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Il Commerci@lista ® economia e diritto anno V n. 8 testata iscritta al Registro Stampa del Tribunale di Biella al n. 576 - ISSN 2531-5250 ottobre 2016 Affidavit Commercialisti® Rivista di cultura economica e giuridica a diffusione nazionale. Direttore responsabile: DOMENICO CALVELLI In collaborazione con: Comitato Scientifico Gruppo ODCEC Area Lavoro, Coordinamento Interregionale degli ODCEC di Piemonte e Valle d’Aosta, UN.I.CO. Unione Italiana Commercialisti, CIDT Centro Internazionale Diritto Tributario, AIPGT Associazione Italiana Professionisti Giustizia Tributaria, AIDC Associazione Italiana Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, ADC Associazione dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili-Sindacato Nazionale Unitario, SIC Sindacato Italiano Commercialisti, Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Biella, Fondazione dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Biella-Fondazione Italiana di Giuseconomia, Unione Giovani Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Biella, Unione Italiana Commercialisti di Biella, Associazione Biellese Dottori Commercialisti ART. 120 DEL T.U.B. E DELIBERA CICR 3 AGOSTO 2016: IL “NUOVO” ANATOCISMO BANCARIO * DI MAURIZIO GIUSEPPE GROSSO E ** SERENA GIORDANO Il 3 agosto il Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR) ha approvato la delibera che detta le disposizioni applicative del 2° comma dell’art. 120 del D.Lgs. 1/9/1993, n.385 (Testo unico bancario), come sostituito dall’art. 17-bis del D.L. 14/02/2016, n.18. Con l’approvazione della Delibera CICR si completa l’ultima fase del processo di revisione del regime della capitalizzazione degli interessi nei rapporti bancari (c.d. anatocismo bancario). Per meglio comprendere la portata del novellato art. 120 del T.U.B. e la collegata delibera di disposizione, ma soprattutto per fornire al lettore un inquadramento sommario della delicata problematica in questione, si rende necessario analizzare l’argomento nelle diverse “fasi temporali” che si sono susseguite a decorrere dal 1999 fino ad oggi in conseguenza al mutamento degli orientamenti normativigiurisprudenziali. La prima modifica dell’art.120 del Testo Unico Bancario Con l’espressione “anatocismo” la Banca d’Italia fa riferimento “al calcolo degli interessi non solo sul capitale ma anche sugli interessi già scaduti. Infatti gli interessi scaduti vengono sommati al capitale e producono a loro volta interessi determinando una maggiore crescita del debito”. Il divieto dell’anatocismo è sempre esistito nel nostro ordinamento giuridico in virtù dell’art.1283 del c. c. Tuttavia, gli istituti di credito applicavano la sopraesposta metodologia di calcolo degli interessi sui conti correnti perché tale comportamento consuetudinario era stato ampiamente avallato dalla giurisprudenza, almeno fino al momento in cui ha preso il via tutto il processo di revisione interpretativa delle norme riguardanti la fattispecie dell’anatocismo. Il rischio che venisse instaurato un numero esponenziale di controversie ha spinto quindi il legislatore ad intervenire in tema di anatocismo: con il D.Lgs. 04/08/1999, n.432 è stato modificato l’art. 120 del T.U.B. ed è stata emanata la Delibera CICR 09/02/2000 riconoscendo di fatto agli istituti bancari la possibilità di capitalizzare gli interessi, con cadenza anche infrannuale, nell’ambito dei rapporti di conto corrente, a condizione che venisse stabilita una pari periodicità per gli interessi a debito e a credito. Con la menzionata Delibera, entrata in vigore il 22/04/2000, si delinea un vero e proprio “spartiacque” (il primo) in tema di anatocismo bancario: - fino al 22/04/2000 il divieto di cui all’art.1283 c.c.. mantiene la sua piena efficacia e quindi l’anatocismo bancario è illegittimo; - a decorrere dal 22/04/2000, l’anatocismo bancario viene legittimato a condizione che nei nuovi contratti bancari, ovvero nei pregressi contratti “adeguati” alle disposizioni contenute nella Delibera entro il 30/06/2000, sia prevista la pari periodicità degli interessi debitori-creditori. Ecco quindi perché la Delibera CICR 09/02/2000 è stato il principale parametro di riferimento utilizzato dagli operatori nel corso dell’ultimo decennio, per valutare la illegittimità/nullità (ante Delibera) e la validità/efficacia (post Delibera) delle clausole anatocistiche. Ciò fino alla recente modifica dell’art. 120 T.U.B. ad opera della Legge di Stabilità 2014. La seconda modifica dell’art. 120 del Testo Unico Bancario La situazione cambia radicalmente, a decorrere dal 1° gennaio 2014, con la Legge 27/12/2013, n.147 (c.d. Legge di Stabilità 2014): l’art. 1, 629° comma modifica nuovamente l’art. 120 T.U.B. con l’intento di ripristinare il divieto di anatocismo. Tuttavia, la particolare formulazione del novellato 2° comma dell’art. 120 del T.U.B. ha fatto sorgere notevoli dubbi in merito all’applicazione della nuova disciplina e alla sua portata, a partire da quello relativo alla sua effettiva entrata in vigore (subordinata all’emanazione di apposita delibera CICR??). L’incertezza interpretativa è stata poi certamente acuita dal “transito” nell’ordinamento di un’ulteriore norma dettata dal D.L. 24/06/2014, n.91 (c.d. Decreto competitività), con il quale il legislatore, era andato a modificare ancora il 2° comma dell’articolo in questione, legittimando nuovamente l’anatocismo e specificando che sino all’emanazione della nuova delibera CICR, la Delibera 09/02/2000 avrebbe continuato a trovare applicazione. Tale norma tuttavia non è di fatto entrata in vigore in quanto, la relativa legge di conversione (L. 11/08/2014, n. 116) ha riportato il testo dell’art. 120 T.U.B. all’originaria formulazione dettata dalla Legge di Stabilità 2014. Si sono così venuti a delineare due opposti filoni interpretativi: il primo – minoritario – volto a postergare l’efficacia dell’intervenuto divieto di anatocismo fino all’emanazione della delibera CICR1; il secondo – maggioritario e avallato dalla giurisprudenza di merito2 – che ritiene invece applicabile il divieto di anatocismo sin dall’entrata in vigore della Legge di Stabilità 2014 e, quindi, sin dal 1° gennaio 2014. La terza (ultima?) modifica dell’art. 120 del Testo Unico Bancario e la Delibera CICR 03/08/2016 Con l’approvazione del disegno di legge di conversione del D.L. 14/02/2016, n.18, recante misure urgenti concernenti la riforma delle banche di credito cooperativo, la garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze, il regime fiscale relativo alle procedure di crisi e la gestione collettiva del risparmio il legislatore “fa un passo indietro” in tema di divieto di anatocismo bancario reintroducendo la legittimazione della capitalizzazione degli interessi, seppure con periodicità annuale (anziché trimestrale). Il nuovo testo del 2° comma dell’art. 120 T.U.B. demanda al CICR “di stabilire modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che: a) nei rapporti di conto corrente o di conto di pagamento sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori, comunque non inferiore ad un anno; gli interessi sono conteggiati il 31 In tal senso si è espresso ad esempio il Consiglio Nazionale del Notariato (Ufficio Studi, quesito n. 802014/C) 2 App.Genova 11/03/2014, Tribunale di Milano Ordinanze del 25 marzo e del 3 aprile 2015, Tribunale di Cuneo Sentenza 29/06/2015, Tribunale di Roma Sentenza 20/10/2015, Corte di Cassazione Sentenza 9127/2015 1 Il Commerci@lista Economia e Diritto dicembre di ciascun anno e, in ogni caso, al termine del rapporto per cui sono dovuti; b) gli interessi debitori maturati, ivi compresi quelli relativi a finanziamenti a valere su carte di credito, non possono produrre interessi ulteriori, salvo quelli di mora, e sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale; per le aperture di credito regolate in conto corrente e in conto di pagamento, per gli sconfinamenti anche in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido: 1) gli interessi debitori sono conteggiati al 31 dicembre e divengono esigibili il 1° marzo dell’anno successivo a quello in cui sono maturati; nel caso di chiusura definitiva del rapporto, gli interessi sono immediatamente esigibili; 2) il cliente può autorizzare, anche preventivamente, l’addebito degli interessi sul conto al momento in cui questi divengono esigibili; in questo caso la somma addebitata è considerata sorte capitale; l’autorizzazione è revocabile in ogni momento, purché prima che l’addebito abbia avuto luogo.” Nel dare attuazione alle disposizioni di legge la Delibera CICR 03/08/2016 ha stabilito: - che gli interessi sono contabilizzati separatamente dal capitale; - che, in linea con la legge, gli interessi debitori divengono esigibili dal 1° marzo dell’anno successivo a quello in cui sono maturati; in ogni caso prima che gli interessi maturati diventino esigibili, si richiede che al cliente venga assicurato un periodo pari ad almeno 30 giorni da quando egli abbia avuto effettiva conoscenza dell’ammontare degli interessi stessi; in questo modo il cliente ha a disposizione un lasso di tempo adeguato per pagare il debito da interessi senza risultare inadempiente; - che, ribadendo quanto già previsto dalla norma primaria, è consentito che il cliente e la banca possono pattuire il pagamento degli interessi con addebito in conto a valere sul fido (con conseguente produzione di interessi su quanto utilizzato per estinguere il debito da interessi); - il termine ultimo entro il quale le banche e gli altri intermediari finanziari devono porre in essere la Delibera è quello del 1° ottobre 2016. Ecco che vediamo quindi concludersi il processo di revisione – durato quasi un ventennio – del regime della capitalizzazione degli interessi nei rapporti bancari. Revisione che, nella sostanza, ha ottobre 2016 - p. 2 comportato quale principale (unico) cambiamento, la previsione della capitalizzazione annuale degli interessi bancari, in luogo della precedente capitalizzazione trimestrale. Ovviamente, il completamento del processo di modifica del computo degli interessi è da ritenersi “definitivo”, a patto che il legislatore non ritenga opportuno effettuare, nel prossimo futuro, un’ulteriore modifica al tormentato 2° comma dell’art. 120 del Testo Unico Bancario. Inutile rilevare che tali variazioni e incertezze normative hanno alimentato (e alimenteranno certamente nel prossimo futuro) il contenzioso tra Istituti di credito e clienti; contenzioso basato su conteggi e perizie di parte che richiedono un’elevata specializzazione e qualificazione del consulente contabile deputato alla elaborazione dei dati risultanti dai documenti bancari. *Componente del CNDCEC, presidente emerito ODCEC di Cuneo **ODCEC di Cuneo VALORE PROCESSUALE DELLE DELAZIONI ANONIME: IL PUNTO DELLA GIURISPRUDENZA * DI MARCO CARROZZINO penale. La stessa, nel caso sia configurabile un reato perseguibile d’ufficio, è presa dal Pubblico Ministero o dalla Polizia Giudiziaria di propria iniziativa, ovvero ricevuta dagli stessi in seguito alla presentazione o trasmissione da parte di: Pubblici Ufficiali od incaricati di un pubblico servizio che ne vengano a conoscenza nell’esercizio od a causa delle loro funzioni (art. 331 c.p.p.); Soggetti obbligati alla redazione di referto (art. 334 c.p.p.); Privati che decidano, od in specifici casi siano obbligati3, a presentare denuncia (art. 333 c.p.p.). Accade non di rado che, tanto il Pubblico Ministero quanto la Polizia Giudiziaria, siano destinatari di documenti di fonte anonima riportanti fatti ipoteticamente costituenti reato. Questi, ex artt. 2404 e 333 c.p.p.5, non possono essere acquisiti né utilizzati nell’ambito del procedimento, tranne nei casi in cui provengano dall’imputato o costituiscano corpo del reato. Ad ogni modo, però, essendo le disposizioni citate da identificarsi pacificamente quali norme processual penalistiche, le medesime trovano vigenza nell’arco temporale tra l’acquisizione della notizia di reato e la conclusione del procedimento. All’esito del dibattito sull’utilizzabilità e l’effettiva valenza delle delazioni anonime già prima dell’acquisizione della notitia criminis, la Corte di Cassazione ha consolidato il proprio orientamento attestando che: 3 1. Premessa Il tema dell’utilizzabilità nel procedimento penale ed in quello tributario delle notizie pervenute da fonte ignota occupa, da tempo, dottrina e giurisprudenza che hanno espresso posizioni circa la possibilità: per la Polizia Giudiziaria di avviare indagini in ragione dell’indicazione, nel contenuto di delazione anonima, di fatti costituenti reato; che l’Amministrazione finanziaria eserciti, sulla base delle stesse, il potere di accesso in locali adibiti ad abitazione. In entrambi i casi la giurisprudenza ha assunto posizioni da cui gli esposti e le denunce anonime escono non totalmente privi della loro portata. 4 2. La Valenza Probatoria nel Procedimento Penale L’assunzione della notitia criminis segna, ex art. 330 c.p.p., l’avvio del procedimento 5 Se, infatti, gli articoli cui si è fatto riferimento nei precedenti alinea identificano un obbligo, l’art. 333, comma 1, c.p.p. recita: “Ogni persona che ha notizia di reato perseguibile d’ufficio può farne denuncia. La legge determina i casi in cui la denuncia è obbligatoria”. Il privato è obbligato, salvo la comminazione delle pene previste ex lege, a presentare denuncia qualora: - riceva notizia della commissione di un delitto contro la personalità dello Stato (art. 364 c.p.); - riceva denaro, acquisti od abbia cose di provenienza delittuosa ignorando quest’ultima (art. 709 c.p. ); - abbia notizia che nel luogo da lui abitato si trovano materie esplodenti (art. 679 c.p. ) ovvero rinvenga esplosivi di qualsiasi natura o venga a conoscenza di depositi o di rinvenimenti degli stessi (art. 20, comma 6, Legge 19 aprile 1975, n. 110); - abbia subito il furto o sia incorso nello smarrimento di armi, parti di esse o esplosivi di qualunque natura (art. 20, comma 3, Legge 19 aprile 1975, n. 110); - in qualità di rappresentanti di enti sportivi, nell’esercizio od a causa delle loro funzioni, abbiano avuto notizia di frodi in competizioni sportive (artt. 1 e 3 Legge 13 dicembre 1989, n. 401). Art. 240, comma 1, c.p.p.: “I documenti che contengono dichiarazioni anonime non possono essere acquisiti né in alcun modo utilizzati, salvo che costituiscano corpo del reato o provengano comunque dall’imputato”.. Si fa riferimento all’art. 333, comma 3: “Delle denunce anonime non può essere fatto alcun uso, salvo quanto disposto dall’art. 240”. Il Commerci@lista Economia e Diritto il solo effetto degli elementi indicati in una denuncia anonima è quello di stimolare6 l’attività di iniziativa del P.M. e della Polizia Giudiziaria atta a verificare se gli stessi possano essere utili all’individuazione di una notitia criminis; l’attività in ultimo citata si pone chiaramente fuori delle indagini preliminari e, nel corso della stessa, “l’accusa non può procedere a perquisizioni, sequestri, intercettazioni telefoniche, trattandosi di atti che implicano e presuppongono l’esistenza di indizi di reità”7; solo in base a quanto emerso dall’investigazione circa l’esistenza della notizia di reato la Polizia Giudiziaria può procedere a perquisizioni e sequestri. 3. Gli Esposti Anonimi e l’Accertamento Tributario Ai fini dell’assolvimento dei compiti ad essa assegnati ex lege8, l’Amministrazione finanziaria può esercitare diversi poteri9. Tra questi, il potere di accesso, caratterizzato da maggiore invasività, è soggetto ad un particolare regime di autorizzazioni che devono essere concesse: sussistendo effettive esigenze di indagine e controllo sul posto, dal capo dell’Ufficio cui appartengono i funzionari dell’Agenzia delle Entrate o dal Comandante del Reparto di appartenenza dei militari della Guardia di Finanza. Ciò nel caso di locali destinati all’esercizio di attività commerciali, professionali od agricole; dall’Autorità Giudiziaria territorialmente competente per gli accessi presso locali diversi da quelli appena citati. In merito a quanto in ultimo definito deve, invero, puntualizzarsi che: l’accesso in locali ad uso promiscuo destinati, cioè, sia all’esercizio dell’attività economica che ad abitazione del contribuente deve essere motivato dalle esigenze cui si è fatta testé menzione; nei casi in cui sia necessario accedere in locali esclusivamente adibiti ad abitazione, il Pubblico Ministero autorizzerà l’esercizio dello specifico potere in sussistenza di gravi indizi di violazioni delle norme tributarie. La giurisprudenza di merito e quella di legittimità hanno dibattuto, nei casi di autorizzazioni concesse dal Pubblico Ministero sulla scorta di informazioni anonime, circa l'occorrenza dei gravi indizi citati. Sul tema il Supremo Consesso ha consolidato la propria posizione statuendo 6 7 8 9 Corte di Cassazione, Sez. VI Penale, 04.08.2016, n. 34450. Corte di Cassazione, Sez. VI Penale, 27.10.2006, n. 36003. I compiti citati sono quelli di cui all’art. 31 d.p.r. 600/73 ed all’art. 51, comma 1, d.p.r. 633/72. I poteri assegnati sono quelli stabiliti dagli artt. 32 e 33 d.p.r. 600/73 e dagli artt. 51, commi 2 ss., e 52 d.p.r. 633/72. ottobre 2016 - p. 3 che: la denuncia anonima, qualora “articolata e dettagliata nell’indicazione delle circostanze potenzialmente riferibili al contribuente denunciato”, può “elevare la semplice ipotesi del verificarsi di violazione tributaria a consistente sospetto”10. Alla ricezione della medesima devono seguire indagini e riscontri che, acquisita cognizione dei fatti, portino a qualificare il cennato sospetto quale indizio. Quest’ultimo, seppur proveniente da più fonti ignote coincidenti e convergenti, non assurge a dignità di prova presuntiva e, di talché, non è configurabile quale grave indizio di evasione; la qualificazione dell’autorizzazione all’accesso presso locali adibiti ad abitazione quale provvedimento amministrativo conferisce al Giudice tributario11, oltre che l’autorità di verificare l’esistenza della motivazione allo stesso, il “potere dovere” di controllare la sussistenza dei gravi indizi di illecito fiscale, negando “la legittimità dell’autorizzazione emessa esclusivamente sulla scorta di informazioni anonime, conseguentemente valutando il fondamento della pretesa tributaria senza tener conto di quelle prove”12. *Capitano della Guardia di Finanza, membro del CIDT di Torino LA TASSAZIONE DEI REDDITI DA FABBRICATI POSSEDUTI DA PERSONE FISICHE IN FRANCIA NELLA NORMATIVA FISCALE FRANCESE * DI SIMONA TEMPIA Frequentemente ci troviamo a trattare problematiche relative agli immobili detenuti all’estero da parte di persone fisiche (di nazionalità italiana) a scopo investimento e/o uso proprio; la prima problematica che si deve affrontare è quella relativa al corretto inquadramento fiscale del reddito da locazione nello stato estero ed in seconda battuta la sua tassazione nello stato estero, tanto più che tale base imponibile sarà imponibile fiscalmente in Italia ai sensi dell’art. 70 c. 2 del TUIR. 10 11 12 Corte di Cassazione, SS.UU., 21.11.2002, n. 16424. Sulla necessità di allegazione della richiesta ai fini dell’ottenimento da parte del P.M. dell’autorizzazione all’accesso domiciliare: Corte di Cassazione, Sez. Tributaria, ordinanza 17.12.2013, n. 28188. Così, anche, Corte di Cassazione, Sez. V Civile, 18.07.2013, n. 11283. Con questa breve disamina si vogliono analizzare le casistiche che si possono verificare in materia di redditi derivanti dal possesso di immobili da parte di persone fisiche in Francia, analizzando prima di tutto i principi di tassazione dei redditi prodotti dai non residenti nello stato francese e successivamente inquadrando le varie categorie reddituali ai fini della tassazione. Innanzi tutto, secondo il Code Général des Impôts, i redditi prodotti nello stato francese da persone fisiche che non hanno la residenza nel territorio dello Stato, ma che traggono redditi di fonte francese, sono imponibili in Francia (Art. 4 lett. A del CGI). L’imposizione fiscale è stabilita a livello di foyer fiscal (traducibile concettualmente in nucleo familiare fiscale) composto da una sola persona, da due soggetti coniugati o che hanno concluso un pacs (pacte civil de solidarieté), dai loro figli o dagli altri soggetti a carico (Art. 4 lett. B del CGI). E’ quindi la sommatoria dei redditi dei differenti membri del foyer fiscal, come sopra definito, che costituisce la base imponibile da tassare. Diversamente rispetto a quanto disposto dal nostro ordinamento, i redditi non sono tassati unicamente sul soggetto che li produce, ma vengono ripartiti sul nucleo familiare. (Art. 194 CGI). I redditi imponibili, tra cui quelli degli immobili e dei relativi diritti, delle persone fisiche, che non hanno domicilio fiscale in Francia, sono determinati secondo le regole applicabili ai redditi della stessa natura percepiti dai soggetti che hanno il loro domicilio fiscale in Francia (Art. 164 CGI lett. A e lett. B). Il sistema di tassazione francese dei redditi (Art. 193 CGI e seguenti), come il nostro, è progressivo ed i redditi che eccedono i 9.700 €, vengono tassati ad aliquote crescenti sugli scaglioni di reddito . Le imposte sui redditi sono calcolate direttamente dall’amministrazione finanziaria sulla base dei redditi dichiarati dai contribuenti, che sono tenuti a sottoscrivere (e depositare) una dichiarazione dei redditi percepiti dal foyer fiscal. Questo significa che il reddito imponibile è un reddito globale, poiché comprende la totalità dei redditi di cui beneficiano i membri del foyer fiscal. Il calcolo dell’imposta tiene conto della situazione personale del contribuente, attraverso l’utilizzo del quoziente familiare definito in base alla composizione del foyer fiscal e dall’attribuzione delle riduzioni o dei crediti d’imposta a cui i contribuenti hanno diritto. Il quoziente familiare permette di attenuare gli effetti della progressività. Ai sensi dell’art 197 A del CGI, i contribuenti non domiciliati in Francia non possono beneficiare di un’aliquota impositiva inferiore al 20% applicata al reddito imponile. Tuttavia, allorquando il contribuente giustifichi che detto tasso è superiore a Il Commerci@lista Economia e Diritto quello applicato alla totalità dei redditi francesi ed esteri, tale minor tasso è applicabile anche ai redditi prodotti in Francia, in virtù delle convenzioni contro le doppie imposizioni. A questo punto distinguiamo i vari casi che possono verificarsi: 1) Godimento diretto del bene. L’art. 15 al numero II del CGI statuisce che i proprietari, che si riservano il godimento degli immobili e non percepiscono alcun reddito, non sono soggetti all’imposta sui redditi. 2) Immobili locati non ammobiliati. Tali redditi rientrano nella categoria dei Revenus foncier. Si distinguono due tipi di tassazione 2.1 Régime Reél 2.2 Régime Micro foncier 3) Immobili locati ammobiliati. Tali redditi rientrano nella categoria dei Bénéfices industriels et commerciaux. Si distinguono tre tipi di tassazione 2.1 Régime réel normal d’imposition 2.2 Régime réel simplifié d’imposition 2.3 Régime des micro-entreprises Immobili che rientrano nella casistica rubricata al punto 2 Il sistema di tassazione del reddito col Regime Reél è disciplinato dagli articoli da 14 a 33 del CGI; il reddito netto fondiario è dato dalla differenza tra la somma del reddito lordo e il totale delle spese della proprietà (art. 28 CGI) L’art. 29 CGI definisce quale reddito lordo degli immobili, o di parti di immobili locati, quello costituito dal montante dei ricavi lordi incassati dalla proprietà, aumentato dal montante delle spese incombenti sulla proprietà e che per convenzione sono state poste a carico dell’affittuario, nonché dalle sovvenzioni ed indennità destinate a finanziare spese deducibili. L’art. 31 CGI specifica quali sono le spese deducibili dai ricavi per determinare il reddito netto: spese di manutenzione e ristrutturazione, premi di assicurazione, le spese di competenza dell’inquilino rimaste a carico della proprietà, le spese relative alle migliorie (escluse quelle di costruzione, ricostruzione o ampliamento), gli interessi relativi a debiti contratti per interventi conservativi, per l’acquisto, la costruzione, la riparazione o il miglioramento della proprietà. Si deducono inoltre le spese di sorveglianza e di portineria e le spese per procedure giudiziarie. Vi sono inoltre altre deduzioni rubricate sempre all’art. 31 CGI relative a casi specifici ivi identificati. L’art. 156 del CGI disciplina il deficit fondiario derivante dall’applicazione di detto regime analitico, il quale statuisce che detto deficit si imputa esclusivamente sui redditi ottobre 2016 - p. 4 fondiari della stessa natura dei 10 anni successivi e per un importo non eccedente i 10.700 € (occorre analizzare quali voci danno origine alla perdita poiché non tutte le spese danno diritto al riporto) Il regime Micro foncier previsto dall’art. 32 CGI dispone che, in deroga alle disposizioni che si applicano al regime Reél , allorquando il montante dei redditi lordi annuali, determinati ai sensi degli artt. 29 e 30 CGI, non supera i 15.000 €, i redditi imponibili risultano essere pari all’ammontare degli stessi redditi lordi diminuiti di un abbattimento forfettario del 30%. Queste disposizioni si applicano all’insieme dei redditi di natura fondiaria percepiti dal foyer fiscal Vi sono delle limitazioni all’applicazione di questo regime: ai monumenti storici e beni assimilati, immobili che godono di deduzioni specifiche, opzione per la deduzione a titolo di ammortamento prevista dall’art. 31. È fondamentale sottolineare che si ritorna al regime di imposizione Reél quando il reddito lordo percepito nell’anno dal foyer fiscal è superiore a 15000 €; oppure se si desidera optare per il Regime Reél, in quanto si possono abbattere i redditi lordi mediante la deduzione delle spese e degli ammortamenti specifici previsti dall’art. 31. Tale scelta si esercita in dichiarazione ed è irrevocabile per 3 anni. Alla scadenza dei 3 anni l’opzione è rinnovata tacitamente per ogni anno. Immobili che rientrano nella casistica rubricata al punto 3 Tale regime si applica sia agli immobili locati ammobiliati, sia a quelli non ammobiliati, che vengono poi subaffittati ammobiliati da terzi. L’art. 155 al IV 2 individua i soggetti locatori di immobili a titolo professionale in quei soggetti che soddisfano tre requisiti (almeno un membro del foyer fiscal è iscritto al Registro del commercio e delle Società in qualità di locatore professionale…..si omette l’elencazione degli altri due requisiti poiché, per la trattazione in argomento, detto requisito è sufficiente a qualificare il soggetto come locatore non professionale ); quindi a contrariis si individuano i soggetti che locano gli immobili a titolo non professionale e a cui si applicano i sottoesposti regimi di tassazione a seconda degli affitti incassati nell’anno precedente. Il Régime réel normal d’imposition si applica di diritto se il volume d’affari (affitti)realizzato nel 2014 è superiore a 236.000 €. L’art. 155 CGI richiama l’art. 38 CGI per la determinazione dei redditi imponibili netti e l’art. 39 CGI per le spese deducibili. Non differisce dal Régime réel simplifié d’imposition se non per gli adempimenti amministrativi da porre in essere, poiché vi sono più moduli dichiarativi da compilare e giustificativi da fornire al Ministero del Tesoro. L’art. 74 disciplina il Régime réel simplifié d’imposition ; questo regime si applica di diritto se il volume d’affari (affitti) realizzato nel 2014 è superiore a € 32.900 ed inferiore a 236.000 €. Si deve dichiarare il montante totale delle somme incassate a titolo di locazione e di spese rimborsate e si possono dedurre le spese relative alla proprietà e le spese di gestione, quali spese notarili, spese di manutenzione e di riparazione, imposte locali, interessi sui prestiti, ammortamento del mobilio e delle migliorie, l’ammortamento dei locali. Questo regime implica la tenuta di una contabilità e fiscalmente si deve compilare un modulo a parte della dichiarazione che prevede un bilancio, una tabella degli immobili , degli ammortamenti ed un estratto conto degli affitti. L’art. 156 del CGI disciplina il deficit fondiario derivante dall’applicazione di detto regime analitico , il quale statuisce che detto deficit si imputa esclusivamente sui redditi fondiari della stessa natura dei 10 anni successivi e per un importo non eccedente i 10.700 € (occorre analizzare quali voci danno origine alla perdita, poiché non tutte le spese danno diritto al riporto). Si può scegliere comunque questo regime di tassazione , prima del giorno 1 febbraio dell’anno in cui se ne vuole beneficiare, mediante lettera da inviare al Servizio delle Imposte e delle Imprese (SIE) territorialmente competente . L’opzione è valida ed irrevocabile per due anni e alla scadenza si rinnova automaticamente per altri 2 anni L’art. 50 definisce il Régime des microentreprises - regime delle micro imprese -, ovvero quelle la cui “cifra d’affari” (affitti) è definita dall’art. 293B CGI e il cui importo (per le prestazioni di servizi) non supera per il 2014 32.900 €. In sostanza vi è una tassazione forfettaria del reddito Il reddito imponibile è uguale alle somme incassate diminuito di un abbattimento forfettario del 50% (applicato direttamente dall’Amministrazione Finanziaria) a titolo di spese deducibili con un minimo di 305 €. Punto di somma importanza è che, se la locazione ha avuto inizio o fine nel periodo d’imposta, si deve verificare che il plafond di 32.900 € non sia superato ricalcolando tale importo in base al pro-rata temporis e confrontandolo con gli affitti percepiti. A conclusione della disamina si precisa che l’Amministrazione Finanziaria porterà direttamente a conoscenza del contribuente l’importo delle imposte a suo carico sotto forma di Avis d’imposition. Bibliografia Code Général des Impôts Direction général des finances publiques Direction de la législation fiscale: Presentation de la fiscalité française *ODCEC di Biella, componente Commissione Lavoro Il Commerci@lista Economia e Diritto IL PRINCIPO DEL VOTO SINGOLO PER LE ASSOCIAZIONI * DI ANNARITA BERTOLO Tutte le Associazioni no profit perché possano godere delle agevolazioni fiscali riservate dallo Stato ai cosiddetti “Enti non commerciali” devono adempiere ad alcune regole. Queste regole vengono fissate sia nella stesura della Statuto dell'Associazione sia nella compilazione del Modello EAS, al punto 36. Una di queste regole è il principio del voto singolo. Questo principio è contenuto nell'articolo 148 comma 8 lettera e) del TUIR. Il comma in questione recita: “Le disposizioni di cui ai commi 3, 5, 6 e 7 si applicano a condizione che le associazioni interessate si conformino alle seguenti clausole, da inserire nei relativi atti costitutivi o statuti redatti nella forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata: a) divieto di distribuire anche in modo indiretto, utili o avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell'associazione, salvo che la destinazione o la distribuzione non siano imposte per legge; b) obbligo di devolvere il patrimonio dell'ente, in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altra associazione con finalità analoghe o ai fini di pubblica utilità, sentito l'organismo di controllo di cui all'art. 3, comma 190, della legge 23 dicembre 1996, n.662, e salvo diversa destinazione imposta per legge; c) disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volte a garantire l'effettività del rapporto medesimo, escludendo espressamente la temporaneità della partecipazione alla vita associativa e prevedendo per gli associati o partecipanti maggiori d'età il diritto di voto per l'approvazione e le modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi dell'associazione; d) obbligo di redigere e di approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario secondo le disposizioni statutarie; e) eleggibilità libera degli organi amministrativi, principio del voto singolo di cui all'articolo 2532, comma 2, del codice civile, sovranità dell'assemblea dei soci, associati o partecipanti e criteri di loro ammissione ed esclusione, criteri e idonee forme di pubblicità delle convocazioni ottobre 2016 - p. 5 assembleari, delle relative deliberazioni, dei bilanci o rendiconti; è ammesso il voto per corrispondenza per le associazioni il cui atto costitutivo, anteriore al 1° gennaio 1997, preveda tale modalità di voto ai sensi dell'articolo 2532, ultimo comma, del codice civile e sempreché le stesse abbiano rilevanza a livello nazionale e siano prive di organizzazione al livello locale; f) intrasmissibilità della quota o contributo associativo ad eccezione dei trasferimenti a causa di morte e non rivalutabilità della stessa”. Riguardo il principio del voto singolo il TUIR cita l'articolo 2532 del codice civile, in realtà quello aggiornato e l'articolo 2538, il quale al comma 2 specifica che: “Ciascun socio cooperatore ha un voto, qualunque sia il valore della quota o il numero delle azioni possedute. L'atto costitutivo determina i limiti al diritto di voto degli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori”. E' chiaro che l'articolo appena riportato viene scritto per regolamentare le Cooperative, ma viene usato per estensione anche per le Associazioni. In poche parole, il principio del voto singolo, è il principio di una testa, un voto. Detto questo, la questione del voto singolo per le Associazioni ha un risvolto sicuramente di impatto, in quanto molti ispettori fiscali ritengono non ammesso il voto per delega e di conseguenza gli Statuti che riportano il voto per delega vengono considerati in contrasto con il principio del voto singolo e di conseguenza non in linea con quanto fissato dalla normativa vigente. Il consiglio è quindi quello di non prevedere più il voto per delega all'interno degli statuti associativi per evitare eventuali segnalazioni e atti sanzionatori da parte degli organi verificatori. *ODCEC di Biella, coordinatrice Commissione Enti No Profit LA RIFORMA DEL CONTENZIOSO UN ANNO DOPO * DI LUCA MARIOTTI Il 24 settembre 2015 veniva emanato il D.Lgs. n. 156 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale il successivo 7 ottobre) col quale si dava attuazione alla delega fiscale in materia di revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario. E’ quindi passato un anno circa dalla sua emanazione, nove mesi dall’operatività effettiva del nuovo testo e tre mesi dall’entrata in vigore della nuova disciplina in materia di esecuzione provvisoria delle sentenze delle commissioni tributarie (art. 67-bis, D.Lgs. n. 546/1992) ed esecuzione delle sentenze di condanna al pagamento di somme in favore del contribuente (art. 69, D.Lgs. n. 546/1992). Che considerazioni possiamo trarre oggi? In primo luogo va detto, a onor del vero, che siamo talmente abituati – da ogni parte politica - a provvedimenti di dubbia consistenza giuridica infiocchettati come vere e proprie novità epocali (il “salva-Italia, il “job Act”, la “buona scuola” …) che sentir parlare della “riforma del processo tributario” ci ha lasciati inizialmente perplessi e tutto sommato poco ha spostato le nostre abitudini di difensori tributari. E invece stavolta abbiamo sbagliato davvero. Abbiamo anche snobbato (parlo sempre per il sottoscritto) la relazione illustrativa, nella convinzione che si trattasse dell’ennesima prospettazione di una panacea di tutti i problemi destinata a rivelarsi a posteriori ben inferiore alle attese. Invece, in questo caso, la relazione è ben fatta sotto il profilo tecnico-giuridico, molto approfondita e ancora oggi andrebbe riletta per capire fino in fondo il percorso di costruzione di alcune innovazioni contenute nel D.Lgs. 546/92 post riforma. Occorre allora dire che queste modifiche costituiscono una importante fase del cambiamento avvenuto negli anni del processo tributario. Da quello proceduralmente approssimativo degli anni ’70 che è arrivato però ad oltre la metà dei ’90, a quello organizzato sulla falsariga del giudizio civile (con l’espresso richiamo al c.p.c. per quanto previsto e non contrastante, contenuto al comma secondo dell’articolo 1), alla giurisprudenza in virtù della quale alcune norme del codice di rito si sono poi trasfuse nel giudizio tributario (una per tutte il procedimento cautelare in grado di appello), alle modifiche del c.p.c. con effetti a caduta sul processo tributario (il principio di non contestazione, la responsabilità aggravata…), si arriva oggi, con questa importante revisione normativa, ad un giudizio più maturo e più equilibrato tra le parti. Dall’epoca più remota, con un processo inizialmente caratterizzato dal solve et repete siamo passati a sentenze che sì, erano solo parzialmente esecutive ma che comunque potevano devastare economicamente un’impresa, a un percorso in cui oggi si possono percorrere tre gradi di giudizio, ed addirittura essere rinviati in grado di appello dalla Cassazione, senza pagare un euro. In ossequio ad un normale criterio di garanzia, nel quadro di un rapporto paritario tra i contendenti (il “giusto-processo”, altro bel titolo per una riforma solo parziale) e attuando quel principio di collaborazione e buona fede che deve caratterizzare i rapporti Il Commerci@lista Economia e Diritto fisco-contribuente anche in una fase conflittuale. Da un processo in cui l’ottemperanza si poteva proporre solo a sentenza passata in giudicato siamo andati all’attuale configurazione in cui il contribuente può venire in possesso delle sue spettanze (spese incluse) attivando tale giudizio sulla sentenza emessa anche se impugnata dall’amministrazione. La sentenza infatti è per lui provvisoriamente esecutiva. E’ però un giudizio in cui chi difende il contribuente non può improvvisarsi. Eccezioni non riproposte diventano inammissibili fino in Cassazione, fatti non contestati diventano prove, allegazioni non ben indentificate sono inutilizzabili dinanzi al giudice di legittimità sulla base del principio di autosufficienza recentemente ribadito dalla Cassazione (cfr. n. 16956 del 11/08/2016). E’ quindi un giudizio maturo, nel quale occorre conoscere bene il diritto tributario e la procedura, fino al terzo grado di giudizio sia direttamente sia per quello che può incidere su questo, sia per quello che si fa prima e che è suscettibile di conseguenze in Cassazione, riverberandosi dai gradi precedenti. I professionisti si facciano un esame di coscienza e, se non hanno il tempo e le occasioni di approfondire la materia, si debbono far aiutare. Ma le stesse considerazioni le facciano i Giudici. E se non le fanno ci sia chi le fa per loro. Si capisce che svolgere udienze di merito per pochi spiccioli e giudizi cautelari gratis non sia forse particolarmente appetibile. Ma chi lo fa, lo faccia con coscienza: studi, approfondisca e non guardi il cronometro. Se deve fare un’ordinanza di rinvio alla Consulta di venti pagine la scriva, anche se il compenso è miserrimo - per la verità, c’è ancora qualche giudice tributario (sempre troppo pochi) che continua a operare con impegno e merito che, pur se economicamente misconosciuto. Se deve ben motivare una sentenza curi sempre questo aspetto, a garanzia delle parti e del corretto procedimento nei gradi successivi. Approfondisca le eccezioni delle parti. E se non è convinto lasci perdere, esattamente come i professionisti non avvezzi alla materia o ad essa non particolarmente interessati. Ciò almeno in attesa che un nuovo step del progressivo affinamento di questo importantissimo e appassionante giudizio ci porti, finalmente, ad avere giudici competenti, specializzati e ben retribuiti. Occorre però far presto ad attuare quest’ultima fase. Che potrebbe portarci alla più incisiva delle riforme. Quella che ancora manca. *ODCEC di Firenze, direttore de Il Tributo ottobre 2016 - p. 6 IL FALLITO E L’ACCESSO AL LAVORO DIPENDENTE TRAMITE IL COLLOCAMENTO: PROBLEMATICHE E RICHIESTA DI POSSIBILI SOLUZIONI * DI GIUSEPPE CANIGGIA Gli effetti del fallimento per il fallito sono come noto regolati (principalmente) dagli artt. 42-51 Legge Fallimentare. Essenzialmente tali norme comportano lo spossessamento, regolano l’incapacità di stare in giudizio relativamente a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento e gli obblighi del fallito. L’abrogazione dell’art. 50 “pubblico registro dei falliti” introdotta dalla riforma del 2006 ha inteso eliminare le incapacità e le forme di pubblicità del fallimento togliendo il carattere sanzionatorio, circoscrivendo la portata del fallimento alle vicende economico finanziarie delle imprese (fatte salve ovviamente le disposizioni penali previste dal titolo VI della legge fallimentare) L’art. 46 della Legge fallimentare prevede specifiche tutele a favore del fallito. In questa sede consideriamo “gli assegni aventi carattere alimentare, gli stipendi, pensioni, i salari e ciò che il fallito guadagna con la sua attività entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia”. Questa problematica è molto frequente nel caso del soggetto che fallisce in proprio o del socio illimitatamente responsabile che fallisce per estensione. Si tratta nella maggior parte dei casi di piccoli imprenditori artigiani e commercianti per i quali le repentine mutazioni del sistema economico non hanno più consentito alle stesse imprese di rimanere sul mercato. Tali soggetti spesso sono dotati anche di discrete professionalità; in tal caso spesso riescono durante la procedura fallimentare a trovare occupazione. Il problema sembra sorgere per i soggetti che legittimamente intendono iscriversi “all’ufficio del lavoro”. E’ stato spesso riferito da tali soggetti che sembra che non le sia consentita l’iscrizione in quanto “hanno la partita IVA aperta.” Certamente tali soggetti avranno la partita IVA aperta finchè la procedura fallimentare sarà aperta ed aggiungo per quanto si possa procedere speditamente l’iter del fallimento non è idoneo ad essere concluso in tempi compatibili con le esigenze del lavoratore. In questi casi in qualità di curatore ho prodotto documentazione “al fallito” affinchè lo stesso portasse elementi di valutazioni idonei a considerare l’apertura di tale partita IVA del fallimento quale inidonea a soddisfare le esigenze lavorative del fallito; a titolo di esempio copia estratto sentenza dichiarativa di fallimento, visura dalla quale si evincesse il fallimento e la nomina di curatore fallimentare. Anche tali integrazioni corredate da idonea comunicazione del curatore non ostativa all’iscrizione non sembrano secondo quanto riferito dai “falliti” aver prodotto effetti. Personalmente ritengo che non consentire l’iscrizione all’Ufficio del Lavoro porti alla violazione di un diritto costituzionalmente garantito e ben noto a tutti, ritenendo che l’unico sindacato di merito vada svolto per quanto di competenza dagli organi della Procedura fallimentare “gli stipendi o salari che il fallito guadagna con la sua attività entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della sua famiglia”. *ODCEC di Alessandria IL VALORE DELLE NORME DELLO STATUTO DEL CONTRIBUENTE NELLA GERARCHIA DELLE FONTI * DI MARCO MANFREDI La lettura di una recente decisione della Suprema Corte (n. 696/2015, depositata in data 16.01.2015) offre lo spunto per analizzare brevemente la questione dell’efficacia delle norme contenute nella legge 27.07.2000 n. 212, Disposizioni in materia di statuto del contribuente, e del loro posizionamento nell’ambito della gerarchia delle fonti. Il progetto iniziale di una “Carta dei Contribuenti”, risalente ai primi anni 1990 e che avrebbe dovuto condurre all’approvazione di una legge costituzionale, posta quindi in posizione sovraordinata rispetto alla legge ordinaria, non vide in realtà mai la luce e fu emanata dieci anni dopo una legge ordinaria, la quale mantenne però la struttura originaria: di qui deriva la peculiarità delle sue disposizioni, che si auto-qualificano quali norme di diretta attuazione dei precetti costituzionali, a voler manifestare quindi una pretesa di superiorità rispetto ad altre norme dell’ordinamento, pure provenienti dalle stesse fonti di produzione ordinaria. Il fenomeno in esame appare evidente sin dall’art. 1 della legge n. 212/2000, il quale proclama che “Le disposizioni della presente legge, in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono principi generali Il Commerci@lista Economia e Diritto dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali”. Come è agevole comprendere, l’adozione e l’inserimento nell’ordinamento giuridico della normativa in esame poneva almeno due aspetti problematici, sui quali si intende concentrare qui l’attenzione e precisamente: l’efficacia delle norme dello Statuto, in quanto provenienti da fonte normativa primaria ordinaria, rispetto alle altre norme, di fonte pari-ordinata, presenti nell’ordinamento ovvero di successiva emanazione e con essa confliggenti; il rapporto tra le norme dello Statuto e le norme di rango costituzionale, con particolare riferimento all’eventuale attitudine delle prime a divenire, proprio in forza del richiamo contenuto nell’art. 1, parametro di costituzionalità rispetto ad altre norme che con esse si trovassero in posizione di contrasto. La giurisprudenza si è quindi interrogata in merito alla valenza che debba essere attribuita alle disposizioni dello Statuo del contribuente ed in particolare quale sia la loro funzione in relazione a norme con essa confliggenti che siano tuttavia contenute in leggi ordinarie e dunque formalmente di grado gerarchico paritario rispetto ad esso. La sentenza sopra indicata si pone nel filone giurisprudenziale ormai consolidato, secondo cui “le norme della legge 212/2000, emanate in attuazione degli artt. 3, 23,53 e 97 Cost., e qualificate espressamente come principi generali dell’ordinamento tributario, sono, in alcuni casi, idonee a prescrivere specifichi obblighi a carico dell’Amministrazione finanziaria e costituiscono, in quanto espressione di principi già immanenti nell’ordinamento, criteri guida per il giudice nell’interpretazione delle norme tributarie (anche anteriori), ma non hanno rango superiore alla legge ordinaria e, conseguentemente, non possono fungere da norme parametro di costituzionalità, né consentire la disapplicazione della norma tributaria in asserito contrasto con le stesse (Cass. Ord. N. 2232 del 30 gennaio 2013)”. La motivazione addotta richiama in forma breve diverse precedenti pronunce della Corte 13 e rende quindi opportuno dar conto di come un tale orientamento si sia formato e consolidato nel corso degli anni: a tale riguardo, presenta particolare interesse la decisione della Corte in data 10.12.2002, n. 13 Come spesso accade, le sentenze della Suprema Corte si limitano a riportare, quasi alla stregua di obiter dicta, principi elaborati da decisioni precedenti: tale sembra essere il caso in esame, dove il motivo di ricorso viene rigettato sulla base del fugace richiamo del principio di diritto da precedenti decisioni: risalendo cronologicamente le varie pronunce si deve giungere alla sentenza n. 17576 del 10.12.2002 per rinvenire una motivazione maggiormente articolata. ottobre 2016 - p. 7 17576, che “offre spunti di riflessione sul valore ermeneutico e sistematico attribuibile alle norme di principio contenute nello Statuto del contribuente” 14 . La Corte muove dalla considerazione, da un lato, dell’intento del legislatore di conferire un’efficacia rafforzata (pur se non ascendente al rango costituzionale, che avrebbe richiesto il ricorso a fonte normativa sovraordinata) alle norme dello Statuto e, dall’altro lato, dal rilievo che la categoria dei “principi giuridici” reca in se stessa una funzione di “orientamento ermeneutico e applicativo vincolante nell’interpretazione del diritto”, con la conseguenza che deve affermarsi una “superiorità assiologica dei principi espressi o comunque desumibili dallo Statuto”, di tal che, in caso di dubbio interpretativo o applicativo in ordine alla portata di una norma tributaria, l’interprete dovrà necessariamente guardare allo Statuto come faro verso cui orientare la propria attività ermeneutica, preferendo quell’interpretazione che sia conforme ai principi posti dallo Statuto. D’altra parte, continua la Corte, il valore interpretativo dei principi dello Statuto si fonda su un duplice rilievo: da un lato, poiché quegli stessi principi si dichiarano conformi alle norme costituzionali, l’interpretazione conforme allo Statuo si risolve nell’interpretazione conforme alla Costituzione; d’altro lato, essendo i principi dello Statuto espressione di principi costituzionali, essi sono da considerarsi immanenti nell’ordinamento già prima dell’entrata in vigore dello Statuto 15 e sono quindi vincolanti per l’interprete, sulla base dell’interpretazione adeguatrice rispetto ai precetti costituzionali. Si coglie qui un passaggio cruciale nella ricostruzione sistematica delle norme dello Statuto del contribuente, compiuto dalla Suprema Corte: nell’esprimere il valore vincoC. Monaco, “I principi fondamentali dell’ordinamento tributario tra diritto costituzionale, diritto comunitario e diritto pubblico: indicazioni sistematiche sulla genesi e sul ruolo ad essi attribuibile nel diritto tributario in una recente pronuncia della cassazione”, in Riv. Dir. Fin., fasc. 2, 2003, 349. 15 Al riguardo, è opportuno precisare che la Corte opera una distinzione tra le norme statutarie dotate della rilevata efficacia immanente nell’ordinamento in quanto espressione dei principi costituzionali (citando i principi di “conoscenza degli atti” , di chiarezza e motivazione degli atti, di cui agli artt. 6 e 7, nonché quello di “affidamento del contribuente”, previsto all’art. 10 e che costituisce il fulcro della decisione in esame), rispetto ad altre che, presentando invece caratteristiche innovative, quali quelle aventi ad oggetto o l’attribuzione ovvero l’estensione di garanzie a favore del contribuente (come suggerisce la materia dell’interpello, ovvero quella delle garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, artt. 11 e 12), incontrerebbero, proprio in ragione del loro carattere innovativo, un limite nel principio generale di irretroattività della legge, sconosciuto alle prime. Ed è proprio in base alla considerazione dell’immanenza nell’ordinamento del principio costituzionale sotteso all’art. 10 che la Corte risolverà la controversia sottoposta al suo esame, di formazione anteriore all’entrata in vigore dello Statuto, facendo applicazione della norma statutaria predetta. 14 lante per l’interprete delle norme statutarie, la Corte assegna loro un compito di ausilio nell’attività ermeneutica ed un ruolo di estrinsecazione dei principi costituzionali già presenti nell’ordinamento, indipendentemente ed anzi anteriormente all’emanazione dello Statuto medesimo: ancorché, quindi, ed anzi forse proprio perché non contenute in legge costituzionale, la Corte compie comunque un’opera di sistemazione del nuovo testo normativo nell’ambito dell’ordinamento tributario, assegnando ad esso una funzione di carattere interpretativo, che consente però di non esorbitare dai limiti posti dalla provenienza delle sue norme da una fonte normativa di rango ordinario, salvando quindi la coerenza dell’impianto normativo dello Statuto con il sistema generale della gerarchia delle fonti. Proprio tale ultima considerazione conduce all’esame del secondo profilo d’indagine innanzi delineato, afferente al rapporto tra le norme dello Statuto e quelle, provenienti da fonti normative di pari grado, che si pongano in posizione antinomica con le prime. La questione non è o, forse è più corretto dire, non è stata irrilevante, anche perché è dato rinvenire, in special modo nei primi anni successivi all’entrata in vigore dello Statuto, pronunce delle Commissioni tributarie provinciali d’invalidazione disposizioni normative tributarie per “violazione dello Statuto del contribuente” 16. Orbene, le considerazioni che precedono circa la valenza di orientamento interpretativo delle norme contenute nello Statuto, unitamente all’evidenziato posizionamento delle norme stesse nel sistema di gerarchia delle fonti normative quali norme di fonte ordinaria, consentono ora di risolvere più agevolmente la questione in esame, dovendosi escludere che le norme statutarie possano condurre alla disapplicazione diretta o, addirittura, a declaratoria di illegittimità di altre norme (che ovviamente non promani dal Giudice delle leggi), provenienti da fonti normative di pari grado, che con quelle dovessero entrare in conflitto: in casi simili, il rispetto del principio di gerarchia delle fonti, da un lato, unitamente alla considerazione della funzione ermeneutica delle norme Statutarie guideranno l’interprete, in caso di scelta fra due possibilità interpretative, a preferire quella che si riveli maggiormente conforme ai principi statutari, non già per la prevalenza gerarchica di questi ultimi, bensì in quanto espressione dei relativi valori costituzionali immanenti: con il risultato che, in concreto, potrà ugualmente raggiungersi un risultato concreto corrispondente ad una Si veda, al riguardo, V. Mastroiacovo, Ancora sull’efficacia dello Statuto del contribuente, in Riv. Dir. Trib., fasc. 11, 2004, pag. 672, la quale cita le decisioni di alcune Commissioni Provinciali, (note 15, 16 e 17), che giunsero a dichiarare l’illegittimità di talune norme, procedendo quindi all’annullamento degli atti dell’Amministrazione, per contrasto con lo Statuto. 16 Il Commerci@lista Economia e Diritto sostanziale disapplicazione di una norma in contrasto con lo Statuto, ma vi si potrà giungere unicamente perché la norma statutaria, interpretata quale attuazione di un principio costituzionale, guiderà l’interprete a sussumere la fattispecie concreta sotto quel principio e quindi ad interpretarla alla luce del medesimo, anche in contrasto con altre norme di leggi ordinarie 17. Ma, se è così, la portata innovativa dello Statuto del contribuente sembra uscirne grandemente ridimensionata: è evidente, infatti, che il dire che l’interprete è tenuto, ove sia possibile una scelta, ad adottare l’interpretazione maggiormente conforme ai principi statutari, perché espressione dei principi costituzionali già presenti nell’ordinamento, significa dire che la soluzione indicata sarebbe comunque rinvenuta anche senza lo Statuto. L’obiezione è seria ed anzi appare difficilmente superabile: nondimeno, è stato evidenziato ed ascritto a merito dello Statuto non tanto il fatto di voler porre delle norme di rango sovraordinato rispetto a quelle ordinarie, quanto la considerazione dell’effetto positivo di “stimolare il dibattito sul ruolo dei principi generali dell’ordinamento tributario” 18, spingendo in particolare l’interprete del diritto tributario verso un’attività tesa alla individuazione ed applicazione dei principi generali dell’ordinamento anche alla materia tributaria, fino ad arrivare alla ricognizione e all’elaborazione di principi generali propri dell’ordinamento tributario. Riguardando quindi la questione dalla prospettiva della teoria generale delle fonti, è possibile cogliere qui un aspetto assolutamente peculiare e per alcuni versi paradossale delle norme contenute nello Statuto del contribuente: è stato al riguardo efficacemente rilevato che la legge n. 212/2000 ha consentito all’interprete di intraprendere un percorso ermeneutico che conduce ad interpretare il fatto individuando il principio a partire dalla legge scritta (le norme dello Statuto) e rimanendo in essa (i principi espressi nelle norme costituzionali), ma con la particolarità che quel fatto viene interpretato anche in spregio ad altre norme Questa è stata, per l’appunto, la via percorsa della Suprema Corte nella decisione del caso sottoposto al suo esame, relativo all’impugnazione, da parte del contribuente, di un avviso di rettifica, con il quale l’Amministrazione aveva annullato, in via di autotutela, un precedente provvedimento di archiviazione per intervenuto condono di violazioni IVA: la Corte, muovendo dalla considerazione che l’art. 10 dello Statuto, nel porre il principio della tutela dell’affidamento del contribuente, richiama il principio costituzionale di cui all’art. 97, ha ritenuto che tale principio dovesse prevalere sul potere dell’Amministrazione di annullamento in autotutela degli atti illegittimi. 18 C. Monaco, Principi fondamentali … cit., paragrafo 5; la funzione di favorire l’uscita del diritto tributario da un suo peculiare “particolarismo che aveva contribuito a moltiplicare i microsistemi della materia tributaria” è segnalata anche da Mastroiacovo, cit., paragrafo 1. 17 ottobre 2016 - p. 8 puntuali, di tenore evidentemente distonico rispetto a quelle statutarie, “perché si invoca il valore espresso dal diritto richiamato”. Le considerazioni che precedono inducono quindi a ritenere che uno degli aspetti più interessanti e meritori dello Statuto dei diritti del contribuente sia rappresentato non già e non tanto dall’intento – destinato a rimanere di natura assai più programmatica che non precettiva, come anche la successiva esperienza normativa insegna e come diversamente non avrebbe potuto accadere, dato il “peccato originale” del rango ordinario e non sovraordinato della legge in commento, rispetto al legislatore al quale esso si rivolge – di dettare norme sulla normazione ad un legislatore parigrado, quanto piuttosto dall’avere consegnato all’interprete un prezioso strumento ermeneutico, che ne agevola il compito, consentendo il ricorso, in caso di dubbio, ai principi generali che, “pure considerati immanenti, erano ritenuti recessivi rispetto ad un metodo interpretativo spesso fondato su regole di settore” 19. Sembra infatti conclusione ormai pacificamente condivisa quella per cui, in difetto delle norme contenute nella legge n. 212/2000, difficilmente o, più probabilmente, con maggior difficoltà e travaglio si sarebbe pervenuti alla elaborazione di principi ormai consolidati negli arresti giurisprudenziali: la sentenza n. 17576/2002 ne è un esempio lampante, proprio perché riconduce il valore della buona fede e dell’affidamento del contribuente, per il tramite della norma statutaria di cui all’art. 10, al principio costituzionale di cui è espressione l’art. 97 Cost., del buon andamento e dell’imparzialità dell’amministrazione, e sulla base di tale principio costituzionale giunge a ritenere illegittima l’attività dell’Amministrazione, accordando preferenza al principio di tutela dell’affidamento del contribuente ex art. 10 rispetto alle norme che consentono a quest’ultima l’esercizio discrezionale dell’attività di autotutela e di annullamento di atti ritenuti illegittimi: anche a voler ammettere, come fa la Corte, che il principio debba considerarsi immanente nell’ordinamento e dunque esistente indipendentemente e precedentemente alla norma statutaria, è del tutto evidente come il percorso ermeneutico compiuto sdalla Corte sia stato quindi indubbiamente facilitato dall’espresso riconoscimento del principio stesso ad opera di una norma positiva. In conclusione, le risposte ai quesiti posti all’inizio della presente indagine possono così riassumersi: per quanto riguarda il valore delle norme dello Statuto dei diritti del contribuente nel sistema delle fonti, l’origine ordinaria della fonte normativa in cui le stesse sono contenute impedisce il riconoscimento 19 V. Mastroiacovo, cit., par 1. di un carattere sovraordinato rispetto ad altre norme, esistenti o successive, che promanino da fonti di pari grado gerarchico; nondimeno, la rilevata superiorità valoriale dei principi in esso contenuti e la circostanza che essi si dichiarino comunque attuazione di principi costituzionali, importa che le norme stesse costituiscano guida orientativa vincolante per l’interprete, il quale, riconosciutane la rispondenza ai principi generali dell’ordinamento tributario in quanto espressione di principi costituzionali, conformerà la sua attività ermeneutica in modo da preferire quelle soluzioni interpretative che siano aderenti ai principi dello Statuto medesimo; per lo stesso ordine di ragioni, legato alla fonte normativa di provenienza, le norme statutarie non possono fungere esse stesse da parametri di costituzionalità, né condurre direttamente alla disapplicazione di altre norme; deve tuttavia ritenersi che, proprio la funzione di stimolo dell’interprete all’individuazione ed applicazione dei principi generali dell’ordinamento tributario possa e anzi debba utilmente orientarne l’attività, consentendo l’individuazione dei principi di rango costituzionale che, immanenti nell’ordinamento tributario, si rivelino applicabili alle fattispecie in esame. *Avvocato del Foro di Biella, consigliere emerito dell’Ordine degli Avvocati di Biella L’ETICHETTA DEI PRODOTTI DI MODA: SERVE UNA REVISIONE DELLA NORMA * DI MASSIMO TORTI Negli ultimi mesi, ma l’attività di controllo coordinata dal Ministero dello Sviluppo Economico è in atto da anni, funzionari ispettivi delle Camere di Commercio italiane ed anche della Guardia di Finanza hanno effettuato sopralluoghi nei negozi di moda, abbigliamento, calzature, accessori, pelletterie, articoli sportivi e tessili per la casa per verificare se i prodotti in vendita fossero regolarmente provvisti di etichettatura a norma di legge. Il rischio è grosso per il dettaglio moda, in particolare. In caso di etichettatura non conforme di articoli tessili e calzaturieri, gli operatori commerciali potrebbero vedersi elevare dai funzionari ispettivi verbali di contestazioni (con sanzioni importanti) e soprattutto potrebbero assistere all’immediato sequestro Il Commerci@lista Economia e Diritto dei prodotti (ad esempio per la mancanza degli estremi dei produttori). Va da sé che l’etichetta non l’attacca il commerciante bensì il produttore o, comunque, il fornitore, ma l’operatore commerciale che – per una sorta di “culpa in vigilando” e ad un “permettetemi di considerare anacronistico” principio di prossimità (è il soggetto più vicino al consumatore) – è soggetto ad una sanzione troppo gravosa e di sicuro inversamente proporzionale alla sua responsabilità nel rapporto di filiera, in una ratio legislativa che presuppone un diritto di rivalsa nei confronti dei fornitori. Peccato, infatti, che nei contratti (copie commissioni), il nostro diritto ammetta la rinuncia al diritto di rivalsa. Infatti l’art. 131 del Codice del Consumo (D.Lgs. 206/2005) prevede che “Il venditore finale, quando è responsabile nei confronti del consumatore a causa di un difetto di conformità imputabile ad un’azione o ad un’omissione del produttore, di un precedente venditore della medesima catena contrattuale distributiva o di qualsiasi altro intermediario, ha diritto di regresso, salvo patto contrario o rinuncia, nei confronti del soggetto o dei soggetti responsabili facenti parte della suddetta catena distributiva”. E sappiamo come le clausole vessatorie vadano ad incidere nei rapporti tra le parti dove i fornitori assumono una netta posizione e forza contrattuale. A fronte di questa situazione, ricordo a tutti gli operatori di prestare molta attenzione all’etichettatura dei prodotti tessili che segue, in termini generali, una serie di disposizioni europee (Regolamento UE 1.007/2011) ed italiane (D.Lgs. 194/99 e D.Lgs. 206/2005 – Codice del Consumo), al fine di evitare pesanti sanzioni. In estrema sintesi, ci tengo a rimarcare l’importanza per i commercianti di verificare che l’etichetta: sia in lingua italiana (es. “100% Cotone” e non “100 % Cotton”); contenga la composizione fibrosa con la denominazione della fibra scritta per esteso (“100% Cotone” e non “100 CO”) e la percentuale del peso indicata in ordine decrescente (es. “90% Cotone 10% Seta”); trovi corrispondenza con quanto scritto nei documenti commerciali (es. nelle fatture ci deve essere il riferimento alla stessa percentuale di composizione fibrosa indicata in etichetta); sia saldamente fissata al prodotto messo in vendita; indichi nome, ragione sociale o marchio ed anche sede legale del ottobre 2016 - p. 9 produttore/importatore (estremi del produttore ex art. 104 del D. Lgs. 206/2005 – Codice del Consumo); preveda l’indicazione “Contiene parti non tessili di origine animale” (ad esempio per piumini, maglioni con toppe o inserti in pelle, bottoni in madreperla o corno naturale). Per le calzature ci si rifà ai dettami della Direttiva 94/11/CE, recepita in Italia dal D.M. 11/04/96, che prevede l’obbligo dell’etichetta con gli appositi simboli su almeno una delle calzature (e gli estremi del produttore sulla scatola ex D.Lgs. 206/2005) e l’esposizione di un cartello in negozio contenente le informazioni sui componenti delle calzature (con i simboli delle parti che devono essere etichettate e quelli dei materiali che compongono le differenti parti delle calzature). Faccio alcuni esempi pratici che fanno ben comprendere l’effettivo rischio per i commercianti di vedersi sanzionati a volte addirittura in maniera insensata. È accaduto, ad esempio in provincia di Mantova, che a seguito di un controllo sulla composizione fibrosa effettuato su due paia di calze di aziende piuttosto conosciute, questa non sia risultata conforme a quanto dichiarato in etichetta dal produttore/fornitore. Tra l’altro, quanto indicato in etichetta non era stato riportato neppure in fattura. A seguito di questa situazione, l’organismo ispettivo ha steso un verbale di contestazione al commerciante (una piccola merceria di paese) con una sanzione prevista di un minimo di 1.032,91 euro ed un massimo di 5.167,57. Sanzione che, se pagata entro 60 giorni dalla notifica, poteva essere ridotta ad un importo pari alla cifra più favorevole tra un terzo del massimo ed il doppio del minimo (pari a 1.721,52 € moltiplicato per due violazioni accertate – e quindi complessivamente pari a 3.443,04 €). Avete capito bene: il verbale di contestazione è stato indirizzato alla commerciante, sicuramente ignara della composizione fibrosa di quelle paia di calze. Incredibile…Federazione Moda Italia è comunque intervenuta con l’Associazione aderente della Confcommercio di Mantova in soccorso dell’azienda per presentare ricorso. Ma non è tutto. A luglio, alcuni operatori commerciali ci hanno segnalato che funzionari ispettivi della Guardia di Finanza di Perugia e di Trieste hanno verificato in alcuni negozi di moda situazioni di etichettatura non conforme per mancanza degli estremi dei produttori, con conseguente sequestro dei relativi prodotti. A fronte di questi, fortunatamente ancora pochi, ma sicuramente non trascurabili “disagi” che, in un periodo di crisi per il dettaglio moda come quello attuale, sono visti come un’insopportabile ingiustizia, occorrerebbe che il legislatore riflettesse un attimo su quelle che possono essere le conseguenze di talune iniziative e chi vanno a colpire. Riteniamo che non sia più tollerabile che, a distanza di oltre 40 anni dalla prima norma in materia (Legge 26 novembre 1973, n. 883 “Denominazioni ed etichettatura prodotti tessili”) e a fronte di un Regolamento europeo le cui disposizioni sono direttamente applicabili a tutti gli stati membri, ancora oggi siano immessi sul mercato dai produttori/fornitori prodotti con etichette non conformi. La motivazione per noi è chiara, però: finché si sanzionano i soli commercianti e le sanzioni – ammesso che si riesca ad esercitare il diritto di rivalsa – sono un piccolo salasso per i negozi, ma briciole per la produzione, è difficile che la sola moral suasion ed i nostri tour di sensibilizzazione possano portare al rispetto delle regole che ci sono e devono essere osservate. Per questo Federazione Moda Italia, oltre a sensibilizzare tutti gli operatori italiani – con un tour “SOS Etichettatura” che ha visto una sessantina di tappe da Bolzano a Palermo – a prestare la massima attenzione all’etichettatura per non incappare in pesanti sanzioni (o, peggio, in sequestri di merce), si batte in difesa delle centinaia di migliaia di negozianti che operano – non senza difficoltà – in un settore che ci vede ancora leader a livello internazionale, promuovendo la revisione della normativa sulle responsabilità e relative sanzioni. È inammissibile, oltre che inaccettabile, che un operatore commerciale, in quanto obbligato principale, tra l’altro molto spesso vessato da clausole che gli negano ogni diritto di regresso nei confronti dei fornitori, debba rispondere delle negligenze o omissioni di operatori terzi (produttori/importatori). È un’anomalia che chiediamo di correggere il prima possibile. Infine, con il duplice obiettivo di accrescere la consapevolezza degli imprenditori del settore moda sui rischi da evitare e per promuovere buone pratiche capaci di aumentare le probabilità di evitare gravose sanzioni agli operatori commerciali, Federazione Moda Italia ha realizzato il KIT “SOS Etichettatura” che si compone di: un prontuario sulla normativa, vista con particolare attenzione alle incombenze ed alle responsabilità del commerciante; un vademecum di consigli pratici che mettono nelle condizioni il commerciante di evitare le pesanti sanzioni e di tutelarsi nei confronti dei fornitori qualora consegnassero merce non etichettata in maniera conforme alla legge; due fac-simile di lettere (con i consigli del legale) da inviare al fornitore in caso di individuazione del vizio di Il Commerci@lista Economia e Diritto conformità dell'etichetta e, successivamente ad un eventuale controllo, per la comunicazione del danno emergente e del lucro cessante; un cartello con la traduzione delle fibre tessili da esporre nel negozio, in camerino; un timbro firmato da Federazione Moda Italia - Confcommercio da apporre sugli ordini a tutela del commerciante che permette di segnalare, al momento della sottoscrizione delle copie commissioni, che la merce deve essere consegnata già etichettata in lingua italiana e nel rispetto della normativa vigente Info su http://www.federazionemodaitalia.com/it/iniziative/e venti/it/servizi/tematiche-interesse/etichettatura *Segretario Generale della Federazione Moda Italia LE RELAZIONI DEL CURATORE E DEL COMMISSARIO GIUDIZIALE: CRITERI DI REDAZIONE * DI LUCIANO M. QUATTROCCHIO ** E BIANCA M. OMEGNA 1. La relazione del curatore. 1.1. Premessa. La relazione del curatore deve essere depositata entro 60 giorni dal deposito in cancelleria della sentenza di fallimento. Il termine di 60 giorni non è perentorio e non vi sono sanzioni o altre conseguenze in caso di ritardo nel deposito: il curatore deve, tuttavia, presentare al giudice delegato istanza di proroga dei termini di deposito, esponendone i motivi. La relazione del curatore è volta a soddisfare due esigenze fondamentali: fornire al giudice delegato una visione globale della situazione dell’impresa fallita, consentendo così un più agevole esercizio del suo potere di vigilanza; dare impulso all’attività del pubblico ministero, ai fini dell’eventuale esercizio dell’azione penale. 1.2. Il contenuto La relazione si compone di una serie di parti, che possono essere come di seguito articolate (S. LAPPONI). 1.2.1. Premessa La premessa deve contenere: gli estremi della dichiarativa di fallimento; sentenza ottobre 2016 - p. 10 i dati identificativi dell’imprenditore (individuale o collettivo). 1.2.2. Cronistoria. Deve contenere la storia dell’impresa (individuale o collettiva), con succinte informazioni sulle principali vicende degli ultimi anni (es. operazioni straordinarie), oltre ad un’analitica descrizione di: organi sociali; partecipazioni significative; sedi secondarie; ecc. 1.2.3. I dati di bilancio. Deve contenere l’esposizione e la comparazione dei bilanci degli ultimi cinque anni. Dai dati di bilancio devono essere desunti i principali indici di bilancio: indice di natura patrimoniale; indice di natura reddituale; indice di natura finanziaria. E’ opportuno anche svolgere un’analisi per flussi. A tale fine, è raccomandabile l’applicazione – mutatis mutandis – del documento del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti, Crisi d’impresa: Strumenti per l’individuazione di una procedura d’allerta, 2005. 1.2.4. Cause del dissesto. Occorre distinguere fra: cause endogene o carenza gestionale: produttiva, commerciale, amministrativa; o sottocapitalizzazione; o assenza di merito creditizio: o incapacità di innovazione; cause esogene o crollo dei mercati; o revoca degli affidamenti; o forza maggiore; cause criminose: o artifici; o simulazioni; o occultamenti; o falsificazioni; o tenore di vita eccessivo. 1.2.5. Circostanze del fallimento. E’ opportuno distinguere fra: circostanze prodromiche al fallimento: o azioni esecutive; o revoca degli affidamenti; o eventi traumatici; o cessazione dell’attività d’impresa; iniziative volte alla dichiarazione di fallimento: o fallimento in proprio; o fallimento su iniziativa dei creditori; o fallimento su iniziativa della Procura; o consecutio fra procedure. 1.2.6. Diligenza del fallito e degli organi sociali. E’ opportuno separare l’esposizione in due parti: periodo antecedente alla dichiarazione di fallimento: o capacità gestionale; o diligenza amministrativa; o sacrifici economici; durante la procedura: o collaborazione (rilevante anche per l’esdebitazione). 1.2.7. Situazione dell’attivo fallimentare. Questa sezione deve essere compilata nei limiti dell’attività sino a quel momento svolta: inventario dei beni mobili; stima dei beni mobili e immobili; crediti; altre attività (partecipazioni, cauzioni, ecc.); atti impugnati dai creditori e atti da impugnare ad opera della curatela; azioni revocatorie; azioni risarcitorie. 1.2.8. Situazione del passivo fallimentare. E’ opportuno distinguere fra: situazione debitoria risultante dalla contabilità; situazione debitoria risultante dall’eventuale progetto di stato passivo (o stato passivo definitivo); beni di terzi. 1.2.9. Nomina dei collaboratori. Occorre dare atto della nomina di: periti; legali; coadiutori. 1.2.10. Situazione del fallimento Occorre dare atto di: esercizio provvisorio; realizzi; azioni intraprese. 1.2.11. Fatti di rilievo per eventuali responsabilità dell’imprenditore o degli organi societari, di soci o di terzi. Occorre distinguere fra: ipotesi di responsabilità civile: o del fallito; o degli organi societari; o di soci e di terzi; ipotesi di responsabilità penale: o bancarotta semplice; o bancarotta fraudolenta; o ricorso abusivo al credito; o denuncia di creditori inesistenti; o false comunicazioni sociali; o appropriazione indebita; o truffa; o frode fiscale; o altri reati. Per la verifica dei presupposti per l’eventuale azione di responsabilità civile è opportuno accertare l’eventuale retrodatazione della perdita del capitale sociale. Il Commerci@lista Economia e Diritto Per un opportuno apprezzamento degli eventuali presupposti per l’azione penale è opportuno riportare le seguenti informazioni: eventuale retrodatazione dello stato di insolvenza concorso alla causazione del dissesto delle false comunicazioni sociali; sintesi dell’attivo fallimentare; sintesi del passivo fallimentare; ricostruzione del disavanzo fallimentare giustificato e non giustificato. La perdita del capitale sociale può essere soltanto un indice dello stato di insolvenza, che deve essere corroborato da ulteriori accertamenti attraverso l’analisi per indici e per flussi. 1.2.12. Considerazioni finali E’ opportuno inserire la riserva di ulteriori segnalazioni. 1.3. I soggetti consultazione. legittimati alla La relazione può (tranne le parti secretate) essere consultata dal comitato dei creditori e da chiunque sia portatore di un interesse effettivo ed attuale. L’art. 90 l.f., infatti, prevede espressamente: «Il comitato dei creditori e ciascun suo componente hanno diritto di prendere visione di qualunque atto o documento contenuti nel fascicolo. Analogo diritto, con la sola eccezione della relazione del curatore e degli atti eventualmente riservati su disposizione del giudice delegato, spetta anche al fallito. III. Gli altri creditori ed i terzi hanno diritto di prendere visione e di estrarre copia degli atti e dei documenti per i quali sussiste un loro specifico ed attuale interesse, previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il curatore». 1.4. Gli orientamenti giurisprudenziali. Si riportano, di seguito, alcune massime giurisprudenziali in tema di relazione del curatore: -Tribunale Catania 25 gennaio 2014. Anche in ragione della previsione di cui all’art. 90 L.F., deve rigettarsi l’istanza del fallito volta a prendere visione e ad estrarre copia della relazione del curatore ex art. 33 L.F. ove non si evinca alcun interesse dell’istante al relativo accesso. -Appello Ancona 20 gennaio 2011. L’efficacia probatoria di quanto riferito dal curatore fallimentare nella relazione redatta ai sensi dell’articolo 33, legge fall. si atteggia diversamente a seconda che si tratti a) di fatti compiuti dal curatore o avvenuti in sua presenza; b) di fatti riferiti dal curatore ma diversi da quelli indicati sub a); c) di semplici valutazioni od opinioni del curatore. Nel primo caso la relazione ha efficacia di prova legale in quanto trattasi di atto formato da pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, il quale fa piena prova fino a querela di falso. Nel secondo caso, il giudice, ottobre 2016 - p. 11 in base al principio del libero convincimento, ha la possibilità di porre a fondamento della decisione prove non espressamente previste dal codice di rito, purché sia fornita adeguata motivazione della relativa utilizzazione e purché tali prove “atipiche” non vengano utilizzate per aggirare divieti o preclusioni di carattere sostanziale o processuale. Per quanto, infine, riguarda le valutazioni od opinioni personali del curatore, è evidente la loro irrilevanza ai fini probatori. Tribunale Milano 18 gennaio 2011. La relazione del curatore, in quanto formata da pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni (art. 33, legge fallimentare) fa piena prova fino a querela di falso degli atti e dei fatti che il curatore attesta essere stati da lui compiuti o essere avvenuti in sua presenza. (Nel caso di specie, in mancanza di prova contraria, è stato ritenuto incontrovertibile il fatto materiale, dichiarato dal curatore nella relazione, del mancato reperimento della cassa tra i beni aziendali). 2. La relazione giudiziale. 2.1. Premessa. del commissario La relazione del commissario giudiziale deve essere depositata almeno 45 giorni prima dell’adunanza dei creditori. Il termine di 45 giorni è perentorio. La relazione del commissario giudiziale è volta a soddisfare tre esigenze fondamentali: fornire ai creditori un giudizio sulla fattibilità economica della proposta concordataria e sulla sua convenienza economica rispetto al fallimento; fornire al tribunale tutti gli elementi utili ai fini della valutazione della fattibilità giuridica della proposta concordataria; in caso di proposte concorrenti, svolgere una particolareggiata comparazione fra le stesse; dare impulso all’attività del pubblico ministero, ai fini dell’eventuale esercizio dell’azione penale. 2.2. Il contenuto. La relazione del commissario giudiziale deve contenere le seguenti informazioni (Gruppo di Lavoro ODCEC di Modena): esame dei bilanci dei precedenti esercizi per individuare le principali cause dello stato di crisi che hanno indotto il debitore a presentare la proposta di concordato preventivo, il momento in cui tali cause si sono manifestate e se effettivamente abbiano condotto l’impresa all’insolvenza o all’incapacità di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni; verifica dell’eventuale sussistenza di profili di responsabilità attribuibili ai componenti degli organi sociali, la consistenza patrimoniale degli stessi e l’eventuale compimento di operazioni che sarebbero potenzialmente soggette ad azione revocatoria in caso di fallimento. Tale attività è volta ad informare i creditori circa la convenienza della proposta di concordato rispetto ad altre soluzioni concorsuali prospettabili, quali – appunto – il fallimento, nell’ambito del quale il curatore potrebbe promuovere azioni di responsabilità nei confronti degli organi sociali e azioni revocatorie fallimentari, precluse nell’ambito del concordato preventivo; accertamento della fattibilità del piano di concordato nei termini proposti dal debitore, evidenziandone i fattori di rischio e di criticità, sulla base della documentazione depositata in tribunale e di ogni altra informazione acquisita; verifica della corrispondenza dei saldi comunicati dai creditori con quanto esposto nell’elenco depositato dal debitore o dalle risultanze contabili e, se necessario, aggiornamento degli importi; analisi sulla solvibilità dei debitori, sia sulla base dell’andamento storico dei pagamenti risultante dalle scritture contabile, sia con visure dei potesti o altri canali che possano permettere di ottenere informazioni più dettagliate sui debitori; rettifiche ai dati esposti nel piano dal debitore adeguando i valori attivi e passivi a quelli scaturiti dalle attività sopra descritte, nonché ai valori dell’inventario di cui all’art. 172 l.f.; in caso di differenze riscontrate rispetto alla proposta del debitore, redazione di una situazione concordataria a cura del commissario, da sottoporre ai creditori come possibile esito alternativo della procedura. 2.3. La relazione del commissario giudiziale nel concordato con continuità aziendale Nell’ipotesi di concordato con continuità aziendale, la relazione del commissario giudiziale potrebbe articolarsi nelle sezioni di seguito indicate: 1. Premessa. 2. Breve descrizione delle vicende della Società. 2.1. Costituzione e oggetto sociale. 2.2. Compagine sociale. 2.3. Organo Amministrativo. 2.4. Organo di Controllo. 2.4.1. Composizione del Collegio Sindacale. 2.4.2. La Società di Revisione. 2.5. Organico della Società. 2.6. Cause della crisi. 2.6.1. Premessa. 2.6.2. Crisi macroeconomica. 2.6.3. Operazioni straordinarie. 2.6.4. Difficoltà di incasso dai clienti terzi. 2.6.5. Difficoltà di incasso dal Gruppo. 2.6.6. Analisi delle principali azioni intraprese per riequilibrare la redditività di Gruppo. Il Commerci@lista Economia e Diritto 2.6.7. Elementi principali di discontinuità industriale che hanno contribuito ad un peggioramento della redditività. 2.6.8. Esame dei bilanci. 3. La fattibilità giuridica. Verifica della conformità normativa del Piano Concordatario e delle asserzioni poste alla base dello stesso. 3.1. Premessa. Il contesto normativo 3.1.1. Il concordato preventivo in continuità aziendale. 3.1.2. Il Regolamento CE n. 1346 del 2000. 3.1.3. Lo status di impresa in concordato. 3.2. Lo status quo. 3.2.1. Il Gruppo. 3.2.2. La governance. 3.2.3. Il contenzioso. 3.2.3.1. Il contenzioso fiscale. 3.2.3.2. Il contenzioso attivo. 3.2.3.3. Il contenzioso passivo. 3.2.4. Contratti in corso. 3.2.4.1. Contratti bancari. 3.2.4.2. Contratti di leasing. 3.2.4.3. Contratti di garanzia. 3.2.4.4. Contratti relativi alle forniture. 3.2.5. Brevetti industriali e marchi. 3.2.6. Rischi. 3.2.7. La responsabilità amministrativa ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001. 3.2.8. L’accordo con le Banche. 3.3. La conformità normativa del Piano Concordatario e delle asserzioni poste alla base dello stesso. 4. La fattibilità tecnica. La coerenza endogena del Piano Industriale e la sua compatibilità con gli scenari tecnologici. 4.1. Premessa. Il contesto tecnologico di riferimento. 4.1.1. Area di business AAA. 4.1.2. Area di business BBB. 4.1.3. Key economics storiche. 4.2. Sintesi delle linee strategiche di Piano. 4.2.1. Premessa. 4.2.2. La situazione degli impianti. 4.2.3. Analisi dei prodotti attuali. 4.2.4. Ricerca e Sviluppo. 4.2.5. Progetti di sviluppo. 4.2.6. La Divisione “AAA”. 4.2.7. La Divisione “BBB”. 4.3. La coerenza endogena del Piano Industriale e la sua compatibilità con gli scenari tecnologici. 4.4. Conclusioni. 5. La fattibilità economica. La compliance del piano economico-finanziario con il piano industriale e la coerenza delle sue assumpion con gli scenari macroeconomici, microeconomici e di settore. 5.1. Lo scenario macroeconomico. 5.1.1. Le previsioni della crescita mondiale. 5.1.2. Le prospettive europee. 5.1.3. I mutamenti nello scenario dell’offerta. 5.1.4. La ripresa italiana: rafforzamento dell’export e stabilizzazione dei consumi. 5.1.5. Ripresa selettiva per l’industria manifatturiera italiana. ottobre 2016 - p. 12 5.2. Lo scenario microeconomico e di settore. 5.3. Verifica della coerenza esogena delle assumption. 5.3.1. Le assumpion del Piano Concordatario. 5.3.2. La coerenza delle assumpion con gli scenari di riferimento. 5.3.3. Il contesto lavoristico di riferimento. La compliance normativa dei piani di dismissione. 5.4. Verifica della coerenza endogena delle assumption. 5.4.1. Esame delle caratteristiche produttive intrinseche. 5.4.1. Le variabili assunte alla base del Piano Concordatario. 5.4.2. La coerenza delle variabili nella loro dimensione quali-quantitativa. 5.4.3. La fattibilità lavoristica. La coerenza del piano industriale e del piano economicofinanziario con le dinamiche lavoristiche. 6. La situazione patrimoniale, economica e finanziaria. 6.1. Le attività. 6.2. Le passività. 7. La Proposta di Concordato Preventivo. 7.1. Il Piano Concordatario. 7.1.1. I forecast economici. 7.1.2. I forecast patrimoniali. 7.1.3. I forecast finanziari. 7.2. Le Passività Concordatarie. 7.2.1. Debiti con privilegio. 7.2.1. Debiti chirografari. 7.3. Il Piano dei pagamenti. 8. La Stima dei Commissari Giudiziali. 8.1. Il Piano Economico-PatrimonialeFinanziario. 8.1.1. I dati previsionali (sintesi). 8.1.1.1. I forecast economici. 8.1.1.2. I forecast patrimoniali. 8.1.1.3. I forecast finanziari. 8.2. Le Passività accertate (analisi). 8.2.1. Premessa. 8.2.2. La Categoria “Banche 1”. 8.2.2.1. I debiti in prededuzione. 8.2.2.2. I debiti assistiti da prelazione ipotecaria o pignoratizia. 8.2.2.3. I debiti assistiti da privilegio. 8.2.2.4. I debiti chirografari. 8.2.3. La Categoria “Banche 2”. 8.2.3.1. I debiti in prededuzione. 8.2.3.2. I debiti assistiti da prelazione ipotecaria o pignoratizia. 8.2.3.3. I debiti assistiti da privilegio. 8.2.3.4. I debiti chirografari. 8.2.4. La Categoria “Fornitori terzi”. 8.2.4.1. I debiti in prededuzione. 8.2.4.2. I debiti assistiti da prelazione ipotecaria o pignoratizia. 8.2.4.3. I debiti assistiti da privilegio. 8.2.4.4. I debiti chirografari. 8.2.5. La Categoria “Fornitori Intercompany”. 8.2.5.1. I debiti in prededuzione. 8.2.5.2. I debiti assistiti da prelazione ipotecaria o pignoratizia. 8.2.5.3. I debiti assistiti da privilegio. 8.2.5.4. I debiti chirografari. 8.2.6. La Categoria “Obbligazionisti”. 8.2.6.1. I debiti in prededuzione. 8.2.6.2. I debiti assistiti da prelazione ipotecaria o pignoratizia. 8.2.6.3. I debiti assistiti da privilegio. 8.2.6.4. I debiti chirografari. 8.2.7. La Categoria “Dipendenti”. 8.2.7.1. I debiti in prededuzione. 8.2.7.2. I debiti assistiti da prelazione ipotecaria o pignoratizia. 8.2.7.3. I debiti assistiti da privilegio. 8.2.7.4. I debiti chirografari. 8.2.8. La Categoria “Debiti tributari”. 8.2.8.1. I debiti in prededuzione. 8.2.8.2. I debiti assistiti da prelazione ipotecaria o pignoratizia. 8.2.8.3. I debiti assistiti da privilegio. 8.2.8.4. I debiti chirografari. 8.2.9. La Categoria “Debiti verso Istituti previdenziali”. 8.2.9.1. I debiti in prededuzione. 8.2.9.2. I debiti assistiti da prelazione ipotecaria o pignoratizia. 8.2.9.3. I debiti assistiti da privilegio. 8.2.9.4. I debiti chirografari. 8.2.10. La Categoria “Ratei e risconti passivi”. 8.2.10.1. I debiti in prededuzione. 8.2.10.2. I debiti assistiti da prelazione ipotecaria o pignoratizia. 8.2.10.3. I debiti assistiti da privilegio. 8.2.10.4. I debiti chirografari. 8.2.11. La Categoria “Altri debiti”. 8.2.11.1. I debiti in prededuzione. 8.2.11.2. I debiti assistiti da prelazione ipotecaria o pignoratizia. 8.2.11.3. I debiti assistiti da privilegio. 8.2.11.4. I debiti chirografari. 8.2.12. La Categoria “Fondo Rischi”. 8.2.12.1. I debiti in prededuzione. 8.2.12.2. I debiti assistiti da prelazione ipotecaria o pignoratizia. 8.2.12.3. I debiti assistiti da privilegio. 8.2.12.4. I debiti chirografari. 8.2.3. Sintesi. 9. Valutazione della Proposta di Concordato e delle garanzie offerte ai creditori. 9.1. Il Piano Concordatario rettificato. 9.2. Le percentuali di soddisfacimento dei creditori. 9.2.1. Considerazioni sulle variazioni di cash in e di cash out. 9.2.2. Le rettifiche sulle percentuali di soddisfacimento dei creditori chirografari. 9.2.3. Precisazioni ulteriori. 10. Conclusioni. 2.4. I soggetti consultazione. legittimati alla La relazione del commissario è depositata in cancelleria e trasmessa, a cura del commissario giudiziale, a tutti i creditori. 2.5. L’orientamento giurisprudenza. della Si riportano, di seguito, alcune massime giurisprudenziali sulla relazione del commissario: Il Commerci@lista Economia e Diritto Cass. S.U. 23 gennaio 2013, n. 1521. Affinché i creditori possano esprimere il giudizio loro riservato sulla convenienza economica della proposta di concordato, concorrendo così a garantire il giusto esito della procedura, è necessario che essi ricevano una puntuale informazione circa i dati, le verifiche interne e le connesse valutazioni, incombenti, questi, che assumono un ruolo centrale nello svolgimento della procedura ed ai quali debbono provvedere dapprima il professionista attestatore (rispetto al quale il d.l. 83 del 2012, oltre a sottolinearne la necessaria indipendenza, ha introdotto pesanti sanzioni nel caso di falsità nelle attestazioni o nelle relazioni), in funzione dell’ammissibilità al concordato, e successivamente il commissario giudiziale prima dell’adunanza dei creditori ai fini del voto. Cass. 25 ottobre 2010, n. 21860. Dalla complessa attività che nel nuovo concordato preventivo la legge demanda al commissario giudiziale si ricava che questi è l’organo cui è affidato il compito di garantire che i dati sottoposti alla valutazione dei creditori siano completi, attendibili e veritieri, così che gli stessi possano decidere con cognizione di causa sulla base di elementi che corrispondono alla realtà. L’attribuzione al commissario giudiziale del compito di mettere in condizione i creditori di esprimere in relazione alla proposta di concordato un consenso informato e non viziato da una falsa rappresentazione della realtà ed il fatto che allo stesso sia a tal fine richiesto l’espletamento di numerose indagini che possono richiedere anche l’ausilio di esperti (che richiederebbero al tribunale, se espletate in sede di ammissione al concordato, una complessa e non prevista istruttoria), porta ad escludere che il tribunale, in detta sede, possa estendere il suo sindacato all’accertamento della veridicità dei dati aziendali. Cass. 25 ottobre 2010, n. 21860. Se è vero che la veridicità dei dati aziendali deve essere garantita soprattutto dal commissario giudiziale, sulla base della documentazione prodotta dal debitore, sarà allora compito del tribunale verificare che la relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa sia aggiornata e che contenga effettivamente una dettagliata esposizione della situazione ottobre 2016 - p. 13 patrimoniale, economica e finanziaria; il tribunale dovrà altresì verificare che lo stato analitico ed estimativo delle attività possa considerarsi tale e che la relazione del professionista attestante la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano sia adeguatamente motivata con indicazione delle verifiche effettuate, della metodologie e dei criteri seguiti per pervenire all’attestazione di veridicità dei dati aziendali ed alla conclusione di fattibilità del piano. Solo in tal modo il commissario giudiziale potrà essere messo in condizione di valutare criticamente detta documentazione e conseguentemente elaborare una relazione idonea a rendere possibile, da parte dei creditori chiamati a votare la proposta, la percezione quanto più esatta possibile della realtà imprenditoriale, della natura e delle dimensioni della crisi e di come la si intenda affrontare. Il compito del tribunale si sostanzia pertanto nel controllo, nei termini indicati, della documentazione allegata al piano, non potendo sovrapporsi alla valutazione di fattibilità contenuta nella relazione del professionista e senza che possa effettuare accertamenti in ordine alla veridicità dei dati aziendali che la legge riserva esclusivamente al commissario giudiziale, reagendo alla mancanza di veridicità con il prevedere, su denunzia obbligatoria da parte del commissario giudiziale, la sanzione della immediata revoca del concordato. BIBLIOGRAFIA GIURISPRUDENZA Cass. 25 ottobre 2010, n. 21860, in www.ilcaso.it. Tribunale Milano 18 gennaio 2011, in www.ilcaso.it. Appello Ancona 20 gennaio 2011, in www.ilcaso.it. Cass. S.U. 23 gennaio 2013, n. 1521, in www.ilcaso.it. Tribunale Catania 25 gennaio 2014, in www.ilcaso.it. DOTTRINA S. LAPPONI, La relazione ex art. 33 legge fallimentare, in www.odcec.cl.it/. Gruppo di Lavoro ODCEC di Modena (M. GRANA CASTAGNETTI - L. ALTOMONTE - E. BURANI - M. DE LILLO - S. DONNICOLA - C. QUARTIERI - C. VACCARI E. ADANI), Il commissario giudiziale. Poteri e funzioni nel concordato con cessioni di beni, in www.commercialisti.mo.it/. *Professore aggregato di Diritto Commerciale presso l’Università di Torino, ODCEC di Torino **Professore a contratto di Diritto Commerciale presso l’Università di Torino, ODCEC di Torino dalla Professione IL SIC E LA LIBERA PROFESSIONE * DI STEFANO SFRAPPA Il Sindacato italiano Commercialisti si presenta con piacere per la prima volta a questa “vetrina” informativa telematica, formata da saperi, da Colleghi, da esperienze e testimonianze. Ho conosciuto soltanto di recente il Direttore Responsabile Domenico Calvelli ed il “leitmotiv” della breve conversazione telefonica è stato “inclusione”. Mi piace tale rivista pluralista che accoglie la voce di tutti, senza preclusioni o pregiudizi, perché il bello di una comunità (come anche quella dei Commercialisti) è proprio l’insieme delle opinioni, dei contributi dei diversi centri di interesse, sigle sindacali etc. Insieme, come in un coro vocale, si può dar vita ad una ricca sinfonia che certamente arricchisce il nostro patrimonio di conoscenze e relazioni. Il Sindacato italiano Commercialisti che ho l’onore di rappresentare pro-tempore, vuole essere parte di questo “coro”. Nel nostro sito, che vi invitiamo a visitare, c’è la nostra storia fatta di iniziative, proposte e denunce, particolarmente contro la burocrazia ed una modalità sempre più difficoltosa (e pericolosa!) di esercizio della nostra “libera” (?) professione che da troppo tempo si sta affermando (vedi ad esempio sanzioni pesantissime per violazioni formali in materia di antiriciclaggio). La stessa pagina Facebook dedicata al SiC si è nel tempo arricchita di visualizzazioni e contributi, ultimo dei quali sulla “escapologia”, termine del quale fino a poco tempo fa si ignorava l’esistenza. Vogliamo continuare ad essere autonomi cercando di coinvolgere il maggior numero di Colleghi da tutta Italia spersonalizzando quanto più possibile cariche e ruoli. In questa prospettiva abbiamo in più occasioni ripetuto che “il SiC aiuta a sentirsi meno soli” in questo periodo di difficoltà della nostra economia e conseguentemente della nostra professione che certamente dovrà essere declinata secondo nuovi canoni e modelli. Continueremo a vigilare e ad offrire spunti per provare a lavorare meglio, ed anche in questo periodo di “elezioni” vogliamo offrire al nuovo Consiglio Nazionale stimoli e proposte da portare avanti nell’interesse supremo della Categoria, come ad esempio sul tema della riforma del Contenzioso Tributario sul quale ci siamo impegnati molto. Grazie al direttore Calvelli per l’apertura collaborativa ed alla Collega Ida Dominici che ci ha messo in relazione. *Presidente nazionale del Sindacato Italiano Commercialisti Il Commerci@lista Economia e Diritto UNA PROFESSIONE MATURA * DI DOMENICO CALVELLI Assistiamo sempre più spesso, sui media, a notizie che riguardano “marachelle” tributarie da parte di alcuni “vip” e, regolarmente, viene attribuita la colpa di tutto al commercialista di turno, presunto reo di aver architettato dolosamente e scientemente illegali vie di fuga fiscali a favore del cliente. Ecco, l’immagine che il lettore ne trae non è propriamente edificante: il commercialista appare un professionista delle violazioni di Legge, un vero fiancheggiatore dell’illegalità. Niente di più falso! Le generalizzazioni e la cattiva informazione di fatto travisano la realtà e fanno apparire le pochissime mele marce come se fossero la maggioranza dei professionisti. Se si approfondisce appena un poco cosa significa esercitare la professione di commercialista, si può verificare che si tratta di una delle professioni più complesse del panorama internazionale, immersa in un contesto di estrema oscurità giuridica, minato spesso da un metodo di legiferazione confuso e contraddittorio. Nonostante questo, il commercialista opera come vera e propria catena di trasmissione tra il pubblico ed il privato, ponendo a contatto queste due facce della medesima medaglia e cercando da un lato di difendere le legittime ragioni del cliente, dall’altro di diffondere nel sistema una cultura di legalità sostanziale (a volte ahimè diversa da una legalità vuotamente formale, spesso invocata in alcuni contesti). Accusare il commercialista, inteso come figura professionale, di essere la causa di molti mali della società equivale ad accusare un avvocato delle stesse colpe del cliente che egli difende in sede penale; si tratta della sovversione della verità. I numerosi tavoli di lavoro che la categoria dei commercialisti, sia a livello locale che nazionale, ha sollecitato e realizzato insieme alla Pubbliche Amministrazioni dimostrano abbondantemente che la volontà è quella, da molto tempo, di raggiungere insieme un obiettivo comune, che soddisfi in equità, giustizia e legalità sia i cittadini e le imprese sia gli organi dello Stato e delle altre amministrazioni. Va compreso che il rispetto della natura libero-professionale dei commercialisti è un valore fondamentale per la società e torna a vantaggio di tutti. Non è condivisibile l’idea, che a volte riemerge anche in certe norme, ottobre 2016 - p. 14 di trasformare il professionista (e qui il discorso vale per moltissime altre figure) in un pubblico ufficiale dedito al controllo della legalità e del sistema, come nella contorta ed inadatta normativa antiriciclaggio (inadatta perché nata per le grandi strutture finanziarie e paracadutata dall’ordinamento comunitario a quello nazionale senza nessun criterio dimensionale logico e pratico). Si pensi al caso della cattiva (ed illegittima) interpretazione sulla rilevanza, quali operazioni di valore indeterminabile, delle attività di tenuta della contabilità; essendo la tenuta della contabilità, sempre e comunque, un’operazione a posteriori (a volte molto a posteriori a causa della consegna tardiva dei documenti), non si capisce a che serva adempiere ad obblighi antiriciclaggio quando i fatti si sono verificati da molti mesi (se non dopo un anno…). Del resto se si propose, a suo tempo, di esonerare l’Agenzia delle Entrate, che è una Pubblica Amministrazione, dalla segnalazione di operazioni sospette in occasione della colossale operazione della voluntary disclosure, non si comprende come invece il commercialista (soggetto privato) debba essere caricato di adempimenti, tipicamente pubblicistici, degni di Sisifo ed inadatti alla struttura degli studi. Si comprenda alfine che il commercialista, nei confronti del proprio cliente, ha un rapporto di consulenza e di assistenza, non certo di simbiosi. Ed è in quest’ottica che il commercialista si muove, come anello di un’utile catena volta al bene comune. IL COMMERCI@LISTA® Piazza Vittorio Veneto 13900 Biella Testata iscritta al Registro Stampa del Tribunale di Biella al n. 576 ISSN 2531-5250 © tutti i diritti riservati Direttore responsabile Domenico Calvelli Redattore capo Alfredo Mazzoccato Redattore capo area lavoro Martina Riccardi Redattore capo area tributaria Paolo Sella Redattore capo area societaria Roberto Cravero Redattore capo area economia aziendale Alberto Solazzi Redazioni di Biella, Roma ed Alessandria I contenuti ed i pareri espressi sono da considerarsi opinioni personali degli autori e debbono pertanto ritenersi estranei all’editore, al direttore, alla redazione ed agli organi della testata, che non ne sono in alcun modo responsabili. L’editore non ha alcun rapporto contrattuale con gli autori, che contribuiscono in forma del tutto liberale con l’invio occasionale di propri articoli o lavori. La redazione si riserva di modificare e/o abbreviare. Poiché i contributi ed il lavoro di impaginazione sono effettuati su base volontaria, saranno sempre gradite segnalazioni di eventuali refusi o riferimenti inesatti. *Presidente ODCEC di Biella FONDAZIONE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI E DEGLI ESPERTI CONTABILI DI BIELLA Fondazione Italiana di Giuseconomia ADC COMITATO SCIENTIFICO Associazione dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili Sindacato Nazionale Unitario Il Commerci@lista Economia e Diritto ottobre 2016 - p. 15 INDICE PAG. 1 ART. 120 DEL T.U.B. E DELIBERA CICR 3 AGOSTO 2016: IL “NUOVO” ANATOCISMO BANCARIO DI MAURIZIO GIUSEPPE GROSSO E SERENA GIORDANO PAG. 2 VALORE PROCESSUALE DELLE DELAZIONI ANONIME: IL PUNTO DELLA GIURISPRUDENZA DI MARCO CARROZZINO PAG. 3 con la collaborazione di: - Coordinamento Interregionale degli ODCEC di Piemonte e Valle d’Aosta - UN.I.CO. Unione Italiana Commercialisti - Comitato Scientifico Gruppo ODCEC Area Lavoro - CIDT Centro Internazionale Diritto Tributario - AIPGT Associazione Italiana Professionisti Giustizia Tributaria - Affidavit Commercialisti® - AIDC Associazione Italiana Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili - ADC Associazione dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, Sindacato Nazionale Unitario - SIC Sindacato Italiano Commercialisti - Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Biella - Fondazione dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Biella - Fondazione Italiana di Giuseconomia - Alberto Galazzo - Silvano Esposito - UPBeduca - Università Popolare Biellese - Giornale Il Biellese - Unione Giovani Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Biella - Unione Italiana Commercialisti di Biella - Associazione Biellese Dottori Commercialisti LA TASSAZIONE DEI REDDITI DA FABBRICATI POSSEDUTI DA PERSONE FISICHE IN FRANCIA NELLA NORMATIVA FISCALE FRANCESE DI SIMONA TEMPIA PAG. 5 IL PRINCIPO DEL VOTO SINGOLO PER LE ASSOCIAZIONI DI ANNARITA BERTOLO LA RIFORMA DEL CONTENZIOSO UN ANNO DOPO DI LUCA MARIOTTI PAG. 6 IL FALLITO E L’ACCESSO AL LAVORO DIPENDENTE TRAMITE IL COLLOCAMENTO: PROBLEMATICHE E RICHIESTA DI POSSIBILI SOLUZIONI DI GIUSEPPE CANIGGIA IL VALORE DELLE NORME DELLO STATUTO DEL CONTRIBUENTE NELLA GERARCHIA DELLE FONTI DI MARCO MANFREDI PAG. 8 L’ETICHETTA DEI PRODOTTI DI MODA: SERVE UNA REVISIONE DELLA NORMA DI MASSIMO TORTI L’AVVOC@TO® rivista di cultura giuridica PAG. 10 Affidavit Commercialisti ® LE RELAZIONI DEL CURATORE E DEL COMMISSARIO GIUDIZIALE: CRITERI DI REDAZIONE DI LUCIANO M. QUATTROCCHIO E BIANCA M. OMEGNA PAG. 13 Università Popolare Biellese per l’educazione continua giornale IL SIC E LA LIBERA PROFESSIONE DI STEFANO SFRAPPA PAG. 14 UNA PROFESSIONE MATURA DI DOMENICO CALVELLI ORDINE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI E DEGLI ESPERTI CONTABILI DI BIELLA Redattori Stefania Angelicchio, Stefania Balle, Carlo Barbera Audis, Filippo Maria Baù, Pier Camillo Baù, Daniele Beltrami, Vittorio Bertinetti, Annarita Bertolo, Monica Bettinelli, Lauro Bigliocca, Alessandro Bonandini, Cristina Bortoli, Ornella Bosco, Cristina Bracco, Massimiliano Broglia Pilun, Paolo Brunero, Silvio Callegaro, Pier Fortunato Calvelli, Maura Campra, Paolo Carnero, Federico Castelli, Pietro Castelli, Patrizia Cavagnetto, Elena Cavallero, Andrea Ceccarelli, Enrico Ceccarelli, Andrea Cedolini, Armando Cesa, Gianni Ciliesa, Elena Ciocchetti, Donatella Collodel, Gabriele Colombera, Elena Costanza, Stefano Cravero, Irene Crestani, Corrado De Candia, Maria Luisa De Cia, Daniele De Leo, Alessandro De Palma, Davide Di Russo, Ida Dominici, Massimo Donatelli, Alberto Fangazio, Antonio Federico, Aureliano Felletti, Marina Femminis, Guido Fenaroli, Enrico Ferraro, Andrea Ferrero, Francesco Fornaro, Andrea Franciosi, Giorgio Gaido, Pierfrancesco Galati, Debora Galluzzo, Paolo Garbaccio, Paolo Gario, Enzo Germanetti, Mauro Girardi, Riccardo Giusti, Michele Grandieri, Ombretta Graziani, Paolo Gremmo, Alberto Grosso, Maurizio Grosso, Carlo Guglielminotti Bianco, Franco Ianutolo Gros, Massimo Iaselli, Vito Jacono, Edoardo Lanza, Floreano Locatelli, Gerardo Longobardi, Andrea Maffeo, Cristina Maffeo, Gianni Maffeo, Carlo Maggia, Piero Marchelli, Raffaella Marcone, Paola Patrizia Mastria, Lorenzo Maula, Chiara Mazzarotto, Paolo Mazzia, Gabriele Mello Rella, Adriano Mello Teggia, Arrigo Merlo, Massimo Miani, Aldo Milanese, Cesare Mombello, Fabio Montalcini, Marina Moretti, Vittorio Moretti, Alberto Mosca, Giorgio Mosca, Ugo Mosca, Chiara Mossotti, Alessandro Muriess, Enzo Mario Napolitano, Riccardo Nicolello, Manuela Nicolo, Corrado Ogliaro, Pierangelo Ogliaro, Emanuele Panza, Amedeo Paraggio, Massimo Pelle, Cesare Piccardi, Gilberto Pichetto Fratin, Marco Pichetto Fratin, Ugo Pollice, Massimo Pollifroni, Domenico Posca, Stefano Pugno, Guglielmo Quadrelli, Pier Carlo Riccardi, Riccardo Righetti, Filippo Rimini, Vincenzo Rizzo, Massimo Roberto, Marilena Romano, Angelo Rota, Camillo Sacchetto, Ernesto Sacchi, Luisa Santopietro, Roberto Scomazzon, Alessio Slanzi, Francesca Sola, Massimo Sola, Alessandro Solidoro, Fabrizio Soncina, Simona Tempia, Gianpiero Terzoglio, Silvio Tosi, Corrado Tropeano, Gabriella Tua, Marinella Uberti, Italo Vannelli, Maura Zai, Alessandro Zanotti, Barbara Zanotti, Marco Zoia Comitato di redazione area lavoro Bruno Anastasio, Paride Barani., Maurizio Centra, Cristina Costantino, Ermelindo Provenzani, Marco Sambo, Graziano Vezzoni. Banca Sella, Banca Patrimoni Sella & C. e Sella Gestioni hanno siglato l’accordo con la UNIONE ITALIANA COMMERCIALISTI, con la finalità di offrire servizi e prodotti dedicati agli associati. Banca Sella fonda da sempre il suo modo di fare Banca nell’attenzione al Cliente e alle sue esigenze, che si concretizza in una gamma di prodotti e servizi, capaci di rispondere alle esigenze quotidiane. Leader nel settore dei sistemi di pagamento, offre soluzioni vantaggiose sulle diverse tipologie di POS e sulla piattaforma e-Commerce Gestpay. A disposizione delle aziende, anche un conto dedicato per gestire direttamente online la propria attività. Sella Gestioni SGR consente a tutti gli associati di valorizzare i risparmi previdenziali aderendo ad Eurorisparmio Fondo Pensione a condizioni agevolate. Banca Patrimoni Sella & C. è la banca specializzata nella gestione ed amministrazione dei patrimoni della Clientela privata ed istituzionale. 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