Fortuny costituisca un punto di svolta tra Otto e Novecento:
senza dubbio erede di una tradizione, ma contemporaneamente fucina
per le poetiche della modernità. L’artista appare un riferimento imprescindibile per la scenotecnica e l’illuminotecnica d’inizio secolo. È opera
ardua e complessa rubricare entro le direttrici storiche che compongono
la storia dello spettacolo la proposta dell’artista spagnolo, proprio per la
sua natura “liminare”, costantemente in bilico tra poetiche consolidate e
orientamenti sperimentali. Per lo statuto che contraddistingue il suo approccio, nel tentativo di offrire una valutazione critica del ruolo assunto
da Mariano entro i processi che portano alla “riteatralizzazione” della
scena europea, urge dunque adottare un duplice sguardo: uno rivolto al
passato (a quelle acquisizioni sceniche a cui Mariano s’appella) ed uno
proteso verso un Novecento che fa della rottura con la consuetudine lo
specifico di ogni manifestazione artistica.
Infatti Fortuny indaga il patrimonio della tradizione per assimilare nel
dettaglio i meccanismi su cui s’impernia la scena ottocentesca, per apprezzarne i pregi come per scovarne i limiti, le incoerenze. Proprio la messa
a fuoco di queste incongruenze orienta la sua riforma. Le soluzioni a cui
Fortuny perviene sembrano portare a compimento il processo di elaborazione della «boîte à surprises» esplorata in tutte le sue potenzialità. Sin
dalla sua concezione, infatti, la scena all’italiana così come si consolida
attorno alla prospettiva a fuoco centrale, allo stesso modo presenta in
nuce urgenze, che divengono un sottotesto presente lungo tutto l’iter che
accompagna la complessa definizione del palcoscenico della tradizione.
Accolte programmaticamente e coralmente dai più intuitivi riformatori
che operano nella seconda metà dell’Ottocento, queste tensioni riguardano alcuni punti cardine: come il superamento del modello frammentato
della scenografia dipinta in favore di una scena semplificata e coesa, basata piuttosto su una visione “ad immersione”, per cui l’occhio dello spettatore percorre lo spazio della rappresentazione senza incontrare ostacoli;
l’utilizzo delle qualità luminose impiegate con coscienza drammaturgica;
infine, l’illuminazione omogenea del quadro scenico. Poste queste richieste, si può affermare che Fortuny plasma un’intera tradizione scenica, ne
riadatta i dispositivi, li aggiorna, li reinventa potenziandoli e trasfiguran22
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doli, escogita nuove soluzioni. E consegna ai riformatori un Sistema scenico che è la piena maturazione di un’intera direttrice storica, protesa alla
ricerca di un effetto illusionistico totale.
Appare dunque chiaro come sia imprescindibile riflettere sulle operazioni compiute da Fortuny per conciliare questo illustre passato con le
nuove e più sperimentali tendenze le cui premesse, e le prime teorizzazioni, sono da porsi storicamente nelle intuizioni prossime al Simbolismo,
ma più in generale nei movimenti che attraversano quell’epoca di fermento culturale e sociale circoscrivibile alla Belle Époque.
Fortuny è inserito nel clima di rinnovamento della scena di primo Novecento, come dimostra il celebre saggio composto nel 1910 da Jacques
Rouché, direttore del Théâtre des Arts di Parigi6. Lo scritto propone una
panoramica delle proposte sceniche più innovative d’inizio secolo, raccogliendo le riflessioni di autori capitali come Konstantin Stanislavskij,
Vsevolod Mejerchol’d, Max Reinhardt, Georg Fuchs, Edward Gordon
Craig, Adolphe Appia; un capitolo del volume è dedicato al Sistema Fortuny. Inoltre Mariano partecipa ai fecondi dibattiti che attraggono i teorici europei a lui coevi. Lo conferma il continuo intrecciarsi delle sue
vicende artistiche e biografiche con le personalità più avanzate della scena europea e che compaiono nei suoi carteggi privati, come Appia, ma
anche lo stesso Rouché, o Gabriele D’Annunzio, Reinhardt, Hugo von
Hofmannsthal, Eleonora Duse e Isadora Duncan, per citare alcuni dei
nomi più noti. Per questo le ricerche inducono a credere che la riforma
proposta dall’artista spagnolo non sia solo approdo di una tradizione, ma
anche un valido supporto al rinnovamento della scena in atto all’epoca
delle sue sperimentazioni.
Più volte gli studiosi hanno sottolineato l’importanza di rinvenire con
precisione i reali contributi che i suoi dispositivi (e la sua teoresi) hanno
offerto alle poetiche coeve, o gli influssi che la sua proposta ha esercitato sul successivo panorama spettacolare europeo ed italiano, soprattutto nelle poetiche e negli esperimenti vicini al Futurismo della seconda
generazione. C’è in questo senso una lacuna all’interno della storiografia teatrale7. Rispetto a questa urgenza, le ricerche svolte per redigere il
6
Cfr. Jacques Rouché, L’Art théâtral moderne, Paris, Eduard Cornély et C., 1910,
Museo Fortuny, BMF, A.6.24.
7
La definizione del contributo offerto da Fortuny ai movimenti successivi ha costituito una delle materie più dibattute durante il primo convegno dedicato all’attività teatrale
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presente volume hanno tentato, per ora, di recuperare altri tasselli utili a
risolvere la relazione con Appia, cercando, per esempio, di definire con
più chiarezza la posizione dell’artista spagnolo in occasione dell’allestimento che nel 1903 impegna il regista svizzero nel teatro privato della
contessa Martine de Béarn a Parigi. Le indagini compiute incrociando le
fonti scrupolosamente annotate da Marie L. Bablet-Hahn, curatrice delle
Œuvres complètes di Appia, con i materiali conservati al Museo Fortuny,
comproverebbero quanto ipotizzato dalla stessa Bablet-Hahn, ovvero l’inesistenza di una collaborazione tra i due artisti.
Ciò che si conferma è invece l’attenzione costante che il metteur en
scène riserva nel corso della sua vita alle sperimentazioni di Fortuny; le ricerche hanno evidenziato come questo interessamento sia per altro condiviso anche dagli artisti che, in accordo con Appia, progettano la creazione
e l’illuminazione della sala di Hellerau. Inoltre, sembra certa l’influenza
esercitata dai dispositivi Fortuny sull’opera di Antonio Valente, artista
formatosi tra Parigi e Berlino, per un certo periodo attivo nel milieu prossimo ad Anton Giulio Bragaglia. La ricezione dell’opera di Fortuny da
parte delle avanguardie storiche conserva comunque molti punti critici,
profilandosi quale terreno d’indagine tutto da esplorare.
Il lavoro di ricerca sembra offrire altri motivi d’interesse. Si allude
all’ipotesi della presenza di una riflessione teorica che consapevolmente
accompagna e sostanzia la sperimentazione tecnica di Fortuny e che affonda le radici nella teoresi wagneriana. Sulla scorta di indagini pregresse,
da tempo Isgrò ha rintracciato nell’opera dell’artista spagnolo l’attitudine
a creare coesione tra i coefficienti scenici allo scopo di comunicare agli
spettatori quell’accordo armonioso che governa la natura; così inteso, l’evento teatrale altro non sarebbe se non un’operazione volta al recupero
di significati posti oltre la sfera del sensibile8. A parere dello studioso, la
conferma di questa tendenza sarebbe chiara sin dalle premesse che stanno alla base della sperimentazione e che si situano appunto in un ripensamento della riforma del maestro tedesco, che su questi temi si fonda;
come l’incessante ricerca di armonia anche nelle arti che si pongono ad
estensione del teatrale (come la creazione di tessuti, di abiti e di lampade)
dell’artista e recentemente conclusosi, cfr. La scena di Mariano Fortuny. Convegno Internazionale di Studi, Padova-Venezia, 21-23 novembre 2013 (gli atti delle Giornate di Studio
sono in corso di pubblicazione).
8
Cfr. Giovanni Isgrò, Fortuny e il teatro, cit., l’intero volume si fonda su questa tesi.
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sostanzierebbe questa inclinazione facendone al tempo stesso una cifra
distintiva della sua poetica. Infine, rafforzerebbe l’ipotesi il progetto di
un Teatro delle Feste che Fortuny sin dal 1912 concepisce in accordo con
D’Annunzio sulla scia dei teatri en plein air progettati in Europa in quegli
anni; a parere di Isgrò in quegli edifici l’armonia che si palesa nell’evento
scenico è specchio dell’ordine armonico sotteso alla natura.
Sebbene Fortuny non si esprima riguardo a questi temi in modo esplicito, pur con tutta la cautela del caso, anche a nostro parere il verosimile
perseguito da Mariano s’inserisce in un impianto speculativo preciso, per
altro ben lontano dagli intenti del Naturalismo in voga negli anni Ottanta
dell’Ottocento. La vicinanza è piuttosto ad un sistema di analogie e di
rimandi sottesi, ad un universo di allusioni che trovano in Charles Baudelaire il maestro precursore e in Richard Wagner il sommo teorizzatore. Tra
i motivi a sostegno della tesi, anche l’interesse dimostrato dagli artisti più
innovativi del tempo che avevano auspicato di servirsi dei suoi dispositivi
per dare corpo ai propri sogni e realizzare progetti di natura simbolica ed
evocativa. Ci si potrebbe spingere oltre, sino a chiedersi se il percorso artistico operato da Mariano sia volto alla ricerca della dimensione spirituale
nell’allestimento del dramma, e dunque ad una riflessione di matrice più
mistica. Si tratta di un nodo non risolto e carico di ambiguità che i documenti non ci permettono di sciogliere.
È certo che sebbene partecipi al clima di febbrile ricerca estetica e di
fascinazione per i nuovi mezzi tecnici che investe la scena teatrale europea,
Fortuny conserva una certa estraneità dalle successive avanguardie, di cui
non condivide i codici espressivi. Lontano da un teatro di tipo astratto,
Mariano contempla la natura militando in quel versante del Simbolismo
che si muove in ambito figurativo. Indubbiamente l’individuazione di una
cifra speculativa specifica in questa produzione, e dunque la presenza di
una poetica che coscientemente si affianca a tale sapienza artigianale, può
contribuire a situare più correttamente l’opera di Fortuny nel clima culturale del suo tempo.
Un’ultima annotazione. Studi editi in Francia informano che nel 1998,
a seguito di alcune ricerche, è stata riscoperta la cupola progettata da Fortuny nel 1906 per il Teatro della contessa Martine de Béarn9. Il dispositivo
9
Cfr. Delphine Desveaux, Laure Stasi, Les innovations scénique de Mariano Fortuny
à l’Hôtel de Béhague: une scène idéale?, in «Histoire de l’Art», n. 53, novembre 2003, pp.
103-112: 105.
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si trova ancora dove l’artista lo collocò più di cento anni fa, in uno stato
conservativo decisamente compromesso. Si tratta verosimilmente dell’unico esemplare di cupola Fortuny miracolosamente scampata al logorio
del tempo e alle vicende storiche e presumibilmente ancora funzionante,
nonostante la prolungata e forzata immobilità. Nel 2000 Laure Stasi annunciava che l’Ambasciata rumena, che occupa gli spazi che furono un
tempo la dimora della contessa di Béarn, aveva dichiarato la volontà d’impegnarsi nelle operazioni di reperimento fondi e di restauro nel tentativo
di riportare la scena del teatro al suo splendore originario10. Ad oggi, purtroppo, ancora nulla è mutato.
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Cfr. Laure Stasi, Un théâtre oublié, «Beaux Arts Magazine», n. 194, juillet 2000, p. 18.