L`attuazione della direttiva 2008/104 in materia di

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L`attuazione della direttiva 2008/104 in materia di
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI SUOR ORSOLA BENINCASA
FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN GIURISPRUDENZA
TESI DI LAUREA
IN
DIRITTO DEL LAVORO DELL’UNIONE EUROPEA
L’attuazione della direttiva 2008/104 in materia di lavoro
interinale
Relatore
Ch.mo Prof. Luca Calcaterra
Candidata
Alessia Cardillo
Matricola 052000848
Anno Accademico 2013/2014
Ai miei genitori.
INDICE
Elenco delle abbreviazioni
p.I
Introduzione.
Il processo ‘formativo’ della direttiva 2008/104/CE.
1. Obiettivi della Direttiva 2008/104/CE
2. La Convenzione OIL 181/1997 sulle agenzie per l’impiego
privato
3. Contesto
4. (Segue): Il rapporto tra il lavoro a tempo determinato e il
lavoro tramite agenzia interinale
4.1 La direttiva 99/70/CE sul lavoro a tempo determinato
4.2 Il lavoro somministrato
4.3 La Corte di Giustizia dall’ordinanza Briot C-386/09 alla
sentenza C-290/12 Della Rocca
5. La negoziazione della direttiva sul lavoro tramite agenzia
interinale
6. La Parità di trattamento e il lavoratore comparabile
p.1
p.5
p.9
p.12
p.13
p.18
p.19
p.23
p.32
Capitolo I.
La direttiva 2008/104.
Analisi dei ‘considerando’
Ambito di applicazione
Finalità
Definizioni
Riesame dei divieti e delle restrizioni
Principio della parità di trattamento
6.1 Il rapporto con l’art. 3
6.2 Deroghe alla parità di trattamento
6.3 Abuso nell’applicazione dell’art. 5
7. Accesso all’occupazione, alle attrezzature collettive e alla
formazione professionale
8. Rappresentanza dei lavoratori tramite agenzia interinale
9. Informazione dei rappresentanti dei lavoratori
10. Disposizioni finali
1.
2.
3.
4.
5.
6.
p.39
p.42
p.47
p.48
p.53
p.57
p.59
p.64
p.68
p.69
p.73
p.75
p.76
Capitolo II.
Implementazione della direttiva 2008/104 nei Paesi membri.
1.
2.
3.
4.
5.
Introduzione
L’effettiva attuazione nei Paesi membri
Determinazione dei termini chiave
La parità di trattamento
Analisi e rimozione di proibizioni e limitazioni da parte degli
Stati membri
6. Mezzi e strumenti riconosciuti ai lavoratori interinali
7. Il computo dei lavoratori interinali ai fini della costituzione
degli organi rappresentativi
8. Obbligo di fornire informazioni sul ricorso alla
somministrazione dei lavoratori
9. Standard minimi di tutela
10. I rimedi in caso di inosservanza della disciplina
p.80
p.83
p.85
p.88
p.100
p.105
p.108
p.110
p.111
p.112
Capitolo III.
Somministrazione, distacco e libertà di circolazione: il problema dei
lavoratori transfrontalieri.
1. La direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori
nell’ambito di una prestazione di servizi.
2. Rapporti tra la direttiva 2008/104/CE e la direttiva 96/71/CE
3. La protezione minima dei lavoratori distaccati corrisponde a
quella prevista dall'agenzia interinale per incarichi
transfrontalieri?
4. La direttiva 2014/67/UE di esecuzione della direttiva 96/71
sul distacco dei lavoratori
p.115
p.119
p.124
p.127
Conclusioni
p.131
Riferimenti bibliografici
p.140
Riferimenti giurisprudenziali
p.150
Riferimenti normativi
p.151
Ringraziamenti
p.153
ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI
CEEP
Centro Europeo delle Imprese a Partecipazione Pubblica
CES
Confederazione Europea dei Sindacati
CGUE
Corte di Giustizia dell’ Unione Europea
CIETT
Confederazione Internazionale delle Agenzie di Lavoro
Temporaneo
Eurociett
Associazione europea delle Agenzie per il Lavoro
OIL
Organizzazione internazionale del lavoro
TCE
Trattato che istituisce la Comunità Europea
TCEE
Trattato che istituisce la Comunità Economica Europea
TFUE
Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea
UEAPME
Unione Europea dell’Artigianato e delle Piccole e Medie Imprese
UNICE
Unione delle confederazioni europee dell’industria e dei datori di
lavoro, ora denominata BusinessEurope.
UNI-Europa
Confederazione Europea Sindacati, Servizi e Comunicazioni.
I
INTRODUZIONE
IL PROCESSO ‘‘FORMATIVO’’ DELLA DIRETTIVA 2008/104
SOMMARIO: 1. Obiettivi della Direttiva 2008/104/CE. - 2. La Convenzione
OIL 181/1997 sulle agenzie per l’impiego privato. - 3. Contesto. - 4.
(Segue): Il rapporto tra il lavoro a tempo determinato e il lavoro tramite
agenzia interinale. - 4.1 La direttiva 99/70/CE sul lavoro a tempo
determinato. - 4.2 Il lavoro somministrato. - 4.3. La Corte di Giustizia
dall’ordinanza Briot C-386/09 alla sentenza C-290/12 Della Rocca. - 5. La
negoziazione della direttiva sul lavoro tramite agenzia interinale. - 6. La
Parità di trattamento e il lavoratore comparabile.
1. Obiettivi della Direttiva 2008/104/CE.
La direttiva 2008/104/CE è stata adottata il 19 novembre 2008 dal
Parlamento e dal Consiglio dell’Unione Europea e disciplina il lavoro
tramite agenzia interinale1. Il suo tormentato iter di adozione si riflette
ancora oggi nelle difficoltà relative alla sua implementazione interna.
La direttiva 2008/104/CE costituisce il primo intervento normativo del
legislatore comunitario in relazione alla fornitura di manodopera, tema
anteriormente lasciato alla libera regolamentazione da parte dei legislatori
nazionali.
A tal proposito, va considerato che in precedenza fu emanata la direttiva
91/383/CEE volta alla tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori
aventi un rapporto di lavoro a tempo determinato o un rapporto di lavoro
1
Secondo la direttiva 91/383 per rapporti di lavoro interinale devono intendersi quelli << tra
un’agenzia di lavoro interinale che è il datore di lavoro e il lavoratore, quando quest’ultimo è messo
a disposizione per lavorare per e sotto il controllo di una impresa e/o di uno stabilimento utilizzatori
>> .
1
interinale e il cui contenuto è lasciato invariato dalla direttiva oggetto di
questo elaborato.
La direttiva del 2008 è stata avvertita come necessaria data la forte
differenziazione nei vari Stati membri dell’Unione Europea - soprattutto tra
i paesi di civil law e il Regno Unito - della disciplina relativa alla posizione
giuridica, allo status, alle condizioni di lavoro dei lavoratori tramite
agenzia. L’intervento comunitario è volto a tutelare i lavoratori interinali
attraverso un quadro normativo non discriminatorio, trasparente e
proporzionato che tenga conto e rispetti la diversità dei mercati e delle
relazioni industriali e che tuteli i lavoratori prevedendo che gli Stati membri
riesaminino, previa consultazione delle parti sociali, le restrizioni o i divieti
sul ricorso al lavoro tramite agenzia interinale al fine di accertarne
l’effettiva necessità.
A tal proposito viene in rilievo il considerando n.18 per il quale << il
miglioramento della base minima di tutela dei lavoratori tramite agenzia
interinale dovrebbe essere accompagnato da un riesame delle eventuali
restrizioni o divieti imposti al ricorso al lavoro tramite agenzia interinale.
Essi possono essere giustificati soltanto da ragioni d’interesse generale
che investono in particolare la tutela dei lavoratori, le prescrizioni in
materia di salute e sicurezza sul lavoro nonché la necessità di garantire il
buon funzionamento del mercato del lavoro e la prevenzione di abusi>>.
Viene anche in rilievo a livello comunitario l’applicazione del principio di
parità di trattamento dei lavoratori somministrati rispetto ai lavoratori che si
2
trovano alle dirette dipendenze dell’utilizzatore. Questo principio deve
assicurare un livello minimo di protezione evitando l’utilizzo di forme
negoziali di assunzione che potrebbero portare alla precarizzazione del
lavoro e all’abbassamento delle tutele.
Il principio di parità è derogabile solo in circostanze limitate ex art. 5:
1) con riferimento alla retribuzione quando i lavoratori interinali sono legati
da un contratto a tempo indeterminato con l’agenzia e sono retribuiti
anche nel periodo intercorrente tra una missione e l’altra (art. 5.2);
2) quando gli Stati Membri lasciano alle parti sociali la possibilità di
mantenere o concludere contratti collettivi che stabiliscono modalità
alternative relative alle condizioni di lavoro e d’occupazione, comunque
nel
rispetto
della
protezione
globale
dei
lavoratori
(art.
5.3);
3) quando le modalità alternative sono previste da accordi conclusi dalle
parti sociali in Paesi in cui
i contratti collettivi non risultano essere
universalmente applicabili né vi sia un sistema legislativo che consenta di
estendere questi contratti a tutte le imprese simili di un determinato settore
od area geografica (art. 5.4).
Questa direttiva svolge un ruolo fondamentale nella regolamentazione a
livello europeo del lavoro temporaneo tramite agenzia. Lo scopo della
direttiva non è solo quello di tutelare i lavoratori ma è anche quello di un
futuro sviluppo delle agenzie interinali che, a parere della Commissione
Europea e delle associazioni dei datori di lavoro, sono strumenti per la
creazione di posti di lavoro (così come anche indicato nell’art. 2 della
3
direttiva stessa dove si parla di << necessità di inquadrare adeguatamente
il ricorso al lavoro tramite agenzia interinale al fine di contribuire
efficacemente alla creazione di posti di lavoro e allo sviluppo di forme di
lavoro flessibili >>).
Un precedente intervento in materia si era avuto con la direttiva
91/383/CEE del Consiglio, che garantiva la parità di trattamento in
rapporto alle condizioni di lavoro, con particolare riguardo alle attrezzature
di protezione individuali. A livello internazionale, la materia era stata già
regolata dalla Convenzione OIL n. 181/1997 sulle agenzie per l’impiego
private.
È in questo contesto che si inserisce la direttiva del 2008, i cui punti
fondamentali sono proprio quelli sulla parità di trattamento e sulle
opportunità di accesso all’occupazione. L’art. 2 dice che lo scopo della
stessa è << (…) garantire la tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale
e migliorare la qualità del lavoro tramite agenzia interinale garantendo il
rispetto del principio della parità di trattamento di cui all’articolo 5 nei
confronti dei lavoratori tramite agenzia interinale e riconoscendo tali
agenzie quali datori di lavoro, tenendo conto nel contempo della necessità
di inquadrare adeguatamente il ricorso al lavoro tramite agenzia interinale
al fine di contribuire efficacemente alla creazione di posti di lavoro e allo
sviluppo di forme di lavoro flessibili >> .
Le forme di lavoro flessibile possono essere considerate accettabili
quando sono rispettate le condizioni di tutela dei lavoratori e quando si
4
riesce nell’obiettivo di conciliare la vita privata e professionale dei
lavoratori dipendenti permettendo in tale modo la creazione di posti di
lavoro e la partecipazione e l’inserimento nel mercato del lavoro.
Il legislatore comunitario individua nella somministrazione temporanea uno
strumento positivo dal punto di vista sociale ed economico in quanto
capace << di aprire l’accesso al mondo del lavoro e consentire
l’inserimento graduale di lavoratori provenienti dalle classi meno agiate e
meno avvantaggiate anche in tempi di recessione economica, nonché a
lavoratori come gli studenti che hanno la necessità di integrare i loro
proventi economici con un’attività di lavoro flessibile. Il legislatore
comunitario quindi si pone nell’ottica di valorizzare questo tipo di rapporto
garantendogli autonomia strutturale rispetto al rapporto di lavoro a tempo
determinato e dignità dell’istituto del diritto nazionale e sovranazionale2>>.
2. La Convenzione OIL 181/1997 sulle agenzie per l’impiego privato.
La Convenzione OIL 181/1997 consente la mediazione privata di
manodopera contribuendo così a costruire un sistema dei servizi per
l’impiego che vede la compresenza di operatori pubblici e privati. Del resto
ciò è coerente con la normativa comunitaria che pone sullo stesso piano
imprese pubbliche e private e ritiene non giustificate eventuali differenze di
disciplina, a meno che non sussistano ragioni oggettive.
2
Trib. Vicenza, 17 febbraio 2011, n. 1378, in Dir. Relaz. Ind., 2011, IV, 1136.
5
L’interazione tra pubblico e privato è non solo un mezzo legittimo di
realizzazione dei servizi per l’impiego ma deve essere considerata come
normale forma di erogazione degli stessi. Questa necessità emerge dalla
Convenzione stessa e dal suo Rapporto preparatorio del 1981 nel quale,
date le carenze strutturali dei servizi pubblici, si ritenne necessario
integrare l’azione degli operatori pubblici e privati attraverso un modello di
gestione mista del mercato del lavoro definito come ‘‘coesistenza attiva’’.
Allo Stato sono riservate in via esclusiva le funzioni inalienabili quali ad
esempio la definizione delle regole e condizioni d’ingresso e permanenza
dei diversi operatori nel mercato attraverso il rilascio di autorizzazioni e la
definizione degli standard minimi da rispettare, la risoluzione dei conflitti,
la garanzia della circolazione delle informazioni e il controllo sui
finanziamenti. Al di fuori di quest’ambito, l’attività dei soggetti pubblici e
privati si deve svolgere in un regime concorrenziale da un lato e di
cooperazione dall’altro in modo da consentire che ai privati vengano
affidati compiti che il settore pubblico non è in grado di svolgere.
La Convenzione segna il definitivo superamento della regolamentazione
restrittiva e per un certo verso proibitiva che aveva a lungo caratterizzato
l’esperienza comparata e predispone delle tutele minime per il lavoratore
temporaneo.
All’art. 1 lett.b include tra le agenzie di impiego private quelle che
assumono lavoratori per metterli a disposizione di persone terze fisiche o
morali (imprese utilizzatrici) che ne stabiliscono i compiti e sorvegliano la
6
relativa esecuzione. Da questa norma si deduce quindi che l’agenzia
assume formalmente il lavoratore e l’impresa utilizzatrice ha poteri direttivi
e di controllo. Non sono invece presenti disposizioni espresse volte a
stabilire la struttura complessiva del rapporto e la ripartizione di diritti,
obblighi e responsabilità tra i tre soggetti coinvolti; questo aspetto è
lasciato
alla
legislazione
degli
Stati
nazionali.
A tal proposito, l’art. 11 precisa quali sono le tutele dei lavoratori che
devono essere regolate dai singoli Paesi conformemente alle leggi e
prassi interne. Tra i vari aspetti vi rientrano la libertà sindacale, la
negoziazione collettiva, i minimi salariali, le condizioni di lavoro, la
sicurezza sociale, la formazione, l’igiene e la sicurezza, etc. Questi stessi
profili vengono poi considerati nell’articolo successivo per quanto riguarda
la ripartizione degli obblighi tra l’agenzia di somministrazione e l’impresa
utilizzatrice, ripartizione che è rimessa alle legislazioni nazionali.
Nella Convenzione non sono predisposti meccanismi di tutela dei
lavoratori quali ad esempio la parità di trattamento tra lavoratori
somministrati e lavoratori stabili dell’impresa.
Agli artt. 5, 6 e 7 sono presenti specifici strumenti volti a proteggere il
lavoratore nella fase precontrattuale. Abbiamo rispettivamente:
- il divieto di discriminazioni basate su sesso, razza, religione, colore,
opinione politica, nazionalità, origine sociale e ogni altra forma coperta
dalla legislazione o dalla prassi nazionale gravante sulle agenzie per
7
l’impiego privato e volta a promuovere la parità di opportunità e di
trattamento nell’accesso all’impiego;
- la tutela dei dati personali forniti dai lavoratori e utilizzati dalle agenzie
che li devono elaborare limitandosi a quanto concerne le qualifiche e le
esperienze professionali dei lavoratori nel rispetto della loro vita privata e
secondo quanto previsto dagli ordinamenti nazionali;
- il divieto per le agenzie di far pagare ai lavoratori spese o altri costi.
Sono fatte salve le eccezioni espressamente autorizzate, previa
consultazione delle parti sociali più rappresentative, per alcune categorie
di lavoratori e alcuni servizi specificamente identificati.
Si tratta comunque di elementi parziali dato che la Convenzione non
prevede nemmeno che l’agenzia di lavoro interinale sia assoggettata ad
autorizzazione amministrativa; vincolo che è normalmente presente nella
maggior parte dei modelli nazionali che regolamentano la fattispecie.
Possiamo quindi dire che la convenzione in esame si caratterizza più per il
superamento di un modello di regolamentazione restrittivo/proibitivo che
per una regolamentazione positiva della struttura della somministrazione
di
lavoro.
A
questo
superamento
in
realtà
era
arrivata
contemporaneamente anche l’Unione Europea e ciò potrebbe spiegare lo
scarso successo della Convenzione nei Paesi che già regolano la
fattispecie. Difatti la ratifica c’è stata solo in Italia, Spagna, Portogallo,
Belgio, Finlandia e Paesi Bassi.
8
3. Contesto.
Il cammino che ha portato all’adozione della direttiva è stato lungo. A
livello europeo, il primo riferimento a un rapporto di lavoro triangolare tra
un’agenzia di lavoro, un lavoratore e un utilizzatore si è avuto nel 1970
con il caso Manpower in cui la Corte di Giustizia si è espressa
identificando l’agenzia di impiego con il datore di lavoro.
Negli anni 70 quasi tutti gli Stati europei, con l'eccezione del Regno Unito,
prevedevano severe restrizioni o divieti assoluti al lavoro tramite agenzia,
conformemente alla Convenzione OIL n. 96/1949 che ricomprendeva le
agenzie
di
lavoro
temporaneo
nella
stringente
disciplina
dell’intermediazione nel mercato del lavoro.
Questo periodo è stato caratterizzato da cambiamenti importanti (quali ad
esempio la globalizzazione, la concorrenza su scala mondiale, la
diversificazione e personalizzazione della domanda). Di conseguenza, è
emersa la necessità di adeguare i sistemi produttivi al nuovo contesto
concorrenziale in via di sviluppo. Ciò ha portato alla diffusione dei lavori
flessibili cd. <<atipici>> che si affiancano tuttora al modello standard
dell’impiego a tempo pieno ed indeterminato in modo da adeguare il
reclutamento di manodopera alle effettive esigenze delle imprese.
A livello comunitario, il primo atto in cui si è fatto un esplicito riferimento al
lavoro tramite agenzia è la Risoluzione del Consiglio del 1974, il cd.
Programma di azione sociale, la cui intenzione era la protezione dei
lavoratori reclutati tramite imprese di lavoro temporaneo e l'eliminazione
9
degli abusi attraverso il controllo dell'attività delle imprese. Da questa
previsione emergeva l'idea del lavoro temporaneo come fattispecie
intrinsecamente pericolosa.
Negli anni '80 è cambiato il punto di vista comunitario sul lavoro
temporaneo data la diffusione di nuove tecnologie, la terziarizzazione
dell'economia, la scoperta di nuove modalità organizzative che hanno
portato a profonde trasformazioni dei processi produttivi e ad una
maggiore flessibilità nell'utilizzo della forza lavoro. È in questo contesto
che
ci
sono
state
le
prime
iniziative
della
Commissione
di
regolamentazione delle principali forme di lavoro flessibile.
Si è arrivati così a una prima proposta di direttiva presentata dalla
Commissione il 7 maggio 1982 che riguardava simultaneamente sia il
lavoro a termine che il lavoro tramite agenzia 3. In questo testo, le
caratteristiche specifiche del lavoro interinale venivano ricondotte alle
istanze comunitarie di uniformazione della competizione tra imprese e le
esigenze di tutela dei lavoratori erano considerate in modo unitario
all’interno del nuovo fenomeno del lavoro atipico.
L’art. 7 della Carta di Strasburgo sui diritti sociali fondamentali dei
lavoratori del 1989 indicava come necessario un maggior progresso nelle
condizioni di lavoro atipico riferendosi indistintamente e congiuntamente al
lavoro a tempo determinato, parziale e temporaneo; il Programma
d’azione della Commissione prevedeva la presentazione di un’unica
3
COMMISSIONE CE, Proposta di direttiva in materia di lavoro temporaneo, COM(82)155 def.,
ripresentata come Proposta modificata di direttiva del Consiglio in materia di lavoro interinale e di
contratti a tempo determinato, COM(84)159 def.
10
direttiva disciplinante i rapporti di lavoro atipico. Questa direttiva però non
ha mai visto la luce data l’opposizione del Regno Unito.
Negli anni ’90 c’è stato uno sviluppo considerevole del lavoro tramite
agenzia in quanto forma di impiego in grado di adattare i livelli
occupazionali alle fluttuazioni della domanda.
La Commissione Europea ha elaborato tre bozze relative rispettivamente
alla salute e sicurezza dei lavoratori temporanei, alle condizioni di lavoro e
la distorsione della competizione, al lavoro part-time e il lavoro
temporaneo. Solo la prima è stata effettivamente adottata nel 1991 e
prevede la parità di trattamento in termini di protezione della salute e della
sicurezza dei lavoratori temporanei o a tempo determinato.
La necessità di una regolamentazione a livello europeo era fortemente
avvertita per tre ordini di motivi. Innanzitutto, le agenzie di lavoro
temporaneo costituivano e ancora costituiscono un settore d’importanza
crescente in Europa e pertanto è d'obbligo una disciplina di tale livello. In
secondo luogo, il lavoro temporaneo era stato già parzialmente regolato
da due direttive: la direttiva 91/383/CEE sulla salute e sicurezza dei
lavoratori atipici; la direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori
nell'ambito di una prestazione di servizi. Quest’ultima nell’assicurare ai
lavoratori distaccati in ambito transnazionale condizioni d’impiego non
inferiori a quelle applicate ai lavoratori nazionali include nell’ambito di
applicazione la fornitura di lavoro tramite agenzia. Infine un altro incentivo
è stato fornito dall'entrata nell'Unione Europea di nuovi Stati membri nel
11
20044.
4. (Segue): Il rapporto tra il lavoro a tempo determinato e il lavoro
tramite agenzia interinale.
Inizialmente, le due tipologie di contratto, disciplinanti rispettivamente il
lavoro a tempo determinato e il lavoro tramite agenzia interinale, erano
accomunate.
Ciò si evinceva già dalla proposta di direttiva del 1982 che era volta a
contrastare << gli abusi in materia di lavoro temporaneo nelle sue due
forme principali, ossia i contratti di lavoro interinale o i contratti a tempo
determinato >>. Da ciò si evince l’intenzione del legislatore di disciplinare
congiuntamente le due tipologie di contratto di lavoro considerandoli come
due species dello stesso genus ‘‘lavoro temporaneo’’ e come oggetto di
quella che in quegli anni era considerata come un’unica forma di abuso:
l’utilizzazione di forme di lavoro temporaneo per far fronte ad << esigenze
permanenti e durevoli del datore di lavoro5 >>. La proposta di direttiva del
1982 prevedeva un’analoga tecnica di tutela consistente nel limitare il
ricorso a queste forme contrattuali ai soli casi in cui ciò fosse legittimato
da una temporanea riduzione dell’organico, da missioni sporadiche e non
permanenti o da altri motivi tali da giustificare una durata limitata del
contratto.
4
I trattati che regolano l'entrata nell'Unione Europea limitano la libertà di movimento dei lavoratori
provenienti dai nuovi Stati membri con l'eccezione della libera prestazione di servizi. Pertanto, le
agenzie di lavoro interinale possono essere uno strumento per raggirare questo tipo di restrizioni.
5
C. giust. 23 aprile 2009, cause riunite C-378/07 a C-380/07, Angelidaki e altri, in Racc., I-03071,
punti 103 e 181.
12
La separazione tra le due forme contrattuali cominciò a delinearsi solo
successivamente quando la Commissione decise di fare affidamento sul
negoziato delle parti sociali che portò all’accordo quadro del 18 marzo
1999 attuato nel giugno dello stesso anno dal Consiglio con la direttiva
1999/70/CE.
4.1 La direttiva 99/70/CE sul lavoro a tempo determinato.
La direttiva 99/70/CE ha un contenuto limitato all’attuazione dell’accordo
quadro sui contratti a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999 fra le
organizzazioni sindacali e degli imprenditori (rispettivamente CES da un
lato, UNICE e CEEP dall’altro).
Il suo processo di adozione rispetta alcuni degli elementi fondamentali che
sono alla base del funzionamento dell’Unione Europea:

L’art 152 TFUE per cui << L'Unione riconosce e promuove il ruolo
delle parti sociali al suo livello, tenendo conto della diversità dei
sistemi nazionali. Essa facilita il dialogo tra tali parti, nel rispetto
della loro autonomia >>.

L’art 154 TFUE che prevede che la Commissione, prima di
presentare una proposta nel settore della politica sociale, consulti le
parti sociali e adotti tutte le misure necessarie a facilitarne il dialogo
per capire se e quale possa essere l’orientamento di un’azione
13
comunitaria; successivamente un’ulteriore consultazione sarà
necessaria per determinarne il relativo contenuto.

L’art 155 TFUE che stabilisce che il dialogo tra le parti sociali possa
portare a concludere contratti ed accordi purché siano rispettate le
prassi e le procedure proprie delle parti sociali e degli Stati membri.
Il meccanismo descritto in questi articoli è perfettamente rispettato nella
direttiva del 1999 così come si evince sia dal titolo stesso della direttiva 6
che dall’art. 1 per il quale << Scopo della presente direttiva è attuare
l'accordo quadro sui contratti a tempo determinato, che figura nell'allegato,
concluso il 18 marzo 1999 fra le organizzazioni intercategoriali a carattere
generale (CES, CEEP e UNICE) >>.
La direttiva si pone come obiettivi quello di migliorare la qualità del lavoro
a tempo determinato evitando discriminazioni tra lavoratori assunti a
termine e quelli stabili e di prevenire gli abusi derivanti dalla reiterazione di
assunzioni con contratto a termine.
I contratti a tempo indeterminato devono ancora essere considerati come
la forma comune dei rapporti di lavoro mentre i contratti a termine
rispondono alle esigenze d’imprese e lavoratori solo in alcune circostanze.
La direttiva 99/70 si applica a tutte le assunzioni a termine effettuate
direttamente dal datore di lavoro; difatti, secondo la clausola n.3
dell’accordo quadro allegato alla direttiva, per lavoratore a tempo
determinato deve intendersi << una persona con un contratto o un
6
Direttiva 1999/70/ce del consiglio del 28 giugno 1999 relativa all'accordo quadro CES, UNICE e
CEEP sul lavoro a tempo determinato.
14
rapporto di lavoro definiti direttamente fra il datore di lavoro e il lavoratore
e il cui termine è determinato da condizioni oggettive, quali il
raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito
specifico o il verificarsi di un evento specifico >>.
La struttura della direttiva è la seguente:
1) vi sono i ‘considerando’ contenenti le motivazioni che giustificano
l’adozione della direttiva. Tra questi spicca il n. 3 che richiama l’art. 7 della
Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori nella parte in
cui prevede che la realizzazione del mercato interno deve portare a un
miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori nella
Comunità europea; miglioramento che deve avvenire attraverso il
ravvicinamento di tali condizioni, soprattutto in relazione alle forme di
lavoro diverse dal lavoro a tempo indeterminato, quali il lavoro a tempo
determinato, il lavoro a tempo parziale, il lavoro interinale e il lavoro
stagionale.
Il considerando n.5 sottolinea la necessità di incrementare l’intensità
occupazionale della crescita attraverso un’organizzazione del lavoro che
sia più flessibile, che venga incontro ai desideri dei lavoratori e alle
esigenze di competitività. In questo contesto le parti si sono concentrate
sul lavoro a tempo determinato ma dal considerando n.13 emerge
l’intenzione di regolare con analoghi accordi anche il lavoro temporaneo.
2) La parte normativa della direttiva è composta da quattro articoli. Il primo
è essenziale in quanto ne indica lo scopo ( << (…)attuare l'accordo quadro
15
sui contratti a tempo determinato, che figura nell'allegato, concluso il 18
marzo 1999 fra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale
(CES, CEEP e UNICE) >> ).
3)
L’allegato
contenente
l’accordo
quadro
costituisce
la
parte
fondamentale della direttiva. È composto da un preambolo, dalle
considerazioni generali e dalle clausole.
Nel preambolo troviamo le motivazioni per l’adozione dell’accordo
(migliorare l’equilibrio tra la flessibilità dell’orario di lavoro e la sicurezza
dei lavoratori) e il campo di applicazione. Difatti è espressamente statuito
che l’accordo << si applica ai lavoratori a tempo determinato ad eccezione
di quelli messi a disposizione di un'azienda utilizzatrice da parte di
un'agenzia di lavoro interinale. È intenzione delle parti considerare la
necessità di un analogo accordo relativo al lavoro interinale >>. Al quarto
paragrafo del preambolo troviamo quindi l’esplicita esclusione della
somministrazione dal campo di applicazione della direttiva. Questa
esclusione si evince anche dalla stessa definizione di lavoratore a tempo
determinato fornita nella clausola n.3 dove ci si riferisce espressamente
ad un contratto o un rapporto di lavoro conclusi direttamente tra il datore di
lavoro e il lavoratore. Nel caso del lavoro interinale, invece, è l’agenzia
stessa che, ex art. 3.1 lett.b della direttiva 2008/104, << (…)
conformemente alla legislazione nazionale, sottoscrive contratti di lavoro o
inizia rapporti di lavoro con lavoratori tramite agenzia interinale al fine di
inviarli
in
missione
presso
imprese
16
utilizzatrici
affinché
prestino
temporaneamente la loro opera sotto il controllo e la direzione delle
stesse>>. In tal senso, c’è stato anche un contributo determinante da
parte della giurisprudenza comunitaria con la sentenza C-290/12 Della
Rocca. Qui la CGUE ha stabilito espressamente che la direttiva 1999/70 e
l’accordo quadro << (…)devono essere interpretati nel senso che non si
applicano né al rapporto di lavoro a tempo determinato tra un lavoratore
interinale e un’agenzia di lavoro interinale né al rapporto di lavoro a tempo
determinato tra tale lavoratore e un’impresa utilizzatrice >>.
Le disposizioni generali hanno carattere dichiarativo e danno indicazioni
relative all’interpretazione della parte normativa. Anche qui (come nella
direttiva sul lavoro interinale) si afferma che il lavoro a tempo
indeterminato è la forma comune dei rapporti di lavoro.
Per quanto riguarda le clausole, la quarta stabilisce l’uguaglianza delle
condizioni d’impiego dei lavoratori a tempo determinato che non possono
essere trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo
indeterminato comparabili a meno che non vi siano ragioni oggettive. Il
principio si applica a tutte le condizioni con l’esclusione dei trattamenti
previdenziali pubblici affidati ai singoli Stati.
La quinta è volta alla prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una
successione di contratti o rapporti a tempo determinato. Tre sono i
meccanismi espressamente previsti in tal senso e tra i quali gli Stati
possono scegliere: specificare le ragioni oggettive giustificatrici del
17
rinnovo; fissare la durata massima totale dei contratti successivi; fissare il
numero di rinnovi.
La Corte di Giustizia nel caso Adeneler chiarisce quali sono le ragioni
oggettive alla cui esistenza è subordinata la rinnovazione di un contratto a
termine. Sostiene che la clausola << osta all’utilizzazione di contratti di
lavoro a tempo determinato successivi che sia giustificata dalla sola
circostanza di essere prevista da una disposizione legislativa o
regolamentare generale di uno Stato membro >>, ci devono essere
elementi concreti relativi all’attività e alle condizioni del suo esercizio.
4.2 Il lavoro somministrato.
Per quanto concerne invece la somministrazione, i negoziati avviati nel
maggio del 2000 non hanno prodotto risultati data la difficoltà delle parti
sociali di raggiungere un accordo e le difficoltà riscontrate nel cercare una
definizione comune di ‘‘lavoratore comparabile’’. Successivamente, la
Commissione riprese la sua iniziativa legislativa che condusse, anche se
con un ritardo quasi decennale, alla redazione della direttiva 104 del 2008
relativa al lavoro tramite agenzia interinale.
La direttiva 2008/104/CE riflette i principi di flexicurity7 volti alla creazione
di condizioni giuridiche favorevoli allo sviluppo della concorrenza,
all’organizzazione del lavoro che possa adeguarsi alle fluttuazioni della
7
La flexicurity (flessibilità e sicurezza) è una strategia politica che prova a migliorare la flessibilità
dei mercati del lavoro, delle organizzazioni lavorative e dei rapporti di lavoro da una parte, e di
migliorare la sicurezza sociale e dell’occupazione, in particolare per i gruppi deboli dentro e fuori
dal mercato del lavoro dall’altra parte.
18
domanda dovute all’internalizzazione degli scambi. Il processo di adozione
di questa direttiva si è basato proprio sull’esigenza di flessibilità nella
gestione della manodopera. La somministrazione di lavoro, da un lato
coniuga flessibilità e sicurezza adattandosi a quelle che sono le esigenze
attuali dell’economia,
ma dall’altro
non comporta un
incremento
dell’occupazione dato che il monte ore di lavoro resta invariato ma lo si
divide tra più soggetti.
4.3 La Corte di Giustizia dall’ordinanza Briot C-386/09 alla sentenza
C-290/12 Della Rocca.
La Corte di Giustizia nell’ordinanza Briot8 ha accertato che il mancato
rinnovo di un contratto di lavoro a tempo determinato di un lavoratore
interinale, terminato, per effetto della sopravvenienza della sua scadenza,
in una data anteriore a quella del trasferimento dell’attività cui era stato
assegnato tale lavoratore, non violasse la Direttiva 2001/23/CE sul
ravvicinamento
delle
legislazioni
degli
Stati
membri
relative
al
mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti d’imprese, di
stabilimenti o di parti d’imprese o di stabilimenti. Inoltre la Corte ha
precisato al punto 36 che il lavoratore interinale << potrebbe all’occorrenza
beneficiare contro l’abuso di contratti di lavoro a tempo determinato
successivi (…) di altre disposizioni di diritto comunitario, segnatamente
8
CGUE, 15 settembre 2010, C-386/09, Briot.
19
della direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa
all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato,
nonché dell’interpretazione che la Corte dovrà fornire di queste ultime >>.
Quanto sostenuto in questa pronuncia risulta essere ridimensionato da
quanto affermato nella successiva sentenza C-290/12 Della Rocca che
segna definitivamente la conclusione di un percorso che ha portato a
differenziare la disciplina del lavoro a tempo determinato da quella del
lavoro tramite agenzia interinale. In quest’ultima sentenza i giudici
compiono un passo indietro nella definizione delle tutele dei lavoratori a
tempo determinato assunti dalle agenzie di lavoro interinale: la Corte ha
escluso che al rapporto di lavoro a tempo determinato alle dipendenze di
un’agenzia di lavoro interinale si applichi la direttiva comunitaria
1999/70/CE, stante l’espressa esclusione in questa contenuta al quarto
paragrafo del preambolo dove si legge che << Il presente accordo si
applica ai lavoratori a tempo determinato, ad eccezione di quelli messi a
disposizione di un'azienda utilizzatrice da parte di un'agenzia di lavoro
interinale. È intenzione delle parti considerare la necessità di un analogo
accordo relativo al lavoro interinale >>.
Nel caso Della Rocca, la sez. VIII della CGUE si è pronunciata
relativamente alla questione sottopostale dal Giudice del Lavoro di Napoli,
adito da un lavoratore per giudicare circa la legittimità o meno di tre
contratti di lavoro a tempo determinato in forza dei quali veniva messo a
disposizione delle Poste Italiane come portalettere sulla
20
base di un
contratto di somministrazione di lavoro a tempo determinato concluso tra
l’agenzia di somministrazione e le Poste Italiane, al fine di provvedere alla
sostituzione del personale assente addetto al servizio recapito presso la
regione Campania.
Il lavoratore reputava i motivi del ricorso alla somministrazione di lavoro a
tempo determinato generici e insussistenti e la proroga non motivata. Adì
il Tribunale di Napoli per far accertare la somministrazione irregolare e
l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con le Poste
Italiane.
Il Tribunale di Napoli, ritenuta pregiudiziale la questione se la direttiva
1999/70/CE sul lavoro a tempo determinato e l’accordo quadro si
applicassero al rapporto di lavoro a tempo determinato tra un lavoratore
interinale e un’agenzia di lavoro interinale e al rapporto di lavoro a tempo
determinato tra tale lavoratore e un’impresa utilizzatrice, la sottoponeva
alla Corte di Giustizia Europea.
La Corte ha stabilito che << la direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28
giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a
tempo determinato, e l’accordo quadro che compare in allegato a tale
direttiva, devono essere interpretati nel senso che non si applicano né al
rapporto di lavoro a tempo determinato tra un lavoratore interinale e
un’agenzia di lavoro interinale né al rapporto di lavoro a tempo
determinato tra tale lavoratore e un’impresa utilizzatrice. L’esclusione che
compare nel preambolo dell’accordo quadro è riportata anche nella
21
clausola 3, punto 1, di quest’ultimo, secondo la quale soltanto il rapporto di
lavoro concluso «direttamente» con il datore di lavoro rientra nell’ambito di
tale accordo quadro >>.
Questa esclusione riguarda il lavoratore interinale in quanto tale e non si
riferisce ai suoi rapporti di lavoro quali quello con l’agenzia di lavoro
interinale e quello con l’azienda utilizzatrice. Per i giudici comunitari, è
pacifico che il rapporto di lavoro interinale rientri nell’ambito di
applicazione ratione materiae della direttiva 2008/104 che disciplina in
maniera analitica ed esclusiva il lavoro temporaneo. Dato che il legislatore
comunitario
ha
previsto
una
legislazione
ad
hoc
per
il lavoro
somministrato, è a questa che bisogna fare riferimento.
Nel caso di specie invece era stata richiesta l’applicabilità dell’accordo
quadro sul contratto a tempo determinato poiché i contratti di
somministrazione erano stati stipulati prima dell’entrata in vigore della
direttiva del 2008. La Corte, analizzando tutto il contenuto dell’accordo, ha
spiegato come esso non possa e non debba avere un’applicazione
illimitata. Già nel suo preambolo incontriamo l’esclusione dal campo di
applicazione del “lavoratore temporaneo in quanto tale” e la Corte precisa
ulteriormente << con la conseguenza che tanto il suo rapporto di lavoro
con l’agenzia interinale quanto quello sorto con l’azienda utilizzatrice
esulano dall’ambito di applicazione di tale accordo quadro >>.
La Corte si è soffermata ancora sulla circostanza che << la
somministrazione di lavoratori interinali costituisce una costruzione
22
complessa e specifica del diritto del lavoro che implica, (….) un duplice
rapporto di lavoro tra, da un lato, l’agenzia di lavoro interinale e il
lavoratore interinale, e, dall’altro, quest’ultimo e l’impresa utilizzatrice,
nonché un rapporto di somministrazione tra l’agenzia di lavoro interinale e
l’impresa utilizzatrice. Orbene, l’accordo quadro non contiene disposizioni
vertenti su questi aspetti specifici >>.
La Corte di Giustizia ha chiarito come l’istituto del lavoro in
somministrazione e le tutele a esso connesse debbano essere distinte dal
contratto di lavoro a tempo determinato e dalle tutele tipiche di tale istituto.
Infatti, la stessa ha più volte affermato come i due istituti siano differenti e
abbiano delle discipline diverse, anche se in alcuni casi presentino delle
analogie.
La Corte ha affermato pure che tale esclusione non è limitata solo al
contratto concluso tra lavoratore e società di somministrazione, ma anche
a quello commerciale (ovvero il contratto stipulato tra agenzia di
somministrazione e società utilizzatrice). Questa precisazione si è rivelata
necessaria, dato che alcuni Giudici erano soliti assoggettare il contratto
commerciale di somministrazione alle tutele del contratto a tempo
determinato.
5. La negoziazione della direttiva sul lavoro tramite agenzia
interinale.
23
Il procedimento che porta alla formazione della direttiva 2008/104/CE si
compone di due fasi, il tentativo negoziale e l’intervento legislativo vero e
proprio.
Nel 2000 si è aperta la fase ‘‘negoziale’’ caratterizzata dalla ricerca di un
accordo sulle soluzioni da adottare da parte delle organizzazioni dei
lavoratori e dei datori di lavoro9. Le organizzazioni dei lavoratori non erano
certe
del
valore
aggiunto
che
potesse
essere
dato
da
una
regolamentazione a livello comunitario del lavoro temporaneo tramite
agenzia. Avendo però l'Unione Europea varato una procedura che
prevedeva la consultazione delle parti sociali europee, la CES
(Confederazione Europea dei Sindacati) e l'UNICE (Unione delle
confederazioni europee dell’industria e dei datori di lavoro, ora
denominata BusinessEurope) dovevano valutare se la possibilità di
partecipare ai negoziati avrebbe portato a risultati migliori. L'incentivo a
questo tipo di negoziazioni era dato dalla presenza della CIETT
(Confederazione Internazionale delle Agenzie di Lavoro Temporaneo). Le
negoziazioni tra CES, UNI-Europa (Confederazione Europea Sindacati,
Servizi e Comunicazioni, è parte della CES) - dalla parte dei lavoratori - e
UNICE, CIETT e CEEP (Centro Europeo delle Imprese a Partecipazione
Pubblica) - dalla parte dei datori di lavoro - sono iniziate nel maggio del
2000.
9
Le speranze di successo erano numerose dati gli esiti positivi riscontrati da questo modus
operandi relativamente agli accordi-quadro sui congedi parentali del 1996, sul lavoro a tempo
parziale del 1997, sul lavoro a tempo determinato del 1999 conclusi dalle organizzazioni
intercategoriali a livello europeo (UNICE, CEES e CEP) e trasfusi rispettivamente nelle direttive
1996/34/Ce, 1997/81/Ce, 1999/70/Ce.
24
All’interno della CES era evidente un certo protagonismo della
Federazione UNI-Europa che, durante il processo di negoziazione, ha
raggiunto
con
la
CIETT
una
dichiarazione
comune
incentrata
principalmente su due punti: a) il lavoro tramite agenzia come strumento
positivo per lo sviluppo del mercato del lavoro; b) il dialogo sociale come
strumento per migliorare le condizioni di lavoro e di impiego dei lavoratori
forniti da agenzie.
Questa dichiarazione poteva essere interpretata come un segnale di una
possibile intesa a livello settoriale ma invece ha segnato solo l’inizio della
fine dei negoziati dato che la CES non la accolse con favore,
considerando il lavoro temporaneo tramite agenzia come privo di un ruolo
positivo nel mercato del lavoro e volendo marginalizzare il suo utilizzo.
I negoziati sono falliti nel 2001 dato il disaccordo troppo forte su temi
chiave dell'accordo stesso (restrizioni all’uso del lavoro interinale, parità di
trattamento tra i lavoratori dell’agenzia e quelli alle dirette dipendenze
dell’utilizzatore) e sul contenuto delle negoziazioni. Non c'era unanimità di
vedute sullo scopo dell'accordo in quanto la CES avrebbe voluto dare
un’importanza marginale alle agenzie di lavoro temporaneo o almeno
prevedere maggior protezione per i lavoratori mentre i rappresentanti dei
datori di lavoro indicavano le agenzie di lavoro temporaneo come
strumento utile alla creazione di posti di lavoro.
Le tematiche più discusse sono state: a) l'inclusione o meno del salario tra
le condizioni essenziali dell'impiego tenendo conto del principio di parità di
25
trattamento; b) lo scopo dell'accordo ed in particolare se estenderlo o
meno ad agenzie di lavoro interinale con lavoratori con contratti a tempo
indeterminato; c) l'attuazione del principio di parità di trattamento e la
definizione di un possibile lavoratore comparabile. Per la CES, il
lavoratore comparabile avrebbe dovuto essere un lavoratore a tempo
pieno dell’impresa con gli stessi incarichi del lavoratore interinale, ma non
si riuscì a trovare un accordo con le organizzazioni dei datori di lavoro. I
rappresentanti dei lavoratori sostenevano che il punto di riferimento per le
condizioni essenziali quali la retribuzione, l’orario di lavoro, la salute e la
sicurezza fosse un lavoratore dell’impresa utilizzatrice con lo stesso
impiego o con un impiego simile. I rappresentanti dei datori di lavoro non
erano invece d’accordo nell’estendere questa definizione a tutti gli Stati
membri considerato che, in alcuni Paesi, i lavoratori temporanei avevano
un contratto a tempo indeterminato con l’agenzia e pertanto erano pagati
anche tra una missione e l’altra. Sostenevano pertanto che il concetto di
lavoratore comparabile servisse come termine di paragone in relazione al
numero massimo di ore di lavoro, il periodo minimo di riposo, la tutela
della salute e sicurezza. La definizione di altre condizioni, quali appunto la
retribuzione, doveva essere lasciata agli Stati membri e alle rispettive parti
sociali.
Un altro fattore che ha portato alla mancata approvazione della direttiva è
stato l'intervento del servizio legale della Commissione che, chiamata a
pronunciarsi sull'includere o meno il salario tra le condizioni d’impiego dei
26
lavoratori, ha indicato una tale inclusione non coerente con l'art. 137 TCE
(oggi 153 TFUE) dato che questo articolo esclude espressamente
l’intervento dell’Unione Europea a sostegno e completamento dell’azione
degli Stati membri nel settore della retribuzione in quanto si tratta di
un’area sensibile influenzata particolarmente dai sistemi di relazioni
industriali e che si collega alla tutela dei diritti fondamentali riconosciuti
dalle Costituzioni degli Stati membri.
Non avendo raggiunto un accordo sui punti chiave dopo nove mesi di
negoziazione, le parti chiesero la concessione di un ulteriore mese ma
comunque le differenze di opinioni sul ‘lavoratore comparabile’ non hanno
permesso il raggiungimento di un accordo e il 21 maggio 2001 le
negoziazioni si sono concluse.
Si è aperta così la fase ‘‘legislativa’’. La Commissione ha ripreso l'esercizio
del suo potere d’iniziativa legislativa, sospeso durante le negoziazioni. Ha
elaborato un progetto di direttiva tenendo conto delle bozze precedenti
inviatele dalle parti sociali e dell'ulteriore accordo stretto tra UNI-Europa e
CIETT contenente le relative aspettative sulla direttiva sul lavoro interinale
tramite agenzia. La proposta della Commissione è stata emessa nel
marzo del 200210 con l'intento di valorizzare i punti di intesa già raggiunti e
superare le divergenze emerse ed è stata sottoposta al Parlamento
Europeo così come prevede la procedura legislativa ordinaria di codecisione ex art. 251 TCE (oggi 294 TFUE).
10
COMMISSIONE EUROPEA, COM(2002)149 def., Proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del
Consiglio relativa alle condizioni di lavoro dei lavoratori temporanei, Bruxelles, 20 marzo 2002.
27
La proposta della Commissione cercava di raggiungere un equilibrio tra le
istanze di protezione dei lavoratori temporanei, l'esigenza di un mercato
del lavoro più fluido e trasparente e le aspettative di un ulteriore sviluppo
del settore del lavoro temporaneo.
Il cuore della proposta combinava due elementi:
a) la definizione dello status di lavoratore temporaneo e l'uniformazione
delle principali condizioni di lavoro a quelle del lavoratore comparabile
nell'impresa utilizzatrice;
b) l'obbligo di riesame periodico dei divieti e delle restrizioni operanti
eventualmente a livello nazionale per alcune categorie di lavoratori o per
alcuni settori produttivi, al fine di controllare la persistenza delle condizioni
che ne giustificassero l'esistenza con l'obbligo di sopprimere le restrizioni
in caso di riscontro negativo.
Si fa quindi riferimento per la prima volta al 'lavoratore comparabile' come
strumento di attuazione del principio di parità di trattamento e nel
novembre 2002 il testo così emendato è stato inviato al Consiglio dove è
rimasto fino al 2008 a causa dell'opposizione di una minoranza di Stati
Membri (Danimarca, Germania, Irlanda, Regno Unito e, in seguito
all'allargamento dell’Unione Europea del 2004, anche Slovacchia e
Polonia).
Le principali ragioni dell'opposizione erano relative al trattamento dei
lavoratori
temporanei
e
all'ampiezza
delle
deroghe
soprattutto
considerando mancante, in Danimarca, Regno Unito ed Irlanda, il principio
28
di parità di trattamento in materia di condizioni di lavoro e di retribuzione
tra lavoratori temporanei e lavoratori dell'impresa utilizzatrice.
L'ordinamento slovacco prevedeva invece una deroga più ampia rispetto a
quella prevista nella proposta di direttiva all'art. 5, par. 4 secondo il quale
quanto previsto dal primo paragrafo11 non si applica << al lavoratore
temporaneo che svolge una prestazione o una serie di prestazioni, presso
la stessa impresa utilizzatrice, nell'ambito di un lavoro che, tenuto conto
della sua durata o natura, può essere realizzato in un periodo che non
superi le sei settimane >>; difatti il principio di parità di trattamento trovava
applicazione solo a partire dal compimento di un periodo di missione pari
a sei mesi.
Per quanto riguarda la Germania, il lavoro tramite agenzia è stato oggetto
di modificazioni con la Riforma Hartz del 2002 che si è attenuta alle
proposte di direttiva sembrando quasi uno strumento di attuazione
anticipata.
Il Regno Unito, invece, aveva sempre mostrato una forte opposizione
all'approvazione della direttiva, data l'assoluta liberalizzazione del lavoro
intermediato nell'ordinamento britannico. Le ragioni di questa opposizione
risiedevano nel fatto che il lavoro tramite agenzia era uno strumento
importante di flessibilità per le imprese britanniche ed infatti le uniche
norme presenti, rinvenibili nell’Employment Agencies Act 1973 e
nell’Employment Business Regulations aggiornato al 2003, regolavano
11
I lavoratori temporanei nel corso della loro prestazione ricevono un trattamento almeno
equivalente a quello di cui gode un lavoratore comparabile in relazione alle condizioni di base di
lavoro e d'occupazione, salvo che ragioni oggettive giustifichino un trattamento diverso.
29
esclusivamente i diritti di informazione sulle condizioni contrattuali e sui
rischi per la salute, i limiti alle facoltà delle agenzie di richiedere compensi
ai lavoratori temporanei, il divieto di sostituzione dei lavoratori in sciopero.
Mancava quindi del tutto la definizione legale della relazione giuridica
intercorrente tra l'agenzia fornitrice e il lavoratore inviato in missione che
fu risolta dalla giurisprudenza con soluzioni divergenti12.
Uno dei problemi principali era poi causato da tre obiezioni che si erano
mosse contro la parità di trattamento:

la deroga nordica: possibilità di derogare al principio attraverso la
contrattazione collettiva.
Nei paesi nordici, soprattutto in Svezia e Danimarca, essendo le
condizioni dei lavoratori regolate da contratti collettivi, si voleva
evitare che questo potere della contrattazione collettiva potesse
essere ridotto dall’adozione della direttiva. Questa deroga è
confluita nell’art. 5.3 della direttiva che prevede che gli Stati
possano accordare alle parti sociali la possibilità di concludere o
mantenere contratti collettivi nel rispetto della protezione globale
dei lavoratori e che attraverso i quali possono prevedere modalità
alternative di condizioni di lavoro e d’occupazione;

la deroga tedesca: possibilità di derogare al principio per quanto
concerne
il salario
dei lavoratori con
contratto
a
tempo
indeterminato stipulato dall'agenzia di lavoro interinale e previa
12
Il rapporto di lavoro è stato definito tanto come autonomo quanto come subordinato.
30
consultazione delle parti sociali (oggi cfr. art. 5 par.2 direttiva
2008/104).
L'includere o meno i lavoratori assunti a
tempo indeterminato
dall’agenzia tra i lavoratori cui si applica la direttiva è stato uno dei
punti più discussi del processo di contrattazione tra le parti sociali
europee e la deroga tedesca sembrava essere una soluzione
intermedia al problema;

la deroga inglese: compimento di un periodo di qualificazione,
cioè il periodo di dodici settimane durante le quali il lavoratore
interinale svolge lo stesso incarico presso lo stesso cliente e fino
alla conclusione del quale non si applica il principio di pari
trattamento con i dipendenti dell’utilizzatore.
Nella maggior parte dei paesi europei, il lavoro attraverso agenzia
è prettamente temporaneo e gli incarichi sono di breve durata. La
previsione di un lungo periodo di qualificazione dei lavoratori
comporta
l’esclusione
di
un
grande
numero
di
questi
dall'applicazione della direttiva.
Raggiunto un accordo sul principio di parità di trattamento13 e sul
lavoratore comparabile, comunque, gli Stati continuavano ad essere in
disaccordo sullo scopo della direttiva: alcuni enfatizzavano l’esigenza di
flessibilità del mercato del lavoro mentre altri Stati premevano per la
13
Il contrasto sulla parità di trattamento tra le parti sociali e il Consiglio riguardava vari aspetti: ci si
domandava se riguardasse solo il trattamento economico o anche quello normativo, se si dovesse
applicare dal primo giorno di missione o dopo un certo periodo, se fosse possibile prevedere delle
deroghe alla parità retributiva in caso di impiego a tempo indeterminato alle dipendenze
dell’agenzia interinale. Su tutti questi argomenti, le posizioni erano discordanti e un punto d’incontro
si è raggiunto con la previsione di cotante deroghe.
31
protezione dei lavoratori temporanei delle agenzie.
Nel maggio 2008, i partner sociali europei per le agenzie di lavoro
temporaneo
si
dichiararono
pronti
a
raggiungere
un
accordo
sull'attuazione del principio di parità di trattamento ribadendo la necessità
di una regolamentazione a livello europeo. Ciò portò il governo del Regno
Unito e le principali organizzazioni sindacali e dei datori di lavoro a trovare
un accordo sul principio stesso.
Negli ultimi tempi era emerso qualche segno di rottura rispetto al
tradizionale astensionismo britannico. Si era infatti introdotto nel 2004, in
seguito ad un episodio tragico14, il Gangmaster Licensing Act entrato
pienamente in vigore nel 2006 e contenente la previsione di un sistema di
licenze per la fornitura di lavoro temporaneo nel settore del packaging
industriale, dell’agricoltura ed orticultura, della raccolta dei frutti di mare.
Il cambiamento di rotta del Regno Unito dimostra come la disputa debba
essere risolta prima a livello nazionale in modo da evitare di contaminare
le negoziazioni a livello europeo.
Con la conversione del principale oppositore, fu possibile l'adozione di una
nuova bozza che fu inviata al Parlamento Europeo e alla fine adottata dal
Parlamento e dal Consiglio dell’Unione Europea il 19 novembre 2008.
6. La Parità di trattamento e il lavoratore comparabile.
14
Ci riferiamo alla tragedia di Morecambe Bay, nel Lancashire, dove annegarono il 5 febbraio 2004
ventitré lavoratori cinesi intenti nella raccolta di vongole. La tragedia evidenziò i rischi e i pericoli
della immigrazione clandestina verso l'economia britannica e portò all’emanazione del Gangmaster
Licensing Act.
32
Definizione di questi concetti nella proposta di direttiva n. 149 del 2002
relativa alle condizioni di lavoro dei lavoratori temporanei.
La Commissione nella Relazione allegata alla proposta di direttiva del 20
marzo 2002 ritenne possibile uno sviluppo armonico e socialmente
sostenibile del lavoro somministrato attraverso una piena legittimazione
sociale di questa forma di lavoro e una generalizzazione in tutti gli Stati
membri del principio di parità di trattamento come presupposto giuridico
necessario per superare qualsiasi tipo di speculazione parassitaria sul
lavoro altrui. Difatti la previsione di una base minima di diritti per i
lavoratori temporanei ne avrebbe aumentato l’attrattiva richiamando quindi
un maggior numero di lavoratori e di conseguenza ampliando le possibilità
di scelta dell’impresa utilizzatrice.
Le deroghe potevano essere ammesse solo in funzione di specifiche
misure di politica attiva volte all’inserimento o reinserimento nel mercato
del lavoro di soggetti svantaggiati così come si legge all’art 1.3 della
proposta di direttiva dove si prevedeva la possibilità per gli Stati di non
applicare la direttiva << ai rapporti di lavoro conclusi nell’ambito di un
programma di formazione, d’inserimento e di riqualificazione professionale
erogato direttamente o patrocinato da enti pubblici15 >>.
All’art. 2, relativo alle finalità della direttiva, si affermava che il
miglioramento della qualità del lavoro temporaneo si poteva ottenere
garantendo il rispetto del principio di non discriminazione nei confronti dei
15
La deroga si trova anche nel testo definitivo della direttiva.
33
lavoratori temporanei. In virtù di questo principio i lavoratori temporanei,
nel corso della prestazione, dovevano godere di un trattamento almeno
equivalente a quello di un lavoratore comparabile con riferimento alle
condizioni di base di lavoro e d’occupazione, comprese quelle che
derivano dall’anzianità lavorativa. Quindi per evitare qualsiasi tipo di
discriminazione bisognava avere ben chiari due concetti: ‘lavoratore
comparabile’ e ‘condizioni di base di lavoro e d’occupazione’.
La definizione di lavoratore comparabile era posta nell’art. 3 lett.b della
proposta di direttiva in cui lo si identificava con << il lavoratore
dell’impresa utilizzatrice che occupa un posto identico o analogo a quello
occupato dal lavoratore messo a disposizione dall’impresa di fornitura di
lavoro temporaneo, tenuto conto dell’anzianità, delle qualifiche e delle
competenze >>. L’art 5.5 prevedeva che nel caso non fosse rinvenibile
presso l’utilizzatore un lavoratore comparabile, si dovesse fare riferimento
al contratto collettivo applicabile all’impresa utilizzatrice o, in sua assenza,
al contratto collettivo applicabile all’agenzia interinale. Nel caso questi
parametri non fossero riscontrabili, si sarebbero dovute prendere in
considerazione le condizioni di base di lavoro e d’occupazione del
lavoratore temporaneo secondo le leggi e prassi nazionali16.
Agli artt. 5 e 6 della proposta, si prevedeva che il principio di non
discriminazione si applicasse almeno che non vi fossero ragioni oggettive
giustificatrici di una sua deroga e sempre che la missione o la serie di
16
Rientravano in queste condizioni (e alcune di esse rientrano tutt’oggi) secondo l’art. 3 lett.d
l’orario di lavoro, i periodi di riposo, il lavoro notturno, le ferie retribuite, le festività, la retribuzione, il
lavoro durante gravidanza e allattamento, etc.
34
missioni avessero una durata superiore alle sei settimane. Si derogava
alla parità di trattamento rispetto al lavoratore comparabile in relazione alla
retribuzione nel caso in cui il contratto di lavoro del lavoratore interinale
con l’agenzia fosse a tempo indeterminato e prevedesse la percezione di
un trattamento economico nel periodo intercorrente tra una missione e
l’altra.
La parità si rifletteva anche nel diritto del lavoratore temporaneo di dover
essere informato relativamente ai posti di lavoro permanenti disponibili
presso l’utilizzatore e la possibilità per i lavoratori somministrati di godere
dei servizi sociali dell’impresa utilizzatrice salvo oggettive ragioni
giustificatrici di un trattamento diverso.
Gli artt. 7 e 8 prevedevano un quadro minimo di tutela dei diritti collettivi
tanto dei lavoratori temporanei quanto di quelli alle dirette dipendenze
dell’utilizzatore. Disponevano rispettivamente che:
- i lavoratori temporanei dovevano essere computati nell’organico
dell’agenzia interinale ai fini della costituzione delle rappresentanze
sindacali. Agli Stati membri era poi attribuita la facoltà di prevedere che
fossero computati, allo stesso fine, anche presso l’utilizzatore;
- l’impresa utilizzatrice doveva informare le rappresentanze sindacali dei
propri lavoratori della presenza di lavoratori somministrati.
Nel periodo di negoziazione della direttiva, si erano discusse le possibili
modifiche al principio della parità di trattamento per cercare di raggiungere
un accordo tra i vari Stati membri senza mai riuscirci. Il punto più rilevante
35
riguardava però l’applicazione della parità di retribuzione tra lavoratore
interinale e lavoratore comparabile fin dal primo giorno di missione voluta
da undici Paesi, andando contro la previsione del periodo di esenzione per
incarichi di durata inferiore alle sei settimane (appoggiata da Regno Unito,
Irlanda, Germania e Danimarca).
Definizione secondo la direttiva 104 del 2008.
Dal combinato disposto dell’art. 5.1 e del considerando n.14 deduciamo
che le condizioni di base di lavoro e di occupazione dei lavoratori interinali
devono essere almeno identiche a quelle che si applicherebbero loro se
fossero stati assunti direttamente dall’impresa per svolgere gli stessi
incarichi.
Nel testo della direttiva adottato in via definitiva, a parte il richiamo su
citato, manca all’art. 3 un’espressa definizione di ‘lavoratore comparabile’
che era invece presente nella proposta di direttiva del 2002. La
Commissione, comunque, è incaricata di verificare se nella pratica il
riferimento a un lavoratore comparabile permetta la corretta applicazione
del principio o se invece dia luogo a pratiche discriminatorie nei confronti
dei lavoratori interinali. In quest’ultimo caso dovrà adottare le misure
necessarie a garantire la piena osservanza della direttiva.
La parità di trattamento potrebbe essere vista per un verso come divieto di
discriminazione dato che proibisce le differenziazioni basate sulla diversa
natura del modello di assunzione, per un altro come estrinsecazione di un
36
generale
principio
di
uguaglianza
sostanziale
caratterizzato
sia
dall’imposizione di divieti che da misure promozionali che gli Stati devono
attuare affinché sia rispettato il principio in questione.
La parità di trattamento e il confronto con il lavoratore comparabile si
traducono in parità di opportunità. I singoli ordinamenti devono concedere
ai lavoratori interinali ex art. 6:
- la possibilità di ricorrere all’interno dell’impresa utilizzatrice alle strutture
collettive (servizi di ristorazione, di trasporto, infrastrutture di accoglienza
dell’infanzia);
-
la
di
chance
accesso
all’impiego
stabile
attraverso
obblighi
d’informazione sull’esistenza di posti vacanti e il divieto di meccanismi che
limitino
o
impediscano
l’assunzione
alle
dirette
dipendenze
dell’utilizzatore.
Nel progetto di direttiva del 2002 si parlava di ‘principio di non
discriminazione’ come strumento volto a ottimizzare la qualità del lavoro
temporaneo mentre nella direttiva in esame si parla di ‘principio di parità di
trattamento’ sulla base del quale sono vietate le differenze di trattamento
fondate sulla diversa natura del modello di assunzione ed è promossa
l’uguaglianza sostanziale. Si può dire che questo cambio non sia stato
casuale, bensì sottolinea la maggior ampiezza degli obiettivi che sono
repressivi e promozionali allo stesso tempo.
La direttiva del 2008 ha poi mantenuto le previsioni della proposta relative
al diritto dei lavoratori interinali di essere informati sui posti disponibili
37
all’interno dell’impresa stessa e di ricorrere alle attrezzature collettive (art.
6), e alla possibilità di essere presi in considerazione per il calcolo della
soglia al di sopra della quale si devono costituire gli organi rappresentativi
dei lavoratori (art. 7). Si è mantenuta inoltre (all’art. 5.2) la parità di
retribuzione prevedendo però la possibilità degli Stati di derogarvi << nel
caso in cui lavoratori tramite agenzia interinale che sono legati da un
contratto a tempo indeterminato a un’agenzia interinale continuino a
essere retribuiti nel periodo che intercorre tra una missione e l’altra >>.
38
CAPITOLO 1
LA DIRETTIVA 2008/104
SOMMARIO: 1. Analisi dei ‘considerando’. - 2. Ambito di applicazione. - 3.
Finalità. - 4. Definizioni. - 5. Riesame dei divieti e delle restrizioni. - 6.
Principio della parità di trattamento. - 6.1 Rapporto con l’art. 3. - 6.2
Deroghe alla parità di trattamento. - 6.3 Abuso nell’applicazione dell’art.5 .
- 7. Accesso all’occupazione, alle attrezzature collettive e alla formazione
professionale. - 8.
Rappresentanza dei lavoratori tramite agenzia
interinale. - 9. Informazione dei rappresentanti dei lavoratori. - 10.
Disposizioni finali.
1. Analisi dei ‘considerando’.
La direttiva si applica ai lavoratori che hanno un contratto o un rapporto di
lavoro con un’agenzia interinale e che sono assegnati ad un’impresa
utilizzatrice sotto la direzione e il controllo della quale prestano il proprio
lavoro temporaneamente.
La direttiva è volta ad armonizzare la normativa comunitaria per la tutela
dei lavoratori tramite agenzia interinale tenendo conto di come siano
considerati in maniera differente la posizione giuridica, lo status, le
condizioni di lavoro dei lavoratori interinali nei diversi paesi dell’Unione
Europea (considerando 10). La grande varietà di discipline esistenti nei
Paesi dell’Unione aveva costituito il principale ostacolo all’introduzione di
una normativa europea in materia ed era stata causa del fallimento del
dialogo delle parti sociali. La situazione era così eterogenea da non
rendere possibile al legislatore l’individuazione di un modello unico di
lavoro interinale.
39
La direttiva in realtà non sceglie tra i diversi possibili modelli di lavoro
interinale ma fissa un certo grado di tutela per questa categoria di
lavoratori atipici basato sul principio della parità di trattamento.
Premesso che il lavoro somministrato permette ai lavoratori dipendenti di
conciliare la vita privata e professionale rispondendo alle esigenze di
flessibilità delle imprese (considerando 11), la direttiva stessa non manca
però di sottolineare la centralità dei contratti di lavoro a tempo
indeterminato indicandoli come << la forma comune dei rapporti di
lavoro>> (considerando 15).
Del resto lo stesso art. 6 della direttiva
prevede al primo paragrafo che gli interinali siano << informati dei posti
vacanti nell’impresa utilizzatrice, affinché possano aspirare, al pari degli
altri dipendenti dell’impresa, a ricoprire posti di lavoro a tempo
indeterminato >> ed al secondo paragrafo prevede che siano nulle le
clausole che vietano o impediscono << la stipulazione di un contratto di
lavoro o l’avvio di un rapporto di lavoro tra l’impresa utilizzatrice e il
lavoratore tramite agenzia interinale al termine della sua missione>>.
Al
considerando
12
si
prevede
un
quadro
normativo
<<
non
discriminatorio, trasparente e proporzionato nel rispetto della diversità dei
mercati del lavoro e delle relazioni industriali >>.
Inoltre deve essere applicato anche il principio di sussidiarietà1 infatti,
secondo il considerando 23, l’obiettivo della direttiva di istituire << un
1
Secondo l’art. 5,3 TUE << In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua
competenza esclusiva l'Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista
non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a
40
quadro armonizzato a livello comunitario per la tutela dei lavoratori tramite
agenzia interinale non può essere realizzato in maniera sufficiente dagli
Stati membri e può dunque, a causa delle dimensioni o degli effetti
dell’azione prevista, essere realizzato meglio a livello comunitario tramite
l’introduzione di prescrizioni minime applicabili all’intera Comunità >>.
La realizzazione del mercato interno deve portare a un miglioramento
delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori e questo risultato si può
raggiungere attraverso il ravvicinamento, nel progresso, di tali condizioni
soprattutto per alcune forme di lavoro quali il lavoro a tempo determinato,
a tempo parziale, tramite agenzia interinale, stagionale (considerando 2).
Le condizioni di base di lavoro e occupazione del lavoratore somministrato
<< dovrebbero essere almeno identiche a quelle che si applicherebbero a
tali lavoratori se fossero direttamente impiegati dall’impresa utilizzatrice
per svolgervi lo stesso lavoro >> (considerando 14).
Gli Stati membri, data la diversità dei mercati del lavoro, possono
accordare alle parti sociali la possibilità di individuare le condizioni di
lavoro e d’occupazione nel rispetto del livello globale di tutela dei
lavoratori tramite agenzia interinale (considerando 16). Le parti sociali
<<hanno il diritto di negoziare e di concludere contratti collettivi
conformemente alle legislazioni e alle prassi nazionali pur rispettando
l’attuale normativa comunitaria>> (considerando 19). Al verificarsi di
livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell'azione in questione,
essere conseguiti meglio a livello di Unione >>.
41
alcune circostanze ben individuate2, gli Stati membri devono avere la
possibilità di derogare al principio della parità di trattamento attraverso
accordi conclusi dalle parti sociali di livello nazionale che siano in grado di
garantire un appropriato livello di tutela (considerando 17).
Per migliorare la tutela minima dei lavoratori interinali si deve procedere a
un riesame delle eventuali restrizioni o divieti imposti al ricorso al lavoro
tramite agenzia; restrizioni o divieti che sono giustificati solo da ragioni di
interesse generale quali la tutela dei lavoratori, le prescrizioni in materia di
salute e sicurezza sul lavoro nonché la necessità di garantire il buon
funzionamento del mercato del lavoro e la prevenzione di abusi.
Sicuramente valido è poi il divieto di sostituire i lavoratori in sciopero con i
lavoratori tramite agenzia previsto da alcuni Stati membri.
2. Ambito di applicazione.
Articolo 1
1. La presente direttiva si applica ai lavoratori che hanno un contratto di
lavoro o un rapporto di lavoro con un’agenzia interinale e che sono
assegnati a imprese utilizzatrici per lavorare temporaneamente e sotto il
3
controllo e la direzione delle stesse.
2. La presente direttiva si applica alle imprese pubbliche e private che sono
agenzie di lavoro interinale o imprese utilizzatrici che esercitano un’attività
economica con o senza fini di lucro.
3. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, possono
prevedere che la presente direttiva non si applichi ai contratti o ai rapporti di
2
Si può derogare alla parità di trattamento al ricorrere delle circostanze indicate all’art. 5 della
direttiva: con riferimento alla retribuzione quando i lavoratori interinali sono legati da un contratto a
tempo indeterminato con l’agenzia e sono retribuiti anche nel periodo intercorrente tra una missione
e l’altra; quando gli Stati Membri lasciano alle parti sociali la possibilità di mantenere o concludere
contratti collettivi che stabiliscono modalità alternative relative alle condizioni di lavoro e
d’occupazione; quando le modalità alternative sono previste da accordi conclusi dalle parti sociali in
Paesi in cui i contratti collettivi non risultano essere universalmente applicabili né vi sia un sistema
legislativo che consenta di estendere questi contratti a tutte le imprese simili di un determinato
settore od area geografica.
3
I termini oggetto di questo paragrafo sono definiti nell’art. 3 e pertanto si rimanda al relativo
paragrafo.
42
lavoro conclusi nell’ambito di un programma specifico di formazione,
d’inserimento e di riqualificazione professionali, pubblico o sostenuto da enti
pubblici.
La bozza iniziale presentata il 20 marzo 2002 dalla Commissione
affermava che la direttiva fosse applicabile alle imprese pubbliche e
private esercenti un’attività economica con o senza fini di lucro. Non era
però chiaro se con ‘imprese pubbliche e private’ ci si riferisse alle agenzie
interinali e/o alle imprese utilizzatrici. Il punto fu chiarito successivamente
nel novembre dello stesso anno dal Parlamento Europeo il quale specificò
che la direttiva si applicava alle imprese pubbliche e private impegnate in
attività economiche e che operavano come agenzie interinali con o senza
fini di lucro e alle imprese utilizzatrici pubbliche o private impegnate o
meno in attività economiche con o senza fini di lucro.
Parallelamente, il gruppo di lavoro sulle questioni sociali cominciò ad
esaminare la proposta della Commissione articolo per articolo. Il Belgio, la
Finlandia e il Regno Unito chiesero espressamente dei chiarimenti in
relazione all’ambito di applicazione della direttiva in quanto non risultava
chiaro quali fossero i tipi di imprese incluse. La Commissione affermò che
ci si riferiva a imprese esercenti attività economiche (pertanto risultavano
incluse imprese pubbliche controllate dallo Stato) e che erano coperte sia
le agenzie di lavoro interinale che le imprese utilizzatrici.
Secondo il testo finale accolto, sia l’agenzia interinale che l’impresa
utilizzatrice
devono
essere
impegnate
in
attività
economiche.
Normalmente questo requisito risulta essere rispettato dalle agenzie; più
43
complessa è invece la situazione delle imprese utilizzatrici dato che non
tutte le attività possono essere identificate come tali.
Il testo definitivo del secondo paragrafo non impone agli Stati membri di
applicare la direttiva alle imprese utilizzatrici che non svolgono attività
economiche e pertanto questi hanno il diritto di escluderne l’applicazione a
quella parte del settore pubblico che non è impegnato in attività di tale
tipo.
In linea con il principio previsto dall’art. 153 TFUE che stabilisce gli
standard minimi di protezione, gli Stati possono mantenere o stabilire
<<misure, compatibili con i trattati, che prevedano una maggiore
protezione>> e quindi è accettabile l’applicazione della direttiva ad
imprese utilizzatrici che non esercitano attività economica. Dunque è
lasciata alla discrezionalità degli Stati membri la decisione relativa
all’estensione della direttiva, decisione da prendere nel momento della
trasposizione della stessa.
Le parti sociali avevano espresso poi un parere positivo in relazione ad
un’applicazione estesa della direttiva. Tra queste anche i rappresentanti di
UEAPME ed Eurociett per i quali la nozione di ‘attività economica’ avrebbe
dovuto ricevere un’ampia definizione in modo da evitare la concorrenza
sleale e da far rientrare tra le imprese utilizzatrici anche le pubbliche
amministrazioni, i sindacati e le organizzazioni di beneficenza.
La direttiva si applica alle imprese che sono agenzie interinali e, dato che
44
all’art. 3 troviamo un’autonoma definizione di agenzia interinale4, la
direttiva potrebbe in alcune situazioni essere applicata a determinate
categorie di datori di lavoro che non rientrano nel concetto di agenzia
interinale proprio della legislazione nazionale. Ovviamente l’impresa in
questione deve perfettamente rispettare le indicazioni contenute negli artt.
1 e 3 della direttiva.
In questo senso, la direttiva non è applicabile a:
a) lavoratori impiegati da un’azienda che non sia un’agenzia interinale e
che in un determinato momento vengano messi a disposizione di un’altra
azienda appartenente allo stesso gruppo di imprese con lo scopo di farli
adattare al cambiamento economico;
b) contabili impiegati presso un’azienda specializzata in contabilità che
potrebbero essere distaccati presso un’altra azienda per un periodo di
tempo limitato in maniera tale da lavorare sotto la direzione e la
supervisione giornaliera di quest’ultima azienda. In questo caso i contabili
sono solo casualmente messi a disposizione di un’altra impresa ma non
sono stati assunti con questo specifico scopo.
La direttiva è invece applicabile a:
a) contabili assunti da agenzie interinali e messi a disposizione
dell’azienda per un periodo limitato di tempo;
4
Alla lett.b dell’art. 3.1 leggiamo che per agenzia interinale si intende << qualsiasi persona fisica o
giuridica che, conformemente alla legislazione nazionale, sottoscrive contratti di lavoro o inizia
rapporti di lavoro con lavoratori tramite agenzia interinale al fine di inviarli in missione presso
imprese utilizzatrici affinché prestino temporaneamente la loro opera sotto il controllo e la direzione
delle stesse >>.
45
b) servizio pubblico per l'impiego che può, in alcuni Stati membri,
impiegare lavoratori e assegnarli a imprese utilizzatrici sotto la cui
direzione e controllo lavorano provvisoriamente. Quest’attività è tipica
delle agenzie interinali e pertanto i servizi pubblici d’impiego devono
essere considerati alla pari di queste agenzie quando svolgono tali attività.
Ovviamente, è fatta salva la deroga espressamente prevista nel terzo
paragrafo per cui la direttiva non si applica << ai contratti o ai rapporti di
lavoro conclusi nell’ambito di un programma specifico di formazione,
d’inserimento e di riqualificazione professionali, pubblico o sostenuto da
enti pubblici>> quando espressamente previsto. Lo scopo della deroga è
la
promozione
di
misure
volte
al
miglioramento
dell’inserimento
professionale di alcune categorie di lavoratori che incontrano difficoltà
nell’entrare o nel rientrare nel mercato del lavoro. Si applica inoltre agli
enti di beneficenza che operano come agenzie interinali mettendo a
disposizione delle imprese utilizzatrici persone svantaggiate (es: portatori
di handicap o ex detenuti) in modo da permettergli un graduale
riadattamento alle normali condizioni di lavoro. Ovviamente questi enti non
operano con intenti lucrativi e sono spesso finanziati dalle comunità
religiose, dai sindacati, dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dalle
ONG umanitarie.
Questo terzo paragrafo è un’eccezione alla regola generale, eccezione
che per UNI-Europa e CES va interpretata in senso restrittivo.
46
3. Finalità.
Articolo 2
La presente direttiva è volta a garantire la tutela dei lavoratori tramite
agenzia interinale e migliorare la qualità del lavoro tramite agenzia interinale
garantendo il rispetto del principio della parità di trattamento di cui all’articolo
5 nei confronti dei lavoratori tramite agenzia interinale e riconoscendo tali
agenzie quali datori di lavoro, tenendo conto nel contempo della necessità di
inquadrare adeguatamente il ricorso al lavoro tramite agenzia interinale al
fine di contribuire efficacemente alla creazione di posti di lavoro e allo
sviluppo di forme di lavoro flessibili.
Lo scopo del ricorrere alle agenzie di lavoro interinale quali datori di lavoro
e non come semplici mediatori è quello di contribuire alla creazione di
nuovi posti di lavoro e alla flessibilizzazione dello stesso. La normativa
comunitaria concilia quindi due esigenze: tutela dei lavoratori e flessibilità
delle aziende.
Le finalità della direttiva si possono realizzare distinguendo tra il contratto
commerciale di somministrazione e quello di lavoro. Non vi è alcuna
sincronizzazione temporale tra la durata del contratto di lavoro tra
l’agenzia e il lavoratore ed il contratto commerciale tra l’agenzia e
l’utilizzatore.
Il lavoratore interinale è tutelato dall’applicazione del principio della parità
di trattamento rispetto al lavoratore impiegato direttamente dalla stessa
impresa per svolgervi il medesimo lavoro. Questo principio è volto a
migliorare la qualità del lavoro interinale e le parti sociali possono
prevedere condizioni particolari di lavoro purché sia rispettato il livello
globale di tutela.
Il testo finale della direttiva impone delle puntualizzazioni in merito agli
obiettivi che si propone di perseguire. Da un esame attento dell’iter
47
legislativo e dei relativi documenti emerge una novità: la finalità antielusiva
a cui il processo di armonizzazione deve tendere.
Il Consiglio di Lussemburgo del 9 e 10 giugno 2008 ha raggiunto un
accordo politico volto ad assicurare l’equilibrio tra la protezione dei
lavoratori interinali e la necessaria flessibilità con riferimento all’uso e alle
condizioni di tutela. Per trovare un accordo su questo punto bisognava
effettuare una ponderazione tra il principio di parità di trattamento e le
relative deroghe. Accanto alle finalità occupazionali e di tutela delle
condizioni di lavoro, l’armonizzazione delle normative è avvenuta con
un’intenzione anti-abusiva: il vizio da reprimere doveva essere l’abusiva
successione di missioni a cui venivano di volta in volta adibiti i lavoratori.
L’obiettivo di contrastare la precarizzazione del lavoro ha un’applicazione
trasversale, volta a promuovere un’occupazione di qualità e la tutela delle
condizioni dei lavoratori. Del resto, la strategia europea in materia sociale
e di politiche occupazionali è una politica di flexicurity che coniuga
l’allentamento dei vincoli contrattuali con il rafforzamento delle tutele nel
mercato.
4. Definizioni.
Articolo 3
1. Ai fini della presente direttiva si intende per:
a) «lavoratore»: qualsiasi persona che, nello Stato membro interessato, è
protetta in qualità di lavoratore nel quadro del diritto nazionale del lavoro;
b) «agenzia interinale»: qualsiasi persona fisica o giuridica che,
conformemente alla legislazione nazionale, sottoscrive contratti di lavoro o
inizia rapporti di lavoro con lavoratori tramite agenzia interinale al fine di
inviarli in missione presso imprese utilizzatrici affinché prestino
temporaneamente la loro opera sotto il controllo e la direzione delle stesse;
c) «lavoratore tramite agenzia interinale»: il lavoratore che sottoscrive un
48
contratto di lavoro o inizia un rapporto di lavoro con un’agenzia interinale, al
fine di essere inviato in missione presso un’impresa utilizzatrice per prestare
temporaneamente la propria opera sotto il controllo e la direzione della
stessa;
d) «impresa utilizzatrice»: qualsiasi persona fisica o giuridica presso cui e
sotto il cui controllo e direzione un lavoratore tramite agenzia interinale presti
temporaneamente la propria opera;
e) «missione»: il periodo durante il quale il lavoratore tramite agenzia
interinale è messo a disposizione di un’impresa utilizzatrice affinché presti
temporaneamente la propria opera sotto il controllo e la direzione della
stessa;
f) «condizioni di base di lavoro e d’occupazione»: le condizioni di lavoro e
d’occupazione previste da disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative, da contratti collettivi e/o da altre disposizioni vincolanti di
portata generale in vigore nell’impresa utilizzatrice relative a:
i) l’orario di lavoro, le ore di lavoro straordinario, le pause, i periodi di riposo,
il lavoro notturno, le ferie e i giorni festivi;
ii) la retribuzione.
2. La presente direttiva lascia impregiudicate le definizioni di retribuzione,
contratto di lavoro, rapporto di lavoro o lavoratore, contenute nella
legislazione nazionale.
Gli Stati membri non escludono dall’ambito d’applicazione della presente
direttiva i lavoratori, i contratti o i rapporti di lavoro unicamente per il fatto
che riguardano lavoratori a tempo parziale, lavoratori a tempo determinato o
persone che hanno un contratto o un rapporto di lavoro con un’agenzia
interinale.
Da questo articolo risulta chiaro che quando si parla di ‘lavoratore’ ci si
riferisce alla nozione propria del diritto del lavoro di ciascuno Stato
membro e, in virtù del secondo paragrafo, si devono includere i lavoratori
a tempo parziale, i lavoratori a tempo determinato ed i lavoratori tramite
agenzia interinale.
La definizione data è quindi di tipo sussidiario visto che è rimessa ai
legislatori nazionali.
Si fa però un passo in avanti rispetto alle direttive 97/81/CE e 99/70/CE in
quanto il soggetto destinatario della direttiva è il lavoratore protetto.
Ci si concentra sullo status di protezione conferito dai legislatori nazionali
e a livello europeo si tenta di superare la dicotomia nei rapporti di lavoro
49
tra lavoro autonomo e subordinato consentendo di attribuire con la
direttiva stessa ulteriori tutele. Si vuole apprestare una tutela che vada
oltre lo status di lavoratore subordinato e che possa essere riferita a
qualsiasi persona che ha un contratto o un rapporto di lavoro con
un’agenzia interinale anche se non possa essere considerata come
lavoratore protetto nell’ordinamento interno.
La definizione di ‘agenzia interinale’ è tanto ampia quanto necessario a
includere le imprese pubbliche, private e anche quelle che operano senza
scopo di lucro. Sono ricomprese sia le persone fisiche, sia le persone
giuridiche. Premesso che l’attività può essere svolta a prescindere dalla
forma giuridica e dalle dimensioni, risulta comunque difficile immaginare la
presenza di agenzie interinali che non abbiano personalità giuridica.
Queste difatti rappresentano rare eccezioni.
Quando si parla di ‘lavoratore tramite agenzia interinale’, la direttiva
permette di coprire una vasta gamma di situazioni, a prescindere dalle
differenze proprie delle legislazioni nazionali. Sono inclusi i lavoratori a
tempo determinato così come quelli che hanno un contratto a tempo
indeterminato con l’agenzia.
La caratteristica principale del lavoro tramite agenzie interinali è la
partecipazione di tre parti. Il lavoratore interinale è impiegato e retribuito
dall’agenzia interinale ma non lavora sotto la sua supervisione giornaliera.
Viene messo a diposizione di un altro ente, l’impresa utilizzatrice, presso il
quale fornisce il suo lavoro insieme ad altri lavoratori che sono impiegati
50
direttamente dall’impresa stessa ed alla cui supervisione e direzione è
sottoposto.
La direttiva non si applica alle agenzie la cui funzione è limitata al mettere
in contatto i lavoratori con le imprese che devono assumere personale a
tempo indeterminato. In questi casi, infatti, ci troviamo davanti un’attività
d’intermediazione5: i lavoratori sono impiegati direttamente dall’impresa e
non vi è alcuna relazione contrattuale tra l’agenzia d’intermediazione ed il
lavoratore.
La direttiva si applica esclusivamente alle situazioni d’impiego del
lavoratore con lo scopo di assegnarlo a un’impresa utilizzatrice per un
periodo di tempo limitato.
Il lavoratore interinale è alle dipendenze dell’agenzia interinale. In alcuni
casi però, soprattutto nei paesi di common law, questi lavoratori anche se
sono pagati dalle agenzie interinali non sono considerati, dalla legislazione
nazionale, come impiegati da quest’ultime. Tuttavia, se sono rispettate le
condizioni indicate nell’art. 1.16, il lavoratore è inteso come impiegato
presso l’agenzia interinale a prescindere dalla qualificazione giuridica data
a questo rapporto dall’ordinamento nazionale.
5
Ex art. 2.1 del d. lgs. 273/2001 l’intermediazione è << l'attività di mediazione tra domanda e offerta
di lavoro, anche in relazione all'inserimento lavorativo dei disabili e dei gruppi di lavoratori
svantaggiati, comprensiva tra l'altro: della raccolta dei curricula dei potenziali lavoratori; della
preselezione e costituzione di relativa banca dati; della promozione e gestione dell'incontro tra
domanda e offerta di lavoro; della effettuazione, su richiesta del committente, di tutte le
comunicazioni conseguenti alle assunzioni avvenute a seguito della attività di intermediazione;
dell'orientamento professionale; della progettazione ed erogazione di attività formative finalizzate
all'inserimento lavorativo >>.
6
Si deve trattare di un << contratto di lavoro o un rapporto di lavoro con un’agenzia interinale e che
sono assegnati a imprese utilizzatrici per lavorare temporaneamente e sotto il controllo e la
direzione delle stesse>>.
51
Le agenzie interinali devono essere distinte dai contratti di subappalto con
cui l’appaltatore affida a un terzo l’esecuzione parziale o totale dell’opera o
del servizio che si è impegnato a compiere in forza di un precedente
contratto di appalto, ferma restando la responsabilità dell’originario
appaltatore nei confronti del committente per l’esecuzione dell’opera o del
servizio. Ovviamente in questi casi la direttiva non trova applicazione.
Dal combinato disposto dell’art. 3.1 lett. b e lett. c si desume con sicurezza
che il datore di lavoro è l’agenzia anche se manca un’espressa
qualificazione del tipo di rapporto che intercorre tra questa ed il lavoratore.
Quando si parla di ‘impresa utilizzatrice’, ci si riferisce alle persone sia
fisiche che giuridiche mentre non hanno rilevanza la relativa forma
giuridica e le dimensioni minime. Il lavoratore interinale, infatti, può
prestare la propria opera temporaneamente anche presso un lavoratore
autonomo come per es. un artigiano.
È dunque evidente che all’espressione ‘impresa utilizzatrice’ è stato
attribuito un significato ampio tanto più se si considera che la direttiva si
applica anche agli enti pubblici impegnati in attività economiche con o
senza scopo di lucro, senza pregiudizio alcuno per l’art. 1.3 secondo il
quale gli Stati membri possono prevedere che la direttiva non si applichi ai
contratti o rapporti di lavoro conclusi nell’ambito di un programma di
formazione, riqualificazione o inserimento professionale sostenuto da enti
pubblici.
La durata della missione è temporanea ma non è espressamente stabilito
52
alcun limite. Questa differisce nei vari Paesi membri, può tanto essere
limitata ad alcuni giorni quanto prolungarsi per mesi a seconda della
natura dell’incarico che, comunque, rimane di carattere temporaneo.
5. Riesame dei divieti e delle restrizioni.
Articolo 4
1. I divieti o le restrizioni imposti quanto al ricorso al lavoro tramite agenzie
di lavoro interinale sono giustificati soltanto da ragioni d’interesse generale
che investono in particolare la tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale,
le prescrizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro o la necessità di
garantire il buon funzionamento del mercato del lavoro e la prevenzione di
abusi.
2. Entro il 5 dicembre 2011 gli Stati membri, previa consultazione delle parti
sociali, conformemente alla legislazione dei contratti collettivi e delle prassi
nazionali, riesaminano le restrizioni o i divieti sul ricorso al lavoro tramite
agenzia interinale al fine di accertarne la fondatezza in forza delle
disposizioni di cui al paragrafo 1.
3. Se i summenzionati divieti o restrizioni sono fissati da contratti collettivi, il
riesame di cui al paragrafo 2 può essere effettuato dalle parti sociali che
hanno negoziato il pertinente contratto.
4. I paragrafi 1, 2 e 3 lasciano impregiudicati i requisiti nazionali in materia di
registrazione, autorizzazione, certificazione, garanzia finanziaria o controllo
delle agenzie di lavoro interinale.
5. Gli Stati membri comunicano alla Commissione i risultati del riesame di
cui ai paragrafi 2 e 3 entro il 5 dicembre 2011.
La direttiva vuole raggiungere un giusto equilibrio tra il proteggere i
lavoratori interinali e il supportare il compito positivo svolto dalle agenzie
nell’offrire flessibilità al mercato del lavoro.
Fin dall’inizio delle negoziazioni era chiaro che quest’articolo avrebbe fatto
parte del compromesso politico tra gli Stati membri che insistevano sulla
necessità di rimuovere ogni ostacolo relativo all’attività delle agenzie
interinali e quelli che enfatizzavano il riconoscimento del principio di parità
di trattamento fin dal primo giorno di lavoro presso l’impresa utilizzatrice.
53
Gli Stati membri avevano il dovere di riesaminare le restrizioni o proibizioni
nazionali poste all’utilizzo di questa forma d’impiego e di informare la
Commissione circa la loro fondatezza entro il 5 dicembre 2011, data
fissata per la conformazione degli ordinamenti nazionali alla direttiva7. Il
riesame doveva riguardare qualsiasi misura interna limitativa prevista dalle
leggi, dai regolamenti, dalle disposizioni amministrative a qualsiasi livello:
nazionale, regionale, locale.
Tra i divieti e le restrizioni che sono applicabili ai lavoratori interinali si
rinvengono i seguenti: divieto di impiego in attività considerate pericolose;
divieto di offrire contratti a tempo indeterminato; limitazione dei possibili
rinnovi al contratto di lavoro; limitazione al numero di lavoratori interinali
che l’impresa può utilizzare. Queste indicazioni non sono vincolanti ed è
possibile aggiungere altri limiti nel rispetto della normativa.
Il riesame deve essere effettuato da autorità competenti e preceduto dalla
consultazione delle parti sociali conformemente alla legislazione nazionale
e alla contrattazione collettiva. Se le limitazioni sono state inserite dalle
parti sociali che hanno negoziato i contratti collettivi, il terzo paragrafo
riconosce alle stesse la possibilità di revisione. Ciò accade ad es. quando
la legislazione nazionale non fissa una durata massima per le missioni ma
lascia alle parti sociali il compito di stabilirla e queste la fissano nel
contratto collettivo.
7
Al tempo in cui si scrive, sono state emanate misure per implementare i principi della direttiva in
diciannove Paesi. L’argomento sarà analizzato nel successivo capitolo.
54
Le limitazioni sono giustificate solo da interessi generali relativi a << la
tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale, le prescrizioni in materia di
salute e sicurezza sul lavoro o la necessità di garantire il buon
funzionamento del mercato del lavoro e la prevenzione di abusi >>. Sono
questi gli unici argomenti che giustificano delle limitazioni. Le restrizioni si
devono basare sull’interesse generale del lavoratore o non hanno alcuna
giustificazione.
Durante il processo di negoziazione della direttiva, l’obiettivo che ci si era
posti era quello di rivedere solo le restrizioni specifiche come quelle
settoriali (es: nell’edilizia) e non gli aspetti generali che possono ricadere
nell’ambito dell’art. 5.5 volto a prevenire possibili abusi.
La Commissione, al contrario, sosteneva che il riesame si dovesse
applicare a tutte le restrizioni e i divieti senza distinzioni, nel rispetto dei
requisiti fissati dagli ordinamenti nazionali ex art. 4.4.
Dal testo finale della direttiva si evince che questa è parte integrante della
politica dell’Unione volta a bilanciare flessibilità e sicurezza per i lavoratori
e che l’art. 4 gioca un ruolo fondamentale in questo bilanciamento.
L’interesse generale deve essere interpretato in senso stretto e se le
restrizioni e i divieti non risultano essere necessari e proporzionati allo
scopo o legittimi dovranno essere rimossi. Secondo la CES ed UNIEuropa, però, l’abolizione di restrizioni e divieti non rientra nello scopo
della direttiva che è invece volta a proteggere i diritti dei lavoratori.
55
Stabilito che gli Stati membri devono rivedere i limiti legali mentre le parti
sociali quelli posti dalla contrattazione collettiva, la responsabilità della
revisione nonché quella di informare la Commissione dei risultati della
stessa, grava sugli Stati membri.
Essenziale è il rispetto degli accordi stretti dalle parti sociali dato che in
alcuni Paesi costituiscono una fonte importante di regolamentazione del
lavoro temporaneo. In tal senso Eurociett e UEAPME sostengono che il
processo di revisione non dovrebbe coinvolgere solo le parti sociali a
livello intersettoriale ma che queste dovrebbero essere affiancate dalle
federazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori rappresentanti il settore
delle agenzie interinali data la loro estesa esperienza in questo campo.
Le limitazioni devono essere analizzate alla luce dei << requisiti nazionali
in materia di registrazione, autorizzazione, certificazione, garanzia
finanziaria o controllo delle agenzie di lavoro interinale >>. Pertanto, le
condizioni che rientrano in una di queste categorie non sono soggette ad
alcun obbligo di revisione purché rispettino la libertà di stabilimento e la
libertà di prestazione dei servizi ex artt. 49 e 56 TFUE così come
interpretati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Ciò comporta che
le previsioni nazionali che subordinano l’accesso o l’esercizio dell’attività
di somministrazione alla presenza di autorizzazioni, garanzie finanziarie,
certificazioni o a qualsiasi altro tipo di restrizione o di divieto devono
essere giustificate e proporzionate allo scopo che si intende realizzare nel
56
rispetto delle due libertà suindicate e della relativa giurisdizione
comunitaria8.
Questo articolo sembra quindi imporre un’incisiva liberalizzazione del
ricorso a lavoro tramite agenzia ma in realtà la formulazione ampia delle
eccezioni riduce l’influenza del legislatore comunitario sull’ordinamento
interno. Il risultato è che si è attivato un processo di verifica delle
normative interne imponendo la rimozione di divieti e di restrizioni.
Ciò che si richiede esattamente ai legislatori nazionali non è l’eliminazione
tout court di tutte le restrizioni e divieti, ma che questi non costituiscano
impedimenti ingiustificati al ricorso alla somministrazione di lavoro.
6. Principio della parità di trattamento.
Articolo 5
1. Per tutta la durata della missione presso un’impresa utilizzatrice, le
condizioni di base di lavoro e d’occupazione dei lavoratori tramite agenzia
interinale sono almeno identiche a quelle che si applicherebbero loro se
fossero direttamente impiegati dalla stessa impresa per svolgervi il
medesimo lavoro.
Ai fini dell’applicazione del primo comma le regole in vigore nell’impresa
utilizzatrice riguardanti:
a) la protezione delle donne in stato di gravidanza e in periodo di
allattamento e la protezione dei bambini e dei giovani; e
b) la parità di trattamento fra uomini e donne e ogni azione volta a
combattere qualsiasi forma di discriminazione fondata su sesso, razza o
origine etnica, religione o convinzioni personali, disabilità, età o tendenze
sessuali, devono essere rispettate a norma di quanto stabiliscono le
disposizioni legislative, regolamentari e amministrative, i contratti collettivi
e/o le altre disposizioni di portata generale.
2. Per quanto riguarda la retribuzione, gli Stati membri possono, previa
consultazione delle parti sociali, prevedere una deroga al principio di cui al
paragrafo 1 nel caso in cui i lavoratori tramite agenzia interinale che sono
legati da un contratto a tempo indeterminato a un’agenzia interinale
continuino a essere retribuiti nel periodo che intercorre tra una missione e
l’altra.
3. Dopo aver consultato le parti sociali, gli Stati membri possono accordare
loro, al livello appropriato e alle condizioni da essi previste, l’opzione di
8
Si può fare riferimento soprattutto a due casi: C-279/80 Webb e C-279/00 Commissione contro
Italia.
57
mantenere o concludere contratti collettivi che, nel rispetto della protezione
globale dei lavoratori tramite agenzia interinale, possono stabilire modalità
alternative riguardanti le condizioni di lavoro e d’occupazione dei lavoratori
tramite agenzia interinale, diverse da quelle di cui al paragrafo 1.
4. A condizione che sia garantito ai lavoratori tramite agenzia interinale un
livello adeguato di protezione, gli Stati membri che non possiedono né un
sistema legislativo che dichiari i contratti collettivi universalmente applicabili,
né un sistema legislativo o di prassi che consenta di estendere le
disposizioni di tali contratti a tutte le imprese simili in un determinato settore
o area geografica possono, previa consultazione delle parti sociali a livello
nazionale e in base a un accordo concluso dalle stesse, stabilire modalità
alternative riguardanti le condizioni di base di lavoro e d’occupazione in
deroga al principio di cui al paragrafo 1. Tali modalità alternative possono
prevedere un periodo di attesa per il conseguimento della parità di
trattamento.
Le modalità alternative di cui al presente paragrafo sono conformi alla
normativa comunitaria e sufficientemente precise e accessibili da consentire
ai settori e alle aziende interessate di individuare e assolvere i loro obblighi.
Gli Stati membri precisano, in particolare, in applicazione dell’articolo 3,
paragrafo 2, se regimi professionali di sicurezza sociale, inclusi i regimi
pensionistici, i regimi relativi alle prestazioni per malattia o i regimi di
partecipazione finanziaria dei lavoratori, sono compresi nelle condizioni di
base di lavoro e d’occupazione di cui al paragrafo 1. Tali modalità alternative
lasciano inoltre impregiudicati eventuali accordi a livello nazionale,
regionale, locale o settoriale che non siano meno favorevoli ai lavoratori.
5. Gli Stati membri adottano le misure necessarie, conformemente alla
legislazione e/o le pratiche nazionali, per evitare il ricorso abusivo
all’applicazione del presente articolo e, in particolare, per prevenire missioni
successive con lo scopo di eludere le disposizioni della presente direttiva.
Essi informano la Commissione di qualsiasi misura in tal senso.
Se leggiamo quest’articolo congiuntamente al considerando n. 14
possiamo dire che le condizioni di base di lavoro e di occupazione dei
lavoratori assunti tramite agenzia interinale devono essere almeno
identiche a quelle che si applicherebbero loro se fossero stati impiegati
direttamente dalla stessa impresa per svolgere le medesime mansioni.
Il principio della parità di trattamento rappresenta il cuore della
regolamentazione; è stato il punto centrale del dibattito in sede di
adozione della direttiva. Si discuteva infatti se la parità riguardasse solo il
trattamento economico o anche il profilo normativo, se si dovesse
applicare dal primo giorno di missione o dopo un certo periodo temporale,
58
se fosse possibile prevedere delle deroghe alla parità retributiva nel caso
in cui il lavoratore fosse impiegato a tempo indeterminato presso l’agenzia
interinale.
6.1 Il rapporto con l’art. 3.
Per capire quali sono le condizioni che devono essere garantite in maniera
paritaria, quest’articolo deve essere letto insieme all’art. 3.1 lett.f.
L’art. 3.1 lett.f fornisce la definizione di condizioni di base di lavoro e
d’occupazione basandosi su << l’orario di lavoro, le ore di lavoro
straordinario, le pause, i periodi di riposo, il lavoro notturno, le ferie e i
giorni festivi; la retribuzione >>.
L’art. 5.1 dispone che durante la missione, le condizioni di base dei
lavoratori interinali devono essere almeno identiche a quelle che
sarebbero dovute essere applicate ai lavoratori stessi se fossero stati
assunti direttamente dall’impresa per svolgere lo stesso lavoro e aggiunge
che devono essere rispettati i contratti collettivi e le disposizioni di portata
generale. La parità inoltre è volta a proteggere le donne in stato di
gravidanza o allattamento, i bambini e i giovani, nonché a combattere
qualsiasi forma di discriminazione ed ovviamente si riflette anche sul
rapporto uomo-donna.
Leggendo congiuntamente queste due disposizioni, il principio assume
una portata molto ampia e difatti incide su tutti gli aspetti del rapporto di
lavoro.
59
Secondo Zappalà9, assume la forma di un divieto di discriminazione in
quanto proibisce le differenziazioni fondate sulla diversa natura del
modello negoziale di assunzione. Non sarebbe possibile comunque altra
interpretazione data la mancanza in molti Paesi europei, tra cui l’Italia, di
un principio di parità di trattamento per i lavoratori del settore privato per
cui non sarebbe affatto scontata la concessione di trattamenti normativi ed
economici uguali a parità di mansioni.
Il confronto non avviene in relazione ai trattamenti applicati in concreto ai
singoli lavoratori, bensì rispetto al contratto di lavoro applicato all’unità
produttiva di riferimento.
Soprattutto per quanto riguarda la retribuzione, non possono essere presi
come parametri di riferimento le deroghe in melius individuali. Se poi
nell’unità produttiva che si prende in considerazione non è applicato alcun
contratto collettivo, sorgono problemi interpretativi ed è onere dell’agenzia
motivare le differenze nei trattamenti partendo da una presunzione iuris
tantum di un’identità di trattamento.
Spetterà poi al giudice verificare quali trattamenti attribuiti ai lavoratori
siano riconosciuti intuitu personae ai prestatori d’opera per loro specifiche
caratteristiche.
Quando si applica un determinato contratto collettivo, l’impresa determina
sulla base dello stesso la retribuzione del personale considerando le
relative qualifiche, esperienze professionali, l’anzianità. Il lavoratore
9
ZAPPALÀ L., La «flessibilità nella sicurezza» alla prova. Il caso del lavoro temporaneo fra soft law e
hard law, in DLRI, 2003, 69 ss.
60
interinale impiegato nell’impresa avrà diritto alla stessa retribuzione del
lavoratore assunto direttamente dall’impresa per occupare una posizione
di pari livello e gli si applicheranno le stesse disposizioni vincolanti di
carattere generale. Le sue qualificazioni ed esperienze professionali
dovranno essere prese in considerazione sulla base dei criteri stabiliti
dalla relativa contrattazione collettiva.
Se invece all’impresa utilizzatrice non si applica alcun contratto collettivo,
questa utilizzerà le tabelle salariali per l’organico stabile. Queste tabelle si
basano
sull’esperienza
professionale
dei
lavoratori
e
quindi
si
applicheranno anche ai lavoratori interinali tenendo in conto le esperienze
rilevanti precedenti la data di inizio dell’incarico.
Per quanto riguarda la natura giuridica delle condizioni base di lavoro e
occupazione, la CES ha adottato un’interpretazione molto ampia che
tenga conto sia delle leggi che delle prassi nazionali.
La direttiva prevede che il principio della parità di trattamento si applichi
alle condizioni di base di lavoro e occupazione senza alcuna restrizione.
Non si deve però pregiudicare la possibilità degli ordinamenti nazionali di
derogarvi secondo quanto previsto dai paragrafi 2 e 5 dell’art. 5, per
esempio in relazione alla retribuzione (come già detto riguardo alle
possibili deroghe in melius individuali), e senza compromettere l’adozione
delle misure necessarie volte ad ostacolare possibili abusi a siffatto potere
di deroga.
61
Per quanto riguarda l’orario di lavoro, le ore di lavoro straordinario, le
pause, i periodi di riposo, il lavoro notturno, le problematiche devono
essere risolte considerando che il lavoratore interinale deve avere almeno
gli stessi diritti che gli sarebbero stati riconosciuti se fosse stato assunto
direttamente dall’impresa utilizzatrice per svolgere i medesimi incarichi.
La comparazione deve essere basata sulle disposizioni normative in
vigore presso l’impresa e ciò comporta che i diritti dei lavoratori interinali
possano essere inferiori rispetto alle indicazioni minime previste nelle
direttive europee sull’orario di lavoro.
Il concetto di retribuzione non è definito nella direttiva e l’art. 3.2 lascia agli
Stati membri il compito di determinarne il contenuto. Tuttavia, se
quest’incarico spettasse alla Corte di Giustizia, sarebbe possibile
prevedere un ricorso all’art. 157 TFUE per il quale non ci devono essere
discriminazioni fondate sul sesso per uno stesso lavoro o per uno di pari
valore.
L’art. 157.2 stabilisce inoltre che il termine ‘retribuzione’ indica << il salario
o trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati
direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro
al lavoratore in ragione dell'impiego di quest'ultimo>>. Secondo la
giurisprudenza della CGUE il concetto di ‘retribuzione’ include anche le
ore di lavoro straordinario, i bonus, le agevolazioni per i viaggi, le
indennità per la frequenza di corsi di formazione, i regimi pensionistici, etc.
62
L’art 153 TFUE al quinto comma (prima 137.5 TCE) statuisce
esplicitamente che le disposizioni10 in esso contenute non si applicano alla
retribuzione dei lavoratori. Questa indicazione però non è sufficiente a
evitare che il legislatore europeo stabilisca che la parità di trattamento si
applichi anche al salario del lavoratore interinale con la conseguenza che
questo dovrebbe essere pari a quello che egli avrebbe percepito se fosse
stato impiegato direttamente dall’impresa utilizzatrice per svolgere gli
stessi compiti11.
La Commissione ha inoltre specificato che l’elenco delle condizioni di base
di lavoro e d’occupazione fissato alla lettera F dell’art. 3 non costituisce
una lista esaustiva dato che gli Stati membri possono applicare il principio
della parità di trattamento anche ad altre condizioni.
La regola generale è che tutte le direttive che si basano sull’art. 153 TFUE
stabiliscono i requisiti minimi per la protezione dei lavoratori. In virtù
dell’art. 9 della direttiva 2008/104, gli Stati possono applicare o introdurre
disposizioni volte a consentire la conclusione di contratti collettivi e accordi
10
Per l’art. 153, l’Unione Europea completa e sostiene l’azione degli Stati membri adottando misure
destinate a incoraggiare la cooperazione tra Stati membri o adottando attraverso le direttive le
prescrizioni minime applicabili. Ciò non vale per la retribuzione.
11
Quanto detto, è stato confermato dalla CGUE nella causa C-307/05 Yolanda Del Cerro Alonso e
Osakidetza-Servicio Vasco de Salud dove ai punti 40 e 41 si legge che: <<Per quanto riguarda in
particolare l'eccezione relativa alle «retribuzioni», di cui all'art. 137, n. 5, CE, essa trova la sua
ragion d'essere nel fatto che la determinazione del livello degli stipendi rientra nell'autonomia
contrattuale delle parti sociali su scala nazionale, nonché nella competenza degli Stati membri in
materia. Ciò posto, è stato giudicato appropriato, allo stato attuale del diritto comunitario, escludere
la determinazione del livello delle retribuzioni da un'armonizzazione in base agli artt. 136 CE e
seguenti.
Tuttavia, la detta eccezione non può essere estesa a ogni questione avente un nesso qualsiasi con
la retribuzione, pena svuotare taluni settori contemplati dall'art. 137, n. 1, CE, di gran parte dei loro
contenuti>>.
63
più favorevoli ai lavoratori interinali. Il livello di protezione si fa quindi più
rigoroso rispetto a quanto previsto dalla direttiva stessa.
6.2 Deroghe alla parità di trattamento.
La prima deroga (art. 5.2) è quella relativa alla retribuzione ed è valida
nell’ipotesi in cui i lavoratori tramite agenzia siano legati da un contratto a
tempo indeterminato con l’agenzia stessa e continuino ad essere retribuiti
nel periodo che intercorre tra una missione e l’altra.
Già nel 15° considerando vi è un’anticipazione in tal senso laddove si
prevede con favore la costituzione di rapporti a tempo indeterminato con
l’agenzia.
Si può quindi derogare alla parità di trattamento in materia di retribuzione
nei casi in cui i lavoratori siano soggetti a particolare tutela dato il rapporto
a tempo indeterminato e di conseguenza siano retribuiti nel periodo
intercorrente tra le missioni.
Il termine ‘retribuiti’ ha creato non pochi dubbi interpretativi; soprattutto ci
si è chiesti se dovesse riferirsi o meno ad una mera indennità di
disponibilità percepita dal lavoratore nei periodi in cui non è in missione.
Questa questione deve essere risolta sulla base della legislazione interna
e della relativa contrattazione collettiva. Se l’indennità risulta essere
troppo ridotta rispetto alla retribuzione comunemente percepita dal
lavoratore durante lo svolgimento della prestazione lavorativa non è
64
realizzata quella particolare tutela che ex art. 5.2 giustifica il trattamento
derogatorio.
Il lavoratore che è retribuito nel periodo in cui non svolge alcuna missione,
può lavorare presso l’agenzia di somministrazione. Quest’ipotesi è ritenuta
legittima sia da parte del legislatore comunitario che della dottrina italiana,
considerata la preferenza accordata al lavoro a tempo indeterminato alle
dipendenze dell’agenzia. Del resto, sarebbe irragionevole e in contrasto
con la flexicurity favorire questa forma d’impiego e poi limitare la
possibilità in concreto di svolgere la prestazione lavorativa presso
l’agenzia.
La deroga alla parità di trattamento deve essere preceduta dalla
consultazione delle parti sociali; la direttiva non specifica però quali
organizzazioni consultare attribuendo piena discrezionalità alle tradizioni e
alle prassi di concertazione e dialogo sociale degli Stati membri.
La tutela del rapporto di lavoro è comunque un elemento centrale della
direttiva e quindi tutte le facoltà di derogare alla parità di trattamento
devono essere interpretate in maniera restrittiva. Non ci possono essere
deroghe incisive relative agli elementi fondamentali della retribuzione e
devono essere rispettati i trattamenti minimi tabellari garantiti dai contratti
collettivi.
Altra deroga (art. 5.3) riguarda il mantenimento della facoltà delle parti
sociali di mantenere o concludere contratti collettivi stabilendo modalità
alternative relative alle condizioni di lavoro ed occupazione dei lavoratori
65
somministrati.
La possibilità di derogare è rimessa alla contrattazione
collettiva e sono gli Stati membri a dover determinare il livello di
contrattazione adeguato per la previsione delle eventuali deroghe. Pare
ragionevole ritenere che l’ambito più appropriato sia quello territoriale
decentrato, che secondo la dottrina (Corazza12) si presta maggiormente a
confrontarsi con le peculiarità del lavoro tramite agenzia; difatti tramite la
contrattazione territoriale potrebbero essere introdotte deroghe al principio
della parità di trattamento volte a incentivare l’occupazione in zone
svantaggiate.
La possibilità di deroga deve essere intesa anche qui in senso restrittivo;
non sono possibili deroghe in bianco, il legislatore deve delimitare gli
ambiti e predefinire le motivazioni a fronte delle quali risulta possibile
prevedere trattamenti differenziati.
Il quarto paragrafo introduce un’ulteriore deroga al principio della parità di
trattamento, prevedendo che gli Stati membri possono stabilire modalità
alternative relative alle condizioni di base di lavoro e di occupazione dei
lavoratori tramite agenzia interinale. Si deve trattare di ordinamenti privi di
un sistema legislativo che dichiari i contratti collettivi universalmente
applicabili o privi di meccanismi tali da consentire l’estensione delle
disposizioni di questi contratti a tutte le imprese simili; deve essere
comunque garantito un livello adeguato di protezione e infine si deve
12
CORAZZA L., 2004, “Contractual integration” e rapporti di lavoro. Uno studio sulle tecniche di
tutela del lavoratore, Cedam, Padova.
66
raggiungere un accordo attraverso la consultazione delle parti sociali a
livello nazionale.
Varie sono le difficoltà interpretative presentate da questo paragrafo.
Innanzitutto è necessario interrogarsi su quale sia il <<livello adeguato di
protezione>> che deve essere garantito ai lavoratori interinali tenendo
presente che il riferimento è al livello minimo in quanto si rimette la tutela
alla discrezionalità dei legislatori nazionali.
Il termine ‘adeguatezza’ è un termine vuoto in quanto il legislatore
comunitario non fornisce altri elementi per verificare quali siano in
concreto i livelli di protezione adeguata a parte la parità di trattamento
sulla quale si fonda la direttiva. La disposizione non deve però favorire la
competizione a ribasso tra gli ordinamenti a sfavore di quelli dotati di un
sistema di applicazione generalizzata della contrattazione collettiva.
Al quarto paragrafo si dice che le << modalità alternative riguardanti le
condizioni di base di lavoro e d’occupazione possono prevedere un
periodo di attesa per il conseguimento della parità di trattamento >>.
Questa formulazione pare suggerire che la possibilità di deroga concessa
agli ordinamenti si riduca a una mera dilazione dell’entrata in vigore del
principio della parità di trattamento anche se nel periodo di dilazione è
comunque necessario un livello adeguato di protezione.
Le misure derogatorie che possono essere adottate dagli Stati membri
devono essere conformi alla normativa comunitaria e accessibili alle
67
aziende interessate di modo che queste possano facilmente individuarle
ed applicarle.
La deroga al principio non permette di modificare in peius le condizioni di
tutela del lavoratore conformi ad altre previsioni dell’ordinamento
comunitario; sono, comunque, fatti salvi i trattamenti normativi ed
economici non peggiorativi previsti dalla contrattazione collettiva sia a
livello nazionale che locale o settoriale.
6.3 Abuso nell’applicazione dell’art.5 .
Le misure che gli Stati possono adottare ex art. 5 sono volte a prevenire
un uso abusivo delle deroghe al principio della parità di trattamento.
Risulta difficile prevedere quale possa essere il contenuto di queste
misure considerata l’influenza della contrattazione collettiva nazionale e la
situazione di ciascun Paese membro.
Gli Stati sono tenuti a informare la Commissione delle misure nazionali
volte a prevenire gli abusi nell’applicazione di questo articolo con
particolare riferimento allo svolgimento di missioni successive con il fine di
eludere quanto previsto dalla direttiva.
Per quanto riguarda lo svolgimento di missioni successive con lo scopo di
raggirare la direttiva, non è facile comprendere in che modo la
realizzazione di più missioni possa eludere l’applicazione del principio di
parità di trattamento dato che l’agenzia è tenuta comunque ad applicare le
68
disposizioni normative ed i trattamenti economici espressamente previsti
per i periodi in cui il lavoratore è impegnato con l’impresa utilizzatrice.
Si è arrivati alla conclusione che il riferimento alle ripetute missioni come
prassi fraudolenta sia un residuo delle precedenti versioni della direttiva
non opportunamente adattato alle successive modifiche.
Infatti, nella precedente versione dell’art. 5.4, il Consiglio aveva previsto
un’ulteriore deroga: gli Stati membri potevano non applicare la parità di
trattamento in relazione alla retribuzione del lavoratore temporaneo che
svolgesse presso la stessa impresa utilizzatrice una prestazione od una
serie di prestazioni relative ad un incarico della durata non superiore alle
sei settimane.
7. Accesso all’occupazione, alle attrezzature collettive e alla
formazione professionale.
Articolo 6
1. I lavoratori tramite agenzia interinale sono informati dei posti vacanti
nell’impresa utilizzatrice, affinché possano aspirare, al pari degli altri
dipendenti dell’impresa, a ricoprire posti di lavoro a tempo indeterminato.
Tali informazioni possono essere fornite mediante un avviso generale
opportunamente affisso all’interno dell’impresa presso la quale e sotto il
controllo della quale detti lavoratori prestano la loro opera.
2. Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché siano dichiarate
nulle o possano essere dichiarate nulle le clausole che vietano o che
abbiano l’effetto d’impedire la stipulazione di un contratto di lavoro o l’avvio
di un rapporto di lavoro tra l’impresa utilizzatrice e il lavoratore tramite
agenzia interinale al termine della sua missione.
Il presente paragrafo lascia impregiudicate le disposizioni in virtù delle quali
le agenzie di lavoro interinale ricevono un compenso ragionevole per i
servizi resi all’impresa utilizzatrice in relazione alla missione, all’impiego e
alla formazione dei lavoratori tramite agenzia interinale.
3. Le agenzie di lavoro interinale non richiedono compensi ai lavoratori in
cambio di un’assunzione presso un’impresa utilizzatrice o nel caso in cui
essi stipulino un contratto di lavoro o avviino un rapporto di lavoro con
l’impresa utilizzatrice dopo una missione nella medesima.
4. Fatto salvo l’articolo 5, paragrafo 1, i lavoratori tramite agenzia interinale
accedono, nell’impresa utilizzatrice, alle strutture o alle attrezzature collettive
69
e, in particolare, ai servizi di ristorazione, alle infrastrutture d’accoglienza
dell’infanzia e ai servizi di trasporto alle stesse condizioni dei lavoratori
impiegati direttamente dall’impresa stessa, a meno che ragioni oggettive
giustifichino un trattamento diverso.
5. Gli Stati membri adottano le misure adeguate o favoriscono il dialogo tra
le parti sociali, conformemente alle loro tradizioni e pratiche nazionali, al fine
di:
a) migliorare l’accesso dei lavoratori tramite agenzia interinale alle
opportunità di formazione e alle infrastrutture d’accoglienza dell’infanzia
nelle agenzie di lavoro interinale, anche nei periodi che intercorrono tra una
missione e l’altra, perfavorirne l’avanzamento della carriera e l’occupabilità;
b) migliorare l’accesso dei lavoratori tramite agenzia interinale alle
opportunità di formazione di cui godono i lavoratori delle imprese utilizzatrici.
Il primo paragrafo deve essere interpretato nella maniera più estesa
possibile. Le informazioni relative ai posti vacanti nell’impresa sono
normalmente comunicate all’intero personale attraverso bandi pubblicati
sul sito intranet o avvisi cartacei. Allo stesso modo ne deve essere data
conoscenza ai lavoratori interinali a prescindere se siano o meno idonei a
svolgere quelle determinate funzioni e se abbiano un contratto a tempo
determinato o indeterminato (in tal senso anche Business Europe).
Inoltre, per i rappresentanti di CES e UNI-Europa, i lavoratori interinali
dovrebbero ricevere queste informazioni anche quando sono relative a
posizioni superiori rispetto a quella da loro occupata.
La portata della disposizione è comunque limitata perché non pone alcun
obbligo di assunzione dei lavoratori temporaneamente impiegati rispetto a
quelli provenienti dall’esterno; introduce solo una regola di trasparenza
volta ad agevolare la conoscenza delle possibilità di assunzione.
Al secondo paragrafo si sostiene che gli Stati membri debbano adottare le
misure necessarie a dichiarare nulle le clausole impeditive di un rapporto
di lavoro tra il lavoratore interinale e l’impresa utilizzatrice. Questa
70
disposizione deve essere interpretata estensivamente; il termine ‘impedire’
non si riferisce solo alle clausole che prevedono la stipulazione del
contratto di lavoro ma anche a quelle che prevedono una stipulazione più
onerosa e difficoltosa tale da rendere svantaggiosa per una delle due parti
il ricorso a questa forma di assunzione. A tal proposito, sono illegittime le
clausole che prevedono il pagamento di penali eccessive a favore
dell’agenzia se l’impresa assume il lavoratore interinale.
La nullità colpisce sia le clausole pattuite tra l’agenzia e l’utilizzatore sia
quelle inserite nel contratto di lavoro. Sono ovviamente esclusi da questa
disposizione i compensi che l’agenzia di somministrazione di lavoro riceve
purché siano ragionevoli e proporzionali ai servizi svolti a favore
dell’utilizzatore (selezione, assunzione, formazione ed aggiornamento del
lavoratore; invio dello stesso in missione). Si tratta quindi di un
corrispettivo dovuto per l’attività di gestione del personale.
Se il lavoratore viene poi assunto presso l’impresa utilizzatrice o
comunque stipula con essa un contratto od un rapporto di lavoro in
seguito ad una missione, è previsto espressamente che non deve essergli
richiesto alcun compenso per l’assunzione. Il divieto non riguarda la
previsione di un corrispettivo per l’assunzione e l’invio in missione in
quanto si tratta di misure finalizzate a proteggere il lavoratore dall’utilizzo
abusivo e fraudolento dell’interposizione.
Per quanto riguarda l’accesso alle strutture ed attrezzature collettive
(ristorazione, infrastrutture di accoglienza dell’infanzia, trasporto), risulta
71
difficile immaginare delle situazioni nelle quali sia possibile derogare alla
parità di accesso. Non sembrano esserci in tal senso ragioni giustificatrici
oggettive, non venendo in rilievo la durata dell’incarico dato che è previsto
che queste ‘comodità’ si applichino a tutte le categorie di lavoratori assunti
direttamente dall’impresa.
Le limitazioni sono possibili nei casi in cui non si riesca nemmeno a
soddisfare l’intero personale assunto direttamente dall’impresa come
quando ad esempio i servizi di trasporto sono previsti solo per determinate
categorie di lavoratori o quando le strutture per l’infanzia possono
accogliere un numero limitato di bambini. Queste devono essere
considerate come eccezioni dato che la parità di accesso è sempre e
comunque la regola.
Secondo la Commissione, le ragioni economiche (quali i costi dei servizi
collettivi) non possono essere generalmente indicate come giustificazioni
oggettive della disparità di trattamento, bisognerà decidere caso per caso
quando potranno essere valutate come tali. Secondo i rappresentanti di
CES ed UNI-Europa, le giustificazioni derogatorie
oggettive devono
essere negoziate dalle parti sociali.
Gli Stati devono adottare le misure necessarie a promuovere il dialogo tra
le parti sociali per migliorare le possibilità di accesso dei lavoratori
interinali alle opportunità di formazione e alle infrastrutture d’accoglienza
dell’infanzia con la finalità dichiarata di favorire l’occupabilità e la
progressione in carriera dei lavoratori stessi. Questa disposizione si
72
applica alle agenzie interinali, anche per il periodo intercorrente tra una
missione e l’altra.
La ratio, dunque, è di migliorare le condizioni e la qualità della vita e del
lavoro e, a tal fine, si lascia un ampio margine di discrezionalità ai
legislatori dei Paesi membri date le diversità tra gli ordinamenti e la
difficoltà di armonizzare i diversi sistemi sindacali.
In conclusione, tale disposizione si aggiunge a quelle volte a consolidare
la funzione di promozione dell’occupazione attribuita al lavoro tramite
agenzia e appare come il giusto completamento del principio di parità di
trattamento di cui all’art. 5 della medesima direttiva.
8. Rappresentanza dei lavoratori tramite agenzia interinale.
Articolo 7
1. I lavoratori tramite agenzia interinale sono presi in considerazione, alle
condizioni stabilite dagli Stati membri, per il calcolo della soglia sopra la
quale si devono costituire gli organi rappresentativi dei lavoratori previsti
dalla normativa comunitaria e nazionale o dai contratti collettivi in un’agenzia
interinale.
2. Gli Stati membri hanno la facoltà di prevedere, alle condizioni da essi
definite, che i lavoratori tramite agenzia interinale siano presi in
considerazione, in un’impresa utilizzatrice, come lo sono o lo sarebbero i
lavoratori direttamente impiegati dall’impresa medesima per lo stesso
periodo di tempo, per il calcolo della soglia sopra la quale si possono
costituire gli organi rappresentativi dei lavoratori previsti dalla normativa
comunitaria e nazionale e dai contratti collettivi.
3. Gli Stati membri che si avvalgono della facoltà di cui al paragrafo 2 non
sono tenuti ad applicare le disposizioni del paragrafo 1.
L’art. 7 pone norme di carattere generale volte a regolare la
rappresentanza dei lavoratori interinali per tutelarne le esigenze
nell’assetto delle relazioni industriali dei Paesi membri. Ha una logica
duplice. Innanzitutto obbliga gli Stati membri a conteggiare il numero di
73
lavoratori interinali impiegati per verificare se si raggiunge la soglia per la
costituzione degli organi rappresentativi dei lavoratori. In secondo luogo
permette il conteggio di questa tipologia di lavoratori presso l’agenzia
(co.1), presso l’impresa utilizzatrice (co.2) o presso entrambe. Vi è quindi
uno sdoppiamento della figura datoriale il che pone problemi dal punto di
vista della rappresentanza sindacale che è sempre stata incentrata sulla
permanenza stabile dei lavoratori presso il medesimo luogo di lavoro.
Secondo BusinessEurope, il criterio per conteggiare i lavoratori si basa
sulla durata dell’incarico presso l’impresa utilizzatrice e l’anzianità presso
l’agenzia interinale. Questi elementi devono essere determinati secondo i
criteri propri di ciascun ordinamento.
Gli Stati sono liberi di decidere se computare i lavoratori tra i dipendenti
dell’agenzia o quelli dell’impresa fermo restando l’obbligo della loro
rilevanza nella verifica delle soglie dimensionali. La presenza di un duplice
datore di lavoro accresce le esigenze di tutela dei lavoratori. Questi
devono essere conteggiati all’interno dell’organico dell’agenzia in quanto
fanno parte dell’organizzazione produttiva della stessa ma il prestare la
propria opera pressa l’impresa utilizzatrice influisce sulle esigenze di
rappresentanza collettiva presso questa struttura.
Considerata l’importanza crescente di questa forma d’impiego, è facile
immaginare
che
anche
l’importanza
dei
lavoratori
interinali
nell’organizzazione produttiva dell’utilizzatore sia destinata ad aumentare.
È quindi necessario adattare i modelli di rappresentanza sindacale dei
74
lavoratori temporanei alle relative esigenze di tutela anche attraverso
meccanismi che consentano di tenere in considerazione i lavoratori
interinali per la determinazione delle soglie dimensionali ai fini della
costituzione delle rappresentanze collettive. La scelta del computo presso
l’agenzia o l’utilizzatore, così come posta nell’art. 7, non consente una
piena soddisfazione della richiesta di rappresentanza di questi soggetti.
9. Informazione dei rappresentanti dei lavoratori.
Articolo 8
Fatte salve le disposizioni nazionali e comunitarie, più restrittive e/o più
specifiche, relative all’informazione e alla consultazione e, in particolare, la
direttiva 2002/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo
2002, che istituisce un quadro generale relativo all’informazione e alla
consultazione dei lavoratori (1), l’impresa utilizzatrice è tenuta a fornire
informazioni adeguate sul ricorso a lavoratori tramite agenzia interinale
all’interno dell’impresa all’atto della presentazione dei dati sulla propria
situazione occupazionale agli organi rappresentativi dei lavoratori, istituiti
conformemente alla normativa comunitaria e nazionale.
L’informazione e la consultazione sono temi centrali dell’intervento
comunitario sia a livello transnazionale che nazionale e locale.
L’impresa utilizzatrice, quando fornisce informazioni relative alla situazione
occupazionale al suo interno, è tenuta a fornire tutte quelle che sono
ritenute
necessarie
sull’utilizzo
dei
lavoratori
interinali.
Questa
disposizione va letta insieme all’art. 4.2 della direttiva 2002/14/EC che alla
lettera B prevede <<l'informazione e la consultazione sulla situazione, la
struttura e l'evoluzione probabile dell'occupazione nell'ambito dell'impresa
o dello stabilimento, nonché sulle eventuali misure anticipatrici previste,
segnatamente in caso di minaccia per l'occupazione>>.
75
Per CES ed UNI-Europa i dati forniti relativi all’uso dei lavoratori interinali
devono essere dettagliati e negli Stati dove il ricorso a questa forza lavoro
deve essere giustificato da ragioni oggettive, queste ragioni devono
essere accessibili ai rappresentanti dei lavoratori su richiesta.
L’art. 8 fissa uno standard minimo da rispettare che non deve
assolutamente essere considerato come limitativo della qualità e quantità
di informazioni che possono essere rilasciate.
Le ‘informazioni adeguate’ cui si fa riferimento nell’articolo coprono le
questioni relative al numero di lavoratori interinali utilizzati, la durata del
loro impiego, la natura dell’incarico, le motivazioni del ricorso a questa
forma di impiego,
la progressiva stabilizzazione dei rapporti con tali
dipendenti. Non si prevedono nuovi obblighi d’informazione ma si specifica
il contenuto di quelli già previsti.
Alle imprese che sono escluse dai sistemi d’informazione e consultazione
considerati i relativi livelli occupazionali non si applica l’articolo in esame.
10. Disposizioni finali.
Articolo 9
Requisiti minimi
1. La presente direttiva lascia impregiudicato il diritto degli Stati membri di
applicare o introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative
più favorevoli ai lavoratori, o di agevolare o consentire contratti collettivi o
accordi conclusi tra le parti sociali più favorevoli ai lavoratori.
2. In nessun caso l’attuazione della presente direttiva costituisce una
ragione sufficiente per giustificare una riduzione del livello generale di
protezione dei lavoratori rientranti nel suo ambito d’applicazione. La sua
attuazione lascia impregiudicati i diritti degli Stati membri e/o delle parti
sociali, tenuto conto di eventuali cambiamenti della situazione, di emettere
disposizioni legislative, regolamentari o contrattuali diverse da quelle che
76
esistono al momento dell’adozione della presente direttiva, purché i requisiti
minimi previsti dalla presente direttiva siano rispettati.
Articolo 10
Sanzioni
1. Gli Stati membri dispongono misure idonee in caso di inosservanza della
presente direttiva da parte di agenzie interinali o imprese utilizzatrici. In
particolare, essi si adoperano affinché sussistano procedure amministrative
o giudiziarie appropriate intese a fare rispettare gli obblighi che derivano
dalla presente direttiva.
2. Gli Stati membri determinano il regime delle sanzioni applicabili a
violazioni delle disposizioni nazionali di attuazione
della presente direttiva e adottano ogni misura necessaria a garantirne
l’attuazione. Le sanzioni previste devono essere effettive, proporzionate e
dissuasive. Gli Stati membri notificano queste disposizioni alla Commissione
entro il 5 dicembre 2011. Gli Stati membri comunicano alla Commissione
tempestivamente ogni ulteriore modifica di tali disposizioni. In particolare,
essi garantiscono che i lavoratori e/o i loro rappresentanti dispongano di
procedure adeguate ai fini dell’esecuzione degli obblighi previsti dalla
presente direttiva.
L’applicazione della direttiva non impedisce l’introduzione di misure
nazionali legislative, regolamentari e amministrative più favorevoli ai
lavoratori o di disposizioni contenute in accordi e contratti collettivi
conclusi dalle parti sociali.
L’art. 153 TFUE statuisce che l’Unione sostiene e completa l’azione degli
Stati membri e prevede che le misure adottate da Parlamento e Consiglio
secondo la procedura legislativa ordinaria comunque non devono
compromettere <<la facoltà riconosciuta agli Stati membri di definire i
principi fondamentali del loro sistema di sicurezza sociale e non devono
incidere sensibilmente sull'equilibrio finanziario dello stesso; non ostano a
che uno Stato membro mantenga o stabilisca misure, compatibili con i
trattati, che prevedano una maggiore protezione>>. Si applica quindi il
principio di salvaguardia della norma più favorevole che era già stato
riconosciuto dal TCEE.
77
La Corte di Giustizia ha dato un contributo notevole sul rapporto tra le fonti
internazionali, comunitarie e nazionali del diritto del lavoro. Nella sentenza
del 12 novembre 1996, Regno Unito v. Consiglio ci sono indicazioni
importanti sulla relazione tra diritto dell’Unione e diritti nazionali. La Corte
ha chiarito che quando il trattato parla di ‘prescrizioni minime’ riconosce
agli Stati membri la possibilità di adottare norme più rigorose rispetto a
quelle dell’intervento comunitario, ma non limita la facoltà d’intervento
degli organi comunitari.
L’applicazione della direttiva non è una ragione sufficiente a giustificare
una riduzione del livello generale di protezione rispetto alle previsioni
dell’ordinamento
nazionale.
Restano
quindi
valide
le
disposizioni
preesistenti, di qualsiasi livello (legislativo, regolamentare, contrattuale),
purché siano rispettati i requisiti della direttiva.
Quando i legislatori nazionali sono chiamati a confrontarsi con l’obbligo di
trasposizione nell’ordinamento interno di una direttiva, si trovano davanti
solo un obbligo di risultato e ciò significa che la trasposizione deve essere
compiuta lasciando gli Stati liberi di decidere la forma e i mezzi.
Nel diritto del lavoro, le normative nazionali di trasposizione si devono
misurare con il principio di non regresso: la normativa interna successiva
all’attuazione della direttiva non può mai essere deteriore, non può mai
prevedere un trattamento peggiorativo rispetto alla normativa nazionale
precedente all’attuazione della direttiva stessa. L’eventuale reformatio in
peius deve essere fondata su motivi di politica sociale diversi dall’obbligo
78
di trasposizione delle regole comunitarie; non è sufficiente che questi
motivi siano semplicemente enunciati, dovranno essere rigorosamente
dimostrati da parte dello Stato interessato.
Gli Stati membri devono prevedere le misure adeguate (procedure
amministrative o giudiziarie) a garantire il rispetto degli obblighi previsti
dalla direttiva stessa.
Le sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive, sono
determinate da ogni Paese membro autonomamente e comunicate alla
Commissione13. Questa autonomia è giustificata dalle ampie differenze
tra gli Stati membri rispetto alle conseguenze in cui incorrono i soggetti
che pongono in essere fattispecie interpositorie illegittime. Data la natura
trilaterale
del
rapporto,
la
sanzione
deve
essere
distribuita
ragionevolmente tra i soggetti che realizzano l’illecito sia per quanto
concerne la solidarietà economica e imprenditoriale che per il grado di
colpevolezza (effettiva o presunta) nella realizzazione.
La Corte di Giustizia è chiamata a controllare che le previsioni adottate
rispettino le caratteristiche su indicate.
L’art. 11 della direttiva ha imposto agli Stati membri di adottare le misure
legislative, regolamentari, amministrative necessarie all’attuazione della
stessa entro il 5 dicembre 2011. Come si sia effettivamente proceduto in
ogni singolo Paese sarà oggetto di studio nel prossimo capitolo.
13
Precisamente, al secondo paragrafo dell’art. 10 si legge che gli Stati erano tenuti a notificare alla
Commissione le sanzioni applicabili alle violazioni della direttiva entro il 5 dicembre 2011, data
prevista per l’attuazione della stessa. Inoltre sono tenuti a comunicare tutte le modifiche che si
apportano nel tempo alle disposizioni interne.
79
CAPITOLO 2
IMPLEMENTAZIONE DELLA DIRETTIVA 2008/104 NEI
PAESI MEMBRI
SOMMARIO: 1. Introduzione. - 2. L’effettiva attuazione nei Paesi membri. - 3.
Determinazione dei termini chiave. - 4. La parità di trattamento. - 5. Analisi
e rimozione di proibizioni e limitazioni da parte degli Stati membri. - 6.
Mezzi e strumenti riconosciuti ai lavoratori interinali. - 7. Il computo dei
lavoratori interinali ai fini della costituzione degli organi rappresentativi. - 8.
Obbligo di fornire informazioni sul ricorso alla somministrazione dei
lavoratori. - 9. Standard minimi di tutela. - 10. I rimedi in caso di
inosservanza della disciplina.
1. Introduzione.
Questo capitolo ha lo scopo di esaminare l’applicazione della direttiva da
parte degli Stati membri tenendo in conto quanto stabilito dall’art. 12
secondo il quale entro il 5 dicembre 2013 si sarebbe dovuto svolgere il
riesame della direttiva da parte della Commissione in consultazione con gli
Stati membri e le parti sociali a livello comunitario per proporre, se del
caso, le modifiche necessarie.
La Commissione ha:

analizzato le disposizioni nazionali di attuazione della direttiva da
parte dei Paesi membri;

predisposto due questionari, uno sulle modalità scelte per il
recepimento della direttiva e l’altro sul riesame della direttiva e sui
relativi costi. Il primo è stato sottoposto agli Stati membri, il secondo
anche alle parti sociali a livello europeo;
80

ottenuto informazioni da altre fonti, ad esempio da esperti
indipendenti dell’European Labour Law Network.
L’art. 11.1 ha imposto agli Stati di recepire la direttiva entro il 5 dicembre
2011 attraverso l’adozione delle misure legislative, regolamentari e
amministrative necessarie o rimettendo alle parti sociali la previsione delle
disposizioni essenziali all’attuazione mediante accordo collettivo.
La direttiva è stata recepita da tutti gli Stati membri con modalità differenti
dato che, prima della sua entrata in vigore, in alcuni ordinamenti il lavoro
interinale era disciplinato da disposizioni legislative, in altri da contratti
collettivi e in altri ancora da entrambi.
Altri
Stati,
infine,
non
prevedendo
alcuna
disciplina
per
la
somministrazione, hanno regolato questa forma di lavoro per la prima
volta con il recepimento della direttiva.
Francia, Lussemburgo e Polonia, invece, hanno ritenuto che le proprie
disposizioni nazionali fossero già conformi alla direttiva e pertanto non
necessitassero alcuna modifica.
Per quanto concerne la Spagna la disciplina è contenuta nella Ley n.14
dell’1 giugno 1994. La direttiva ha avuto un impatto “moderato”, dato che
gran parte dei principi in essa contenuti erano già presenti nella Ley 14/94
e nella contrattazione collettiva. In ogni caso, la Ley 35/2010, ha introdotto
alcune modifiche volte a rendere effettivo il principio di parità di
trattamento di cui all’art. 11, Ley 14/1994, ed è intervenuta in materia di
divieti e restrizioni. Ha affidato alla contrattazione collettiva il compito di
81
individuare le misure necessarie a facilitare l’accesso alla formazione da
parte dei lavoratori assunti dall’agenzia, in eguale maniera rispetto ai
lavoratori dell’impresa utilizzatrice, nonché le ipotesi di lavori o professioni
particolarmente pericolose per la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro,
tali da escludere la possibilità di ricorrere al contratto di fornitura.
In Italia la trasposizione della direttiva 2008/104/CE è avvenuta ad opera
del d.lgs. n. 24 del 2 marzo 2012 che ha introdotto alcune significative
modifiche alla disciplina dell’istituto di cui agli artt. 20 e ss. d.lgs. n. 276 del
2003. Quest’ultimo, come è noto, ha permesso il superamento del divieto
di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro di cui alla
L. 1369/1960; divieto che era già stato temperato dalla L. 196/1997, con
l’introduzione del lavoro interinale a termine. Negli anni successivi al 2003,
salvo qualche circoscritto intervento (come ad esempio l’abolizione del
concetto di somministrazione a tempo indeterminato con la L. 247/2007
poi reintrodotto nel 2009 nonostante il suo quasi nullo utilizzo), la
disciplina è rimasta pressoché inalterata, sino, appunto, all’intervento del
2012 attuativo della direttiva.
La Svezia, la Danimarca e Cipro hanno proceduto alla ratifica della
direttiva in ritardo, non rispettando quindi il termine previsto all’art. 11. La
Commissione ha attivato contro questi Paesi la procedura di infrazione
richiedendo con un parere motivato la comunicazione, entro il 21 dicembre
2012, delle misure di attuazione impiegate.
82
In Norvegia c’era stata un’iniziale opposizione all’attuazione della direttiva
da parte del sindacato Fellesforbundet che riteneva che la possibilità di
concludere
contratti
di
lavoro
temporanei
dovesse
spettare
alla
contrattazione collettiva. Venne indetto pertanto uno sciopero nazionale
nel gennaio 2012 per protestare contro il piano di adozione del Governo
ed esprimere il proprio timore in quanto era percepito come minacciato il
lavoro a tempo indeterminato ed indebolito il potere dei sindacati.
Nonostante ciò, il Governo ha preso le misure necessarie per provvedere
all’attuazione entro l’1 gennaio 2013.
2. L’effettiva attuazione nei Paesi membri.
L’art. 1 stabilisce che il lavoro interinale è caratterizzato da una relazione
triangolare tra il lavoratore, l’agenzia interinale e l’impresa utilizzatrice. La
direttiva si applica alle agenzie interinali che agiscono con o senza scopo
di lucro e alle imprese utilizzatrici pubbliche e private.
Normalmente le imprese svolgono un’attività economica; per attività
economica si deve intendere qualsiasi prestazione di servizi remunerata
(non necessariamente da chi ne beneficia). Le attività svolte dalle imprese
del settore pubblico non sempre rientrano tra quelle delle imprese
esercenti un’attività dietro corrispettivo economico.
È stata rimessa agli Stati la scelta dell’includere o meno, nel campo di
applicazione della direttiva, gli utilizzatori che non esercitano un’attività
economica.
83
Diciannove Stati membri hanno optato per l’applicazione della direttiva
anche alle imprese che non esercitano attività economica mentre altri
Paesi (Bulgaria, Cipro, Danimarca, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Paesi
Bassi, Regno Unito e Romania) le hanno escluse.
In Austria, il campo di applicazione è stato eccezionalmente esteso alle
agenzie di collocamento interinali no-profit, al collocamento in imprese
pubbliche nazionali, regionali e comunali nel settore dell’agricoltura e
silvicoltura, al programma pubblico di formazione professionale.
Il terzo paragrafo prevede che la direttiva non si applichi ai rapporti di
lavoro conclusi nell’ambito di uno specifico programma di formazione,
inserimento o riqualificazione professionale pubblico o comunque
sostenuto da enti pubblici. Gli unici Stati a prevedere questa esclusione
sono stati l’Austria, Cipro, la Danimarca, l’Irlanda, Malta, la Svezia e
l’Ungheria.
A Cipro e in Irlanda, l’esclusione è stata giustificata con il voler agevolare
l’inserimento o reinserimento di persone che potrebbero avere difficoltà a
collocarsi nel mercato del lavoro.
In Svezia sono esclusi dall’applicazione del principio di parità di
trattamento i lavoratori che beneficiano del sostegno di occupazione
speciale o di forme di lavoro protetto. Gli si applica invece l’art. 6 relativo
all’accesso alle strutture ed attrezzature collettive e al diritto di essere
informati sui posti vacanti a tempo indeterminato presso l’utilizzatore.
84
3. Determinazione dei termini chiave.
L’art. 3 dà la definizione di vari termini chiave quali: missione, datore di
lavoro, condizioni di base di lavoro e d’occupazione.
Alcuni Stati (Cipro, Grecia, Irlanda, Lituania, Malta, Portogallo, Regno
Unito, Svezia e Ungheria) hanno dato delle definizioni proprie nelle
normative interne di attuazione che si avvicinano molto a quelle usate
nella direttiva e che di conseguenza ne chiariscono il campo di
applicazione.
Concetto di ‘missione’.
È un concetto che esiste nella maggior parte dei Paesi membri e si
riferisce al periodo temporaneo durante il quale il lavoratore somministrato
presta la propria opera presso l’impresa utilizzatrice.
In Belgio non esiste questo concetto, la durata di un incarico coincide con
quella del contratto o con la somma di più contratti successivi. La natura
temporanea è assicurata dall’elenco dei motivi ammissibili per ricorrere
alle
agenzie
temporaneo
interinali:
del
lavoro,
sostituzione
lavoro
di
un
lavoratore,
eccezionale.
Ognuna
incremento
di
queste
giustificazioni incorpora dei limiti di tempo o prevede delle procedure volte
ad assicurare la durata temporanea della missione.
Il 30 gennaio 2012 le parti sociali hanno concluso un accordo che prevede
la possibilità per i lavoratori interinali di essere assunti in via permanente;
ciò non comporta che l’utilizzatore sia costretto ad assumere il lavoratore
interinale ma che è costretto a giustificare un eventuale rifiuto.
85
Concetto di ‘datore di lavoro’.
Secondo la Direttiva, il datore di lavoro è da identificare con l'agenzia
interinale difatti l’art. 3 lett.b afferma che l’agenzia è identificabile con
<<qualsiasi persona fisica o giuridica che (…) sottoscrive contratti di
lavoro o inizia rapporti di lavoro con i lavoratori (…) al fine di inviarli in
missione presso imprese utilizzatrici affinché prestino temporaneamente la
loro opera sotto il controllo e la direzione delle stesse>>. Questa
disposizione è rispettata nella maggior parte dei Paesi (ad esempio in
Lettonia dove la normativa interna afferma espressamente che l’agenzia
interinale è il datore di lavoro o in Irlanda dove, superate le iniziali
differenze, adesso la legislazione risulta in linea con la direttiva).
Per l’ordinamento ceco, rientrano nel concetto di datore di lavoro tanto
l’agenzia quanto l’utilizzatore.
Concetto di ‘condizioni di base di lavoro e d’occupazione’.
Secondo l’art. 3 lett.f sono incluse nelle condizioni di base l’orario di
lavoro, le ore di lavoro straordinario, le pause, i periodi di riposo, il lavoro
notturno, le ferie e i giorni festivi.1 Alcuni ordinamenti, come ad esempio
quello belga, vi fanno rientrare anche il lavoro part-time e la giornata
lavorativa di domenica, quello francese e portoghese la salute e sicurezza
dei lavoratori, quello italiano la gravidanza e la parità di genere.
In Bulgaria le condizioni di base sono tutte quelle previste da leggi, atti
1
Discorso a parte va fatto per la retribuzione.
86
amministrativi, accordi collettivi e altre disposizioni applicate dall’impresa
utilizzatrice.
Risulta difficile comunque fare una comparazione tra i vari Stati dato che
questi danno definizioni diverse ai concetti su menzionati.
Concetto di ‘retribuzione’.
La sua definizione è rimessa agli Stati membri.
Alcuni hanno fornito una definizione alquanto ampia come il Belgio,
l’Olanda, la Finlandia, la Spagna e la Danimarca.
La Polonia non ne dà uno specifico significato in relazione ai lavoratori
interinali; si limita a prevedere che all’interno della parità di trattamento
rientrino tutte le condizioni lavorative compresa la remunerazione. È
invece data ogni anno dal Ministero un’indicazione del salario minimo che
normalmente si aggira intorno ai 350 euro.
Nel Regno Unito si è adottata una definizione ampia basata sul salario
minimo annuo che il lavoratore avrebbe percepito se contrattato
direttamente dall'impresa utilizzatrice. Sono inclusi gli straordinari, i bonus
e le provvigioni relative alla quantità e qualità del lavoro svolto dal
soggetto. Non sono comprese invece l’indennità per malattia, per
licenziamento e la previdenza professionale.
In Francia, se alla fine della missione il lavoratore non dovesse beneficiare
immediatamente di un contratto di lavoro a durata indeterminata con
l’impresa utilizzatrice avrà diritto a titolo di supplemento della retribuzione
ad un’indennità di fine missione pari al 10% della retribuzione totale lorda
87
in modo da compensare la situazione di precarietà in cui il soggetto viene
a trovarsi.
Pochi sono gli Stati che hanno invece adottato un approccio restrittivo.
In Portogallo, i lavoratori interinali con contratti a tempo determinato hanno
diritto al salario minimo previsto dagli accordi collettivi applicabili presso
l’utilizzatore o l’agenzia secondo le funzioni svolte, o al salario pagato al
lavoratore che svolge le stesse funzioni o un impiego di ugual valore.
Queste regole valgono anche per i lavoratori interinali con contratti a
tempo indeterminato; nel periodo tra una missione e l’altra, la retribuzione
può essere pari al salario minimo nazionale; può essere determinata sulla
base del contratto collettivo applicabile all’utilizzatore o all’agenzia; può
coprire almeno i due terzi del salario percepito per l’ultimo incarico se
risulta essere più elevato rispetto a quello che spetterebbe al lavoratore
utilizzando i primi due metodi.
4. La parità di trattamento
L’art. 2 prevede che lo scopo della direttiva sia quello di migliorare la
qualità del lavoro interinale garantendo la parità di trattamento così come
disciplinata dall’art. 5.
L’art. 5 fissa il principio della parità di trattamento secondo il quale i
lavoratori in missione presso l’utilizzatore devono godere fin dal primo
giorno delle stesse condizioni di base di lavoro e d’occupazione che si
88
applicherebbero loro se fossero direttamente impiegati presso l’impresa
utilizzatrice.
Vari Stati, prima che la direttiva entrasse in vigore, applicavano già il
principio della parità di trattamento; con l’adozione della direttiva è
attualmente riconosciuto da tutti i Paesi.
L’ordinamento italiano ha attribuito al principio una portata più ampia
rispetto a quanto previsto prima dell’attuazione della direttiva. Mentre la
previgente formulazione riconosceva al lavoratore il diritto a un
«trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a
quello dei dipendenti di pari livello dell’utilizzatore, a parità di mansioni
svolte», l’attuale formulazione della norma prevede che tale parità di
trattamento sia garantita «per tutta la durata della missione presso un
utilizzatore» ed in riferimento alle «condizioni di base di lavoro e
d’occupazione».
La maggior parte degli Stati ha optato per una formulazione che si
distacca in modo notevole dalla terminologia utilizzata nella direttiva per
definire sia la parità di trattamento che le condizioni di base di lavoro e
d’occupazione.
In Estonia, il principio della parità di trattamento si basa sul concetto del
‘lavoratore comparabile’ dell’utilizzatore. Nel caso non se ne possa
rinvenire uno, il confronto si dovrà effettuare in riferimento al contratto
collettivo applicabile; nel caso non vi fosse una contrattazione collettiva, si
89
dovrà prendere in considerazione un dipendente addetto ad un incarico
simile o identico nella stessa regione.
Anche nel Regno Unito ed in Polonia le condizioni da applicare ai
lavoratori interinali sono determinate sulla base del raffronto con il
lavoratore comparabile. Difatti, in Polonia, i lavoratori interinali che
prestano la propria opera presso l’impresa utilizzatrice non possono subire
dei trattamenti meno favorevoli rispetto a quelli riservati ai dipendenti
contrattati direttamente dall’impresa utilizzatrice che svolgono un lavoro
uguale o simile. Essi inoltre hanno diritto all'equa retribuzione a carico
dell'agenzia sulla base delle informazioni fornite dall'impresa utilizzatrice.
Le disposizioni dei regolamenti sulla remunerazione o dei contratti
collettivi che prevedono espressamente una paga inferiore per i lavoratori
somministrati non sono accettabili. Nella pratica però capita che i
lavoratori interinali svolgano compiti che non sono comparabili con quelli
di nessun altro lavoratore stabile dell’impresa e ottengono una retribuzione
inferiore a quella che avrebbe percepito il lavoratore impiegato
direttamente dall’utilizzatore per svolgere gli stessi incarichi.
La Commissione ha il dovere di verificare se nella pratica il riferimento ad
un lavoratore comparabile sia in grado di garantire la corretta applicazione
del principio o se invece dia luogo a pratiche discriminatorie nei confronti
dei lavoratori interinali. In quest’ultimo caso adotterà le misure adeguate a
garantire la piena osservanza della direttiva.
90
In Slovenia la parità di trattamento deve essere attuata dall’agenzia
interinale quale datore di lavoro che deve assicurare al lavoratore i diritti
che gli spettano ex lege e lo stesso vale per l’utilizzatore durante la
missione.
In Lituania, il principio della parità di trattamento è solo vagamente
formulato e ciò comporta difficoltà pratiche come per esempio quella di
definire il salario che spetterebbe al lavoratore interinale se fosse
direttamente assunto dall’impresa.
Secondo la Repubblica Ceca, la parità di trattamento è un principio
generalmente valido nel diritto del lavoro. È inserito nel Codice del Lavoro
nella sezione 309-5 e afferma che l’agenzia interinale e l’impresa
utilizzatrice devono assicurare che le condizioni lavorative e retributive del
lavoratore temporaneo non siano inferiori a quelle applicabili al lavoratore
comparabile impiegato stabilmente presso l’utilizzatore. Se le condizioni
effettive non rispettano questo standard, l’agenzia deve provvedere
all’applicazione del principio o di propria iniziativa o su segnalazione del
lavoratore.
In Portogallo, la legge distingue tra i contratti di lavoro temporanei, definiti
in modo molto simile rispetto a quanto si legge nella direttiva, e quelli a
tempo indeterminato per il lavoro temporaneo. L’art. 185 della L. 7/2009
prevede che, durante la missione, i lavoratori temporanei (a prescindere
da quale sia la forma del loro contratto) hanno diritto a che gli vengano
applicate le regole proprie previste dall’utilizzatore in relazione alle
91
modalità di lavoro, l’orario lavorativo, la salute e la sicurezza, l’accesso ai
servizi forniti dall’impresa stessa. L’art. 184 prevede che tra una missione
e l’altra, l’indennità dei lavoratori sia pari almeno al salario minimo
nazionale o a quanto previsto dal contratto collettivo applicabile presso
l’impresa utilizzatrice o l’agenzia interinale o ancora ai due terzi di quanto
ricevuto per l’ultimo incarico (se questo risulta essere il maggior importo
applicabile).
In Belgio, il principio dell'equa retribuzione per uno stesso incarico si
applica indipendentemente dalla natura temporanea dello stesso almeno
che la contrattazione collettiva non preveda vantaggi di uguale valore.
Deroghe alla parità di trattamento.
L'art. 5 (dal secondo paragrafo in poi) prevede la possibilità di derogare al
principio al ricorrere di alcune circostanze. Sono dodici gli Stati che si
sono avvalsi di questa possibilità.
L’art. 5.2 concede agli Stati membri la possibilità di derogare alla parità di
retribuzione nel caso in cui i lavoratori interinali continuino a essere
retribuiti nel periodo che intercorre tra una missione e l’altra purché
abbiano un contratto a tempo indeterminato con l’agenzia. Questa deroga,
a parte che in Irlanda, Malta, Regno Unito, Svezia e Ungheria, è stata
poco applicata.
In Ungheria si prevede che questo tipo di lavoratori abbia diritto alla parità
di retribuzione dal 184° giorno di lavoro presso l’utilizzatore.
92
In Irlanda, il Protection of Employees (Temporary Agency Work) Act del
2012 stabilisce che i lavoratori interinali con contratto a tempo
indeterminato non hanno diritto alla parità di retribuzione per tutta la
durata dell’incarico se nel periodo che intercorre tra una missione e l’altra
gli è corrisposta almeno la metà della retribuzione loro spettante per la
missione più recente sempre che non sia inferiore al salario minimo
nazionale. Il lavoratore, prima di sottoscrivere questo tipo di contratto,
deve essere informato per iscritto dall’agenzia interinale del fatto che non
avrà diritto alla parità di retribuzione.
Nel Regno Unito, gli Agency Workers Regulations 2010 derogano alla
parità di trattamento per ciò che concerne la retribuzione e le ferie per i
lavoratori interinali con contratto a tempo indeterminato con l’agenzia.
Questi, tra una missione e l’altra, hanno diritto al 50% minimo della
retribuzione di base che è stata corrisposta loro nelle ultime dodici
settimane della missione precedente e, in ogni caso, al salario minimo
nazionale.
A Malta ed in Svezia ci si limita ad affermare che ai lavoratori interinali che
hanno un contratto a tempo indeterminato e che sono retribuiti tra una
missione e l’altra non si applica la parità.
L’art. 5.3 prevede che gli Stati membri, dopo la consultazione delle parti
sociali, possono permettere alle stesse di mantenere o concludere
contratti collettivi riguardanti le condizioni di lavoro e d’occupazione dei
lavoratori interinali in deroga al principio della parità di trattamento e nel
93
rispetto della protezione globale dei lavoratori stessi. Questo paragrafo va
letto insieme all’art 2.2 della direttiva 91/383/CEE sulla sicurezza e sulla
salute durante il lavoro dei lavoratori aventi un rapporto di lavoro a durata
determinata o un rapporto di lavoro interinale che indica come non
giustificata una differenza di trattamento relativa alla protezione della
salute e sicurezza durante il lavoro.
Austria, Bulgaria, Danimarca, Finlandia, Germania, Irlanda, Italia, Paesi
Bassi, Svezia e Ungheria hanno adottato disposizioni che permettono ai
contratti collettivi di lavoro di derogare alla parità di trattamento dei
lavoratori tramite agenzia interinale.
In Austria, Irlanda e Svizzera, ciò è possibile a condizione che i contratti
collettivi di lavoro siano opportunamente equilibrati al fine di non
pregiudicare la protezione globale dei lavoratori somministrati.
In Italia il principio di parità di trattamento era già esistente nella
legislazione nazionale ma è stato nuovamente sancito nel decreto
24/2012 adottato per la trasposizione della direttiva. In aggiunta, sono stati
conclusi degli accordi tra le agenzie interinali e Italia Lavoro, ente
strumentale del Ministero del Lavoro, per derogare al principio nel caso di
assunzione di lavoratori svantaggiati2. Sono considerati tali quei soggetti
che trovano particolari difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro e la
deroga alla parità è ammessa se vengono assunti dall’agenzia di
2
Sono considerati soggetti svantaggiati i disoccupati percettori dell’indennità ordinaria di
disoccupazione non agricola con requisiti normali o ridotti, da almeno 6 mesi; i percettori di
ammortizzatori sociali, anche in deroga, da almeno 6 mesi; i lavoratori definiti “svantaggiati” o
“molto svantaggiati” ai sensi del regolamento 800/2008 CE.
94
somministrazione per almeno sei mesi con un piano individuale di
inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro.
Secondo l’art. 5.4, gli Stati membri che non possiedono un sistema che
dichiari i contratti collettivi universalmente applicabili né un sistema che
consenta di estendere le disposizioni di tali contratti a tutte le imprese
simili in un determinato settore o area geografica possono, in base a un
accordo concluso dalle parti sociali nazionali, derogare al principio della
parità di trattamento per quanto riguarda le condizioni di base di lavoro e
d'occupazione dei lavoratori tramite agenzia interinale, a condizione che a
tali lavoratori sia garantito un livello adeguato di protezione. In tal caso
può essere previsto un periodo di attesa per il conseguimento della parità
di trattamento.
Gli unici Paesi che hanno fatto ricorso a questa deroga sono stati Malta e
il Regno Unito.
Nel Regno Unito, un accordo prevede espressamente che, dopo dodici
settimane di lavoro, si riconosca al lavoratore interinale il diritto alla parità
di trattamento almeno in relazione alle condizioni di base che si
applicherebbero al lavoratore se fosse stato contrattato direttamente
presso l’utilizzatore per svolgere mansioni uguali o simili.
Sono state
anche adottate delle norme volte ad assicurare la parità nella retribuzione
ed è stata elaborata, fin dalla trasposizione della direttiva una nuova
strategia che spinge i lavoratori interinali a firmare nuovi contratti di lavoro
95
contenenti l’indicazione della loro considerazione come lavoratori a tempo
indeterminato.
Questa pratica ha però preoccupato i sindacati i quali temono che questa
possa essere una tecnica volta a evitare in realtà l’applicazione della
parità nel trattamento e nella retribuzione.
Il legislatore britannico ha anche previsto un 'real comparator defence' che
permette all'impresa di dimostrare che il principio di parità di trattamento è
stato rispettato in quanto il lavoratore interinale gode delle stesse
condizioni di lavoro di un reale lavoratore comparabile dell'impresa
utilizzatrice. Il rischio di questo meccanismo è che il datore di lavoro possa
assumere un lavoratore per lo scopo della comparazione riconoscendogli
condizioni di lavoro inferiori.
A Malta, per quanto riguarda la retribuzione si è previsto che la parità non
si applichi per le prime quattro settimane in relazione a missioni la cui
durata non è inferiore alle quattordici.
Gli Stati che applicano questo paragrafo devono anche precisare se i
regimi professionali di sicurezza sociale (inclusi i regimi pensionistici) sono
compresi o meno nelle condizioni di base. Si rileva che entrambi i Paesi
su menzionati (Regno Unito e Malta) li escludono.
Misure volte a prevenire gli abusi.
L’art. 5.5 impone agli Stati di prevedere misure volte a evitare il ricorso
abusivo all’articolo 5 e volte a prevenire missioni successive che
potrebbero eludere le disposizioni di questa direttiva.
96
Due sono le misure più utilizzate:
1)
la
limitazione
della
durata
delle
missioni.
In Polonia si prevede che un lavoratore interinale possa lavorare per un
impresa per un massimo di 18 mesi all’interno di un periodo di 36 mesi
consecutivi. Una volta raggiunto questo limite potrà lavorare di nuovo per
lo stesso utilizzatore solo quando saranno passati 36 mesi dalla
cessazione dell’incarico.
In Grecia, il lavoratore interinale potrà prestare la propria opera presso
l’impresa per un massimo di 36 mesi, in modo da evitare un abuso
nell’assegnazione successiva.
In Lussemburgo, la durata non può superare i 12 mesi per lo stesso
incarico, rinnovi inclusi. Il Ministro del Lavoro può però estendere i termini
quando per lo svolgimento della missione siano richieste conoscenze
altamente specializzate ed elevata esperienza professionale.
In Spagna, la durata massima dipende dalla ragione del ricorso al lavoro
tramite agenzia così come indicato nell’art. 15 dello Statuto dei Lavoratori.
Differente è la situazione in Portogallo dove non è permessa
l’assegnazione di incarichi successivi ma la durata degli stessi è limitata
solo in determinate situazioni come un eccezionale aumento dell’attività
lavorativa.
In Francia, a differenza di altri ordinamenti, il contratto con il quale
l’agenzia assume il lavoratore poteva essere stipulato esclusivamente a
tempo determinato e la sua durata non poteva eccedere i diciotto mesi,
97
rinnovi inclusi. Il 10 luglio 2013 le parti sociali hanno concluso un accordo
collettivo che prevede espressamente che le agenzie interinali possano
stipulare contratti a tempo indeterminato per assegnare un lavoratore
interinale presso un’impresa utilizzatrice per svolgere più missioni
consecutive.
I
contratti
a
tempo
indeterminato
devono
essere
obbligatoriamente redatti per iscritto e devono specificare la durata del
periodo di prova, l’orario di lavoro, il salario minimo.
2) La previsione di un periodo di attesa tra una missione e l’altra.
In Grecia, se viene superata la durata massima dell’incarico (36 mesi)
senza che vi sia stata almeno una pausa di 45 giorni, il contratto o la
relazione di lavoro temporanea con l’impresa utilizzatrice si trasforma in
contratto/relazione a tempo indeterminato. Fanno eccezione i lavoratori
impiegati in hotel o imprese alimentari contrattati per eventi sociali.
L’ordinamento francese prevede che alla fine di un contratto di missione,
lo stesso posto non possa essere ricoperto mediante l’assunzione di un
lavoratore a tempo determinato o con il ricorso alla somministrazione di
lavoro se prima non trascorre un periodo di attesa calcolato sulla base
della durata della missione appena cessata, incluso un suo eventuale
rinnovo. Tale periodo è pari ad un terzo della durata complessiva del
contratto di missione cessato, inclusa una possibile proroga, nel caso di
contratti di durata superiore a quattordici giorni; alla metà della durata se
questa è stata inferiore ai quattordici giorni.
98
In alcuni casi le legislazioni nazionali prevedono soluzioni originali.
In Polonia, i lavoratori interinali possono essere assunti solo con contratti
a tempo determinato o per il compimento di un incarico specifico.
In Irlanda, una serie d’incarichi uguali o simili svolti dallo stesso lavoratore
sarà considerata come un’unica missione almeno che tra un compito e
l’altro non vi sia stata una pausa di almeno tre mesi.
In Italia nel caso di un incarico successivo, i contratti collettivi nazionali
firmati da CGIL, CISL, UIL fissavano il numero massimo di estensioni
possibili dello stesso contratto con la stessa agenzia e la stessa impresa
utilizzatrice in sei rinnovi in un arco temporale di 36 mesi. Adesso, con la
L. 78/20143, la somministrazione a termine con la quale un’agenzia per il
lavoro invia dei lavoratori presso un’impresa utilizzatrice è consentita per i
primi 36 mesi senza alcun limite per i rinnovi. Altra novità introdotta dalla
legge 78/2014 è il superamento della cd. “causale” per la stipulazione di
un contratto di somministrazione a tempo determinato. La regola generale
diventa quella della cd. “acausalità” del contratto: non è più richiesta,
come
requisito
per
la
valida
stipulazione
di
un
contratto
di
somministrazione a tempo determinato, la sussistenza di specifiche
ragioni di ordine tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. Per quanto
riguarda invece i limiti quantitativi all’utilizzazione della somministrazione
di lavoro, l’art. 20.4 del d. lgs. 276/2003 prevede che questi sono stabiliti
3
La L. 78/2014 è la legge di conversione del d.l. 34/2014 che modifica il d.lgs. 368/2001 di
attuazione della direttiva 99/70/CE sul lavoro a tempo determinato, tenendo conto della crisi
occupazionale e dell’incerta situazione economica in cui le imprese sono costrette a operare in
questo momento storico. Stando a quanto espresso all’art. 22.2 del d.lgs. 276/2003, le disposizioni
del d.lgs. 368/2001 si applicano alla somministrazione in quanto compatibili.
99
nei
contratti
collettivi
nazionali
di
lavoro
stipulati
dai
sindacati
comparativamente più rappresentativi. Per i datori di lavoro che occupano
fino a cinque dipendenti è sempre possibile stipulare un contratto di lavoro
a tempo determinato. Le proroghe sono ammesse, fino a un massimo di
cinque volte, nell'arco dei complessivi trentasei mesi, indipendentemente
dal numero dei rinnovi, a condizione che si riferiscano alla stessa attività
lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato.
Con esclusivo riferimento a tale ipotesi la durata complessiva del rapporto
a termine non potrà essere superiore ai tre anni. Ai fini del suddetto
computo del periodo massimo di durata del contratto a tempo determinato,
pari a trentasei mesi, si tiene altresì conto dei periodi di missione aventi ad
oggetto mansioni equivalenti, svolti fra i medesimi soggetti.
5. Analisi e rimozione di proibizioni e limitazioni da parte degli Stati
membri.
L’art. 4 prevede che i divieti e le restrizioni poste al ricorso al lavoro
interinale possano essere giustificate solo sulla base di ragioni d’interesse
generale relative alla tutela dei lavoratori, alla salute e sicurezza, alla
necessità di garantire il buon funzionamento del mercato del lavoro e la
prevenzione di abusi (questo è un elenco esemplificativo e non tassativo).
Si sono incontrate sempre molte difficoltà nel definire il concetto di
‘interesse generale’ dato che i giudici dei singoli Paesi non ne hanno mai
100
fornito una definizione chiara e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea
prevede un ampio margine di apprezzamento.
In Belgio non si è riusciti a raggiungere un accordo sulla definizione e i
sindacati enfatizzano il riferimento agli aspetti relativi a salute e sicurezza;
in Slovenia, il concetto di interesse generale è stato collegato alle
restrizioni relative ai lavoratori in sciopero e alle problematiche su salute e
sicurezza dei lavoratori.
Sugli Stati gravava l’obbligo di rivedere queste limitazioni, consultare le
parti sociali e fornire alla Commissione i risultati del riesame entro il 5
dicembre 2011 (data fissata per la trasposizione della direttiva).
Tutti gli Stati hanno rispettato tale obbligo e comunicato alla Commissione
la loro posizione riguardo al riesame di divieti e restrizioni. Quattro Paesi
(Irlanda, Lussemburgo, Malta e Regno Unito) hanno dichiarato di non aver
svolto alcun riesame in quanto avevano ritenuto non esistenti restrizioni o
divieti all’interno dei loro ordinamenti.
Nel caso del Lussemburgo, la Commissione, al contrario di quanto
dichiarato, ha riscontrato delle restrizioni nella legislazione nazionale
relativamente alla durata delle missioni e all’esistenza di un elenco di
ragioni che rendono ammissibile il ricorso al lavoro tramite agenzia
interinale. Queste dovranno essere riesaminate previa consultazione delle
parti sociali e conformemente ai contratti collettivi e alle prassi nazionali
secondo quanto disposto dall’art. 4.2 della direttiva.
101
Le relazioni sul riesame di divieti e restrizioni erano molto eterogenee per
vari motivi: il formato, la lunghezza, la varietà di situazioni incontrate nei
vari Paesi. Nella maggior parte dei casi la Commissione ha dovuto
richiedere informazioni più specifiche e accurate. Benché il lavoro tramite
agenzia interessi solo una percentuale esigua di lavoratori dipendenti, in
alcuni Stati è più diffuso che in altri; in alcuni di essi la regolamentazione a
livello nazionale si è avuta tra gli anni ’60 o ’70 (Paesi Bassi, Francia,
Germania, Regno Unito) e in altri molto più di recente (alcuni hanno
provveduto solo con la trasposizione della direttiva).
Gli Stati hanno elencato i divieti e le restrizioni imposti al lavoro tramite
agenzia interinale utilizzando, nella maggior parte dei casi, giustificazioni
molto generiche e avvalendosi delle indicazioni dell’art. 4.1: ragioni di
interesse generale che investono la tutela dei lavoratori, la salute e
sicurezza, il buon funzionamento del mercato del lavoro, la prevenzione di
abusi.
Belgio, Bulgaria, Croazia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Polonia,
Portogallo, Repubblica ceca, Slovenia, Ungheria hanno citato la ‘tutela del
lavoratore interinale’ per spiegare alcuni limiti. La Germania per esempio
se ne è avvalsa per legittimare le restrizioni nel settore edile.
Molti Paesi sono ricorsi alle ‘prescrizioni in materia di salute e sicurezza
sul lavoro’ per giustificare le limitazioni o il divieto totale al ricorso ai
lavoratori interinali in relazione a mansioni particolarmente rischiose.
102
A tal proposito viene in rilievo l’art. 5.1 della direttiva 91/383/CEE sulla
sicurezza e sulla salute durante il lavoro dei lavoratori aventi un rapporto
di lavoro a durata determinata o un rapporto di lavoro interinale. Ai sensi di
detto articolo, gli Stati membri hanno la facoltà di vietare il ricorso a
lavoratori tramite agenzia interinale <<per taluni lavori particolarmente
pericolosi per la loro sicurezza o salute (…) ed in particolare per taluni
lavori che formano oggetto di una sorveglianza medica speciale (…)>>.
Il diritto dell'Unione non fornisce definizioni del concetto di lavori
particolarmente pericolosi per la sicurezza o la salute dei lavoratori ed è
quindi rimessa agli Stati membri la responsabilità di individuare le attività
cui l’articolo si riferisce con il controllo della Corte di giustizia.
‘La necessità di garantire il buon funzionamento del mercato del lavoro’ è
servita per giustificare l’adozione di un elenco limitativo delle ragioni che
permettono il ricorso alla somministrazione in Francia e Polonia; nonché
per limitare il numero o la percentuale di lavoratori tramite agenzia
interinale di cui può avvalersi un’impresa utilizzatrice in Belgio e Italia.
Alcuni Paesi hanno giustificato il ricorso a divieti e restrizioni sulla base
della ‘necessità di garantire la prevenzione di abusi’.
In Belgio è stato previsto che l’impresa utilizzatrice debba ottenere il
consenso della sua delegazione sindacale prima di avvalersi della
somministrazione di lavoratori.
103
Inoltre in Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Francia, Grecia, Italia, Polonia,
Slovenia, Spagna, Ungheria è vietato ricorrere ai lavoratori interinali per
sostituire i lavoratori che esercitano il diritto di sciopero.
Alcuni Stati (Belgio, Francia, Grecia, Polonia) hanno previsto misure
restrittive volte a tutelare l’occupazione a tempo indeterminato e quindi ad
evitare che posti fissi possano essere ricoperti da lavoratori assunti
temporaneamente. Sulla base di questa giustificazione, hanno anche
limitato la durata degli incarichi e stilato un elenco di ragioni ammissibili
per il ricorso a questa forma di impiego come per esempio la sostituzione
di un lavoratore assente, un aumento temporaneo del volume di lavoro, lo
svolgimento di mansioni straordinarie o stagionali.
Le restrizioni e i divieti sono giustificate solo da ragioni di interesse
generale secondo quanto disposto dall’art. 4.1 e devono essere il risultato
di scelte politiche basate su motivi legittimi e proporzionati all’obiettvo
perseguito. Se comportano una discriminazione nei confronti dei lavoratori
interinali non li si può considerare giustificati sulla base dell’interesse
generale (ad esempio, il divieto di assumere i disabili come lavoratori
somministrati non è giustificato dal garantire il buon funzionamento del
mercato del lavoro né dalla tutela di questi soggetti o dalle prescrizioni in
materia di salute e sicurezza).
Ai sensi dell’art. 5.2, gli Stati nel riesaminare i divieti e le restrizioni hanno
coinvolto le parti sociali in vari modi: alcuni le hanno consultate nel quadro
del riesame dei divieti e delle restrizioni; altri hanno affidato il riesame alle
104
parti sociali stesse essendo i limiti fissati nei contratti collettivi; ci sono poi
Paesi che hanno consultato le parti sociali nell’adozione della normativa di
recepimento. Questo diverso modo di coinvolgerle riflette le varie
sfumature di funzioni e ruoli che le parti sociali rivestono all’interno
dell’Unione Europea.
6. Mezzi e strumenti riconosciuti ai lavoratori interinali.
L'articolo 6 migliora l'accesso dei lavoratori tramite agenzia interinale
all'occupazione permanente, alle attrezzature collettive e alla formazione
professionale.
Prevede che:

i lavoratori tramite agenzia interinale siano informati dei posti
vacanti nell'impresa utilizzatrice;

garantisce ai lavoratori tramite agenzia interinale la parità di
accesso alle strutture e alle attrezzature collettive nell'impresa
utilizzatrice, in particolare ai servizi di ristorazione, alle infrastrutture
d'accoglienza dell'infanzia e ai servizi di trasporto, a meno che
ragioni oggettive giustifichino un trattamento diverso;

chiede agli Stati membri o alle parti sociali di migliorare l'accesso
dei lavoratori tramite agenzia interinale alle opportunità di
formazione nelle agenzie interinali e nelle imprese utilizzatrici.
105
L’art. 6.1 prevede che i lavoratori interinali debbano essere informati, nei
modi opportuni, dei posti vacanti nell’impresa affinché possano aspirare a
ricoprire posti di lavoro a tempo indeterminato. Questo paragrafo è stato
recepito senza problemi di alcun tipo dai vari Stati (Grecia, Polonia,
Slovenia, Austria, Germania, Irlanda) e non sembra creare problemi.
In Italia si prevede l’obbligo per le imprese utilizzatrici di informare i
lavoratori somministrati dei posti vacanti in azienda attraverso un avviso
generale opportunamente affisso nei locali dell’utilizzatore in modo che i
lavoratori somministrati possano aspirare a ricoprire posti di lavoro a
tempo indeterminato.
In Grecia, sono nulle le clausole che proibiscono la conclusione di contratti
di lavoro tra le agenzie interinali e le imprese utilizzatrici o che limitano
l’accesso alla previdenza sociale. In Slovenia, l’impresa deve assicurare ai
lavoratori interinali pari opportunità di conclusione di contratti a tempo
indeterminato e il datore di lavoro non ne può impedire la conclusione una
volta terminata la missione né può richiedere un pagamento o qualsiasi
altro tipo di compenso per la conclusione del contratto.
La metà dei Paesi membri ha poi dichiarato di volersi avvalere della
possibilità di derogare al principio della parità di accesso alle strutture ed
attrezzature collettive nell’impresa utilizzatrice in casi eccezionali e se
sussistono ragioni giustificatrici. Il fatto che esista questa possibilità, non
significa che sia effettivamente applicata.
106
Al quinto paragrafo, si incoraggiano le parti sociali a migliorare l’accesso
dei lavoratori interinali alle opportunità di formazione professionale e alle
infrastutture per l’infanzia presso l’agenzia interinale, anche nel periodo
intercorrente tra una missione e l’altra, in modo da permettere al
lavoratore di dedicarsi alla carriera. Inoltre, si auspica e si promuove
l’accesso dei lavoratori suddetti alla formazione di cui usufruiscono i
lavoratori
impiegati
direttamente
presso
le
imprese
utilizzatrici.
In Belgio, i lavoratori somministrati hanno pari accesso alle infrastrutture
(quali quelle per l’infanzia, i trasporti, la mensa) rispetto ai lavoratori
permanenti,
salva
restando
la
possibilità
di
deroghe.
A Malta, i lavoratori interinali accedono alla formazione professionale alle
stesse
condizioni
dei
lavoratori
dipendenti
dell’utilizzatore.
Non ci sono stati problemi di attuazione nemmeno in Polonia, Germania,
Irlanda. In Romania, peraltro, una previsione di questo tenore esisteva
nella legislazione nazionale già prima dell’attuazione della direttiva.
La questione più problematica è stata l’organizzazione e l’accesso alla
formazione. Su questo punto, la direttiva si è rivelata poco vincolante.
In Francia, deve provvedervi l’agenzia di somministrazione anche se la
formazione riguardante gli aspetti di salute e sicurezza era già da prima
affidata all’utilizzatore. In Polonia, si richiede un’anzianità di sei settimane
per accedere al programma di formazione professionale presso l’impresa
utilizzatrice.
107
Inoltre, la Spagna, l’Austria, l’Olanda e la Francia hanno previsto
l’istituzione di fondi speciali per finanziare la formazione dei lavoratori
interinali. L’ordinamento spagnolo ha espressamente stabilito che le
agenzie sono tenute a versare l’1% del monte salari alla formazione dei
lavoratori assunti. Queste devono garantire che il lavoratore, prima di
essere messo a disposizione dell’impresa, riceva la formazione teorica e
pratica necessaria a prevenire i rischi professionali collegati al lavoro da
svolgere. Anche in Italia si è previsto un fondo per la formazione dei
lavoratori in somministrazione, Forma.Temp4, che rende disponibili le
risorse finanziarie destinate a qualificare ulteriormente il lavoro in
somministrazione nel sistema delle politiche del lavoro. È finanziato
dal contributo pari al 4% delle retribuzioni lorde corrisposte ai lavoratori
somministrati a tempo determinato ed ha quali finalità la promozione di
percorsi di qualificazione e riqualificazione anche in funzione di continuità
di occasioni di impiego; la previsione di specifiche misure previdenziali per
i lavoratori somministrati.
7. Il computo dei lavoratori interinali ai fini della costituzione degli
organi rappresentativi.
Secondo quanto stabilito nell’art. 7, per il calcolo della soglia al di sopra
della quale si possono costituire gli organi rappresentativi dei lavoratori, i
4
Questo fondo è stato autorizzato all’esercizio delle attività con Decreto del Ministero del Lavoro il
quale esercita sullo stesso un potere di vigilanza e controllo.
108
lavoratori interinali possono essere presi in considerazione o presso
l’agenzia stessa, o presso l’utilizzatore o presso entrambi.
Nella maggior parte degli Stati membri (Bulgaria, Croazia, Danimarca,
Estonia, Finlandia, Irlanda, Italia, Lituania, Malta, Polonia, Regno Unito,
Repubblica ceca, Slovenia, Spagna, Svezia e Ungheria) sono conteggiati
all’interno dell’agenzia interinale; in Belgio, Lettonia e Romania sono presi
in considerazione solo nell’impresa utilizzatrice; in Austria, Cipro, Francia,
Germania, Grecia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo e Slovacchia
sono calcolati presso entrambi al ricorrere di alcuni presupposti. Per
esempio, in Austria non c’è stato bisogno di recepire l’articolo 7 dato che
la legislazione di questo paese contiene già una previsione dello stesso
tenore. La rappresentanza dei lavoratori è prevista tanto presso l’agenzia
che presso l’impresa se il lavoratore interinale ha maturato un’anzianità
pari almeno a sei mesi.
In Francia, i lavoratori interinali possono essere rappresentati presso
l’agenzia se vantano quanto meno un’anzianità pari a tre mesi negli utlimi
dodici, possono anche eleggere i rappresentanti con tre mesi di anzianità
e farsi eleggere come rappresentanti se hanno maturato un’esperienza
lavorativa perlomeno di sei mesi nell’arco degli ultimi diciotto. Presso
l’impresa utilizzatrice, possono eleggere i propri rappresentanti con
un’anzianità di dodici mesi e possono farsi eleggere passati i ventiquattro
mesi.
109
Nella Repubblica Ceca, sia l’agenzia che l’impresa sono considerati datori
di lavoro e quindi i rappresentanti dei lavoratori possono operare nelle
relative sedi; difatti la rappresentazione dei lavoratori non è qui
obbligatoria così come non lo è l’adesione a un sindacato.
Alcuni Stati prevedono delle condizioni specifiche al ricorrere delle quali
sono presi in considerazione i lavoratori interinali. In Bulgaria si deve
considerare il numero medio di lavoratori tramite agenzia che sono stati
impiegati nei dodici mesi precedenti. In Belgio, il calcolo si effettua sulla
base del numero medio di lavoratori interinali impiegati dall’impresa nel
trimestre precedente, non tenendo conto di quelli che sono assunti per
sostituire i membri del personale permanente presso l’utilizzatore.
8. Obbligo di fornire informazioni sul ricorso alla somministrazione
dei lavoratori.
L'impresa utilizzatrice deve fornire ai rappresentanti dei lavoratori le
informazioni adeguate per lo svolgimento del relativo impiego nel
momento in cui presenta i dati sulla propria situazione occupazionale agli
organi rappresentativi dei lavoratori.
La procedura d’informazione era già prevista, prima dell’entrata in vigore
della direttiva, in alcuni Stati quali Belgio, Spagna, Polonia, Danimarca,
Austria, Lussemburgo e Svezia. In Belgio, l’impresa utilizzatrice deve
informare le agenzie interinali dei posti di lavoro disponibili presso di essa.
In Lussemburgo, il datore di lavoro deve consultare i rappresentanti
110
sindacali quando decide di ricorrere alla somministrazione dei lavoratori.
In Svezia, se l’impresa ha aderito alla contrattazione collettiva, i sindacati
che vi hanno partecipato hanno il diritto di veto in relazione al ricorso alla
somministrazione. In Spagna l’utilizzatore deve informare i rappresentanti
dei lavoratori riguardo ad ogni clausola del contratto e sulle ragioni
dell’utilizzo dei lavoratori stessi entro dieci giorni dalla stipulazione.
Ci sono Stati che prevedono la consultazione dei rappresentanti solo in
alcune circostanze: in Danimarca previa indicazione dei contratti collettivi;
in Polonia, se si prevede un utilizzo dei lavoratori interinali superiore ai sei
mesi, il datore di lavoro dell’impresa deve raggiungere un accordo con i
rappresentanti dei sindacati e deve fornire le informazioni relative al tipo
d’incarico, ai requisiti richiesti, all’orario e alle condizioni di lavoro; in
Francia sono previste consultazioni ogni tre mesi quando l'impresa ha più
di 300 impiegati o una l’anno quando il numero di lavoratori è inferiore; nel
Regno Unito, i sindacati hanno diritto a ricevere informazioni relative al
numero di lavoratori interinali impiegati, la loro posizione ed il tipo di lavoro
svolto.
9. Standard minimi di tutela.
L’art. 9 afferma chiaramente che gli standard di protezione previsti dalla
direttiva sono i livelli minimi che gli Stati o le parti sociali possono ampliare
con l’introduzione di previsioni più favorevoli.
111
Il secondo paragrafo dell'articolo contiene la ‘clausola di non regresso’ per
la quale le misure adottate dagli Stati per attuare la direttiva non possono
essere utilizzate per giustificare una riduzione del grado di protezione già
previsto dagli Stati stessi.
Tutti gli Stati hanno trasposto questa disposizione e non si rilevano
problemi.
10. I rimedi in caso di inosservanza della disciplina.
Le sanzioni, previste in caso d’inosservanza della disciplina del lavoro in
somministrazione e quindi anche della direttiva nei limiti in cui essa può
esprimere dei principi direttamente applicabili nell’ordinamento nazionale,
variano da Stato a Stato.
Ci sono casi in cui quelle già esistenti non hanno subito particolari
modifiche, come per esempio è accaduto in Spagna o in Svezia dove le
agenzie interinali sono responsabili in caso di mancata osservanza della
Direttiva. In Spagna, in particolare, sono nulle le clausole che vietano
all’utilizzatore di assumere il lavoratore alla fine della missione. In Italia, la
sanzione amministrativa pecuniaria (da Euro 250 a Euro 1.250) prevista
all’art. 18.3 del d.lgs. 276/2003 è stata estesa:
1) alle ipotesi di violazione del diritto a ricevere condizioni di base di lavoro
e d’occupazione “complessivamente non inferiori” a quelle dei dipendenti
di pari livello dell’utilizzatore;
112
2) nei confronti dell’utilizzatore in caso di esclusione del lavoratore in
missione dall’utilizzo dei servizi sociali e assistenziali spettanti ai
dipendenti dell’utilizzatore;
3) al caso di mancata informazione al lavoratore somministrato circa i
posti vacanti.
Si è prevista, inoltre, una sanzione penale (arresto per un periodo non
superiore all’anno o, in alternativa, l’ammenda da 2.500 a 6 mila euro) nei
confronti di chi esiga un compenso per favorire un’assunzione presso un
utilizzatore ovvero per l’ipotesi di stipulazione di un contratto di lavoro o
avvio di un rapporto di lavoro con l’utilizzatore dopo una missione presso
quest’ultimo (art.18.4 bis d.lgs. n. 276 del 2003).
In altri Stati invece l'attuazione della Direttiva ha permesso di rafforzare le
sanzioni come per esempio è accaduto in Austria dove, se l’impresa
utilizzatrice non si adatta a quanto stabilito nella direttiva, è previsto un
aumento delle pene pecuniarie del 40%.
In Grecia sono previste pene per qualsiasi inadempimento contrattuale e,
se l’agenzia di somministrazione opera senza essere in possesso delle
dovute licenze, è prevista non solo l’apposizione dei sigilli e la relativa
chiusura ma, in aggiunta, la persona responsabile è punita con due anni di
reclusione e una sanzione pecuniaria.
Alcuni ordinamenti prevedono la responsabilità congiunta dell'agenzia
interinale e dell'impresa utilizzatrice. A tal proposito, nel Regno Unito la
responsabilità dell'una o dell'altra dipende dalla regola infranta. Il
113
problema principale per i lavoratori è che manca un ispettorato del lavoro
e, quindi, si può solo ricorrere per via giudiziaria; via che pone il problema
dell’onere della prova e dei costi. Inoltre, il più delle volte si ricorre solo
quando il rapporto di lavoro si è già concluso e i sindacati, che potrebbero
giocare un ruolo fondamentale nel processo, hanno un numero di iscritti
molto basso.
Alcune legislazioni nazionali (Grecia e Francia) prevedono sanzioni civili
come la riqualificazione dell'impiego attraverso un contratto a tempo
indeterminato al ricorrere di certe circostanze. In Francia, ciò accade
quando l’utilizzatore continui a servirsi del lavoratore temporaneo dopo la
fine della sua missione senza concludere un nuovo contratto di lavoro.
114
CAPITOLO 3
IL RAPPORTO TRA LA SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO
ED IL DISTACCO DEI LAVORATORI NELL’AMBITO DI UNA
PRESTAZIONE DI SERVIZI.
SOMMARIO: 1. La direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori
nell’ambito di una prestazione di servizi. - 2. Rapporti tra la direttiva
2008/104/CE e la direttiva 96/71/CE. - 3. La protezione minima dei
lavoratori distaccati corrisponde a quella prevista dall'agenzia interinale
per incarichi transfrontalieri? - 4. La direttiva 2014/67/UE di esecuzione
della direttiva 96/71 sul distacco dei lavoratori.
1. La direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito
di una prestazione di servizi.
La direttiva 96/71 affronta un problema originato dalla diversità dei sistemi
di diritto internazionale privato dei paesi membri con riguardo alle regole
cui fare riferimento in caso di conflitto tra le varie leggi nazionali applicabili
allo stesso rapporto contrattuale.
Per risolvere questo problema, il 19 giugno 1980 era stata stipulata la
Convenzione di Roma sostituita poi dal regolamento 593/2008 Roma I
sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali che stabilisce il
principio fondamentale secondo il quale il contratto è regolato dalla legge
scelta dalle parti. La scelta deve essere espressa o deve risultare, in
modo ragionevolmente certo, dal contratto o dalle circostanze.
Per chiarire il rapporto tra regolamento e direttiva, importante è l’art. 9 del
regolamento stesso che prevede la possibilità, nell’applicazione della
115
legge di un Paese membro, di tenere conto anche delle norme di
applicazione necessaria di un altro Paese con il quale la situazione
presenti uno stretto legame. Non è però indicato il tipo di norme cui ci si
riferisce.
La direttiva sul distacco ha, come obiettivo, l’inquadramento giuridico della
situazione dei lavoratori temporaneamente distaccati in un altro Paese
membro. Le sue disposizioni concernono l’individuazione delle norme di
applicazione necessaria nel luogo d’esecuzione della prestazione
lavorativa (norme che costituiscono il nucleo irrinunciabile di protezione
minima per i lavoratori) e indicano i criteri necessari all’applicazione dei
contratti collettivi.
La direttiva mira ed elaborare dei metodi per identificare le regole
applicabili nei diversi Paesi e quindi, così intesa, non è uno strumento di
diritto del lavoro ma di diritto internazionale privato. Lo scopo è proprio
quello di garantire che i diritti e le condizioni di lavoro di un lavoratore
transfrontaliero siano rispettati in tutta l’Unione Europea.
La libera prestazione di servizi determina situazioni di mobilità dei
lavoratori
e
comporta
l’individuazione
di
soluzioni
al
problema
dell’attuazione del lavoro in uno Stato ospite. La direttiva disciplina i casi di
circolazione del lavoro sotto forma di prestazione di servizi in ambito
transnazionale instaurando tra le imprese un regime di concorrenza leale
in modo da assicurare una tendenziale parità di trattamento tra quelle che
116
svolgono una prestazione di servizi transnazionale e quelle del Paese
ospitante.
La direttiva si rivolge alle imprese stabilite in uno Stato membro che, nel
quadro di una prestazione di servizi transnazionale, distacchino lavoratori
nel territorio di un altro Stato membro (art. 1.1) .
Per lavoratore distaccato deve intendersi, secondo l’art. 2, quello che <<
per un periodo limitato, svolge il proprio lavoro nel territorio di uno Stato
membro diverso da quello nel cui territorio lavora abitualmente >>.
Tre sono le situazioni tipiche che si possono verificare e sono indicate
all’art. 1.3: appalto o subappalto transnazionale; mobilità intraziendale o
infragruppo1; lavoro interinale transfrontaliero. E questo terzo punto è
proprio quello che ci interessa dato che tratta dell’impresa di lavoro
temporaneo o che svolga attività di cessione temporanea di lavoratori la
quale distacchi << un lavoratore presso un’impresa utilizzatrice avente la
sede o un centro di attività nel territorio di uno Stato membro, purché
durante il periodo di distacco esista un rapporto di lavoro fra il lavoratore e
l'impresa
di
lavoro
temporaneo
o
l'impresa
che
lo
cede
temporaneamente>>. In questo caso i servizi sono erogati nell’ambito del
mercato comunitario.
La Corte di Giustizia ha inizialmente dato un’interpretazione restrittiva
della direttiva sul distacco in quanto non è una direttiva in materia di diritto
del lavoro dato che tratta della libera prestazione dei servizi più che della
1
Il lavoratore è distaccato dall’impresa nel territorio di uno Stato membro presso uno stabilimento o
un’impresa appartenente al gruppo purchè durante il periodo di distacco esista un rapporto di
lavoro tra il lavoratore e l’impresa che lo invia.
117
tutela dei lavoratori. La giurisprudenza della Corte ha, in realtà, limitato la
possibilità dei Paesi membri e dei sindacati di esigere una miglior
protezione e la parità di trattamento tra i lavoratori locali e i lavoratori
migranti nel paese ospitante e di intraprendere le necessarie misure e
azioni contro il social dumping2. L’ha fatto indicando una gerarchia di
norme da seguire che vede come principale e fondamentale libertà la
libertà dei mercati, seguita al secondo posto dall’azione. Difatti ciò che
maggiormente colpisce in Viking e Laval è l’idea che l’azione collettiva per
essere legittima debba essere contemperata con le libertà economiche
fondamentali così come formulate dai giudici nazionali e dalla stessa
CGUE sulla base dei parametri di adeguatezza e proporzionalità
dell’azione collettiva stessa rispetto al fine perseguito. In questo modo le
libertà economiche appaiono gerarchicamente sovraordinate nella scala
valoriale del sistema giuridico dell’Unione Europea.
La CGUE nei casi Laval e Ruffert ha sostenuto che la direttiva del 1996
garantisce la massima protezione possibile in relazione ai problemi che
rientrano nel suo campo di applicazione e assicura che le condizioni di
impiego siano ugualmente osservate tanto dalle imprese nazionali quanto
da quelle estere operanti nella stessa regione e nello stesso settore.
Secondo l’art. 3.1, le leggi dello Stato ospitante devono garantire ai
lavoratori distaccati nel proprio territorio le condizioni di lavoro e
2
Con quest’espressione si indica la pratica di alcune imprese (soprattutto multinazionali) di
localizzare la propria attività in aree in cui possono beneficiare di disposizioni meno restrittive in
materia di lavoro o in cui il costo del lavoro è inferiore. In questo modo i minori costi per l’impresa
possono essere trasferiti sul prezzo finale del bene che risulta più concorrenziale.
118
occupazione
fissate
da
disposizioni
legislative,
regolamentari,
amministrative; dai contratti collettivi o da arbitrati di applicazione
generale. I sindacati dei Paesi ospitanti possono intervenire e chiedere un
miglioramento degli standard attraverso la contrattazione collettiva in
modo da prevenire il social dumping e promuovere la concorrenza leale
tra i fornitori di servizi locali e stranieri nel rispetto dell’art. 56 TFUE per il
quale << le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all'interno
dell'Unione sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri
stabiliti in uno Stato membro che non sia quello del destinatario della
prestazione >>.
Il dumping sociale deve essere combattuto per evitare che i fornitori di
servizi stranieri indeboliscano i fornitori di servizi locali stabilendo degli
standard lavorativi più bassi. A ciò si provvede attraverso l’individuazione
di un nucleo duro di disposizioni volte alla protezione dei lavoratori, a
prescindere da quale sia la legge applicabile al rapporto di lavoro, quando
si trovano a prestare i propri servizi in un altro Paese membro. Questo
nucleo comprende varie aree del diritto del lavoro: i periodi massimi di
lavoro, il periodo minimo di riposo, la durata minima delle ferie annuali
retribuite, la sicurezza, la salute e l’igiene nei luoghi di lavoro.
2. Rapporti tra la direttiva 2008/104/CE e la direttiva 96/71/CE.
Se consideriamo che i lavoratori interinali possono essere distaccati
all’estero nell’ambito delle assegnazioni transfrontaliere,
119
emerge la
necessità di studiare i rapporti tra la direttiva 2008/104/CE sul lavoro
tramite agenzie interinale e la direttiva 96/71/CE sul distacco dei lavoratori
nell’ambito di una prestazione di servizi.
Uni Europa ed Eurociett, con un accordo del dicembre 2009, hanno
istituito l'Osservatorio Europeo sulle agenzie di lavoro transfrontaliere in
modo da poter analizzare la prassi relativa alle attività transfrontaliere
delle agenzie interinali e fornire linee guida sia ai lavoratori che alle
agenzie e supportarli durante la missione in un altro Stato. Inoltre, mirano
a combattere le pratiche sleali e allo scopo di prevenirle e denunciarle
ricordano
alle
parti
sociali
l’importanza
della
partecipazione
all’implementazione della direttiva sul lavoro interinale a livello nazionale
tenendo in conto l’aspetto transnazionale del settore.
La regolamentazione degli spostamenti
di lavoratori ed imprese
nell’ambito delle agenzie interinali si è rivelata un fallimento dal punto di
vista di entrambe le direttive.
La Commissione ha spiegato che la direttiva 2008/104/CE, in linea di
principio, copre le situazioni nazionali mentre la direttiva 96/71/CE si
riferisce alle situazioni transfrontaliere .
L'art. 1 della direttiva sul distacco si applica alle imprese stabilite in uno
Stato
membro
che,
nel
quadro
di
una
prestazione
di
servizi
transnazionale, distacchino lavoratori ad un’impresa utilizzatrice stabilita o
operante nel territorio di uno Stato membro purché durante il periodo di
distacco esista un rapporto di lavoro tra il lavoratore e l'impresa che lo
120
invia. In termini concreti: un lavoratore interinale assunto dall'agenzia nel
paese A è distaccato dalla stessa agenzia nel paese B a favore di
un'impresa utilizzatrice.
La direttiva sul lavoro interinale non esclude esplicitamente le agenzie
transfrontaliere dal suo campo di applicazione dato che l'art.1 statuisce
che questa si applica ai lavoratori con un contratto di lavoro con una
agenzia interinale e che sono assegnati all'impresa utilizzatrice per
lavorare temporaneamente sotto la sua direzione.
Quindi, la direttiva sul lavoro interinale si può applicare integralmente ai
lavoratori migranti che lavorano in uno Stato membro diverso dal proprio,
come se fossero lavoratori nazionali; mentre la direttiva sul distacco dei
lavoratori si applica solo ai lavoratori distaccati, cioè i lavoratori
temporaneamente inviati in un altro Stato membro per svolgere un lavoro
nel contesto della prestazione di servizi.
Per quanto concerne i lavoratori distaccati, il paese ospitante non può
imporre il rispetto di tutte le disposizioni nazionali di diritto del lavoro, ma
solo di quelle che costituiscono il 'nocciolo duro' di cui all'articolo 3.1 della
Direttiva sul distacco relative alle condizioni di lavoro fondamentali (che in
realtà elenca gli stessi elementi inclusi nel concetto di 'condizioni di base’
utilizzato nella direttiva 2008/104)3.
3
Rientrano tra le condizioni di lavoro e di occupazione i periodi massimi di lavoro e periodi
minimi di riposo; la durata minima delle ferie annuali retribuite; le tariffe minime salariali; le
condizioni di cessione temporanea dei lavoratori, in particolare la cessione temporanea di
lavoratori da parte di imprese di lavoro temporaneo; la sicurezza, salute e igiene sul lavoro; i
provvedimenti di tutela riguardo alle condizioni di lavoro e di occupazione di gestanti o
121
L’art. 1.3 lett. c della direttiva sul distacco prevede che la direttiva si
applichi alle imprese di lavoro temporaneo che distaccano i lavoratori
presso un’impresa utilizzatrice avente la sede in un altro Stato membro.
Durante il periodo del distacco ci deve essere un rapporto di lavoro tra il
lavoratore e l’impresa che lo cede. L’art. 3.1 lett.d stabilisce che i Paesi
membri devono provvedere a che le imprese che distacchino i lavoratori
presso il loro territorio gli garantiscano il rispetto delle condizioni di
cessione temporanea previste da leggi, regolamenti, atti amministrativi,
contratti collettivi e arbitrati del luogo di svolgimento della prestazione, a
prescindere da quale sia la legislazione applicabile al rapporto di lavoro.
Nonostante queste previsioni, sembra essere più comune per i lavoratori
interinali essere assunti direttamente dalle agenzie interinali dei paesi
dove devono svolgere la loro prestazione piuttosto che essere distaccati
presso altri Stati.
Sulla questione della compatibilità tra la direttiva sul distacco e la direttiva
sul lavoro interinale, la Commissione ha sottolineato che l'articolo 3.9 della
direttiva 96/71 consente agli ordinamenti di applicare ai lavoratori
temporanei di imprese di uno Stato membro che, nel quadro di una
prestazione di servizi transnazionali, distacchino lavoratori, << il beneficio
delle condizioni che sono applicabili ai lavoratori temporanei nello Stato
membro in cui è eseguito il lavoro >>. Ciò renderebbe le direttive
puerpere, bambini e giovani; la parità di trattamento fra uomo e donna nonché altre
disposizioni in materia di non discriminazione.
122
perfettamente compatibili tra loro. In tal caso i lavoratori distaccati
beneficerebbero della piena parità di trattamento per quanto riguarda le
condizioni di lavoro e di occupazione. Sono però pochi gli Stati membri
che nella pratica attuano questa disposizione.
Per quanto riguarda la direttiva 2008/104/CE, l’art. 5.4 statuisce che << a
condizione che sia garantito ai lavoratori tramite agenzia interinale un
livello adeguato di protezione, gli Stati membri che non possiedono né un
sistema legislativo che dichiari i contratti collettivi universalmente
applicabili, né un sistema legislativo o di prassi che consenta di estendere
le disposizioni di tali contratti a tutte le imprese simili in un determinato
settore o area geografica possono, previa consultazione delle parti sociali
a livello nazionale e in base a un accordo concluso dalle stesse, stabilire
modalità alternative riguardanti le condizioni di base di lavoro e
d’occupazione in deroga al principio di cui al paragrafo 1 >>. Ciò può
portare, in teoria, a livelli differenti di protezione dato che nei paesi in cui
non ci sono contratti collettivi applicabili potrebbe entrare in gioco la
direttiva sul distacco che prevede l’applicazione delle tutele definite nelle
leggi vigenti. Nella pratica, comunque, gli Stati membri fanno riferimento
alla propria legislazione nazionale almeno per quanto riguarda le norme di
applicazione necessaria individuate in base alla direttiva 96/71. Questa
direttiva assolve una funzione integratrice individuando il nucleo di norme
di ordine pubblico d’applicazione necessaria nel luogo di esecuzione della
prestazione lavorativa. Si tratta di disposizioni che costituiscono le tutele
123
minime irrinunciabili per il lavoratore distaccato. Difatti secondo il
considerando 14 << il prestatore di servizi deve osservare, a prescindere
dalla durata del distacco dei lavoratori, un ‘nocciolo duro’ di norme
protettive chiaramente definite>>.
3. La protezione minima dei lavoratori distaccati corrisponde a quella
prevista dall'agenzia interinale per incarichi transfrontalieri?
Secondo la giurisprudenza della CGUE, la direttiva sul distacco affronta il
tema della prestazione di servizi più che quello della protezione dei
lavoratori. Il distacco transnazionale effettuato da un'agenzia interinale
costituisce appunto un atto rientrante nella fornitura di servizi e non un atto
espressivo della libertà di movimento dei lavoratori.
L'art. 3 della direttiva sul distacco inserisce le condizioni applicabili alle
agenzie interinali all'interno degli standard minimi che il paese ospitante
ha il diritto di imporre ai fornitori stranieri di servizi, fermo restando che
l’art. 3.7. prevede espressamente che se gli Stati dispongono condizioni
più favorevoli ai lavoratori queste devono essere applicate. Gli Stati
Membri non possono imporre tutte le loro norme imperative ai fornitori di
servizi stabiliti in un altro Stato membro. I termini e condizioni che lo Stato
ospitante deve prevedere sono relativi ai periodi massimi di lavoro, ai
periodi minimi di riposo, alle ferie annuali pagate minime, alla salute,
124
sicurezza ed igiene, alla parità di trattamento tra uomini e donne e alla non
discriminazione ex art. 3.1.
Di conseguenza, il contratto tra agenzia e lavoratore interinale sarà
disciplinato dai regolamenti del paese d'origine. Lo Stato Membro nel
quale il lavoratore è distaccato può prevedere che l'agenzia interinale
debba garantire ai lavoratori i termini e le condizioni d’impiego applicabili
ai propri lavoratori: da una parte ciò consente di allineare le condizioni di
lavoro delle agenzie transfrontaliere con quelle dei lavoratori delle agenzie
del paese ospitante; dall'altra parte, l'attuazione di questa previsione
sarebbe sicuramente in conflitto con la libertà tipica dei fornitori di servizio.
Emerge di nuovo il differente scopo e la diversa base legale su cui si
fondano le due direttive che non solo sono in conflitto ma contengono
anche misure discriminatorie per i lavoratori transfrontalieri. In realtà, i
lavoratori delle agenzie interinali transfrontaliere hanno maggiori garanzie
rispetto ai lavoratori distaccati (non dipendenti da agenzie interinali) ai
quali sono riconosciuti solo gli standard minimi. Secondo Schlachter4,
affinché si abbia un mercato unico sarebbe logico che le regole per i
lavoratori interinali (transfrontalieri) non differiscano nel contenuto a
seconda che si tratti di distacco nazionale o transnazionale e ci si
4
Schlachter M. (2012) Equal Treatment for Transnational Temporary Agency Workers? Paper 32
(2012) presented at the Formula Conference in March 2012 on Free movement, labour market
regulation and multilevel governance in the enlarged EU/EEA –a Nordic and comparative
perspective,
in
www.jus.uio.no/ifp/english/research/projects/freemov/publications/papers/2012/WP32-Schlacter.pdf
125
dovrebbe augurare che i termini e le condizioni di lavoro dei lavoratori
distaccati siano armonizzate a livello nazionale nel momento in cui si va a
trasporre la direttiva sul lavoro interinale, includendo anche le condizioni
per il distacco dei lavoratori interinali.
Il considerando 22 della direttiva 2008/104 delinea il relativo ambito di
attuazione stabilendo che essa deve essere applicata nel rispetto delle
disposizioni del trattato in materia di libera prestazione di servizi e libertà
di stabilimento e fatta salva la direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei
lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi. Ci si è domandati se
questa disposizione vada interpretata nel senso che sia necessario
cercare un bilanciamento tra l’attuazione della direttiva sul lavoro interinale
e la libera prestazione di servizi nonostante si corra il rischio di creare
misure discriminatorie.
La direttiva del 1996 sul distacco dei lavoratori prevede al considerando
19 che << fatte salve altre disposizioni comunitarie, la presente direttiva
non implica l'obbligo del riconoscimento giuridico dell'esistenza di imprese
di lavoro temporaneo né osta all'applicazione, da parte degli Stati membri,
della loro legislazione in materia di cessione temporanea di manodopera e
di imprese di lavoro temporaneo presso imprese che non sono stabilite nel
loro territorio, ma vi esercitano attività nel quadro di una prestazione di
servizi >>.
Ci si domanda se quanto detto vada interpretato nel senso che la direttiva
sul lavoro interinale in caso di lavoratori interinali transnazionali sia
126
esclusa risultando applicabile solo quella sul distacco. Non si può però
avere una risposta certa. La Corte di Giustizia, nel caso Mazzoleni C165/98, ha stabilito che l’attuazione delle disposizioni contenute in una
direttiva comunitaria non esclude automaticamente la violazione della
libera prestazione di servizi; inoltre nel caso Seco C-62/81 afferma che
ogni violazione di questo tipo deve essere giustificata sulla base di un
interesse pubblico prevalente.
La protezione dei lavoratori è una delle ragioni e degli scopi della direttiva
sul lavoro interinale. La misura in questione deve essere necessaria alla
sua realizzazione che non è possibile compiere attraverso proibizioni o
restrizioni meno estese o meno effettive all’interno del commercio e degli
scambi intracomunitari. E’ qui che potrebbe giocare un ruolo importante la
direttiva sul distacco.
4. La direttiva 2014/67/UE di esecuzione della direttiva 96/71 sul
distacco dei lavoratori.
Dopo notevoli controversie e intensi dibattiti tra le istituzioni comunitarie,
gli studiosi e le parti sociali, la Commissione ha affermato di voler
migliorare il modo in cui la direttiva 96/71 è attuata, applicata e messa in
pratica nell’Unione Europea stabilendo misure comuni volte a una migliore
e uniforme applicazione ed a prevenire possibili abusi ed elusioni. A tal
fine, si è preferita l’elaborazione di una direttiva di esecuzione, la direttiva
127
2014/67, alla revisione della direttiva stessa sul distacco. Gli Stati vi si
dovranno conformare entro il 18 giugno 2016.
La presente direttiva stabilisce ex art. 1 << un quadro comune relativo a
un insieme di disposizioni, misure e meccanismi di controllo appropriati,
necessari per migliorare e uniformare l'applicazione nella pratica
della direttiva 96/71/CE >>. Vi rientrano anche le misure dirette a
prevenire e sanzionare qualsiasi tipo di violazione ed elusione delle norme
vigenti,
lasciando
impregiudicato
l'ambito
di
applicazione
della direttiva 96/71/CE.
La direttiva n. 96/71/CE elenca una serie fondamentale di condizioni di
lavoro e d’impiego che devono essere rispettati dal prestatore di servizi
nello Stato membro in cui ha luogo il distacco per garantire una protezione
minima dei lavoratori distaccati.
Attraverso la direttiva 2014/67/UE viene altresì garantito il rispetto di un
appropriato livello di protezione dei diritti dei lavoratori distaccati per una
prestazione transfrontaliera di servizi. La tutela riguarda in particolare
l’attuazione delle condizioni d’impiego applicabili nello Stato membro in cui
è fornita la prestazione di servizi, la facilitazione dell’esercizio della libertà
di prestazione di servizi e la creazione di condizioni di concorrenza leale
tra i prestatori di servizi, sostenendo in tal modo il funzionamento del
mercato interno.
Secondo quanto previsto dall’art. 4, è necessario che per la corretta
applicazione della direttiva 96/71 l’autorità competente dello Stato membro
128
ospitante esamini, eventualmente in stretta cooperazione con lo Stato
membro di stabilimento, gli elementi fattuali che caratterizzano le attività
esercitate dall’impresa nello Stato membro di stabilimento. Vi rientrano, ad
esempio, il luogo in cui l’impresa ha la propria sede legale o
amministrativa e il luogo in cui i lavoratori sono assunti e quello in cui sono
distaccati. Per verificare se un lavoratore distaccato temporaneamente
presta la sua attività in un Paese membro diverso, bisogna valutare che
l’attività lavorativa sia effettivamente svolta per un periodo limitato di
tempo in uno Stato membro diverso da quello in cui normalmente il
soggetto svolge la propria attività, la data di inizio del distacco, la natura
dell’attività, etc. . La valutazione degli elementi indicati al secondo e terzo
paragrafo dell’art. 4 deve essere effettuata in relazione al caso concreto e
tenendo conto della specificità della situazione.
Per ciò che concerne le informazioni relative alle condizioni di lavoro ed
occupazione5 stabilite dall’art. 3 della direttiva sul distacco che devono
5
Ai sensi dell’art. 3 della direttiva 96/71, rientrano tra le condizioni di lavoro e occupazione
periodi massimi di lavoro e periodi minimi di riposo; durata minima delle ferie annuali
retribuite; tariffe minime salariali, comprese le tariffe maggiorate per lavoro straordinario; il
presente punto non si applica ai regimi pensionistici integrativi di categoria; condizioni di
cessione temporanea dei lavoratori, in particolare la cessione temporanea di lavoratori da
parte di imprese di lavoro temporaneo; sicurezza, salute e igiene sul lavoro; provvedimenti di
tutela riguardo alle condizioni di lavoro e di occupazione di gestanti o puerpere, bambini e
giovani; parità di trattamento fra uomo e donna nonché altre disposizioni in materia di non
discriminazione.
129
essere rispettate dai prestatori di servizi, la difficoltà di accesso alle stesse
è il motivo più frequente della mancata applicazione delle norme che ne
impongono la fornitura. Gli Stati membri dovrebbero pertanto garantire che
tali informazioni siano messe a disposizione di tutti a titolo gratuito e siano
rese effettivamente accessibili non solo ai prestatori di servizi di altri Stati
membri, ma anche ai lavoratori distaccati interessati.
L’articolo 5 della direttiva prevede che gli Stati membri devono adottare le
misure appropriate per far sì che le informazioni relative alle condizioni di
lavoro e di occupazione siano rese pubbliche gratuitamente in modo
chiaro, trasparente, esauriente e facilmente accessibile a distanza e per
via elettronica, in formati e in conformità di standard web di accessibilità
che permettano l'accesso alle persone con disabilità, e per far sì che gli
uffici di collegamento o gli altri organismi nazionali competenti siano in
grado di svolgere efficacemente i propri compiti.
Da una prospettiva economica, le frontiere e i mercati aperti all’interno
dell’Unione Europea hanno un ruolo importante per il recupero rapido
della competitività europea. La mobilità transfrontaliera delle imprese e dei
lavoratori sta mettendo in pericolo la coesione sociale. In questo contesto,
la direttiva sul distacco svolge un ruolo fondamentale non solo come
strumento chiave per prevenire la concorrenza sleale sui salari e le
condizioni di lavoro nei casi di prestazioni di servizi transfrontaliere
temporanee ma anche come mezzo principale per mantenere la
dimensione sociale all’interno del mercato unico.
130
CONCLUSIONI
La direttiva 2008/104 è volta a regolamentare il rapporto di lavoro
temporaneo attraverso la predisposizione di un quadro normativo
sistematico non discriminatorio, proporzionato e trasparente che assicuri
la necessaria tutela dei lavoratori interinali.
Il legislatore comunitario si è posto come obiettivo quello di armonizzare le
discipline nazionali in materia, caratterizzate da grande diversità, per
assicurare un quadro normativo che effettivamente tuteli il lavoratore
assunto tramite agenzia.
In sostanza, il lavoro interinale nella logica comunitaria è uno strumento di
buona flessibilità e d’incentivazione dell’occupazione. Non deve essere
considerato come un’alternativa al lavoro alle dirette dipendenze del
datore di lavoro ma come uno strumento per incrementare la base
occupazionale e uno strumento transitorio in vista della conclusione di un
contratto di lavoro stabile.
Tale obiettivo è rafforzato dall’obbligo che grava, ex art. 6, sul datore di
lavoro di informare i lavoratori interinali delle eventuali opportunità di
lavoro stabile che si dovessero venire a creare nel corso della loro
missione e dalla previsione volta a rimuovere gli ostacoli che potrebbero
frapporsi alla stabilizzazione del rapporto alle dipendenze dell’utilizzatore.
Lo scopo di questa direttiva è quindi quello di conseguire un giusto
equilibrio tra il miglioramento della tutela dei lavoratori tramite agenzia
131
interinale (ricorrendo soprattutto al principio della parità di trattamento) e la
flessibilità nel mercato del lavoro; oggi le Agenzie per il lavoro
rappresentano attori polifunzionali cui le imprese più evolute possono
guardare come partner strategici per definire tutte le dinamiche inerenti la
gestione delle risorse umane. Attraverso questa tipologia contrattuale
offrono la migliore flessibilità sia per le aziende clienti che per i lavoratori.
Grandi sforzi sono stati effettuati dagli Stati per il recepimento della
direttiva soprattutto considerando che in alcuni di essi era mancante una
disciplina relativa al lavoro tramite agenzia interinale o che il principio
della parità di trattamento veniva recepito per la prima volta.
La maggior parte degli Stati membri ritiene che la direttiva abbia raggiunto
i suoi obiettivi di politica sociale anche se BusinessEurope ed Eurociett
non sono pienamente d’accordo con quest’affermazione dato il numero
elevato di restrizioni e limitazioni ritenute ingiustificate che sono state
introdotte dai vari Paesi per limitare il ricorso al lavoro interinale (divieti
settoriali, limiti irragionevoli sulla durata massima delle missioni,
motivazioni
troppo
limitate
per
il
ricorso
al
lavoro
interinale
e
contingentamento del numero massimo di lavoratori tramite agenzia
interinale impiegati dalla singola impresa).
In via generale, si può affermare che le disposizioni della direttiva sono
state attuate e applicate correttamente anche se il duplice obiettivo della
direttiva non è ancora stato interamente realizzato.
132
Da un lato, la misura in cui sono utilizzate alcune deroghe al principio della
parità di trattamento non ha portato, in alcuni casi specifici, ad un reale
miglioramento della tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale. Ad
esempio, in relazione alla deroga prevista dal terzo paragrafo relativa alla
conclusione di contratti collettivi che stabiliscono modalità alternative
riguardanti le condizioni di lavoro e d’occupazione dei lavoratori interinali,
Austria, Irlanda e Svezia riferiscono la necessità che tali contratti collettivi
siano opportunamente equilibrati al fine di non pregiudicare la protezione
globale dei lavoratori tramite agenzia interinale. L'articolo 5, paragrafo 5,
impone agli Stati membri di adottare le misure necessarie per evitare il
ricorso abusivo all'applicazione dell'articolo 5 e, in particolare, per
prevenire missioni successive con lo scopo di eludere le disposizioni della
direttiva. Il rischio di elusione dei principi della parità di trattamento e della
parità di retribuzione è particolarmente elevato se i principi si applicano
solo dopo un periodo di attesa anziché dal primo giorno delle missioni dei
lavoratori tramite agenzia interinale.
Dall'altro, il riesame delle restrizioni e dei divieti che gli Stati hanno dovuto
effettuare entro il 5 dicembre 2011 ex art. 4.2 della direttiva è servito,
nella maggior parte dei casi, a legittimare lo status quo anziché essere
uno stimolo per ripensare il ruolo del lavoro tramite agenzia in mercati del
lavoro moderni e flessibili. È stato il caso dell’Irlanda, di Malta e del Regno
Unito che hanno dichiarato l’inesistenza di divieti e restrizioni da
esaminare all’interno dei loro ordinamenti. Ciò non vale invece per l’Italia
133
dove con il d. l. 34/2014 è stata liberalizzata la stipula del contratto di
somministrazione di lavoro a tempo determinato, con l’eliminazione
dell’obbligo di indicare le ragioni di carattere tecnico, produttivo,
organizzativo o sostitutivo, da indicare nel contratto.
La Commissione continuerà a seguire l’applicazione della direttiva in
modo da assicurare il raggiungimento dei suoi obiettivi e il completo e
corretto recepimento delle sue disposizioni in tutti gli Stati membri.
Assolverà a questo compito servendosi di strumenti quali la procedura di
infrazione e l’elaborazione di pareri da inviare agli Stati membri che
presentano all’interno dei loro ordinamenti degli ostacoli alla crescita e
competitività. Le denunce che sono state presentate alla Commissione nei
confronti degli Stati membri, le petizioni e le questioni pregiudiziali
sottoposte alla Corte di Giustizia costituiscono importanti fonti di
informazioni relative alle misure o alle pratiche nazionali che potrebbero
essere incompatibili con la direttiva.
La Commissione, se nella sua valutazione degli ostacoli nazionali
all'attività delle agenzie di lavoro interinale, individuerà determinati aspetti
relativi agli oneri normativi quali ostacoli alla crescita e alla competitività,
considererà l'ipotesi di includere raccomandazioni destinate agli Stati
membri interessati nelle misure specifiche per paese. È necessario quindi
acquisire più esperienza riguardo all’applicazione della direttiva perché,
nonostante il termine per il suo recepimento sia scaduto nel dicembre
2011, alcune misure nazionali d’attuazione sono state adottate, con
134
ritardo, solo nella primavera 2013 e ancora deve svilupparsi una
consistente giurisprudenza della Corte di Giustizia sulla sua applicazione.
Il lungo e difficile dibattito che ha portato all’adozione della direttiva è
indice di quanto sia importante questa questione a livello europeo.
Inizialmente, lo scopo della Commissione Europea era la regolazione del
lavoro interinale per assicurare gli standard minimi di protezione dei
lavoratori. Oggigiorno però le agenzie di lavoro interinale sono viste anche
come strumenti di creazione dei posti di lavoro nell’ottica della flessibilità.
Difatti l'introduzione, nel mercato del lavoro, di strumenti per facilitare la
flessibilità può essere considerato come uno dei modi volti ad
incrementare l'occupazione. Le aziende, facilitate dall'esistenza di contratti
poco vincolanti e meno costosi a livello previdenziale, sarebbero
incentivate a richiedere costantemente al mercato del lavoro tutte quelle
figure professionali di cui hanno bisogno in un determinato momento. In
questo modo, la domanda di occupazione sul mercato del lavoro verrebbe
sbloccata e si produrrebbe un circolo virtuoso destinato a incrementare la
richiesta. In realtà, la concreta portata di una tale valutazione è dubbia in
quanto, nella maggior parte dei casi, i contratti flessibili vengono usati solo
come strumento di risparmio da parte delle aziende, il che comporta un
aumento del tasso di crescita del precariato.
135
Del resto sia l’evidenza empirica che la maggior parte della letteratura
economica in materia1 non fanno ritenere possibile una relazione positiva
e sostenibile nel lungo periodo tra maggiore flessibilità e crescita
dell’occupazione e della produttività. Ciononostante, si è raggiunto da
tempo, in UE, un certo consenso verso il modello di flexicurity che
combina elementi di flessibilità con elementi di sicurezza sociale.
Vi era il timore che una forma di impiego flessibile quale il lavoro interinale
implicasse, per i lavoratori, minor protezione, condizioni di lavoro peggiori
rispetto ad altri lavoratori in termini di parità di retribuzione o di diritti dei
lavoratori all’accesso alla formazione e ai diritti collettivi. Pertanto, aveva
la massima priorità l’inquadrare legalmente questo tipo di organizzazione
del lavoro al fine di offrire la necessaria protezione ai lavoratori
temporanei.
In realtà ciò era valido agli albori dato che oggigiorno i sindacati sono pro
(o almeno non sono del tutto contrari) al lavoro tramite agenzia e questo
ha permesso che, nella direttiva 2008/104, l’idea del lavoro interinale sia
tutt’altro che negativa.
La flexicurity ha significato, almeno in Italia, l’introduzione di una maggiore
flessibilità dei rapporti di lavoro non accompagnata da una necessaria
riforma dei sistemi di sicurezza sociale, il che ha prodotto un
1
Dai classici ai keynesiani, dai neokeynesiani agli economisti istituzionalisti, eccezion fatta per la
letteratura strettamente neoclassica all’interno della quale esistono tuttavia numerose eccezioni
quali Solow, Modigliani e altri.
136
indebolimento del potere contrattuale dei lavoratori e un rafforzamento di
quello dei datori di lavoro.
Questo approfondimento della naturale asimmetria nel potere contrattuale
delle parti del rapporto di lavoro ha irrobustito i fenomeni di
precarizzazione del rapporto di lavoro, evidenziando una serie di
problematiche che hanno ridimensionato, se non annullato, il vantaggio di
una modesta riduzione del tasso di disoccupazione.
Flexicurity deve significare incremento di protezione, tutele e diritti sociali
per occupati e disoccupati con lo spostamento delle tutele dal rapporto di
lavoro al mercato e al sistema pubblico di sicurezza sociale. Questa
esigenza di tutela è stata messa maggiormente in evidenza dall’attuale
fase di crisi economica, che ha portato una crescita considerevole dei
tassi di disoccupazione e quindi una maggior domanda di protezione del
reddito.
Rispetto alle altre forme di impiego, i lavoratori interinali rientrano tra quelli
cui si applicano le peggiori condizioni di lavoro e si spera che la direttiva
riesca a promuovere un loro miglioramento attraverso il prinicipio della
parità di trattamento, la cui applicazione risulta comunque attenuata dalla
presenza di restrizioni e deroghe, che potrebbero portare ad un’attuazione
parziale ed inconsistente della direttiva.
Il lavoro interinale è stato la forma di lavoro atipico che ha registrato i tassi
di crescita più elevati negli ultimi 20 anni e questo perché, dal lato
dell’offerta, le agenzie possono incoraggiare il reimpiego del lavoratore
137
licenziato, nonché favorire l’entrata nel mondo del lavoro di soggetti che
lavorando per un periodo di tempo limitato possono contemperare
l’occupabilità e l’opportunità di inserimento professionale con la vita
privata così come previsto dal considerando n. 11 della direttiva stessa
per il quale << Il lavoro tramite agenzia interinale risponde non solo alle
esigenze di flessibilità delle imprese ma anche alla necessità di conciliare
la vita privata e la vita professionale dei lavoratori dipendenti >>.
Dal lato della domanda, le agenzie di lavoro interinale permettono alle
imprese utilizzatrici di gestire in maniera relativamente semplice il lavoro e
offrono almeno potenzialmente un risparmio dei costi di transazione
attraverso l’esternalizzazione del reclutamento e dell'amministrazione
della forza lavoro.
Inoltre, l'uso massiccio e sistematico del lavoro temporaneo consente una
riduzione del ‘nucleo’ di personale permanente e permette il ricorso ad
una maggiore forza lavoro nei casi di eventuali picchi di produzione, in
modo da tenere sotto controllo i costi salariali e mantenere flessibile la
consistenza della forza lavoro impiegata.
La direttiva sul lavoro temporaneo sancisce il principio della parità di
trattamento
per
i
lavoratori
temporanei
rispetto
ai
dipendenti
dell’utilizzatore, con l’obiettivo di stabilire gli standard europei minimi e
creare un unico campo di gioco per le imprese dei vari Stati membri.
La maggior parte degli Stati membri ha ricercato i modi per conciliare,
attraverso la legge, la contrattazione collettiva o entrambi, la tutela
138
dell'occupazione con la flessibilità del lavoro, utilizzando la Direttiva
2008/104 per rimeditare l’apparato normativo esistente.
Nonostante questi sforzi, le leggi nazionali contengono tuttora delle lacune
nella protezione dei lavoratori tramite agenzia.
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Riv. critica dir. lav., 2009, 431.
VICECONTE M., Lavoratori comparabili e trattamento meno favorevole nel
diritto comunitario, in www.diritto.it/docs/35989-lavoratori-comparabili-etrattamento-meno-favorevole-nel-diritto-comunitario, 2014.
VIGNEAU C., Nuove forme di flessibilità in Francia, in Dir. Lav. Mer., 2007,
I, 49.
148
VITALETTI M., La messa a disposizione del lavoratore: tre <<significati>> a
confronto tra contratto di lavoro intermittente e contratto di lavoro
somministrato a tempo indeterminato, in Riv. It. Dir. Lav., 2009, 3, 595.
149
RIFERIMENTI GIURISPRUDENZIALI
Corte di giustizia dell’Unione Europea
CGUE, 3 febbraio 1982, C-62/81, Seco.
CGUE, 12 novembre 1996, C-84/94, Regno Unito di Gran Bretagna e
Irlanda del Nord contro Consiglio dell'Unione europea.
CGUE, 15 marzo 2001, C-165/98, Mazzoleni.
CGUE, 4 luglio 2006, C-212/04, Adeneler. CGUE, 13 settembre 2007, C307/05, Yolanda Del Cerro Alonso e Osakidetza-Servicio Vasco de Salud.
CGUE, 18 dicembre 2007, C-341/05, Laval.
CGUE, 23 aprile 2009, cause riunite C-378/07 a C-380/07, Angelidaki e
altri, in Racc., I-03071, punti 103 e 181.7.
CGUE, 3 aprile 2008, C-346/06, Ruffert.
CGUE, 15 settembre 2010, C-386/09, Briot.
CGUE, 11 aprile 2013, C-290/12, Oreste Della Rocca contro Poste
Italiane SpA.
150
RIFERIMENTI NORMATIVI
Carta di Strasburgo sui diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989.
Convenzione OIL 181/1997 sulle agenzie per l’impiego private.
Decreto legislativo 276/2003 di attuazione delle deleghe in materia di
occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n.
30.
Direttiva 91/383/CEE del Consiglio, del 25 giugno 1991, che completa le
misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute
durante il lavoro dei lavoratori aventi un rapporto di lavoro a durata
determinata o un rapporto di lavoro interinale.
Direttiva 96/34/CE del Consiglio del 3 giugno 1996 concernente l'accordo
quadro sul congedo parentale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla
CES.
Direttiva 96/71/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16
dicembre 1996 relativa al distacco dei lavoratori nell'ambito di una
prestazione di servizi.
Direttiva 1997/81/CE del Consiglio del 15 dicembre 1997 relativa
all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal
CEEP e dalla CES.
Direttiva 1999/70/CE del Consiglio dell'Unione Europea del 28 giugno
1999 relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo
determinato.
Direttiva 2008/104/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19
novembre 2008 relativa al lavoro tramite agenzia interinale.
Direttiva 2014/67/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15
maggio 2014 concernente l'applicazione della direttiva 96/71/ce relativa al
distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi e recante
modifica del regolamento (UE) n. 1024/2012 relativo alla cooperazione
amministrativa attraverso il sistema di informazione del mercato interno
(«regolamento IMI»).
Gangmaster Licensing Act 2004.
Legge 78/2014 Jobs Act.
151
Trattato che istituisce la Comunità Europea.
Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea.
Trattato sull’Unione Europea.
152
RINGRAZIAMENTI
Desidero innanzitutto ringraziare il relatore di questa tesi, Prof. Luca
Calcaterra, per tutto il tempo che ha dedicato nel seguirne la stesura, per
avermi suggerito alcuni dei testi e dati indispensabili per la sua
realizzazione e in generale per i consigli, la grande disponibilità e cortesia
dimostratami.
Vorrei esprimere la mia gratitudine verso la mia famiglia per avermi
permesso di arrivare a questo grande traguardo, per avermi sostenuto e
spinto a fare del mio meglio.
Ringrazio i miei amici e compagni di corso per il continuo aiuto,
incoraggiamento e per aver condiviso con me i miei successi.
153