nuovo meccanismo per spiegare le radici biologiche

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nuovo meccanismo per spiegare le radici biologiche
Titolo
Maturana Humberto, Varela Francisco,
El árbol del conocimiento, L’albero della conoscenza, un
nuovo meccanismo per spiegare le radici biologiche della conoscenza umana, Garzanti, Milano,
1992 [1987], gli elefanti saggi , Giulio Melone pp 213.
Autore della recensione
Maria Antonietta Carrozza
Data della recensione
Maggio 2007
Abstract
The question of “knowing the knowledge” is here treated by the authors from a biological and global point of view, the
action of knowing is linked to the progressive modifications of the organisms structure due to perturbations of the
system, which is included and contained in bigger systems. This totally new view attributes a tree structure to the
knowing with branches which are progressively increasing moving away from the origin.
Il problema del “conoscere la conoscenza” è stato affrontato dagli autori, con questo testo, da un punto di vista
biologico e globale, l’atto del conoscere è legato a graduali modificazioni struttura degli organismi in seguito a
perturbazioni del sistema inserito in sistemi più ampi che lo includono. Questo punto di vista completamente nuovo
assegna alla conoscenza una struttura ad albero con ramificazioni che si fanno via via più fitte man mano che si
allontana dall’origine.
Recensione
L’obiettivo che gli autori si propongono di raggiungere con il testo è di argomentare una teoria
della conoscenza in grado di “dimostrare come il fenomeno della conoscenza genera la
domanda della conoscenza” tanto che fenomeno della domanda e oggetto della domanda
appartengono allo stesso dominio.
Questa epistemologia è molto differente da quella di impronta positivista “dove il fenomeno
della domanda e l’oggetto della domanda appartengono a domini distinti”.
Dal punto di vista metodologico quali sono i punti cardine su cui si incentra l’indagine sulla
conoscenza operata da Maturana e Varela? Essenzialmente sono due: l’ individuazione del
rapporto fra biologia e conoscenza quale centro di ogni indagine sulla natura dei processi
cognitivi; l’ubicazione del problema della conoscenza nel nocciolo stesso del problema della
vita, è questa la loro epistemologia.
Il libro si apre con due esperienze fondamentali, la prima mette in evidenza il punto cieco della
retina, cioè quella parte della retina insensibile alla luce da cui parte il nervo ottico. La
seconda è quella dell’osservazione delle ombre colorate. Come mai gli autori propongono al
lettore queste due esperienze? La prima ci fa toccare con mano il fatto che non ci rendiamo
conto, durante il processo della visione, dell’esistenza di un buco nel processo stesso della
visione. L’esperienza normale visiva appare come continua non discontinua e solo con alcuni
accorgimenti riusciamo a renderci conto della sua discontinuità. La messa in evidenza del
punto cieco della retina ci rende consapevoli del fatto che “non vediamo di non vedere”. La
seconda esperienza, quella delle ombre colorate, rompe con la tradizione della concezione che
il colore degli oggetti che vediamo sia dovuto alla interazione tra luce e oggetto e quindi al
fenomeno assorbimento-riflessione per cui il colore dell’oggetto risulta dalla lunghezza d’onda
della radiazione elettromagnetica riflessa dallo stesso. Maturana e Varela, invece, sostengono
che il fenomeno della visione sia un processo legato alla biologia dell’osservatore come sistema
cognitivo dotato di rete neuronale e quindi di sistema nervoso.
Gli autori dimostrano infatti, con i numerosi studi condotti sulla visione, che l’esperienza del
colore corrisponde ad una “configurazione specifica di stati di attività neuronale” e che questi
stati sono determinati dalla struttura dell’osservatore. Infatti è stato possibile, nel corso delle
loro ricerche, mettere in relazione il fatto che perturbazioni luminose diverse possono
innescare attività neuronali diverse che permettono di stabilire relazioni tra i colori e questi
stati e non tra colori e lunghezze d’onda diverse. Per questo non la caratteristica dell’agente
perturbante determina quella particolare attività neuronale ma è la struttura del soggetto che
esperisce a determinare l’esperienza cromatica del dato oggetto mentre l’agente perturbante si
limita ad innescare la perturbazione. Gli autori generalizzano la conclusione delle loro ricerche
a tutte le dimensioni dell’esperienza visiva ma la conclusione può essere ancor più generale:
“la nostra esperienza è indissolubilmente legata alla nostra struttura……non vediamo i colori del
mondo ma viviamo il nostro spazio cromatico, non vediamo lo spazio del mondo ma viviamo il
nostro campo visivo…..non possiamo separare la storia delle nostre azioni(biologiche e sociali)
da come ci appare questo mondo”. Nel “l’albero della conoscenza” si trova l’invito più chiaro
rivolto al lettore dell’assunzione di un nuovo punto di vista e cioè che il fenomeno della
conoscenza è un fenomeno biologico di cui la struttura del sistema dell’osservatore è l’unico
artefice. Dicono Maturana e Varela “il fenomeno della conoscenza non può essere concepito
come se esistessero fatti e oggetti esterni a noi che uno prende e si mette in testa” .
L’esperienza della “cose” del nostro mondo è costituita dalla struttura umana, è questa che le
realizza, è questa che le descrive. In questo punto del testo si colloca la negazione più
completa dell’esistenza di entità fisiche “oggettive” e l’affermazione più convinta del forte
legame tra cognizione e linguaggio. L’albero della conoscenza può essere inteso come il libro
della rottura della concezione lineare a favore dell’assunzione della concezione della circolarità.
Esiste una circolarità tra azione ed esperienza che significa, sostengono gli autori,
indissolubilità del legame tra struttura individuale e visione del mondo: “ogni atto di
conoscenza ci porta un mondo tra le mani”…”ogni azione è conoscenza e ogni conoscenza è
azione”. Questa è la prima circolarità che i due scienziati propongono. E’ insito nella natura
umana che ogni conoscenza venga espressa tramite il linguaggio, perciò esso è uno strumento
conoscitivo con cui noi riflettiamo sulla circolarità azione-conoscenza e conoscenza-azione:
“ogni cosa detta è detta da qualcuno” e qui è evidente un secondo punto di rottura con la
tradizionale concezione del loro tempo, mi riferisco alla concezione tradizionale dell’esistenza di
entità fisiche esterne al soggetto che liquida come “illusioni ottiche” le esperienze delle ombre
colorate affermando che nella realtà le ombre non sono colorate. In controcorrente Maturana e
Varela, invece, partono proprio da questa esperienza ricusando il concetto di “illusione ottica”
per dimostrare il carattere della conoscenza e per condurci a comprenderla come fenomeno
biologico. Ogni atto di conoscenza ci offre un mondo tra le mani e consiste in una azione
compiuta da un soggetto particolare in un tempo e luogo particolari.
Il toccare con mano ha un profondo significato: l’esperire del soggetto per mezzo della sua
struttura nella prassi del vivere, questo è tipico dell’atto cognitivo e gli autori considerano ogni
atto di cognizione un aspetto vitale della conoscenza indissolubile dalla natura stessa del
soggetto che conosce.
Ma come si può conoscere la conoscenza adottando una spiegazione scientifica? Entrambi gli
autori sono scienziati e da scienziati devono procedere alla spiegazione della conoscenza. Il
fenomeno che essi si accingono a spiegare è che la conoscenza sia un’azione effettiva
dell’essere vivente che gli permette di continuare la sua esistenza in un determinato ambiente
“toccando con mano il suo mondo”. L’ipotesi esplicativa dei due autori parte dall’analisi
dell’organizzazione dell’essere vivente come organizzazione autonoma, dal concetto di deriva
filogenetica con conservazione dell’adattamento, questo è l’apparato concettuale messo in atto
ed in grado di generare nuove conoscenze e da cui è possibile desumere la spiegazione di altri
fenomeni come quelli riguardanti sia la coordinazione del comportamento nelle interazioni
ricorrenti tra organismi viventi, sia i fenomeni sociali, sia l’autocoscienza e il linguaggio, per poi
tornare all’origine proprio tramite quest’ultimo, perché è il linguaggio che crea il fenomeno del
domandarsi che cos’è la conoscenza. La concezione di circolarità degli autori emerge in tutto il
testo. Maturana e Varela ci conducono in questo testo attraverso un itinerario concettuale che
ha per base di partenza l’assunto sulla conoscenza e che li porterà a risolvere il problema
introdotto nelle prime pagine del testo: come si realizza questo toccare con mano della
conoscenza nell’azione? Quali sono le sue radici e quali meccanismi lo fanno funzionare in tal
modo? Logicamente il primo passo dell’itinerario muove dalla conseguenza logica dedotta
dall’assunto: se la conoscenza è azione del soggetto che conosce, le radici del fenomeno del
conoscere devono risiedere nella sua organizzazione e nel modo stesso di essere organismo
vivente. Gli autori in contrasto con il loro tempo ritengono che la comprensione delle basi
biologiche della conoscenza non può essere limitata soltanto alla comprensione della struttura
del sistema nervoso. La modalità di studio intrapresa fino ad ora è stata quella di studiare la
struttura del sistema nervoso separandolo dalle radici organiche e dalle altre funzioni
dell’organismo, questo non può portare alla comprensione della sua struttura perché le basi
biologiche della conoscenza devono essere ricercate nell’interezza dell’organismo. Affrontare la
biologia della conoscenza equivale ad affrontare il problema di come sia possibile riconoscere
un essere vivente. Qui gli autori propongono una radicale inversione di tendenza rispetto alle
convinzioni vigenti e perciò tracciano una nuova angolazione dalla quale affrontare il problema.
La concezione tradizionale, infatti, nel definire ciò che è vivo e ciò che non lo è, propone di
ricercare le proprietà che caratterizzano un vivente e di elencarle e descriverle. La tradizione
ha enumerato, ad esempio, tra le proprietà distintive di un vivente: la composizione chimica(
tutti i viventi sono fatti di sostanze organiche derivate dal carbonio), la capacità di
riproduzione, il fatto che siano dotati di codice genetico, eccetera. Gli elenchi costituiti però si
sono rivelati inesorabilmente incompleti, basti citare l’esempio lampante: “tutti i viventi sono
costituiti di cellule” il criterio di distinzione, cioè, è quello dell’organizzazione cellulare. Ma
come la mettiamo con i virus che non hanno questa organizzazione? E ancora: tutti i viventi
sono costituiti da DNA ma la scoperta dei retrovirus rende incompleto questo nuovo criterio,
essi sono infatti autoreplicanti in una cellula e sono costituiti da RNA. Gli autori perciò
propongono di abbandonare la ricerca di proprietà che permettono la distinzione tra vivente e
non vivente e di puntare a conoscere le relazioni funzionali e strutturali che permettono
l’esistenza del sistema come sistema vivente. Ciò vuol dire occuparsi delle relazioni che devono
instaurarsi per la sua esistenza come unità complessa e arrivare alla comprensione di queste
relazioni. Il pacchetto delle relazioni da comprendere costituisce l’organizzazione del vivente.
L’unicità dei viventi risiede proprio nel fatto che il prodotto della loro organizzazione è
costituito dal vivente stesso.
Questa è la seconda circolarità espressa dagli autori, ed è definita organizzazione autopoietica.
Un sistema dotato di organizzazione autopoietica si produce continuamente da solo, è
costituito da componenti molecolari correlati da una rete continua di reazioni che i biochimici
hanno denominato metabolismo. Questa rete di reazioni produce componenti che integrano la
rete di trasformazioni da cui si sono originati, alcuni andranno a costituire un contorno che
porrà dei limiti alla rete di trasformazioni. Il contorno, dal punto di vista morfologico è la
membrana cellulare. A questo punto del testo Maturana e Varela introducono un pensiero forte
che è possibile estendere all’intera organizzazione del vivente: essi concepiscono il contorno
non semplicemente come un prodotto del metabolismo, ma come il limite indispensabile della
rete di trasformazioni facente parte integrante della rete stessa. Senza questo limite la rete di
trasformazioni produrrebbe molecole non organizzate in unità autopoietiche. In conclusione un
sistema autopoietico è dotato di una rete di trasformazioni chimiche dinamica che produce i
propri componenti chimici compresi quelli che costituiranno il contorno, ma il contorno stesso
di questo sistema diventa condizione imprescindibile per il funzionamento della stessa rete di
reazioni che determina il sistema come unità. Questo ragionamento è ancora un ragionamento
di circolarità che rafforza la circolarità produttore-prodotto, la terza introdotta dagli autori.
Alla base di questo ragionamento vi è un profondo significato: l’essere e l’agire di un sistema
autopoietico sono inscindibili. Ecco il quarto ritorno all’ontologia della circolarità.
Qual è la caratteristica di un sistema autopoietico? Gli autori rispondono: “si mantiene con i
propri mezzi, si costituisce distinto dall’ambiente circostante mediante la sua stessa dinamica”.
L’autopoiesi del vivente comporta il fatto che essi siano unità autonome nel senso che sono in
grado di stabilire “le proprie leggi e le proprie specificità” funzionali al sostentamento del
carattere autopoietico. L’estrema diversità dei viventi è creata da una diversità strutturale e
dal mantenimento dell’organizzazione autopoietica. Anche qui gli autori sono portatori di una
nuova concezione che rompe fortemente con la tradizione che considera il divenire di un
sistema autopoietico come determinato dalle caratteristiche dell’agente con cui interagisce,
essi considerano l’agente come “agente perturbante” capace solo di innescare modificazioni, la
cui natura e tipo di modificazione sarà invece determinata dalla struttura autopoietica. Non
sono pertanto le proprietà dell’agente a determinare la qualità o il tipo di modificazione,
nessuna causa esterna al soggetto può determinare la direzione del divenire del soggetto,
questa direzione è appannaggio esclusivo della struttura dell’unità autopoietica nel
mantenimento della sua organizzazione mentre interagisce con l’agente delle perturbazioni. Le
implicazioni di questa concezione vanno fuori dal campo biologico ad esempio quello evolutivo
estendendosi a quello antropologico, sociale e psicologico e infine pedagogico. La concezione di
“essere vivente come essere storico” discende direttamente da questi pensieri, la storia delle
modificazioni strutturali di un sistema autopoietico nel mantenimento dell’organizzazione è
definita da Maturana e Varela come ontogenesi. Come mai gli autori concepiscono gli esseri
viventi come esseri storici? Che cos’è un fenomeno storico? Un fenomeno storico è un
meccanismo che dà luogo a uno stato nuovo partendo da uno stato precedente. Gli autori
sostengono che è la riproduzione il meccanismo che assicura la storicità di un essere vivente e
apportano due motivi, il primo è che la riproduzione è il fenomeno che lega noi come umani
non solo con i nostri genitori ma anche con unità autopoietiche diverse che si sono costituite
in un tempo molto lontano che conta 3,5 miliardi di anni. Il secondo motivo risiede nella
multicellularità di cui siamo costituiti, per dirla con le parole di Maturana e Varela: “la nostra
pluricellularità è consentita da insiemi di unità complesse di classi differenti legati da relazioni
strutturali atti a mantenere l’equilibrio della nostra organizzazione e cioè la nostra ontogenesi”.
Tutto l’insieme di classi diverse di unità complesse di cui siamo costituiti derivano dallo zigote,
unità di classe unicellulare derivante dall’unione della cellula uovo e dello spermatozoo. Per
questo il meccanismo della riproduzione si relaziona con noi e con le singole cellule e “rende
noi e le nostre cellule con la stessa età ancestrale”. Ovviamente tutto ciò vale per qualsiasi
vivente comunque sia costituito. Maturana e Varela nel libro tracciano la loro concezione
relativa alla vita degli organismi pluricellulari mostrandoci cosa accade quando due unità
ontogenetiche sono in relazione tra loro e come apparirebbe ad un osservatore il sistema in
interazione. I due autori mettono in evidenza la simmetria di interazione, cioè per ciascuna
unità l’altra sarà la fonte di interazione e le interazioni provenienti da ogni unità vicinale non
potranno essere distinte da quella proveniente dall’ambiente da parte di un osservatore. Da
quest’ultimo l’ambiente è percepito come inerte. Se le interazioni tra unità acquistano carattere
stabile o ricorrente si costituisce accoppiamento strutturale tra queste unità. Ovviamente in
questi ragionamenti si confermano da una parte il concetto di interazione ambientale come
perturbazione innescante cambiamenti strutturali nelle unità autopoietiche che interagiscono,
dall’altra che tali cambiamenti non sono risultati di azioni istruttive provenienti dall’ambiente
atti a direzionare gli stessi cambiamenti. Un organismo pluricellulare si costituisce quando si
instaurano interazioni stabili e ricorrenti tra unità vicinali. Perciò la condizione di esistenza di
questo tipo di unità complesse, uni o multicellulari all’interno di un ambiente è l’accoppiamento
strutturale.
Nell’unità pluricellulare esiste una subordinazione dei cambiamenti di ogni singola cellula alla
organizzazione pluricellulare, cioè l’accoppiamento strutturale e l’ontogenesi realizzeranno
modificazioni strutturali coerenti col mantenimento di tale organizzazione. Maturana e Varela
affermano che l’ontogenesi di una unità pluricellulare sarà determinata non dalle singole
interazioni delle cellule costituenti, ma dal complesso di interazioni che si costituiscono come
“unità totale”. In questo senso i due autori concepiscono i pluricellulari come sistemi
autopoietici di secondo ordine che “ammettono diversi tipi di organizzazione”. La concezione
sottolineata nel testo riguarda l’identità dei pluricellulari, infatti affermano:”l’identità dei
pluricellulari è specificata da una rete di processi dinamici i cui effetti non escono dalla rete”.
Le interazioni che specificano tali identità sono adirezionali (rete), non lineari sono ricorsive e
di accoppiamento strutturale, la ricorsività è interna e contemporaneamente esterna. Relazioni
di accoppiamento strutturali di questo tipo sono singolari perché sono rivolte al mantenimento
dei confini individuali e funzionali alla costituzione di una peculiare coerenza che un
osservatore distingue come “forma pluricellulare”.
Da questi concetti si viene a delineare una nuova concezione di ambiente, non come luogo
fisico esterno ma come entità esistente grazie alla distinzione cognitiva operata
dall’osservatore nella sua esperienza. La frase chiave del testo in cui la nuova concezione si
impone è:”noi distinguiamo come unità pluricellulare che vediamo come la loro forma”.
E’ sempre e comunque un atto di cognizione ogni distinzione operata da un osservatore nella
prassi del vivere e la cognizione di ambiente non fa eccezione. Maturana e Varela nel precisare
il concetto di ambiente sottolineano nel capitolo della deriva naturale dei viventi, alcuni loro
aspetti fondamentali e nel farlo precisano:”come osservatori abbiamo distinto l’unità vivente
dal suo sfondo” è questo sfondo che gli autori concepiscono come ambiente e poiché le due
entità sono distinte da un osservatore, allora i loro caratteri distintivi sono dati da una
peculiare struttura. Ogni unità vivente ha perciò una sua struttura che determina una sua
organizzazione di classe, ma anche l’ambiente , cioè lo sfondo in cui l’unità è distinta ha una
sua struttura che determina una data organizzazione. Le due entità, essere vivente e
ambiente, vengono rilevate dalla struttura dell’osservatore come entità indipendenti che però
devono necessariamente realizzare una congruenza strutturale pena la scomparsa dell’unità.
Unità e ambiente, secondo questo modo di vedere, sono reciprocamente “agenti perturbanti”.
Gli autori propongono il superamento della concezione di determinismo distinguendo quattro
domini specificati dalla stessa struttura: quello dei cambiamenti di stato, quello dei
cambiamenti distruttivi, quello delle perturbazioni, quello delle interazioni distruttive. Secondo
questo ragionamento la quotidiana e usuale concezione di unità strutturalmente determinata
riferita ad entità quali esseri viventi e ambiente cade perché nell’instaurarsi delle loro
reciproche interazioni queste non entrano nel dominio delle interazioni distruttive ma
permangono nel dominio dei cambiamenti di stato. Noi osservatori nel distinguere queste
interazioni vedremo che fra le due strutture esiste una “compatibilità e commensurabilità” e in
tal caso ambiente e unità si comportano come sorgenti di interazioni reciproche di
perturbazioni che innescheranno reciproci cambiamenti di stato. La continua modificazione
strutturale degli esseri viventi con conservazione dell’autopoiesi “si verifica continuamente e in
molti modi simultanei” Rappresenta “il palpitare della vita”. Questa commensurabilità e
compatibilità è l’adattamento all’ambiente che è sempre conseguenza di un accoppiamento
strutturale tra organismo e ambiente ed è intesa come una sorta di coevoluzione volta alla
conservazione dell’identità delle due strutture interagenti: il vivente e l’ambiente. Con questa
concezione è superato il concetto di ambiente come selezionatore o agente della direzione dei
cambiamenti strutturali dei viventi, essendo invece agente perturbante e contemporaneamente
unità con una struttura che può essere perturbata. L’ontogenesi di un organismo, perciò, non
è altro che ”la deriva del cambiamento strutturale con invarianza dell’organizzazione e quindi
con conservazione dell’adattamento”; ad un osservatore la deriva apparirà come selezionata
dall’ambiente, nella realtà questa deriva è il frutto della struttura dell’organismo che cambia in
relazione alla perturbazione nell’intento di mantenere l’adattamento e cioè la sua
organizzazione. Il concetto di selezione perciò per Maturana e Varela acquista un nuovo
significato: il concetto è prodotto dall’osservatore nel momento in cui mette in atto operazioni
distintive nella prassi del vivere, non è un meccanismo realmente operante, infatti gli autori
precisano: “in queste circostanze la parola selezione sintetizza la conoscenza che l’osservatore
ha di ciò che avviene in ogni ontogenesi e quindi una descrizione di conoscenza” derivante
dalla sua osservazione comparata di molte ontogenesi. A questo punto del libro vi è la
reinterpretazione del concetto di filogenesi ed evoluzione, viene capovolto il concetto
tradizionale del processo evolutivo che considera l’ambiente e l’unità vivente come sistemi
separati che non sono in rapporto di coevoluzione ma in una relazione deterministica secondo
la quale l’ambiente determina e direziona i processi evolutivi ottimizzando determinate qualità
specifiche dei viventi e modificando alcune qualità strutturali dei viventi in funzione del loro
adattamento. A questa concezione viene sostituita quella di deriva degli accoppiamenti
strutturali tra i due sistemi interagenti come processo reciproco necessario al mantenimento
dell’adattamento. Cade ogni sorta di possibilità di spiegazione della direzione dei processi
evolutivi secondo la concezione di esistenza di parametri fisici esterni ed oggettivi. L’evoluzione
è un processo di deriva naturale risultato necessario del mantenimento dell’adattamento e
dell’autopoiesi; è un processo che non ha bisogno, nel suo divenire, di direzionalità da parte di
entità esterne per dar luogo sia a diversità, sia a reciprocità tra organismo e ambiente,
“l’evoluzione piuttosto assomiglia a uno scultore vagabondo che passeggia per il mondo e
raccoglie un filo qui, una latta là, un pezzo di legno più in là e li unisce nel modo consentito
dalle loro strutture e circostanze, senza altro motivo se non che è lui che può unirli. E così nel
suo vagabondare si producono forme complesse composte da parti armonicamente
interconnesse, che non sono prodotto di un progetto ma di una deriva naturale. Nello stesso
modo senza altra legge che non sia la conservazione di una identità e della capacità di
riprodursi, siano nati tutti ed è questo che ci imparenta tutti in qualcosa che è fondamentale:
la rosa a cinque, il gambero di fiume o l’amico americano”.
Nel “l’albero della conoscenza” Maturana e Varela conducono il lettore a cercare la risposta ad
una domanda: “che relazione c’è tra il nostro essere e il nostro comportamento?” cioè il nostro
comportamento nel mondo come si può mettere in relazione con la natura organica di noi
come sistemi autopoietici dotati di struttura e organizzazione? E’ possibile prevedere l’agire
degli animali superiori?
La risposta risiede ancora nella struttura: gli esseri viventi pluricellulari sono tutti dotati di un
sistema nervoso più o meno complesso che dà luogo ad una varietà di domini di
accoppiamento strutturale, il sistema è costituito, a sua volta, da unità cellulari, i neuroni, che
danno origine a numerose connessioni; sono le modalità di relazioni che si stabiliscono tra le
attività interne che costituiscono il comportamento. La potenza di questo nuovo modo di
vedere le cose è molto evidente: il sistema anatomico della nostra vita di relazione viene ad
assumere, nell’ultimo scorcio del XX secolo, un significato molto diverso da quello in vigore.
Che cos’era prima di Maturana e Varela il cervello e il sistema nervoso e che cos’è dopo
l’introduzione del loro punto di vista? Quali nuovi campi di conoscenza sono aperti dal loro
nuovo punto di vista?
Prima di Maturana il sistema nervoso era un elaboratore di informazioni derivate dall’ambiente
esterno, tali informazioni permettevano rappresentazioni della realtà che guidavano alla
selezione dei comportamenti idonei alla sopravvivenza. Quindi l’ambiente istruisce il sistema
nervoso relativamente alle sue proprietà e quest’ultimo utilizza queste istruzioni per elaborare
risposte appropriate, cioè il comportamento. Dopo Maturana il sistema nervoso essendo parte
di un organismo opera in accoppiamento strutturale con questo e perciò il suo sfondo,
l’ambiente, opera in accoppiamento strutturale con l’organismo e le sue parti. Le unità:
organismo, parti, ambiente in relazione tra loro, sono l’una rispetto all’altra in relazioni non
istruttive ma perturbanti, per cui innescano modificazioni senza determinarne la direzione. La
bellissima metafora del sottomarino mette in evidenza tutta la potenza di questa nuova
concezione. Una concezione che considera i cambiamenti come il solo risultato delle
connessioni interne che può venir descritto da un osservatore: “tutto ciò che viene detto è
detto da qualcuno” dicono gli autori, ma qui il significato si amplia e il lettore lo afferra
completamente grazie alla metafora del sottomarino. Ma quale significato ci fanno afferrare? Lo
diciamo con le parole degli autori: “per la dinamica interna del sistema. L’ambiente non esiste,
è irrilevante”; se l’osservatore opera distinzioni considerando domini diversi, nel dominio delle
parti e cioè dei cambiamenti strutturali, si verifica il primo loro assunto, quello relativo all’
irrilevanza dell’ambiente. Se invece il dominio osservato è quello delle relazioni tra unità e
ambiente, l’osservatore di questo dominio descriverà la storia delle relazioni che si stabiliscono
tra alcune proprietà dell’ambiente e quelle derivanti dalle modificazioni delle connessioni
interne dell’unità, cioè ciò che costituisce il comportamento. In conclusione il comportamento
risulta essere la descrizione che un osservatore fa riguardo ad atteggiamenti, posizioni di un
essere vivente, questi movimenti vengono descritti in relazione a un determinato sfondo
costituito dall’ambiente in cui l’osservatore ha distinto l’unità: “il comportamento degli esseri
viventi non è quindi un’invenzione del sistema nervoso, non è esclusivamente associato ad
esso perché l’osservatore vedrà un comportamento ogni volta che guarderà un essere vivente
nel suo ambiente”. Da tutto questo discende una concezione sistemica che gli autori hanno
dell’esperienza umana che fa perno sulle emozioni. Da questa concezione è partita l’apertura a
differenti possibilità terapeutiche, in questo senso l’interazione tra terapeuta e paziente deve
essere una interazione perturbativa dello stato emozionale del paziente. Secondo questa
visione anche le teorie che sovradimensionano il determinismo ambientale perdono valore in
quanto ambiente e sistema(organismo) fluiscono secondo una scia che è la storia congiunta dei
cambiamenti strutturali reciproci e congruenti, con la negazione che le modificazioni
dell’organismo siano determinate solo da suo sistema sociale di appartenenza. Attraverso una
analisi evolutiva della struttura del sistema nervoso e del suo funzionamento gli autori mettono
l’accento sulla sua unitarietà funzionale nella realizzazione della correlazione senso motoria che
si realizza mediante connessioni reticolari tra le cellule tipiche di questo sistema. Il
comportamento è il risultato delle diverse modalità con cui i componenti sensoriali e quelli
motori entrano in relazione dinamica fra loro mediata dalla rete neuronale. Questa architettura
a rete connettiva è realizzata dalla struttura stessa della cellula nervosa formata da corpo
cellulare e due tipi di prolungamenti per cui l’organizzazione del sistema nervoso è universale.
Ciò che cambia da una specie all’altra è la forma dei neuroni e delle connessioni perciò nella
storia evolutiva del sistema nervoso ”troviamo schemi che sono variazioni intorno allo stesso
tema”. Qual è il significato dell’organizzazione reticolare? Il numero degli stati possibili non ha
limiti, così pure i comportamenti correlati agli stati. Ricordando l’assunto sul significato del
comportamento e cioè che esso non è un’invenzione del sistema nervoso, relativamente alla
sua funzione filogenetica gli autori sottolineano quella connettiva tra il sistema sensoriale e
motorio svolta universalmente in tutti i viventi e quella organizzativa, sempre universale, di
sistema caratterizzato da “chiusura operativa” per cui qualsiasi cambiamento, stimolato da
perturbazioni si generi al suo interno, produrrà altri cambiamenti interni finalizzati alla
conservazione delle relazioni tra i comportamenti in risposta alle perturbazioni intervenute.
Perciò il sistema nervoso funziona “come una rete chiusa di cambiamenti di relazioni di attività
fra i suoi componenti”. Da qui si può dedurre in modo logico come qualsiasi processo
conoscitivo sia incentrato sull’organismo come unità e sulla organizzazione di chiusura
operativa del sistema conoscitivo che scatena ogni atto di cognizione come sua azione. Poiché
il sistema nervoso è in continuo cambiamento strutturale esso è dotato di estrema plasticità.
Questa plasticità è assicurata da due fattori: il primo è il mantenimento del determinismo
strutturale delle grandi linee di connessione che permangono uguali negli individui della stessa
specie. Il secondo fattore è dato dalle variazioni locali che intervengono nelle ramificazioni
finali delle sinapsi, sono i cambiamenti molecolari a questo livello che portano alla
modificazione delle interazioni e all’influenza sulle modalità operative delle reti neuronale.
Perciò, la plasticità è lungi dall’essere realizzata dalla conservazione delle rappresentazioni
schematiche delle cose del mondo ma dalla congruenza che si instaura tra le trasformazioni
ambientali e le modificazioni del sistema nella loro reciproca interazione. Tutto questo da un
osservatore viene assunto come “comportamento adeguato”. In conclusione alla luce di queste
concezioni viene a cadere la cognizione relativa ai comportamenti appresi e quelli innati che
viene a rientrare non nel dominio dell’organizzazione e della struttura del sistema nervoso, ma
nel dominio di distinzione dell’osservatore mentre opera una classificazione della storia
strutturale del sistema nervoso e perciò esistono solo nel dominio delle descrizioni di esseri
dotati di linguaggio. Il pensiero forte che qui viene espresso è quello di negare l’apprendimento
come interiorizzazione dell’ambiente, in quanto il sistema nervoso lavorando in chiusura
operativa determina con la sua struttura quali interazioni con l’ambiente sono perturbazioni
atte a generare cambiamenti della struttura stessa. Ogni azione di conoscenza non è slegata
perciò dal contesto e parliamo di conoscenza ogni volta che come osservatori osserviamo un
comportamento efficace in quel determinato contesto. Il vivere è conoscenza perché esso si
realizza nel contesto della nostra esistenza. Maturana e Varela distruggono la metafora del
“cervello come elaboratore” delle informazioni provenienti dall’ambiente che vengono
modificate in funzione delle necessità dell’organismo stesso. La metafora è superata dalle
modalità di azione del sistema nervoso quale sistema agente in chiusura operativa che
determina quali tra le diverse perturbazioni siano quelle che necessitano di essere considerate
allo scopo di attivare cambiamenti atti a mantenere l’adattamento.
Nel contesto in cui si attuano le nostre cognizioni, non siamo soli, la nostra esistenza si svolge,
generalmente, con altri organismi con i quali si stabiliscono interazioni ricorsive che portano
alla generazione di un accoppiamento sociale in cui essi sono reciprocamente coinvolti al fine di
realizzare le loro individuali autopoiesi. Questi domini di accoppiamento sociale manifestano
comportamenti classificabili nella tipologia dei comportamenti comunicativi. Queste
classificazioni rientrano nella descrizione semantica dell’osservatore e cioè nel significato che
egli attribuisce ai comportamenti che osserva anziché nell’accoppiamento strutturale dei
comportamenti. I comportamenti comunicativi ontogenetici hanno una particolarità, quella di
“sembrare semantici a un osservatore, ciò consente di relazionare i comportamenti con il
linguaggio umano.
La concezione espressa nell’ “l’albero della conoscenza” a proposito di linguaggio sovverte la
posizione tradizionale empirica che vede il linguaggio come fenomeno di trasmissione di
informazioni tra organismi della stessa specie. Ciò che noi umani viviamo come linguaggio
nella prassi del vivere avviene nel dominio delle relazioni e perciò come modo di vivere in
interazione ricorrente tra unità autopoietiche. Secondo gli autori, il linguaggio non è un
fenomeno fisiologico del sistema nervoso e perciò spiegabile con la sua struttura, poiché il
fenomeno appartiene al dominio delle interazioni di accoppiamento strutturale organismoambiente. Le parole si mostrano pertanto come azioni. Nell’esistenza sociale si concretizzano in
reciproco accoppiamento linguistico, è nell’operare reciproco e ricorsivo nel linguaggio che
prende luogo l’autocoscienza che essendo anch’essa una operazione relazionale non ha sede
nel cervello né è un prodotto delle operazioni del sistema nervoso anche se le operazioni di
questo sono necessarie per la sua realizzazione. L’autocoscienza è una proprietà del sé di
sapersi distinguere e che ha necessità di essere localizzata nel corpo. Il linguaggio non ci
permette di dire ciò che siamo ma ci permette di esistere nel linguaggio. Il libro degli autori si
chiude con l’ultima circolarità.”la conoscenza della conoscenza”. Ed è proprio in chiusura che ci
ritroviamo di fronte al fatto che il fenomeno della conoscenza genera la domanda della
conoscenza, per cui il fenomeno del porsi domande non è distinto dall’oggetto della domanda e
perciò fanno parte dello stesso dominio a differenza di ciò che avviene nella tradizione dove
fenomeno ed oggetto appartengono a domini distinti. Cosa significa appartenere allo stesso
dominio? Significa che per le due cose considerate l’inizio coincide con la fine e tra esse si
stabilisce una circolarità ricorsiva. Percorrendo l’albero della conoscenza si percorrono studi
scientifici dei processi su cui si basa la conoscenza stessa, questo studio ci ha condotto a
sviluppare un atteggiamento di perpetua vigilanza verso l’attaccamento naturale alla certezza
e a comprendere che le certezze di cui ci dotiamo non equivalgono a verità. Questo nuovo
punto di vista ci ha insegnato a riconoscere che il mondo della nostra esperienza che noi
crediamo essere esterno ed oggettivo è uno dei mondi possibili con cui si viene a contatto e
che si realizza in interazione con la nostra struttura e con altre strutture. Ora che sappiamo di
sapere dell’esistenza della struttura biologica e sociale dell’essere umano non possiamo
tralasciare di riflettere su ciò che egli è capace di mettere in atto e cosa lo differenzia. Perciò,
sapendo di essere un sistema autopoietico in interazione sociale con altri sistemi autopoietici
quando ci troviamo in contraddizione l’atteggiamento da adottare è l’ammissione che i
differenti punti di vista hanno uguale validità e che nel fluire delle comuni esistenze occorre
costruire un mondo con gli altri in cui ogni reciproco atto umano si realizza nel linguaggio. Che
cos’è, allora, l’etica?
Gli autori rispondono: “ogni atto umano si realizza nel linguaggio. Ogni atto nel linguaggio ci
porta a contatto del mondo che creiamo con gli altri dell’atto di convivenza che dà origine
all’essere umano; per questo ogni atto umano ha senso etico. Questo legame fra esseri umani
è in ultima analisi il fondamento di ogni etica come riflessione sulla legittimità della presenza
dell’altro”. Secondo gli autori dunque l’etica è la riflessione sulla legittimità dell’altro.
Legittimità come accettazione incondizionata dell’altro nell’atto della convivenza, questo è la
concezione di amore per Maturana e Varela ed è il fondamento biologico del fenomeno sociale:
accettazione, socializzazione, umanità, un trinomio inscindibile, l’una cosa implica l’altra e l’una
non può essere senza l’altra. Quello che gli autori affermano in chiusura del libro non è una
visione morale, ma la concezione riguarda la biologia dell’essere umano. E’ la sua biologia, la
sua struttura e organizzazione come unità autopoietica sociale che implica l’insorgere di quel
trinomio.
Indice
Presentazione di Mauro Ceruti
Prefazione
1
2
3
4
- Conoscere la conoscenza
- L'organizzazione del vivente
- Storia: riproduzione ed eredità
- La vita degli organismi
piuricellulari
5 - La deriva naturale degli esseri
viventi
6 - Domini comportamentali
7 - Sistema nervoso e conoscenza
8 - I fenomeni sociali
9 - Domini linguistici e coscienza
umana
10 - L'albero della conoscenza
Glossario
Note bibliografiche
Autori
I contributi di Humberto Maturana Romesin alla Scienza della Complessità sono riconosciuti,
così come è riconosciuta l'influenza da lui avuta nel pensiero e nelle ricerche di molti scienziati
che si occupano appunto di Scienza della Complessità (Mahoney, 1991). Quando, verso la fine
della sua vita, chiesero a Bateson chi era in grado di continuare lo studio della "Creatura", egli
rispose che "Il Centro per questo studio è ora in Santiago, Cile, sotto un uomo chiamato
Maturana" (citato in Dell, 1985, p. 5). Nello stesso senso, teorici come Guidano (1991b) e
Arciero (1989), parlano, riferendosi alla prospettiva di Maturana, di "Scuola Cilena".
Humberto Maturana [1928 ] Biologo, Cibernetico, Scienziato, inventore della teoria
dell’autopoiesi portando avanti il pensiero di Bateson, Wittgenstein, G.B. Vico, autore della
teoria dei Corsi e Ricorsi e Paul Weiss che introdusse il concetto di Autoproduzione. La sua
carriera di scienziato è stata rivolta alla elaborazione e messa a punto di questa teoria ed il
programma di ricerca biologica è stato condotto nel laboratorio di Santiago del Chile.
Sull’entrata di questo laboratorio, Humberto Maturana aveva fatto apporre l’insegna:
“Laboratorio sperimentale di epistemologia” , forse, proprio a sottolineare al mondo che la sua
“invenzione”avrebbe condotto ad un cambiamento di paradigma grazie alla produzione di
nuove forme di ragionamento messe in atto nella risoluzione di problemi di conoscenza. Con le
sue ricerche Maturana ha prodotto evidenze sperimentali che assecondano la tesi secondo cui
la realtà è una costruzione consensuale della comunità nel momento in cui appare
"oggettivamente" esistere. È stato il primo scienziato a dire che la conoscenza è un fenomeno
biologico e che proprio questa caratteristica permette di studiarlo e conoscerlo come tale. La
vita stessa è un continuo processo di conoscenza, necessario all'organismo per la sua
sopravvivenza. Secondo il pensiero di Maturana la caratteristica degli esseri viventi risiede
nell'auto-organizzazione e nella capacità di autoregolazione e autogestione dei continui
cambiamenti.
Francisco Varela, Santiago del Cile, 1946 – 2001; studiò medicina all'Università del Cile, a
Santiago, laureandosi in biologia ad Harvard, nel 1970.
Ha insegnato e condotto ricerche in molti prestigiosi Centri e Università, come l'Università di
California a Berkeley, quella di New York, del Cile e al Max Plank Intitut di Francoforte. Nel
1988 è arrivato al CNRS (Centro Nazionale per le Ricerche Scientifiche) di Parigi con l’incarico
di direttore del gruppo di neurodinamica presso il Laboratorio di Neuroscienze cognitive.
Bibliografia essenziale degli autori
Maturana, H.R., Varela, F.J., 1985, Autopoiesi e cognizione. La realizzazione del vivente,
Venezia, Marsilio [Autopoiesis and Cognition. The Realization of the Living, 1980] Maturana,
H.R., Varela, F.J., 1987, L'albero della conoscenza, Milano, Garzanti [El árbol del conocimiento,
1984] Maturana Humberto, 1993, Autocoscienza e Realtà. Milano, Raffaello Cortina Editore,
[The Biological Foundations of Self Consciousness and Physical Domain of existence. (1997) ]
Francisco Varela, Humberto Maturana, Autopoiesi e cognizione: la realizzazione del vivente
[1980], Marsilio, Venezia, 1985
Francisco Varela, Humberto Maturana, L'albero della conoscenza [1984], Garzanti, Milano,
1987
Francisco Varela, Scienza e tecnologia della conoscenza, Hopefulmonster, Firenze, 1987
Francisco Varela, Un know-how per l'etica, Laterza, Bari, 1992
Francisco Varela, Evan Thompson, Eleanor Rosch, La via di mezzo della conoscenza [1991],
Feltrinelli, Milano, 1992
J. Haynard - Francisco Varela, Ponti sottili [1992], Neri Pozzi, Vicenza, 1998
Francisco Varela, Complessità del cervello e autonomia del vivente, in Gianluca Bocchi - Mauro
Ceruti (a cura di), La sfida della complessità, Feltrinelli, Milano, 1985
Link
http://www.oikos.org/dell.htm
confronto tra Bateson e Maturana, le loro teorie hanno condotto alla fondazione biologica delle scienze
sociali
http://home.tiscalinet.ch/biografien/biografien/maturana.htm
Pagina dedicata all’opera scientifica ontologica ed epistemologica di Humberto Maturana.
http://digilander.libero.it/paolocoluccia/Contributi-Maturana.html
I contributi di Humberto Maturana alla psicoterapia.
http://www.ssvsa.cl/maturana.htm
Testo di un conferenza di Maturana
http://psyche.cs.monash.edu.au/v7/psyche-7-12-thompson.html
Pagina dedicata alla vita e all'opera di Varela.
http://www.emsf.rai.it/interviste/interviste.asp?d=452
Intervista on line: Francisco Varela, "La coscienza nelle neuroscienze".
http://www.oikos.org/varelaneurofenomenologia.htm
Articolo on line: Francisco Varela, "Neurofenomenologia".
commenti
La teoria di Maturana e Varela pone al lettore un grande vincolo, quello di avvicinarsi ad essa
con una grande libertà di pensiero o per lo meno con una grande disponibilità ad abbandonare
tutto l’apparato culturale di certezze e verità costituito fino ad oggi. In un appassionante
percorso gli autori ci conducono nella strada del riconoscimento della conoscenza stessa nella
natura biologica dell’essere vivente e della necessità di descriverla attraverso il fenomeno del
linguaggio. Partendo dalla concezione dell’autopoiesi cellulare, attraverso l’insorgenza
dell’accoppiamento strutturale che conduce all’unità pluricellulare, alla natura del
comportamento e ai domini strutturali chiusi del sistema nervoso, ci conducono al linguaggio e
proprio con questo torniamo alle origini rompendo la linearità e affermando la circolarità,
poiché è proprio questo fenomeno che permette l’insorgenza della domanda.