Una chiesa esemplare: da Tessalonica a Roma? 1 Tessalonicesi 1

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Una chiesa esemplare: da Tessalonica a Roma? 1 Tessalonicesi 1
Una chiesa esemplare: da Tessalonica a Roma?
1 Tessalonicesi 1,1-2
Dimmi chi stai imitando e ti dirò chi sei. Può sembrare strano, ma in fondo è così. Tutti noi
pensiamo di essere originali, assolutamente unici e totalmente diversi dagli altri. In parte è
così, ma c’è un’altra faccia della medaglia. Siamo unici, certamente, ma stiamo sempre
imitando qualcuno o qualcosa. È da quando siamo nati che, osservando quello che fanno gli
altri, lo riproduciamo con varianti personali. Il bambino impara a comportarsi guardando e
imitando gli altri, in una interpretazione personale. Così è anche nella vita spirituale. Nascendo
di nuovo, impariamo le basi della vita cristiana guardando e imitando gli altri: un amico
credente che ci è vicino, la chiesa di cui diventiamo parte, la storia dentro cui entriamo. Imitare
non significa ripetere in modo meccanico ed impersonale, ma imparare e rielaborare in una
forma personale partendo da un modello già posto. Se volete l’apostolo Paolo direbbe così:
nella nostra natura siamo una qualche imitazione del primo Adamo; nella nuova natura
rigenerata da Dio imitiamo il secondo Adamo, il Signore Gesù. Nel primo e nel secondo caso,
stiamo comunque imitando qualcuno.
L’imitazione è un’arte. I grandi imitatori sono artisti che riescono a riprodurre un personaggio, i
suoi gesti, la sua postura, il suo modo di parlare, in modo da risultare simili, anche se non
perfettamente uguali. Gli imitatori comici sono quelli che imitano facendo ridere: da Alighiero
Noschese a Maurizio Crozza, dai Guzzanti fratello e sorella a Paola Cortellesi. Imitare è un
arte. Bisogna impararla bene, perché se si imita la persona sbagliata o la si imita in malo
modo, ci sono conseguenze serie.
La chiesa a Tessalonica era una giovane chiesa, da poco fondata. Gli inizi rocamboleschi di
questa chiesa sono descritti in Atti 17. Da subito la vita della chiesa era stata avventurosa,
rischiosa ed esposta a svariate prove. Era nata in una situazione di guerra. Ma da subito la
chiesa aveva dei punti di riferimento a cui guardare nel muovere i primi passi. Era una chiesa
aperta ad imitare al punto da essere diventata in breve tempo anche una chiesa che, a sua
volta, veniva imitata da altre chiese. Vediamo proprio questi due punti centrali.
1. Una chiesa che sceglie chi imitare
La chiesa era nata nella casa di Giasone che aveva dato ospitalità al gruppo di credenti che si
era formato. Lì ci fu l’imprinting della chiesa, la prima esposizione a modelli nuovi e diversi di
vita personale e comunitaria. Paolo dice che la chiesa ebbe tre modelli.
Il primo è Dio stesso. Voi siete diventati imitatori del Signore (6). Si erano convertiti dagli idoli
a Dio e questa conversione si era manifestata immediatamente nella decisione di smettere di
imitare gli idoli e di iniziare a imitare il Signore. Era stata loro predicata la Parola di Dio e
questa parola aveva abbattuto le false e inutili imitazioni e aveva iniziato a costruire le nuove
e vitali imitazioni. Cosa imitavano di Dio? Imitavano gli attributi comunicabili del Signore:
bontà, amore, santità, giustizia. Ad esempio, in 4,9 dice che avevano imparato ad amarsi
imparando da Dio. Dio li amava e, avendo loro conosciuto il Dio d’amore, loro imitavano Dio
amandosi gli uni gli altri. Da dove avrebbero imparato ad amare? Imitando Dio. Questo fu
l’inizio della loro vita di chiesa, ma questo cammino di imitazione sarebbe stato anche il
proseguimento della loro vita insieme. Non avrebbero mai finito di imparare ad imitare Dio.
Così è anche per noi come persone e come chiesa?
Chi stiamo imitando? O stiamo imitando gli idoli, le brutte copie di pretendenti sconfitti e
tristi, o stiamo imitando Dio. Per questo vogliamo conoscere Dio: affinché conoscendolo
sempre più possiamo imitarne gli attributi che sono comunicabili ed essere trasformati di
conseguenza. Una chiesa che non è impegnata in un intenzionale cammino di crescita nella
conoscenza di Dio per imitarlo è una chiesa destinata a spegnersi nel proprio triste declino.
Se non hai ancora conosciuto Dio, stai ancora scimmiottando idoli imbarazzanti. Solo Dio è il
modello per imparare a vivere veramente e pienamente.
Paolo però va oltre e dice che, oltre ad imitare Dio, la chiesa di Tessalonica aveva anche
imitato lui stesso (6). Siete stati imitatori nostri: di Paolo e Silvano. Gli uomini di cui Dio si era
servito per portare l’evangelo in città erano stati modelli anche loro. Imperfetti ma anch’essi
reali. Paolo non ha nessuna presunzione e non rivendica alcuna infallibilità: riconosce soltanto
che la vita cristiana, mentre viene esposta all’imitazione di Dio, vede nelle persone più avanti,
più mature, più profonde, dei modelli a cui guardare e da imitare. La chiesa ha bisogno di
guardare a chi è più avanti e Paolo sa quanto sia importante per i credenti avere modelli da
imitare. Per questo, senza esaltare nessuno, la chiesa ha bisogno di guide, anziani, diaconi,
che imitano il Signore per spronare tutti a fare altrettanto.
Paolo dice anche che la chiesa di Tessalonica aveva anche un altro modello da imitare: si
tratta delle chiese della Giudea (2,14). Imitano Dio, imitano le guide, imitano le chiese sane. Le
chiese della Giudea erano chiese già stabilite e stabilizzate che, tra l’altro, non erano state
fondate da Paolo. A Tessalonica subito Paolo parlò dell’esistenza di altre chiese già attive e a
cui guardare per imparare. I nuovi credenti dovevano sapere di non essere né i soli, né i primi,
né gli unici a credere. C’era una rete di chiese a cui guardare. A Tessalonica Paolo non
predicò un cristianesimo localistico e tribale, ma una fede ecclesiale e cattolica, cioè
universale. Ogni chiesa dovrebbe avere altre chiese a cui guardare per imparare, essere
spronati, ricevere ispirazione e direzione. Paolo non prova alcun imbarazzo a presentare se
stesso e le chiese che lui non aveva fondato come modelli. Proviamo imbarazzo noi?
Imitare non significa fare esattamente le stesse cose, ma in quello che si fa rendere
riconoscibile la persona e la chiesa che si imita nel proprio contesto vitale. Siamo pronti ad
imparare, capaci di mettersi in discussione, aperti a cambiare secondo modelli sani? La chiesa
che non ha modelli a cui guardare diventa una chiesa auto-referenziale ed avvitata su sé
stessa. Noi vogliamo essere una chiesa che sceglie intenzionalmente di imitare Dio, le
persone che Dio ha suscitato e le chiese che hanno dato buona testimonianza all’evangelo.
Vogliamo guardare in alto, guardarci dentro, ma anche attorno e dietro per imparare da chi ci
ha preceduto e che combatte il buon combattimento della fede. Come giovane chiesa,
vogliamo essere imitatori di modelli sani per maturare e crescere in modo sano.
2. Una chiesa che può essere imitata
Imitare non è mai un processo chiuso e fine a sé stesso. Chi imita modelli sani diventa a sua
volta modello per altri. La chiesa di Tessalonica era una giovane chiesa attraversata da molte
prove e segnata da molte precarietà. Era però aperta ed interessata a imparare imitando Dio,
Paolo e le chiese più esperte. Grazie a questa disposizione affamata di Dio e appassionata di
vita in poco tempo era a sua volta diventata un esempio per altre chiese. “Siete diventati un
esempio per tutti i credenti della Macedonia e dell’Acaia” (7). Era diventata un modello
regionale. Le chiese della regione guardavano a Tessalonica come ad una chiesa da imitare.
Il circolo virtuoso dell’imitazione cristiana aveva raggiunto Tessalonica ma, da Tessalonica,
stava contagiando nel bene altre chiese. Quello che succedeva a Tessalonica incoraggiava la
Macedonia e l’Acaia. C’era un effetto domino.
Chi imita diventa imitabile. Chi impara da altri diventa un esempio per altri. Questa è la
catena dinamica dell’evangelo. Chi è connesso riceve e dà. Diventa un anello che beneficia
da chi è già ben inserito e benedice chi è da poco collegato. Se non si imita nessuno tutto
si ferma lì. Se non si è impegnati ad imparare ci si inaridisce e non si è di benedizione per
altri.
Tessalonica era già un modello regionale, ma la fama di quello che stava succedendo lì si era
sparsa “in ogni luogo” (8). Il modello di Tessalonica stava andando oltre la regione vicina e
stava positivamente impattando la chiesa intera. Quanto la nostra chiesa è di benedizione per
altre chiese? Quanto desideriamo che la nostra chiesa possa diventare un esempio per le
chiese della città, della regione, della nazione? Quanto vogliamo che la nostra chiesa sia nella
rete virtuosa dell’evangelo che riceve e dà, che impara e incoraggia, che imita ed è imitata?
Non per vanagloria, non per vanità umana, ma per illustrare la potenza di Dio che ci ha
convertiti dagli idoli alla verità dell’evangelo. Dio ci guardi dall’essere chiesa che non ha
questa ambizione. Solo chi imita bene e gli esempi giusti può diventare a sua volta modello
per altri. Questo è l’effetto cumulativo dell’evangelo; questo è il fattore di moltiplicazione
dell’influenza dell’evangelo. Non ci accontentiamo solo di succhiare dagli altri, ma preghiamo
anche di poter dare quello che abbiamo ricevuto. Voglia il Signore mettere in movimento le
aspirazioni sane e metter in circolo energie vitalizzanti per rendere le nostre chiese
discepolate e discepolanti. Per la gloria di Dio soltanto e l’impatto dell’evangelo nel nostro
Paese.
Leonardo De Chirico