don vito: “io, dell`utri e berlusconi figli della stessa lupa”

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don vito: “io, dell`utri e berlusconi figli della stessa lupa”
Confindustria tuona contro la “sbalorditiva” evasione
fiscale. Perché allora non caccia chi fa il furbo con le tasse?y(7HC0D7*KSTKKQ(
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Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009
Sabato 18 settembre 2010 – Anno 2 – n° 246
Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma
tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230
DON VITO: “IO, DELL’UTRI E BERLUSCONI
FIGLI DELLA STESSA LUPA”
C
Ecco l’appunto inedito con cui Ciancimino padre rivela
Come s’offrono
di Marco Travaglio
i rapporti finanziari con l’attuale premier e la mafia
Nell’appunto
consegnato ai Pm
di Palermo, l’ex
sindaco si lamenta:
“Apparteniamo
allo stesso sistema,
ma abbiamo subito
trattamenti diversi
per motivi
geografici”.
Il ruolo di Dell’Utri
Lillo pag. 3 z
L’uomo con la pistola
Silvio Berlusconi, in una foto di Alberto
Roveri del 1977: sul tavolo una pistola
(FOTO PUBBLICATE DA L’ESPRESSO)
SCUOLA LEGHISTA x Lettera con 185 firme contro i simboli del Carroccio
ADRO, LA RIVOLTA DEI GENITORI
Messaggio alle istituzioni perché intervengano: “Vi chiediamo se tale
ostentazione sia compatibile con i valori della Costituzione”. Appello
del Fatto: già 30 mila firme. Adesione dei gruppi parlamentari Pd e Idv
pag. 9 z
(FOTO ANSA)
Udi Bruno Tinti
LO STATO
E LA “ROBA”
DEI PADANI
in Adro c’è il Polo scolaCè il osìstico
Gianfranco Miglio; non
massimo come personaggio
cui intitolare una scuola. Sembra che l’ispiratore di Bossi, sostenesse sugli extracomunitari:
“Non vanno mischiati gli schiavi e gli europei”.
pag. 22 z
Udi Marco Politi
AUTOLESIONISMI x
Liti e minacce di scissione
IL PAPA
MINACCIATO
E BRACCATO
Ce la farà
il Pd
a sopravvivere
fino al 2011?
pag. 2 - 3 z
terrorismo scuote il
L’XVI.allarme
pellegrinaggio di Benedetto
Scotland Yard ha arrestato
Pier Luigi Bersani (FOTO DLM)
ieri mattina gli attentatori. Gli
agenti sono piombati alle 5 e 45
in un negozio di Londra, dove i
cinque netturbini cominciavano
il turno di lavoro.
pag. 17 z
nincontro nazionale Idv
Di Pietro a Grillo:
“Ora basta proteste
serve l’alternativa”
Marra pag. 6z
(FOTO ANSA)
nbavagli
Annozero
siamo alle solite
Masi ferma lo spot
Mello e Tecce pag. 7z
CATTIVERIE
Marina Berlusconi si prepara a
entrare in politica. Quando i figli
ricadono sulle colpe dei padri
www.spinoza.it
nafghanistan
Militare italiano
ucciso alla vigilia
del voto
Gramaglia pag. 15z
onfessando, negandola, la compravendita di
senatori, il Cainano aggiunge un capitolo alla
lunga tradizione del trasformismo nazionale.
Ma ogni epoca ha i trasformisti che si merita.
Oggi ci meritiamo l’onorevole Francesco Nucara da
Mosorrofa (Reggio Calabria). Nessuno lo sa, ma entrò
in Parlamento nel lontano 1983 col Pri all’epoca
guidato da Spadolini, nella sua veste di galoppino di
Giorgio La Malfa, figlio d’arte. Oggi, sempre
all’insaputa dei più, del Pri è addirittura il segretario
nazionale. La Malfa lo accusa di trasformismo e lui
accusa di trasformismo La Malfa. Hanno ragione
entrambi. Nel ’94 La Malfa imputava a B. le peggiori
nequizie, poi naturalmente si alleò con lui, nel 2005
divenne addirittura ministro del governo Berlusconi-2
e nel 2008 fu rieletto nelle liste del Pdl. “Qualche
tempo fa – racconta il Nucara a La Stampa – Giorgio mi
disse: Francesco, dobbiamo entrare nel Pdl e
inseminarlo di cultura laica. Gli risposi con schiettezza:
a 70 anni non me la sento di inseminare nessuno”.
L’inseminazione fallì e La Malfa si avvicinò all’Api di
Rutelli, forse per entrare in clandestinità. Nucara
invece restò lì nel limbo, cioè all’asta, in attesa di una
chiamata. E la chiamata arrivò alcune settimane fa,
quando B. si fece vivo e l’incaricò di racimolare una
trentina di voltagabbana disposti a votargli l’impunità
al posto dei riottosi finiani. Il Nucara si era appena
messo al lavoro, quando B., incontinente come molti
coetanei, annunciò urbi et orbi che Nucara aveva fatto il
miracolo: “Abbiamo un Gruppo di Responsabilità
Nazionale di almeno 20 deputati estranei al Pdl pronti
a votare la fiducia”. Mise in giro anche i nomi. I quali,
salvo due o tre, smentirono: alcuni avevano rifiutato le
avances, altri stavano ancora trattando sul prezzo, altri
manco sapevano chi fosse Nucara. Un disastro.
Soprattutto d’immagine, per il Grande Compratore. Ai
bei tempi c’era la ressa, sotto Palazzo Grazioli, e non
solo di escort: chi era pronto a vendersi gratis, chi
addirittura – per dirla con Victor Hugo – avrebbe
pagato per vendersi. Ora non si fan comprare
nemmeno per un ministero, figurarsi per un
sottosegretariato. Il Cainano, vecchio piazzista, ha
provato ad aggiungere un mutuo-casa a tasso zero e
una batteria di pentole al teflon, ma niente da fare. Il
Nucara l’ha presa con filosofia: “Mi stanno chiamando
tutti, anche chi prima non mi filava mai”, ha confidato
a Libero. “Chi l’avrebbe detto che sarei diventato
famoso a 70 anni? C’è perfino chi mi riconosce per
strada. Una sensazione nuova, non sono abituato. Ma
sono contento, perché magari qualche ragazzo di 20
anni scoprirà l’esistenza del Partito repubblicano”.
Dopodiché, appena scoperto che i repubblicani sono
partiti da Mazzini e sono arrivati a Nucara, correrà a
iscriversi. Schivo e riservato, il Nucara precisa
comunque che il suo compito non era proprio quello
di comprarli, i deputati: a quello pensava B. in
persona: “Da me ha voluto più che altro consigli su chi
contattare, diciamo che mi ha usato come
consulente”. Ecco, lui forniva i consigli per gli acquisti,
“ma poi credo che i singoli deputati li abbia contattati
il premier personalmente”. Uno che nemmeno
Nucara aveva segnalato, ritenendolo una causa persa,
è Massimo Calearo, il memorabile figlio di mammà
vicentino, già presidente di Federmeccanica, scovato
nel 2008 da quel genio di Veltroni per fare, nelle liste
del Pd, la parte del “giovane imprenditore” (ha solo 55
anni). Fu addirittura eletto come capolista nel
Veneto-1, poi l’anno scorso scoprì di “non essere mai
stato di sinistra” e lasciò il partito. Ma non,
naturalmente, il seggio. Ora “attende una chiamata”.
Nel senso che è pronto a “non fare mai mancare il mio
voto a Berlusconi”. E non solo, potrebbe addirittura
diventare ministro dello Sviluppo economico:
“Proposte ufficiali non ne ho avute, ma se son rose
fioriranno”. Guai però a dargli del voltagabbana.
Questo no, sarebbe troppo. Lui è un veltroniano
coerente: del Pd, ma anche del Pdl.
pagina 2
Sabato 18 settembre 2010
Attentato contro
il sindaco di Niscemi:
“Non mi fermeranno”
di Ferruccio Sansa
lick, primo scatto: ritratto di imprenditore con revolver sulla scrivania. Click, eccolo con Marcello
Dell’Utri. Click, il capitano di industria è accanto a Franco Di Bella, direttore del Corriere della Sera, iscritto alla
P2. Indovinate: chi è l’uomo con la pistola? Silvio Berlusconi. Sono immagini
in bianco e nero, scattate nel 1977 dal
fotografo Alberto Roveri. Scatti saltati
fuori dall’archivio e pubblicati
sull’Espresso. Sono passati più di
trent’anni da quando Roveri si trovò faccia a faccia con Berlusconi negli uffici
dell’Edilnord, la società che sul mattone
ha costruito le prime fortune del Cavaliere. Oggi quelle immagini hanno un
valore unico: raccontano la nascita della
Milano da bere, il passato e le amicizie
scomode dell’uomo più potente d’Italia. Un mix di pistole, frequentazioni criminali, mattone e canzonette.
Roveri racconta: “Berlusconi tirò fuori
dal cassetto due pistole, una per sé e una
per l'autista. ‘Ha idea di quanti industriali vengono rapiti?’, si giustificò. Poi salimmo su una Mercedes che definì blindatissima”.
La 357 Magnum è facile da spiegare. Più
complesso sarebbe raccontare l’amicizia trentennale con Dell’Utri: nelle foto
sono poco più che ragazzi, con le basette, i capelli non ancora tinti e il riporto. Uno strettissimo legame fin dal
1974. Marcello era anche amministratore della villa di Arcore in cui fu accolto
come stalliere Vittorio Mangano, arrestato come assassino di Cosa Nostra.
Trentatré anni dopo Dell’Utri sarà condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. “I fatti contestati sono
precedenti al 1992, alla nascita di Forza
Italia”, riuscirono a gioire i maggiorenti
del Pdl. Ma le foto implacabili ricordano
che anche il legame tra Silvio e Marcello
è precedente al 1992.
Ecco il mondo che il Cavaliere vorrebbe
dimenticare. Lui, “uomo nuovo della
politica”, ma iscritto alla loggia di Licio
Gelli e frequentatore di Franco Di Bella,
il direttore che portò la P2 in via Solferino. Lui, lontano dal “teatrino della politica”, ma cresciuto sotto l’ala dei socialisti. Click, foto con Carlo Tognoli, il sindaco della Milano da bere. Le uniche immagini che Silvio forse vorrebbe salvare
sono quelle con l’inconsapevole Bruno
Lauzi. Con Mike Bongiorno. E quegli
scatti mentre canta con stivaletti e doppiopetto. Dallo sguardo di ghiaccio già
allora gli avresti pronosticato un brillante avvenire. Da chansonnier.
C
A
COSE LORO
ttentato incendiario contro il sindaco
di Niscemi: l’auto di Giovanni Di
Martino, 50 anni, esponente del Pd e a
capo di una giunta di centrosinistra dal 2007, è
stata data alle fiamme sotto la sua abitazione. Di
recente il primo cittadino aveva ottenuto la
convocazione del Comitato per l'ordine e la
sicurezza pubblica per fermare l'escalation di
attentati che aveva interessato il Comune nisseno.
Di Martino aveva anche lanciato un appello
affinchè imprenditori, commercianti e
professionisti si ribellassero alla criminalità
organizzata e venisse costituita a Niscemi
un'associazione antiracket. “Non ci lasceremo
intimidire – ha commentato ieri – continueremo
ad amministrare all'insegna della trasparenza e per
ALBUM
Basette, amici,
pistole e P2:
il mondo di B.
affermare la legalità nel nostro territorio”. Al
sindaco è giunta la solidarietà del Pd e del
presidente siciliano Lombardo. “Quanto accaduto
a Niscemi è il segnale tangibile che la bonifica dei
territori da parte di amministratori onesti e
trasparenti si contrappone alla mafia”, ha detto
l’eurodeputata Rita Borsellino. Nei prossimi giorni
la commissione regionale antimafia sarà a Niscemi.
Immagini
in bianco
e nero della
Milano
degli anni
Settanta
Il rampante
imprenditore
studia da
Caimano
Da Dell’Utri
al “Corriere”
della Loggia
Il fotografo Alberto Roveri
ha digitalizzato il suo
archivio. “L’espresso” ha
pubblicato i ritratti
del primo servizio sul
Cavaliere. Immagini
inedite che raccontano
l’anno in cui è nato il suo
progetto mediatico. Con al
fianco Dell’Utri.
E la pistola sul tavolo,
arma di difesa
dai rapimenti
(FOTO PUBBLICATE DA L’ESPRESSO)
Compravendita dei deputati, il premier “confessa”
OBIETTIVO UDC: “NON C’È UN MERCATO, MA UNA SCELTA LIBERA... ”. GIUSTIZIA, TUTTO PER TUTTO PER FAR SALTARE I PROCESSI
di Sara Nicoli
a smentita è sempre la migliore
Llieredelle
conferme. E così ieri il Cavaha messo sul tavolo la “pistola
fumante” della compravendita dei
deputati per ottenere una maggioranza sicura che sia autonoma dai finiani. Alla fine di un Consiglio dei ministri dove si è parlato persino dei
campi da golf, ma non della nomina
del nuovo ministro dello Sviluppo
Ennesimo capitolo
della guerriglia con
i finiani. Cicchitto:
“O rientrate o fatevi
un nuovo partito”
economico, Berlusconi ha confessato: “Non è vero che facciamo compravendita, non c’è alcun mercato,
nessuna campagna acquisti, semplicemente ci sarà una scelta libera di
chi appoggia l’esecutivo e voterà la
fiducia”. “Se poi – ha aggiunto con la
soddisfazione tipica di chi ha fatto
bingo – ci sono esponenti di altri partiti, tipo quelli dell’Udc, che vogliono sostenere l’esecutivo, lo faranno
per libera scelta; niente di diverso,
niente di più”. Il Cavaliere,
che da qualche giorno conduce personalmente il mercato, offrendo anche (attraverso i suoi emissari) congrui
incentivi per non trovarsi davanti a improvvisi cambi di
idea e, dunque, a un passo
dalla crisi vera della sua maggioranza, sa di aver già portato a casa un cospicuo drappello di uomini del partito di
Casini che non si riconoscono più
nel leader e puntano a una rielezione
certa tra le file del Pdl.
UOMINI come Saverio Romano, Michele Pisacane, Calogero Mannino,
Giuseppe Drago e Lorenzo Ria o Giuseppe Ruvolo e Domenico Zinni. A
questi potrebbe aggiungersi persino
il neo rutelliano Massimo Calearo.
Che anche ieri non ha negato di aspirare, tra le fila del centrodestra, a più
alti incarichi in virtù della sua professionalità imprenditoriale. “Io allo Sviluppo economico? Berlusconi non
me lo ha chiesto, ma ci penserei”. Insomma, il 28 settembre alla Camera il
Cavaliere otterrà la fiducia anche senza l’appoggio finiano. Che comunque
ci sarà, ma sul quale lui sa bene di non
poter contare. Anche se dovrà, in
qualche modo, trattare con gli uomini
del presidente della Camera sul fronte caldo della giustizia. Mentre al Se-
nato si limano i dettagli del nuovo Lodo Alfano costituzionale (quattro letture e referendum confermativo per
ottenere il via libera), l’avvocato Ghedini e il ministro della Giustizia studiano anche un nuovo legittimo impedimento per tamponare la prossima
bocciatura del precedente provvedimento da parte della Consulta così come si continua a ragionare, nonostante le smentite, sul processo breve,
seppure edulcorato rispetto a quello
uscito dall’aula di Palazzo Madama.
STRADE parallele che correranno,
tuttavia, in contemporanea, in modo
da costituire un ventaglio di possibilità per quello che Berlusconi vuole
più del Quirinale: lo scudo ai suoi processi. Impossibile, tuttavia, arrivare
all’approvazione di almeno uno di
questi elementi senza il consenso dei
finiani, ma la partita, su quel fronte, è
ancora durissima. Ieri il capogruppo
Pdl, Fabrizio Cicchitto, ha lanciato un
ultimatum agli ex colleghi del gruppo: “Chi sta in Fli dovrà scegliere se
rientrare nel Pdl, oppure la scissione
del gruppo parlamentare si tradurrà
nella formazione di un nuovo partito”. Secca la replica di Italo Bocchino:
“Cicchitto non ci lascia scelta: le conseguenze verranno prese a tempo debito”. Il Pdl, d’altra parte, ormai è solo
un’entità astratta. E il primo ad essersene accorto pare sia stato il ministro
Maurizio Sacconi, che oggi inaugurerà a Cortina una tre giorni che avrà come protagonisti i principali ministri
del governo, Berlusconi compreso.
“Dobbiamo andare oltre il Pdl – ha
detto ieri Sacconi – è venuto il momento di aggregare in un unico partito tutti i moderati e i riformisti perché ormai il Pd è in crisi di dipendenza da radicalismo etico e giustizialista”. La campagna elettorale, dunque,
può dirsi iniziata.
Sabato 18 settembre 2010
pagina 3
Chiamparino: se fossi stato
sul palco io, avrei chiesto
a Schifani della mafia
S
COSE LORO
chifani contestato alla Festa del Pd
aveva incassato immediatamente la
solidarietà di tutti, primo fra tutti il
presidente della Repubblica. E poi, colleghi di
partito e avversari. Nessuno che si sia
domandato - lo ha fatto Antonio Tabucchi sul
nostro giornale - per quale regola della
grammatica istituzionale a una festa di partito
dovesse intervenire il presidente del Senato.
Anche Sergio Chiamparino, sindaco di Torino,
aveva tuonato contro i contestatori perché
“non si impedisce alla gente di parlare in
questo modo”. Ma, ospite di Telebavaglio, ha
parzialmente riveduto il suo giudizio.
Soprattutto quando gli è stato sottoposto il
tema dei presunti rapporti tra la Seconda
carica dello Stato e la mafia, di cui alcuni (il
Fatto e l’Espresso) hanno parlato. “Sbagliato
fischiare”, ha detto il sindaco. “Però se fossi
stato io sul palco al posto di Piero Fassino, gli
avrei chiesto conto di quello che hanno scritto
i giornali, avrei introdotto l’argomento mafia”.
Accanto a lui in studio c’era il grillino Davide
Bono: “Non ci avete fatto parlare... ”.
DON VITO & SILVIO
Ciancimino senior scriveva: “Io, Dell’Utri
e indirettamente Berlusconi figli dello stesso sistema”
“Siamo figli della stessa Lupa”. Fa impressione leggere il documento che accomuna il sindaco di Corleone, il senatore palermitano e - indirettamente - il
premier sotto le mammelle dello stesso sistema politico-mafioso. Se il documento che Il Fatto pubblica
sarà attribuito dai periti a Vito Ciancimino, come sostiene la sua famiglia, questa frase entrerà nella storia dei rapporti tra mafia e politica. I documenti sono
stati consegnati nelle scorse settimane ai pm Antonio
Ingroia e Antonino Di Matteo dalla signora Epifania
Scardino in Ciancimino. Decine di fogli scritti a macchina e in parte annotati con una calligrafia che somiglia a quella del consigliori di Bernardo Provenzano.
Don Vito ricostruisce i suoi rapporti imprenditoriali
con Dell’Utri e Berlusconi e si scaglia contro i magistrati, colpevoli di avere condannato lui mentre
Dell’Utri è stato prosciolto e Berlusconi è addirittura
divenuto Cavaliere. Secondo Ciancimino Jr quei fogli
di Marco
Lillo
ra che Il Fatto pubblica
le carte su Berlusconi
consegnate ai pm di Palermo dalla famiglia
Ciancimino, si comprende
perché Massimo Ciancimino,
l’infamone come lo chiama
Totò Riina, non deve andare
in Rai. Il direttore generale
Masi non gradisce le sue interviste. “C’è un veto contro
di me”, dice al Fatto il figlio di
don Vito. “Fin quando parlavo
di Provenzano e dei mafiosi
mi sopportavano. Ora che ho
cominciato a parlare dei documenti su Berlusconi, la Rai
mi vuole oscurare”.
O
risalgono al 1989 e ora sono studiati con attenzione
dalla Scientifica per verificarne l’attendibilità. Dopo
mesi di interviste e verbali sugli investimenti del padre
e dei suoi amici costruttori Franco Bonura e Nino Buscemi (poi condannati per mafia) nei cantieri milanesi di Berlusconi ora arrivano le carte. E si scopre che
il figlio di don Vito era così spavaldo quando parlava
dei tempi lontani in cui Berlusconi girava per Milano
armato (vedi foto in prima pagina) perché aveva ben
presenti gli appunti del padre. Basta rileggere le vecchie interviste per scoprire che le sue parole ricalcano
quelle uscite all’improvviso dai cassetti di mamma
Epifania. Vito Ciancimino nelle lettere racconta di
avere investito nelle imprese di Berlusconi ricavandone miliardi di vecchie lire. I magistrati hanno chiesto alla scientifica di fare presto. Se gli appunti fossero
riscontrati, in teoria, il nome di Berlusconi potrebbe
tornare sul registro degli indagati.
Gli appunti presentati recentemente da sua madre
ai magistrati di Palermo
contengono rivelazioni su
Silvio Berlusconi. Davvero
sono stati scritti da suo padre?
Sì. Sono scritti a macchina e
annotati di pugno da mio padre. Mia madre li ha presentati quando i pm di Caltanissetta mi hanno perquisito.
Probabilmente il procuratore
Sergio Lari dubitava di me e
mia mamma ha pensato di aiutarmi portando queste carte
ai pm perché confermano
quello che avevo già dichiarato.
Nell’appunto consegnato
ai pm, che Il Fatto pubblica, suo padre punta il dito
contro Berlusconi e
Dell’Utri e parla dei soldi
siciliani investiti nei cantieri milanesi del Cavaliere.
Cosa ci può dire?
Nulla, c’è un’indagine in corso. Comunque non scrivete
che mio padre accusa Berlusconi. Il suo obiettivo polemico è la magistratura. L’appunto è uno sfogo nel quale don
Vito, dopo la conferma in appello della confisca dei suoi
beni, si infuria per il trattamento diverso ricevuto rispetto a Berlusconi.
Nell’appunto consegnato
da sua madre si legge una
Massimo Ciancimino
Sopra, suo padre don Vito (FOTO ANSA)
frase di questo tipo: ‘Sia io,
Vito Ciancimino, che altri
imprenditori amici abbiamo
ritenuto opportuno su indicazione di Dell’Utri investire in aziende riconducibili a Berlusconi. Diversi
miliardi di lire sono stati
investiti in speculazioni immobiliari nell’immediata
periferia di Milano’.
Mio padre era arrabbiato perché lui e Berlusconi avevano
subìto un trattamento diverso
solo e unicamente per motivi
geografici. Papà quindi non
invocava la condanna di Berlusconi ma era convinto che
se anche lui fosse stato indagato a Milano, come Dell’Utri,
Il tesoro nascosto di Brusca
gestito direttamente dalla cella
Il boss Giovanni Brusca (FOTO ANSA)
di Giuseppe Lo Bianco
Palermo
entottanta mila euro trovati
Cscritti,
alla moglie, cd-rom, manoappunti con numeri e indirizzi stranieri e lettere sequestrate nella sua cella, in una delle
quali ammette di avere mentito
sui soldi: da alcune intercettazioni disposte per la cattura del boss
Domenico Raccuglia si scopre
oggi che Giovanni Brusca, il boss
della collinetta di Capaci, il suo
patrimonio lo custodisce e lo gestisce attraverso prestanomi, il
più importante dei quali è Santo
Sottile, uomo d’onore di San Giuseppe Jato. Così Brusca è ora indagato dalla Procura di Palermo
per riciclaggio, intestazione fittizia di beni e tentata estorsione, e
rischia, come dice il presidente
dell’Antimafia Pisanu, la revoca
del programma di protezione,
che il sottosegretario Mantovano si appresta a valutare, dopo
avere richiesto un’informativa
alla Dda di Palermo.
Oggi i pm valutano le sue parziali
ammissioni offerte nell’interrogatorio di ieri, condotto dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia e dai pm Lia Sava e Francesco Del Bene. Brusca ha ammesso che Sottile si occupa del suo
patrimonio e ha fornito alcune
spiegazioni su una serie di immo-
bili dislocati in varie parti d’Italia. Per gli addetti ai lavori non è
stata una sorpresa: gli scontri tra
Brusca e il pm Alfonso Sabella,
che per anni ha cercato di indurlo a rivelare i nascondigli del suo
patrimonio, sono ormai entrati
nella tradizione orale della lotta
alla mafia. Così oggi Brusca, come dice Pisanu, “deve dare chiarimenti molto convincenti”, anche sui movimenti di alcuni suoi
familiari che hanno indotto i pm
a spedire i carabinieri a perquisire alcune abitazioni nelle province di Palermo, Roma, Milano,
Chieti e Rovigo. “Sono sempre
criminali – sottolinea Ingroia – .
In questo caso siamo in presenza
di attività prevalentemente economica, reinvestimenti di soldi,
sottrazione allo Stato di beni perchè i collaboratori devono dichiarare tutti i loro beni”. Anche
se Brusca, rivela il suo ex difensore, il senatore Idv Luigi Li Gotti, da tempo ha avviato un percorso interiore “che lo ha portato ad incontrare i familiari di alcune delle sue vittime”, la vicenda riapre il dibattito sul pentitismo: e se per Li Gotti “non bisogna metterlo in discussione”, i
pentiti, dice Pisanu, “sono una risorsa”, ma in molti casi “hanno
terribili carriere criminali alle
spalle”. Anche perchè i silenzi di
Brusca non riguardano solo i
suoi soldi, come ricorda Giovanna Chelli, dell’associazione delle
Vittime di via dei Georgofili: “Sarebbe arrivato il momento, da
parte di Brusca, di sistemare
quelle pedine che sulla scacchiera della verità per le stragi del
1993 sono ancora fuori posto”.
Stamane i pm interrogano la moglie del boss e alcuni parenti.
sarebbe stato assolto.
Al Fatto risulta che l’appunto si conclude con una considerazione sui soldi investiti a Milano da suo padre
nei cantieri di Berlusconi.
Quei soldi, si legge nell’appunto, hanno fruttato miliardi a don Vito che poi sono stati sottoposti a confisca. Mentre a Berlusconi secondo l’appunto di suo
padre - nessuno contestava
nulla. A che anno risalirebbe questo scritto?
Probabilmente il 1989. In
quel tempo Berlusconi era celebrato da tutti e mio padre si
vedeva privato dei suoi miliardi. Papà considerava ingiusta
questa disparità.
L’avvocato Niccolò Ghedini ha già smentito le indiscrezioni su queste carte.
Il Cavaliere sostiene di non
avere mai conosciuto suo
padre.
In un secondo appunto consegnato ai magistrati da mia
madre si parla di finanziamenti elettorali di Caltagirone,
Ciarrapico e Berlusconi a mio
padre. Mia mamma ha ricordi
diversi su Berlusconi. Saranno i magistrati a stabilire la verità.
Forse è di queste rivelazioni che ha paura il Direttore
generale della Rai Mauro
Masi?
C’è un bando nei miei confronti da quando ho cominciato a parlare di Berlusconi.
Le mie rivelazioni fanno paura perché permettono di ricostruire la continuità del rapporto tra imprenditori e mafia
dai tempi del banchiere Sindona a quelli dei palazzinari
legati alla Dc. Fino ai rapporti
finanziari del 2000.
Il veto di Masi non sembra
il problema più grande per
lei in questo periodo.
L’espresso ha raccontato ieri
la conversazione intercettata in carcere tra Totò Riina e il figlio Giovanni. Il
boss dice che lei e suo padre siete degli infami e che
lei mente per salvare il patrimonio.
Riina, sapendo di essere intercettato, dice tre cose. Innanzitutto smentisce che Provenzano lo abbia tradito e in questo modo mantiene la pax mafiosa all’interno di Cosa Nostra, utile a tutti per fare affari.
Poi dice che è sempre lui il
capo dei capi. Infine, punta il
dito contro di me lanciandomi le stesse accuse di
Dell’Utri. Entrambi dicono
che mento per salvare il tesoro di mio padre.
Lei ha paura?
Non sono un incosciente e capisco i messaggi di Cosa nostra. Riina e i suoi amici, a sentir lui - sarebbero vittima dei
pentiti. Eppure non se la
prende mai con uno di loro
ma punta sempre il dito contro di me. Quello che sto dicendo colpisce al cuore Cosa
Nostra perché ho rivelato il
tradimento di un boss all’altro. Il giudice Falcone diceva
che la mafia non dimentica.
Non sarà oggi e non sarà domani, ma arriverà il giorno in
cui me la faranno pagare.
P3 Martino, Lombardi,
Carboni indagati per camorra
l’accusa di concorso in associazione mafiosa la proCviooncura
di Napoli ha iscritto sul registro degli indagati FlaCarboni, Pasquale Lombardi e Arcangelo Martino. Per i
tre, già agli arresti con l’accusa di aver costituito la P3, si
aggiunge questa nuova contestazione che si lega ai tentativi
di pilotare il ricorso in Cassazione presentato da Nicola Cosentino contro la richiesta di arresto della procura di Napoli
per collusioni con la camorra. E ieri i pm si sono recati nel
carcere di Poggioreale per interrogare Martino che ha confermato, in un interrogatorio durato oltre sei ore, la sua
disponibilità a collaborare con la giustizia già manifestata il
19 agosto scorso ai magistrati romani. Di fatto si è aperta
un’inchiesta bis sulla P3 che ha come oggetto la zona più
oscura dell’indagine e cioè i rapporti tra Superloggia di
Dell’Utri e Verdini con la criminalità organizzata. Martino
ha indicato Lombardi come la persona incaricata di risolvere i guai di Cosentino, grazie ai suoi rapporti con il presidente della Cassazione. Poi ha ribadito le accuse nei confronti dell’assessore Sica in merito alla compravendita dei
voti al Senato per affossare il governo Prodi nel 2008: ”È
stato lui a raccontarmi di aver individuato l’imprenditore,
noto a Berlusconi, disposto a finanziare l’operazione”.
pagina 4
Da Fioroni a Ichino,
tutte le firme
al documento
Anna Finocchiaro
Divisioni?
Non ci sono
“N
on mi scandalizzo
affatto se il candidato premier non è il segretario di partito. La questione
è che non vi sono punti di
differenza essenziali tra la
posizione della maggioranza e quella del firmatario
del documento”.
T
PSICHIATRIA DEMOCRATICA
ra i 75 firmatari del documento proposto
da Walter Veltroni, Giuseppe Fioroni e
Paolo Gentiloni (circa un 25 per cento della
totalità dei parlamentari Pd) ci sono i “veltroniani”
Mauro Agostini, Stefano Ceccanti, Luigi De Sena,
Andrea Martella, Giovanna Melandri, Marco Minniti,
Enrico Morando, Achille Passoni, Vinicio Peluffo,
Salvatore Vassallo, Walter Verini, Walter Vitali, Marco
Rosy Bindi
Nessuno ha
il copyright
“V
eltroni vuole impegnarsi per il successo del Partito democratico? Ben venga. Peccato
che il suo contributo per
ora abbia solo lacerato la
minoranza e riproposto
l'immagine distorta di un
partito nella bufera”.
Minniti e Giorgio Tonini. Tra i parlamentari vicini a
Paolo Gentiloni, compaiono i nomi, tra gli altri, di
Roberto Della Seta, Francesco Ferrante, Roberto
Giachetti, Raffaele Ranucci, Andrea Sarubbi, Maria
Leddi. Tra gli ex Popolari vicini a Fioroni, Gero Grassi,
Benedetto Adragna, Mauro Ceruti, Lucio D’Ubaldo,
Donatella Ferranti, Enrico Gasbarra, Tommaso
Ginoble, Maria Paola Merloni, Luciana Pedoto,
Paolo Gentiloni
Reazioni
incomprensibili
“S
ono davvero singolari le minacce e le scomuniche registrate per una
iniziativa positiva. L’accusa
più odiosa è quella di connivenza con il nemico. Noi
vogliamo riportare il Pd ai
momenti del suo massimo
splendore, quelli del 2007”.
Simonetta Rubinato. Fioroni ha strappato a
Franceschini alcuni Popolari a lui vicini, come Daniele
Bosone, Enrico Farinone, Paolo Giaretta e Jean
Leonard Touadì. Tra le presenze di personalità non
schierate in precedenza con queste tre aree, ci sono
Olga D’Antona, la teodem Emanuela Baio e l’ex
dalemiano Nicola Rossi. Anche Pietro Ichino (al
congresso con Ignazio Marino) e Magda Negri.
Andrea Camilleri
Troppi galli
nel pollaio
“G
ià siamo così mal
combinati, mai come
in questo momento l’opposizione ha bisogno di unità. Un
leader non deve essere per
forza un Berlusconi. Il Pd ha
difficoltà a trovare un leader
perché ci sono troppi galli
nel pollaio”.
LE PARTICELLE
ELEMENTARI
In 75 con Veltroni, l’ira di Bersani
di Paola Zanca
no dovrebbe mettersi le
mani nei capelli solo leggendo questa frase: “Questa non è un’iniziativa
contro Area democratica”. E chi
caspita è Area democratica? Per
i lettori meno attenti Area democratica è la corrente di minoranza interna al Pd, guidata da
Dario Franceschini. E vabbè. Ma
quella frase, pronunciata all'unisono dai deputati veltroniani
Minniti e Tonini, dovrebbero rileggersela anche loro, per capi-
U
Oggi a Orvieto
l’ex segretario
peserà le sue
forze. “Ma non
si candiderà
alla
leadership”
re che a forza di guardarsi dentro stanno per finire a testa in
giù. Perché se si parla con i 75
firmatari dell'appello, spiegano
che la mossa di Veltroni serve ad
arginare la fuga degli ex Margherita. “Se una ventina di parlamentari fossero con la valigia in
mano pronti a uscire dal Pd sulle
orme di Rutelli, Calearo, Binetti
e via dicendo – spiega il deputato Walter Verini, braccio destro di Veltroni – se si sentono
ospiti in una casa che pensavano fosse anche loro... Questo
documento ha il merito di dire a
questi democratici delusi: 'Fermatevi, stiamo insieme, c'è ancora spazio per voi nel partito’”.
COME RAGIONAMENTO
“interno” non fa una piega. Ma il
problema è che dal maggior partito dell'opposizione ci si aspetta
che pensi all’esterno. La domanda è semplice: ma giovedì, i cittadini che hanno visto Veltroni
prima al Tg1, poi al Tg2, e navigando nei meandri del digitale
terrestre se lo sono trovato pure
su RepubblicaTv, che cosa
avranno pensato? Che è successo qualcosa di grave a Bersani?
“Inevitabilmente l'avranno presa con sorpresa e sconcerto –
ammette Arturo Parisi, che il documento non l'ha firmato ma oggi sarà a Orvieto – Ma il punto è
che la sorpresa è loro, e lo sconcerto è nostro. Disabituati come
siamo al dibattito politico, nel
giorno in cui quel dibattito si manifesta nella sua pienezza è inevitabile fare i conti con questi
sentimenti”. Torneremo ad abituarci, quindi? “Sarà bene che si
riprenda il gusto della democrazia in pubblico, che finisca la stagione dei caminetti, dove si entra con tutti che la pensano diversamente e si esce facendo finta che la pensino tutti uguale”.
Sparargli addosso gli farà bene?
“Non capisco perché un documento debba essere visto come
una spaccatura – si stupisce Verini – Il nostro è un contributo di
lealtà. Certo se poi qualcuno dice che è un'iniziativa che spacca,
probabilmente qualcuno ci crede. Il disorientamento è indotto”. Ma quello che contestano a
Bersani - che ieri ha reagito al do-
Quel che resta
Un partito diviso a metà come
le teste dei suoi leader. Da sinistra
Massimo D’Alema, il segretario
nazionale Pier Luigi Bersani
e Walter Veltroni, autore
del documento che ha spaccato
in due i democratici
cumento con un gelido “a me va
bene tutto” - non è tanto la gestione del partito, quanto i risultati che ha portato. “Perché – insiste Verini – davanti allo sfascio
del berlusconismo, l'opposizio-
I fedelissimi:
“Non vogliamo
spaccare
nulla”. Parisi:
“Meglio
questo dei
caminetti”
ne non cresce? Perché il Pd è al
24%, e se non ci fossero le regioni rosse ad alzare la media, sarebbe sotto il 20? Forse perché non
è più percepito come quel partito che aveva dato una speranza.
In questi due giorni ci sono arrivate almeno mille e duecento
mail. E tante dicono: ‘Avevamo
deciso di non votare più, vedendoti ci crediamo di nuovo’”.
MA VELTRONI, giurano, di
candidarsi non ha nessuna intenzione. Si sente solo “in diritto”
(visto che il Pd era anche un'idea
sua) e “in dovere” “di rimboccarsi anche lui le maniche, come dice Bersani”, parafrasa Verini.
E per dimostrarlo, nel suo documento, ha tolto la maiuscola dalla parola “movimento” e cancel-
lato pure la frase sul partito “che
appare privo di bussola”.
A Orvieto ci sarà anche il sindaco
di Torino (in chiusura di mandato) Sergio Chiamparino. Da settimane chiede primarie aperte,
va dicendo che “se serve non mi
tiro indietro”, e ha scritto un libro che si intitola La sfida. Forse è
arrivato il momento di sciogliere
gli ormeggi. Vedremo oggi, “prima non parla”, dice il suo assistente. Meglio che l'ora delle urne non arrivi in fretta, viene da
dire. Ma Parisi non è d'accordo:
“Lei mi chiede di sospendere la
democrazia in attesa delle elezioni? La democrazia è un esercizio
permanente, non sono previste
soste”. Brutto risveglio per il segretario che voleva dare un senso a questa storia.
Edotori democratici Redazione in sciopero
Tagli su tagli, i tormenti de “l’Unità”
di Chiara
Paolin
a qual è il problema? Nel
“S
1999, quando l'Unità ha
chiuso, tutto cominciò proprio
da lì: Bologna e Firenze. Adesso
che Soru ha deciso di sospendere le edizioni in quelle due
regioni ci sembra di tornare pericolosamente indietro nel tempo”. Ninni Andriolo è un membro del Comitato di redazione
all'Unità. Ne ha viste tante, ma
stavolta è preoccupato davvero, perché i tagli corposi sono
serviti a poco se le vendite calano (diffusione a 52 mila copie, venduto in edicola sotto 40
mila) e manca un progetto condiviso.
Spiega Andriolo: “Nel 2008
Soru ci presentò un piano ambizioso, chiedendo qualche
mese dopo una seria riduzione
di personale. In un anno e mez-
zo abbiamo perso una cinquantina di posti, soprattutto
giovani precari e colleghi anziani. Ci siamo fatti tutti la cassa integrazione a rotazione.
Adesso arriva la doccia fredda
dello stop alle edizioni di Emilia
Romagna e Toscana dal 15 ottobre. Così altri 11 colleghi rischiano di perdere il lavoro. E
soprattutto, taglio dopo taglio,
qui non resta più niente”.
Allora sciopero. Anche oggi –
ed è il secondo giorno di fila – il
giornale non è in edicola, niente aggiornamenti del sito. Tutti
si fermeranno a pensare cosa
non abbia funzionato nel progetto che doveva rilanciare una
testata storica, ma anche dare
più fisionomia al neonato Partito democratico in piena era
Veltroni.
Di certo oggi il corpo redazionale è compatto nel chiedere
una gestione attenta dei prossimi passi. Ristrutturazione,
ipotesi di vendita ad altri editori
(come gli Angelucci, in corsa da
tempo): tutto può essere discusso ma senza far precipitare la situazione. Dal canto
suo, l'editore Renato Soru - autorevole esponente del Pd - ap-
Soru pronto
a chiudere le
pagine locali e
ad investire
in nuove attività
editoriali
in Sardegna
pare piuttosto freddo e determinato: ha chiesto alla Fieg (la
Federazione degli Editori) di
trasferirela vertenzaal ministero del Lavoro. E non ha smentito l'ipotesi di investire a breve
in altre attività editoriali, magari nella sua Sardegna, confermando invece la sospensio-
ne delle edizioni emiliana e toscana.
Scelta suicida secondo il sindacato unitario dei giornalisti:
“In Emilia e in Toscana l'Unità
vende il 40% delle copie, raccoglie il 50% degli abbonamenti e introita un terzo della
pubblicità complessiva - dice
una nota Fnsi -. Si determina
così una situazione di grave pericolo per l'occupazione e la
stessa sopravvivenza del giornale”.
Ma oltre il danno (aziendale),
si teme la beffa (politica). Se
davvero ci si avvicina a elezioni
anticipate, può il Pd entrare in
campagna elettorale con un
quotidiano che perde pezzi?
L'ex ministro Cesare Damiano
dice: “Ai giornalisti va il nostro
pieno sostegno e l’auspicio che
si arrivi a una positiva soluzione della vertenza in corso”,
mentre il responsabile del partito per l'informazione Matteo
Orfini osa un po' di più: “La
speranza mia e del Pd è che
l’editore possa tornare sui suoi
passi”. Ai redattori de L’Unità è
arrivata anche - significativamente - la solidarietà dei democratici sardi.
Sabato 18 settembre 2010
La lunga estate
degli scambi epistolari
sulla stampa
I
PSICHIATRIA DEMOCRATICA
l Partito democratico ha trascorso
l’estate a farsi tante domande sulla crisi di
governo, un esecutivo tecnico, le elezioni
anticipate, le alleanze, l’apertura al centro o alla
sinistra della sinistra. L’estate degli scambi
epistolari a distanza tra vecchissimi, vecchi e
giovani capi di partito. Ha iniziato Walter Veltroni,
l’ex candidato di Pd e Idv nel 2008 contro
Berlusconi, con una pagina di citazioni e
divagazioni sul Corriere della Sera: “Dunque l’unica
strada che i veri democratici devono percorrere è
quella di una Repubblica forte e decidente. Ma
questa comporta profonde e coraggiose
innovazioni, nei regolamenti delle Camere,
nell’equilibrio dei poteri tra governo e Parlamento,
nelle leggi elettorali, nella riduzione dell’abnorme
peso della politica, nella soppressione di istituzioni
non essenziali. Bisogna semplificare e alleggerire,
bisogna considerare il tempo delle decisioni come
una variante non più secondaria”. Pier Luigi
Bersani replica su Repubblica e lancia il nuovo
Ulivo. Poi arriva Massimo D’Alema su Repubblica:
“Questo bipolarismo (tanto caro a Veltroni, ndr)
conviene soltanto a Berlusconi”.
Sopravviverà il Pd
fino al 2011?
SEI OPINIONI E UN PRESAGIO
FURIO COLOMBO
Quali orizzonti
Una scossa
Ma forse è tardi
D
arò una risposta forse
un po' sorprendente.
Non vedo correnti nuove,
che vuol dire un disegno
strategico. Non vedo incrocio o inversione di percorsi.
Non vedo vecchie faide, perché non contano, non spaventano nessuno e
non cambiano niente. Vedo di tanto in
tanto dei brevi soprassalti che durano
un istante. È accaduto quando Veltroni
si è dimesso, annullando tre milioni di
MAURIZIO VIROLI
Il futuro
La minaccia
dei 4 virus
A
uguro al Pd lunga vita e ottima salute, e a Walter Veltroni la soddisfazione di tenere
prolusione solenne davanti al Parlamento sul 150mo anniversario
dell’Unità d’Italia, a patto che non
citi Craxi fra gli eredi del Risorgimento. Sulla longevità
politica del Pd gravano tuttavia quattro sinistre minacce. I morbi contratti all’atto
del concepimento sono 1) la mancanza di
radici storiche e ideali
proprie; 2) la debole
PAOLO FLORES D’ARCAIS
preferenze. Purtroppo non
ha detto perché. È accaduto
quando ha parlato la Serracchiani. Ma poi ha taciuto. È
accaduto con la candidatura
di Ignazio Marino. È diventato un nuovo notabile del Pd
e lì, destino dei notabili, si è
fermato. Adesso arriva il manifesto di Veltroni. Il progetto promette idee da dibattere, anche idee controverse.
Ma da discutere con chi? Il
progetto nasce vivo e impaziente. È una
scossa, un segno
di vita. Questo
lo apprezzo. Mi
domando, prima
ancora di misurarmi nel merito,
se non arrivi tardi.
MARCO TRAVAGLIO
identità e capacità di distinguersi
dagli altri partiti. Le radici forti
servono a superare le tempeste e
le sconfitte, e se non ne hai affondi. Sul secondo punto ognun vede
che proclamarsi ‘democratico’
non basta per distinguersi. Anche
Bossi e Berlusconi sono democratici, anzi, democraticissimi. I
morbi contratti durante la prima
infanzia sono altrettanto gravi: 1)
mancanza di un’unità interna attorno a un leader riconosciuto da
tutti; b) essersi fatti
accerchiare da concorrenti al centro e a
sinistra. Il primo male
era forse difficilmente
evitabile; dal secondo
ci si poteva tutelare
con una politica intransigente.
Carcasi leader
Al vertice
un gruppo di bolliti
P
rima di partire per le ferie,
Bersani disse che per cacciare B. andava bene anche un
governo Tremonti. Un po’ come
se Obama, anziché candidarsi,
avesse proposto, per cacciare
Bush, un governo Rumsfield.
Dopodiché, fortunatamente, Bersani andò in vacanza. Poi però, purtroppo, tornò. E, dopo lunghe
riflessioni, lanciò lo
slogan della riscossa
autunnale: “Andremo a parlare agli ita-
liani porta a porta”, riuscendo a
evocare in un colpo solo Vespa e
il Cepu. Non contento, scrisse a
Repubblica: “E noi suoneremo le
nostre campane”. Veltroni, per
scavalcare il segretario annunciò
un nuovo movimento che sarà
contemporaneamente “dentro e
fuori il Pd”. Concetto più appropriato per il Kamasutra che per
la politica. Ora, in attesa che
emerga un leader del Pd contemporaneo, o quantomeno vivente, è auspicabile
che il carrello di bolliti
che lo guida riparta al
più presto per le ferie.
Per vincere le elezioni
potrebbe bastare una
gita premio per tutta
la comitiva. Biglietti
sola andata.
LUCA TELESE
Padri e figli
Liberarsi del
popbreznevismo
I
l Pd è un partito che purtroppo non esiste. Dirlo
non è cattiveria, ma un esercizio utile. Ho scritto un libro di 600 pagine per provare a spiegare come mai – secondo me – lo smarrimento
di identità è cominciato con
la Svolta della Bolognina e
non è finito più. I figli illegittimi del Pci,
oggi dediti al parricidio dei padri, avevano un’identità, e
ora non ce l’hanno
più perché se ne
vergognano. Hanno
cambiato simboli,
Zombie
Il “trattamento”
dei capi
P
er sopravvivere bisogna
intanto vivere, per quanto malandati. Il Pd, invece,
nel migliore dei casi è uno
zombie: “Creature morte
che continuano a camminare, senza più volontà”, spiegano le enciclopedie. Difficile
del resto che restasse in vita, dopo anni
di trattamento
D’Alema prima e
Veltroni poi: un
combinato disposto
che non lascia scampo. I dirigenti delle
seconde file, com-
presi i “gggiovani”, non sono
affatto migliori, e non di rado
sono perfino peggio. Solo il
bisogno incoercibile di speranza induce a illudersi del
contrario. Vale sempre più e
definitivamente la nota intuizione di otto anni fa: “Con
questi dirigenti non vinceremo mai”. L’errore è stato
non trarne le conseguenze.
Il Pd-zombie, inoltre, soffoca
e umilia le energie che nel
suo elettorato, in parte della
base militante,
perfino in quadri
amministrativi
(di piccoli centri) sono presenti. Sarà bene
che anche loro si
concentrino sul
dopo-Pd.
MASSIMO FINI
Sono inutili
Spero sparisca
entro un anno
L
a vera forza di Berlusconi, lo si sa da sempre, è la sinistra. L'unico,
serio, oppositore del Cavaliere è stato Umberto Bossi quando nel 1994, con un
memorabile discorso alla
Camera, abbatté
il suo primo governo. All'epoca
lo chiamava "Berluscaso", "Berluscoso", "Berluschè", "Berluskaz". Poi, vista
l'inconsistenza
della sinistra, è stato costretto a ripiegare sul Sire
di Arcore che almeno un
po' di energia, sia pur volta
al peggio, ce l'ha. Il Pd non
si sa che cos'è, non si sa
nemmeno che nome abbia,
prima Pds, poi Ds, poi Ulivo, poi Pd, mentre Berlusconi impazza continua a
fare delle primarie, non si
sa chi siano i suoi veri leader e se sono quelli che
appaiono o trescano dietro le
quinte c'è da
mettersi le mani
nei capelli. Esisterà ancora il
Pd nel 2011? Io
spero proprio di
no.
LUCIA ANNUNZIATA
ma non i dirigenti. Hanno
perso il grande afflato ideale
dell’utopia e recuperato il
gene recessivo dello stalinismo. Dopo vent’anni di
guerra feroce fra D’Alema e
Veltroni che ha sterminato
qualsiasi forma di vita, ancora usano l’ipocrisia, tutta sovietica, di non dire mai la verità. Odiano Berlusconi però
lo copiano. Rottamano i loro
leader migliori, come Prodi,
nascondendo la salma, come
per Andropov e Cernenko.
Quando finalmente i pop-brezneviani saranno
accompagnati
all’ospizio – magari con l’aiuto di
Vendola e Renzi –
la sinistra tornerà
a vivere.
Forza di gravità
Lo salva la base
storica dei Ds
T
utto fa pensare il contrario, ma alla fine il centrosinistra non si spappolerà e attraverserà unito la soglia del
2011. A favore dell’unità milita
una potente forza di gravità,
cioè il patrimonio elettorale di
questa area politica. Patrimonio che, piaccia o meno, rimane fondamentalmente in controllo di maggioranza
degli ex Ds. Né i
cattolici infatti, né
i vari partiti moderati o estremisti
che in questi anni
hanno calcato la
scena politica della sinistra,
fuori, intorno e anche dentro
l’ex Ulivo, hanno mai davvero
scardinato lo zoccolo duro di
questa eredità politica. La prova sono i risultati elettorali di
questi anni. La contendibilità di
questi voti, non può dunque
essere fatta, ancora, che
dall’interno: chiunque voglia
oggi sottrarre consenso all’attuale Pd tenendo uno stretto
contatto con la sua base, in
un’operazione più di erosione
che si scissione. In fondo è lo
stesso schema di gioco che sta applicando
Fini. E non è un caso
che l’operazione Fini
abbia ispirato le mosse recenti di Veltroni.
Al 2011 dunque il
centrosinistra arriverà unito.
pagina 6
Sabato 18 settembre 2010
Il programma
della tre-giorni a Vasto
dell’Italia dei valori
È
OPPOSIZIONE
cominciato ieri a Vasto il 5°
incontro nazionale dell’Italia dei
Valori. Il titolo è “Idee pulite, la sfida
dell’Italia dei Valori”.
La tre giorni che si è aperta ieri, chiuderà i
battenti domenica mattina con l’intervento
conclusivo del leader Antonio Di Pietro.
Oggi, previsto un incontro alle 10 sulla libertà
d’informazione moderato da Gianni Barbacetto,
giornalista del Fatto Quotidiano con Leoluca
Orlando, portavoce nazionale Idv Pancho Pardi,
capogruppo Idv vigilanza in Rai, Niccolò Rinaldi,
capo delegazione dell’Idv a Strasburgo,
Corradino Mineo, direttore di Rainews, Matteo
Maggiore, giornalista della Bbc e Claudia Fusani,
giornalista de L’Unità.
Alle 18 dibattito su “Giustizia e antimafia a
difesa della Costituzione” con Federico
Palomba, capogruppo Idv in Commissione
Giustizia alla Camera, Sonia Alfano e Luigi De
Magistris, europarlamentari Idv, Luigi Li Gotti,
senatore Idv Fabio Granata, deputato Fli e
Bruno Tinti ex magistrato, collaboratore de il
Fatto Quotidiano.
DI PIETRO SFERZA GRILLO:
“NON BASTA URLARE, SERVE L’ALTERNATIVA”
L’attacco dal palco del 5° incontro nazionale: “I movimenti non siano solo protesta”
L’avviso a Bersani: “Ok all’alleanza democratica, ma no a Fini e Udc”.
di Wanda
Marra
Inviata a Vasto
tragico quello che
sta succedendo nel
Pd. Di Pietro a questo punto dovrebbe
puntare alla leadership di
quel partito”. Non si sono ancora accesi i riflettori sull’annuale Festa nazionale dell’Italia dei Valori a Vasto, ma la
battuta di prima mattina di un
senatore bresciano – Gianpiero De Toni – è meno casuale di quel che potrebbe
sembrare. Come un faro, illumina la metamorfosi ancora in atto di Tonino e dei suoi.
Un paese intero, punteggiato
con le bandiere del partito,
uno scenario d’eccezione
(Palazzo d’Avalos, antica residenza feudale), una folla
pronta a non perdersi neanche un sospiro del suo leader,
per Di Pietro sono la norma.
Ma che qualcosa sta cambiando lo dicono i toni del suo
discorso, insolitamente pacati. Poca polemica, poche frasi
forti. Poca voglia di impressionare. E più voglia di convincere.
“È
NON A CASO, allora, il
piatto forte, è il distinguo da
Grillo e da una certa politica
del no: “Per rimuovere il macigno piduista Berlusconi dal
governo sono stati e sono importanti i movimenti. Ma
quando i movimenti diventano solo protesta e non alternativa, allora siamo punto e a
capo. Vanno ringraziati – rileva Di Pietro – per la loro protesta civile che ha informato
tante persone; ma ora che
queste sono state informate,
che cosa facciamo? Ecco, ora
è l’ora di costruire l’alternativa”. Una presa di distanza
chiara, che però non sembra
esente dalla paura. Grillo ha
annunciato, infatti, l’intenzione di presentare alle elezioni
liste nazionali del suo Movimento 5 Stelle: il bacino in cui
va a pescare è proprio quello
dell’Idv, che in questa legislatura ha svolto il ruolo di partito del “no” senza se e senza
ma. Non a caso nel sondaggio
sul sito del Fatto Quotidiano dedicato a chi può battere Berlusconi, i due si contendono
Sonia Alfano:
“L’ex comico
ce l’ha con me
e De Magistris
Si lamenta
perché parliamo
con la gente”
Antonio Di Pietro (FOTO ANSA)
la palma del vincitore (ora è in
vantaggio Di Pietro, ma per
giorni ha dominato Grillo).
“In questo momento Grillo è
un antagonista – va diritto al
sodo Emanuele Mancinelli,
che porta orgoglioso la maglietta dei giovani del partito
“Valori in corso” – quando ha
deciso di presentare liste nazionali e non solo locali, di fat-
to ha scelto di fare un partito e
di uscire dal civismo”. “È Grillo che ce l’ha con me e De
Magistris – rincara Sonia Alfano, ora europarlamentare Idv,
un passato da “grillina” – mi
hanno detto che circola un video in cui lui si lamenta del
fatto che noi continuiamo a
parlare con la gente. Non so
bene cosa vuol dire, ma do-
vrebbe essere contento che
continuiamo a lavorare bene.
Siamo dalla stessa parte”. Forse (forse) lei davvero la pensa
così, ma se il Movimento 5
stelle si fa partito, l’antagonismo sembra già un dato di fatto.
E DUNQUE, Di Pietro punta a strutturarsi come leader
IL SONDAGGIO
per un’alternativa. Strappa applausi e risate quando si riferisce a Fini, con un italiano
che sembra volutamente involuto, nella sua migliore tradizione: “Pensavo che fossi io a
Mirabello che parlavo l’altro
giorno. Non ero io. Scriverò a
Fini dicendogli: la prossima
volta il tuo discorso fallo a Vasto”. Ma in realtà il Fini oppositore di Berlusconi è un altro che facilmente può sottrarre voti all’Idv. Tonino affonda: “I finiani a Mirabello dicono che il Pdl è finito e poi si
mettono d’accordo per il Lodo Alfano. Ma che vuol dire?”.
E ancora: “Porteremo in Parlamento una mozione di sfiducia a Berlusconi come ministro ad interim dello Sviluppo economico. Noi non abbiamo il numero di deputati per
presentarla. Vedremo allora se
l’opposizione è opposizione o
posizione”, dice il leader Idv.
Stesso ragionamento a proposito del ddl anti-corruzione:
“L’Idv chiede che sia messo
all’ordine del giorno di Palazzo Madama. Se i parlamentari
vicini a Fini non lo votano sono complici di Berlusconi”, afferma, riferendosi esplicitamente all’impegno formale
preso alla Festa del Fatto Quotidiano a Marina di Pietrasanta,
a tradurre in legge la proposta
del giornale (che cita altre due
volte). E quindi, mette in guardia il segretario del Pd, Pier
Luigi Bersani: no a Fini che
“vuole un’altra destra” e
all’Udc, “che ha dimostrato
più volte che di loro non ci si
può fidare”. Tutto per il Pd,
l’altra parte del ragionamento
politico. Chiarisce Di Pietro:
“Bersani vuole costruire un’alleanza democratica. Sono
d’accordo però bisogna vedere chi ci mettiamo dentro.
L’idea di partecipare alle primarie senza sapere che cosa
vuole il candidato non può
funzionare”. E poi: “Avessero
fatto tutti quello che abbiamo
fatto noi... In tre elezioni dal 2
al 4 all’8%, andiamo verso il
12% la prossima volta. Invece
il nostro principale alleato è
sceso dal 34 al 24%, fa il passo
del gambero e se la prende
con noi...”.
FEROCE osservazione, ma
Tonino si rifiuta anche dietro
le quinte di affondare il coltello nella piaga a proposito
della nuova faida Veltroni-Bersani. Anche qui, l’impressione
è che stia a guardare, per capire a quale parte del Pd può
parlare e a quale elettorato
può guardare.
Delinea le priorità: lavoro,
scuola, sicurezza, giustizia sociale. Ammicca a quello che fu
il bacino della sinistra radicale, schierandosi con la Fiom e
per la privatizzazione dell’acqua. Gli affondi più forti contro la Lega (il riferimento alla
scuola di Adro è d’obbligo).
Ma poi, l’immagine più “scenica” della prima giornata di
Vasto è l’Inno di Mameli in
onore del soldato italiano
morto in Afghanistan, cantato
a squarciagola dalla platea e
dai parlamentari, Leoluca Orlando in prima linea che chiede al governo di riferire in Parlamento sulla missione. Idv di
lotta e di governo.
EMILIA ROMAGNA
IL FATTO.IT: È IL LEADER IDV L’ANTI-BERLUSCONI
Bocciato il ricorso
contro Errani
CHI DI QUESTI PUÒ FERMARE BERLUSCONI?
33%
29%
19%
6%
5%
4%
4%
na settimana fa abbiamo
Udi votare
chiesto ai nostri di lettori
sul sito Internet del
Fatto Quotidiano quale fosse a
loro parere il leader in grado
di fermare Berlusconi.
Forse il suo alleato Gianfranco Fini, che è riuscito a mettere in discussione la maggioranza parlamentare più ampia della storia repubblicana?
Il leader del Pd Pier Luigi Bersani, che sembra avere finalmente accantonato la diplomazia e dice che il premier ha
Antonio Di Pietro
Beppe Grillo
Nichi Vendola
Pier Luigi Bersani
Nessuno di questi
Gianfranco Fini
Marco Pannella
ridotto la politica a una fogna? Antonio Di Pietro, anti-berlusconiano per eccellenza, o Nichi Vendola abituato a vincere in Puglia contro
tutte le previsioni? Oppure
servono strategie non convenzionali e outsider come
Marco Pannella o Beppe Grillo?
Nei primi giorni Beppe Grillo
è stato in testa alla classifica
delle preferenze. Adesso,
con più di 110 mila votanti e 8
mila commenti in vetta è sa-
I
I sei candidati Bersani, Di Pietro, Fini, Grillo, Pannella, Vendola
lito Antonio Di Pietro col 33
per cento. Secondo resta
Beppe Grillo, espressione
della politica anticonvenzionale col 29 per cento. Segue a
stretto giro Nichi Vendola col
19 per cento.
Molto indietro il leader del
partito democratico Pier Luigi Bersani col 6 per cento.
Lontani Gianfranco Fini e
Marco Pannella. Secondo i
votanti il leader di Futuro e libertà non ha le carte in regola
per bloccare Berlusconi. Le
sue quotazioni sono scese soprattutto dopo i tentativi di riconciliazione con Silvio Berlusconi. Per lui il 4 per cento
dei voti come per Pannella.
Oltre 5000 persone invece
non indicano uno tra questi
nomi, e cercano un’alternativa, dal sindaco di Torino, Sergio Chiamparino al presidente della provincia di Roma,
Nicola Zingaretti. Dal leader
dei verdi Angelo Bonelli al
sindaco di Firenze, Matteo
Renzi.
l Tribunale civile di Bologna ha rigettato il ricorso presentato dal Movimento 5 Stelle di
Beppe Grillo contro la terza ricandidatura del
presidente della Regione Emilia Romagna, Vasco
Errani. Il gruppo dei Grillini, riferendosi alla legge
165 del 2004 che stabilisce i principi fondamentali
sul sistema di elezione e i casi di ineleggibilità, si era
rivolto ai giudici mossi dalla convinzione dell’impossibilità, per un presidente della giunta regionale,
di essere eletto per tre mandati consecutivi. Secondo
i due consiglieri regionali del Movimento 5 Stelle,
Andrea Defranceschi e Giovanni Favia, entrambi
presenti in aula al momento della lettura della sentenza, “la decisione del tribunale crea un gravissimo
precedente, che sancisce come a una Regione basti
non legiferare per disattendere una legge dello
Stato”. Favia ha poi ricordato che “solo in tre Regioni, Emilia Romagna, Lombardia e Molise, la
legge dello Stato 165 del 2004 non è stata recepita. E, non a caso, Emilia Romagna e Lombardia
sono le Regioni in cui la norma è stata bypassata
con la riproposizione di candidati che avevano
già superato il secondo mandato. È evidente,
quindi, che ci troviamo davanti al deliberato raggiro di una legge?”. L’istanza, sempre sullo stesso
tema, presentata dai Radicali, è stata rinviata al
prossimo 11 ottobre per un vizio di forma.
Sabato 18 settembre 2010
pagina 7
“Ignorati da Mediaset”
I finiani annunciano
un esposto all’Agcom
M
SCHERMO PICCOLO
ediaset li ignora e loro presenteranno
un esposto all’Agcom. Lo annunciano
i deputati del gruppo di Futuro e
libertà, convinti che le tv di proprietà del presidente del
Consiglio abbiano violato “la normativa vigente in
materia di pluralismo, correttezza e completezza
dell’informazione da parte dei tg”.
“Dai dati pubblicati sul sito dell’Agcom che si
riferiscono all’intero periodo di agosto, mese in cui
si consumava lo strappo tra il Pdl e Futuro e libertà spiegano - emerge che il tempo di parola concesso
dal Tg5 agli esponenti di Fli è pari a 1 minuto e 52
secondi (1.86%) contro i 37 minuti e 32 secondi
(37.79%) del Pdl, i 10 minuti e 32 secondi (10.60%)
della Lega Nord ed i 2 minuti e 28 secondi (2.48%)
de La Destra di Storace”.
“Durante il Tg4, gli esponenti di Futuro e libertà
hanno avuto un tempo di parola pari a 34 secondi
(0.44%) mentre il Pdl ha totalizzato ben 81 minuti e
55 secondi (64.41%) - conclude la nota -. Per Studio
Aperto il dato è ancora più allarmante: gli esponenti
di Futuro e libertà hanno ottenuto un tempo di
parola pari a zero contro i 6 minuti e 17 secondi
(44.56%) dedicati al Pdl”.
TORNA ANNOZERO
E FA LO SLALOM
TRA I TRANELLI DI MASI
Come un anno fa: niente contratti
per Vauro e Travaglio, niente pubblicità
di Federico Mello
C’
recuperare l’effetto Raiperunanotte, il passaparola che, nell’oscurità dell’informazione sospesa in
campagna elettorale, accese il Paladozza di Bologna e migliaia di
case collegate sul digitale, sul satellite e in Rete per sei milioni di
persone.
STAVOLTA ha bloccato le pubblicità che annunciano il ritorno
della trasmissione, uno spot di
pochi secondi copiato – è quasi
uguale – dalla prima stagione di
Annozero proprio per evitare
obiezioni. E invece Masi l’ha stoppato senza dire perché e dire cosa
cambiare. E restano fermi i contratti di Marco Travaglio e di Vauro, nel frattempo la redazione ha
cominciato a preparare la puntata del debutto. In una situazione
d’emergenza, oscurati sino all’ultimo secondo, Santoro cerca di
FU un Annozero in trasferta organizzato in poche settimane e con
decine di appelli. E Santoro chiama a raccolta il suo pubblico con
un emblematico “aiuto!” sul sito
della
trasmissione:
“Cari amici, sono di
nuovo costretto a chiedere il vostro aiuto.
Giovedì 23 settembre
alle ore 21 è prevista la
partenza di Annozero,
ma la redazione è tornata al lavoro da poche
ore e con grande ritardo, i contratti di Travaglio e Vauro non sono
ancora stati firmati e lo
spot che abbiamo preparato è fermo sul tavolo del Direttore generale. Tuttavia, se non
ci sarà impedito di farlo, noi saremo comunque in onda giovedì
prossimo e con me ci saranno come sempre Marco e Vauro. Vi pre-
e Carlo Tecce
è una nuova legge in Rai
che va oltre qualsiasi legge: non si muove foglia
che Mauro Masi non voglia. Il direttore generale l’ha comunicato nella circolare del 24
agosto, poi affossata in consiglio
di amministrazione, e insiste sulla linea editoriale dettata da un
solo ufficio, il suo, e da una sola
persona, se stesso. E così Masi
continua a disseminare ostacoli e
buche lungo il percorso, ormai ridotto, che porterà giovedì Michele Santoro in onda su Raidue.
go, come avete fatto con Rai per
una Notte, di far circolare tra i vostri amici e tra le persone con cui
siete in contatto questo mio messaggio avvertendoli della data
d’inizio del programma. Nelle
prossime ore vi terrò puntualmente informati di quanto avviene”. Perché le ore che mancano
sono incerte. Dalla direzione di
Raidue allargano le braccia: niente sappiamo, niente diciamo. E
un po’ hanno ragione perché Masi ha commissariato i responsabi-
L’appello di Santoro
ai telespettatori:
“Avvertite gli amici
che giovedì
siamo in onda”
li di rete, ormai s’arroga il diritto
di selezionare ospiti e argomenti:
ferma Carlo Lucarelli a Raitre, Filippo Rossi a Raidue e pratica
ostruzionismo ovunque, almeno
per altri due programmi sempre
Effetto traino. Il Tg1 in picchiata,
perde 120 mila euro al giorno di spot
di Carlo Tecce
inzolini costa alla Rai 120
M
mila euro al giorno di mancati ricavi. Al direttorissimo va
male la raccolta di firme in suo
sostegno promossa dal giornalista Stefano Campagna, va malissimo l’ascolto del telegiornale e soprattutto i conti pubblicitari saranno dolorosi per
l’azienda. Minzolini riduce le
entrate Rai di 120 mila euro al
giorno: un punto di share in
meno vale 30 mila euro e il direttorissimo ne ha persi 4 a settembre. Il Tg1 batte se stesso
in peggio: giovedì è sceso al
23,6 di share contro il 29,4
dell’anno precedente e da 6,6
milioni di spettatori a 5,4 milioni: vuol dire meno 5,8 punti,
meno 1,2 milioni di italiani.
NON BASTANO le difese
d’ufficio dal direttore generale
Masi né la copertura politica a
ridurre – anche in soldoni – il
crollo del Tg1: un giorno la Rai
pagherà e quel giorno inizia
ora. Perché da una settimana la
Rai è in periodo di garanzia, tre
mesi da settembre a dicembre,
che disegnano la torta pubblicitaria, la forma e la grandezza
Il giornalista conduttore di Annozero, Michele Santoro (FOTO EMBLEMA)
della terza rete.
A RAIDUE annunciano la conferenza stampa di Santoro per
mercoledì mattina, la consueta
presentazione ai giornalisti: per il
momento hanno prenotato la sala di viale Mazzini, ma festeggiare
un programma senza contratti,
oscurato e sabotato sembra un
paradosso. Santoro è pronto per
l'attraversata dell'ultimo deserto,
pieno di trucchetti ideati da Masi,
ben spalleggiato da un’azienda
che non protesta e da un presidente Garimberti che, silente sul
tema, addirittura segnala al direttore generale il “turpiloquio” di
Maurizio Crozza a Ballarò. La cronaca è una riedizione aggiornata,
e mica tanto diversa, dai dubbi
dell’anno scorso: il contratto di
Travaglio sì, forse, no e le scalette
di Annozero (ospiti compresi) girati al mittente con strani pareri
dell'ufficio legale. Contro l’ostruzionismo di Masi, e le tensioni da
consumare sino al via, Santoro
L’ULTIMA PAROLA
LO SCOOP DI PARAGONE?
LA SOLITA MONTECARLO
G
ianfranco Fini è l’uomo scelto dal
Dipartimento di Stato americano per
far cadere il governo Berlusconi. Questo
l’annunciatissimo scoop di Gianluigi
Paragone per lanciare la prima puntata
della nuova stagione di “Ultima parola”. Si
accendono le luci in sala, gli ospiti sono
già seduti: Vittorio Sgarbi, Pietrangelo
Buttafuoco (ex militante missino,
scrittore e giornalista di Panorama)
Vittorio Feltri, Peter Gomez. In
collegamento Lucia Annunziata ed Enrico
Mentana. Presente anche Filippo Rossi di
FareFuturoWeb, in forse fino all'ultimo.
Prima invitato alla trasmissione poi
estromesso. Ma dopo una nota di
denuncia contro la Rai, pubblicata dallo
stesso Rossi, viale Mazzini fa marcia
indietro. Un bavaglio tentato. Per
quaranta minuti la trasmissione si
concentra sull'affaire Montecarlo. Feltri
ne approfitta per annunciare l'ennesimo
scoop su “Il Giornale”: il contratto di
affitto dell'appartamento alla voce
locatore e locatario portano la stessa
firma, lui dice “di Giancarlo Tulliani”.
Anche Buttafuoco insiste sulla casa
monegasca, dicendosi indignato per il
comportamento “amorale” di Fini che ha
tradito la fiducia di tanti militanti del
partito. “Giusto parlare di Montecarlo –
interviene Gomez – ma perché nessuno
parla della seconda carica dello Stato,
Renato Schifani?”. Putiferio in studio.
cerca l'attenzione del suo pubblico, la mobilitazione e la voglia di
Annozero che tradussero l’idea di
Raiperunanotte in un esperimento
di televisione del futuro.
E Travaglio aspetta: “Sono fortemente in imbarazzo, tutti i giorni
qualcuno mi chiama per avere
notizie, ma io non so ancora nulla. Non sono preoccupato, ma incuriosito, anche perché domani
volerò a New York per alcune
conferenze e tornerò solo mercoledì”.
Paragone interviene e blocca tutto: “Non
possiamo parlare di chi non è presente e
che non può difendersi”. Eppure durante
l'ora e passa di trasmissione, la voce del
leader di Futuro e Libertà non s'è sentita,
come fa notare Gomez in studio e Mentana
dalla sede del tg La7: “Paragone guarda
che in studio Fini non c'è”. Gomez
continua: “Il fatto è che Schifani ha
mandato un comunicato ufficiale per dire
che era disposto a farsi sentire dai
magistrati di Palermo, ma a parte il Fatto
Quotidiano non l'ha ripreso nessuno.
Perché Schifani è ancora sotto l'ombrello
protettivo di Berlusconi. Fini no.” Va in
onda un bel servizio realizzato da più
inviati a Montecarlo. Con telecamere
nascoste alla ricerca di Giancarlo Tulliani.
I passaggi salienti del suo discorso a
Mirabello vengono alternati alle immagini
monegasche. Quando Fini parla del
precariato giovanile ecco le immagini di
Tulliani che lava la sua Ferrari. Lucia
Annunziata invita alla calma: “Ricordo
che qui si discute di una casa di 74 metri
quadri e di una cucina che costa 4200
euro”. Dalle vicende familiari di Fini il
passaggio al complotto internazionale è
breve. Secondo la tesi presentata da
Paragone, Berlusconi sarebbe scomodo
per il governo americano che, per questo,
avrebbe ordito alle sue spalle un
complotto. Mentana per chiudere il
collegamento scherza: “l'Unica cosa che
riesco a seguire, di internazionale, in
questo programma è la Nunez”. Ma
Annunziata non ci sta “Non trovo corretto
che si faccia un apprezzamento al corpo di
Gaetano Pecoraro
una donna”.
Il direttore del Tg1 Augusto Minzolini (FOTO ANSA)
delle fette da distribuire tra i
due concorrenti: il servizio
pubblico e la privata Mediaset.
Con un’andatura a frenata il
Tg1 perde un valore commerciale di oltre 200 mila euro a
edizione serale considerando il
listino Sipra, concessionaria
pubblicitaria, 120 mila per avere una cifra più realistica. E come s’arriva all’allarme rosso? Il
Tg1 delle venti è anticipato da
un minuto di pubblicità venduto a 120 mila euro, poi appena
finisce la sigla c’è un blocco da
cinque minuti di 1,06 milioni di
euro. In totale: il telegiornale
delle venti ha un giro di affari
lordo – perché vanno calcolati
sconti ai clienti abituali – di
1,26 milioni di euro. La Sipra è
la concessionaria di viale Mazzini che vende spazi e programmi agli inserzionisti: mostra il
prodotto con pregi, difetti e
spettatori medi maturati
nell’anno precedente, e applica un prezzo. Con i risultati di
settembre – intorno al 25 per
cento di share e mai sopra i 6
milioni di spettatori – il Tg1 di
Minzolini ha un prezzo spropositato. Le conseguenze saranno
visibili nell’autunno del 2011,
quando la Sipra sarà costretta a
tagliare del 20 per cento il co-
sto di una pubblicità del Tg1
perché il Tg1 di Minzolini ha
smarrito un quinto dell'indice
share del 2009 giovedì e poco
meno in totale a settembre. Ricapitolando: ogni punto vale
30 mila e quindi Minzolini - che
ne ha persi 4 a settembre - fa
scappare dalla Rai 120 mila euro al giorno. Il crollo del Tg1
può condizionare l’ascolto dell'intera serata, frantumare l’effetto traino. Ma il conto verrà
consegnato a viale Mazzini tra
un anno, e la concorrenza di
Enrico Mentana al Tgla7 è appena cominciata. Mentre Mediaset deve riportare a galla il
Tg5, fermo a ridosso del 20 per
cento di share con 6 punti e 1,2
milioni di spettatori in meno in
soli dodici mesi. Il professore
Francesco Silitato del Politecnico di Milano spiega in parole i
numeri e le cifre elaborate dal
suo studio Frasi: “Il Tg1 sera occupa una posizione strategica
nel palinsesto di Raiuno, la sua
caduta può avere effetti rilevanti sulla prima serata e questo
può causare un buco di decine
di milioni di euro per il bilancio
di viale Mazzini”. E il foglio di
solidarietà per Minzolini è ancora mezzo vuoto: siamo intorno alle 70 firme su 170 giorna-
listi in organico. Ma nonostante
il fiasco, il fedelissimo Campagna cerca la polemica con il Cdr
per una nota letta in diretta contro il taglio ai telegiornali: “Minzolini non sapeva nulla della
mia iniziativa, ma dovevamo replicare al comitato di redazione. Leggo il testo del documento: 'Il cdr, per l'ennesima volta,
prende decisioni straordinarie
senza specifico mandato della
redazione, che si era pronunciata contro la cancellazioni di
Tg che non è avvenuta. Chiediamo al cdr perché nel comunicato non ci sia un riferimento
ai nuovi tg del mattino”.
pagina 8
La Cgil alla Gelmini:
deve intervenire
per rimuovere i simboli
A
GIÙ AL NORD
nche il maggiore sindacato
italiano scende in campo contro
la scuola “padana” del paesino di
Adro, nel bresciano. La Cgil-Flc
(Federazione lavoratori della conoscenza),
infatti, con una lettera di diffida al ministro
dell’Istruzione Mariastella Gelmini, chiede
di “rimuovere il simbolo della Lega dalla
scuola di Adro. La scuola pubblica sottolinea il sindacato - deve continuare ad
essere avamposto della integrazione, della
interculturalità, dell’apertura ad ogni
diversità e alle tante novità che
attraversano il mondo”.
Per il sindacato, “i simboli della Lega
rievocano invece intolleranza , chiusure
localistiche e contrapposizione ai valori
fondanti della nostra Costituzione”.
Per questo “non ci potranno mai essere
scuole padane - continua la lettera - ,
perché la scuola è della Repubblica italiana
e devono continuare a sventolare la
bandiera tricolore e quella dell’Europa:
l'Italia è una e indivisibile”.
ONOREVOLI FIRME
Adro, Idv e Pd hanno aderito al nostro appello
Dai finiani un “sì” solo a titolo personale
Dovete tutelare i nostri bambini
Di seguito la lettera di 185 genitori della scuola di Adro.
In tutto i bambini sono 750.
“Com’è stato riportato ampiamente dagli organi d’informazione, gli edifici che costituiscono il nuovo polo scolastico e gli arredi ivi esposti recano diffusamente ed in
evidenza il simbolo denominato “Sole delle Alpi”. È inconfutabile che il “Sole dell Alpi” compone il logo di un
partito politico e che viene da tempo impiegato come
distintivo di appartenenza a tale partito, nel quale si riconoscono gli amministratori locali attualmente in carica. Come cittadini siamo consapevoli che un’amministrazione della cosa pubblica costituzionalmente orientata deve garantire i diritti inviolabili dell’uomo, tra cui il
pieno sviluppo della personalità umana, la libertà e
l’uguaglianza. Come genitori ed educatori avvertiamo il
dovere primario di perseguire e di far perseguire quell’
“interesse superiore del fanciullo” cui tanto spazio viene
riservato nella legislazione nazionale e comunitaria, oltre che nelle convenzioni internazionali alle quali anche il
nostro Paese ha aderito. In nome di tale interesse sentiamo di doverci adoperare perché i nostri bambini possano crescere con serenità, maturando autonomamente
e con consapevolezza le proprie scelte personali ed an-
appello del Fatto ha
fatto breccia: non solo
tra i nostri lettori – oltre trentamila firme in
due giorni – ma adesso anche in Parlamento. Abbiamo chiesto ai gruppi politici
dell’opposizione (e non solo) di sottoscrivere la nostra
richiesta: via i simboli della
Lega dai muri, dai banchi,
dai giardini della scuola elementare di Adro. E la risposta c’è stata. Aderiscono
“con convinzione” Felice
Belisario e Massimo Donadi,
a nome dei gruppi di Camera e Senato dell’Italia dei Valori. Si uniscono al nostro
appello per la “rimozione
immediata dei simboli leghisti” e stigmatizzano
“l’ignavia del ministro Gelmini che, pur di non urtare
L’
che politiche. Abbiamo scelto la scuola pubblica nella
convinzione che possa garantire la formazione dei nostri
figli e lo sviluppo della loro personalità. In tale prospettiva
non possiamo restare indifferenti di fronte a iniziative
che interferiscono con la loro educazione, anche solo inducendo una convinzione di appartenenza che non sia
stata consapevolmente maturata. Non è certo pensabile
che, come da qualche parte si è ipotizzato, coloro che
non condividono le scelte amministrative locali in tema di
edilizia scolastica ritirino improvvisamente i propri figli
da un istituto - il cui corpo insegnante è valido - interrompendo la continuità didattica, per inserirli in un’altra
scuola, in un altro comune. Ci chiediamo e Vi chiediamo
se è lecito e legittimo, prima ancora che opportuno, che
un edificio adibito a sede di scuola pubblica faccia ostentazione di un simbolo che nella prassi o nel sentire comune è identificativo di un partito politico, qualunque
esso sia; se tale ostentazione sia compatibile e coerente
con i valori garantiti dalla nostra Costituzione e con la
prioritaria tutela dell’infanzia propugnata nel nostro
Paese in ambito nazionale ed internazionale. Se così non
fosse Vi chiediamo che nei Vostri ruoli istituzionali interveniate a tutela dei nostri bambini”.
la suscettibilità di uno degli
alleati di governo, accetta
che nella scuola pubblica
possano entrare simboli di
un partito, per di più xenofobo e razzista”. L’Italia dei
Valori ha già presentato interrogazioni parlamentari
sulla vicenda, punto più
basso dei “danni insopportabili e insostenibili” che il
governo Berlusconi “sta facendo nel settore della
scuola”.
ANCHE IL PARTITO democratico, attraverso un’interrogazione, ha chiesto al
governo di chiarire cosa è
successo ad Adro. E ora i capigruppo di Camera e Senato, Anna Finocchiaro e Dario
Franceschini, tornano a
chiedere la cancellazione di
quei simboli assieme a noi:
“Sottoscriviamo
l’appello
del Fatto Quotidiano perché
quello che è avvenuto nella
scuola di Adro – spiegano –
nulla ha a che fare con il federalismo, che deve essere
uno strumento solidale, di
coesione sociale e democratico. Piegare una scuola pubblica alla pura propaganda
politica è un fatto grave e sarebbe opportuno, come abbiamo già chiesto con un’interrogazione del nostro
gruppo parlamentare, che il
governo chiarisse quanto è
successo”.
Quella dell’Udc è una “sottoscrizione ideale”: li lascia
“perplessi” firmare appelli
dei giornali, perché i parlamentari hanno a disposizione “strumenti propri”. Ma
condividono lo spirito del
nostro allarme: “Nessuno
può permettersi di strumentalizzare e targare qualsiasi
edificio finanziato con soldi
pubblici, figuriamoci una
scuola – spiega il deputato
Udc Roberto Rao – Segnali
del genere, per chi non ha
capacità di discernimento,
finiscono per diventare una
imposizione
subliminale,
che già la Lega dovrebbe
stigmatizzare, e a maggior ragione il ministro Gelmini.
Resettiamo tutto, e mettiamo al bando le giustificazioni puerili, come quelle sul
colore o sul simbolo casuale.
Faremo la nostra parte – conclude Rao – non solo per
condannare, ma per chiamare il governo alle proprie responsabilità”.
È l’ora della protesta contro il sindaco
OGGI NEL PAESE BRESCIANO LA MANIFESTAZIONE PER RIMUOVERE I SIMBOLI DELLA LEGA
di Elisabetta
Reguitti
ll’ inizio erano solo dodici. Si sono
date appuntamento all’oratorio e
hanno deciso di scrivere l’appello e
raccogliere le firme. Stiamo parlando delle mamme che hanno sottoscritto
e spedito il loro modo di intendere e
vivere la Costituzione. Il risultato è stato
grande e incoraggiante perché 185 firme
di genitori sui 750 bambini che frequentano il polo scolastico di Adro non sono
poche considerando che ci sono genitori che hanno due o anche tre figli iscritti.
A
PARTIAMO QUINDI da queste firme
per ricostruire la cronaca di ciò che sta
accadendo in questi giorni. Prosegue il
silenzio delle istituzioni compresi prefettura e ufficio scolastico regionale e provinciale. A parlare, invece, è stato il coordinatore provinciale del Pdl Viviana Beccalossi che oltre a dissociarsi dal gesto del
primo cittadino ha ufficialmente chiesto
la rimozione da qualsiasi ambiente scolastico del “Sole delle Alpi”.
Nel frattempo però il Fatto Quotidiano (a
differenza di quanto sostiene il sindaco
Lancini) ha dimostrato come la società
editrice del La Padania lo abbia registrato
come suo marchio identificativo.
Bocche cucite, invece, sulla procedura
dell’intitolazione a Gianfranco Miglio:
nessuno ha mai visto l’autorizzazione. Per
il resto sappiamo (come riportato da Il
Fatto Quotidiano on line) che una mamma,
Laura Parzani, figlia dell’ ex sindaco di
Adro ha deciso di ritirare le sue due figlie
dalla scuola. “Non voglio che ogni giorno
venga sbattuto loro in faccia un simbolo
che sta nelle segreterie di un partito”.
Laura potrebbe non essere però l’ unica
mentre pare che anche alcuni insegnanti
stiano meditando di chiedere il trasferimento. Ma Adro c'è anche un’ opposizione politica (lista Linfa) che chiede trasparenza e correttezza nella gestione
dell’amministrazione pubblica. Tutto tace anche sulla questione, riportata da Il
Fatto Quotidiano, che la Eredi Lancini
(azienda di famiglia del sindaco) è stata
condannata per non avere pagato l’ Ici
dovuto.
A STABILIRLO C’È la sentenza di condanna della Corte di Cassazione del 23
giugno scorso. Detto questo rimane l’ iniziativa di questa mattina: nata spontaneamente su Facebook sembra aver preso
piede soprattutto tra le persone a dispetto dell’ appartenenza politica. Per fare in
modo che quella scuola venga ripulita
dalla tutta la simbologia leghista verranno
esposte e appese bandiere tricolori. Nel
frattempo pare che il sindaco sia stato
diffidato dal fare ciò che aveva previsto:
mettersi cioè in mezzo alla piazza con un
gazebo per distribuire materiale sul polo
scolastico. Tutto ciò accade mentre l’attuale ministro Umberto Bossi invoca:
“Una capitale al nord”.
Italo Bocchino non se la sente di parlare da capogruppo
di Futuro e libertà. Non firma la nostra iniziativa: “Per
dire che non siamo d'accordo con quello che è successo ad Adro – spiega – usiamo
gli strumenti parlamentari”.
FIRMA INVECE, almeno
“a titolo personale”, il deputato Enzo Raisi “perché l'unico simbolo che può stare
nelle scuole italiane è il tricolore. Un simbolo che unisce e non divide”. Il deputato Benedetto Della Vedova, più che firmare, dice,
“me lo autorivolgo”. È “d’accordo”, ma ammette, “più
che un appello dovrei fare
un’interrogazione”. L'ha già
fatta il deputato Luca Bellotti, “e nessuno ne ha dato
conto”, dice: “C'è un atto depositato alla Camera, un’interrogazione in cui chiedo al
governo di prendere posizione. È una cosa indegna
che venga accettato un oltraggio del genere, solo per
compiacere qualcuno, solo
per non farlo arrabbiare.
Dunque non posso che sottoscrivere il vostro appello,
anche se ripeto, il mio dovere l’ho già fatto”. Il senatore finiano Maurizio Saia dice
“assolutamente
sì”:
“Qualsiasi simbolo di partito
– spiega – non deve entrare
nella scuola. Anche noi nell'Msi discutevamo di come
fosse abbondantemente superato il Ventennio, mi pare
che stiamo tornando indietro”.
pa.za.
Contro la “seces sione”
oltre 30.000 “no”
Quattromila commenti e
passa alla nostra iniziativa
sono arrivati al nostro sito.
Lettori sconcertati, avviliti
o desiderosi di avere un
cenno dal mondo politico.
Questa è una selezione
è SILVANO BELLATO
La Lega non può fare quello che
vuole nella scuola pubblica, se ne
frega della Costituzione e di
fatto sta attuando la secessione,
che è il vero scopo del
federalismo. Aderisco
fermamente al vostro appello. La
gente del Nord deve svegliarsi,
come fa a non accorgersi che la
Lega racconta solo bugie?
è PASQUALE
Sto veramente perdendo la
speranza che l’Italia possa
ritornare ad essere un paese
civile…
è LAURA
Mia figlia (4 anni) è tornata a
scuola. Le maestre ci hanno
fatto un elenco di beni da
portare come corredo: acqua,
fazzoletti di carta, sapone
liquido, carta igienica, tovaglioli.
Ci siamo impegnati per
l’acquisto di materiale didattico,
di un telefonino e relativa scheda
telefonica per permettere loro
di chiamarci. E mi chiedo perché
la Gelmini non pensi di porre
rimedio allo stato vergognoso
delle scuole pubbliche anziché
lodare un’orda di idioti in preda
a deliranti follie secessioniste!
è ANGELO BADELLINO
La cosa che più mi fa rabbia, è il
Sabato 18 settembre 2010
Da un debito (saldato)
di 10mila euro, scoppia
il caso dell’istituto Miglio
A
GIÙ AL NORD
conti fatti le famiglie morose
delle quote mensa scolastica di
Adro erano 28.
Per un equivalente di circa 5 mila euro. Ma il
caso scoppia in aprile dopo che
l’imprenditore Silvano Lancini decide di fare
un bonifico di 10 mila euro per saldare le quei
debiti visto che il saldo della mensa era
positivo. L’altro Lancini (il sindaco Oscar
Danilo) si era invece distinto per la presa di
posizione del “non paghi, non mangi” e la
conseguente consegna ai bambini di una
lettera-avviso per le famiglie: “Al rientro alle
lezioni dopo le vacanze di Pasqua non sarà più
possibile la permanenza a scuola dell’alunno/a
nell’orario dedicato alla mensa”.
Da oltre 30 anni il servizio pasti per gli alunni
delle classi materne e primarie viene garantito
da un’associazione di genitori presieduta
gratuitamente da Giuseppina Paganotti.
In estate è avvenuto il “passaggio di
testimone” obbligato e quindi oggi la mensa
viene gestita direttamente dall’amministratore
co
E.Reg.
CON IL PADRE MOROSO
IL FIGLIO VA AFFAMATO
Gerenzano, niente mensa
scolastica agli alunni con genitori insolventi
di Chiara Paolin
on c'è due senza tre. Dopo Adro e Montecchio
Maggiore (Vicenza), anche Gerenzano, nel Varesotto, ha pensato di salvare
il proprio bilancio tagliando i
pasti ai bambini i cui genitori
hanno problemi nel saldare la
retta della mensa scolastica.
Basta una distrazione, un buco
di pochi euro: “L'utente che
accumulerà un debito di 40
euro - si legge nella circolare
inviata per il nuovo anno scolastico all'istituto comprensivo del paese - non potrà più
utilizzare il servizio di ristorazione e, conseguentemente, il
genitore dovrà ritirare dall'istituto scolastico il proprio figlio
durante il tempo mensa”.
Per far capire meglio l'antifona, a maggio alcuni bimbi, figli
di genitori insolventi, avevano
ricevuto per pasto un panino.
Una punizione una tantum,
che adesso diventerà sistema:
“I debiti dei genitori hanno
toccato quota 12mila euro - ha
spiegato l'assessore all'Istruzione Elena Galbiati -. Una situazione insostenibile, anche
perché le famiglie a basso reddito vengono già aiutate".
In concreto sono 163 genitori
in ritardo con i pagamenti:
N
La scuola e il sindaco del Carroccio
In alto a sinistra, il primo cittadino di Adro, Oscar Lancini; nelle due foto grandi l’istituto
“Gianfranco Miglio” al centro delle polemiche per i simboli
legati all’universo Lega del quale è disseminato
SULL’ATTENTI! Il Prefetto
fa gli onori alla Biciclettata padana
opo le sfilate di miss in fascia verde e la Bernocchi del Partito democratico, il viDarrivati
scuola con il “Sole delle Alpi”, sono cesindaco Bruno Tagliati e Franca Biglio,
anche i ciclisti leghisti guidati da presidente dell'Associazione nazionale
uno sportivo d'eccezione: il senatore padano Michele Davico, sottosegretario degli Interni e braccio destro di Roberto Maroni. Partita dal Monviso, la prima "Biciclettata Padana" ha fatto tappa a Bra dove
Davico è stato assessore alla cultura e all'istruzione, per dirigersi poi nel Pavese,
passando per Mantova e Pizzighettone.
Meta finale: la "Festa dei Popoli Padani"
organizzata dalla Lega Nord. E se a Venezia sono stati accolti dal ministro e leader
della Lega Nord Umberto Bossi, a Pizzighettone a dare il benvenuto a Davico e
alla cinquantina di ciclisti con tanto di
maglietta e pantaloncini griffati con lo
stemma del “Sole delle Alpi”, c'erano il
prefetto, Bruno Tancredi di Clarafond, il
viceprefetto Emilia Giordano, il primo
cittadino della cittadina cremonese Luigi
fatto di essere preso in giro da
persone che come pecore,
seguono dei politici che fanno
dell’odio e dell’intolleranza la
base di tutte le loro decisioni.
è ANTONIO
E il capo dello Stato che dice?
è LIDIA SERRAU
Penso a ciò che mi hanno
insegnato i libri di storia e mi
inorridisce guardarmi attorno e
scoprire che non abbiamo
capito niente.
è ANTONIO IMPERATORE
Fanno tutto ciò che vogliono. Gli
si concede tutto. Che la
smettano!!!
è MIKLOS
Una cosa è mettere il simbolo
all’ingresso della scuola, un’altra
piccoli comuni italiani e vicesindaco di
Marsaglia. Impeccabile il prefetto Bruno
Tancredi di Clarafond ha predisposto al
seguito della carovana un servizio d'ordine con diverse pattuglie della polizia
stradale. Prima di ripartire foto di rito e
scambio di doni: il sindaco del Pd ha ricevuto in omaggio dal senatore Davico la
casacca verde del team dei ciclisti padani.
A dar "fastidio" alla festa solo Franco Bordo, consigliere comunale di Sel che in
una lettera pubblica ha manifestato dissenso: "Chi ha un ruolo di garanzia e di
rappresentanza istituzionale super partes, come il prefetto non può e non deve
partecipare a una manifestazione di partito. Anche questo episodio la dice lunga
in merito alla deriva democratica del noAlex Corlazzoli
stro Paese".
è tappezzare la scuola stessa di
questo simbolo. Io trovo solo
una parola per descrivere ciò:
indottrinamento delle masse! E
la cosa più vergognosa è che è
stata fatta su menti “vergini e
indifese”, quelle dei bambini.
è FABRIZIO CICCARELLI
Tutte le dittature iniziano così,
come ad Adro. Se fosse vivo mio
nonno, ucciso dai tedeschi nel
1944, direbbe non la stessa cosa,
ma chissà quante altre
nefandezze avrebbe da
raccontare. Ormai non credo
più si possa tornare alla
normalità, almeno non credo di
poterlo vivere anche io questo
ritorno alla normalità, anche se
oggi ho ancora 40 anni.
è GIOVANNI
Siamo già alla secessione!!! I
“camerati”, sempre così
patriottici, non hanno nulla da
dire???
è LUIGI
Oramai sono come un fiume in
piena, e adesso stanno
rompendo pure gli argini.
è TITO AMBRUOSI
Possibile che le ISTITUZIONI e
le varie forze di opposizione
fanno finta di non vedere oppure
sono talmente ciechi che non
vedono la realtà che li circonda.
Se così fosse poveri noi in quali
POLITICI siamo cascati!!!
è GIUSEPPE CAPUANO
Volevamo una scuola di tutti,
libera da condizionamenti,
(crocifisso compreso) ed ora
siamo punto e a capo come
all’epoca del fascio
Nel comune
amministrato
dal Carroccio già
a maggio alcuni
bimbi
erano stati puniti
con un panino
avranno tempo fino al 30 settembre per saldare i dovuto,
poi scatterà la ritorsione alimentare. Qualche mamma si è
detta vagamente preoccupata
per la scelta del primo cittadino: “Il problema dei debitori
colpisce anche chi come noi
paga ogni mese regolarmente
– ha dichiarato al quotidiano
La Provincia di Varese Stefania
Restelli, del Comitato genitori
–. Ma non vorrei che così si
danneggiassero i bambini che
non hanno colpa”.
Anche in questo caso, a concepire il geniale meccanismo
è stato un esponente della Lega Nord, Silvano Innocente
Garbelli. Uno che, appena
eletto, ha fatto approvare in
blocco dal consiglio comunale le sue linee programmatiche: “La cosa più importante
da sottolineare è che la Lega
Nord per l'indipendenza della
Padania, ha deciso di presentarsi da sola a queste elezioni
L’OLTRAGGIO DI ADRO,
APPELLO DE “IL FATTO”
Sono oltre 30.000 le adesioni al nostro appello. Continuate ad aderire. Ecco il testo: ad Adro in provincia di
Brescia, una scuola della Repubblica Italiana è stata trasformata in un istituto padano e ricoperta dai simboli
leghisti su ordine di un sindaco che ha potuto contare
sulla colpevole indulgenza del ministro dell’Istruzione
Gelmini. Un sopruso e un oltraggio. Davanti all’inerzia delle
pubbliche autorità che preferiscono girare la testa dall’altra
parte chiediamo l’immediata
cancellazione di quei simboli tracciati con intenti secessionisti e in
evidente spregio al principio costituzionale della Repubblica una e indivisibile. sul sito www.ilfattoquotidiano.it
è CARLO
Chi ha autorizzato l’uso di un
nome del genere in una scuola
pubblica? Il Prefetto ne sa
qualcosa? E’ veramente tutto
regolare? La Corte dei Conti
non potrebbe vederci un pò
chiaro? La Finanza non potrebbe
fare un’indagine a tappeto tra gli
eroici donatori che magari sono
pure evasori. Trattandosi di
leghisti la cosa non mi
sorprenderebbe.
coscienza
agostino lamanna
come a Venezia il 12 settembre
per l’invasione leghista abbiamo
esposto il tricolore … basta con
l’arroganza e le prevaricazioni
è SERGIO NOTARIO
Sono un vostro lettore
quotidiano, non abbonato
perché amo acquistare i giornali
all’edicola. Vi seguiamo,la mia
compagna ed io dal primo
numero ne non ne abbiamo
perso uno.
Continuate così.
è MICHELE
L’Italia così non va avanti, anzi,
torna indietro di 100 anni per
ogni imbecille che fa queste
cose!
è VITA ARENA
E’ uno schifo , la scuola
dovrebbe essere libera e priva di
sponsor….. la lega dovrebbe
farsi un profondo esame di
per mantenere quella coerenza, correttezza, chiarezza e
trasparenza che dimostra oramai da 13 anni”.
Uno che si prende cura dei
suoi concittadini segnalando
puntualmente il pericolo. Si
legge sulla bacheca on line
dell’amministrazione di Gerenzano: “Nelle scorse settimane in Comune sono giunte
alcune segnalazioni. Una donna, con accento straniero, telefonava presso le abitazioni
dicendo che era in corso una
raccolta di soldi (15 euro) per
un’iniziativa del Villaggio
Amico di Gerenzano. Spiega il
vicesindaco Pier Angela Vanzulli: “Al Villaggio Amico nessuno sapeva nulla, era un evidente tentativo di raggiro. Abbiamo fatto subito stampare
dei volantini e messo un avviso sul tabellone luminoso che
c’è in piazza”. Chissà se c’era
scritto che la donna aveva un
accento straniero.
è ANTONIO MISURELLI
Hanno distrutto L’Italia. Il Nord
è in mano ai leghisti, il Centro ed
il Sud in mano ai piduisti, ai
mafiosi ed ai corrotti. Siamo
messi proprio male.
è ANTONIA GRIGETTI
Stanno costruendo uno stato
che non c’è, gli hanno dato un
nome e una bandiera, e noi non
dovremmo nemmeno piu’
nominarla, La Padania è SOLO
un quotidiano, con tutto il
rispetto per i quotidani
s’intende.. e NON deve
esistere nelle nostre teste, non
dobbiamo accettare qst nome
perchè qst ci portera’ a non
urlare se un giorno ci alzeranno
intorno un muro di cinta.. E’ gia’
successo, è il popolo vigile che
deve ribellarsi, scardinando
mattione dopo mattone qst
muro che gia’ sta nascendo
nelle nostre teste, già nominarla
significa ammetterne
l’esistenza.
è LUCILLA PELLEGRINO
Che brutto momento
è SILVA MOTARAN
Sono contraria a una esibizione
dei simboli sia religiosi che
politici nei luoghi pubblici
è MARIO MOTTI
Un baluardo dell’informazione e
dell’azione civica in un immenso
oceano di interessi perversi ed
anticostituzionali… il Fatto
quotidiano! Bravi e coraggiosi, vi
sostengo e vi do voce. Grazie di
esistere.
pagina 10
Sabato 18 settembre 2010
PADANIA LADRONA
REGALO DI STATO
ALLA “SCIURA” BOSSI
Per la scuola della moglie del senatur conti in rosso fino
al 2008, poi da Roma sono arrivati i “verdoni”
di Vittorio
Malagutti
Varese
a scuola della Lega? Un
successone. “Quest’anno abbiamo superato i
300 alunni iscritti. Un record”. È contento, contentissimo Dario Specchiarelli, presidente della cooperativa che
gestisce asilo, elementari e
medie nate e cresciute nel segno del “Sole delle Alpi”. Solo
che qui, nella scuola leghista
di Varese, quella doc, quella
benedetta da Umberto Bossi e
diretta da sua moglie, la maestra Manuela Marrone, non
c'è proprio traccia di simboli
di partito. Adro? “Fatti loro”,
si scalda Specchiarelli.
Di certo il business viaggia alla grande. Nel 2009 la scuola
ha festeggiato il primo bilancio in utile. Poca cosa, duemila euro e spiccioli. Ma nel
2008 i conti erano in rosso di
quasi 500 mila euro su un milione di ricavi. Stessa musica
nel 2007 e nel 2006: bruciati
in perdite più della metà degli
incassi. Di questo passo la
scuola sarebbe stata costretta
a chiudere i battenti, a meno
di trovare ogni anno nuovi generosi sostenitori.
L
Niente paura, i soldi alla fine
sono arrivati, come hanno
raccontato i giornali già nel luglio scorso. Soldi pubblici:
800 mila euro stanziati dal Parlamento con la famigerata legge mancia, ovvero la distribuzione di finanziamenti a pioggia a favore delle più disparate
iniziative sponsorizzate da deputati e senatori. Attenzione
però, il denaro destinato alla
scuola leghista è diventato di
fatto un regalo alla signora
Bossi con i suoi due sodali. E
cioè l’ex senatore (ovviamente leghista) Dario Galli, da due
anni presidente della provincia di Varese nonché consigliere dell’azienda pubblica
Finmeccanica, e il già citato
Specchiarelli. Sono loro, infatti, assieme all'Associazione
Bosina e all'omonima Associazione Bosina onlus, gli unici
iscritti a libro soci della cooperativa “Scuola Bosina”, che
gestisce l’istituto varesino.
NEGLI ANNI scorsi questi
volonterosi cooperatori hanno fatto fronte alle perdite di
tasca loro. Tra il 2006 e il 2009,
la coop ha perso la bellezza di
un milione e 320 mila euro su
due milioni e 360 mila euro di
TREVISO
RISTORANTE AI VENETI
ZAIA: “QUI NON MANGIAMO
STECCHINI CINESI”
di Erminia
Della Frattina
Treviso
ai visto qui i cinesi che fine fanno?“. Luca Zaia indica
“H
il bancone del bar con ogni ben di Dio: panini,
mortadella, pizzette, tutta roba rigorosamente “made in
La scuola Bosina di Varese
incassi. La signora Bossi, intestataria di 200 quote su un totale di mille che costituiscono
il capitale sociale, è stata chiamata a fare la sua parte sborsando oltre 250 mila euro in
quattro anni. Stesso discorso
per Galli e Specchiarelli, pure
loro proprietari di 200 quote
ciascuno. Insomma, un pessimo affare. Almeno fino a quando non si è aperto il paracadute di Stato. Da Roma ladrona
sono arrivati 800 mila euro
che hanno salvato il conto in
banca degli educatori con la
camicia verde. Il contributo è
spalmato su due anni (300 mila retrodatati al 2009 e il resto
per il 2010) ed è passato in Parlamento sotto la voce “ampliamento e ristrutturazione”. Dei
lavori per il momento non c’è
traccia all’esterno del palazzo
che ospita la scuola. Ma i soci
padani, questo è sicuro, non
dovranno aprire il portafoglio.
Veneto”. Per essere sicuro apre un panino: “Guardate, è
porchetta trevigiana, altro che stecchini cinesi”. Ma perché il governatore inaugura un bar in un paesino del
Trevigiano? Semplice: il bar “è stato strappato”, come
dice lui, a una famiglia di cinesi, marito e moglie, che
avevano rilevato l’attività un anno fa. Ora il locale, “Il
Girasole” di Quinto di Treviso, torna in salde mani venete. “Il saké è finito – insiste Zaia – qui si serve Prosecco”. L’anonimo bar lungo la statale che da Noale arriva
a Treviso diventa famoso per un giorno. Arriva il sindaco,
si taglia il nastro e poi la mortadella. “La signora Paola è
un eroe”, si gonfia Zaia. È Paola Durigon, la nuova proprietaria del bar. “Un esempio in controtendenza”, gli
fanno eco le tante giornaliste col microfono, che sui
cinesi ricalcano gli stereotipi classici: “Ma è vero che
quando hanno comprato il locale sono arrivati con la
valigia piena di contanti?”. Persino la vecchia proprietaria, che ora è socia di Paola (l’eroe) si stupisce: “Hanno
fatto una transazione con la banca, proprio come faremmo noi”.
SI STAPPANO le bottiglie e Zaia continua con le sue
perle: “Abbiamo fermato l’invasione cinese”, evviva. La
signora Paola si concede qualche apprezzamento sulla
gestione cinese: “Erano in crisi perché loro con la pulizia
non ci sanno fare, erano sporchi”. Si galleggia in un mare
di vino e fazzoletti verdi nel taschino. Zaia ripete come un
disco rotto: “Basta saké”. La propaganda leghista è fatta
così: si gonfia come il gonfalone di San Marco con il Leon
che magna il terron (e i cinesi) e le sparate sul fisco.
Chiedono i giornalisti: “I cinesi non pagavano le tasse, ma
la nuova proprietaria le pagherà?”. Risposta di Zaia: “Sfatiamo questo mito, al nord le tasse si pagano, ma solo
quelle giuste”. Ce ne sono anche di sbagliate, per Zaia.
Sabato 18 settembre 2010
pagina 11
CRONACHE
TRANS-MOBBING
Un’operaia annuncia di voler cambiare sesso
Insulti e violenze la spingono al suicidio
Un’immagine del Gay pride di Genova (FOTO ANSA)
di Silvia D’Onghia
anno cominciato facendomi
trovare
l’immondizia nell’armadietto, o spegnendomi la luce mentre andavo in
bagno, o riempiendomi d’acqua gli stivali. Poi sono arrivate
le lettere di richiamo e gli insulti
anche durante l’orario di lavoro”. Episodi che potrebbero annoverarsi come (pesante) mobbing aziendale, se non fosse che
la persona coinvolta è transessuale, ha 35 anni e, dopo cinque
anni di angherie, ha tentato di
togliersi la vita.
“H
LA CHIAMEREMO S. e diremo che lavora in un’azienda casearia della provincia di Latina.
“Una quarantina di persone alla
produzione – ci racconta – più
una quindicina di impiegati”. Un
ambiente che S. conosce bene,
lavorando lì da dieci anni. “Cinque anni fa ho ottenuto di essere
messo in regola, e subito dopo –
come una sciocca – ho comunicato alla caporeparto e alle colleghe di voler cambiare sesso”.
Già, perché S. ha cominciato il
difficile percorso del cambio di
identità, da donna a uomo. Ed è
stato in quel momento che sono
iniziati i soprusi. “Le altre operaie, sette o otto, mi facevano
ogni genere di scherzi – prosegue S. – mi hanno messo l’acqua
negli stivali, o l’immondizia
nell’armadietto. Quando andavo in bagno, mi spegnevano la luce. Oppure mi costringevano a
cambiarmi in corridoio, impedendomi l’accesso allo spogliatoio. Ma durante le ore di lavoro
mi lasciavano ancora in pace”.
Certo, S. si sentiva dire “vedrai,
un po’ alla volta ti faremo impaz-
zire”, o si sentiva chiamare “transformer”, o veniva completamente isolata durante il pranzo.
“Ma bastava che mi lasciassero
lavorare in pace”.
POI, INVECE, questa linea
sottile si è interrotta. Ed è cominciato l’inferno vero, per mano
S. lavora
da 10 anni
in un’azienda
casearia
Lunedì
ha tentato di
togliersi la vita
delle stesse operaie e del direttore dello stabilimento: “Nel
2008 ho ricevuto una serie di lettere di richiamo, alle quali, però,
non è seguito alcun provvedimento. Hanno provato a raccogliere le firme contro di me. Mi
insultavano definendomi ‘mezza lesbica, mezzo frocio’. Più volte sono arrivati a malmenarmi”.
Cinque anni di soprusi, cattiverie, violenze.
S. non ce l’ha più fatta. Lunedì
scorso ha tentato di togliersi la
vita, l’ha fatto in quella stessa
azienda, alla presenza di quelle
colleghe e di quei dirigenti che
quella vita l’hanno resa un calvario. Si è tagliata i polsi con un taglierino. Ma neanche questo li
ha fermati. L’hanno spintonata
fino all’uscita dello stabilimento,
nonostante perdesse molto sangue. Sono stati gli operai di
un’azienda vicina a prestarle
soccorso e ad accompagnarla
all’ospedale Santa Maria Goretti
di Latina. S. è viva, ma la sua voce
è flebile. La paura – si avverte – è
ancora tanta. S. ha scelto di rivolgersi, affiancata dalla sua famiglia, all’ufficio legale della Gay
Help Line dell’Arcigay, per denunciare quanto accaduto e per
chiedere assistenza. “La vicenda
merita l’immediata attenzione
dell’autorità giudiziaria – dichiara l’avvocato Daniele Stoppello,
responsabile dell’ufficio legale –
perché risultano violate tutte le
normative che tutelano le persone lesbiche, gay e trans nei luoghi di lavoro”.
“QUESTO EPISODIO mostra in modo drammatico – afferma Fabrizio Marrazzo, presidente di Arcigay Roma e responsa-
bile di Gay Help Line – una condizione lavorativa assurda, disumana e inaccettabile e dimostra
la necessità di norme severe che
contrastino l’omofobia e la
trans-fobia. Il lavoro per le persone trans rappresenta una vera
e propria emergenza sociale. Il
nostro numero verde riceve moltissime segnalazioni e denunce
di chi, dopo aver iniziato un percorso di transizione, subisce episodi di mobbing, perde il proprio impiego e non sempre riesce a trovarne un altro. Una realtà dolorosa e complessa perché
espone moltissime persone al
racket, allo sfruttamento, al mercato del lavoro nero o, come in
questo caso, al suicidio”.
Naturalmente, una volta circolata la storia di S., il teatrino della
solidarietà si è messo in moto.
Un fatto “inaccettabile”, lo ha definito la Governatrice Renata
Polverini: “Mi auguro che oltre
alle autorità giudiziarie, anche i
vertici dell'azienda facciano tutte le necessarie verifiche affinché le norme anti-mobbing siano rispettate ed episodi di questo genere non si ripetano”.
Quando si è
tagliata le vene
nello
stabilimento,
nessuna
delle colleghe
l’ha soccorsa
Il ritorno involontario di Marrazzo
on c'è pace per Piero MarNla Natalie,
razzo e neppure per la bella trans dello scandalo che ha travolto la sua carriera politica. Da tempo l'ex
governatore del Lazio cerca di
farsi dimenticare, nascosto
nel suo ufficio, sede Rai di via
Teulada, dove è tornato al vecchio mestiere di giornalista
con la qualifica di direttore e
incarichi che nessuno conosce. Non sempre ci riesce e di
tanto in tanto i giornali tornano a occuparsi di lui. Come
l'altra notte quando, nei pressi di via Due Ponti, una pattuglia della stradale lo ha ferma-
MEDIASET
IMMAGINI SGRADITE
immagine non è adatta ai bambini. E non
quella di velone, veline, meteorine e donnine
semi-nude che affollano i programmi televisivi.
Quella che i bambini non devono vedere è una
normale signorina, vestita in maniera sobria, che
per mestiere fa la truccatrice, proprio in tv. E che
fino a un anno fa era un uomo. Lunedì scorso si è
presentata come al solito al lavoro: avrebbe dovuto
truccare i bambini del programma di Gerry Scotti
“Io canto” (Canale 5). Ma la sua presenza non era
gradita. “La tua immagine turba i bambini”, si è
sentita dire. Spostata ad altro incarico, non certo
licenziata. Ma la sostanza cambia poco. E la cosa
ugualmente incredibile è che il quotidiano
“Libero”, che pure racconta l’accaduto, lo
minimizza: “Scelta legittima – scrive Francesco
Borgonovo – Qualcuno dei più piccoli può aver
orecchiato che quella signorina fino a poco tempo
fa era un signore. E poi è tornato a casa ponendo
domande imbarazzanti a mamma e papà”.
L’
to per eccesso di velocità.
Marrazzo era a bordo di una
Lexus – ha sempre avuto una
guida sportiva – e alla fine se
l'è cavata con una multa da 76
euro non avendo con sé il libretto di circolazione e neppure il tagliando assicurativo.
Attorno alla mezzanotte si è
scusato con gli agenti.
Tutto normale, se non fosse
per il nome della strada imboccata troppo velocemente:
via Bruni è una traversa di via
Due ponti. Duecento metri
più in là il 20 gennaio 2009 è
morta asfissiata, nell'incendio del suo monolocale, Brenda, l'amica del cuore di Natalie, presunta protagonista di
un video a tre, dove sarebbe
comparso anche Marrazzo. Se
ne è molto parlato, ma il video
non è mai stato trovato. Due
mesi prima era morto Gianguarino Cafasso, il pusher dei
trans stroncato da un'overdose di eroina purissima. Morti
misteriose che ruotano attorno all'affaire Marrazzo. Storie
di uomini di potere e transessuali, incontri proibiti di cui
poi riferiscono ai carabinieri
per costruire dossier da tirare
fuori al momento giusto.
Sul tavolo del procuratore aggiunto Capaldo ci sono ancora due fascicoli aperti in cui si
ipotizza il reato di omicidio.
Storia terribile e senza fine.
Perché Marrazzo torna in via
Due Ponti? Un quotidiano ro-
mano ha sbattuto in prima pagina la notizia, senza altri
commenti, quasi racchiudesse in sé tutte le allusioni possibili. L'avvocato Luca Petrucci reagisce con stupore: “Sinceramente della multa non so
nulla, ma qualcuno dimentica
che Marrazzo vive a Colle Romano e che per tornare a casa
da piazzale Clodio, dove lavora, deve passare per forza in
via Due Ponti. Anche io faccio
quella strada”. È una scorciatoia.
Per una sorte di contrappasso
lo stesso giorno si è tornati a
parlare di Natalie. Blitz in via
Gradoli, la strada dei misteri
di Roma, dove tutto cominciò
il 3 luglio 2008 quando i carabinieri della compagnia
Trionfale fecero irruzione in
casa del trans sorprendendo
Marrazzo in mutande. La stessa notte della multa in via Due
Ponti, le forze di polizia sono
tornate in via Gradoli con l'obiettivo di identificare extracomunitari e inquilini senza
contratto di affitto. Ma alcuni
agenti hanno fatto una capatina anche in casa di Natalie e
lei ha dato in escandescenze.
Poi ne ha approfittato per rilasciare interviste.
Storia terribile e senza fine. Il
cadavere di Gianguarino Cafasso è stato riesumato alla fine di agosto. Nessuna certezza sulla morte di Brenda, ma
su quella del pusher la Procu-
RICICLAGGIO
Di Girolamo
patteggia 5 anni
C
inque anni e quattro
milioni e 700 mila
euro da restituire: questa
la pena patteggiata dall’ex
senatore Pdl Nicola Di
Girolamo, coinvolto
nell’inchiesta su un
riciclaggio internazionale
da due miliardi di euro.
L’ex parlamentare era
stato raggiunto da una
ordinanza di custodia
cautelare per associazione
per delinquere finalizzata
al riciclaggio effettuato a
livello internazionale e,
con riferimento alla sua
elezione a senatore con il
voto degli italiani
all'estero, per violazione
della legge elettorale e per
scambio elettorale
aggravato dal metodo
mafioso: la sua elezione
sarebbe stata ottenuta
grazie a un broglio
realizzato dalla famiglia
della ‘ndrangheta Arena.
Di Girolamo, da ieri ai
domiciliari, è stato l’unico
a collaborare: oltre ad
aver svelato il
meccanismo della frode
fiscale di alcuni ex
dirigenti di Fastweb e
Telecom Italia Sparkle,
con la regia
dell'imprenditore
napoletano Gennaro
Mokbel e di alcuni suoi
stretti collaboratori, ha
anche parlato dell'affare
Digint, società del gruppo
Finmeccanica e che
(sospettano gli inquirenti)
serviva per creare fondi
neri all'estero.
TRADIZIONI
Bimbi spaventati
dal burqa
L’EX GOVERNATORE FERMATO DALLA STRADALE. PROSEGUE L’INCHIESTA SUI CARABINIERI
di Rita Di Giovacchino
N
A
ra di Roma non ha dubbi.
Gianguarino sapeva troppe
cose, forse ricattava i carabinieri della compagnia Trionfale. In tre sono finiti in carcere con l'accusa di avergli volutamente fornito una dose di
eroina, al posto della cocaina
di cui era abituale consumatore. Lo scopo? Eliminare un testimone scomodo. In carcere
è rimasto soltanto il maresciallo Nicola Testini, gli altri
due hanno ottenuto gli arresti
domiciliari. Sono in corso
nuove perizie tossicologiche.
Fra una ventina di giorni avremo una risposta, ma non è
detto che bastino a fugare tutti i dubbi. Forse quando la notte torna nella villa di Colle Romano, dove ormai vive solo da
quando la moglie se n'è andata, sarà meglio che Marrazzo
eviti di tagliare per via Due
Ponti e raggiunga la Flaminia.
La sua storia ha lasciato aperte
troppe ferite.
Sonnino, in
provincia di Latina,
è scoppiato il caso
burqa. Alcuni genitori
della scuola materna
protestano infatti
contro la mamma di un
bimbo, marocchina,
moglie dell’imam della
moschea di Priverno,
che accompagna il figlio
a scuola indossando il
burqa. “Non abbiamo
nulla contro di lei e le
sue tradizioni – spiegano
le altre mamme – ma
mette paura ai bambini.
Le chiediamo solo di
scoprirsi il volto
all’interno dell’istituto”.
Inutili, finora, le
rassicurazioni del
marito: “Questo è un
abito della nostra
tradizione, non avete
nulla da temere”. “Spero
che non ci sia bisogno di
un’ordinanza anti
burqa”, ha commentato
il sindaco del paese,
Gino Cesare
Gasbarrone. “Con il
dialogo, sono certo – ha
proseguito il primo
cittadino – che si potrà
far capire alla signora
che, nel momento in cui
i bambini risentono di
questa cosa e
manifestano un disagio,
è necessario ragionare
insieme e trovare una
soluzioni condivisa”.
pagina 12
Sabato 18 settembre 2010
Un costo per lo Stato
di 125 miliardi
ogni anno
L’
ECONOMIA
ammontare delle risorse sottratte
ogni anno alle casse pubbliche ha
raggiunto “cifre sbalorditive”,
valori molto superiori a 125 miliardi. E il
sommerso ha registrato un grande balzo:
l'incremento è bruscamente accelerato nel
2009, tanto che il suo peso ha oltrepassato il
20 per cento del Pil. Lo sottolinea il Centro
Studi Confindustria nel Rapporto “Le sfide
della politica economica per rafforzare la
crescita italiana”, pubblicato giovedì. Secondo
Confindustria la presenza del sommerso è “al
Sud pari al doppio che al Nord”. A causa
dell'evasione anche la pressione fiscale effettiva
(cioè quella sopportata da chi paga le tasse),
prosegue il Csc, va rivista al rialzo e posta
sopra il 54 per cento nel 2009, contro il 51,4
per cento indicato a giugno e il 42,2 per cento
di quella apparente contenuta nei documenti
ufficiali. I settori con maggiore concentrazione
di evasione, conclude il Csc, sono “l’agricoltura
e i servizi, mentre molto meno rilevante è il
reddito sottratto al fisco nell'industria in senso
stretto”.
Fuori da Confindustria chi paga il pizzo
ma non chi aggira il fisco. Ecco perché
LA VANA DENUNCIA DELL’EVASIONE “SBALORDITIVA”
Una manifestante protesta contro l’evasione fiscale. Sotto, Emma Marcegaglia (FOTO ANSA)
di Stefano
Feltri
a Nord a Sud la Confindustria è d’accordo:
l’evasione fiscale è un
problema, simile a
quello della criminalità organizzata. Alberto Meomartini,
presidente degli industriali
milanesi, ripete spesso che
“Assolombarda è stata la prima associazione territoriale
a firmare il patto contro le
interferenze della criminalità organizzata, ora dobbiamo
concentrarci contro la crimi-
D
nalità disorganizzata, come
quella degli evasori”. E in
Confindustria Sicilia si è passati a misure concrete, con
l’espulsione degli imprenditori che pagano il pizzo alla
mafia. “Fenomeni come la
corruzione, pizzo e l’evasione hanno un punto in comune, creano distorsioni sistematiche del mercato”, dice
al Fatto Ivan Lo Bello, presidente di Confindustria Sicilia. E allora perché Confindustria espelle chi paga il pizzo
ma non chi evade il fisco?
LA RISPOSTA richiede
una premessa. Il grosso
dell’evasione (che costa allo
Stato 125 miliardi, secondo il
Centro studi degli industriali)
avviene
nell’agricoltura,
nell’edilizia, in parte nei servizi. Le imprese industriali
non sono immacolate, semplicemente hanno più difficoltà a evadere (la Fiat non
può vendere le auto in nero,
per esempio) e quindi cadono nella tentazione dell’elusione più che in quella
dell’evasione. Cioè fanno
operazioni societarie legali
con il solo scopo di pagare
meno tasse.
“L’elusione è l’evasione dei
ricchi”, riassume Vincenzo
Visco, viceministro delle Finanze nel governo Prodi, a
cui Confindustria ha riconosciuto di essere stato più efficace nella lotta all’evasione
dell’attuale ministro dell’Economia, Giulio Tremonti.
“L’associazione potrebbe anche valutare sanzioni per chi
evade, ma non è tanto quello
il problema quanto l’elusione”, dice Visco che dai tempi
della presidenza di Confindustria di Giorgio Fossa non ricorda prese di posizione
sull’elusione, mentre riconosce che “già durante i quattro
anni della gestione Montezemolo e soprattutto nelle ultime settimane si nota una
svolta, con queste forti prese
di posizione pubbliche contro l’evasione”.
LA CONFINDUSTRIA
non sanziona chi evade per
altre due ragioni. Come si decide chi è colpevole di evasione? “Non sempre una transazione con il fisco è sufficiente per stabilire la colpevolezza”, sostiene Lo Bello.
Altrimenti Emma Marcegaglia si troverebbe in imbarazzo (se per l’evasione ci fossero sanzioni analoghe a
quelle contro il pizzo) con
buona parte dei suoi vertici
associativi, a cominciare dal
Vincenzo Visco:
“Potrebbero
valutare sanzioni
per i furbi,
ma gli industriali
sanno usare
mezzi legali”
“Confindustria sta diventando molto polemica e incisiva
sull’evasione”, assicura comunque Visco. Anche se in
molti ricordano le dichiarazioni recenti della Marcegaglia sullo scudo fiscale che
“era un male necessario che
auspichiamo possa far affluire risorse anche per la capitalizzazione delle imprese”
(cosa che non è successa). E
anche il direttore generale
dell’associazione, Gianpaolo
Galli, ha contestato questa
estate parte delle norme anti-evasione presenti nella manovra, come il divieto di com-
pensare debiti e crediti verso
lo Stato (“il meccanismo era
diventato un bancomat”, dice Visco) e sulle sanzioni da
pagare prima che il contenzioso con l’Agenzia delle entrate sia chiuso. “Se vengo obbligato ad anticipare al Fisco
somme che poi nella maggioranza dei casi risulteranno
non dovute, questa non è lotta all’evasione”, spiegava Galli a luglio.
“Almeno adesso si discute di
lotta all’evasione invece che
di condoni, che sono la legittimazione dell’evasione”, dice l’ottimista Ivan Lo Bello.
FINCANTIERI a Napoli
CARICHE DELLA POLIZIA
CONTRO I LAVORATORI
vicepresidente John Elkann
che potrebbe dover pagare
con la sua Exor parte della
sanzione per i soldi custoditi
all’estero da suo nonno, Gianni Agnelli.
I CONTI DELL’AZIENDA
MARCEGAGLIA FA L’UTILE A SPESE DEI FORNITORI
di Giovanna Lantini
Milano
rima le banche e poi i forPMarcegaglia,
nitori. Si usa così in casa
dove per ora non
si tagliano i dipendenti e dove
la riottosa Fiom è considerata
un interlocutore qualificato.
Ma andiamo con ordine. Al 31
dicembre 2009 i debiti con i
fornitori del gruppo siderurgico della famiglia del presidente di Confindustria rappresentavano il 35 per cento dei 2,14
miliardi di euro fatturati lo
scorso anno. Una percentuale
consistente, soprattutto se
messa a confronto con il 2008,
quando la somma ammontava
al 18 per cento circa di un fatturato di 3,76 miliardi.
Nel dettaglio, a fine 2009 la
Marcegaglia Spa aveva in totale debiti con i fornitori per
762,889 milioni, dei quali
497,9 contratti in Italia, 108,9
in Ue, 100,83 nei Paesi extra
europei e il resto sparso tra
America, Africa-Medio Oriente e Asia. Certo, siamo sempre
in tempo di crisi ed è frequente che le aziende paghino le
imprese fornitrici in tempi biblici che vanno oltre gli ormai
canonici 90 giorni. Cosa che
invece, anche solo per una
questione di interessi, non è
raccomandabile con le banche, che il debito lo fanno pagare salato. Così il passivo totale del gruppo di Emma Marcegaglia scende, anche se aumenta il monte delle fatture
non pagate all’indotto – nonostante le ripetute rampogne
fatte col cappello di numero
uno degli industriali nei confronti dei pagamenti in ritardo
della Pubblica amministrazione.
Si legge nel bilancio 2009 della
Marcegaglia Spa: “La diminuzione dei debiti è il risultato
della somma algebrica di due
Il gruppo
rimborsa le
banche prima
dell’indotto,
così riduce
gli interessi
e salva
il bilancio
movimenti di segno opposto.
Da un lato la notevole diminuzione dei debiti verso banche
(di circa 186 milioni di euro),
dall’altro il sensibile aumento
dei debiti verso fornitori (circa 83 milioni di euro)”. Come
a dire, appunto, prima le banche, verso le quali il gruppo è
esposto per 672,881 milioni
(859 milioni nel 2008), e poi le
imprese.
In Italia, del resto, si sa che funziona in questo modo. E per
una precisa ragione: ai fornitori non si pagano interessi, alle
banche sì. Infatti, grazie alla diminuzione dell’indebitamento bancario, gli oneri finanzia-
ri del gruppo sono scesi di 28
milioni di euro. E così la società di cui il presidente di Confindustria è socia e amministratrice accanto al padre Steno e al fratello Antonio, è riuscita a chiudere il 2009 proprio con un utile di 28,5 milioni nonostante il crollo del fatturato, travolto dalla crisi generalizzata del settore. E per di
più senza pesanti tagli a livello
occupazionale.
La pace
con la Fiom
CERTO, UN PO’ di maretta è
in arrivo alla controllata Bvb di
Pesaro (circa 80 addetti) che
potrebbe vedersi preferire la
Polonia. Ma la struttura nel
complesso tiene e, nonostante
le ambizioni esterofile dei Marcegaglia, per il momento, le relazioni del gruppo con i sindacati sembrano buone. Anche
con quella Fiom che il presidente di Confindustria, in relazione
al caso Fiat ha definito “il problema”. E che nel gruppo dei
Marcegaglia può contare sul 70
per cento dei lavoratori iscritti.
Una cosa, insomma, è il pubblico sostegno alla linea dura della
Alcuni operai hanno bloccato il traffico all’altezza
della sede della giunta regionale Campania.
Gli agenti sono intervenuti con un’azione di
alleggerimento e successivamente con una carica.
Fiat che vuole più flessibilità sul
lavoro in Italia e usa toni duri
con i sindacati, un'altra sono invece gli affari di famiglia dove la
regola sono le relazioni amichevoli. Anche se l'apripista Fiat sul
lungo termine potrebbe risultare utile anche a Mantova.
Il colosso siderurgico (cui fa capo anche la Mita Resort, titolare
delle concessioni turistiche
della Maddalena) è infatti una
realtà imprenditoriale che sul
tema delle relazioni industriali
e del potenziamento delle attività all'estero si muove coi piedi di piombo e coi guanti di velluto. Tuttavia le ambizioni
extra-Italia sono decisamente
importanti e non senza conseguenze sulle decisioni circa la
destinazione degli investimenti per il rafforzamento degli stabilimenti produttivi e delle risorse umane. “In una logica di
crescita a lungo termine, anche
nel 2009 il sottogruppo Marcegaglia – si legge nel documento
– ha continuato a prestare grande attenzione alle proprie risor-
se umane e alle relazioni industriali, evitando ridimensionamenti strutturali”. Tuttavia Steno, Emma e Antonio vogliono
crescere e dopo il raddoppio in
Brasile e i nuovi stabilimenti in
Cina, Russia e Polonia, “è precisa ambizione del sottogruppo Marcegaglia di arrivare entro il 2012 a una produzione negli stabilimenti esteri non inferiore al 20% di quella totale”.
Ma queste cose costano. Naturale, quindi, che gli investimenti esteri del gruppo stiano “subendo una forte accelerazione
rispetto al passato”. In particolare per il 2009-2012 sono stati
decisi investimenti extra-Italia
per complessivi 410 milioni.
Che verosimilmente includeranno le risorse umane. Del resto già nel 2009 nelle attività
estere del gruppo i dipendenti
sono cresciuti del 14,4 per cento, mentre l'occupazione in Italia è scesa dell'1,2 per cento. Solo però “in conseguenza di misure di rinnovamento selettivo
al naturale turnover”.
Sabato 18 settembre 2010
pagina 13
Transizione infinita,
una sedia vuota
dal 5 di maggio
di Chiara
l ministro dello Sviluppo economico
manca ormai da oltre quattro mesi, da
quando il 5 maggio scorso Claudio
Scajola si dimise. La Guardia di Finanza trovò
assegni circolari per 900 mila euro, tratti da un
conto corrente bancario intestato al gruppo
dell’imprenditore Diego Anemone (che lavorava
con appalti pubblici). I soldi erano stati utilizzati
per l'acquisto di un appartamento a Roma. Da
allora il ministero è retto ad interim da Silvio
Berlusconi che non ha mai nominato il sostituto.
Ha offerto la carica a diverse personalità, tra cui
la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia
che ha rifiutato due volte. Su un altro dei
candidati, il viceministro Paolo Romani, c’è il
veto del Quirinale. Il presidente della Repubblica
IL NULLA
DEL MINISTRO
BERLUSCONI
Paolin
aurizio Lupi, vicepresidente della Camera
e uomo di fiducia del
premier nel Pdl, l'ha
sventolato fiero nel ring di
Ballarò martedì sera mentre
gli arrivavano botte da orbi
sul tema della vacatio al ministero che fu di Claudio Scajola: “Qui c’è un documento
che spiega in dettaglio tutto
quel che è stato fatto per lo
Sviluppo economico negli ultimi quattro mesi. Me l'ha
consegnato oggi il ministro,
cioè volevo dire il ministero”.
Il ministro è Silvio Berlusconi, il documento sullo sviluppo (ad interim) sono tre paginette che non farebbero
promuovere agli esami di settembre neanche un rimandato del - defunto - istituto tecnico industriale. Il Fatto ha
potuto esaminarlo.
I
ECONOMIA
M
ha più volte invitato esplicitamente l’esecutivo a
trovare un sostituto di Scajola. Ma, nonostante
le rassicurazioni del governo, questo non è
successo. Il 3 settembre scorso,
il Cavaliere, rispondendo alle forti critiche
dell'opposizione aveva ancora una volta
promesso di nominare un nuovo ministro entro
la fine della settimana. Invece niente.
l’un l’altro: sono riusciti ad
aprire “le procedure di amministrazione straordinaria e nominare i commissari”. Cioè le
aziende portano i libri in tribunale e tanto basti a salvare
l’economia.
I cassintegrati
sull’isola
IL TITOLO è solenne e indicativo dell’accuratezza del
contenuto: “Attività del Ministero dello Sviluppo Economico da maggio 2010 a oggi”. Ma
IDEM PER GLI OPERAI della Vinyls, cui farà molto piacere
sapere di essere citati come un
fiore all’occhiello della gestione Berlusconi: “Avviate le procedure per il bando e la cessione” dice scarno il carnet. La
realtà è che la chimica italiana
sprofonda nel suo periodo più
buio e il ritiro di protesta
sull’isola dell’Asinara iniziato
lo scorso 24 febbraio ha portato fin qui zero risultati per i 400
lavoratori tuttora in bilico. Che
diventano migliaia considerato l’indotto. Situazione identica nel tessile, dove spunta una
buona parola a proposito di Ittierre, 1.500 dipendenti e una
rete gigantesca di lavoro connesso: anche qui è stata avviata
la cessione e nulla più. Ma è
una buona notizia.
In chiusura, i fuochi d'artificio.
“Raggiunta l’intesa per la ripre-
Nel documento
esibito a Ballarò
da Maurizio
Lupi solo
annunci
e misure prese
da Scajola
Il premier
si prende
il merito anche
dei 300 milioni di
euro di incentivi
stanziati prima
delle Regionali
Nessun risultato dall’interim allo Sviluppo.
Lo dice il ministero
Neanche
le date
La sedia vuota di Claudio Scajola dopo la conferenza stampa in cui si è dimesso il 5 maggio scorso (ANSA)
oggi quando, visto che nel documento non c'è uno straccio
di data? Oggi quando uno legge, si potrebbe pensare, perché parecchie notizie riportate nella relazione di 3.978 battute (spazi vuoti inclusi) sono
tranquillamente databili con
un giorno preso a caso negli ultimi dodici mesi e oltre. A partire dal primo dato: “Sono
aperti presso il ministero più di
150 tavoli di vertenze che riguardano ambiti chiave del sistema produttivo”. Ovvero lo
stesso numero orgogliosamente indicato dall'allora ministro Scajola lo scorso 2 gennaio, ripreso il 14 febbraio dal
collega Brunetta, misteriosamente salito a quota 170 a metà giugno per voce del valoroso funzionario ministeriale
Giampiero Castano e diventato ora – nell'eterno oggi – un
vaghissimo “più di 150”.
Poi però si entra nei dettagli.
Soddisfazione innanzitutto sul
fronte Fiat: “Stiamo seguendo
con grande attenzione i tavoli
di Pomigliano e Mirafiori e abbiamo lanciato il bando internazionale per Termini Imerese
(nei prossimi giorni verranno
presentate le prime 5 proposte di reindustrializzazione)".
Ogni commento è superfluo,
ma vale la pena ricordare come la prima gara bandita per
Termini sia fallita miseramente
dopo un anno di proclami e
una sola certezza: Fiat se ne andrà con armi e bagagli a fine
2011. Che dire invece di Telecom? “E' stato trovato l’accor-
do sulla mobilità volontaria
per 3.900 lavoratori e sulla riconversione e ricollocazione
per altri 1.100 lavoratori”. In
questo caso la parola magica è
quel “mobilità volontaria”:
certo il governo poteva fare
ben poco davanti alla decisione dell'azienda di licenziare 5
mila persone. Altri casi clamorosi, Agile e Eutelia. Non contenti di aver permesso il gioco
delle scatole cinesi sulla pelle
di migliaia di lavoratori, al ministero si fanno i complimenti
Banda larga, primo accordo sulla rete
MODELLO IBRIDO CHE ACCONTENTA TELECOM MA ANCHE I SUOI CONCORRENTI
di Federico Mello
una porta non si apre un portone,
Cierihiusa
ma il futuro della banda larga in Italia
ha fatto un piccolo passo avanti. La diatriba in corso tra Telecom Italia (monopolista “naturale” delle infrastrutture di rete)
e gli operatori concorrenti, aveva subito
un brusco stop martedì. Gli operatori
“concorrenti” avevano abbandonato il comitato sulla Ngn (reti di nuova generazione) creato dall’Agcom per delineare la gestione della nuova rete a fibra ottica. Il piano predisposto dal professor Francesco
Vatalaro – questa l’accusa degli operati
concorrenti – è fatto su misura per Telecom. C’era il rischio che alla stessa sorte
fosse destinato il tavolo tecnico istituito
dal viceministro alle Comunicazioni, Paolo Romani, in programma ieri dove si discute della parte industriale, cioè di come
costruire la rete. Invece dall’incontro è
uscito un accordo sul “modello infrastrutturale” per portare la banda larga a metà
delle famiglie italiane entro il 2020, in linea
con l’Agenda digitale europea. Nonostante la soddisfazione di Paolo Romani, di Agcom, di Telecom, Vodafone, Wind, Fastweb, Tiscali, British Telecom e 3 Italia, i
passi da fare sono ancora numerosi, soprattutto sugli investimenti necessari.
Gli operatori sono divisi su una questione
tecnica intorno alla quale gira la concorrenza nel settore. Telecom è favorevole al
modello Gpon, nel quale la fibra arriva fino
alla centralina sotto casa e poi sono i cavi di
rame a portare le connessione nei singoli
appartamenti. Gli operatori alternativi si
battono invece per il modello Fiber-to-home, o point-to-point nel quale il cavo di fibra
ottica arriva al singolo appartamento. Le
differenze tra i due modelli sono notevoli:
nel modello Gpon è meno agevole per i
clienti il passaggio da un operatore all’altro mentre nel modello fiber-to-home è
sufficiente lo spostamento di un cavo nella
centrale per attivare il passaggio della singola utenza. Inoltre, dicono gli operatori
concorrenti, la fibra ottica non ha un limite fisico, perciò in futuro le connessioni
potrebbero portare nelle case degli italiani
vari gigabit al secondo, senza ulteriori investimenti.
L’accordo di ieri è centrato su un modello
infrastrutturale “ibrido” in grado di supportare le due modalità: sia quella Gpon
che quella point-to-point. Il passo successivo sarà l’avvio, la prossima settimana, di
un censimento delle infrastrutture di fibra
ottica presenti nel Paese e dei piani di investimento per i prossimi anni. Il modello,
inoltre, sarà presentato agli operatori medi e piccoli. Tra quindici giorni, quindi, si
tireranno le fila: è in programma un ulteriore incontro al tavolo tecnico governo-operatori con l’obiettivo di “sancire i
principi e le tappe necessarie per l’avvio
della par tnership pubblico-privata”. Per decidere, insomma, su ciò che davvero conta: come verranno ripartiti gli investimenti, con che tempistica e con quali poteri
sulla rete del futuro.
Silvio Berlusconi ha ribadito più
volte che il suo interim
al ministero è stato “un pieno”
e non “un vuoto” (FOTO ANSA)
sa della produzione per Eurallumina”, l’azienda di Portovesme dove ballano 400 posti di
lavoro. Basta leggere i titoli dell'Unione Sarda per scoprire che
in realtà non c'è alcuna certezza sul riavvio degli impianti:
anzi, il prossimo 21 settembre
è previsto un incontro proprio
al ministero per capirci qualcosa.
Sugli scudi anche l’Alcatel Lucent di Battipaglia, dove 300
operai ringraziano perché sono stati comprati da un im-
prenditore ligure, ma i restanti
mille addetti del gruppo francese se la passano male (con
nuovi cicli di cassa integrazione nella sede centrale di Vimercate): dettaglio trascurabile.
Il presunto sostegno
alle imprese
MEGLIO PARLARE del capitolo “sostegno alle imprese”
sottolineando il fortunato dato
prescelto da Lupi per sedare il
fronte del dissenso nella topica serata di Rai Tre: nell’ambito
del Fondo di Salvataggio per
pmi in crisi, “dall’inizio della
legislatura i Contratti di programma definiti sono stati 21,
contro i 9 della legislatura precedente”. Cioè, a essere precisi, negli ultimi due anni e mezzo - e non da quando Scajola si
è dimesso - sono stati firmati 21
accordi. Però, come ha fatto
notare in diretta tv la senatrice
Pd Anna Finocchiaro, ben pochi di questi hanno trovato materiale realizzazione. Un po’
come i “Contratti di innovazione con dotazione di un miliardo di euro. Già 84 le domande
ammesse” (ammesse, non finanziate) oppure i bandi per
l’innovazione, le tecnologie, il
Sud e chi più ne ha più ne metta
in un tripudio di milioni in palio come alla lotteria. In concreto, tornano buoni i 300 milioni dei famosi incentivi firmati Tremonti per comprare cucine e motorini: pure quelli sono merito di Berlusconi, anche
se non era lui il ministro dello
Sviluppo quando furono approvati prima delle regionali.
STRATEGIE KEYNESIANE
La fede atomica
di Tremonti
S
ostiene Tremonti: “Sarebbe più facile
crescere se avessimo il nucleare e il nostro Pil sarebbe più alto”. Gli artigiani della Cgia
di Mestre che lo ascoltavano non erano particolarmente interessati al grande business atomico (quello è la priorità dell’Enel), ma da un
po’ di giorni Tremonti è martellante: il nucleare
conviene, anche se nessuno ha davvero calcolato quanto e perché. Ma la motivazione è interessante: costruire le centrali farà crescere il Pil.
Come diceva Keynes, nei momenti di crisi lo Stato può trovare vantaggioso anche assumere
operai per scavare buche e altri per riempirle, si abbatte l’occupazione e si immettono soldi in circolo nell’economia (ma sale il
debito pubblico). E le buche hanno meno inconvenienti delle centrali. Ma il ministro,
come ci tiene a ribadire, non è un economista. E fino a ieri diceva che il Pil non è il giusto indicatore di benessere.
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Sabato 18 settembre 2010
pagina 15
DAL MONDO
I TALIBAN VOTANO CON IL SANGUE
MUORE SOLDATO ITALIANO IN AFGHANISTAN
Romani ucciso a poche ore dall’apertura dei seggi
Il voto a Kabul. Nel riquadro, Romani (FOTO ANSA)
di Giampiero Gramaglia
ncora sangue italiano nella guerra afgana. Un ufficiale delle forze speciali
italiane è stato ucciso
mentre partecipava a un’operazione contro gli insorti; un soldato semplice è rimasto ferito. I
due sono stati raggiunti da tiri
d’arma da fuoco cercando di
catturare quattro individui che
poco prima avevano piazzato
un ordigno lungo una strada.
L’episodio è avvenuto nel distretto di Bakwa, nella provincia di Farah, poche ore prima
A
dell’apertura dei seggi per le
elezioni politiche. Poche ore
dopo il lancio di un razzo - senza
danni a persone o cose - contro
la base di Shindad.
Oggi si vota, in un Paese segnato da un conflitto lungo nove
anni e che non è mai stato così
sanguinoso per le truppe internazionali come quest’anno.
UN PREDATOR un aereo
senza pilota, ha intercettato
quattro terroristi all’opera sulla
via per Delaram, li ha seguiti e ha
segnalato il loro rifugio. È scattata la Task Force 45: comman-
dos delle forze speciali, a bordo
d’un elicottero Ch47 scortato
da due Mangusta, hanno raggiunto il luogo indicato, accolti
da tiri forse di Kalashnikov. Soccorsi, i due militari colpiti sono
stati trasportati all'ospedale da
campo di Farah. Il tenente Alessandro Romani non ce l’ha fatta.
Romani, 36 anni, celibe, del reggimento d’assalto Col Moschin,
numerose missioni all’estero, è
il trentesimo caduto italiano in
Afghanistan, l’ottavo quest’anno.
In vista del voto, i talebani hanno invitato gli afgani a boicottare le urne e unirsi “alla resistenza” contro gli “invasori”, minacciando attacchi ai seggi e sulle
strade (i quattro sorpresi dagli
italiani ne stavano preparando
uno). I dati dicono che 10,5 milioni di cittadini possono scegliere fra i circa 2.500 candidati
– due, ieri, sono stati vittime di
un rapimento – i 249 deputati
della Camera. I seggi operativi
sono circa 6.000, mentre un migliaio non apriranno per ragioni
di sicurezza.
Al voto si arriva in un’atmosfera
di scetticismo sull’andamento
delle operazioni sul terreno e di
diffidenza sull’evoluzione socio-politico-economica del Paese. Il responsabile dell’Onu a Kabul Staffam de Mistura è ottimista: “Probabilmente le elezioni
saranno più trasparenti delle
presidenziali”, il cui risultato fu
lungamente contestato. Ma il
presidente Hamid Karzai è il primo a smorzare le attese: “Ci saranno irregolarità”, avverte (il
ministro della difesa italiano
Ignazio La Russa fa spallucce: “I
brogli ci sono pure da noi”).
LA VIGILIA DEL VOTO doveva essere una giornata del silenzio: la propaganda s’è fermata, ma le operazioni militari sono continuate con decine di
morti (soldati afgani e stranieri,
insorti, civili, bambini) nelle ultime 48 ore. Nell’insieme, però,
la prima metà di settembre è stata meno cruenta che i tre mesi
precedenti: una ventina i caduti
finora fra le forze americane e
dell’Isaf. I primi otto mesi hanno
già fatto del 2010 l’anno più nero per i militari statunitensi in
Afghanistan, con 323 caduti al
31 agosto. Ma basta la morte di
un italiano a togliere significato
alla relative quiete delle ultime
due settimane, frutto forse dello
sforzo militare contro talebani e
insorti, che, per il comandante
del contingente internazionale,
il generale Usa David Petraeus,
ha ormai raggiunto il massimo
dell’intensità, con tutte le unità
previste schierate, oltre 130 mila uomini. Ma può pure darsi che
la resistenza tenesse “fuochi
d’artificio” in serbo per oggi e
per il dopo elezioni. Non solo
l’atteggiamento dei talebani è
stato enigmatico, di recente.
Karzai ha formalmente creato
una commissione per i colloqui
con gli insorti, ma ha pure licenziato il procuratore anti-corruzione del suo governo e ha criticato la strategia militare alleata.
Nel contingente italiano, circa
3500 militari, di cui la metà alpini, il livello di attenzione era
già massimo: le elezioni sono
classificate “potenzialmente ad
alto
rischio”,
nonostante
nell’Ovest del Paese mancassero minacce specifiche (ma si
muore anche senza). Il segretario generale della Nato Anders
Fogh Rasmussen, ieri in visita a
Roma, chiede all’Italia, come ha
appena fatto con la Spagna, più
istruttori militari per le truppe
afgane, che non sono al momento capaci di garantire la sicurezza del loro Paese. Nè il premier
Berlusconi né il ministro La Russa hanno detto no, prima che iniziasse la litania delle condoglianze e l’incrocio delle accuse.
Trenta le vittime
della missione
Razzo contro la
base di Shindad
I guerriglieri
alla popolazione:
disertate le urne
RAZZISMO
I ROM: A OVEST LI CACCIANO, A EST LI ISOLANO COSTRUENDO MURI
di Carlo
Biscotto
ichalovce, 109.000 abiM
tanti, è una città della regione di Kosice nella Slovacchia orientale. È una regione
povera, per lo più abitata da
contadini e i Rom da queste
parti sono sempre stati numerosi e generalmente ben
integrati. Ma da qualche anno una iniziale ostilità si è
lentamente, ma inesorabilmente, trasformata in xenofobia e poi in segregazione.
Già due anni fa a Presov, terza città della Slovacchia, era
stato eretto un muro intorno
ad un campo che ospitava
2.000 Rom. L’anno passato il
muro è stato costruito nella
cittadine di Ostrovany e Trebisov e quest’anno è stata la
volta del quartiere Rom di
Michalovce, trasformato in
un vero e proprio ghetto.
Nel campo nomadi vivono
2.800 persone, per lo più
donne e bambini. Il muro separa un quartiere popolare
slovacco dalle misere abitazioni dei Rom.
MOLTI ROM vivono vendendo rottami di ferro raccolti in giro per la città. Irene, 50
anni circa, avanza faticosamente spingendo il suo carretto carico di ferraglie. “Ci
odiano”, dice. “L’altro giorno
mi hanno sparato con un fucile ad aria compressa. È stato
un uomo appostato sul muro
come un cecchino”. Mentre
parla concitatamente si avvicina Milena, una slovacca sulla quarantina che porta a
spasso un barboncino nero.
“Hanno fatto bene a costruire
il muro”, afferma decisa. “Gli
zingari defecavano negli androni dei nostri condomini,
ci spaventavano, ci derubavano, la sera non potevamo
uscire di casa. Rovistavano
nei cassonetti dei rifiuti e
spargevano la spazzatura dappertutto”. Mentre parla il barboncino alza la zampa vicino
al muro e fa i suoi bisogni. La
padrona non batte ciglio.
Si è formato un capannello di
persone e tutti vogliono dire
la loro. Eva, una Rom con i
capelli biondi tinti e una improbabile tuta rosa, sovrasta
le voci degli altri: “Lanciano
bottiglie vuote contro i nostri
figli a rischio di ferirli. Ci insultano continuamente. Il
muro è uno scandalo. Per andare dal medico devo fare
qualche chilometro a piedi.
Prima ci mettevo cinque minuti; ora più di un’ora”. Milena, che ora appare più ragionevole ammette: “È vero.
Anche noi che stiamo dall’altra parte del muro ci sentiamo come in prigione, ma non
ce la facevamo piu’”.
Peter Horvath, primo Rom a
diventare pope greco-ortodosso, cerca di portare un po’
d’ordine nella discussione
che si sta facendo accesa: “a
guardare le cose con gli occhi
di un occidentale sembra proprio che il muro divida i buoni dai cattivi. Ma non è così.
Alla televisione fanno vedere
solamente scene di miseria e
di degrado. In realtà in Slovacchia 350.000 Rom sono
perfettamente integrati e vivono come tutti gli altri cit-
tadini. Tra i Rom ci sono intellettuali, professori universitari, avvocati. Ma di questo
nessuno parla.
SOLO 90.000 Rom vivono
nei campi”. La parola tzigano
indicava in origine gli zingari
della zona danubiana. E ancora oggi in Ungheria è così che
chiamano i Rom. Miskolc,
Ungheria settentrionale, con
i suoi 175.000 abitanti è la terza città del paese e ospita circa 15.000 tzigani tra i quali il
tasso di disoccupazione è elevatissimo (70-80%). L’attuale
sindaco, Sandor Kali, socialdemocratico, ha tentato di re-
sistere alle forti pressioni xenofobe, ma il vento del nazionalismo sta travolgendo
anche lui in vista delle prossime amministrative. Sono
nate così – con il pretesto di
ritardi nell’apprendimento –
classi di soli bambini Rom in
tutte le scuole di Miskolc. È
una vera e propria apartheid
educativa che pone le basi di
un futuro di segregazione e
taglia l’erba sotto i piedi di
qualunque speranza di integrazione. I bambini praticamente non parlano ungherese e smettono di frequentare
la scuola in giovane età. Morton Segedi, candidato sinda-
co di Miskolc per il partito xenofobo e nazionalista Jobbik
(Movimento per una Ungheria migliore), diventato alle
scorse politiche il terzo partito del Paese, parla chiaro ed
è quasi certo di vincere le
prossime amministrative con
un programma che prevede
la costruzione di campi “recintati”, sorvegliati dalla polizia e sottoposti al coprifuoco. D’altro canto il segretario
del suo partito, Gabor Vona,
lo ha detto alle scorse politiche con agghiacciante chiarezza: “la segregazione è il solo modo per educare questa
gente!”.
N
FRANCIA
Scontro magistrati
e governo
È
scontro tra i
magistrati francesi e
il ministro dell’Interno
Hortefeux (nella foto),
fedele alleato di Sarkozy.
Il ministro si è detto
favorevole all’elezione
dei magistrati e al
sistema delle giurie
popolari, per rendere il
sistema giudiziario più
vicino alla gente.
Christophe Regnard,
presidente dell’Unione
dei magistrati ha detto di
aver accolto queste
parole “con disprezzo”.
Bufera anche per il fatto
che non spetta al
ministro dell’Interno
avanzare proposte sulla
riforma della giustizia.
GERMANIA
Merkel: “In futuro
più moschee”
I
n futuro ci saranno più
moschee nelle città
tedesche: lo ha detto
Angela Merkel, che
intende preparare la
popolazione a ulteriori
cambiamenti nel Paese. La
cancelliera, però, ha
anche detto che le
politiche d’integrazione
non hanno avuto i frutti
sperati e che gli immigrati
che non vorranno
integrarsi verranno
trattati con maggiore
severità.
CINA-GIAPPONE
La guerra
del panda
F
unzionari cinesi si
sono recati in
Giappone per verificare le
cause del decesso del
panda gigante Kou Kou in
uno zoo di Kobe; l’animale
sarebbe morto durante
un’operazione per
l’estrazione del suo
prezioso sperma.
Da giorni tra i due paesi è
tensione diplomatica
dopo l’arresto del
capitano di un
peschereccio cinese da
parte della guardia
costiera nipponica.
La strana coppia del vertice
Berluskozy alla conquista
(fallita) del continente
Una famiglia rom (FOTO ANSA)
In Slovacchia
e Ungheria si
alzano
barriere nei
quartieri per
segregare
gli “zingari”
SULLA STAMPA internazionale, Nicolas
Sarkozy e Silvio Berlusconi ci hanno fatto una
misera figura al Vertice dell’Ue di Bruxelles:
altro che nobili storiche linee della Marna o
del Piave; il loro è un fronte del porto da “via
i Rom”. Per il Nyt, “i Rom mettono alla prova
le frontiere aperte d’Europa”. In editoriali,
l’Independent bolla la “politica spregevole”
(“l’Ue deve scusarsi per l’insulto ‘nazi’ della
commissaria Reding, mentre Sarkozy va
all'attacco e Berlusconi loda la politica delle
espulsioni della Francia”); ed El Pais nota che,
in un’Europa “sottosopra”, i leader “si
limitano a censurare la commissaria”. Il
Time, che vede la Spagna dei gitani come
modello d’integrazione; il Guardian, che
coglie “l’atteggiamento di sfida” del duo
Sarkozconi; e Wsj, Ft, Telegraph sono
allineati. L’Economist scrive: “Perseguitare i
Rom non risolverà il principale problema
sociale d'Europa. L’istruzione potrebbe”. La
stampa francese punta sullo smacco inflitto
della Merkel a Sarkozy: NouvelObs, Le
Monde, Libération, titolano sulla “smentita”
del cancelliere al presidente, che l’aveva
arruolata nel partito anti-rom. Le Figaro
dice: “il clima si tende tra Parigi e Berlino”,
perché la Francia “vuole rendere europeo il
dossier Rom”. La stampa spagnola è fredda
verso Zapatero, che tace sulla sostanza,
risparmia la Francia e se la prende con la
Reding. Di Mr B, El Mundo cita la pretesa che
i commissari europei si tacciano, mentre Le
Monde lo racconta “al mercato" per
conservare la maggioranza.
G. G.
pagina 16
DOLORI VATICANI
PEDOFILIA
I preti peccano
più dei fedeli
DECINE DI MIGLIAIA DI CASI:
LE CIFRE SMENTISCONO IL VATICANO
di Vania Lucia Gaito
enedetto XVI vola in Gran
Bretagna e torna a parlare
dello scandalo della pedofilia clericale: “L’autorità della Chiesa non è stata sufficientemente vigilante, né sufficientemente veloce e decisa
nel prendere le misure necessarie”. Un’affermazione che merita qualche riflessione, considerando che Channel 4, proprio in
concomitanza con la visita papale, ha rivelato che, proprio in
Inghilterra su 14 pratiche di sacerdoti colpevoli, sei procedure per la riduzione allo stato laicale sono in corso, tre sono state rifiutate o non processate per
motivi di salute, un’altra è stata
portata a termine e quattro addirittura non sono mai state
aperte. I vescovi affermano di
aver deferito i casi a Roma, come previsto dal documento del
2001 De delictis gravioribus, emanato proprio da Ratzinger quando era prefetto per la Congregazione per la Dottrina della Fede,
e fanno intendere che se lun-
B
Studi Usa:
la percentuale di
pedofili tra i
religiosi è molto
superiore a
quella della
società civile
gaggini e ritardi ci sono, non dipende da loro ma dal Vaticano.
Queste rivelazioni sono state
per me uno choc” ha affermato
il pontefice, ma difficilmente si
riesce a conciliare queste frasi
con la prassi tenuta dal Vaticano
sia prima che dopo l’esplosione
dello scandalo. La portata del
problema è stata costantemente minimizzata, prima tentando
di far passare gli abusi come “casi isolati”, poi tentando di sminuire i numeri da pandemia sostenendo che l’incidenza della
pedofilia fra i sacerdoti e religiosi sia uguale, se non minore,
all’incidenza della pedofilia fra
le persone comuni.
Crociata contro il
“comitato d’indagine”
NEL MESSAGGIO inviato
qualche tempo fa ai Cavalieri di
Colombo, Benedetto XVI parla
di attacchi “spesso scorretti e infondati” contro la Chiesa per
quanto concerne le vicende legate alla pedofilia. Secondo monsignor Mariano Crociata, segretario generale della Conferenza
Episcopale Italiana, nell’ultimo
decennio sono un centinaio i casi di sacerdoti italiani, accusati di
abusi sessuali su minori, indagati
dalla Congregazione per la Dot-
trina della Fede. Crociata non ha
mai aggiunto alcun dettaglio
sull’esito di tali procedimenti, sostenendo invece che in Italia non
vi è alcun bisogno di creare un
comitato speciale all’interno della Chiesa per affrontare i casi di
molestie sessuali nei confronti di
bambini. Di quel “centinaio” di
preti pedofili indagati dalla Congregazione per la Dottrina della
Fede, inoltre, non si sa nulla: né
quante siano state le loro vittime,
né per quanto tempo siano durate le violenze, e meno che mai si
chiarisce se altri sacerdoti o vescovi fossero a conoscenza delle
violenze e da quanto tempo. Ma
gli attacchi alla Chiesa sul tema
della pedofilia sono davvero così
infondati e scorretti? Basta esaminare i numeri, per rendersi
conto che il problema è gravissimo, molto più di quanto finora
non sia sembrato.
I casi italiani sono
almeno 172
UN PRIMO DUBBIO riguarda
la verosimiglianza del “centinaio
di casi” cui fa riferimento monsignor Crociata. I casi di abusi sessuali ai danni di minori perpetrati
dai sacerdoti italiani e riportati
dalla stampa negli ultimi dieci anni, messi in colonna e sommati
uno all’altro, riportano vicende
di pedofilia e pedopornografia in
cui sono coinvolti almeno 172
preti. Delle due l’una: o non tutti
i sacerdoti accusati sono stati indagati dalla Congregazione per
la Dottrina della Fede, o monsignor Crociata è decisamente
troppo ottimista. Fermo restando che il problema della pedofilia clericale non è di ordine statistico, ma di ordine morale,
guardando più da vicino le cifre
degli altri Paesi si può avere
un’idea della portata del problema: 4.392 sacerdoti denunciati
per pedofilia negli Usa; 1.700
preti accusati di violenze a danno
dei bambini piccoli, orge e uso di
droga in Brasile; 107 preti e religiosi condannati in Australia per
abusi sui minorenni; 800 religiosi accusati di oltre 14000 casi di
abusi in Irlanda. E poi centinaia
di casi in Olanda, in Polonia, in
Croazia, in Francia, in Inghilterra, in Alaska, in Messico. Finora,
solo negli Stati Uniti, sono stati
pagati risarcimenti per 3 miliardi
di dollari. Oltre un miliardo di risarcimenti è stato chiesto dai sopravvissuti alle scuole industriali
in Irlanda. Migliaia sono le vittime. Talvolta perfino bambini
piccolissimi.
Vescovi alla 61esima assemblea della
Conferenza Episcopale italiana,
nel maggio scorso (FOTO LAPRESSE);
sotto il Papa con il primate della Chiesa
anglicana Rowan Williams (FOTO ANSA)
Stati Uniti: coinvolti
il 4% dei prelati
UNA DISAMINA del fenomeno della pedofilia clericale, commissionata dai vescovi americani
al John Jay College of Criminal Justice e noto appunto come “Rapporto Jay”, afferma che il 4% dei
sacerdoti americani è coinvolto
in accuse di pedofilia. Nel set-
I sacerdoti
denunciati
in America
sono oltre 4 mila,
risarcimenti
per 3 miliardi
di dollari
tembre del 2009 l'arcivescovo
Silvano Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede all'Onu
a Ginevra, minimizzava il problema affermando che “nel clero
cattolico solo tra l'1,5% e il 5% dei
religiosi ha commesso atti di questo tipo”. Piccoli numeri? Percentuali irrisorie? Per nulla, se si
confrontano queste percentuali
con quelle della popolazione laica. La percentuale di pedofili fra i
religiosi è dalle 20 alle 200 volte
maggiore rispetto alla percentuale di pedofili fra le persone comuni. Affidare un bambino ad un
religioso, significa esporlo ad un
rischio almeno venti volte maggiore rispetto a quello di affidarlo
a un insegnante, un vicino di casa, un amico di famiglia. Rispetto
a quanto vuole far credere la
Chiesa, cioè che il rischio sia lo
stesso, basta fare due conti per
realizzare che non è affatto così.
Per capire meglio, è necessario
guardare più da vicino i numeri,
senza farsi ingannare da cifre
astratte e non messe a confronto
con altre.
A marzo di quest’anno, il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, ha affermato:
“In Austria sono 17 i casi di pedofilia che riguardano la Chiesa,
ma ben 510 quelli al di fuori;
quindi si deve prestare attenzione anche al di fuori della Chiesa e
non puntare i riflettori solo su di
essa”. Detto così, sembra che
debba considerarsi più preoccupante il fenomeno degli abusi sui
bambini al di fuori della Chiesa,
ma è effettivamente così? Fermo
restando che i casi di pedofilia al
di fuori della Chiesa non legittimano di certo gli abusi sui bambini perpetrati dai sacerdoti, basta qualche banale calcolo matematico a rendersi conto che il
problema non è così di poco conto come lo si vuole dipingere. In
pratica: quanti sono in Austria i
preti pedofili rispetto al numero
dei sacerdoti, e quanti sono i pedofili “comuni” rispetto alla popolazione austriaca? In totale, i
religiosi austriaci sono circa
6700 su poco meno di tre milioni
e 400mila maschi adulti. Rapportando gli abusi alla popolazione
di riferimento, 17 casi di pedofilia su 6700 sacerdoti e 510 casi di
pedofilia su 3.400.000 austriaci
maschi adulti, ci si rende conto
che la percentuale dei religiosi
pedofili, che sembrava piccola, è
invece altissima. Tra i sacerdoti
austriaci la percentuale di pedofili è 0.26% mentre tra i laici la
percentuale di pedofili è 0.015%.
In realtà, quindi, la percentuale
dei pedofili fra i preti è pari a diciassette volte la percentuale di
pedofili nella popolazione laica.
Stesse conclusioni si traggono se
si esaminano le statistiche di paesi come gli Stati Uniti. Secondo
l’ultimo rapporto annuale dal
Children’s Bureau, l’ufficio del
Dipartimento della salute statunitense che si occupa di bambini
e giovani, i casi di abusi sessuali
su minori negli Stati Uniti sono
circa 88.000 su una popolazione
di 118 milioni di maschi adulti, lo
0.075%. Se anche la percentuale
dei preti pedofili fosse l’1.5%, come suggerisce la stima più prudenziale di monsignor Tomasi,
sarebbe venti volte superiore
all’incidenza rilevata nella popolazione di non religiosi. Le statistiche che la stessa Chiesa va
sciorinando, cercando di sminuire il fenomeno, sono invece assolutamente preoccupanti. Lo scenario irlandese è ancora peggio-
re di quello americano, perché
agli abusi sessuali si sommano gli
abusi fisici, quelli emotivi, i maltrattamenti. Almeno 14.000 vittime, 2500 testimonianze. Sostanzialmente la percentuale di pedofili tra religiosi si attesta sui dati
In Italia chi
subisce violenza
non si rivolge alla
giustizia: teme
di non veder
riconosciuti
i propri diritti
statunitensi del rapporto Jay. Più
difficile stabilire quale sia la percentuale di pedofili fra la popolazione, poiché i reati di questo
genere denunciati ogni anno sono circa 160, mentre alle associazioni antipedofilia arrivano circa
2400 segnalazioni annue, su 1.7
milioni di maschi adulti. Le percentuali oscillano quindi, fra gli
irlandesi “comuni” fra lo 0.01% e
lo 0.14%. La percentuale di pedofili tra i religiosi risulta essere almeno trenta volte maggiore rispetto alla percentuale di pedofili fra la popolazione comune.
In Australia
c’è un database
QUASI IDENTICHE a quelle
austriache le percentuali in Australia: 107 sacerdoti condannati
su poco più di 3800 sacerdoti, tra
diocesani e ordinari, con un’incidenza del 2.82% di pedofili. Per
quanto riguarda i pedofili “comuni”, l’Australia ha un database
pubblico con nomi e foto dei
children sexual offender e raccoglie oltre 1200 nominativi su una
popolazione di otto milioni e
mezzo di maschi adulti, con una
incidenza di pedofili pari allo
0.014%. La percentuale di pedofili tra i preti risulterebbe quindi
200 volte quella rilevata nella po-
polazione. In diversi stati il numero di denunce e testimonianze riguardanti abusi sessuali
commessi dai sacerdoti è considerevolmente aumentato in seguito alla istituzione di commissioni di indagine governative, come in Irlanda, o indipendenti, come negli Stati Uniti. La possibilità
per le vittime di vedere riconosciuto il torto subito ha spinto
migliaia di persone, abusate da
sacerdoti durante l’infanzia, ad
uscire allo scoperto e raccontare
il proprio dramma. Alcuni stati
americani istituirono il cosiddetto “anno finestra”, permettendo
a moltissime vittime di denunciare, e veder perseguiti dalla giustizia statuale, abusi subiti anche
decenni prima e caduti in prescrizione. Dunque, non si capisce come monsignor Crociata
possa affermare che in Italia non
vi sia necessità di una commissione d’indagine sulla pedofilia clericale. Non è chiaro per quale
motivo l’Italia dovrebbe essere
considerata un’isola felice, immune dallo scandalo.
Il “Bel Paese” che
non tutela l’infanzia
SECONDO le percentuali rese
note dall’arcivescovo Tomasi e
considerando che in Italia ci sono circa 35.000 sacerdoti diocesani, potrebbero esserci tra i 500
e i 1750 sacerdoti coinvolti in casi di pedofilia. Senza contare la
presenza di altri religiosi e dei sacerdoti ordinari, che farebbero
“salire” le possibili stime. Ma perché nel nostro Paese lo scandalo
non è ancora scoppiato? Essenzialmente per il timore delle vittime di non essere credute e di
non vedere riconosciuti i torti subiti. Per una sorta di “sacralità”, la
figura del sacerdote e, in generale, dell’ecclesiastico, viene reputata al di sopra di certe nefandezze e spesso l’opinione pubblica,
quando una vittima denuncia, si
schiera più dalla parte dell’accusato che non dell’accusatore.
Senza contare che, nell’Italia dei
cavilli legali, è facile vedere finire
Sabato 18 settembre 2010
DOLORI VATICANI
impunito il proprio abusatore,
anche dopo averlo denunciato e,
magari, anche dopo che la giustizia lo ha perseguito. L’infanzia è
troppo poco tutelata, rispetto
agli altri Paesi, e le autorità statuali sembrano preferire non affrontare il problema piuttosto che
scontentare la Chiesa cattolica.
Quindi perché esporsi, raccontare il proprio calvario, se la società e la legge non assicurano
giustizia o almeno il vedere riconosciuta l’infamia subita? Dalle
percentuali riportate sembra
che in alcuni paesi l’incidenza
dei child sexual offender nella
popolazione sia maggiore che in
altri. In realtà si tratta di un fenomeno facilmente spiegabile: nei
paesi in cui la legge persegue con
maggiore impegno ed efficacia il
reato di abusi sessuali su minori,
le denunce e le condanne sono
superiori rispetto a quelli di altri
Paesi in cui lo stesso crimine non
è perseguito con altrettanta efficacia. In parole povere: le vittime
sono più propense a sporgere
denuncia quando sanno che c’è
una possibilità concreta di ottenere giustizia.
BRACCATO E MINACCIATO
Il Papa a Londra, tra un attentato
sventato e le continue polemiche sugli abusi del clero
Se una sola vittima
non basta
MA È COSÌ diversa la situazione italiana da quella degli altri
paesi? Anche a voler prendere
per buone le stime di “un centinaio” di sacerdoti pedofili, come
sostiene monsignor Crociata,
qual è la percentuale di pedofili
tra i preti italiani? Lo 0.29%. Di
contro, la Caramella Buona, associazione antipedofilia recentemente costituitasi parte civile
nel processo a carico di don Ruggero Conti, rivela che in Italia ci
sono 1322 detenuti per pedofilia. Su una popolazione di oltre
20 milioni di maschi adulti, la
percentuale è dello 0.006%. L’incidenza della pedofilia tra i sacerdoti italiani risulta essere 48 volte
superiore a quella rilevata tra i
comuni cittadini. Inoltre, è bene
ricordare che difficilmente un
pedofilo si ferma ad una sola vittima. Anche “solo” cento casi
possono significare centinaia di
vittime. Scorretto non è rendere
pubblico un problema devastante come quello dei preti pedofili.
Scorretto è semmai cercare di
sminuire la portata di quel problema, offendere le vittime parlando di “chiacchiericcio”, insultare chi ha già subito l’insulto
dell’abuso minimizzando le cifre
e tentando di far credere che la
vittima, in tutta questa sporchissima faccenda, sia la Chiesa.
Quella Chiesa che ha tentato di
far credere che gli abusi fossero
tutti “casi isolati”, la Chiesa che
ha dovuto essere trascinata in tribunale per riconoscere un risarcimento alle vittime, la Chiesa
che ha ignorato chi le si rivolgeva
per avere giustizia. La Chiesa che
ha preferito continuare a proteggere i propri beni e i propri privilegi piuttosto che rinnegare se
stessa, prendere la propria croce
e seguire quel Cristo incarnato in
ogni bambino abusato.
Benedetto XVI circondato
dai bambini, ieri, al St Mary’s
University College di Londra;
sotto le proteste al suo arrivo
nella scuola (FOTO ANSA)
di Marco
Politi
allarme
terrorismo
scuote il pellegrinaggio di Benedetto XVI.
Scotland Yard ha arrestato ieri mattina a Londra
cinque attentatori. Gli agenti
sono piombati all’alba, alle 5
e 45, in un negozio della capitale, dove i cinque – che
sono netturbini – cominciavano il turno di lavoro. La polizia era armata, ma non è stato sparato un colpo. Gli estremisti islamici, tra i 25 e i 50
anni, sarebbero di provenienza algerina e senza cittadinanza britannica. Un sesto
uomo è stato catturato nel
primo pomeriggio. Si è temuto che volessero uccidere il
Papa. Il luogo dove sono stati
sorpresi si trova nella zona di
Westminster, dove Benedetto XVI doveva recarsi nel pomeriggio. Condotti in commissariato, sono ora agli arresti per sospetto di “realizzazione, preparazione o istigazione di atti di terrorismo”. Durante gli interrogatori scattavano perquisizioni
in due uffici e otto appartamenti della capitale, ma non
sono state ritrovate né armi
né esplosivi. “Non sono stati
sequestrati oggetti pericolosi”, comunica sobriamente
L’
Scotland Yard. Venerdì sera,
tuttavia, un’informativa dei
servizi segreti parlava di rischio “grave”. Jonathan
Evans, capo del mitico MI5,
aveva lanciato l’allerta di un
“attacco alla Gran Bretagna”.
È questo che ha spinto le forze di sicurezza ad agire con la
massima rapidità e decisione.
Un’ombra segue
il Pontefice
IL PROGRAMMA di Benedetto XVI non è cambiato. La
polizia ha diffuso una dichiarazione tranquillizzante: “In seguito agli arresti sono state riviste le misure di sicurezza e
Con il primate
della chiesa
anglicana
l’appello per
l’unità dei
cristiani: poche
cose ci dividono
GLI 007 “Un attacco terroristico
resta sempre probabile”
capacità della sezione antiterrorismo
Lmaesono
migliorate nel corso di questi anni
il rischio che un attacco letale venga
portato a termine resta alto. Non credo che
la situazione migliorerà nell’immediato futuro”. Jonathan Evans, il capo dell’MI5, i
servizi di sicurezza interni britannici, soltanto giovedì sera - in una rara, e non casuale (vista la coincidenza con il viaggio
papale) apparizione pubblica presso la
Worshipful Company of Security Professionals di
Londra - definiva così la condizione-terrorismo registrata oggi nel Regno Unito.
I fatti gli hanno dato immediatamente ragione. Con l’arresto dei 6 individui sospettati di avere in cantiere azioni contro Papa
siamo convinti che i piani
adottati siano adeguati”. Rasserenante anche il commento
del portavoce papale Lombardi: “Il Papa è felice del viaggio
ed è calmo. La situazione non è
particolarmente pericolosa. A
Sarajevo (per Giovanni Paolo II nel
1997, ndr) lo era molto di più”.
Papa Ratzinger, ha ricordato, è
partito con “coraggio” per
questa missione. Lombardi si è
detto certo che la polizia abbia
preso tutte le misure necessarie.
Ma non è la paura di attentati
l’accompagnatrice abituale
del pontefice, che incontrando il primate anglicano, ha
esaltato la “profonda amicizia”
tra le due chiese. L’ombra degli
abusi accompagna Benedetto
XVI nei suoi viaggi internazio-
Benedetto XVI si riaccende in Gran Bretagna l’allarme dell’estremismo di matrice
islamica.
L'incubo terrorismo oltremanica, al di là
delle paure scatenate dall’11 settembre, ha
avuto il suo battesimo di sangue il 7 luglio
del 2005, quando tre cittadini britannici di
origine pachistana - più uno di origine giamaicana - fecero saltare in aria con attacchi
suicida tre vagoni della metropolitana londinese e un autobus provocando 52 morti
e centinaia di feriti. Pochi giorni dopo, il 21
luglio, altri quattro uomini cercarono di
replicare l’operazione, ma gli ordigni preparati non esplosero a causa di problemi ai
detonatori.
nali. È una presenza tragica e
ingombrante che condiziona
le sue missioni e lo costringe
ogni volta, ad ogni inizio di
viaggio a pronunciare un mea
culpa. È come se l’opera della
Chiesa in tutto il mondo improvvisamente si fosse ridotta
al cumulo di orrori perpetrati
dai preti pedofili. Come se fossero respinte sullo sfondo le
iniziative che nei cinque continenti le istituzioni cattoliche
intraprendono nella lotta alla
povertà e all’emarginazione,
come se fosse dimenticato il
contrasto al razzismo perseguito sistematicamente a partire dalla situazione italiana,
come se fosse archiviata la costante azione della Santa Sede
per i diritti delle nazioni del
Terzo Mondo e uno sviluppo
globale dal volto umano, non
determinato unicamente dagli interessi dei grandi monopoli del Primo Mondo. È da
due anni che Benedetto XVI si
trova su questa graticola. In volo per gli Usa, in volo per l’Australia, in volo per Malta, in volo per il Portogallo, non c’è volta che nell’incontro con la
stampa non risorga, come
l’ombra di Banquo per Macbeth, il fantasma dell’abuso clericale sui minori.
In gioco la fallibilità
dell’Istituzione
È SOLO una congiura dei media, come tendono a credere
alcuni collaboratori del Papa?
È una cospirazione di centrali
anti-cattoliche,
che
vogliono
creare panico,
come scrisse su
Avvenire il sociologo delle religioni Massimo
Introvigne? È un
Attacco a Ratzinger come titola il
vivace libro di
Andrea Tornielli
e Paolo Rodari,
appena apparso
in libreria e seguito da un volume di eguale impostazione La
verità del Papa. Perché lo attaccano, perché va ascoltato di Aldo
Maria Valli?
Bisogna andare più in profondità e partire dalle stesse parole di Benedetto XVI, scandite
giovedì scorso. “L’autorità della Chiesa (si noti: l’Autorità complessiva, non singoli vescovi da
qualche parte, ndr) non era sufficientemente vigilante e non
sufficientemente veloce, decisa, nel prendere le misure necessarie”. Chi scriveva queste
cose già decenni fa, chi denunciava la “distrazione” delle
Chiesa (“siamo stati distratti”,
è scritto nell’editoriale di Avvenire di venerdì) veniva accusato di anticlericalismo. Ora che
lo dice il Papa, aggiungendo –
come ha dichiarato nella recente Lettera agli Irlandesi –
che “le vittime non sono state
ascoltate”, si apre una reazione a catena all’interno stesso
della Chiesa cattolica.
Perché non sono in gioco i
“peccati carnali” di alcuni preti cattivi: tesi minimalista spesso propagata dai difensori
d’ufficio del papato e della gerarchia. È in gioco la “fallibilità” dell’istituzione nel suo
complesso, che si è sempre
presentata monarchica, in cui
al vertice veniva attribuita di
fatto il talento di avere sempre
ragione mentre non è mai stata
consentita finora l’esistenza di
“stanze di compensazione”
dove esaminare, discutere e
valutare eventuali errori. È
l’istituzione Chiesa che, come
struttura, ha perso la credibilità. Papa Ratzinger lo intuisce,
non a caso parla di necessaria
“penitenza e umiltà”. Ma intuitivamente il mondo cattolico e
l’opinione pubblica avverte
che ciò non basta. Sono i meccanismi di governo assolutisti
della Chiesa a non reggere più.
E non funziona il rapporto con
l’indispensabile canale con il
pubblico credente e non credente, rappresentato dai media.
Un difficile rapporto
con i mass media
IL VATICANO di Ratzinger
dis-pregia i mass media. Li considera prevenuti o non all’altezza. Non li considera interlocutori. Ma non c’è altro termometro nella società contemporanea dell’informazione plurale, che denuncia storture, errori, insuccessi. Dove, se non
nell’arena aperta dell’opinione pubblica può svolgersi quel
dialogo tra fede e ragione, tra
credenti e non credenti che
Benedetto XVI ha caldamente
auspicato anche ieri nella solenne cornice di Westminster
Hall sotto il segno del martirio
di Tommaso Moro? È sintomatico che Ratzinger, a differenza
di Wojtyla, non accetti mai libere domande dai giornalisti.
Lo scandalo della pedofilia riemerge continuamente perché
sono i cattolici più fedeli a invocare rigore, coerenza e trasparenza. La ramificazione degli scandali e la “non-vigilanza”
sistematica delle gerarchie
hanno rovesciato gli schemi
del passato. Agli occhi dei fedeli e dell’opinione pubblica
non è più la Chiesa gerarchica
a elargire indicazioni e concessioni. Tocca alla Chiesa, invece, “rispondere”. Rispondere
di azioni e omissioni e di ciò
che ancora oggi non fa. (Tanto
per essere concreti: in Italia
non c’è nemmeno una commissione d’indagine ecclesiastica come in Belgio o in Austria). La svolta della civiltà
contemporanea sta nelle domande che salgono dal basso.
Quando il Papa afferma che bisogna “reimparare la sincerità”, c’è poi un mondo che esige trasparenza. E se i vertici ecclesiastici non lo comprendono, le domande continueranno a piovere.
A Westminster Hall il Papa ha
prospettato un’alleanza tra fede e ragione per dare saldi fondamenti etici alle società moderne. La ragione, però, esige
che la Chiesa dia risposte alle
domande della società.
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Sabato 18 settembre 2010
SECONDOTEMPO
SPETTACOLI,SPORT,IDEE
in & out
PIANETA LIBRI
GEOGRAFIA
Mariastella
studia di più
Baudo
Torna Pippo:
su RaiTre dal
20 settembre
con
“Novecento”
Rapper
Il nuovo
disco di
Fabri Fibra
subito primo
in classifica
Balotelli
Lasciato
dalla
fidanzata
Melissa in
diretta tv
Mou
Non direi
mai no al
Portogallo,
non dipende
da me
La riforma Gelmini taglia le ore di
insegnamento: tre libri ci spiegano
perché è importante avere qualche idea di com’è fatto il mondo
di Riccardo Chiaberge
I
taliani, ultimi della classe in
geografia. La riforma Gelmini
retrocede questa materia ad
ancella della storia, taglia le
ore di insegnamento nei licei
e negli istituti tecnici, fino ad
azzerarle negli istituti professionali. Magnifico, proprio
quel che ci voleva per festeggiare il centocinquantesimo
dell’unità nazionale. Se un tale, due secoli fa, la definiva
“un’espressione geografica”,
ora l’Italia rischia di non essere più nemmeno quello, di
sparire dalle mappe dei ragazzi col “Sole delle Alpi” inciso
sul banco. Del resto, che bisogno c’è dell’atlante o del mappamondo? Basta cliccare su
Google, e le macchine hanno
Eliza Griswold
esplora
la lunga
frontiera in cui
si fronteggiano
islam
e cristianità
tutte il Gps di serie. Non per
niente la gloriosa De Agostini
prepensiona i suoi cartografi.
Ma si può davvero rinunciare
alla geografia? Per fare quello
che suggerisce Ulrich Beck,
(Potere e contropotere nell’età
globale, Laterza, pagg. 455, euro 22,00), ossia diventare cosmopoliti, staccarci dalla fissazione di ciò che ci è familiare e
sviluppare insieme “radici e
ali”, forse non guasta avere
qualche idea di com’è fatto il
pianeta. È vero, come dice il
sociologo tedesco, che “il bilinguismo, le esistenze divise
in più luoghi, la mobilità permanente, il numero crescente
di persone con doppi passaporti, creano un complesso
intreccio di realtà divise” che
rendono obsoleta la dimensione nazionale. Ma i confini,
per poterli scavalcare, bisogna conoscerli.
Spazio, tempo
e spirito
UN’OTTIMA occasione per
ripassare un po’ di geografia è il
bel libro di Eliza Griswold The
Tenth Parallel (Il decimo parallelo) da poco uscito in America
da Farrar, Straus and Giroux
(pagg. 318, $ 27,00). Poetessa e
giornalista dell’Atlantic, del New
Yorker e del New York Times, Eliza
ha scandagliato per sette anni
la “linea di faglia” lungo la quale
si fronteggiano islam e cristianità. Una frontiera rovente, circa 1100 chilometri a nord
dell’Equatore, che taglia orizzontalmente l’Africa e Asia dalla Nigeria alle Filippine e su cui
si addensa più della metà del
miliardo e trecento milioni di
musulmani e il 60 per cento dei
due miliardi di cristiani esistenti al mondo. Nell’incontro-scontro tra le due fedi si gioca non solo il futuro di due continenti ma il destino stesso del
pianeta. In Africa, la fascia tra
l’Equatore e il decimo parallelo
segna la fine della parte settentrionale, arida e desertica, e
l’inizio della giungla sub-sahariana. I venti, il clima e secoli di
migrazioni hanno portato le
due religioni a convergere in
quest’area. Fu Maometto in
persona, nel 615 d.C., a inviare
una dozzina di suoi familiari e
seguaci alla corte del re cristiano di Abissinia (la moderna
Etiopia). Seguirono 600 anni di
penetrazione musulmana tra
Egitto e Sudan, ma anche di pacifica convivenza. Poi esplosero le guerre di religione, finché
nel 1504 l’ultima monarchia
dell’antica Nubia cristiana si arrese alla spada dell’islam. Ironia
della storia, fu un insetto, la mosca tsè-tsè, a fermare l’avanzata
musulmana all’altezza, appunto, del decimo parallelo. Oggi il
riscaldamento globale rende
imprevedibili i cicli di piogge e
siccità in quest’area, complicando la vita di nomadi e agricoltori, e il boom demografico
in Asia e Africa inasprisce le
tensioni. Quello che ci insegna
il reportage di Griswold è che
dietro i conflitti religiosi si celano ben più sostanziosi conflitti sulla terra, l’acqua, il petrolio e altre risorse naturali, e le
faide tribali vengono spesso
strumentalizzate dagli agitatori
cristiani o islamici. Essere un
cittadino nigeriano, per esempio, non significa nulla: in molte regioni lo Stato non fornisce
elettricità né scuole. Per avere
la luce in casa o dare un’istruzione ai figli, bisogna rivolgersi
alla chiesa o alla moschea. La
militanza religiosa supplisce
all’impotenza delle istituzioni
civili.
Potere
e territorio
IN NIGERIA e in Sudan, come
in Indonesia e nelle Filippine,
molti cristiani vivono la loro
condizione di minoranze oppresse o schiavizzate: hanno
perso chiese, case, persone care, nello scontro col fondamentalismo islamico. Al tempo stesso, i predicatori evangelici portano avanti un proselitismo aggressivo. E proprio come i loro
avversari, vedono nell’Occidente sviluppato un luogo senza Dio che ha voltato le spalle
alla tradizione cristiana.
Bauman:
un tempo i
vagabondi erano
i diseredati
Ora sono
le multinazionali
a espatriare
Già, l’Occidente, dove si colloca nel nuovo atlante globale?
Scrive Zygmunt Bauman in
un bel saggio appena tradotto
dal Mulino (La società individualizzata, pagg. 318, euro 13,00)
che nel mondo di oggi “la gerarchia emergente del potere è
più vicina agli usi delle società
nomadi che di quelle sedentarie; la sedentarietà, in particolare quella senza possibilità di
scelta, si va rapidamente convertendo da risorsa in inconveniente”. Se un tempo erano le
classi privilegiate, come i proprietari terrieri, a circondarsi di
Illustrazione di Doriano
beni durevoli e i poveri erano i
“vagabondi” con il fardello in
spalla, adesso la situazione si rovescia, con le multinazionali
che piantano le tende dove il
costo del lavoro è più basso. Il
nuovo “disordine cosmopolita”non è in contraddizione con
le piccole patrie, i fondamentalismi e le ideologie di stampo leghista, semmai ne è la causa.
Come ha osservato Eric Hobsbawm, “uomini e donne cercano gruppi ai quali appartenere con sicurezza e per sempre,
in un mondo dove tutto il resto
si muove e cambia, dove null’al-
tro è certo”. Si blatera di Padania, si disegnano simboli celtici, si raccoglie l’acqua del Po
nell’ampolla. Ma la sera ci si barrica in casa davanti alla tivù, e il
vicino di pianerottolo è un
estraneo da tenere a distanza,
specie se ha la pelle di un altro
colore. “L’età dell’identità – dice Bauman – è piena di urla e
furore. La ricerca dell’identità
divide e separa, e tuttavia la precarietà dell’impresa solitaria di
costruzione dell’identità spinge coloro che la intraprendono
a cercare appigli ai quali appendere tutti insieme le paure e le
ansie individuali e a svolgere riti esorcistici in compagnia di altri individui altrettanto intimoriti e ansiosi”. Le “comunità
d’appiglio” non servono a proteggere identità già esistenti,
ma sono “i sottoprodotti di una
febbrile attività di tracciamento di confini”. Così, lo scolaro di
Adro non saprà individuare sul
mappamondo (georeferenziare, si dice in gergo) il paese del
vicino di banco Abdul o Fatima.
Ma additerà senza esitazioni il
parallelo 45,30’, meridiano
10,15’. Le coordinate di Brescia, Padania.
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SECONDO TEMPO
CALCIO / INTRIGO INTERNAZIONALE
BOMBE SU MONACO
di Paolo
Soldini
l Bayern di Monaco, perla preziosa del calcio europeo, si vende le partite
come una corrotta squadretta di provincia? Oppure
è la Uefa, organizzazione dal
prestigio finora adamantino,
ad aver preso una topica epocale, fidandosi di certi suoi
troppo disinvolti collaboratori? Chissà. Certo è che uno
dei due, nella furibonda battaglia che li oppone in Germania, dovrà soccombere, rischiando di uscirne assai
malconcio.
La vicenda, che
sta squassando il
mondo del calcio tedesco ed
europeo, toccando sentimenti tanto diffusi e
profondi che il
popolarissimo
settimanale
Stern gli ha dedicato pagine e pagine di (dubbie)
rivelazioni, potrebbe finire
ora tra i dossier dell’Europol,
la polizia comune europea
che in tempi normali si occupa di lotta al terrorismo,
traffici di droga e di esseri
umani e altre questioni di simile rilievo. A sollecitare le
indagini della superpolizia
sarebbe il presidente della
stessa Uefa Michel Platini,
deciso dalla valanga di accuse e di minacce di denunce
per diffamazione rivolte dal
Bayern all’organizzazione a
cercare di fare un po’ di chiarezza su quanto realmente
accadde all’Olimpico di Monaco in un giorno di primavera del 2008, quando una
squadra russa non proprio ai
vertici del calcio internazionale, lo Zenit di San Pietroburgo, inflisse un umiliante
4 a 0 ai padroni di casa ponendo le premesse per la vittoria finale della coppa europea qualche giorno dopo
contro i Rangers di Glasgow.
La partita era stata comprata
dalla mafia russa, come
avrebbe insinuato lo svizzero
Peter Limacher, il capo
dell’ufficio disciplinare della
Uefa, sulla base di rapporti
dei suoi collaboratori? Oppure il match fu regolare e il suo
esito clamoroso fu solo il
frutto di uno scivolone dei
bavaresi?
I
Il settimanale Stern accusa il Bayern:
con lo Zenit partita venduta
timido tentativo di marcia indietro, precisando di non
aver formulato alcuna accusa
e di aver fatto semplicemente
quello che è consueto nei casi di risultati inattesi e clamorosi: indagare discretamente
per verificare che tutto sia in
ordine. Ma al Bayern non basta, anche perché, sulla base
Secondo il capo
dell’ufficio disciplinare
della Uefa, il match
sarebbe stato comprato
dalla mafia russa
DOPO LA reazione pesantissima di Karl-Heinz Rummenigge, presidente del FC Bayern München, la sua richiesta a Platini di rimuovere Limacher e le cannonate di indignazione sparate dalla
stampa sportiva tedesca (almeno quella del sud della
Germania), la Uefa ha fatto un
Uno dei quattro gol subiti dal Bayern contro lo Zenit (FOTO LAPRESSE)
delle rivelazioni dello Stern
sembrerebbe che il dossier
sia arrivato già confezionato
con l’indicazione dei colpevoli (tra i quali lo stesso Rummenigge, il presidente della
squadra Uli Hoeness e il direttore finanziario Karl Hopfner) nelle mani di Limacher
da un suo collaboratore molto chiacchierato: un certo Robin Bokšic, croato ma residente a Monaco, legato in
passato ai fratelli Sapina, un
clan che nel 2005 fu accusato
di aver truccato diversi incontri in combutta con degli arbitri corrotti. Bokšic è stato
anche condannato per truffa
e illecito sportivo, il che non
gli ha impedito, però, di seguire Platini ai mondiali in Sudafrica, dove ha trovato il modo di denunciare gare truccate a destra e a manca e di accusare il presidente della Fifa
Joseph Blatter di aver intascato un milione di euro. Senza
che nessuno gli desse il minimo credito.
SE EFFETTIVAMENTE
l’inchiesta “discreta” di Limacher si basa su questa fonte, la
posizione della Uefa non pare
fortissima. E però, ad approfondire un po’ la storiaccia
emergono particolari che fanno sembrare le accuse assai
meno peregrine. Basta spostarsi dalla Germania in Spagna e andare indietro alla pri-
mavera 2008 quando in una
intercettazione disposta nel
quadro di un’indagine sulle
infiltrazioni della mafia russa
il famoso giudice Baltasar
Garzón sente un certo Ghennadi Petrov parlare di “50 milioni” che sarebbero stati versati al Bayern perché perdesse l’incontro 4 a 0. Petrov è un
noto esponente dell’organizzazione mafiosa Tambobskaija e va sottolineato che
l’intercettazione in cui si mo-
stra certo del risultato avviene “prima” della partita.
All’epoca, la circostanza, rilevata dal Paìs e da altri media
spagnoli, che avanzano il sospetto che anche la finale
contro i Rangers sia stata “addomesticata” a suon di quattrini, passa quasi inosservata
in Germania, dove l’umiliazione del Bayern viene ascritta alla stanchezza dei suoi giocatori, alla bravura dell’allenatore dello Zenit, l’olandese
Dick Advocaat, e alla stagione
di grazia che sta vivendo il calcio russo, alimentato dai petrodollari di alcuni magnati e
della potentissima Gazprom,
il colosso energetico al centro di mille traffici e di mille
sospetti che è proprietario
dello stesso Zenit. Ma c’è un
altro particolare che potrebbe essere rivelatore: nell’intercettazione Petrov parla dei
50 milioni senza specificare
se si tratti di euro o dollari (i
rubli sembrerebbero da
escludere), mentre nelle carte della Uefa si fa la cifra di 40
milioni di euro. Ora, al cambio dell’epoca, 40 milioni di
euro corrispondevano proprio a 50 milioni di dollari, il
che renderebbe le cifre compatibili e credibili. Materiale
per i funzionari dell’Europol
se e quando si metteranno
davvero al lavoro sullo strano
4 a 0 che allunga brutte ombre sulla reputazione di una
delle società calcistiche più
prestigiose e più amate d’Europa.
Sotto la banca, la Roma è stanca
di Luca
De Carolis
Roma con i nervi scoperti
Nsenteella
e senza gioco e vittorie, pree futuro li racconta un banchiere. “Stiamo investendo per far
sognare città e tifosi” ha assicurato tre giorni fa da Monaco di Baviera Paolo Fiorentino, numero
due di Unicredit. L’istituto di credito che in luglio ha preso di fatto
il controllo del club, lasciando a
Rosella Sensi la carica molto onorifica di presidente. Uno dei tanti
nodi della Roma che sbanda, come una macchina senza guida.
Mercoledì scorso si è impantanata
contro il Bayern Monaco, che in
Champions League l’ha regolata
per 2 a 0. La terza sconfitta in quattro gare per la Roma, che aspetta
nuovi padroni. La banca cerca
compratori con tanto denaro e voglia di vincere, possibilmente stranieri. Nell’attesa, Fiorentino ha rivendicato “gli investimenti di Unicredit per Borriello e Burdisso”.
Ma Sensi non ha gradito: si è impegnata in prima persona per le
Claudio
Ranieri
a Monaco
di Baviera
(FOTO LAPRESSE)
due operazioni, e non vuole essere dipinta come dirigente di facciata. Non solo: la Roma, fanno
notare da ambienti societari, ha
ottenuto l’avallo della banca solo
dopo aver dimostrato che poteva
sostenere i due acquisti con introiti da diritti tv e incassi dalla
Champions League. Precisazioni
che sono il termometro efficace
del momento nero del club, dentro e fuori del campo. Una crisi
che nasce nello spogliatoio, pancia inquieta della squadra. A certificarlo, le parole di Totti subito
dopo la caduta di Monaco: “Siamo
tornati al vecchio catenaccio,
pensando solo a difenderci e senza mai tirare in porta: così non si
vincono le partite”. Una sconfessione delle scelte di Ranieri, reo
anche di averlo nuovamente sostituito.
Totti fa pace
con Ranieri
LO AVEVA già tolto sabato scorso
contro il Cagliari dopo pochi minuti, e le radio locali avevano brontolato. Giovedì tecnico e giocatore
hanno avuto un colloquio, che ha ricomposto in parte la frattura. Totti
ha lanciato segnali di pace con una
nota sul suo sito: “Il rapporto con
Paolo Fiorentino di
Unicredit rivendica gli
investimenti per la squadra
I Sensi non gradiscono
e lo spogliatoio ne risente
Ranieri è stretto e vero, il nostro feeling è solido: mercoledì avevo solo
risposto a dei tifosi in modo molto
romano, espressivo e colorito”. Una
marcia indietro un po’ affannata,
nonché un’indiretta deroga al silenzio stampa, imposto dalla società sino a Roma-Bologna di domani. Deroga opportuna, viste le difficoltà
per Ranieri. Anche perché a Trigoria rumoreggiano altri veterani.
Stando a sussurri ricorrenti, l’arrivo
di Borriello ha indispettito parecchi: perché è un altro attaccante, in
un reparto già nutrito, e soprattutto
perché prende 3,6 milioni all’anno.
Tanti, in una squadra dove molti ingaggi sono stati limati per evitare il
baratro finanziario. In quest’ottica,
anche il nuovo contratto dell’allenatore (più volte rinviato) potrebbe
far alzare qualche sopracciglio. Di
certo, per Borriello l’ambientamento è complicato. Lo dimostra un episodio nel primo tempo contro il Bayern: l’attaccante che invita i compagni a uscire dalla propria trequarti, e Ranieri che dalla panchina gli
ricorda che certe cose le può dire
solo l’allenatore. La conferma che
un gesto sbagliato nella Roma attuale può far saltare equilibri fragili. Un
bel peso per Ranieri, più debole rispetto a pochi mesi fa. La transizione societaria l’ha lasciato in un pericoloso guado, perché non c’è la
certezza che i futuri proprietari lo
vogliano tenere. Nelle ultime ore sono circolati anche nomi di possibili
sostituti, con Lippi e Leonardo in
prima fila. Voci accreditate dai bookmaker stranieri, ma prive di fondamento. Ugualmente fastidiose per
Ranieri: irritato, già da tempo. Innanzitutto, per una campagna acquisti che giudica incompleta. Il
tecnico ha ottenuto la conferma di
Burdisso e un’altra punta oltre alla
scommessa Adriano, ma pretendeva anche due esterni.
Nuova
tattica
NE È arrivato uno, Castellini, riserva nel Parma. Impaccio importante
per i suoi piani tattici, perché nel
4-4-2, schema base di Ranieri, gli
esterni sono fondamentali. In estate
il tecnico ha provato cinque moduli
diversi, cercando una nuova identità per una squadra che Spalletti aveva plasmato con il 4-2-3-1. Uno schema che Ranieri ha più volte adottato
nella stagione scorsa, con ottimi risultati. Ora però vuole voltare pagina. “Non possiamo più giocare con
un unico attaccante” ha spiegato.
Ma a livello tattico c’è confusione,
sfociata in numeri da allarme rosso:
nove reti incassate e due segnate..
Un altro tema è quello della preparazione estiva, fatta di poco fondo e
molto lavoro con il pallone. Impostazione che segue i precetti vincenti di Mourinho, ma che ha suscitato dubbi già nel pre-campionato.
Per ora, la squadra ha il fiato corto.
C’è poi il cronico problema dei campi di Trigoria, malmessi e pericolosi. Se ne lamentava già Spalletti,
mentre Ranieri li ha paragonati alla
pineta sabbiosa di Castel Fusano.
Dalla società promettono di risolvere tutto in dieci giorni, ma la lista degli infortunati è già lunga. I tifosi,
inevitabilmente, minacciano contestazioni. C’è rabbia, mitigata solo
dalla speranza nell’arrivo di nuovi,
facoltosi proprietari. Tra i 23 interessati, ci sarebbero anche il magnate russo Leonid Fedun, e un fondo di
investimenti degli Emirati Arabi,
Mubadala. Suggestioni, come antidoto alla crisi.
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Sabato 18 settembre 2010
SECONDO TEMPO
+
TELE COMANDO
TG PAPI
Paso Doble
per Minzo
di Paolo Ojetti
g1
Dopo il militare ucciso in
Afghanistan e i “presunti”
congiurati che volevano attentare alla vita del Pontefice,
ecco incedere il famoso “paso
doble” del Tg1. Da una parte
una maggioranza che “si allarga” e si dimostra “coesa” con
Capezzone che garantisce il
lato comico e ripete: “È il governo dei fatti e del cambiamento, nella scuola, nella
Pubblica amministrazione”.
Dall’altra, le flagellazioni del
Pd, i colpi e contraccolpi fra
Veltroni, Bersani, D’Alema.
Come uscire da queste trappole mediatiche? Alle 13,30 il
Tg1 ha aperto con il decreto
di “Roma Capitale”, Alemanno pieno di medaglie (le prime mosse per questo decreto
risalgono ai tempi di Rutelli)
che si sdilinquisce per Calderoli. A pensarci bene, il decreto sembra una riedizione del
“Governatorato di Roma” dei
T
tempi del fascismo, quando la
Capitale aveva una sua larga
autonomia. Nota di cattivo
gusto nel servizio da Loreto
Aprutino dove riemerge un
vecchio tentativo di violenza
carnale: i minorenni arrestati
avevano “scelto la preda”.
g2
T
Identica scaletta per il
Tg2 che poi passa a Berlusconi e alla sua strana tesi sulle
“compravendite” di parlamentari. Dunque, non ci sarebbe nessun passaggio di
proprietà dei deputati che si
accodassero ai berluscones,
visto che quelli corteggiati (è
un modo di dire) “erano stati
eletti nel centrodestra”. É un
concetto calcistico, dove il
mercato prevede anche il
“prestito”, gratuito o con conguagli adeguati, oppure la
“comproprietà” che è una figura metagiuridica ancora
più limpida: mezzo deputato
è ancora mio e me lo gestisco
io. Bè, “riscattarne” la metà
costa meno. Una finestra anche per Bersani che vuole
rimboccarsi le maniche e occuparsi dei guai degli italiani.
Veltroni, annacquato il suo
documento, ha raccolto 75
firme. Sono solo le prime
mosse, il bello arriverà presto.
g3
T
Il tenente ucciso e il papa,
anche se il Tg3 sgonfia un po’
l’ipotesi di un attentato. Meglio la politica e la “campagna
acquisti” che c’è, anzi non
c’è. Un piccolo passaggio su
Roma Capitale e su Bossi:
“Ho votato perché Alemanno
piangeva. Ma ora voglio la capitale del Nord”. Che, come
capirebbe anche un bimbo, è
una battuta per i leghisti della
bassa brembana, che sono di
bocca buona e si bevono un
po’ di tutto. Milano capitale
del Nord leghista? Perfetta, viste le immagini seguenti, dove si procede allo smantellamento del più grande campo
nomadi d’Europa senza che
nessuno abbia detto dove e
come verranno sloggiati.
Controcanto su Padova, altra
città nordista e non tanto progressista. Il sindaco, Flavio
Zanonato, fu un comunista
duro e puro. Molto tempo è
passato, la realpolitik amministrativa lo tiene a galla da anni,
ma ai pogrom no, non c’è arrivato.
di Nanni Delbecchi
IL PEGGIO DELLA DIRETTA
Televoto
senza assaggio
a Mauro Masi lo vede il pubblico di Antonella Clerici a “La prova del cuoco”? Se coM
sì non fosse, lo invitiamo a sintonizzarsi su
Raiuno a mezzogiorno e a emanare uno dei
suoi famosi codici di comportamento. Altro
che il “pubblico passivo” vagheggiato dal direttore generale di viale Mazzini. Qui, alla corte di Antonella Clerici in Gran soleil, non ci
si limita ad applaudire senza sosta gli chef, gli
sguatteri e perfino i lavapiatti; qui si tifa da stadio, si intona in coro Happy birthday to you, si
balla “La Mazurka di periferia/ che fa venir tanta voglia di fare l’amor”, qui irrompe la voce di
Claudio Cecchetto che intima una versione
riveduta e corretta dell’indimenticabile Gioca
Jouer: “Impastare!... Inzuccherare!... Frullare!... Spadellare!”. Chi sono mai la Gabanelli,
Floris e lo stesso Santoro al confronto di questa santoressa platinata, instancabile nell’aizzare la sua platea di casalinghe? Tornata sulla
tolda del programma che la lanciò, la Clerici
riduce a una mousse il ricordo della pudibonda Elisa Isoardi e si accredita come una pericolosa arruffategami; Masi si sbrighi a vigilare
prima che da quello
show salti fuori chisLa conduttrice sà quale pasticcio di
de “La prova del cuoco” fegato o esploda addiAntonella Clerici rittura un sartù di riso.
A un esame più attento, ci si accorge che il
vero modello di Antonella Gransoleil non è
nemmeno Santoro
ma Gianfranco Funari. Fu Funari a inventare la conduzione fisica, materica,
fatta di primissimi
piani, inesauste deambulazioni per lo studio,
di mani messe letteralmente in pasta, nella
mortadella e nel bucatino. E fu sempre Funari
a teorizzare che il mezzogiorno era un orario
chiave del palinsesto televisivo, il pubblico
delle casalinghe una meravigliosa terra di conquista. Ci riuscì davvero a conquistarla, e il
suo capolavoro consisté, complice l’esplosione dell’inchiesta Mani Pulite, nel mescolare
abbacchio e tangenti, matriciane e avvisi di
garanzia, casalinghe e politici. Ma erano altri
tempi, e lo si vede proprio dall’evoluzione del
mezzogiorno in tv. Alla “Prova del cuoco” le
mani in pasta ci sono ancora, le casalinghe
scalmanate pure; però per un’ora e mezza non
si parla altro che di soffritti, di dadolate, di
tempura, di passatine. Nulla deve turbare la
dimensione gastroenterica dell’esistenza: c’è
il buio oltre l’abbacchio.
Resta il fatto che questo pubblico ne sa una
più del diavolo. E proprio verso la fine del programma, quando si tratta di giudicare i manicaretti dei due cuochi in gara, si sfiora l’incredibile. Il verdetto viene emesso dalla platea
attraverso il televoto, ma – attenzione – senza
avere assaggiato le pietanze. Ora, nessuno discute le frontiere del televoto, applicato ormai a qualsiasi branca dello scibile; e nemmeno ci sono ignote le relazioni tra arti culinarie
e la magia nera. Ma il dubbio resta. Come fanno queste casalinghe a votare con il telecomando un cibo che non hanno potuto nemmeno assaggiare? Senza scomodare gli Ufo e il
calendario Maya, c’è una sola spiegazione.
Conta solo quello che si vede, quello che pure
noi telespettatori abbiamo visto preparare, ed
è quello che bisogna votare, la pura e semplice messa in scena. Profonda saggezza televisiva della “Prova del cuoco”: l’illusione è la sostanza, e la sostanza non è che un’illusione.
Sabato 18 settembre 2010
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SECONDO TEMPO
MONDO
WEB
SULL’OSPEDALE DI DON VERZÉ
Vendola-Web
botta e risposta
“L
e sue risposte nel merito non mi convincono
del tutto, ma il fatto che
abbiamo replicato alle
domande poste da dei cittadini
su Internet suona come rivoluzionario”. Questo il commento
di Arianna Ciccone, la pasionaria
alla testa di Valigia Blu – il comitato di cittadini auto-organizzati
sul Web promotore anche
dell’appello contro il “Porcellum” – dopo che il governatore
pugliese Nichi Vendola ha risposto a una serie di domande che
proprio dalla Rete gli erano state
recapitate.
Il tutto era cominciato lo scorso
agosto quando, riprendendo
un’inchiesta del sito Italia Terra
Nostra, Valigia Blu aveva chiesto
chiarimenti a Vendola: “Il sito Italia Terra Nostra – la missiva pubblicata su Internet – porta avanti
un’inchiesta sul nuovo Ospedale
di Taranto”; si tratta del San Raffaele del Mediterraneo, la cui costruzione partirà a dicembre grazie “a una Fondazione pubblico-privata guidata da don Verzé”;
ovvero il sacerdote noto per il
suo strettissimo rapporto con Silvio Berlusconi e per i suoi legami
d’affari con il Sismi e Niccolò Pollari. Ieri, dalla sua pagina Facebook, Nichi Vendola ha risposto
alle domande di Valigia Blu. Prima sulla legittimità dei quesiti:
“Le domande ai politici, agli uomini delle istituzioni sono il sale
della democrazia e sono indispensabili per la sua crescita e
per la sua tutela”; poi, nel merito:
“Quella del San Raffaele di Milano è la più importante sperimentazione in campo sanitario della
sanità meridionale – scrive ancora Vendola –. La fondazione è, in
base a dati ufficiali, tra le migliori
strutture di cura e ricerca in Italia. Abbiamo creduto che
nell’area tarantina un processo
accelerato di modernizzazione
potesse avvantaggiarsi della collaborazione di una istituzione
prestigiosa”. Valigia Blu, è soddisfatta: “Possiamo avere opinioni
diverse – spiega ancora la Ciccone – ma abbiamo sancito un principio: che i politici devono rispondere a tutti i cittadini”.
[email protected]
è WIKILEAKS: SERVER A PROVA DI BOMBA
CUSTODITI IN UN EX BUNKER ATOMICO IN SVEZIA
Il dispositivo messo in atto da Wikileaks per proteggere le
sue fonti e i suoi scoop sono davvero a prova di bomba.
Dalla pagina Twitter ufficiale, infatti, lo staff di Julian
Assange fa sapere che i server che ospitano le pagine
diWikileaks sono collocati in Svezia all’interno di un ex
di Federico Mello
bunker atomico costruito durante la Guerra fredda. Nello
specifico, i server si trovano all’interno del centro dati
della Bahnhof, uno dei maggiori provider svedesi,
a 30 metri di profondità a Stoccolma, separati
dall’esterno con porte da 40 cm di spessore. Il
è YAHOO SI RINNOVA
nome in codice della struttura, originariamente
LO STORICO MARCHIO SUPERATO DA BING
gestita dai militari e predisposta per resistere
Funzioni di ricerca rafforzata, chat e
all’esplosione di una bomba all’idrogeno, è
caselle di posta rinnovate. Queste
"Pionen White Mountains". Intanto, riferisce il
sono alcune delle novità del prossimo
Guardian online, il Pentagono avrebbe creato un
importante restyling di Yahoo!
team per capire quali documenti segreti sulla
annunciate in un convegno in California
guerra in Afghanistan sono ancora in possesso di
e che saranno gradualmente introdotte
Wikileaks
in queste settimane. Il motore di
ricerca, secondo gli ultimi dati in
affanno sul concorrente Microsoft Bing
– con il quale però sono in corso
numerose collaborazioni negli Stati
Uniti e in Canada – cercherà di
rafforzarsi anche offrendo la possibilità
di inviare sms dalla casella di posta e
con sinergie sempre più strette con
Facebook e Twitter.
feedback$
Commenti all’articolo:
“La Lega ci mette il
marchio” di Chiara
Avesani, da
ilFattoQuotidiano.it
è È UN MARCHIO
registrato, sarebbe come
marchiare una scuola con la
CocaCola.
LucaSchiavoni
è LA LEGA fa il suo gioco,
ma ci sono organi dello stato
che dovrebbero intervenire e
invece non lo fanno e col loro
silenzio danno un implicito
assenso a quanto sta
succedendo.
forzabari
è ABUSO DI POTERE
vero e proprio cosa si aspetta
a cancellare questi simboli?
La scuola appartiene a tutti!!!!
maria
è IL SINDACO di Adro
deve dimettersi in quanto
rappresenta l’espressione più
scadente di un funzionario
dello Stato italiano e così
coloro che lo giustificano a
partire dal ministro Gelmini
Tony
è È VERGOGNOSO che
in un paese occidentale e
democratico si dia la
possibilità a un movimento
secessionista di infangare la
cultura e l’identità
nazionale... di questo
dobbiamo ringraziare
l’onorevole Berlusconi
pasquale petrone
Le risposte di Vendola;
le domande di Valigia Blu;
l’account Twitter di Wikileaks;
Tim Berners Lee
GRILLO DOCET
I LINEA 77
PER WOODSTOCK
5 STELLE
Ciao a tutti, sono Paolo dei Linea 77,
un gruppo di musica italiana dura.
Siamo usciti in Inghilterra prima alla
fine degli anni Novanta, abbiamo fatto
un paio di anni lì suonando un sacco e
avendo un discreto successo. Poi siamo tornati in Italia e
grazie a quell’esperienza abbiamo acquisito una notorietà
e un credito verso il pubblico e gli addetti ai lavori che ci ha
permesso di continuare negli anni, e a distanza di 12 anni
dall’uscita del primo disco siamo ancora quì. Abbiamo
registrato sette album nel frattempo e l’ultimo è uscito
non molto tempo fa. Ma veniamo al mitico Grillo e a
Woodstock, perché ci piace molto l’iniziativa che ha preso
Beppe. La situazione è stagnante e avvilente e
siccome siamo sempre stati convinti che non
basta lamentarsi eccoci qua. Proposte come il
Parlamento pulito piuttosto che il turnover
obbligatorio per i parlamentari, il controllo delle
risorse della terra, impedire che queste vadano a
finire nelle mani delle solite quattro multinazionali,
sono argomenti che ci trovano favorevoli da tempo
immemore.
Beppe con la vitalità, la simpatia, l’energia e la forza che
ha è uno dei pochi rimasti che perlomeno ci fanno
credere che se c’è una speranza lui è sicuramente uno di
quelli che in qualche modo può alimentarla, e il
cambiamento
che noi e molti
è L’IP È UN DATO PERSONALE
altri auspichiamo. LA SVIZZERA SUL FILE-SHARING
Un saluto a Beppe
Mentre in Francia è diventata legge Hadopi,
Grillo e a tutti gli amici la disposizione volta a combattere lo
di questa iniziativa
scambio di materiale protetto da diritto
è “CONNESSIONI PER TUTTI”
Woodstock cinque
d'autore su Internet, in Svizzera il Tribunale
L’INTERVENTO DI TIM BERNERS LEE
stelle, da Chinaski e da federale ha stabilito che è illegale tracciare
Zitti tutti: parla Tim Berners Lee
tutti i Linea 77.
gli indirizzi IP di chi scarica illegalmente
l’inventore del World Wide Web.
materiali tramite Peer-to-Peer. Il Tribunale
L’informatico – Cavaliere del Regno
ha dichiarato che l’indirizzo IP è un dato
in Inghilterra – ha preso la parola al
personale e, come tale, non può essere
Nokia World di Londra disegnando, come al suo solito, gli
maneggiato o venduto come merce.
scenari futuri per la Rete. Secondo Lee – come riferisce
Nessuna società privata dunque, è
Punto Informatico – la banda larga dovrebbe diventare un
autorizzata a raccogliere dati degli utenti di
diritto gratuito per tutti. Solo la quinta parte della
file sharing. Il pronunciamento del Tribunale
popolazione mondiale ha accesso alla rete - ha spiegato è conseguente all’accusa a Logistep AG, che
“cosa dire allora del restante ottanta per cento?”. La sua
con un software scovava gli indirizzi IP degli
visione è quella di un prossimo futuro in cui in tutto il
utenti che scaricavano file in Rete e li
mondo i cittadini abbiano a disposizione una connessione.
rivendeva. La società, dichiarata colpevole,
Lo scenario, vista anche la diffusione dei dispositivi mobili,
ha ribattuto che “presto, la Svizzera rischia
non è fantascientifica. Problema fondamentale sono
di avere la reputazione di un rifugio sicuro
piuttosto “le politiche di prezzi troppo alti” sulle
non solo per gli evasori fiscali, ma anche per
connessioni, comprese le tasse imposte dai governi.
i trasgressori del copyright”. Adesso le
toccherà fare le valigie verso nuovi lidi,
magari nella vicina Francia.
(Pasquale Rinaldis)
è NO, NON SI PUÒ
sopportare che la lega si
impadronisca di una scuola
della repubblica italiana senza
che nessuno, neanche le
figure istituzionali più
autorevoli, battano ciglio.
Fossi in loro non
sottovaluterei queste menate
leghiste, avete letto i giornali
di oggi? Il capo degli “unni”
vuole la capitale del nord ma
le multe sulle quote latte le
debbono pagare gli italiani
tutti
Libera
è È MOLTO GRAVE usare
un simbolo “partitico” in
strutture destinate
all’educazione dei ragazzi. I
nostri figli devono fare le loro
scelte con la loro testa e non
devono essere “per forza”
quelle dei loro genitori
Antonio
è LA SCUOLA deve essere
libera da simboli e ideologie
politiche
Marie Therese
è È DEPRIMENTE
assistere ogni giorno alle
sceneggiate delle camice
verdi: ampolle, dita medie…
e truffe tipo quella delle
quote latte o delle filiere di
fatture false, delle banche del
nord e delle scempiaggini
varie alla trota.
Vittorio
è QUESTA è una battaglia
da combattere, da qua si
riparte per l’Italia
Antonio
è SI COMINCIA a
delineare una frattura
sempre più profonda, la gente
comincia ad incazzarsi
seriamente…
Regolo76
è …IO MI APPELLO alla
gente che vota lega !!!!Ma non
vi accorgete che i propositi
orginali di questi taglialegna
sono cambiati!? Dove sono
finiti la lotta agli sprechi e alla
criminalità…dove?????
Donald
pagina 22
Sabato 18 settembre 2010
SECONDO TEMPO
battibecco
PIAZZA GRANDE
É
CLINTON, FIDEL
L’UMANITÀ DOV’È?
L
Marketing padano
di Bruno Tinti
osì in Adro c’è il Polo scolastico Gianfranco Miglio;
non è il massimo come
personaggio cui intitolare
una scuola, sembra che l’ispiratore di Bossi, prima di essere definito “scoreggia nello spazio”
ed essere privato del ruolo
d’ideologo di partito, sostenesse, a proposito degli extracomunitari, che “non vanno mischiati gli schiavi e gli europei”.
Ma c’è di peggio, se è vero
com’è vero che il Comune di Milano voleva intitolare una strada
a Craxi. Insomma, ognuno si
crea gli eroi che gli si confanno.
Il punto è che, nel suddetto Polo scolastico, campeggia un po’
ovunque il logo leghista, quella
specie di riccio verde che rappresenterebbe il Sole nascente
sulle Alpi: marketing palese, nel
più puro stile televisivo B&C;
sfruttamento dell’istituto pubblico per privati scopi elettorali. La cosa mi pare censurabile
per almeno 3 ragioni.
C
Una norma
abrogata
FINO AL 1990 il Codice penale
italiano puniva (da 6 mesi a 5 anni, come la corruzione) il Pubblico ufficiale che prendeva un interesse privato in qualsiasi atto
della Pubblica amministrazione.
Ad esempio, se sindaco, consiglieri e assessori della maggioranza deliberavano una variante
al piano regolatore che aveva come effetto quello di far divenire
area edificabile un paio di ettari
di proprietà di qualcuno di loro,
fino ad allora adibiti a pascolo,
potevano essere processati e
condannati perché non è una
bella cosa sfruttare la funzione
pubblica in questo modo. Se questa norma fosse stata ancora in vigore, i “padroni”di Adro che hanno utilizzato la loro funzione per
fare propaganda al loro partito in
un complesso scolastico pubblico avrebbero commesso questo
reato. Ma, appunto, nel 1990,
una classe politica dedita, allora
come oggi, al più spudorato ma-
laffare, la abrogò: era uno strumento troppo efficace contro
l’illegalità istituzionale per consentirne la sopravvivenza. Oggi
però varrebbe almeno la pena di
ricordare che, per decenni, una
condotta come quella tenuta dal
sindaco di Adro e dai suoi colleghi è stata considerata reato; non
(solo) inopportuna, scorretta,
volgare: è stata considerata illegale.
Venendo a tempi recenti, tutti ricorderanno che, il 3 novembre
2009, la Corte europea dei diritti
dell’uomo ha condannato l’Italia
per la violazione degli artt. 2 («Diritto all’istruzione») del Protocollo addizionale n.1, e 9 (“Libertà di
pensiero, di coscienza e di religione”) della
Convenzione europea dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali. Si tratta della celebre
sentenza sul crocifisso nelle aule
scolastiche. Naturalmente non
esiste alcuna possibile analogia
tra il crocifisso, venerato da miliardi di persone per un po’ più di
2000 anni e simbolo di una seria
filosofia sociale e politica, e il riccio verde che tanto piace al sindaco di Adro. Esiste invece una
totale identità tra i principi giuridici applicabili nell’uno e nell’altro caso. Ha affermato la Corte
che, in una scuola pubblica, deve
essere rispettata la libertà di non
subire alcun condizionamento
(religioso in quel caso, politico in
questo); e che, in una società democratica, le istituzioni scolastiche devono rispettare il principio del pluralismo educativo; il
che presuppone “un ambiente
scolastico aperto, tale da favorire
l’inclusione piuttosto che
l’esclusione”. Raccomando la
lettura integrale di questa sentenza, scritta con semplicità e vero
monumento di civiltà democratica. Ma già da quello che ho riassunto si capisce bene come non
possono essere rispettati i diritti
fondamentali dell’uomo se, in
una scuola pubblica, si installano
loghi rappresentativi di un unico
partito e in tal modo si impartisce, sia pure in modo indiretto
(proprio questo ragionamento è
stato posto alla base della sentenza sul crocifisso nelle aule scola-
stiche), un insegnamento politico sociale targato Lega, con conseguente esaltazione del relativo
credo politico e, altrettanto conseguente, critica di qualsiasi altro. Se qualcuno dei genitori non
leghisti avesse tempo e denaro
(tanto denaro) per avviare una
procedura contro il Comune di
Adro per violazione delle norme
più sopra citate credo che potrebbe avere una bella sorpresa.
I magistrati
a Bergamo
E INFINE qualcosa di ancora
più recente. Forse non tutti sanno che B&C hanno completato
un lungo cammino (durato circa
10 anni) per attribuire al ministro
della Giustizia il compito di organizzare la scuola della magistratura che, fino ad allora, era organizzata (molto bene) dal Csm.
Non c’è molto da stupirsi se la
prima sede di questa nuova scuola è stata prevista a Bergamo. Come non c’è da stupirsi? Bè, il 19
agosto Bossi, che era a Calalzo
per festeggiare il compleanno di
Tremonti, commentando questo
fatto ha detto (con la consueta finezza): i magistrati oggi si fanno
"i cazzi loro e noi i cazzi nostri",
per questo adesso "i giudici li
educhiamo noi". Siccome potevano esserci dubbi su cosa l’illustre politico intendesse dire, ha
chiarito tutto Calderoli: finalmente abbiamo "la possibilità di
avere magistrati padani in Padania, mentre adesso vengono per
la maggior parte da fuori". In cosa
un magistrato padano dovrebbe
differenziarsi da un magistrato
calabrese non si capisce bene; o
forse si: ci si aspetta da lui sentenze “padane”; e poco importano
l’imparzialità, l’autonomia, l’indipendenza dei giudici. Ma il
punto fondamentale è un altro.
La Lega considera la scuola della
magistratura e la scuola di Adro
IL FATTO di ENZO
l
Fuochi e fiamme,
tarallucci e vino.
Così si può riassumere
quello che è successo
tra la Lega e il Cavaliere.
La prima ha alzato
la posta. Il secondo
ha ceduto.
D’altra parte,
la Casa delle
libertà senza i
lumbard
dove andrebbe
a finire?
Strettamente personale 2006
come sua proprietà; e dunque
pensa di poterne fare quello che
vuole: esporre i suoi simboli ed
educare bambini e giudici secondo i suoi principi. La domanda è:
se qualcuno, bambino o giudice,
non è d’accordo?
L’istituto di Adro
intitolato a Miglio
e addobbato di
simboli leghisti, la
scuola per
magistrati con
sede a Bergamo: il
Carroccio pensa
che siano cose di
sua proprietà. E ne
fa ciò che vuole
Tamburrano
ncora recentemente,
due anni or sono, la
compravendita di parlamentari era cosa che faceva vergogna ed era negata.
Un altro segno del crollo della
moralità pubblica: oggi è raccontata tranquillamente dai
parlamentari in offerta: perché le trattative non si svolgono tra l'Arco di Giano e l'Arco degli Argentari? Allora, ce
la farà ancora una volta Berlusconi, chiamato Cesare tra
gli amici che lavorano per lui,
per farne un altro Princeps legibus solutus come Cesare?
Io non so se riuscirà ad evitare di incappare in un'aula di
giustizia; ma mi pare che riuscirà – possa io sbagliarmi! – a
restare a Palazzo Chigi. Ormai
sono tanti che lo aiutano so-
A
stenendolo ma anche, e forse
più efficacemente, avversandolo. Non disturbate dunque
Nucara il manovratore. E attendiamo i risultati della sua
campagna. Ma “aspettando
Godot” ci dobbiamo chiedere
che cosa intende fare Fini che
“sostiene il governo”, forse
come la corda sostiene l'impiccato?
Programma
e politica
I FINIANI voteranno i “cinque punti” annunciati: ma il gesto sarà inutile se Berlusconi
non avrà una maggioranza sua.
Se i finiani dovessero essere determinanti la Lega minaccia di
votare contro il governo per
farlo cadere e andando alle elezioni... alleandosi con Berlu-
sconi (che nel frattempo dovrà
trovare il modo per non finire
in Tribunale). Ecco il ruolo salvifico di Nucara che da repubblicano residuale vuole salvare
la monarchia berlusconiana.
L'atteggiamento di Futuro e libertà è incomprensibile. Sostengono che non usciranno
dalla maggioranza se e fin
quando il programma resta
quello originario del Pdl e approvato da loro. Ma il problema
non è programmatico, è politico. È per ragioni e motivi politici che Fini ha rotto con Berlusconi e si è messo in proprio.
Capisco che Fini ha bisogno di
tempo per organizzare il partito in tutto il Paese. Ma in nome
di che cosa, con quali idee, progetti e programmi lo organizza?
L'Italia è un malato che quasi insensibilmente peggiora ogni
giorno. Il personale politico
a Fiat trasferirà la produzione della nuova Panda da una
fabbrica polacca a Pomigliano, cosa che se risolve i
problemi dei lavoratori di Pomigliano ne creerà altri a quelli
polacchi. Nel contempo la Fiat dislocherà da Mirafiori,
portandola in Serbia, una nuova produzione, il che se farà
contenti gli operai serbi, anche quando non dovesse portare
alla disoccupazione di quelli di Mirafiori sicuramente renderà
molto più difficile l'ingresso nel mercato del lavoro di migliaia
di giovani italiani. Il capitale, essendo mobile, non conosce
frontiere né amor di Patria, segue solo il suo interesse. Già
cinque secoli fa Giovanni Botero ammoniva sul “pericolo che
sorge per lo Stato quando la base della proprietà della classe
dominante è costituita da beni mobili che in tempi di
pubbliche calamità si possono portare al sicuro, mentre gli
interessi dei proprietari terrieri sono legati indissolubilmente
alla Patria”. Il capitale se nel Paese in cui è stato accumulato
trova delle difficoltà va altrove. Sul Corriere della Sera
Raffaella Polato ipotizza che se a Marchionne non fossero
date le condizioni che chiede risponderebbe: “Il mondo è
grande”. Ma se il denaro può andarsi a cercare liberamente il
luogo della Terra dove ritiene di esser meglio remunerato, lo
stesso dovrebbero poter fare gli uomini. A meno che non si
voglia sostenere l'aberrante tesi che il denaro ha più diritti
degli uomini. Invece è proprio ciò che accade. Mentre il
capitale evoluisce liberamente per l'universo mondo, agli
spostamenti delle popolazioni, soprattutto dei Paesi cosiddetti
"sottosviluppati", che spesso sono state rese miserabili proprio
dall'irruzione di quel capitale che, con le sue dinamiche, le ha
sottratte alle "economie di sussistenza" su cui avevano vissuto
e a volte prosperato per secoli, vengono posti limiti sempre più
ferrei in attesa di prendere i "migranti" a mitragliate. Sulla
globalizzazione ci sono solo due posizioni coerenti. Quella dei
radicali italiani che sono per una totale libertà di movimento
dei capitali ma anche per una altrettanto totale libertà di
movimento degli uomini. E quella che sta all'estremo opposto,
e che per ora è puramente concettuale, di chi dice no
all'immigrazione ma rinuncia anche ad andare a piazzare le
sue puzzolenti e devastanti fabbriche in Niger, in Nigeria, in
Bangladesh, in Marocco o altrove. Tutto ciò che sta nel mezzo,
sì alla globalizzazione dei capitali, no a quella degli uomini, è
di una violenza inaudita e ripugnante. Eppure sia la destra che
la sinistra sono a favore della globalizzazione. Bill Clinton a un
forum del Wto del 1998 ha dichiarato: “La mondializzazione è
un fatto e non una scelta politica” e Fidel Castro di rincalzo,
nello stesso Forum: “Gridare abbasso la globalizzazione
equivale a gridare abbasso la legge della gravità”. Ed è vero se
al centro del sistema noi mettiamo l'economia: tutto deve
adeguarsi ad essa. Ma sarebbe altrettanto vero se al centro del
sistema mettessimo uno spillo, tutto dovrebbe girare intorno
allo spillo. L'economia non è stata sempre al centro del
sistema. In epoca preindustriale era inglobata nelle altre e
molteplici esigenze umane al punto che era indistinguibile da
esse, e non è un caso che l'economia politica, come scienza, o
presunta tale, sia coeva alla Rivoluzione Industriale. Aver
puntato tutto sull'economia, emarginando ogni altro bisogno
dell'essere umano, si è rivelato un fallimento epocale come
ognuno oggi, con gran ritardo, può vedere. È un Moloch che
pretende sacrifici umani, massacri, alle popolazioni del Terzo
e ora anche del Primo mondo. Io credo che al centro del
sistema vada rimesso l'uomo e l'economia riportata al ruolo
marginale che ha sempre avuto finché abbiamo avuto una
testa per pensare.
Non disturbate
il manovratore
Nucara:
attendiamo
i risultati della
campagna acquisti
Ma cosa vuol fare
Fini che sostiene il
governo, forse come
la corda sostiene
l’impiccato?
Allo spaccio
dei parlamentari
di Giuseppe
di Massimo Fini
dominante è formato in buona
parte di corrotti, affaristi, lobbisti, cinici, immorali, volgari.
Financo la Marcegaglia ha perso il suo aplomb. Politica corrotta, nazione infetta. Lo spettacolo sulla scena pubblica
provoca un duplice effetto:
1) di irritazione (“e che so' fesso
io?”);
2) di rifiuto, violento (i fumogeni) o silenzioso (gli astenuti).
Per fortuna il sistema-Paese, la
nave, se non va, galleggia anco-
ra, sul pelo dell'acqua. L'iniziativa di Fini può (poteva?) essere
un colpo d'ala, ma non all'interno del recinto di Berlusconi
ove Futuro e libertà può solo
starnazzare.
Crisi
delle istituzioni
PENSO alla Prima Repubblica, alla sua decadenza e al grande movimento di rinnovamen-
to: i risultati fanno rimpiangere
quei tempi, quei dirigenti politici, perché anche i peggiori
erano migliori di questi. E si risente in giro il “era meglio
quando era peggio”: e questa
volta è vero.
Le vicende parlamentari possono portare a una gravissima
crisi istituzionale. Cerchiamo
tutti di esserne consapevoli. E
soprattutto le opposizioni, il
cui ruolo è il ricambio. Ma il
centrosinistra invece di unirsi
si divide, fa “documenti” e
gruppi che si lottano alla cieca.
Che cosa offrono al Paese in alternativa a Berlusconi e Bossi?
Quale il programma, quale la
leadership? Forse questi problemi si porranno a breve se
Nucara non gliela fa. Qualora
Napolitano non sciolga le Camere, sono in grado di dare vita
a una nuova maggioranza? Vorrebbero cambiare la legge elettorale: è sacrosanto. Ma non
sanno come.
Anche la Francia vive una crisi
etico-politica e Sarkozy scivola
negli indici di gradimento. Ma
almeno in quei sondaggi salgono i socialisti, che la maggioranza dei francesi vorrebbero
al governo.
Sabato 18 settembre 2010
pagina 23
SECONDO TEMPO
MAIL
Berlusconi e Sarkozy
insieme contro i rom
BOX
A DOMANDA RISPONDO
MA QUALE
FEDERALISMO?
Furio Colombo
7
Berlusconi si è schierato sulle
posizioni di Sarkozy, abbracciando la cacciata dei rom, solo
perchè ha cominciato la sua
personale campagna elettorale, non si sa mai... Se dai suoi
sondaggi 'ad personam' però
risultasse che i rom potrebbero votare per lui, lestamente
cambierebbe proclama e direbbe che siamo stati noi e Sarkozy a fraintenderlo!
aro Furio Colombo,
se un paese immenso come gli
USA si è potuta erigere la
Repubblica costituzionale 'federale'
quasi cento anni prima dell'unità
d'Italia, come si può accettare invece
che il federalismo in Italia passi
come una questione da circoscrivere
nei confini di un singolo paese
europeo? Negli ultimi vent'anni non
mi pare di aver mai potuto
registrare una simile, ovvia
constatazione. Né da parte della
stampa, tanto meno per voce della
classe dirigente: l'argomento è
sempre più usato come una scure
che minaccia buona parte della
cittadinanza, piuttosto che essere
simbolo di giustizia ed eguaglianza.
Diego
C
Lucio O.
Il razzismo cresce
la legalità descresce
Non so come siano i Rom che
Sarkozy non gradisce in Francia
ma conosco quelli che da tanti
anni vivono nella mia città, Rimini. Premetto che quel che
segue non c'entra nulla con il
razzismo e sfido chiunque a dimostrare il contrario.
Il nostro comune ha fornito loro un terreno dove poter sostare con i loro mezzi, un servizio di pullman per accompagnare i loro figli a scuola, assistenza sanitaria e tutti i servizi sociali possibili.
Risultato: hanno devastato il
quartiere che li ospita (vetri
rotti, cartelli stradali divelti, gare di corsa con macchine in
mezzo alla strada, ecc), tanto
che gli altri residenti non esco-
PENSO E SPERO che l’autore
della lettera sappia quante volte ho detto e
ripetuto la stessa cosa, fin dalla prima
legislatura Prodi (1996), quando tutti, a
sinistra, cominciavano a corteggiare la parola
“federalismo”, versione Lega, come una cosa
buona, facile, non costosa. Cercavo di far
notare che nessun paese democratico al
mondo si era mai autofrantumato nel corso
LA VIGNETTA
della sua storia. Se mai tanti Stati diversi si
erano (o erano stati) aggregati formando una
federazione. C’è un unico caso: la
Cecoslovacchia che, poco dopo la caduta del
Muro, si è divisa in due Repubbliche, Ceca e
Slovacchia, ma indipendenti e senza legami.
Quanto agli Usa, come la Germania, sono il
classico Stato federale nato da aggregazioni
storiche accuratamente negoziate nel tempo.
Il progetto leghista nasce dall’idea di
secessione e continua a nascondere, ma non
tanto, la frantumazione del Paese,
l’abbandono del Sud, l’assorbimento di tutte
le risorse (ma non i debiti) al Nord. Se il Paese
si rompe, si realizzerà il vero e unico sogno
della Lega padana, benché il loro presente
“territorio”, la Padania, sia pura invenzione
politica, senza identità culturale, storica o
linguistica, che delimiti confini, identifichi
popoli e trovi una lingua. Se in qualche modo
l’Italia continuerà, lacerata e irrisa, ad essere
un unico Stato, i suoi costi regionali
diventeranno immensi e tanti governi
inadeguati bloccheranno ogni decente
funzionamento centrale. Sarà la morte dei
diritti civili.
Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano
00193 Roma, via Orazio n. 10
[email protected]
morale e culturale che stiamo
lasciando alle future generazioni. Sento la necessità di denunciare le tante nefandezze di
questo governo. Gli ultimi avvenimenti balzati agli onori della cronaca rappresentano il
compendio di tutto lo squallore della classe politica italiana, forte con deboli e deboli
con i forti.
Franca Iurato
Diritto di Replica
no più di casa dopo una certa
ora e le auto della polizia fanno
un giro veloce e se ne vanno
senza fare nulla; non mandano i
loro figli a scuola; rubano nelle
case e nei negozi; mettono i
loro figli sulla strada, sporchi, a
chiedere l'elemosina e a rubare. Cosa che, se venisse fatta da
due genitori italiani, i servizi
sociali gli porterebbero via i figli. Non nascondiamoci dietro
a un dito: è questa la cultura da
rispettare? Io non voto Lega e
non sono certo razzista. Per
me questa gente potrebbe essere tedesca, italiana o svedese, non cambierebbe nulla.
Quello che conta è l'onestà e il
comportamento.
Sonia Toni
Italiani del nord e del sud
ma lo siamo ancora?
Il Vostro giornale assolve il difficile compito di libera informazione in un paese di servi e
"patron". Si fa l'abitudine a
qualsiasi cosa, all'antidemocrazia del berlusconismo e al razzismo secessionista della lega,
al lavoro negato ai nostri ragazzi ed al precariato a vita, alla
corruzione ed alla moralità
dubbia di tanti politici. Una
specie di ottundimento dei
sensi pervade la nazione, i cervelli sono sintonizzati su canali
alternativi alla logica. Non voglio atteggiarmi a moralista,
piuttosto sono preoccupata
per l'eredità di impoverimento
L'articolo pubblicato da 'Il Fatto' il 16 settembre con il titolo
'Coop rosse? No Verdini' cerca
di collegare il Monte dei Paschi
di Siena a situazioni ed a contesti con cui non ha niente a
che fare. Il Gruppo Montepaschi non ha alcuna partecipazione diretta nel capitale della
Società Toscana Edizioni, che
edita 'Il Giornale della Toscana'. Il giornalista Daniele Martini ritiene invece che, attraverso una partecipazione di minoranza nella Edib, che a sua volta
detiene il 15 per cento della
STE, si possa dire che il Monte
dei Paschi di Siena "fa affari con
Verdini". Il che, non solo è falso
ma è un evidente tentativo di
inserire Mps in un contesto negativo e all'interno di episodi di
cronaca che non la riguardano.
Il Gruppo Montepaschi adotterà tutte le azioni di carattere
legale che riterrà necessarie
per tutelare la propria immagine.
Banca Monte dei Paschi di Siena
Il Monte dei Paschi conferma di
avere una partecipazione nella
Ste, società editrice del Giornale
della Toscana di Denis Verdini,
attraverso la Edib di cui è
direttore editoriale Rocco
Girlanda, deputato Pdl umbro in
stretti rapporti con lo stesso
Verdini. Nella Edib la banca
senese ha investito oltre 2
milioni e mezzo di euro. Il
Monte dei Paschi ritiene che
questa somma di fatti non
significhi essere «in affari con
Verdini». E’ ovviamente suo
diritto presentare così la
faccenda, come riteniamo sia
diritto del Fatto Quotidiano
interpretarla diversamente.
Daniele Martini
Diritto di Replica
Preg.mo direttore,
mi corre l’obbligo di precisare
Precisazione
Ieri ho, abbiamo, fatto un
dispettaccio (involontario) a Sergio Staino. Lui,
nella perfetta scissione fra
l’artista (lo stesso Staino)
e la sua creatura (Bobo)
mi spiegava che gli piace
Vendola, e ammira la Bindi
e Bersani, che potrebbero
dare il meglio di se stessi
se si liberassero delle zavorre (che secondo lui sono Veltroni e D’Alema).
Poi mi ha aggiunto: Bobo,
e molti militanti, condividono l’idea che vadano
rottamati i vecchi dirigenti. Noi abbiamo titolato:
“Staino, io sto con Renzi”.
E abbiamo scambiato la
satira per la cronaca.
Lutel
Abbonamenti
Queste sono le forme di abbonamento
previste per il Fatto Quotidiano.
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Il Fatto Quotidiano
IL FATTO di ieri 18 settembre 1931
Su un punto, storici e biografi sono concordi. Hitler non
maturò mai alcuna dipendenza affettiva da una donna.
Tranne che in un caso, quello della violenta, maniacale
passione per la nipote Geli Raubal, bellissima diciottenne
figlia di una sorellastra, accolta per due anni nella sua casa
della Prinzregentenstrasse di Monaco. Una passione ai
limiti con l’incesto, attraversata da perversioni sessuali, da
un’ossessiva gelosia ed esibita in pubblico con singolare
disinvoltura. Tanto più strana in un personaggio introverso,
solitario e fieramente misogino, avvezzo, come ricorda lo
storico Alan Bullock, a considerare le scarse presenze
femminili al suo fianco come “semplici gingilli utili a
fornirgli momenti di distensione”. Totalmente avulsa dagli
schemi caratteriali dell’uomo, la storia con Geli Raubal,
torbida e pur segnata da forti aspetti sentimentali, oltre a
un grande enigma, resta una vicenda clou nella biografia
del Führer, non solo per il tragico epilogo, avvenuto il 18
settembre ’31 col suicidio della giovane, ma per la crisi
devastante, al limite con accessi di follia, prodotta
nell’uomo Hitler. Un trauma al quale, alcuni psicobiografici,
imputeranno addirittura la sua svolta demoniaca.
Giovanna Gabrielli
L’abbonato
del giorno
GRAZIA CARMAGNANI
La prima volta che io e la
mia ragazza ci siamo detti ti
amo è stato proprio il 23
settembre dell'anno
scorso, stringendo fra le
mani la nostra prima copia
del Fatto Quotidiano.
Lei è una vostra abbonata e
io vi compro molto spesso.
Vi mando la foto di quel
giorno:
una
bellissima
gita a
Firenze.
Da dove
tutto è
partito.
Raccontati e manda una foto a:
abbonatodelgiorno@
ilfattoquotidiano.it
alcuni aspetti sul tema trattato
ieri dall’articolo firmato Ferruccio Sansa.
Il processo di stabilizzazione in
corso presso gli uffici della Regione siciliana riguarda esclusivamente il personale che lavora già da anni presso la Regione. È sembrato, quindi, un
atto giusto e doveroso nei confronti di oltre 4.500 dipendenti
procedere alla trasformazione
del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato, per rendere certo
un diritto che non deve dipendere dalla discrezionalità della
politica. L’inquadramento riguarderà il personale delle categorie A e B, le uniche per le
quali la legislazione nazionale
consente la stabilizzazione e
per le quali è richiesto un titolo
non superiore a quello della
scuola dell’obbligo. In altre parole, si tratta di personale che
in atto svolge e continuerà a
svolgere attività caratterizzate
da conoscenze di tipo operativo generale e di tipo ausiliario. Nessun privilegio o escamotage, quindi, o, peggio ancora, selezioni-farsa, come sono state definite. Si tratta di
prove previste dal contratto
collettivo di lavoro, in Sicilia come in qualsiasi altra parte d’Italia.
È indubbio che le aspettative
dei lavoratori siano pienamente condivisibili, al pari delle
aspirazioni dei giovani laureati
siciliani, per i quali il governo
regionale sta lavorando.
Caterina Chinnici
Assessore Autonomie locali e la
Funzione pubblica Regione Siciliana
Ringraziamo l'assessore Chinnici
per la cortese lettera che
peraltro conferma quanto
avevamo scritto. La questione è
complessa, come avevamo
detto: da una parte c'è
l'aspettativa dei precari,
dall'altra quella dei "normali"
disoccupati. Indubbiamente la
"stabilizzazione" di 4.500
persone preclude per anni, forse
decenni, la possibilità di trovare
impiego in un ente come la
Regione Sicilia che così
raggiunge la quota record di
oltre 20 mila dipendenti. Questo
avviene senza un vero e proprio
concorso che valuti titoli e
meriti.
Ferruccio Sansa
IL FATTO QUOTIDIANO
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