Il Commerci@lista® economia e diritto

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Il Commerci@lista
®
economia e diritto
anno V n. 8
testata iscritta al Registro Stampa del Tribunale di Biella al n. 576 - ISSN 2531-5250
ottobre 2016
Affidavit Commercialisti®
Rivista di cultura economica e giuridica a diffusione nazionale.
Direttore responsabile: DOMENICO CALVELLI
In collaborazione con: Comitato Scientifico Gruppo ODCEC Area Lavoro, Coordinamento Interregionale degli ODCEC di Piemonte e Valle d’Aosta, UN.I.CO. Unione Italiana Commercialisti, CIDT Centro
Internazionale Diritto Tributario, AIPGT Associazione Italiana Professionisti Giustizia Tributaria, AIDC Associazione Italiana Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, ADC Associazione dei Dottori
Commercialisti e degli Esperti Contabili-Sindacato Nazionale Unitario, SIC Sindacato Italiano Commercialisti, Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Biella, Fondazione dei Dottori
Commercialisti e degli Esperti Contabili di Biella-Fondazione Italiana di Giuseconomia, Unione Giovani Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Biella, Unione Italiana Commercialisti di Biella,
Associazione Biellese Dottori Commercialisti
ART. 120 DEL T.U.B. E
DELIBERA CICR 3 AGOSTO
2016: IL “NUOVO”
ANATOCISMO BANCARIO
*
DI MAURIZIO GIUSEPPE GROSSO E
**
SERENA GIORDANO
Il 3 agosto il Comitato Interministeriale per
il Credito e il Risparmio (CICR) ha
approvato la delibera che detta le
disposizioni applicative del 2° comma
dell’art. 120 del D.Lgs. 1/9/1993, n.385
(Testo unico bancario), come sostituito
dall’art. 17-bis del D.L. 14/02/2016, n.18.
Con l’approvazione della Delibera CICR si
completa l’ultima fase del processo di
revisione del regime della capitalizzazione
degli interessi nei rapporti bancari (c.d.
anatocismo bancario).
Per meglio comprendere la portata del
novellato art. 120 del T.U.B. e la collegata
delibera di disposizione, ma soprattutto per
fornire al lettore un inquadramento
sommario della delicata problematica in
questione, si rende necessario analizzare
l’argomento nelle diverse “fasi temporali”
che si sono susseguite a decorrere dal 1999
fino ad oggi in conseguenza al mutamento
degli
orientamenti
normativigiurisprudenziali.
La prima modifica dell’art.120 del
Testo Unico Bancario
Con l’espressione “anatocismo” la Banca
d’Italia fa riferimento “al calcolo degli interessi
non solo sul capitale ma anche sugli interessi già
scaduti. Infatti gli interessi scaduti vengono sommati
al capitale e producono a loro volta interessi
determinando una maggiore crescita del debito”.
Il divieto dell’anatocismo è sempre esistito
nel nostro ordinamento giuridico in virtù
dell’art.1283 del c. c. Tuttavia, gli istituti di
credito applicavano la sopraesposta
metodologia di calcolo degli interessi sui
conti correnti perché tale comportamento
consuetudinario era stato ampiamente
avallato dalla giurisprudenza, almeno fino al
momento in cui ha preso il via tutto il
processo di revisione interpretativa delle
norme
riguardanti
la
fattispecie
dell’anatocismo.
Il rischio che venisse instaurato un numero
esponenziale di controversie ha spinto
quindi il legislatore ad intervenire in tema di
anatocismo: con il D.Lgs. 04/08/1999,
n.432 è stato modificato l’art. 120 del T.U.B.
ed è stata emanata la Delibera CICR
09/02/2000 riconoscendo di fatto agli
istituti bancari la possibilità di capitalizzare
gli interessi, con cadenza anche infrannuale,
nell’ambito dei rapporti di conto corrente, a
condizione che venisse stabilita una pari
periodicità per gli interessi a debito e a
credito.
Con la menzionata Delibera, entrata in
vigore il 22/04/2000, si delinea un vero e
proprio “spartiacque” (il primo) in tema di
anatocismo bancario:
- fino al 22/04/2000 il divieto di cui
all’art.1283 c.c.. mantiene la sua
piena
efficacia
e
quindi
l’anatocismo bancario è illegittimo;
- a decorrere dal 22/04/2000,
l’anatocismo
bancario
viene
legittimato a condizione che nei
nuovi contratti bancari, ovvero nei
pregressi contratti “adeguati” alle
disposizioni
contenute
nella
Delibera entro il 30/06/2000, sia
prevista la pari periodicità degli
interessi debitori-creditori.
Ecco quindi perché la Delibera CICR
09/02/2000 è stato il principale parametro
di riferimento utilizzato dagli operatori nel
corso dell’ultimo decennio, per valutare la
illegittimità/nullità (ante Delibera) e la
validità/efficacia (post Delibera) delle
clausole anatocistiche. Ciò fino alla recente
modifica dell’art. 120 T.U.B. ad opera della
Legge di Stabilità 2014.
La seconda modifica dell’art. 120 del Testo
Unico Bancario
La situazione cambia radicalmente, a
decorrere dal 1° gennaio 2014, con la Legge
27/12/2013, n.147 (c.d. Legge di Stabilità
2014): l’art. 1, 629° comma modifica
nuovamente l’art. 120 T.U.B. con l’intento
di ripristinare il divieto di anatocismo.
Tuttavia, la particolare formulazione del
novellato 2° comma dell’art. 120 del T.U.B.
ha fatto sorgere notevoli dubbi in merito
all’applicazione della nuova disciplina e alla
sua portata, a partire da quello relativo alla
sua effettiva entrata in vigore (subordinata
all’emanazione di apposita delibera CICR??).
L’incertezza interpretativa è stata poi
certamente
acuita
dal
“transito”
nell’ordinamento di un’ulteriore norma
dettata dal D.L. 24/06/2014, n.91 (c.d.
Decreto competitività), con il quale il
legislatore, era andato a modificare ancora il
2° comma dell’articolo in questione,
legittimando nuovamente l’anatocismo e
specificando che sino all’emanazione della
nuova delibera CICR, la Delibera
09/02/2000 avrebbe continuato a trovare
applicazione. Tale norma tuttavia non è di
fatto entrata in vigore in quanto, la relativa
legge di conversione (L. 11/08/2014, n.
116) ha riportato il testo dell’art. 120 T.U.B.
all’originaria formulazione dettata dalla
Legge di Stabilità 2014.
Si sono così venuti a delineare due opposti
filoni interpretativi: il primo – minoritario –
volto a postergare l’efficacia dell’intervenuto
divieto di anatocismo fino all’emanazione
della delibera CICR1; il secondo –
maggioritario e avallato dalla giurisprudenza
di merito2 – che ritiene invece applicabile il
divieto di anatocismo sin dall’entrata in
vigore della Legge di Stabilità 2014 e, quindi,
sin dal 1° gennaio 2014.
La terza (ultima?) modifica dell’art. 120 del
Testo Unico Bancario e la Delibera CICR
03/08/2016
Con l’approvazione del disegno di legge di
conversione del D.L. 14/02/2016, n.18,
recante misure urgenti concernenti la riforma delle
banche di credito cooperativo, la garanzia sulla
cartolarizzazione delle sofferenze, il regime fiscale
relativo alle procedure di crisi e la gestione collettiva
del risparmio il legislatore “fa un passo
indietro” in tema di divieto di anatocismo
bancario reintroducendo la legittimazione
della capitalizzazione degli interessi, seppure
con periodicità annuale (anziché trimestrale).
Il nuovo testo del 2° comma dell’art. 120
T.U.B. demanda al CICR “di stabilire modalità
e criteri per la produzione di interessi nelle
operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività
bancaria, prevedendo in ogni caso che:
a) nei rapporti di conto corrente o di conto di
pagamento sia assicurata, nei confronti
della clientela, la stessa periodicità nel
conteggio degli interessi sia debitori sia
creditori, comunque non inferiore ad un
anno; gli interessi sono conteggiati il 31
In tal senso si è espresso ad esempio il Consiglio
Nazionale del Notariato (Ufficio Studi, quesito n. 802014/C)
2 App.Genova 11/03/2014, Tribunale di Milano
Ordinanze del 25 marzo e del 3 aprile 2015, Tribunale
di Cuneo Sentenza 29/06/2015, Tribunale di Roma
Sentenza 20/10/2015, Corte di Cassazione Sentenza
9127/2015
1
Il Commerci@lista Economia e Diritto
dicembre di ciascun anno e, in ogni caso,
al termine del rapporto per cui sono
dovuti;
b) gli interessi debitori maturati, ivi
compresi quelli relativi a finanziamenti a
valere su carte di credito, non possono
produrre interessi ulteriori, salvo quelli di
mora, e sono calcolati esclusivamente
sulla sorte capitale; per le aperture di
credito regolate in conto corrente e in
conto di pagamento, per gli sconfinamenti
anche in assenza di affidamento ovvero
oltre il limite del fido: 1) gli interessi
debitori sono conteggiati al 31 dicembre e
divengono esigibili il 1° marzo dell’anno
successivo a quello in cui sono maturati;
nel caso di chiusura definitiva del
rapporto,
gli
interessi
sono
immediatamente esigibili; 2) il cliente può
autorizzare, anche preventivamente,
l’addebito degli interessi sul conto al
momento in cui questi divengono esigibili;
in questo caso la somma addebitata è
considerata
sorte
capitale;
l’autorizzazione è revocabile in ogni
momento, purché prima che l’addebito
abbia avuto luogo.”
Nel dare attuazione alle disposizioni di
legge la Delibera CICR 03/08/2016 ha
stabilito:
- che gli interessi sono contabilizzati
separatamente dal capitale;
- che, in linea con la legge, gli
interessi
debitori
divengono
esigibili dal 1° marzo dell’anno
successivo a quello in cui sono
maturati; in ogni caso prima che gli
interessi
maturati
diventino
esigibili, si richiede che al cliente
venga assicurato un periodo pari
ad almeno 30 giorni da quando egli
abbia avuto effettiva conoscenza
dell’ammontare degli interessi
stessi; in questo modo il cliente ha
a disposizione un lasso di tempo
adeguato per pagare il debito da
interessi
senza
risultare
inadempiente;
- che, ribadendo quanto già previsto
dalla norma primaria, è consentito
che il cliente e la banca possono
pattuire il pagamento degli interessi
con addebito in conto a valere sul
fido (con conseguente produzione
di interessi su quanto utilizzato per
estinguere il debito da interessi);
- il termine ultimo entro il quale le
banche e gli altri intermediari
finanziari devono porre in essere la
Delibera è quello del 1° ottobre
2016.
Ecco che vediamo quindi concludersi il
processo di revisione – durato quasi un
ventennio – del regime della capitalizzazione
degli interessi nei rapporti bancari.
Revisione che, nella sostanza, ha
ottobre 2016 - p. 2
comportato quale principale (unico)
cambiamento,
la
previsione
della
capitalizzazione annuale degli interessi
bancari, in luogo della precedente
capitalizzazione trimestrale.
Ovviamente, il completamento del processo
di modifica del computo degli interessi è da
ritenersi “definitivo”, a patto che il
legislatore non ritenga opportuno effettuare,
nel prossimo futuro, un’ulteriore modifica al
tormentato 2° comma dell’art. 120 del Testo
Unico Bancario.
Inutile rilevare che tali variazioni e
incertezze normative hanno alimentato (e
alimenteranno certamente nel prossimo
futuro) il contenzioso tra Istituti di credito e
clienti; contenzioso basato su conteggi e
perizie di parte che richiedono un’elevata
specializzazione e qualificazione del
consulente
contabile
deputato
alla
elaborazione dei dati risultanti dai
documenti bancari.
*Componente del CNDCEC,
presidente emerito ODCEC di Cuneo
**ODCEC di Cuneo
VALORE PROCESSUALE
DELLE DELAZIONI
ANONIME: IL PUNTO DELLA
GIURISPRUDENZA
*
DI MARCO CARROZZINO
penale. La stessa, nel caso sia configurabile
un reato perseguibile d’ufficio, è presa dal
Pubblico Ministero o dalla Polizia
Giudiziaria di propria iniziativa, ovvero ricevuta
dagli stessi in seguito alla presentazione o
trasmissione da parte di:
Pubblici Ufficiali od incaricati di un
pubblico servizio che ne vengano a
conoscenza nell’esercizio od a causa delle
loro funzioni (art. 331 c.p.p.);
Soggetti obbligati alla redazione di
referto (art. 334 c.p.p.);
Privati che decidano, od in specifici
casi siano obbligati3, a presentare denuncia
(art. 333 c.p.p.).
Accade non di rado che, tanto il Pubblico
Ministero quanto la Polizia Giudiziaria,
siano destinatari di documenti di fonte
anonima riportanti fatti ipoteticamente
costituenti reato. Questi, ex artt. 2404 e 333
c.p.p.5, non possono essere acquisiti né
utilizzati nell’ambito del procedimento,
tranne nei casi in cui provengano
dall’imputato o costituiscano corpo del
reato.
Ad ogni modo, però, essendo le disposizioni
citate da identificarsi pacificamente quali
norme processual penalistiche, le medesime
trovano vigenza nell’arco temporale tra
l’acquisizione della notizia di reato e la
conclusione del procedimento.
All’esito del dibattito sull’utilizzabilità e
l’effettiva valenza delle delazioni anonime
già prima dell’acquisizione della notitia
criminis, la Corte di Cassazione ha
consolidato il proprio orientamento
attestando che:
3
1.
Premessa
Il tema dell’utilizzabilità nel procedimento
penale ed in quello tributario delle notizie
pervenute da fonte ignota occupa, da
tempo, dottrina e giurisprudenza che hanno
espresso posizioni circa la possibilità:
per la Polizia Giudiziaria di avviare
indagini in ragione dell’indicazione, nel
contenuto di delazione anonima, di fatti
costituenti reato;
che l’Amministrazione finanziaria
eserciti, sulla base delle stesse, il potere di
accesso in locali adibiti ad abitazione.
In entrambi i casi la giurisprudenza ha
assunto posizioni da cui gli esposti e le
denunce anonime escono non totalmente
privi della loro portata.
4
2.
La Valenza Probatoria nel
Procedimento Penale
L’assunzione della notitia criminis segna, ex
art. 330 c.p.p., l’avvio del procedimento
5
Se, infatti, gli articoli cui si è fatto riferimento nei
precedenti alinea identificano un obbligo, l’art. 333,
comma 1, c.p.p. recita: “Ogni persona che ha notizia di
reato perseguibile d’ufficio può farne denuncia. La legge
determina i casi in cui la denuncia è obbligatoria”. Il
privato è obbligato, salvo la comminazione delle
pene previste ex lege, a presentare denuncia qualora:
- riceva notizia della commissione di un delitto
contro la personalità dello Stato (art. 364 c.p.);
- riceva denaro, acquisti od abbia cose di
provenienza delittuosa ignorando quest’ultima
(art. 709 c.p. );
- abbia notizia che nel luogo da lui abitato si
trovano materie esplodenti (art. 679 c.p. )
ovvero rinvenga esplosivi di qualsiasi natura o
venga a conoscenza di depositi o di
rinvenimenti degli stessi (art. 20, comma 6,
Legge 19 aprile 1975, n. 110);
- abbia subito il furto o sia incorso nello
smarrimento di armi, parti di esse o esplosivi
di qualunque natura (art. 20, comma 3, Legge
19 aprile 1975, n. 110);
- in qualità di rappresentanti di enti sportivi,
nell’esercizio od a causa delle loro funzioni,
abbiano avuto notizia di frodi in competizioni
sportive (artt. 1 e 3 Legge 13 dicembre 1989,
n. 401).
Art. 240, comma 1, c.p.p.: “I documenti che contengono
dichiarazioni anonime non possono essere acquisiti né in
alcun modo utilizzati, salvo che costituiscano corpo del reato
o provengano comunque dall’imputato”..
Si fa riferimento all’art. 333, comma 3: “Delle denunce
anonime non può essere fatto alcun uso, salvo quanto
disposto dall’art. 240”.
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il solo effetto degli elementi
indicati in una denuncia anonima è quello di
stimolare6 l’attività di iniziativa del P.M. e
della Polizia Giudiziaria atta a verificare se
gli
stessi
possano
essere
utili
all’individuazione di una notitia criminis;
l’attività in ultimo citata si pone
chiaramente fuori delle indagini preliminari
e, nel corso della stessa, “l’accusa non può
procedere a perquisizioni, sequestri, intercettazioni
telefoniche, trattandosi di atti che implicano e
presuppongono l’esistenza di indizi di reità”7;
solo in base a quanto emerso
dall’investigazione circa l’esistenza della
notizia di reato la Polizia Giudiziaria può
procedere a perquisizioni e sequestri.
3.
Gli
Esposti
Anonimi
e
l’Accertamento Tributario
Ai fini dell’assolvimento dei compiti ad essa
assegnati ex lege8, l’Amministrazione
finanziaria può esercitare diversi poteri9. Tra
questi, il potere di accesso, caratterizzato da
maggiore invasività, è soggetto ad un
particolare regime di autorizzazioni che
devono essere concesse:
sussistendo effettive esigenze di indagine
e controllo sul posto, dal capo dell’Ufficio cui
appartengono i funzionari dell’Agenzia delle
Entrate o dal Comandante del Reparto di
appartenenza dei militari della Guardia di
Finanza. Ciò nel caso di locali destinati
all’esercizio
di
attività
commerciali,
professionali od agricole;
dall’Autorità
Giudiziaria
territorialmente competente per gli accessi
presso locali diversi da quelli appena citati.
In merito a quanto in ultimo definito deve,
invero, puntualizzarsi che:
l’accesso in locali ad uso promiscuo
destinati, cioè, sia all’esercizio dell’attività
economica che ad abitazione del
contribuente deve essere motivato dalle
esigenze cui si è fatta testé menzione;
nei casi in cui sia necessario
accedere in locali esclusivamente adibiti ad
abitazione, il Pubblico Ministero autorizzerà
l’esercizio dello specifico potere in
sussistenza di gravi indizi di violazioni delle
norme tributarie.
La giurisprudenza di merito e quella di
legittimità hanno dibattuto, nei casi di
autorizzazioni concesse dal Pubblico
Ministero sulla scorta di informazioni
anonime, circa l'occorrenza dei gravi indizi
citati. Sul tema il Supremo Consesso ha
consolidato la propria posizione statuendo
6
7
8
9
Corte di Cassazione, Sez. VI Penale, 04.08.2016, n.
34450.
Corte di Cassazione, Sez. VI Penale, 27.10.2006, n.
36003.
I compiti citati sono quelli di cui all’art. 31 d.p.r.
600/73 ed all’art. 51, comma 1, d.p.r. 633/72.
I poteri assegnati sono quelli stabiliti dagli artt. 32 e
33 d.p.r. 600/73 e dagli artt. 51, commi 2 ss., e 52
d.p.r. 633/72.
ottobre 2016 - p. 3
che:
la denuncia anonima, qualora
“articolata e dettagliata nell’indicazione delle
circostanze potenzialmente riferibili al contribuente
denunciato”, può “elevare la semplice ipotesi del
verificarsi di violazione tributaria a consistente
sospetto”10. Alla ricezione della medesima
devono seguire indagini e riscontri che,
acquisita cognizione dei fatti, portino a
qualificare il cennato sospetto quale indizio.
Quest’ultimo, seppur proveniente da più
fonti ignote coincidenti e convergenti, non
assurge a dignità di prova presuntiva e, di
talché, non è configurabile quale grave indizio
di evasione;
la qualificazione dell’autorizzazione
all’accesso presso locali adibiti ad abitazione
quale
provvedimento
amministrativo
conferisce al Giudice tributario11, oltre che
l’autorità di verificare l’esistenza della
motivazione allo stesso, il “potere dovere”
di controllare la sussistenza dei gravi indizi
di illecito fiscale, negando “la legittimità
dell’autorizzazione emessa esclusivamente sulla
scorta di informazioni anonime, conseguentemente
valutando il fondamento della pretesa tributaria
senza tener conto di quelle prove”12.
*Capitano della Guardia di Finanza,
membro del CIDT di Torino
LA TASSAZIONE DEI
REDDITI DA FABBRICATI
POSSEDUTI DA PERSONE
FISICHE IN FRANCIA NELLA
NORMATIVA FISCALE
FRANCESE
*
DI SIMONA TEMPIA
Frequentemente ci troviamo a trattare problematiche relative agli immobili detenuti
all’estero da parte di persone fisiche (di nazionalità italiana) a scopo investimento e/o
uso proprio; la prima problematica che si
deve affrontare è quella relativa al corretto
inquadramento fiscale del reddito da locazione nello stato estero ed in seconda battuta la sua tassazione nello stato estero,
tanto più che tale base imponibile sarà imponibile fiscalmente in Italia ai sensi dell’art.
70 c. 2 del TUIR.
10
11
12
Corte di Cassazione, SS.UU., 21.11.2002, n. 16424.
Sulla necessità di allegazione della richiesta ai fini
dell’ottenimento
da
parte
del
P.M.
dell’autorizzazione all’accesso domiciliare: Corte di
Cassazione, Sez. Tributaria, ordinanza 17.12.2013,
n. 28188.
Così, anche, Corte di Cassazione, Sez. V Civile,
18.07.2013, n. 11283.
Con questa breve disamina si vogliono analizzare le casistiche che si possono verificare
in materia di redditi derivanti dal possesso di
immobili da parte di persone fisiche in
Francia, analizzando prima di tutto i principi
di tassazione dei redditi prodotti dai non
residenti nello stato francese e successivamente inquadrando le varie categorie reddituali ai fini della tassazione.
Innanzi tutto, secondo il Code Général des
Impôts, i redditi prodotti nello stato francese
da persone fisiche che non hanno la residenza nel territorio dello Stato, ma che traggono redditi di fonte francese, sono imponibili in Francia (Art. 4 lett. A del CGI).
L’imposizione fiscale è stabilita a livello di
foyer fiscal (traducibile concettualmente in nucleo familiare fiscale) composto da una sola
persona, da due soggetti coniugati o che
hanno concluso un pacs (pacte civil de solidarieté), dai loro figli o dagli altri soggetti a carico (Art. 4 lett. B del CGI).
E’ quindi la sommatoria dei redditi dei differenti membri del foyer fiscal, come sopra definito, che costituisce la base imponibile da
tassare.
Diversamente rispetto a quanto disposto dal
nostro ordinamento, i redditi non sono tassati unicamente sul soggetto che li produce,
ma vengono ripartiti sul nucleo familiare.
(Art. 194 CGI).
I redditi imponibili, tra cui quelli degli immobili e dei relativi diritti, delle persone fisiche, che non hanno domicilio fiscale in
Francia, sono determinati secondo le regole
applicabili ai redditi della stessa natura percepiti dai soggetti che hanno il loro domicilio fiscale in Francia (Art. 164 CGI lett. A e
lett. B).
Il sistema di tassazione francese dei redditi
(Art. 193 CGI e seguenti), come il nostro, è
progressivo ed i redditi che eccedono i 9.700
€, vengono tassati ad aliquote crescenti sugli
scaglioni di reddito .
Le imposte sui redditi sono calcolate direttamente dall’amministrazione finanziaria
sulla base dei redditi dichiarati dai contribuenti, che sono tenuti a sottoscrivere (e
depositare) una dichiarazione dei redditi
percepiti dal foyer fiscal. Questo significa che
il reddito imponibile è un reddito globale,
poiché comprende la totalità dei redditi di
cui beneficiano i membri del foyer fiscal.
Il calcolo dell’imposta tiene conto della situazione personale del contribuente, attraverso l’utilizzo del quoziente familiare definito in base alla composizione del foyer fiscal
e dall’attribuzione delle riduzioni o dei crediti d’imposta a cui i contribuenti hanno diritto. Il quoziente familiare permette di attenuare gli effetti della progressività.
Ai sensi dell’art 197 A del CGI, i contribuenti non domiciliati in Francia non possono beneficiare di un’aliquota impositiva
inferiore al 20% applicata al reddito imponile. Tuttavia, allorquando il contribuente
giustifichi che detto tasso è superiore a
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quello applicato alla totalità dei redditi francesi ed esteri, tale minor tasso è applicabile
anche ai redditi prodotti in Francia, in virtù
delle convenzioni contro le doppie imposizioni.
A questo punto distinguiamo i vari casi che
possono verificarsi:
1) Godimento diretto del bene.
L’art. 15 al numero II del CGI
statuisce che i proprietari, che si riservano il godimento degli immobili e non percepiscono alcun reddito, non sono soggetti all’imposta
sui redditi.
2) Immobili locati non ammobiliati.
Tali redditi rientrano nella categoria dei Revenus foncier.
Si distinguono due tipi di tassazione
2.1 Régime Reél
2.2 Régime Micro foncier
3) Immobili locati ammobiliati.
Tali redditi rientrano nella categoria dei Bénéfices industriels et
commerciaux.
Si distinguono tre tipi di tassazione
2.1 Régime réel normal d’imposition
2.2 Régime réel simplifié d’imposition
2.3 Régime des micro-entreprises
Immobili che rientrano nella casistica
rubricata al punto 2
Il sistema di tassazione del reddito col Regime Reél è disciplinato dagli articoli da 14
a 33 del CGI; il reddito netto fondiario è
dato dalla differenza tra la somma del reddito lordo e il totale delle spese della proprietà (art. 28 CGI)
L’art. 29 CGI definisce quale reddito lordo
degli immobili, o di parti di immobili locati,
quello costituito dal montante dei ricavi
lordi incassati dalla proprietà, aumentato dal
montante delle spese incombenti sulla proprietà e che per convenzione sono state poste a carico dell’affittuario, nonché dalle
sovvenzioni ed indennità destinate a finanziare spese deducibili.
L’art. 31 CGI specifica quali sono le spese
deducibili dai ricavi per determinare il reddito netto: spese di manutenzione e ristrutturazione, premi di assicurazione, le spese di
competenza dell’inquilino rimaste a carico
della proprietà, le spese relative alle migliorie
(escluse quelle di costruzione, ricostruzione
o ampliamento), gli interessi relativi a debiti
contratti per interventi conservativi, per
l’acquisto, la costruzione, la riparazione o il
miglioramento della proprietà. Si deducono
inoltre le spese di sorveglianza e di portineria e le spese per procedure giudiziarie. Vi
sono inoltre altre deduzioni rubricate sempre all’art. 31 CGI relative a casi specifici ivi
identificati.
L’art. 156 del CGI disciplina il deficit fondiario derivante dall’applicazione di detto regime analitico, il quale statuisce che detto
deficit si imputa esclusivamente sui redditi
ottobre 2016 - p. 4
fondiari della stessa natura dei 10 anni successivi e per un importo non eccedente i
10.700 € (occorre analizzare quali voci
danno origine alla perdita poiché non tutte
le spese danno diritto al riporto)
Il regime Micro foncier previsto dall’art. 32
CGI dispone che, in deroga alle disposizioni
che si applicano al regime Reél , allorquando
il montante dei redditi lordi annuali, determinati ai sensi degli artt. 29 e 30 CGI, non
supera i 15.000 €, i redditi imponibili risultano essere pari all’ammontare degli stessi
redditi lordi diminuiti di un abbattimento
forfettario del 30%.
Queste disposizioni si applicano all’insieme
dei redditi di natura fondiaria percepiti dal
foyer fiscal
Vi sono delle limitazioni all’applicazione di
questo regime: ai monumenti storici e beni
assimilati, immobili che godono di deduzioni specifiche, opzione per la deduzione a
titolo di ammortamento prevista dall’art. 31.
È fondamentale sottolineare che si ritorna al
regime di imposizione Reél quando il reddito lordo percepito nell’anno dal foyer fiscal è
superiore a 15000 €; oppure se si desidera
optare per il Regime Reél, in quanto si possono abbattere i redditi lordi mediante la
deduzione delle spese e degli ammortamenti
specifici previsti dall’art. 31. Tale scelta si
esercita in dichiarazione ed è irrevocabile
per 3 anni. Alla scadenza dei 3 anni
l’opzione è rinnovata tacitamente per ogni
anno.
Immobili che rientrano nella casistica
rubricata al punto 3
Tale regime si applica sia agli immobili locati
ammobiliati, sia a quelli non ammobiliati,
che vengono poi subaffittati ammobiliati da
terzi.
L’art. 155 al IV 2 individua i soggetti locatori di immobili a titolo professionale in quei
soggetti che soddisfano tre requisiti (almeno
un membro del foyer fiscal è iscritto al Registro del commercio e delle Società in qualità
di locatore professionale…..si omette
l’elencazione degli altri due requisiti poiché,
per la trattazione in argomento, detto requisito è sufficiente a qualificare il soggetto
come locatore non professionale ); quindi a
contrariis si individuano i soggetti che locano
gli immobili a titolo non professionale e a
cui si applicano i sottoesposti regimi di tassazione a seconda degli affitti incassati
nell’anno precedente.
Il Régime réel normal d’imposition si
applica di diritto se il volume d’affari (affitti)realizzato nel 2014 è superiore a
236.000 €. L’art. 155 CGI richiama l’art. 38
CGI per la determinazione dei redditi imponibili netti e l’art. 39 CGI per le spese deducibili. Non differisce dal Régime réel simplifié
d’imposition se non per gli adempimenti amministrativi da porre in essere, poiché vi
sono più moduli dichiarativi da compilare e
giustificativi da fornire al Ministero del Tesoro.
L’art. 74 disciplina il Régime réel simplifié
d’imposition ; questo regime si applica di
diritto se il volume d’affari (affitti) realizzato
nel 2014 è superiore a € 32.900 ed inferiore
a 236.000 €.
Si deve dichiarare il montante totale delle
somme incassate a titolo di locazione e di
spese rimborsate e si possono dedurre le
spese relative alla proprietà e le spese di gestione, quali spese notarili, spese di manutenzione e di riparazione, imposte locali, interessi sui prestiti, ammortamento del mobilio e delle migliorie, l’ammortamento dei
locali.
Questo regime implica la tenuta di una
contabilità e fiscalmente si deve compilare
un modulo a parte della dichiarazione che
prevede un bilancio, una tabella degli immobili , degli ammortamenti ed un estratto
conto degli affitti.
L’art. 156 del CGI disciplina il deficit fondiario derivante dall’applicazione di detto regime analitico , il quale statuisce che detto
deficit si imputa esclusivamente sui redditi
fondiari della stessa natura dei 10 anni successivi e per un importo non eccedente i
10.700 € (occorre analizzare quali voci
danno origine alla perdita, poiché non tutte
le spese danno diritto al riporto).
Si può scegliere comunque questo regime di
tassazione , prima del giorno 1 febbraio
dell’anno in cui se ne vuole beneficiare, mediante lettera da inviare al Servizio delle Imposte e delle Imprese (SIE) territorialmente
competente . L’opzione è valida ed irrevocabile per due anni e alla scadenza si rinnova
automaticamente per altri 2 anni
L’art. 50 definisce il Régime des microentreprises - regime delle micro imprese -,
ovvero quelle la cui “cifra d’affari” (affitti) è
definita dall’art. 293B CGI e il cui importo
(per le prestazioni di servizi) non supera per
il 2014 32.900 €. In sostanza vi è una tassazione forfettaria del reddito
Il reddito imponibile è uguale alle somme
incassate diminuito di un abbattimento forfettario del 50% (applicato direttamente
dall’Amministrazione Finanziaria) a titolo di
spese deducibili con un minimo di 305 €.
Punto di somma importanza è che, se la locazione ha avuto inizio o fine nel periodo
d’imposta, si deve verificare che il plafond di
32.900 € non sia superato ricalcolando tale
importo in base al pro-rata temporis e confrontandolo con gli affitti percepiti.
A conclusione della disamina si precisa che
l’Amministrazione Finanziaria porterà direttamente a conoscenza del contribuente
l’importo delle imposte a suo carico sotto
forma di Avis d’imposition.
Bibliografia
Code Général des Impôts
Direction général des finances publiques
Direction de la législation fiscale: Presentation de la
fiscalité française
*ODCEC di Biella,
componente Commissione Lavoro
Il Commerci@lista Economia e Diritto
IL PRINCIPO DEL VOTO
SINGOLO PER LE
ASSOCIAZIONI
*
DI ANNARITA BERTOLO
Tutte le Associazioni no profit perché
possano godere delle agevolazioni fiscali
riservate dallo Stato ai cosiddetti “Enti non
commerciali” devono adempiere ad alcune
regole. Queste regole vengono fissate sia
nella stesura della Statuto dell'Associazione
sia nella compilazione del Modello EAS, al
punto 36.
Una di queste regole è il principio del voto
singolo. Questo principio è contenuto
nell'articolo 148 comma 8 lettera e) del
TUIR. Il comma in questione recita: “Le
disposizioni di cui ai commi 3, 5, 6 e 7 si
applicano a condizione che le associazioni
interessate si conformino alle seguenti
clausole, da inserire nei relativi atti
costitutivi o statuti redatti nella forma
dell'atto pubblico o della scrittura privata
autenticata o registrata:
a) divieto di distribuire anche in modo
indiretto, utili o avanzi di gestione nonché
fondi, riserve o capitale durante la vita
dell'associazione, salvo che la destinazione o
la distribuzione non siano imposte per legge;
b) obbligo di devolvere il patrimonio
dell'ente, in caso di suo scioglimento per
qualunque causa, ad altra associazione con
finalità analoghe o ai fini di pubblica utilità,
sentito l'organismo di controllo di cui all'art.
3, comma 190, della legge 23 dicembre
1996, n.662, e salvo diversa destinazione
imposta per legge;
c) disciplina uniforme del rapporto
associativo e delle modalità associative volte
a garantire l'effettività del rapporto
medesimo, escludendo espressamente la
temporaneità della partecipazione alla vita
associativa e prevedendo per gli associati o
partecipanti maggiori d'età il diritto di voto
per l'approvazione e le modificazioni dello
statuto e dei regolamenti e per la nomina
degli organi direttivi dell'associazione;
d) obbligo di redigere e di approvare
annualmente un rendiconto economico e
finanziario
secondo
le
disposizioni
statutarie;
e)
eleggibilità
libera
degli
organi
amministrativi, principio del voto singolo di
cui all'articolo 2532, comma 2, del codice
civile, sovranità dell'assemblea dei soci,
associati o partecipanti e criteri di loro
ammissione ed esclusione, criteri e idonee
forme di pubblicità delle convocazioni
ottobre 2016 - p. 5
assembleari, delle relative deliberazioni, dei
bilanci o rendiconti; è ammesso il voto per
corrispondenza per le associazioni il cui atto
costitutivo, anteriore al 1° gennaio 1997,
preveda tale modalità di voto ai sensi
dell'articolo 2532, ultimo comma, del codice
civile e sempreché le stesse abbiano
rilevanza a livello nazionale e siano prive di
organizzazione al livello locale;
f) intrasmissibilità della quota o contributo
associativo ad eccezione dei trasferimenti a
causa di morte e non rivalutabilità della
stessa”.
Riguardo il principio del voto singolo il
TUIR cita l'articolo 2532 del codice civile, in
realtà quello aggiornato e l'articolo 2538, il
quale al comma 2 specifica che: “Ciascun
socio cooperatore ha un voto, qualunque sia
il valore della quota o il numero delle azioni
possedute. L'atto costitutivo determina i
limiti al diritto di voto degli strumenti
finanziari offerti in sottoscrizione ai soci
cooperatori”. E' chiaro che l'articolo appena
riportato viene scritto per regolamentare le
Cooperative, ma viene usato per estensione
anche per le Associazioni.
In poche parole, il principio del voto
singolo, è il principio di una testa, un voto.
Detto questo, la questione del voto singolo
per le Associazioni ha un risvolto
sicuramente di impatto, in quanto molti
ispettori fiscali ritengono non ammesso il
voto per delega e di conseguenza gli Statuti
che riportano il voto per delega vengono
considerati in contrasto con il principio del
voto singolo e di conseguenza non in linea
con quanto fissato dalla normativa vigente.
Il consiglio è quindi quello di non prevedere
più il voto per delega all'interno degli statuti
associativi per evitare eventuali segnalazioni
e atti sanzionatori da parte degli organi
verificatori.
*ODCEC di Biella,
coordinatrice Commissione Enti No Profit
LA RIFORMA DEL
CONTENZIOSO UN ANNO
DOPO
*
DI LUCA MARIOTTI
Il 24 settembre 2015 veniva emanato il
D.Lgs. n. 156 (pubblicato in Gazzetta
Ufficiale il successivo 7 ottobre) col quale si
dava attuazione alla delega fiscale in materia
di revisione della disciplina degli interpelli e
del contenzioso tributario.
E’ quindi passato un anno circa dalla sua
emanazione, nove mesi dall’operatività
effettiva del nuovo testo e tre mesi
dall’entrata in vigore della nuova disciplina
in materia di esecuzione provvisoria delle
sentenze delle commissioni tributarie (art.
67-bis, D.Lgs. n. 546/1992) ed esecuzione
delle sentenze di condanna al pagamento di
somme in favore del contribuente (art. 69,
D.Lgs. n. 546/1992).
Che considerazioni possiamo trarre oggi?
In primo luogo va detto, a onor del vero,
che siamo talmente abituati – da ogni parte
politica - a provvedimenti di dubbia
consistenza giuridica infiocchettati come
vere e proprie novità epocali (il “salva-Italia,
il “job Act”, la “buona scuola” …) che sentir
parlare della “riforma del processo
tributario” ci ha lasciati inizialmente
perplessi e tutto sommato poco ha spostato
le nostre abitudini di difensori tributari. E
invece stavolta abbiamo sbagliato davvero.
Abbiamo anche snobbato (parlo sempre per
il sottoscritto) la relazione illustrativa, nella
convinzione che si trattasse dell’ennesima
prospettazione di una panacea di tutti i
problemi destinata a rivelarsi a posteriori
ben inferiore alle attese. Invece, in questo
caso, la relazione è ben fatta sotto il profilo
tecnico-giuridico, molto approfondita e
ancora oggi andrebbe riletta per capire fino
in fondo il percorso di costruzione di alcune
innovazioni contenute nel D.Lgs. 546/92
post riforma.
Occorre allora dire che queste modifiche
costituiscono una importante fase del
cambiamento avvenuto negli anni del
processo
tributario.
Da
quello
proceduralmente approssimativo degli anni
’70 che è arrivato però ad oltre la metà dei
’90, a quello organizzato sulla falsariga del
giudizio civile (con l’espresso richiamo al
c.p.c. per quanto previsto e non
contrastante, contenuto al comma secondo
dell’articolo 1), alla giurisprudenza in virtù
della quale alcune norme del codice di rito si
sono poi trasfuse nel giudizio tributario (una
per tutte il procedimento cautelare in grado
di appello), alle modifiche del c.p.c. con
effetti a caduta sul processo tributario (il
principio di non contestazione, la
responsabilità aggravata…), si arriva oggi,
con questa importante revisione normativa,
ad un giudizio più maturo e più equilibrato
tra le parti.
Dall’epoca più remota, con un processo
inizialmente caratterizzato dal solve et repete
siamo passati a sentenze che sì, erano solo
parzialmente esecutive ma che comunque
potevano
devastare
economicamente
un’impresa, a un percorso in cui oggi si
possono percorrere tre gradi di giudizio, ed
addirittura essere rinviati in grado di appello
dalla Cassazione, senza pagare un euro. In
ossequio ad un normale criterio di garanzia,
nel quadro di un rapporto paritario tra i
contendenti (il “giusto-processo”, altro bel
titolo per una riforma solo parziale) e
attuando quel principio di collaborazione e
buona fede che deve caratterizzare i rapporti
Il Commerci@lista Economia e Diritto
fisco-contribuente anche in una fase
conflittuale.
Da un processo in cui l’ottemperanza si
poteva proporre solo a sentenza passata in
giudicato
siamo
andati
all’attuale
configurazione in cui il contribuente può
venire in possesso delle sue spettanze (spese
incluse) attivando tale giudizio sulla sentenza
emessa
anche
se
impugnata
dall’amministrazione. La sentenza infatti è
per lui provvisoriamente esecutiva.
E’ però un giudizio in cui chi difende il
contribuente non può improvvisarsi.
Eccezioni non riproposte diventano
inammissibili fino in Cassazione, fatti non
contestati diventano prove, allegazioni non
ben indentificate sono inutilizzabili dinanzi
al giudice di legittimità sulla base del
principio di autosufficienza recentemente
ribadito dalla Cassazione (cfr. n. 16956 del
11/08/2016).
E’ quindi un giudizio maturo, nel quale
occorre conoscere bene il diritto tributario e
la procedura, fino al terzo grado di giudizio
sia direttamente sia per quello che può
incidere su questo, sia per quello che si fa
prima e che è suscettibile di conseguenze in
Cassazione, riverberandosi dai gradi
precedenti.
I professionisti si facciano un esame di
coscienza e, se non hanno il tempo e le
occasioni di approfondire la materia, si
debbono far aiutare.
Ma le stesse considerazioni le facciano i
Giudici. E se non le fanno ci sia chi le fa per
loro.
Si capisce che svolgere udienze di merito per
pochi spiccioli e giudizi cautelari gratis non
sia forse particolarmente appetibile. Ma chi
lo fa, lo faccia con coscienza: studi,
approfondisca e non guardi il cronometro.
Se deve fare un’ordinanza di rinvio alla
Consulta di venti pagine la scriva, anche se il
compenso è miserrimo - per la verità, c’è
ancora qualche giudice tributario (sempre
troppo pochi) che continua a operare con
impegno e merito che, pur se
economicamente misconosciuto. Se deve
ben motivare una sentenza curi sempre
questo aspetto, a garanzia delle parti e del
corretto procedimento nei gradi successivi.
Approfondisca le eccezioni delle parti. E se
non è convinto lasci perdere, esattamente
come i professionisti non avvezzi alla
materia o ad essa non particolarmente
interessati.
Ciò almeno in attesa che un nuovo step del
progressivo
affinamento
di
questo
importantissimo e appassionante giudizio ci
porti, finalmente, ad avere giudici
competenti, specializzati e ben retribuiti.
Occorre però far presto ad attuare
quest’ultima fase. Che potrebbe portarci alla
più incisiva delle riforme. Quella che ancora
manca.
*ODCEC di Firenze,
direttore de Il Tributo
ottobre 2016 - p. 6
IL FALLITO E L’ACCESSO AL
LAVORO DIPENDENTE
TRAMITE IL
COLLOCAMENTO:
PROBLEMATICHE E
RICHIESTA DI POSSIBILI
SOLUZIONI
*
DI GIUSEPPE CANIGGIA
Gli effetti del fallimento per il fallito sono
come noto regolati (principalmente) dagli
artt.
42-51
Legge
Fallimentare.
Essenzialmente tali norme comportano lo
spossessamento, regolano l’incapacità di
stare in giudizio relativamente a rapporti di
diritto patrimoniale del fallito compresi nel
fallimento e gli obblighi del fallito.
L’abrogazione dell’art. 50 “pubblico registro
dei falliti” introdotta dalla riforma del 2006
ha inteso eliminare le incapacità e le forme
di pubblicità del fallimento togliendo il
carattere sanzionatorio, circoscrivendo la
portata del fallimento alle vicende
economico finanziarie delle imprese (fatte
salve ovviamente le disposizioni penali
previste dal titolo VI della legge
fallimentare)
L’art. 46 della Legge fallimentare prevede
specifiche tutele a favore del fallito. In
questa sede consideriamo “gli assegni aventi
carattere alimentare, gli stipendi, pensioni, i
salari e ciò che il fallito guadagna con la sua
attività entro i limiti di quanto occorre per il
mantenimento suo e della famiglia”.
Questa problematica è molto frequente nel
caso del soggetto che fallisce in proprio o
del socio illimitatamente responsabile che
fallisce per estensione. Si tratta nella maggior
parte dei casi di piccoli imprenditori artigiani
e commercianti per i quali le repentine
mutazioni del sistema economico non
hanno più consentito alle stesse imprese di
rimanere sul mercato. Tali soggetti spesso
sono dotati anche di discrete professionalità;
in tal caso spesso riescono durante la
procedura
fallimentare
a
trovare
occupazione.
Il problema sembra sorgere per i soggetti
che legittimamente intendono iscriversi
“all’ufficio del lavoro”. E’ stato spesso
riferito da tali soggetti che sembra che non
le sia consentita l’iscrizione in quanto
“hanno la partita IVA aperta.”
Certamente tali soggetti avranno la partita
IVA aperta finchè la procedura fallimentare
sarà aperta ed aggiungo per quanto si possa
procedere speditamente l’iter del fallimento
non è idoneo ad essere concluso in tempi
compatibili con le esigenze del lavoratore. In
questi casi in qualità di curatore ho prodotto
documentazione “al fallito” affinchè lo
stesso portasse elementi di valutazioni
idonei a considerare l’apertura di tale partita
IVA del fallimento quale inidonea a
soddisfare le esigenze lavorative del fallito; a
titolo di esempio copia estratto sentenza
dichiarativa di fallimento, visura dalla quale
si evincesse il fallimento e la nomina di
curatore fallimentare. Anche tali integrazioni
corredate da idonea comunicazione del
curatore non ostativa all’iscrizione non
sembrano secondo quanto riferito dai
“falliti” aver prodotto effetti.
Personalmente ritengo che non consentire
l’iscrizione all’Ufficio del Lavoro porti alla
violazione di un diritto costituzionalmente
garantito e ben noto a tutti, ritenendo che
l’unico sindacato di merito vada svolto per
quanto di competenza dagli organi della
Procedura fallimentare “gli stipendi o salari
che il fallito guadagna con la sua attività
entro i limiti di quanto occorre per il
mantenimento suo e della sua famiglia”.
*ODCEC di Alessandria
IL VALORE DELLE NORME
DELLO STATUTO DEL
CONTRIBUENTE NELLA
GERARCHIA DELLE FONTI
*
DI MARCO MANFREDI
La lettura di una recente decisione della Suprema Corte (n. 696/2015, depositata in
data 16.01.2015) offre lo spunto per analizzare brevemente la questione dell’efficacia
delle norme contenute nella legge
27.07.2000 n. 212, Disposizioni in materia di
statuto del contribuente, e del loro posizionamento nell’ambito della gerarchia delle fonti.
Il progetto iniziale di una “Carta dei Contribuenti”, risalente ai primi anni 1990 e che
avrebbe dovuto condurre all’approvazione
di una legge costituzionale, posta quindi in
posizione sovraordinata rispetto alla legge
ordinaria, non vide in realtà mai la luce e fu
emanata dieci anni dopo una legge ordinaria,
la quale mantenne però la struttura originaria: di qui deriva la peculiarità delle sue disposizioni, che si auto-qualificano quali norme
di diretta attuazione dei precetti costituzionali, a voler manifestare quindi una pretesa
di superiorità rispetto ad altre norme
dell’ordinamento, pure provenienti dalle
stesse fonti di produzione ordinaria.
Il fenomeno in esame appare evidente sin
dall’art. 1 della legge n. 212/2000, il quale
proclama che “Le disposizioni della presente
legge, in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97
della Costituzione, costituiscono principi generali
Il Commerci@lista Economia e Diritto
dell’ordinamento tributario e possono essere derogate
o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali”.
Come è agevole comprendere, l’adozione e
l’inserimento nell’ordinamento giuridico
della normativa in esame poneva almeno
due aspetti problematici, sui quali si intende
concentrare qui l’attenzione e precisamente:
l’efficacia delle norme
dello Statuto, in quanto provenienti da fonte normativa primaria
ordinaria, rispetto alle altre norme,
di fonte pari-ordinata, presenti
nell’ordinamento ovvero di successiva emanazione e con essa confliggenti;
il rapporto tra le norme
dello Statuto e le norme di rango
costituzionale, con particolare riferimento all’eventuale attitudine
delle prime a divenire, proprio in
forza del richiamo contenuto
nell’art. 1, parametro di costituzionalità rispetto ad altre norme che
con esse si trovassero in posizione
di contrasto.
La giurisprudenza si è quindi interrogata in
merito alla valenza che debba essere attribuita alle disposizioni dello Statuo del contribuente ed in particolare quale sia la loro
funzione in relazione a norme con essa confliggenti che siano tuttavia contenute in leggi
ordinarie e dunque formalmente di grado
gerarchico paritario rispetto ad esso.
La sentenza sopra indicata si pone nel filone
giurisprudenziale ormai consolidato, secondo cui “le norme della legge 212/2000, emanate in attuazione degli artt. 3, 23,53 e 97 Cost., e
qualificate espressamente come principi generali
dell’ordinamento tributario, sono, in alcuni casi,
idonee a prescrivere specifichi obblighi a carico
dell’Amministrazione finanziaria e costituiscono, in
quanto espressione di principi già immanenti
nell’ordinamento, criteri guida per il giudice
nell’interpretazione delle norme tributarie (anche
anteriori), ma non hanno rango superiore alla legge
ordinaria e, conseguentemente, non possono fungere
da norme parametro di costituzionalità, né consentire la disapplicazione della norma tributaria in
asserito contrasto con le stesse (Cass. Ord. N. 2232
del 30 gennaio 2013)”.
La motivazione addotta richiama in forma
breve diverse precedenti pronunce della
Corte 13 e rende quindi opportuno dar conto
di come un tale orientamento si sia formato
e consolidato nel corso degli anni: a tale riguardo, presenta particolare interesse la decisione della Corte in data 10.12.2002, n.
13 Come
spesso accade, le sentenze della Suprema Corte
si limitano a riportare, quasi alla stregua di obiter dicta,
principi elaborati da decisioni precedenti: tale sembra
essere il caso in esame, dove il motivo di ricorso viene
rigettato sulla base del fugace richiamo del principio di
diritto
da
precedenti
decisioni:
risalendo
cronologicamente le varie pronunce si deve giungere
alla sentenza n. 17576 del 10.12.2002 per rinvenire una
motivazione maggiormente articolata.
ottobre 2016 - p. 7
17576, che “offre spunti di riflessione sul valore
ermeneutico e sistematico attribuibile alle norme di
principio contenute nello Statuto del contribuente”
14
.
La Corte muove dalla considerazione, da un
lato, dell’intento del legislatore di conferire
un’efficacia rafforzata (pur se non ascendente
al rango costituzionale, che avrebbe richiesto il ricorso a fonte normativa sovraordinata) alle norme dello Statuto e, dall’altro
lato, dal rilievo che la categoria dei “principi
giuridici” reca in se stessa una funzione di
“orientamento ermeneutico e applicativo vincolante
nell’interpretazione del diritto”, con la conseguenza che deve affermarsi una “superiorità
assiologica dei principi espressi o comunque desumibili dallo Statuto”, di tal che, in caso di dubbio
interpretativo o applicativo in ordine alla
portata di una norma tributaria, l’interprete
dovrà necessariamente guardare allo Statuto
come faro verso cui orientare la propria attività
ermeneutica,
preferendo
quell’interpretazione che sia conforme ai
principi posti dallo Statuto.
D’altra parte, continua la Corte, il valore interpretativo dei principi dello Statuto si
fonda su un duplice rilievo: da un lato, poiché quegli stessi principi si dichiarano conformi
alle
norme
costituzionali,
l’interpretazione conforme allo Statuo si risolve nell’interpretazione conforme alla Costituzione; d’altro lato, essendo i principi
dello Statuto espressione di principi costituzionali, essi sono da considerarsi immanenti
nell’ordinamento già prima dell’entrata in vigore
dello Statuto 15 e sono quindi vincolanti per
l’interprete, sulla base dell’interpretazione
adeguatrice rispetto ai precetti costituzionali.
Si coglie qui un passaggio cruciale nella ricostruzione sistematica delle norme dello Statuto del contribuente, compiuto dalla Suprema Corte: nell’esprimere il valore vincoC.
Monaco,
“I
principi
fondamentali
dell’ordinamento tributario tra diritto costituzionale,
diritto comunitario e diritto pubblico: indicazioni
sistematiche sulla genesi e sul ruolo ad essi attribuibile
nel diritto tributario in una recente pronuncia della
cassazione”, in Riv. Dir. Fin., fasc. 2, 2003, 349.
15 Al riguardo, è opportuno precisare che la Corte opera
una distinzione tra le norme statutarie dotate della
rilevata efficacia immanente nell’ordinamento in quanto
espressione dei principi costituzionali (citando i principi
di “conoscenza degli atti” , di chiarezza e motivazione
degli atti, di cui agli artt. 6 e 7, nonché quello di
“affidamento del contribuente”, previsto all’art. 10 e
che costituisce il fulcro della decisione in esame),
rispetto ad altre che, presentando invece caratteristiche
innovative, quali quelle aventi ad oggetto o
l’attribuzione ovvero l’estensione di garanzie a favore
del contribuente (come suggerisce la materia
dell’interpello, ovvero quella delle garanzie del
contribuente sottoposto a verifiche fiscali, artt. 11 e 12),
incontrerebbero, proprio in ragione del loro carattere
innovativo, un limite nel principio generale di
irretroattività della legge, sconosciuto alle prime. Ed è
proprio in base alla considerazione dell’immanenza
nell’ordinamento del principio costituzionale sotteso
all’art. 10 che la Corte risolverà la controversia
sottoposta al suo esame, di formazione anteriore
all’entrata in vigore dello Statuto, facendo applicazione
della norma statutaria predetta.
14
lante per l’interprete delle norme statutarie,
la Corte assegna loro un compito di ausilio
nell’attività ermeneutica ed un ruolo di
estrinsecazione dei principi costituzionali già
presenti nell’ordinamento, indipendentemente ed anzi anteriormente all’emanazione
dello Statuto medesimo: ancorché, quindi,
ed anzi forse proprio perché non contenute
in legge costituzionale, la Corte compie comunque un’opera di sistemazione del nuovo
testo
normativo
nell’ambito
dell’ordinamento tributario, assegnando ad
esso una funzione di carattere interpretativo,
che consente però di non esorbitare dai limiti posti dalla provenienza delle sue norme
da una fonte normativa di rango ordinario,
salvando quindi la coerenza dell’impianto
normativo dello Statuto con il sistema generale della gerarchia delle fonti.
Proprio tale ultima considerazione conduce
all’esame del secondo profilo d’indagine innanzi delineato, afferente al rapporto tra le
norme dello Statuto e quelle, provenienti da
fonti normative di pari grado, che si pongano in posizione antinomica con le prime.
La questione non è o, forse è più corretto
dire, non è stata irrilevante, anche perché è
dato rinvenire, in special modo nei primi
anni successivi all’entrata in vigore dello
Statuto, pronunce delle Commissioni tributarie provinciali d’invalidazione disposizioni
normative tributarie per “violazione dello Statuto del contribuente” 16.
Orbene, le considerazioni che precedono
circa la valenza di orientamento interpretativo
delle norme contenute nello Statuto, unitamente all’evidenziato posizionamento delle
norme stesse nel sistema di gerarchia delle
fonti normative quali norme di fonte ordinaria, consentono ora di risolvere più agevolmente la questione in esame, dovendosi
escludere che le norme statutarie possano
condurre alla disapplicazione diretta o, addirittura, a declaratoria di illegittimità di altre
norme (che ovviamente non promani dal
Giudice delle leggi), provenienti da fonti
normative di pari grado, che con quelle dovessero entrare in conflitto: in casi simili, il
rispetto del principio di gerarchia delle fonti,
da un lato, unitamente alla considerazione
della funzione ermeneutica delle norme
Statutarie guideranno l’interprete, in caso di
scelta fra due possibilità interpretative, a
preferire quella che si riveli maggiormente
conforme ai principi statutari, non già per la
prevalenza gerarchica di questi ultimi, bensì
in quanto espressione dei relativi valori costituzionali immanenti: con il risultato che,
in concreto, potrà ugualmente raggiungersi
un risultato concreto corrispondente ad una
Si veda, al riguardo, V. Mastroiacovo, Ancora
sull’efficacia dello Statuto del contribuente, in Riv. Dir. Trib.,
fasc. 11, 2004, pag. 672, la quale cita le decisioni di
alcune Commissioni Provinciali, (note 15, 16 e 17), che
giunsero a dichiarare l’illegittimità di talune norme,
procedendo quindi all’annullamento degli atti
dell’Amministrazione, per contrasto con lo Statuto.
16
Il Commerci@lista Economia e Diritto
sostanziale disapplicazione di una norma in
contrasto con lo Statuto, ma vi si potrà
giungere unicamente perché la norma statutaria, interpretata quale attuazione di un
principio costituzionale, guiderà l’interprete
a sussumere la fattispecie concreta sotto
quel principio e quindi ad interpretarla alla
luce del medesimo, anche in contrasto con
altre norme di leggi ordinarie 17.
Ma, se è così, la portata innovativa dello
Statuto del contribuente sembra uscirne
grandemente ridimensionata: è evidente, infatti, che il dire che l’interprete è tenuto, ove
sia possibile una scelta, ad adottare
l’interpretazione maggiormente conforme ai
principi statutari, perché espressione dei
principi
costituzionali
già
presenti
nell’ordinamento, significa dire che la soluzione indicata sarebbe comunque rinvenuta
anche senza lo Statuto.
L’obiezione è seria ed anzi appare difficilmente superabile: nondimeno, è stato evidenziato ed ascritto a merito dello Statuto
non tanto il fatto di voler porre delle norme
di rango sovraordinato rispetto a quelle ordinarie, quanto la considerazione dell’effetto
positivo di “stimolare il dibattito sul ruolo dei
principi generali dell’ordinamento tributario” 18,
spingendo in particolare l’interprete del diritto tributario verso un’attività tesa alla individuazione ed applicazione dei principi
generali dell’ordinamento anche alla materia
tributaria, fino ad arrivare alla ricognizione e
all’elaborazione di principi generali propri
dell’ordinamento tributario.
Riguardando quindi la questione dalla prospettiva della teoria generale delle fonti, è
possibile cogliere qui un aspetto assolutamente peculiare e per alcuni versi paradossale delle norme contenute nello Statuto del
contribuente: è stato al riguardo efficacemente rilevato che la legge n. 212/2000 ha
consentito all’interprete di intraprendere un
percorso ermeneutico che conduce ad interpretare il fatto individuando il principio a
partire dalla legge scritta (le norme dello
Statuto) e rimanendo in essa (i principi
espressi nelle norme costituzionali), ma con
la particolarità che quel fatto viene interpretato anche in spregio ad altre norme
Questa è stata, per l’appunto, la via percorsa della
Suprema Corte nella decisione del caso sottoposto al
suo esame, relativo all’impugnazione, da parte del
contribuente, di un avviso di rettifica, con il quale
l’Amministrazione aveva annullato, in via di autotutela,
un precedente provvedimento di archiviazione per
intervenuto condono di violazioni IVA: la Corte,
muovendo dalla considerazione che l’art. 10 dello
Statuto, nel porre il principio della tutela
dell’affidamento del contribuente, richiama il principio
costituzionale di cui all’art. 97, ha ritenuto che tale
principio
dovesse
prevalere
sul
potere
dell’Amministrazione di annullamento in autotutela
degli atti illegittimi.
18 C. Monaco, Principi fondamentali … cit., paragrafo
5; la funzione di favorire l’uscita del diritto tributario da
un suo peculiare “particolarismo che aveva contribuito a
moltiplicare i microsistemi della materia tributaria” è segnalata
anche da Mastroiacovo, cit., paragrafo 1.
17
ottobre 2016 - p. 8
puntuali, di tenore evidentemente distonico
rispetto a quelle statutarie, “perché si invoca il
valore espresso dal diritto richiamato”.
Le considerazioni che precedono inducono
quindi a ritenere che uno degli aspetti più
interessanti e meritori dello Statuto dei diritti
del contribuente sia rappresentato non già e
non tanto dall’intento – destinato a rimanere
di natura assai più programmatica che non
precettiva, come anche la successiva esperienza normativa insegna e come diversamente non avrebbe potuto accadere, dato il
“peccato originale” del rango ordinario e non
sovraordinato della legge in commento, rispetto al legislatore al quale esso si rivolge –
di dettare norme sulla normazione ad un
legislatore parigrado, quanto piuttosto
dall’avere consegnato all’interprete un prezioso strumento ermeneutico, che ne agevola il compito, consentendo il ricorso, in
caso di dubbio, ai principi generali che, “pure
considerati immanenti, erano ritenuti recessivi rispetto ad un metodo interpretativo spesso fondato su
regole di settore” 19.
Sembra infatti conclusione ormai pacificamente condivisa quella per cui, in difetto
delle norme contenute nella legge n.
212/2000, difficilmente o, più probabilmente, con maggior difficoltà e travaglio si
sarebbe pervenuti alla elaborazione di principi ormai consolidati negli arresti giurisprudenziali: la sentenza n. 17576/2002 ne è un
esempio lampante, proprio perché riconduce il valore della buona fede e
dell’affidamento del contribuente, per il
tramite della norma statutaria di cui all’art.
10, al principio costituzionale di cui è
espressione l’art. 97 Cost., del buon andamento
e
dell’imparzialità
dell’amministrazione, e sulla base di tale
principio costituzionale giunge a ritenere
illegittima l’attività dell’Amministrazione,
accordando preferenza al principio di tutela
dell’affidamento del contribuente ex art. 10
rispetto alle norme che consentono a
quest’ultima
l’esercizio
discrezionale
dell’attività di autotutela e di annullamento
di atti ritenuti illegittimi: anche a voler ammettere, come fa la Corte, che il principio
debba considerarsi immanente nell’ordinamento
e dunque esistente indipendentemente e
precedentemente alla norma statutaria, è del
tutto evidente come il percorso ermeneutico
compiuto sdalla Corte sia stato quindi indubbiamente facilitato dall’espresso riconoscimento del principio stesso ad opera di
una norma positiva.
In conclusione, le risposte ai quesiti posti
all’inizio della presente indagine possono
così riassumersi:
per quanto riguarda il valore delle
norme dello Statuto dei diritti del contribuente nel sistema delle fonti, l’origine ordinaria della fonte normativa in cui le stesse
sono contenute impedisce il riconoscimento
19 V.
Mastroiacovo, cit., par 1.
di un carattere sovraordinato rispetto ad altre norme, esistenti o successive, che promanino da fonti di pari grado gerarchico;
nondimeno, la rilevata superiorità valoriale
dei principi in esso contenuti e la circostanza
che essi si dichiarino comunque attuazione
di principi costituzionali, importa che le
norme stesse costituiscano guida orientativa
vincolante per l’interprete, il quale, riconosciutane la rispondenza ai principi generali
dell’ordinamento tributario in quanto
espressione di principi costituzionali, conformerà la sua attività ermeneutica in modo
da preferire quelle soluzioni interpretative
che siano aderenti ai principi dello Statuto
medesimo;
per lo stesso ordine di ragioni, legato alla fonte normativa di provenienza, le
norme statutarie non possono fungere esse
stesse da parametri di costituzionalità, né
condurre direttamente alla disapplicazione
di altre norme; deve tuttavia ritenersi che,
proprio la funzione di stimolo dell’interprete
all’individuazione ed applicazione dei principi generali dell’ordinamento tributario
possa e anzi debba utilmente orientarne
l’attività, consentendo l’individuazione dei
principi di rango costituzionale che, immanenti nell’ordinamento tributario, si rivelino
applicabili alle fattispecie in esame.
*Avvocato del Foro di Biella, consigliere emerito
dell’Ordine degli Avvocati di Biella
L’ETICHETTA DEI
PRODOTTI DI MODA: SERVE
UNA REVISIONE DELLA
NORMA
*
DI MASSIMO TORTI
Negli ultimi mesi, ma l’attività di controllo
coordinata dal Ministero dello Sviluppo
Economico è in atto da anni, funzionari
ispettivi delle Camere di Commercio italiane
ed anche della Guardia di Finanza hanno
effettuato sopralluoghi nei negozi di moda,
abbigliamento,
calzature,
accessori,
pelletterie, articoli sportivi e tessili per la
casa per verificare se i prodotti in vendita
fossero
regolarmente
provvisti
di
etichettatura a norma di legge. Il rischio è
grosso per il dettaglio moda, in particolare.
In caso di etichettatura non conforme di
articoli tessili e calzaturieri, gli operatori
commerciali potrebbero vedersi elevare dai
funzionari ispettivi verbali di contestazioni
(con sanzioni importanti) e soprattutto
potrebbero assistere all’immediato sequestro
Il Commerci@lista Economia e Diritto
dei prodotti (ad esempio per la mancanza
degli estremi dei produttori).
Va da sé che l’etichetta non l’attacca il
commerciante bensì il produttore o,
comunque, il fornitore, ma l’operatore
commerciale che – per una sorta di “culpa
in vigilando” e ad un “permettetemi di
considerare anacronistico” principio di
prossimità (è il soggetto più vicino al
consumatore) – è soggetto ad una sanzione
troppo gravosa e di sicuro inversamente
proporzionale alla sua responsabilità nel
rapporto di filiera, in una ratio legislativa che
presuppone un diritto di rivalsa nei
confronti dei fornitori.
Peccato, infatti, che nei contratti (copie
commissioni), il nostro diritto ammetta la
rinuncia al diritto di rivalsa. Infatti l’art. 131
del Codice del Consumo (D.Lgs. 206/2005)
prevede che “Il venditore finale, quando è
responsabile nei confronti del consumatore
a causa di un difetto di conformità
imputabile ad un’azione o ad un’omissione
del produttore, di un precedente venditore
della
medesima
catena
contrattuale
distributiva o di qualsiasi altro intermediario,
ha diritto di regresso, salvo patto contrario
o rinuncia, nei confronti del soggetto o
dei soggetti responsabili facenti parte
della suddetta catena distributiva”. E
sappiamo come le clausole vessatorie
vadano ad incidere nei rapporti tra le parti
dove i fornitori assumono una netta
posizione e forza contrattuale.
A fronte di questa situazione, ricordo a tutti
gli operatori di prestare molta attenzione
all’etichettatura dei prodotti tessili che segue,
in termini generali, una serie di disposizioni
europee (Regolamento UE 1.007/2011) ed
italiane (D.Lgs. 194/99 e D.Lgs. 206/2005 –
Codice del Consumo), al fine di evitare
pesanti sanzioni.
In estrema sintesi, ci tengo a rimarcare
l’importanza per i commercianti di verificare
che l’etichetta:
sia in lingua italiana (es. “100%
Cotone” e non “100 % Cotton”);
contenga la composizione
fibrosa con la denominazione
della fibra scritta per esteso
(“100% Cotone” e non “100
CO”) e la percentuale del peso
indicata in ordine decrescente (es.
“90% Cotone 10% Seta”);
trovi corrispondenza con
quanto scritto nei documenti
commerciali (es. nelle fatture ci
deve essere il riferimento alla
stessa
percentuale
di
composizione fibrosa indicata in
etichetta);
sia saldamente fissata al
prodotto messo in vendita;
indichi nome, ragione sociale o
marchio ed anche sede legale del
ottobre 2016 - p. 9
produttore/importatore (estremi
del produttore ex art. 104 del D.
Lgs. 206/2005 – Codice del
Consumo);
preveda
l’indicazione
“Contiene parti non tessili di
origine animale” (ad esempio per
piumini, maglioni con toppe o
inserti in pelle, bottoni in
madreperla o corno naturale).
Per le calzature ci si rifà ai dettami della
Direttiva 94/11/CE, recepita in Italia dal
D.M. 11/04/96, che prevede l’obbligo
dell’etichetta con gli appositi simboli su
almeno una delle calzature (e gli estremi del
produttore sulla scatola ex D.Lgs.
206/2005) e l’esposizione di un cartello in
negozio contenente le informazioni sui
componenti delle calzature (con i simboli
delle parti che devono essere etichettate e
quelli dei materiali che compongono le
differenti parti delle calzature).
Faccio alcuni esempi pratici che fanno ben
comprendere l’effettivo rischio per i
commercianti di vedersi sanzionati a volte
addirittura in maniera insensata. È accaduto,
ad esempio in provincia di Mantova, che a
seguito di un controllo sulla composizione
fibrosa effettuato su due paia di calze di
aziende piuttosto conosciute, questa non sia
risultata conforme a quanto dichiarato in
etichetta dal produttore/fornitore. Tra
l’altro, quanto indicato in etichetta non era
stato riportato neppure in fattura. A seguito
di questa situazione, l’organismo ispettivo ha
steso un verbale di contestazione al
commerciante (una piccola merceria di
paese) con una sanzione prevista di un
minimo di 1.032,91 euro ed un massimo di
5.167,57. Sanzione che, se pagata entro 60
giorni dalla notifica, poteva essere ridotta ad
un importo pari alla cifra più favorevole tra
un terzo del massimo ed il doppio del
minimo (pari a 1.721,52 € moltiplicato per
due violazioni accertate – e quindi
complessivamente pari a 3.443,04 €). Avete
capito bene: il verbale di contestazione è
stato indirizzato alla commerciante,
sicuramente ignara della composizione
fibrosa di quelle paia di calze.
Incredibile…Federazione Moda Italia è
comunque intervenuta con l’Associazione
aderente della Confcommercio di Mantova
in soccorso dell’azienda per presentare
ricorso.
Ma non è tutto. A luglio, alcuni operatori
commerciali ci hanno segnalato che
funzionari ispettivi della Guardia di Finanza
di Perugia e di Trieste hanno verificato in
alcuni negozi di moda situazioni di
etichettatura non conforme per mancanza
degli estremi dei produttori, con
conseguente sequestro dei relativi prodotti.
A fronte di questi, fortunatamente ancora
pochi, ma sicuramente non trascurabili
“disagi” che, in un periodo di crisi per il
dettaglio moda come quello attuale, sono
visti come un’insopportabile ingiustizia,
occorrerebbe che il legislatore riflettesse un
attimo su quelle che possono essere le
conseguenze di talune iniziative e chi vanno
a colpire. Riteniamo che non sia più
tollerabile che, a distanza di oltre 40 anni
dalla prima norma in materia (Legge 26
novembre 1973, n. 883 “Denominazioni ed
etichettatura prodotti tessili”) e a fronte di
un Regolamento europeo le cui disposizioni
sono direttamente applicabili a tutti gli stati
membri, ancora oggi siano immessi sul
mercato dai produttori/fornitori prodotti
con etichette non conformi. La motivazione
per noi è chiara, però: finché si sanzionano i
soli commercianti e le sanzioni – ammesso
che si riesca ad esercitare il diritto di rivalsa
– sono un piccolo salasso per i negozi, ma
briciole per la produzione, è difficile che la
sola moral suasion ed i nostri tour di
sensibilizzazione possano portare al rispetto
delle regole che ci sono e devono essere
osservate.
Per questo Federazione Moda Italia, oltre a
sensibilizzare tutti gli operatori italiani – con
un tour “SOS Etichettatura” che ha visto
una sessantina di tappe da Bolzano a
Palermo – a prestare la massima attenzione
all’etichettatura per non incappare in pesanti
sanzioni (o, peggio, in sequestri di merce), si
batte in difesa delle centinaia di migliaia di
negozianti che operano – non senza
difficoltà – in un settore che ci vede ancora
leader a livello internazionale, promuovendo
la revisione della normativa sulle
responsabilità e relative sanzioni.
È inammissibile, oltre che inaccettabile, che
un operatore commerciale, in quanto
obbligato principale, tra l’altro molto spesso
vessato da clausole che gli negano ogni
diritto di regresso nei confronti dei fornitori,
debba rispondere delle negligenze o
omissioni
di
operatori
terzi
(produttori/importatori). È un’anomalia che
chiediamo di correggere il prima possibile.
Infine, con il duplice obiettivo di accrescere
la consapevolezza degli imprenditori del
settore moda sui rischi da evitare e per
promuovere buone pratiche capaci di
aumentare le probabilità di evitare gravose
sanzioni agli operatori commerciali,
Federazione Moda Italia ha realizzato il KIT
“SOS Etichettatura” che si compone di:
un prontuario sulla normativa, vista
con particolare attenzione alle incombenze
ed alle responsabilità del commerciante;
un vademecum di consigli pratici
che
mettono
nelle
condizioni
il
commerciante di evitare le pesanti sanzioni e
di tutelarsi nei confronti dei fornitori
qualora consegnassero merce non etichettata
in maniera conforme alla legge;
due fac-simile di lettere (con i
consigli del legale) da inviare al fornitore in
caso di individuazione del vizio di
Il Commerci@lista Economia e Diritto
conformità dell'etichetta e, successivamente
ad un eventuale controllo, per la
comunicazione del danno emergente e del
lucro cessante;
un cartello con la traduzione delle
fibre tessili da esporre nel negozio, in
camerino;
un timbro firmato da Federazione
Moda Italia - Confcommercio da apporre
sugli ordini a tutela del commerciante che
permette di segnalare, al momento della
sottoscrizione delle copie commissioni, che
la merce deve essere consegnata già
etichettata in lingua italiana e nel rispetto
della normativa vigente
Info su
http://www.federazionemodaitalia.com/it/iniziative/e
venti/it/servizi/tematiche-interesse/etichettatura
*Segretario Generale della Federazione Moda Italia
LE RELAZIONI DEL
CURATORE E DEL
COMMISSARIO GIUDIZIALE:
CRITERI DI REDAZIONE
*
DI LUCIANO M. QUATTROCCHIO
**
E BIANCA M. OMEGNA
1. La relazione del curatore.
1.1. Premessa.
La relazione del curatore deve essere
depositata entro 60 giorni dal deposito in
cancelleria della sentenza di fallimento. Il
termine di 60 giorni non è perentorio e non
vi sono sanzioni o altre conseguenze in caso
di ritardo nel deposito: il curatore deve,
tuttavia, presentare al giudice delegato
istanza di proroga dei termini di deposito,
esponendone i motivi.
La relazione del curatore è volta a soddisfare
due esigenze fondamentali:

fornire al giudice delegato una
visione globale della situazione dell’impresa
fallita, consentendo così un più agevole
esercizio del suo potere di vigilanza;

dare impulso all’attività del
pubblico ministero, ai fini dell’eventuale
esercizio dell’azione penale.
1.2. Il contenuto
La relazione si compone di una serie di
parti, che possono essere come di seguito
articolate (S. LAPPONI).
1.2.1. Premessa
La premessa deve contenere:

gli
estremi
della
dichiarativa di fallimento;
sentenza
ottobre 2016 - p. 10

i
dati
identificativi
dell’imprenditore (individuale o collettivo).
1.2.2. Cronistoria.
Deve contenere la storia dell’impresa
(individuale o collettiva), con succinte
informazioni sulle principali vicende degli
ultimi anni (es. operazioni straordinarie),
oltre ad un’analitica descrizione di:

organi sociali;

partecipazioni significative;

sedi secondarie;

ecc.
1.2.3. I dati di bilancio.
Deve contenere l’esposizione e la
comparazione dei bilanci degli ultimi cinque
anni.
Dai dati di bilancio devono essere desunti
i principali indici di bilancio:

indice di natura patrimoniale;

indice di natura reddituale;

indice di natura finanziaria.
E’ opportuno anche svolgere un’analisi
per flussi.
A
tale
fine,
è
raccomandabile
l’applicazione – mutatis mutandis – del
documento del Consiglio Nazionale dei
Dottori Commercialisti, Crisi d’impresa:
Strumenti per l’individuazione di una procedura
d’allerta, 2005.
1.2.4. Cause del dissesto.
Occorre distinguere fra:

cause endogene
o
carenza gestionale: produttiva,
commerciale, amministrativa;
o
sottocapitalizzazione;
o
assenza di merito creditizio:
o
incapacità di innovazione;

cause esogene
o
crollo dei mercati;
o
revoca degli affidamenti;
o
forza maggiore;

cause criminose:
o
artifici;
o
simulazioni;
o
occultamenti;
o
falsificazioni;
o
tenore di vita eccessivo.
1.2.5. Circostanze del fallimento.
E’ opportuno distinguere fra:

circostanze
prodromiche
al
fallimento:
o
azioni esecutive;
o
revoca degli affidamenti;
o
eventi traumatici;
o
cessazione dell’attività d’impresa;

iniziative volte alla dichiarazione di
fallimento:
o
fallimento in proprio;
o
fallimento su iniziativa dei
creditori;
o
fallimento su iniziativa della
Procura;
o
consecutio fra procedure.
1.2.6. Diligenza del fallito e degli organi
sociali.
E’ opportuno separare l’esposizione in due
parti:

periodo
antecedente
alla
dichiarazione di fallimento:
o
capacità gestionale;
o
diligenza amministrativa;
o
sacrifici economici;

durante la procedura:
o
collaborazione (rilevante anche per
l’esdebitazione).
1.2.7. Situazione dell’attivo fallimentare.
Questa sezione deve essere compilata nei
limiti dell’attività sino a quel momento
svolta:

inventario dei beni mobili;

stima dei beni mobili e immobili;

crediti;

altre
attività
(partecipazioni,
cauzioni, ecc.);

atti impugnati dai creditori e atti da
impugnare ad opera della curatela;

azioni revocatorie;

azioni risarcitorie.
1.2.8. Situazione del passivo fallimentare.
E’ opportuno distinguere fra:

situazione debitoria risultante dalla
contabilità;

situazione debitoria risultante
dall’eventuale progetto di stato passivo (o
stato passivo definitivo);

beni di terzi.
1.2.9. Nomina dei collaboratori.
Occorre dare atto della nomina di:

periti;

legali;

coadiutori.
1.2.10. Situazione del fallimento
Occorre dare atto di:

esercizio provvisorio;

realizzi;

azioni intraprese.
1.2.11. Fatti di rilievo per eventuali
responsabilità dell’imprenditore o degli
organi societari, di soci o di terzi.
Occorre distinguere fra:

ipotesi di responsabilità civile:
o
del fallito;
o
degli organi societari;
o
di soci e di terzi;

ipotesi di responsabilità penale:
o
bancarotta semplice;
o
bancarotta fraudolenta;
o
ricorso abusivo al credito;
o
denuncia di creditori inesistenti;
o
false comunicazioni sociali;
o
appropriazione indebita;
o
truffa;
o
frode fiscale;
o
altri reati.
Per la verifica dei presupposti per
l’eventuale azione di responsabilità civile è
opportuno
accertare
l’eventuale
retrodatazione della perdita del capitale
sociale.
Il Commerci@lista Economia e Diritto
Per un opportuno apprezzamento degli
eventuali presupposti per l’azione penale è
opportuno
riportare
le
seguenti
informazioni:

eventuale retrodatazione dello stato
di insolvenza

concorso alla causazione del
dissesto delle false comunicazioni sociali;

sintesi dell’attivo fallimentare;

sintesi del passivo fallimentare;

ricostruzione
del
disavanzo
fallimentare giustificato e non giustificato.
La perdita del capitale sociale può essere
soltanto un indice dello stato di insolvenza,
che deve essere corroborato da ulteriori
accertamenti attraverso l’analisi per indici e
per flussi.
1.2.12. Considerazioni finali
E’ opportuno inserire la riserva di ulteriori
segnalazioni.
1.3. I soggetti
consultazione.
legittimati
alla
La relazione può (tranne le parti secretate)
essere consultata dal comitato dei creditori e
da chiunque sia portatore di un interesse
effettivo ed attuale.
L’art. 90 l.f., infatti, prevede espressamente:
«Il comitato dei creditori e ciascun suo
componente hanno diritto di prendere
visione di qualunque atto o documento
contenuti nel fascicolo. Analogo diritto, con
la sola eccezione della relazione del curatore
e degli atti eventualmente riservati su
disposizione del giudice delegato, spetta
anche al fallito.
III. Gli altri creditori ed i terzi hanno diritto
di prendere visione e di estrarre copia degli
atti e dei documenti per i quali sussiste un
loro specifico ed attuale interesse, previa
autorizzazione del giudice delegato, sentito il
curatore».
1.4. Gli orientamenti giurisprudenziali.
Si riportano, di seguito, alcune massime
giurisprudenziali in tema di relazione del
curatore:
-Tribunale Catania 25 gennaio 2014. Anche
in ragione della previsione di cui all’art. 90
L.F., deve rigettarsi l’istanza del fallito volta
a prendere visione e ad estrarre copia della
relazione del curatore ex art. 33 L.F. ove
non si evinca alcun interesse dell’istante al
relativo accesso.
-Appello Ancona 20 gennaio 2011.
L’efficacia probatoria di quanto riferito dal
curatore fallimentare nella relazione redatta
ai sensi dell’articolo 33, legge fall. si atteggia
diversamente a seconda che si tratti a) di
fatti compiuti dal curatore o avvenuti in sua
presenza; b) di fatti riferiti dal curatore ma
diversi da quelli indicati sub a); c) di semplici
valutazioni od opinioni del curatore. Nel
primo caso la relazione ha efficacia di prova
legale in quanto trattasi di atto formato da
pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue
funzioni, il quale fa piena prova fino a
querela di falso. Nel secondo caso, il giudice,
ottobre 2016 - p. 11
in base al principio del libero
convincimento, ha la possibilità di porre a
fondamento della decisione prove non
espressamente previste dal codice di rito,
purché sia fornita adeguata motivazione
della relativa utilizzazione e purché tali
prove “atipiche” non vengano utilizzate per
aggirare divieti o preclusioni di carattere
sostanziale o processuale. Per quanto, infine,
riguarda le valutazioni od opinioni personali
del curatore, è evidente la loro irrilevanza ai
fini probatori.

Tribunale Milano 18 gennaio 2011.
La relazione del curatore, in quanto formata
da pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue
funzioni (art. 33, legge fallimentare) fa piena
prova fino a querela di falso degli atti e dei
fatti che il curatore attesta essere stati da lui
compiuti o essere avvenuti in sua presenza.
(Nel caso di specie, in mancanza di prova
contraria, è stato ritenuto incontrovertibile il
fatto materiale, dichiarato dal curatore nella
relazione, del mancato reperimento della
cassa tra i beni aziendali).
2. La relazione
giudiziale.
2.1. Premessa.
del
commissario
La relazione del commissario giudiziale deve
essere depositata almeno 45 giorni prima
dell’adunanza dei creditori. Il termine di 45
giorni è perentorio.
La relazione del commissario giudiziale è
volta a soddisfare tre esigenze fondamentali:

fornire ai creditori un giudizio sulla
fattibilità economica della proposta
concordataria e sulla sua convenienza
economica rispetto al fallimento;

fornire al tribunale tutti gli elementi
utili ai fini della valutazione della fattibilità
giuridica della proposta concordataria;

in caso di proposte concorrenti,
svolgere una particolareggiata comparazione
fra le stesse;

dare impulso all’attività del
pubblico ministero, ai fini dell’eventuale
esercizio dell’azione penale.
2.2. Il contenuto.
La relazione del commissario giudiziale deve
contenere le seguenti informazioni (Gruppo
di Lavoro ODCEC di Modena):

esame dei bilanci dei precedenti
esercizi per individuare le principali cause
dello stato di crisi che hanno indotto il
debitore a presentare la proposta di
concordato preventivo, il momento in cui
tali cause si sono manifestate e se
effettivamente abbiano condotto l’impresa
all’insolvenza o all’incapacità di adempiere
regolarmente le proprie obbligazioni;

verifica dell’eventuale sussistenza
di profili di responsabilità attribuibili ai
componenti degli organi sociali, la
consistenza patrimoniale degli stessi e
l’eventuale compimento di operazioni che
sarebbero potenzialmente soggette ad
azione revocatoria in caso di fallimento. Tale
attività è volta ad informare i creditori circa
la convenienza della proposta di concordato
rispetto ad altre soluzioni concorsuali
prospettabili, quali – appunto – il fallimento,
nell’ambito del quale il curatore potrebbe
promuovere azioni di responsabilità nei
confronti degli organi sociali e azioni
revocatorie fallimentari, precluse nell’ambito
del concordato preventivo;

accertamento della fattibilità del
piano di concordato nei termini proposti dal
debitore, evidenziandone i fattori di rischio
e
di
criticità,
sulla
base
della
documentazione depositata in tribunale e di
ogni altra informazione acquisita;

verifica della corrispondenza dei
saldi comunicati dai creditori con quanto
esposto nell’elenco depositato dal debitore o
dalle risultanze contabili e, se necessario,
aggiornamento degli importi;

analisi sulla solvibilità dei debitori,
sia sulla base dell’andamento storico dei
pagamenti risultante dalle scritture contabile,
sia con visure dei potesti o altri canali che
possano permettere di ottenere informazioni
più dettagliate sui debitori;

rettifiche ai dati esposti nel piano
dal debitore adeguando i valori attivi e
passivi a quelli scaturiti dalle attività sopra
descritte, nonché ai valori dell’inventario di
cui all’art. 172 l.f.;

in caso di differenze riscontrate
rispetto alla proposta del debitore, redazione
di una situazione concordataria a cura del
commissario, da sottoporre ai creditori
come possibile esito alternativo della
procedura.
2.3. La relazione del commissario
giudiziale nel concordato con continuità
aziendale
Nell’ipotesi di concordato con continuità
aziendale, la relazione del commissario
giudiziale potrebbe articolarsi nelle sezioni
di seguito indicate:
1. Premessa.
2. Breve descrizione delle vicende della
Società.
2.1. Costituzione e oggetto sociale.
2.2. Compagine sociale.
2.3. Organo Amministrativo.
2.4. Organo di Controllo.
2.4.1. Composizione del Collegio Sindacale.
2.4.2. La Società di Revisione.
2.5. Organico della Società.
2.6. Cause della crisi.
2.6.1. Premessa.
2.6.2. Crisi macroeconomica.
2.6.3. Operazioni straordinarie.
2.6.4. Difficoltà di incasso dai clienti terzi.
2.6.5. Difficoltà di incasso dal Gruppo.
2.6.6. Analisi delle principali azioni
intraprese per riequilibrare la redditività di
Gruppo.
Il Commerci@lista Economia e Diritto
2.6.7. Elementi principali di discontinuità
industriale che hanno contribuito ad un
peggioramento della redditività.
2.6.8. Esame dei bilanci.
3. La fattibilità giuridica. Verifica della
conformità
normativa
del
Piano
Concordatario e delle asserzioni poste alla
base dello stesso.
3.1. Premessa. Il contesto normativo
3.1.1. Il concordato preventivo in continuità
aziendale.
3.1.2. Il Regolamento CE n. 1346 del 2000.
3.1.3. Lo status di impresa in concordato.
3.2. Lo status quo.
3.2.1. Il Gruppo.
3.2.2. La governance.
3.2.3. Il contenzioso.
3.2.3.1. Il contenzioso fiscale.
3.2.3.2. Il contenzioso attivo.
3.2.3.3. Il contenzioso passivo.
3.2.4. Contratti in corso.
3.2.4.1. Contratti bancari.
3.2.4.2. Contratti di leasing.
3.2.4.3. Contratti di garanzia.
3.2.4.4. Contratti relativi alle forniture.
3.2.5. Brevetti industriali e marchi.
3.2.6. Rischi.
3.2.7. La responsabilità amministrativa ai
sensi del d.lgs. n. 231 del 2001.
3.2.8. L’accordo con le Banche.
3.3. La conformità normativa del Piano
Concordatario e delle asserzioni poste alla
base dello stesso.
4. La fattibilità tecnica. La coerenza
endogena del Piano Industriale e la sua
compatibilità con gli scenari tecnologici.
4.1. Premessa. Il contesto tecnologico di
riferimento.
4.1.1. Area di business AAA.
4.1.2. Area di business BBB.
4.1.3. Key economics storiche.
4.2. Sintesi delle linee strategiche di Piano.
4.2.1. Premessa.
4.2.2. La situazione degli impianti.
4.2.3. Analisi dei prodotti attuali.
4.2.4. Ricerca e Sviluppo.
4.2.5. Progetti di sviluppo.
4.2.6. La Divisione “AAA”.
4.2.7. La Divisione “BBB”.
4.3. La coerenza endogena del Piano
Industriale e la sua compatibilità con gli
scenari tecnologici.
4.4. Conclusioni.
5. La fattibilità economica. La compliance del
piano economico-finanziario con il piano
industriale e la coerenza delle sue assumpion
con
gli
scenari
macroeconomici,
microeconomici e di settore.
5.1. Lo scenario macroeconomico.
5.1.1. Le previsioni della crescita mondiale.
5.1.2. Le prospettive europee.
5.1.3. I mutamenti nello scenario
dell’offerta.
5.1.4. La ripresa italiana: rafforzamento
dell’export e stabilizzazione dei consumi.
5.1.5. Ripresa selettiva per l’industria
manifatturiera italiana.
ottobre 2016 - p. 12
5.2. Lo scenario microeconomico e di
settore.
5.3. Verifica della coerenza esogena delle
assumption.
5.3.1. Le assumpion del Piano Concordatario.
5.3.2. La coerenza delle assumpion con gli
scenari di riferimento.
5.3.3. Il contesto lavoristico di riferimento.
La compliance normativa dei piani di
dismissione.
5.4. Verifica della coerenza endogena delle
assumption.
5.4.1. Esame delle caratteristiche produttive
intrinseche.
5.4.1. Le variabili assunte alla base del Piano
Concordatario.
5.4.2. La coerenza delle variabili nella loro
dimensione quali-quantitativa.
5.4.3. La fattibilità lavoristica. La coerenza
del piano industriale e del piano economicofinanziario con le dinamiche lavoristiche.
6. La situazione patrimoniale, economica e
finanziaria.
6.1. Le attività.
6.2. Le passività.
7. La Proposta di Concordato Preventivo.
7.1. Il Piano Concordatario.
7.1.1. I forecast economici.
7.1.2. I forecast patrimoniali.
7.1.3. I forecast finanziari.
7.2. Le Passività Concordatarie.
7.2.1. Debiti con privilegio.
7.2.1. Debiti chirografari.
7.3. Il Piano dei pagamenti.
8. La Stima dei Commissari Giudiziali.
8.1. Il Piano Economico-PatrimonialeFinanziario.
8.1.1. I dati previsionali (sintesi).
8.1.1.1. I forecast economici.
8.1.1.2. I forecast patrimoniali.
8.1.1.3. I forecast finanziari.
8.2. Le Passività accertate (analisi).
8.2.1. Premessa.
8.2.2. La Categoria “Banche 1”.
8.2.2.1. I debiti in prededuzione.
8.2.2.2. I debiti assistiti da prelazione
ipotecaria o pignoratizia.
8.2.2.3. I debiti assistiti da privilegio.
8.2.2.4. I debiti chirografari.
8.2.3. La Categoria “Banche 2”.
8.2.3.1. I debiti in prededuzione.
8.2.3.2. I debiti assistiti da prelazione
ipotecaria o pignoratizia.
8.2.3.3. I debiti assistiti da privilegio.
8.2.3.4. I debiti chirografari.
8.2.4. La Categoria “Fornitori terzi”.
8.2.4.1. I debiti in prededuzione.
8.2.4.2. I debiti assistiti da prelazione
ipotecaria o pignoratizia.
8.2.4.3. I debiti assistiti da privilegio.
8.2.4.4. I debiti chirografari.
8.2.5. La Categoria “Fornitori Intercompany”.
8.2.5.1. I debiti in prededuzione.
8.2.5.2. I debiti assistiti da prelazione
ipotecaria o pignoratizia.
8.2.5.3. I debiti assistiti da privilegio.
8.2.5.4. I debiti chirografari.
8.2.6. La Categoria “Obbligazionisti”.
8.2.6.1. I debiti in prededuzione.
8.2.6.2. I debiti assistiti da prelazione
ipotecaria o pignoratizia.
8.2.6.3. I debiti assistiti da privilegio.
8.2.6.4. I debiti chirografari.
8.2.7. La Categoria “Dipendenti”.
8.2.7.1. I debiti in prededuzione.
8.2.7.2. I debiti assistiti da prelazione
ipotecaria o pignoratizia.
8.2.7.3. I debiti assistiti da privilegio.
8.2.7.4. I debiti chirografari.
8.2.8. La Categoria “Debiti tributari”.
8.2.8.1. I debiti in prededuzione.
8.2.8.2. I debiti assistiti da prelazione
ipotecaria o pignoratizia.
8.2.8.3. I debiti assistiti da privilegio.
8.2.8.4. I debiti chirografari.
8.2.9. La Categoria “Debiti verso Istituti
previdenziali”.
8.2.9.1. I debiti in prededuzione.
8.2.9.2. I debiti assistiti da prelazione
ipotecaria o pignoratizia.
8.2.9.3. I debiti assistiti da privilegio.
8.2.9.4. I debiti chirografari.
8.2.10. La Categoria “Ratei e risconti
passivi”.
8.2.10.1. I debiti in prededuzione.
8.2.10.2. I debiti assistiti da prelazione
ipotecaria o pignoratizia.
8.2.10.3. I debiti assistiti da privilegio.
8.2.10.4. I debiti chirografari.
8.2.11. La Categoria “Altri debiti”.
8.2.11.1. I debiti in prededuzione.
8.2.11.2. I debiti assistiti da prelazione
ipotecaria o pignoratizia.
8.2.11.3. I debiti assistiti da privilegio.
8.2.11.4. I debiti chirografari.
8.2.12. La Categoria “Fondo Rischi”.
8.2.12.1. I debiti in prededuzione.
8.2.12.2. I debiti assistiti da prelazione
ipotecaria o pignoratizia.
8.2.12.3. I debiti assistiti da privilegio.
8.2.12.4. I debiti chirografari.
8.2.3. Sintesi.
9. Valutazione della Proposta di Concordato
e delle garanzie offerte ai creditori.
9.1. Il Piano Concordatario rettificato.
9.2. Le percentuali di soddisfacimento dei
creditori.
9.2.1. Considerazioni sulle variazioni di cash
in e di cash out.
9.2.2. Le rettifiche sulle percentuali di
soddisfacimento dei creditori chirografari.
9.2.3. Precisazioni ulteriori.
10. Conclusioni.
2.4. I soggetti
consultazione.
legittimati
alla
La relazione del commissario è depositata in
cancelleria e trasmessa, a cura del
commissario giudiziale, a tutti i creditori.
2.5.
L’orientamento
giurisprudenza.
della
Si riportano, di seguito, alcune massime
giurisprudenziali
sulla
relazione
del
commissario:
Il Commerci@lista Economia e Diritto

Cass. S.U. 23 gennaio 2013, n.
1521. Affinché i creditori possano
esprimere il giudizio loro riservato
sulla convenienza economica della
proposta
di
concordato,
concorrendo così a garantire il
giusto esito della procedura, è
necessario che essi ricevano una
puntuale informazione circa i dati,
le verifiche interne e le connesse
valutazioni, incombenti, questi, che
assumono un ruolo centrale nello
svolgimento della procedura ed ai
quali
debbono
provvedere
dapprima
il
professionista
attestatore (rispetto al quale il d.l.
83 del 2012, oltre a sottolinearne la
necessaria
indipendenza,
ha
introdotto pesanti sanzioni nel
caso di falsità nelle attestazioni o
nelle relazioni), in funzione
dell’ammissibilità al concordato, e
successivamente il commissario
giudiziale prima dell’adunanza dei
creditori ai fini del voto.
 Cass. 25 ottobre 2010, n. 21860.
Dalla complessa attività che nel
nuovo concordato preventivo la
legge demanda al commissario
giudiziale si ricava che questi è
l’organo cui è affidato il compito di
garantire che i dati sottoposti alla
valutazione dei creditori siano
completi, attendibili e veritieri, così
che gli stessi possano decidere con
cognizione di causa sulla base di
elementi che corrispondono alla
realtà.
L’attribuzione
al
commissario giudiziale del compito
di mettere in condizione i creditori
di esprimere in relazione alla
proposta di concordato un
consenso informato e non viziato
da una falsa rappresentazione della
realtà ed il fatto che allo stesso sia
a tal fine richiesto l’espletamento di
numerose indagini che possono
richiedere anche l’ausilio di esperti
(che richiederebbero al tribunale,
se espletate in sede di ammissione
al concordato, una complessa e
non prevista istruttoria), porta ad
escludere che il tribunale, in detta
sede, possa estendere il suo
sindacato all’accertamento della
veridicità dei dati aziendali.

Cass. 25 ottobre 2010, n. 21860. Se
è vero che la veridicità dei dati aziendali
deve essere garantita soprattutto dal
commissario giudiziale, sulla base della
documentazione prodotta dal debitore, sarà
allora compito del tribunale verificare che la
relazione sulla situazione patrimoniale,
economica e finanziaria dell’impresa sia
aggiornata e che contenga effettivamente
una dettagliata esposizione della situazione
ottobre 2016 - p. 13
patrimoniale, economica e finanziaria; il
tribunale dovrà altresì verificare che lo stato
analitico ed estimativo delle attività possa
considerarsi tale e che la relazione del
professionista attestante la veridicità dei dati
aziendali e la fattibilità del piano sia
adeguatamente motivata con indicazione
delle verifiche effettuate, della metodologie
e dei criteri seguiti per pervenire
all’attestazione di veridicità dei dati aziendali
ed alla conclusione di fattibilità del piano.
Solo in tal modo il commissario giudiziale
potrà essere messo in condizione di valutare
criticamente detta documentazione e
conseguentemente elaborare una relazione
idonea a rendere possibile, da parte dei
creditori chiamati a votare la proposta, la
percezione quanto più esatta possibile della
realtà imprenditoriale, della natura e delle
dimensioni della crisi e di come la si intenda
affrontare. Il compito del tribunale si
sostanzia pertanto nel controllo, nei termini
indicati, della documentazione allegata al
piano, non potendo sovrapporsi alla
valutazione di fattibilità contenuta nella
relazione del professionista e senza che
possa effettuare accertamenti in ordine alla
veridicità dei dati aziendali che la legge
riserva esclusivamente al commissario
giudiziale, reagendo alla mancanza di
veridicità con il prevedere, su denunzia
obbligatoria da parte del commissario
giudiziale, la sanzione della immediata
revoca del concordato.
BIBLIOGRAFIA
GIURISPRUDENZA
Cass. 25 ottobre 2010, n. 21860, in www.ilcaso.it.
Tribunale Milano 18 gennaio 2011, in www.ilcaso.it.
Appello Ancona 20 gennaio 2011, in www.ilcaso.it.
Cass. S.U. 23 gennaio 2013, n. 1521, in www.ilcaso.it.
Tribunale Catania 25 gennaio 2014, in www.ilcaso.it.
DOTTRINA
S. LAPPONI, La relazione ex art. 33 legge fallimentare, in
www.odcec.cl.it/.
Gruppo di Lavoro ODCEC di Modena (M. GRANA
CASTAGNETTI - L. ALTOMONTE - E. BURANI - M. DE
LILLO - S. DONNICOLA - C. QUARTIERI - C. VACCARI E. ADANI), Il commissario giudiziale. Poteri e funzioni nel
concordato con cessioni di beni, in www.commercialisti.mo.it/.
*Professore aggregato di Diritto Commerciale presso
l’Università di Torino, ODCEC di Torino
**Professore a contratto di Diritto Commerciale
presso l’Università di Torino, ODCEC di Torino
dalla Professione
IL SIC E LA LIBERA
PROFESSIONE
*
DI STEFANO SFRAPPA
Il Sindacato italiano Commercialisti si
presenta con piacere per la prima volta a
questa “vetrina” informativa telematica,
formata da saperi, da Colleghi, da esperienze
e testimonianze. Ho conosciuto soltanto di
recente il Direttore Responsabile Domenico
Calvelli ed il “leitmotiv” della breve
conversazione
telefonica
è
stato
“inclusione”. Mi piace tale rivista pluralista
che accoglie
la voce di tutti, senza
preclusioni o pregiudizi, perché il bello di
una comunità (come anche quella dei
Commercialisti) è proprio l’insieme delle
opinioni, dei contributi dei diversi centri di
interesse, sigle sindacali etc. Insieme, come
in un coro vocale, si può dar vita ad una
ricca sinfonia che certamente arricchisce il
nostro patrimonio di conoscenze e relazioni.
Il Sindacato italiano Commercialisti che ho
l’onore di rappresentare pro-tempore, vuole
essere parte di questo “coro”. Nel nostro
sito, che vi invitiamo a visitare, c’è la nostra
storia fatta di iniziative, proposte e denunce,
particolarmente contro la burocrazia ed una
modalità sempre più difficoltosa (e
pericolosa!) di esercizio della nostra “libera”
(?) professione che da troppo tempo si sta
affermando (vedi ad esempio sanzioni
pesantissime per violazioni formali in
materia di antiriciclaggio). La stessa pagina
Facebook dedicata al SiC si è nel tempo
arricchita di visualizzazioni e contributi,
ultimo dei quali sulla “escapologia”, termine
del quale fino a poco tempo fa si ignorava
l’esistenza.
Vogliamo continuare ad essere autonomi
cercando di coinvolgere il maggior numero
di Colleghi da tutta Italia spersonalizzando
quanto più possibile cariche e ruoli.
In questa prospettiva abbiamo in più
occasioni ripetuto che “il SiC aiuta a sentirsi
meno soli” in questo periodo di difficoltà
della nostra economia e conseguentemente
della nostra professione che certamente
dovrà essere declinata secondo nuovi canoni
e modelli.
Continueremo a vigilare e ad offrire spunti
per provare a lavorare meglio, ed anche in
questo periodo di “elezioni” vogliamo
offrire al nuovo Consiglio Nazionale stimoli
e proposte da portare avanti nell’interesse
supremo della Categoria, come ad esempio
sul tema della riforma del Contenzioso
Tributario sul quale ci siamo impegnati
molto.
Grazie al direttore Calvelli per l’apertura
collaborativa ed alla Collega Ida Dominici
che ci ha messo in relazione.
*Presidente nazionale del
Sindacato Italiano Commercialisti
Il Commerci@lista Economia e Diritto
UNA PROFESSIONE MATURA
*
DI DOMENICO CALVELLI
Assistiamo sempre più spesso, sui media, a
notizie che riguardano “marachelle” tributarie da parte di alcuni “vip” e, regolarmente,
viene attribuita la colpa di tutto al commercialista di turno, presunto reo di aver architettato dolosamente e scientemente illegali
vie di fuga fiscali a favore del cliente. Ecco,
l’immagine che il lettore ne trae non è propriamente edificante: il commercialista appare un professionista delle violazioni di
Legge, un vero fiancheggiatore dell’illegalità.
Niente di più falso! Le generalizzazioni e la
cattiva informazione di fatto travisano la
realtà e fanno apparire le pochissime mele
marce come se fossero la maggioranza dei
professionisti. Se si approfondisce appena
un poco cosa significa esercitare la professione di commercialista, si può verificare che
si tratta di una delle professioni più complesse del panorama internazionale, immersa
in un contesto di estrema oscurità giuridica,
minato spesso da un metodo di legiferazione
confuso e contraddittorio. Nonostante questo, il commercialista opera come vera e
propria catena di trasmissione tra il pubblico
ed il privato, ponendo a contatto queste due
facce della medesima medaglia e cercando
da un lato di difendere le legittime ragioni
del cliente, dall’altro di diffondere nel sistema una cultura di legalità sostanziale (a
volte ahimè diversa da una legalità vuotamente formale, spesso invocata in alcuni
contesti).
Accusare il commercialista, inteso come figura professionale, di essere la causa di
molti mali della società equivale ad accusare
un avvocato delle stesse colpe del cliente
che egli difende in sede penale; si tratta della
sovversione della verità.
I numerosi tavoli di lavoro che la categoria
dei commercialisti, sia a livello locale che
nazionale, ha sollecitato e realizzato insieme
alla Pubbliche Amministrazioni dimostrano
abbondantemente che la volontà è quella, da
molto tempo, di raggiungere insieme un
obiettivo comune, che soddisfi in equità,
giustizia e legalità sia i cittadini e le imprese
sia gli organi dello Stato e delle altre amministrazioni.
Va compreso che il rispetto della natura libero-professionale dei commercialisti è un
valore fondamentale per la società e torna a
vantaggio di tutti. Non è condivisibile l’idea,
che a volte riemerge anche in certe norme,
ottobre 2016 - p. 14
di trasformare il professionista (e qui il discorso vale per moltissime altre figure) in un
pubblico ufficiale dedito al controllo della
legalità e del sistema, come nella contorta ed
inadatta normativa antiriciclaggio (inadatta
perché nata per le grandi strutture finanziarie e paracadutata dall’ordinamento comunitario a quello nazionale senza nessun criterio dimensionale logico e pratico). Si pensi al
caso della cattiva (ed illegittima) interpretazione sulla rilevanza, quali operazioni di valore indeterminabile, delle attività di tenuta
della contabilità; essendo la tenuta della
contabilità,
sempre
e
comunque,
un’operazione a posteriori (a volte molto a
posteriori a causa della consegna tardiva dei
documenti), non si capisce a che serva
adempiere ad obblighi antiriciclaggio
quando i fatti si sono verificati da molti mesi
(se non dopo un anno…). Del resto se si
propose, a suo tempo, di esonerare
l’Agenzia delle Entrate, che è una Pubblica
Amministrazione, dalla segnalazione di operazioni sospette in occasione della colossale
operazione della voluntary disclosure, non si
comprende come invece il commercialista
(soggetto privato) debba essere caricato di
adempimenti, tipicamente pubblicistici, degni di Sisifo ed inadatti alla struttura degli
studi.
Si comprenda alfine che il commercialista,
nei confronti del proprio cliente, ha un rapporto di consulenza e di assistenza, non
certo di simbiosi.
Ed è in quest’ottica che il commercialista si
muove, come anello di un’utile catena volta
al bene comune.
IL COMMERCI@LISTA®
Piazza Vittorio Veneto
13900 Biella
Testata iscritta al Registro Stampa del
Tribunale di Biella al n. 576
ISSN 2531-5250
© tutti i diritti riservati
Direttore responsabile
Domenico Calvelli
Redattore capo
Alfredo Mazzoccato
Redattore capo area lavoro
Martina Riccardi
Redattore capo area tributaria
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Roberto Cravero
Redattore capo area economia aziendale
Alberto Solazzi
Redazioni di Biella, Roma ed Alessandria
I contenuti ed i pareri espressi sono da considerarsi
opinioni personali degli autori e debbono pertanto
ritenersi estranei all’editore, al direttore, alla
redazione ed agli organi della testata, che non ne
sono in alcun modo responsabili.
L’editore non ha alcun rapporto contrattuale con gli
autori, che contribuiscono in forma del tutto liberale
con l’invio occasionale di propri articoli o lavori.
La redazione si riserva di modificare e/o
abbreviare.
Poiché i contributi ed il lavoro di impaginazione
sono effettuati su base volontaria, saranno sempre
gradite segnalazioni di eventuali refusi o riferimenti
inesatti.
*Presidente ODCEC di Biella
FONDAZIONE DEI DOTTORI
COMMERCIALISTI E DEGLI
ESPERTI CONTABILI DI BIELLA
Fondazione Italiana di Giuseconomia
ADC
COMITATO SCIENTIFICO
Associazione dei
Dottori Commercialisti e
degli Esperti Contabili
Sindacato Nazionale
Unitario
Il Commerci@lista Economia e Diritto
ottobre 2016 - p. 15
INDICE
PAG. 1
ART. 120 DEL T.U.B. E DELIBERA
CICR 3 AGOSTO 2016: IL “NUOVO”
ANATOCISMO BANCARIO
DI MAURIZIO GIUSEPPE GROSSO E
SERENA GIORDANO
PAG. 2
VALORE PROCESSUALE DELLE
DELAZIONI ANONIME: IL PUNTO
DELLA GIURISPRUDENZA
DI MARCO CARROZZINO
PAG. 3
con la collaborazione di:
- Coordinamento Interregionale degli ODCEC di
Piemonte e Valle d’Aosta
- UN.I.CO. Unione Italiana Commercialisti
- Comitato Scientifico Gruppo ODCEC Area
Lavoro
- CIDT Centro Internazionale Diritto Tributario
- AIPGT Associazione Italiana Professionisti
Giustizia Tributaria
- Affidavit Commercialisti®
- AIDC Associazione Italiana Dottori
Commercialisti ed Esperti Contabili
- ADC Associazione dei Dottori Commercialisti
e degli Esperti Contabili, Sindacato Nazionale
Unitario
- SIC Sindacato Italiano Commercialisti
- Ordine dei Dottori Commercialisti e degli
Esperti Contabili di Biella
- Fondazione dei Dottori Commercialisti e degli
Esperti Contabili di Biella - Fondazione Italiana
di Giuseconomia
- Alberto Galazzo
- Silvano Esposito
- UPBeduca - Università Popolare Biellese
- Giornale Il Biellese
- Unione Giovani Dottori Commercialisti ed
Esperti Contabili di Biella
- Unione Italiana Commercialisti di Biella
- Associazione Biellese Dottori Commercialisti
LA TASSAZIONE DEI REDDITI DA
FABBRICATI POSSEDUTI DA
PERSONE FISICHE IN FRANCIA
NELLA NORMATIVA FISCALE
FRANCESE
DI SIMONA TEMPIA
PAG. 5
IL PRINCIPO DEL VOTO SINGOLO
PER LE ASSOCIAZIONI
DI ANNARITA BERTOLO
LA RIFORMA DEL CONTENZIOSO
UN ANNO DOPO
DI LUCA MARIOTTI
PAG. 6
IL FALLITO E L’ACCESSO AL
LAVORO DIPENDENTE TRAMITE
IL COLLOCAMENTO:
PROBLEMATICHE E RICHIESTA DI
POSSIBILI SOLUZIONI
DI GIUSEPPE CANIGGIA
IL VALORE DELLE NORME DELLO
STATUTO DEL CONTRIBUENTE
NELLA GERARCHIA DELLE FONTI
DI MARCO MANFREDI
PAG. 8
L’ETICHETTA DEI PRODOTTI DI
MODA: SERVE UNA REVISIONE
DELLA NORMA
DI MASSIMO TORTI
L’AVVOC@TO®
rivista di cultura giuridica
PAG. 10
Affidavit Commercialisti
®
LE RELAZIONI DEL CURATORE E
DEL COMMISSARIO GIUDIZIALE:
CRITERI DI REDAZIONE
DI LUCIANO M. QUATTROCCHIO E
BIANCA M. OMEGNA
PAG. 13
Università Popolare Biellese
per l’educazione continua
giornale
IL SIC E LA LIBERA PROFESSIONE
DI STEFANO SFRAPPA
PAG. 14
UNA PROFESSIONE MATURA
DI DOMENICO CALVELLI
ORDINE DEI DOTTORI
COMMERCIALISTI E DEGLI
ESPERTI CONTABILI DI BIELLA
Redattori
Stefania Angelicchio, Stefania Balle, Carlo
Barbera Audis, Filippo Maria Baù, Pier Camillo
Baù, Daniele Beltrami, Vittorio Bertinetti,
Annarita Bertolo, Monica Bettinelli, Lauro
Bigliocca, Alessandro Bonandini, Cristina Bortoli,
Ornella Bosco, Cristina Bracco, Massimiliano
Broglia Pilun, Paolo Brunero, Silvio Callegaro,
Pier Fortunato Calvelli, Maura Campra, Paolo
Carnero, Federico Castelli, Pietro Castelli,
Patrizia Cavagnetto, Elena Cavallero, Andrea
Ceccarelli, Enrico Ceccarelli, Andrea Cedolini,
Armando Cesa, Gianni Ciliesa, Elena Ciocchetti,
Donatella Collodel, Gabriele Colombera, Elena
Costanza, Stefano Cravero, Irene Crestani,
Corrado De Candia, Maria Luisa De Cia, Daniele
De Leo, Alessandro De Palma, Davide Di Russo,
Ida Dominici, Massimo Donatelli, Alberto
Fangazio, Antonio Federico, Aureliano Felletti,
Marina Femminis, Guido Fenaroli, Enrico
Ferraro, Andrea Ferrero, Francesco Fornaro,
Andrea Franciosi, Giorgio Gaido, Pierfrancesco
Galati, Debora Galluzzo, Paolo Garbaccio, Paolo
Gario, Enzo Germanetti, Mauro Girardi,
Riccardo Giusti, Michele Grandieri, Ombretta
Graziani, Paolo Gremmo, Alberto Grosso,
Maurizio Grosso, Carlo Guglielminotti Bianco,
Franco Ianutolo Gros, Massimo Iaselli, Vito
Jacono, Edoardo Lanza, Floreano Locatelli,
Gerardo Longobardi, Andrea Maffeo, Cristina
Maffeo, Gianni Maffeo, Carlo Maggia, Piero
Marchelli, Raffaella Marcone, Paola Patrizia
Mastria, Lorenzo Maula, Chiara Mazzarotto,
Paolo Mazzia, Gabriele Mello Rella, Adriano
Mello Teggia, Arrigo Merlo, Massimo Miani,
Aldo Milanese, Cesare Mombello, Fabio
Montalcini, Marina Moretti, Vittorio Moretti,
Alberto Mosca, Giorgio Mosca, Ugo Mosca,
Chiara Mossotti, Alessandro Muriess, Enzo
Mario Napolitano, Riccardo Nicolello, Manuela
Nicolo, Corrado Ogliaro, Pierangelo Ogliaro,
Emanuele Panza, Amedeo Paraggio, Massimo
Pelle, Cesare Piccardi, Gilberto Pichetto Fratin,
Marco Pichetto Fratin, Ugo Pollice, Massimo
Pollifroni, Domenico Posca, Stefano Pugno,
Guglielmo Quadrelli, Pier Carlo Riccardi,
Riccardo Righetti, Filippo Rimini, Vincenzo
Rizzo, Massimo Roberto, Marilena Romano,
Angelo Rota, Camillo Sacchetto, Ernesto Sacchi,
Luisa Santopietro, Roberto Scomazzon, Alessio
Slanzi, Francesca Sola, Massimo Sola, Alessandro
Solidoro, Fabrizio Soncina, Simona Tempia,
Gianpiero Terzoglio, Silvio Tosi, Corrado
Tropeano, Gabriella Tua, Marinella Uberti, Italo
Vannelli, Maura Zai, Alessandro Zanotti, Barbara
Zanotti, Marco Zoia
Comitato di redazione area lavoro
Bruno Anastasio, Paride Barani., Maurizio
Centra,
Cristina
Costantino,
Ermelindo
Provenzani, Marco Sambo, Graziano Vezzoni.
Banca Sella, Banca Patrimoni Sella & C. e Sella Gestioni
hanno siglato l’accordo con la UNIONE ITALIANA
COMMERCIALISTI, con la finalità di offrire servizi e prodotti
dedicati agli associati.
Banca Sella fonda da sempre il suo modo di fare Banca
nell’attenzione al Cliente e alle sue esigenze, che si
concretizza in una gamma di prodotti e servizi, capaci di
rispondere alle esigenze quotidiane.
Leader nel settore dei sistemi di pagamento, offre soluzioni
vantaggiose sulle diverse tipologie di POS e sulla
piattaforma e-Commerce Gestpay. A disposizione delle
aziende, anche un conto dedicato per gestire direttamente
online la propria attività.
Sella Gestioni SGR consente a tutti gli associati di
valorizzare i risparmi previdenziali aderendo ad
Eurorisparmio Fondo Pensione a condizioni agevolate.
Banca Patrimoni Sella & C. è la banca specializzata nella
gestione ed amministrazione dei patrimoni della Clientela
privata ed istituzionale. Da sempre offre attenzione costante
alle esigenze del Cliente anche grazie all’ampio ventaglio di
soluzioni, pensato per fornire una risposta personalizzata
per ogni necessità: gestioni patrimoniali in titoli e in fondi
selezionati tra i principali gestori internazionali, consulenza
sugli investimenti, servizio di collocamento O.I.C.R. e
prodotti assicurativi, servizio di ricezione e trasmissione
ordini sui mercati finanziari di tutto il mondo.
www.sella.it
www.sellagestioni.it
www.bancapatrimoni.it