MERCATI FINANZIARI E AGENZIE DI RATING

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MERCATI FINANZIARI E AGENZIE DI RATING
UNIVERSITÁ DEGLI STUDI “ROMA TRE”
FACOLTÁ DI ECONOMIA “F.CAFFÉ”
Tesi di Laurea in Economia Monetaria
MERCATI FINANZIARI E AGENZIE DI RATING
RELATORE: CHIAR.MO
PROF. GIOVANNI FERRI
LAUREANDO
VINCENZO D’APICE
CORRELATORE: CHIAR.MA
PROF. GIANCARLO MARTINENGO
ANNO ACCADEMICO 2000-2001
Università degli Studi di Roma Tre
Facoltà di Economia
“Federico Caffè”
Corso di Laurea in Economia e Commercio
Tesi di Laurea in Economia Monetaria
MERCATI FINANZIARI E AGENZIE DI RATING
RELATORE: CHIAR.MO
PROF. GIOVANNI FERRI
LAUREANDO
VINCENZO D’APICE
CORRELATORE: CHIAR.MO
PROF. GIANCARLO MARTINENGO
ANNO ACCADEMICO 2000-2001
Matricola
n° 83023.70
INDICE
INTRODUZIONE
1.
p.1
ORIGINE E TESTIMONIANZA DELL’ACCRESCIUTA IMPORTANZA
DELLE AGENZIE DI RATING
1.I Introduzione
1.II Dibattiti aperti sulle agenzie di rating
1.II.1 Teorie sull’esistenza delle agenzie di rating
1.II.3 Problemi connessi con la nuova proposta di Basilea sui requisiti di capitale
1.III Evoluzione della regolamentazione e agenzie di rating
1.IV Origine delle agenzie di rating
1.V Le performance delle agenzie di rating
1.V.1 le performance tra il 1909 e 1960 nel mercato
1.V.2 Performance nella valutazione delle obbligazioni emesse
dallo stato e dagli enti locali
1.V.3 Le performance delle agenzie di rating tra il 1970 e 1990
2
37
39
AGENZIE DI RATING E CRISI FINANZIARIE
2.I Introduzione
2.II Il comportamento delle agenzie di rating durante le crisi finanziarie
2.III Relazione tra il rating Sovrano e il mercato dei capitali.
2.IV Relazione tra livello del rating del debito emesso dall’ente Sovrano e
crisi finanziarie
2.4.1 Confronto tra indicatori di fragilita’ bancaria
3
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7
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43
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ANALISI DEL SETTORE DEL RATING
3.I Introduzione
3.II Le agenzie di rating: caratteristiche e organizzazione industriale
3.II.1 Il grado di concentrazione dell’offerta di rating
3.III Il rating: funzioni e prezzo
3.IV le performance del settore del rating
3.V La regolamentazione finanziaria USA e la proposta di Basilea
77
79
86
90
94
98
4
ANALISI EMPIRICA
4.I Introduzione
4.II Elaborazione della metodologia
4.III. Variabili descrittive
5
103
104
106
ANALISI ECONOMETRICA MULTIVARIATA
5.I Introduzione
5.II Analisi dei rating sovrani
5.III Analisi dei rating d’impresa
114
115
119
6
Conclusioni
126
BIBLIOGRAFIA
132
Introduzione
L’elevato numero di crisi bancarie che ha colpito i paesi
industrializzati e quelli emergenti nell’ultima decade, e l’alto costo
della loro risoluzione hanno sollecitato un rinnovato interesse sulle
caratteristiche di una nuova disciplina finanziaria. Come risultato, il
sistema finanziario, dei Paesi sviluppati e di quelli emergenti, sta
subendo
una
revisione
della
regolamentazione
finanziaria
caratterizzata da un passaggio da un tradizionale set di prescrizioni e
proibizioni a un set di regole nuove, che hanno l’obiettivo di integrare
le regolamentazioni e i controlli del mercato. A tal fine, tra giugno del
1999 e gennaio 2001, la Banca dei Regolamenti Internazionali, ha
formulato una proposta di regolamentazione del sistema bancario. Il
comitato di Basilea propone l’utilizzo dei rating, emessi dalle agenzie
indipendenti di valutazione del credito (agenzie di rating), per
determinare la ponderazione necessaria alla definizione dei requisiti
minimi di capitale che le banche devono accantonare a fronte di un
prestito (ovvero, ma solo in subordine, l’uso dei ratings prodotti dagli
internal rating model delle banche).
L’accordo di Basilea, nella sua prima formulazione del 1988,
prevedeva che le banche detengano capitale in misura pari almeno
all’8% delle attività ponderate per il rischio. Se, ad esempio, una
banca presta 500 euro ad una impresa privata, alla quale si applica una
ponderazione del 100% (cioè 500*100=500), il capitale da detenere
deve essere pari almeno a 40 euro (500*8%=40). L’entità di tali
1
requisiti minimi di capitale varierà ora in funzione inversa al livello
del rating della controparte.
Questa proposta, attribuisce infatti alle agenzie di rating un ruolo
fondamentale nelle determinazione del livello di patrimonializzazione
del sistema bancario internazionale. L’attività delle agenzie si basa
sull’assegnazione di rating creditizi a Enti Sovrani, banche e imprese.
I rating offrono al mercato finanziario una stima sulla probabilità
d’insolvenza del debitore a scadenza. Quanto più elevato è il giudizio,
tanto minore è tale probabilità, e viceversa. Inoltre, le agenzie
effettuano una continua attività di monitoraggio, che si concretizza
nelle variazioni del livello del rating assegnato, segnalando così agli
investitori la variazione del rischio di default nel tempo. Le
conseguenze dei rating sui mercati finanziari sono principalmente due:
(i) emittenti, di prestiti obbligazionari, con bassi rating, dovranno
pagare un tasso d’interesse più alto, per compensare la maggiore
probabilità di default, rispetto ad emittenti con rating alti; (ii) vista la
disciplina finanziaria statunitense, il livello del rating determina anche
la massa potenziale di sottoscrittori. In particolare, agli investitori
istituzionali è vietato l’acquisto di attività che hanno un rating
inferiore ad una certa soglia o è richiesto un accantonamento
aggiuntivo; queste attività vengono definite come “sotto alla soglia
dell’investimento” o “titoli speculativi”. Quindi se l’emittente riceve
un rating al di sotto della soglia dell’investimento l’offerta di capitale
diminuisce drasticamente. Date le notevoli economie di scala – nel
processo di raccolta d’informazione per l’assegnazione del rating – e
la necessità di una solida reputazione – che richiede tempi lunghi per
essere costruita – l’industria del rating è molto concentrata e le nuove
2
entrate sono molto rare. Vi sono solo tre agenzie di rating che
svolgono un’attività su scala mondiale: Moody’s, S&P e Fitch IBCA.
L’errore nella previsione della crisi asiatica, commesso dalle agenzie,
e il conseguente comportamento prociclico evidenziato da Ferri, Liu e
Stiglitz, unitamene alla proposta del comitato da Basilea hanno fornito
lo spunto teorico per lo sviluppo di questa tesi.
Due interrogativi ci accompagneranno nel corso di questo studio: (i) i
giudizi emessi dalle agenzie, in particolare quelli emessi nei confronti
dei Paesi in via di sviluppo (PVS) e nei periodi di crisi, sono
efficienti? (ii) l’importanza che le agenzie di rating hanno assunto a
livello internazionale è il frutto della loro capacità di raccogliere ed
emettere informazioni efficienti oppure deriva da forze esterne alla
loro attività come, per esempio, la regolamentazione del mercato
finanziario statunitense e la recente proposta del comitato di Basilea?
In particolare, nel primo capitolo, cercheremo di chiarire la logica
economica sottostante l’esistenza e l’espansione delle agenzie di
rating, sottolineando la riduzione dei costi di informazione e
monitoraggio, sulla qualità del debitore, che le agenzie possono
apportare ai mercati finanziari. Analizzeremo quindi la nascita delle
agenzie di rating in USA e come l’evoluzione della regolamentazione
finanziaria statunitense abbia contribuito ad accrescere la loro
importanza. Verrà inoltre dedicato ampio spazio alla proposta del
comitato di Basilea sulla regolamentazione bancaria, illustrando la
prima formulazione del 1988 e la recente modifica la cui stesura
ultima è stata completata nel 2001.
Dopo aver dato un quadro di riferimento teorico-regolamentare al
lettore, nel secondo capitolo, ci concentreremo sulle relazioni esistenti
tra output delle agenzie di rating e andamento dei mercati finanziari,
3
con particolare riferimento alle economie emergenti. Nel dettaglio,
esamineremo il comportamento delle agenzie di rating nella crisi
asiatica e le conseguenze che le loro azioni hanno prodotto sul costo
dell’indebitamento di Sovrani, banche e imprese coinvolte nella crisi.
Vista la particolare importanza che riveste il rating assegnato all’Ente
Sovrano nelle economie emergenti abbiamo voluto, anche, verificare
se esista una relazione tra il mercato finanziario domestico, il mercato
finanziario internazionale e le variazioni dei giudizi sulla probabilità
di default del Sovrano.
Dopo aver appurata l’importanza delle agenzie sui mercati finanziari
internazionali, descriveremo, nel terzo capitolo, le principali
caratteristiche del settore industriale del rating. L’analisi del grado di
concentrazione dell’offerta e del livello dei profitti sono di particolare
interesse per testimoniare l’esistenza di un elevato potere di mercato a
favore di tre sole imprese: Moody’s S&P e Fitch IBCA.
L’esistenza di un elevato potere di mercato da parte delle agenzie di
rating potrebbe, tuttavia, influenzare solo la ripartizione del surplus,
con le agenzie di rating che estraggono rendita ai loro clienti paganti,
cioè a sovrani e imprese. In tal senso, il potere di mercato delle
agenzie di rating avrebbe effetti distributivi, ma non sarebbe fonte di
inefficienze. Vi è, però, il sospetto che, oltre a generare estrazione
della rendita, l’esercizio del potere di mercato conduca le agenzie di
rating a investire meno di quanto socialmente efficiente nella raccolta
ed elaborazione delle informazioni sui debitori. È per questo, che
diviene necessario stabilire se le agenzie di rating investano risorse
adeguate in tali funzioni.
Nei capitoli quarto e quinto vengono esposti i risultati della ricerca
econometrica condotta sulla relazione tra livello di investimento in
4
risorse umane, effettuato da Moody’s, e livello del rating. Esporremo
l’elaborazione di una metodologia che stabilisca quanto le agenzie di
rating investano nella raccolta di informazioni sui debitori e se questo
influisce sul livello del rating di imprese e Sovrani distintamente nei
paesi OCSE e per quelli non OCSE. In questa analisi si terrà anche
debito conto degli indicatori proposti in letteratura che approssimano
la qualità delle informazioni in ciascuno dei paesi considerati.
Analizzando l’indicatore che quantifica l’investimento effettuato su
ciascun debitore da parte di Moody’s, si giungerà ai seguenti
principali risultati. In primo luogo, i risultati suggeriscono che un
aumento dell’investimento in raccolta ed
elaborazione delle
informazioni sui debitori sovrani ne innalza il rating. Dato che, come
si vedrà, questo investimento è (sia pur di poco) inferiore nei paesi
non-OCSE che in quelli OCSE, ne deriva che i sovrani dei paesi meno
sviluppati possono essere danneggiati da una situazione di
sottoinvestimento da parte delle agenzie di rating. Inoltre, i risultati
riferiti ai rating d’impresa sono ancor più suggestivi di quelli sui
rating sovrani. Ne traspare che, in media, il rating di un’impresa che
ricevesse un analista esclusivamente dedicato a essa salirebbe di 7
punti rispetto a quello di un’impresa che fosse seguita da analisti che
disperdono il loro lavoro su miriadi d’imprese. Dunque, i nostri
risultati indicano che, pur essendo, come si vedrà, l’investimento
informativo di Moody’s nei confronti di imprese non-OCSE
mediamente superiore a quanto effettuato per imprese OCSE, la
situazione si caratterizza ancora per sottoinvestimento informativo nei
confronti delle imprese non-OCSE. Quest’ultime, verosimilmente
condizionate da assetti istituzionali sfavorevoli nei propri paesi, non
avrebbero nulla da temere dall’intensificazione dell’impegno di
5
Moody’s nei loro confronti, anzi ne beneficerebbero ampiamente e,
con tutta probabilità, sarebbero disposte a pagare di più per avere più
analisti e, con questo, un rating migliore.
Riconducendo il discorso al problema delle asimmetrie informative tra
emittenti e investitori, che le agenzie di rating sono deputate a
superare, appare essenziale che le agenzie dedichino maggiori risorse
ai rating nei paesi non-OCSE. Ciò sarà tanto più vero nell’immediato
futuro, allorché l’entrata in vigore della nuova normativa di Basilea
legherà anche i requisiti minimi bancari e, dunque, l’offerta di credito,
ai rating che le agenzie esprimono su imprese e sovrani.
6
1.
ORIGINE
E
TESTIMONIANZA
DELL’ACCRESCIUTA
IMPORTANZA DELLE AGENZIE DI RATING
1.I
INTRODUZIONE
In questo primo capitolo si vuole evidenziare l’accresciuta importanza
delle agenzie di rating e i dibattiti sul loro ruolo alla luce della nuova
proposta del Comitato di Basilea sulla regolamentazione bancaria.
Abbiamo voluto iniziare la discussione analizzando la riduzione dei
costi nella raccolta di informazioni sui debitori e di monitoraggio
successivi alla concessione del prestito, che le agenzie apportano ai
mercati finanziari. Abbiamo altresì evidenziato come l’accresciuta
importanza
delle
agenzie
derivi
essenzialmente
dalla
regolamentazione finanziaria americana. In particolare vengono
analizzati gli effetti sui mercati finanziari dell’utilizzo, da parte della
disciplina finanziaria, dei rating per stimare la rischiosità di un’attività
e, inoltre, della costituzione di un’organizzazione “ristretta” come Il
“NRSRO”, che raggruppa le agenzie di rating i cui giudizi possono
essere utilizzati dalla disciplina finanziaria.
La proposta formulata dal comitato di Basilea sulla regolamentazione
del sistema bancario nel giugno del 1999 (e finalizzata nei primi mesi
dell’anno corrente) ha sollevato nuovamente una notevole attenzione
sulle agenzie di rating.
7
Secondo la nuova regolamentazione elaborata dal Comitato, verrà
usato il rating emesso dalle agenzie indipendenti di valutazione del
credito per determinare la ponderazione necessaria alla definizione dei
requisiti minimi di capitale che le banche devono accantonare a fronte
di un prestito. Viene quindi analizzata diffusamente la prima proposta
del comitato, formulata nel 1988, e tutte le revisioni che hanno
preceduto la formulazione dell’ultima proposta, con particolare
riferimento al ruolo dei rating emessi dalle agenzie esterne di
valutazione.
Nel quarto paragrafo si fornisce una breve sintesi della storia delle
agenzie di rating dalla loro nascita in America nel 1909 fino ad oggi.
8
1.II
DIBATTITI APERTI SULLE AGENZIE DI RATING
Le agenzie di rating traggono profitto dall’emissione di giudizi sulla
capacità di rimborso dei soggetti che emettono prestiti obbligazionari.
I giudizi (rating) da loro emessi vengono utilizzati dagli investitori per
stimare il rischio dell’investimento. La reputazione dell’agenzia
assume un ruolo fondamentale in questo tipo di attività perché, vista
l’importanza del giudizio emesso, la storia societaria ne deve attestare
la credibilità e la correttezza. Inoltre, la reputazione è il frutto di tutte
le valutazioni emesse e da ognuna di loro può esserne intaccata.
La reputazione delle maggiori agenzie di rating attualmente è molto
buona e i loro giudizi sono diffusi e utilizzati da analisti e investitori.
Questa credibilità è il frutto di una lunga esperienza nella valutazione
delle obbligazioni iniziata negli Stati Uniti nei primi anni del ‘900.
Due eventi sono di importanza fondamentale per capire la diffusione
delle agenzie e la loro crescente importanza 1 .
Il primo è sicuramente la decisione presa dalla SEC (Securities and
Exchange Commision) nel 1930 di utilizzare i rating nella disciplina
degli intermediari finanziari. In pratica si vietava a questi istituti di
detenere attività che avevano un rating inferiore ad una certa soglia
definita “investment grade”, che identifica titoli a rischiosità medio–
bassa.
Questa situazione sollevò un acceso dibattito negli Stati Uniti negli
anni ’30 che fu spento dalla ripresa economiche della Nazione
successiva alla grande crisi e dall’evidenza che le attività classificate
delle agenzie come “titoli non speculativi”, ovvero con un rating
1
White L. J., (2001), the credit rating industry: an industrial organization analysis,
www1.worldbank.org.
9
superiore alla soglia di “investment grade” difficilmente andavano in
default. Senza dubbio, il dibattito sull’efficacia dei rating per scopi
regolativi era destinato a riaccendersi con il mutare delle condizioni
economiche.
Il secondo evento che ha contribuito all’espansione delle agenzie di
ratung è la costituzione da parte della SEC, nel 1970, di
un’organizzazione d’interesse nazionale formata dalle agenzie di
rating più importanti chiamata “NRSRO” (Nationally Recognized
Statistical Ratings Organizations).
Le conseguenze di questi due eventi sono d’importanza fondamentale
nel funzionamento dei mercati finanziari.
La prima è che il livello del rating, rappresentativo del rischio
dell’investimento, influenza il tasso d’interesse. E’ facile notare come
obbligazioni con bassi rating offrano tassi maggiori per compensare il
maggior rischio.
La seconda è che il livello del rating definisce le attività che gli
intermediari finanziari possono detenere. Una società che riceve un
rating, su una sua emissione obbligazionaria, al di sotto della soglia
dell’investment grade vede ridursi la massa potenziale di sottoscrittori
con delle ripercussioni sul collocamento del prestito, sul prezzo e
quindi sul tasso d’interesse.
La terza è che, data la diffusione dell’uso dei rating sui mercati
finanziari internazionali, ogni società che vuole emettere un prestito
obbligazionario è, di fatto, costretta a richiedere un rating, come fosse
un certificato di solidità. Le richieste si concentreranno soprattutto
verso quelle agenzie che fanno parte della “NRSRO”, sollevando così
non pochi dubbi sulla possibilità di abusi da parte delle agenzie di
rating riconosciute “d’interesse nazionale”.
10
La quarta si riferisce a situazioni di crisi 2 . I recenti eventi asiatici
hanno mostrato come le riduzioni dei livelli di credibilità assegnati
agli emittenti siano avvenuti non solo con ritardo rispetto allo scoppio
della crisi, ma anche in modo eccessivo peggiorando così la situazione
finanziaria di quelle imprese che hanno visto aumentare il costo del
loro indebitamento a seguito della correzione al ribasso del giudizio
emesso dalle agenzie.
Se i giudizi emessi dalle agenzie fossero efficienti dovrebbero
segnalare la variazione del rischio dell’emittente prima dello scoppio
di una crisi e non quando Sovrani, banche e imprese sono già fallite o
hanno gravi difficoltà finanziarie. Proprio nei mercati poco sviluppati
e conosciuti, come nel caso delle economie emergenti, l’investimento
della raccolta di informazioni da parte delle agenzie dovrebbe riuscire
a colmare il vuoto lasciato dallo scarso funzionamento del mercato. Se
la variazione del rating avviene in base a fattori esterni (correzione
prolungata al ribasso del mercato azionario, problemi di liquidità nel
sistema economico, messa in mora di alcune aziende del paese), e non
già da fattori interni (studio preventivo dello sviluppo economico di
un Paese, analisi finanziaria nel medio periodo delle imprese, bilancio
societario) possiamo supporre che da parte delle agenzie di rating ci
sia un basso investimento nella raccolta di informazioni dei paesi
emergenti.
In aggiunta, la diffusione dell’uso dei rating sarà, in prospettiva,
fortemente amplificata dalla nuova regolamentazione di Basilea sui
coefficienti minimi di capitalizzazione bancaria. Questa, infatti,
assegna al livello del rating dei debitori un ruolo centrale nel
2
Ferri, Liu e Stiglitz, (1999), The Procyclical Role of Rating Agencies: Evidence from the East
Asian Crisis, Economic Notes, vol. 28, No. 3, pp. 335-55.
11
determinare l’ammontare del capitale, di cui le banche debbono
disporre a fronte di prestiti nei loro confronti.
1.II.1 TEORIE SULL’ESISTENZA DELLE AGENZIE DI RATING
La funzione svolta dalle agenzie di rating aiuta l’investitore nel
risolvere il problema delle asimmetrie informative presenti sui mercati
finanziari. In primo luogo 1'analisi condotta dall'agenzia si basa su una
massa di informazioni molto più ampia e dettagliata di quella di cui
potrebbe disporre il singolo. Infatti 1'agenzia durante 1'assegnazione
dei rating ha contatti diretti con il management e la realtà operativa
dell'entità in questione, venendo a conoscenza di informazioni
riservate. E’ evidente come nessun singolo investitore potrà effettuare
una valutazione altrettanto completa e precisa. In secondo luogo, il
costo per 1'investitore di un'analisi effettuata in proprio sarebbe
proibitivo;
le
agenzie
specializzate
invece
dispongono
di
un'organizzazione avviata e di risorse umane, tecnologiche e
professionali, per cui sono in grado di ripartire molti costi su un gran
numero di analisi e di operare in condizioni di economicità. Tra
1'altro, il costo di utilizzo del rating è per lo più nullo per il singolo, in
quanto oggi, a differenza del passato, sono gli emittenti stessi che
chiedono di avere la valutazione delle proprie emissioni, pagando
all'agenzia un corrispettivo per ottenere un giudizio che diventa poi di
pubblico dominio. L'esistenza delle agenzie di rating garantisce,
infine, uno sfruttamento più efficiente delle risorse complessive di una
società, perché l'analisi è compiuta una sola volta e da una sola entità
al servizio di tutto il mercato, evitando duplicazioni e sprechi di
12
risorse. Gli emittenti sono disposti a sostenere un costo pur di essere
valutate essenzialmente per due motivi: (i) 1'accesso a un dato
mercato è precluso ai titoli senza rating , (ii) perché sono convinte di
trarre un beneficio dall'assegnazione del rating ai propri titoli in
termini di riduzione del costo dell’indebitamento. A parte i casi in cui
il rating è obbligatorio per legge, sta diventando molto difficile
affacciarsi sui mercati internazionali per reperire fondi senza questo
"certificato di garanzia”.
Due interrogativi ci accompagneranno nel corso di questo studio: (i) i
giudizi emessi dalle agenzie, in particolare quelli emessi nei confronti
dei Paesi in via di sviluppo (PVS) e nei periodi di crisi, sono
efficienti? (ii) L’importanza che le agenzie di rating hanno assunto a
livello internazionale deriva dalla loro capacità di raccogliere ed
emettere informazioni efficienti oppure deriva da forze esterne alla
loro attività come, per esempio la regolamentazione del mercato
finanziario statunitense e se approvata, la recente proposta del
comitato di Basilea?
Le spiegazioni economiche sull’esistenza e sulla diffusione delle
agenzie di rating sono diverse.
Martin Fridson sostiene che l’esistenza delle società di valutazione del
credito sia basata sulla teoria dell’agenzia 3 .
L’agenzia di rating indipendente oltre a valutare l’obbligazione al
momento dell’emissione continua a monitorarla risolvendo un
problema “principale - agente” tra investitori e manager della
compagnia. Senza questo continuo monitoraggio e il conseguente
abbassamento del livello del rating al verificarsi di situazioni che
mettono in pericolo la capacità di rimborso dell’impresa, i manager
3
Fridson M., (1998), Why do Bond Rating Agencies Exist?, Merrill Lynch Extra Credit, pp. 8.
13
potrebbero comportarsi in maniera opportunistica, intraprendendo
azioni troppo rischiose, per esempio, potrebbero investire i fondi dei
sottoscrittori in attività molto rischiose attratti da alti tassi di
rendimento. I rating emessi dalle agenzie possono scoraggiare questi
tipi di comportamenti e aiutare gli investitori a monitorare il
comportamento degli emittenti. Inoltre, viste l’economie di scala e di
scopo presenti nel settore del rating, le agenzie riducono il costo del
processo informativo, essenziale per lo sviluppo di mercati finanziari
efficienti. Fridson riconosce i molti svantaggi di questo sistema, ma
ne mette anche in risalto il basso costo di monitoraggio del
comportamento del debitore.
Partnoy 4 invece ha una visione molto critica dell’esistenza delle
agenzie di rating. Questi sostiene che la loro presenza sul mercato è
influenzata, infatti, in modo sostanziale dal ricorso ai rating da parte
degli
organi
di
vigilanza
del
sistema
finanziario.
Se
la
regolamentazione del mercato statunitense non utilizzasse i rating per
definire quali attività possono essere detenute dagli intermediari
finanziari, le agenzie di rating baserebbero la loro esistenza sulla
capacità di raccogliere informazioni ed emettere giudizi efficaci
nell’individuazione della rischiosità dell’emittente. Invece, vista la
legislazione vigente, le agenzie non vendono solo giudizi ma vendono
anche licenze regolative, nel senso che identificano non solo gli
intermediari che sono conformi alla disciplina, cioè che non
detengono attività con rating inferiori ad una certa soglia, ma
stabiliscono anche come si devono comportare in seguito a variazioni
del giudizio sulla rischiosità dell’emittente.
4
Partnoy F., (1999), The Siskel and Ebert of Financial Markets? Two Thumbs Down for the Credit
Rating Agencies, Washington University Law Quarterly 77, n. 3.
14
1.II.3 PROBLEMI CONNESSI CON LA NUOVA PROPOSTA DI
BASILEA SUI REQUISITI DI CAPITALE
La proposta formulata dal comitato di Basilea 5 sulla regolamentazione
del sistema bancario nel giugno del 1999 (e finalizzata nei primi mesi
dell’anno corrente) ha sollevato nuovamente una notevole attenzione
sulle agenzie di rating.
Secondo la nuova regolamentazione elaborata dal Comitato, verrà
usato il rating emesso dalle agenzie indipendenti di valutazione del
credito per determinare la ponderazione necessaria alla definizione dei
requisiti minimi di capitale che le banche devono accantonare a fronte
di un prestito.
In poche parole, Enti sovrani, banche e imprese che hanno un rating
basso costringeranno gli istituti di credito che emetteranno un prestito
a loro favore ad accantonare una quota maggiore di capitale rispetto ai
prestiti emessi a soggetti con alti rating. Inoltre, la distribuzione dei
rating a livello mondiale non è affatto uniforme, anzi notiamo che la
loro diffusione nei PVS è notevolmente inferiore a quella nei paesi
industrializzati, con la conseguenza che, nella determinazione dei
requisiti
minimi
di
capitale
bancari,
anche
alle
aziende
finanziariamente solide, ma che operano nei PVS, sarà applicato un
ponderazione “forfetaria” del 100%, che si applica a tutti i soggetti
che non hanno rating, invece di una percentuale minore e veritiera
della loro capacità di rimborso. Alla luce di quanto detto le distorsioni
5
Bank for International Settlements, Basel Committee on Banking Supervision, (1999), A New
Capital Adequacy Framework, www.bis.org
15
possono essere di entità notevole, specie ove si consideri che proprio
nei PVS i mercati finanziari sono fragili e poco sviluppati,
accrescendo perciò, per le banche, l’esigenza di maggiori capitali.
1.III EVOLUZIONE
DELLA
REGOLAMENTAZIONE
E
AGENZIE DI RATING
In nessuna altra azienda il capitale riveste un ruolo così importante
come nelle aziende creditizie. E’ stato da tempo accertato come la
crisi di una banca, dovuta proprio ad un livello insufficiente di capitale
sotto forma di riserve, possa trasformarsi in una crisi sistemica
attraverso la diffusione di panico finanziario tra gli operatori 6 .
Per evitare che le corse agli sportelli di una banca, che si trova in crisi
di liquidità, si trasmettano all’intero sistema creditizio e quindi a
quello finanziario di un paese generando una crisi sistemica, le
autorità garantiscono in modo esplicito – attraverso l’assicurazione sui
depositi - le passività degli enti creditizi. Le autorità nazionali e
internazionali, come i governi e il FMI, intervengono inoltre per
evitare il fallimento di istituti creditizi emettendo spesso pacchetti di
salvataggio di grandi dimensioni, garantendo in modo implicito i
risparmiatori dai rischi assunti dalla banca e riducendo l’instabilità del
sistema finanziario.
Questo atteggiamento delle autorità crea però non pochi problemi. In
un mercato come quello del credito, dove le asimmetrie informative si
manifestano con maggiore intensità, le garanzie di salvataggio
generano due problemi: il moral hazard e l’adverse selection.
6
La letteratura definisce questo fenomeno come “run bancario”. Per ulteriori approfondimenti
Pittaluga G.B. , (1998), Economia monetaria, Hoepli.
16
In pratica, le banche sono incentivate ad assumere più rischi in
presenza di una regolamentazione che garantisca loro un aiuto da parte
dello Stato in caso di necessità. Inoltre data l’assicurazione sui
depositi, i depositanti non sono incentivati a scegliere in modo
razionale le banche a cui affidare i propri risparmi e nemmeno a
monitorare il comportamento dell’intermediario dopo la concessione
del deposito. Invece i risparmiatori sono attratti solo da alti tassi
d’interesse che però nascondono una maggiore rischiosità dell’attività
bancaria.
E’ impossibile negare l’importanza di un sistema di assicurazione sui
depositi per il buon funzionamento del sistema finanziario e per la sua
stabilità, vogliamo sottolineare però che la regolamentazione deve
essere consapevole di questi problemi e deve imporre dei limiti
minimi al capitale bancario che da una parte assicurino una gestione
oculata del rischio e dall’altra non siano troppo restrittivi per non
ridurre le potenzialità della banca di concedere prestiti e favorire così
lo sviluppo del paese. Difatti un sistema bancario ben capitalizzato è
capace di offrire credito alle imprese e finanziare opportunità
d’investimento che stimolino la crescita e l’occupazione, due obiettivi
primari della politica economica di un paese.
Il primo tentativo di emanare una regolamentazione a livello
internazionale è stato quello del Comitato di Basilea, che si occupa di
promuovere la cooperazione tra banche centrali e altri agenti al fine di
perseguire la stabilità monetaria e fiscale. Nel luglio 1988, il Comitato
ha proposto l’utilizzo di un sistema di requisiti di capitali uniformi per
17
le banche attive a livello internazionale 7 , ratificato finora da 140
paesi 8 (tavola1).
In breve, i requisiti patrimoniali delle banche sono determinati da tre
elementi:
• il capitale di vigilanza, ossia le poste destinate a difendere le
banca dall’eventualità di perdite sui prestiti. L’accordo prevede
anche la divisione del capitale di vigilanza in due blocchi: Tier
1 (patrimonio di base) e Tier 2 (patrimonio supplementare). Il
primo blocco include il capitale sociale, gli utili non distribuiti e
le riserve palesi, mentre il secondo, che comunque non può
essere superiore al 50% del Tier 1, è formato dalle riserve
occulte, dal debito subordinato, dai fondi rischi e dagli
strumenti ibridi di capitale e di debito.
• Il rischio, attraverso la definizione di una serie di ponderazioni
relative al rischio di credito della controparte. Il rischio delle
varie esposizioni creditizie (comprese quelle fuori bilancio)
viene determinato con delle precise ponderazioni: 0% per le
attività considerate non rischiose, 20% per le attività a rischio
minimo, 50% per le attività a medio rischio, 100% per le attività
molto rischiose.
• Il rapporto minimo tra il capitale e l’attivo ponderato per il
rischio. L’accordo prevede che le banche detengano capitale in
misura pari almeno all’8% delle attività ponderate per il rischio.
Se, per esempio, un banca presta 500 euro a un’impresa privata
7
Basle Committee on Banking Supervision, (1988), International Convergence of Capital
Measurement and Capital Standards, www.bis.org. Per una versione in italiano dell’Accordo, cfr.
Banca d’Italia, Accordo Internazionale sulla valutazione del patrimonio e sui coefficienti
patrimoniali minimi, Bollettino Economico, n°11, ottobre 1988.
8
Banca d'Italia, (1988), Accordo Internazionale sulla valutazione del patrimonio e sui coefficienti
patrimoniali minimi, Bollettino Economico, Numero 11, , pp. 29
18
Tavola 1: Requisiti di capitale bancario proposti dal Comitato di Basilea nel
1988
PONDERAZIONI
DI Attività “in bilancio”
Attività fuori bilancio
RISCHIO
Contante
e
valori
assimilati; Impieghi analoghi all’erogazione
Crediti verso banche centrali dei di credito con scadenza inferiore
0%
paesi OCSE; Titoli di Stato ad 1 anno
emessi da Governi dei paesi
OCSE.
Crediti verso banche multilaterali Impegni
di
firma
legati
ad
di sviluppo e crediti garantiti da operazioni commerciali (crediti
tali istituzioni o da titoli emessi documentari con garanzie reali)
20%
dalle medesime; Titoli emessi da
enti pubblici statunitensi
Mutui integralmente assistiti da Facilitazioni
garanzie ipotecaria su immobili all’emissione
50%
in
di
appoggio
titoli;
altri
residenziali che sono – o saranno- impegni all’erogazione di credito
occupati dal mutuatario oppure con scadenza superiore ad un
che sono locati
anno
Crediti verso imprese private; Sostituti
diretti
del
credito
Partecipazioni in imprese private; (fideiussioni e accettazioni);
100%
Crediti verso banche e Governi Cessioni di attività prosolvendo,
dei paesi non OCSE
con rischio di credito a carico
della banca
alla quale si applica una ponderazione del 100% (cioè 500*100%=
500) il capitale da detenere deve essere pari almeno a 40 euro
(500*8%= 40).
Le critiche di maggior rilievo mosse a questa prima versione
dell’accordo sono tre. 9 La prima è che la diversità del merito creditizio
all’interno delle varie categorie non era considerata adeguatamente.
Sembra necessario un maggiore numero di categorie per identificare
9
C. Zazzara, (ottobre 1999), Il ruolo del capitale nella banche e la sua regolamentazione:
dall’accordo di Basilea del 1988 ad oggi, www.aifirm.com
19
meglio la rischiosità dei vari prestiti bancari, data l’elevata varietà di
rischio di quest’ultimi. La seconda riguarda la scadenza (maturity)
dell’investimento. I prestiti a breve termine e quelli a lungo termine
venivano messi sullo stesso piano, non considerando invece la durata
del prestito come fattore di rischio. Il terzo riguarda l’irrilevanza
attribuita ai benefici derivanti dalla diversificazione di portafoglio in
termini di riduzione del rischio.
L’inadeguata specificazione del rischio poteva inoltre generare
fenomeni di arbitraggio detti Risk Capital Arbitrage (RCA) che si
manifestano da una parte sotto forma di trasformazione di attività
sopra la linea in attività fuori bilancio, che richiedono minor capitale,
senza eliminare o ridurre però il rischio di credito, con operazioni di
secutitization e l’uso di credit derivatives; dall’altra attraverso la
vendita delle attività migliori, cioè meno rischiose, che richiedono un
elevato ammontare di capitale di vigilanza rapportato al rischio e
l’acquisto di attività più rischiose che richiedono un minor capitale di
vigilanza in rapporto al rischio (fenomeno del “cherry picking”).
Come conseguenza di questi comportamenti opportunistici, gli
intermediari finanziari potrebbero trasmettere al mercato delle
informazioni distorte sul loro reale stato di salute e aumentando la
rischiosità del sistema bancario.
Ciononostante la regolamentazione introdotta nel 1988 dal Comitato
di Basilea ha contribuito a rafforzare il livello di patrimonializzazione
del sistema bancario internazionale anche se non è riuscito a creare un
“level playing field” cioè un campo sul quale le banche possano
competere in modo uniforme senza disparità. Alla luce del recente
processo di globalizzazione e della conseguente liberalizzazione dei
mercati finanziari nazionali ci sembra un obiettivo di primaria
20
importanza che deve essere ripreso con strumenti più efficaci da parte
del Comitato nelle prossime proposte.
Tavola 2: Le nuove ponderazioni di rischio legate ai ratings delle agenzie
specializzate, proposte dal Comitato di Basilea nel 1999.
ESPOSIZIONI
PONDERAZIONI DI RISCHIO
Moody’s
da Aaa a da A1 a A3
da Baa1 a da Ba1 a Inferiore a B3 Senza
Aa3
Baa3
Standard & Poor’s
Rating
B3
da AAA a Da A+ a da BBB+ a da BB+ a Inferiore
AA-
A-
Conversione numerica da 100 a 85 Da 80 a 70
a Senza
BBB-
B-
B-
da 65 a 55
da 50 a 25
Inferiore a 25 Senza
dei rating
Rating
rating
Paesi Sovrani
0%
20%
50%
100%
150%
100%
Banche (opzione1)
20%
50%
100%
100%
150%
100%
Banche (opzione2)
20%
50%
50%
100%
150%
50%
Imprese Private
20%
100%
100%
100%
150%
100%
20%
50%
100%
150%
Deduzione del Capitale
Operazioni
Securitization
di
Opzione 1:Ponderazione di rischio basate su quelle dei paesi sovrani nei quali la
banca opera.
Opzione 2: Ponderazioni di rischio basate sulla valutazione della singola banca
Fonte: Basel Committee on Banking Supervision, Op. cit., pp. 31.
Inoltre lo sviluppo di pratiche per ridurre la quota d’accantonamento
imposta dall’accordo ha creato disparità tra le banche che, avendo
risorse finanziarie, gestionali e manageriali diverse, sono riuscite o
meno ad aggirare le regole dell’accordo.
Le nuove problematiche che le banche hanno dovuto affrontare,
inserite in un processo di crescenti integrazione dei mercati finanziari,
21
hanno spinto il comitato di Basilea a formulare una nuova proposta
per la riforma del sistema dei requisiti patrimoniali precedentemente
definiti. La proposta, formulata nel giugno del 1999, prevede tre fasi
successive
per
modificare
la
regola
dell’8%
come
quota
d’accantonamento di capitale bancario, a fronte di un prestito, per la
copertura del rischio d’insolvenza. In particolare, la prima fase
prevede l’applicazione di un modello standardizzato che utilizza i
livelli di rating emessi dalle agenzie di valutazione del credito come
tra i rischi di default delle attività creditizie.
E’ possibile convertire i valori alfanumerici dei rating emessi dalle
agenzie di valutazione specializzate in valori numerici per avere un
riferimento più immediato (tavola3).
Gli obiettivi del nuovo sistema 10 sono principalmente:
1. identificare in modo migliore la relazione tra capitale e i rischi
reali dell’attività creditizia;
2. identificare tutti gli sviluppi nelle misurazioni e gestioni del
rischio bancario.
Questa nuova proposta poggia su tre pilastri:
1. requisiti patrimoniali minimi, al fine di dare concretezza alle
regole standard definite nell’Accordo originario. Obiettivo di
questo pilastro è avere un sistema di gestione del rischio di
credito “risk sensitive”, cioè sensibile al rischio. Il comitato ha
seguito tre approcci per la definizione dei requisiti patrimoniali
minimi:
• una versione modificata dell’approccio esistente;
• utilizzo dei sistemi interni di credit ratings delle banche;
•
10
l’uso dei modelli interni per il rischio di credito.
Basel Committee on Banking Supervision, (1999), op. cit.
22
Al fine di ottenere un legame più stretto tra i requisiti
patrimoniali e rischi dell’attività bancaria, il Comitato ha
proposto alcune modifiche al sistema definito nel 1988, che si
concretizzano nell’introduzione di una quinta classe per
esposizioni altamente rischiose con ponderazione del 150%.
Tavola 3: Conversione numerica dei rating emessi da Moody’s e S&P
MOODY’S
S&P
EQUIVALENTE NUMERICO
Aaa
AAA
100
Aa1
AA+
95
Aa2
AA
90
Aa3
AA-
85
A1
A+
80
A2
A
75
A3
A-
70
Baa1
BBB+
65
Baa2
BBB
60
Baa3
BBB-
55
Ba1
BB+
50
Ba2
BB
45
Ba3
BB-
40
B1
B+
35
B2
B
30
B3
B-
25
Caa1
da CCC+ a CCC-
20
Caa2
CC
15
Caa3
C
10
Caa
D
5
Fonte: Ferri, Liu e Majnoni: “The role of rating agency assessments in less developed countries:
impact of the proposed Basel guidelines”, Journal of Banking & Finance, Vol. 25, #1, gennaio
2001.
Sono proposte inoltre specifiche ponderazioni, che fanno
riferimento ai ratings esterni di agenzie specializzate nella
valutazione del credito, per le esposizioni bancarie nei confronti
23
dei Paesi sovrani, banche, compagnie assicurative e per le
operazioni
di
securitization
di
attività
del
portafoglio
immobilizzato. L’obiettivo di questo approccio è di favorire le
attività ad alta qualità con una riduzione del capitale da
accantonare e aumentare i requisiti patrimoniali per le attività di
bassa qualità, attraverso l’uso dei rating come indicatori della
rischiosità dell’attività. Il Comitato sta anche sviluppando un
approccio alla definizione dei requisiti patrimoniali basato sui
sistemi di ratings interni alle banche (secondo punto di questo
pilastro), che possono essere utilizzati da quelle banche più
sofisticate previa approvazione degli organi di vigilanza. Per
quanto riguarda il terzo punto di questo pilastro, il comitato
incoraggia l’uso e la continua sperimentazione dei suddetti
modelli.
2. attività di supervisione sull’adeguatezza del capitale delle
banche e sul relativo processo interno di valutazione del
capitale. L’obiettivo di questo pilastro è mettere in linea il
capitale della banca con il profilo di rischio complessivo. A tal
fine il Comitato incoraggia i paesi ad attuare attività di
supervisione continua e interventi preventivi nel caso in cui il
capitale non fornisca la giusta protezione contro il rischio
assunto dalla banca;
3. efficace utilizzo della disciplina di mercato quale strumento per
rafforzare la trasparenza e incoraggiare pratiche bancarie sicure.
Una disciplina efficiente consente al mercato di produrre
informazioni affidabili e tempestive che permettono ai
partecipanti di effettuare fondate valutazioni dei rischi assunti.
24
Le critiche sulle quali è opportuno soffermarsi sono quelle che si
riferiscono alla definizione delle categorie di rischio e all’utilizzo dei
giudizi esterni emessi dalle agenzie indipendenti di valutazione del
credito per determinare la rischiosità dell’emittente e la relativa quota
di capitale da accantonare.
Altman e Saunders 11 analizzano in modo specifico l’impatto della
proposta di riforma del Comitato di Basilea sul sistema bancario
internazionale.
Secondo gli autori vi sono due errori sostanziali nella proposta di
riforma.
Il primo riguarda la lentezza con cui le agenzie di rating variano i loro
giudizi, adattandoli alle reali condizioni di mercato degli emittenti.
Questo potrebbe causare una lentezza delle riserve di capitale ad
adeguarsi alla effettiva rischiosità nei periodi di crisi e creare una
situazione di overshooting, aumentando le riserve di capitale quando
la crisi è gia in corso.
E’ stato più volte sottolineato, da economisti e dirigenti delle agenzie
di rating, come quest’ultime siano state colte impreparate dalla crisi
asiatica e abbiano variato il giudizio su Sovrani, banche e imprese
asiatiche parecchi mesi dopo lo scoppio della crisi 12 .
Se il ruolo delle agenzie di rating deve essere quello di dare
tempestivamente
informazioni
all’investitore
sulla
rischiosità
dell’emittente, le recenti crisi finanziarie hanno sollevato molti dubbi
sulla capacità delle agenzie di svolgere in modo efficiente questo
ruolo.
11
Altman E.I., Saunders A., (2001), An Analysis and Critique of the BIS Proposal on Capital
Adequacy and Ratings,” Journal of Banking & Finance, Vol. 25.
12
Fitch IBCA: Credit agency accepts criticisms over Asia,
14 gennaio 1998,
http://www.stern.nyu.edu/globalmacro/
25
Il secondo problema riguarda la varietà di rischio delle imprese.
Tre fasce di rischio, da “AAA” a “AA-“ l’accantonamento è del 20%;
da “A+” a “B-“ è del 100%; inferiore a “B-“ è del 150%; più una
fascia per le imprese che non hanno rating, sembrano essere
insufficienti a cogliere con precisione la reale rischiosità di
un’impresa o di una banca. Fasce troppo ampie potrebbero favorire
imprese di bassa qualità e sfavorire imprese di alta qualità
Gli autori hanno proposto di modificare lo schema originario di
Basilea con lo schema di ponderazione esposto nella seguente tavola
4:
Tavola 4: Ponderazione di rischio alternativa proposta da Altman e
Saunders
ESPOSIZIONI PONDERAZIONI DI RISCHIO
Moody’s
Da Aaa fino Da
a Aa3
fino
Aa3 Da Ba1 a Inferi Senza
a B3
Baa3
Standard
Poor’s
e Da
AAA Da
fino a AA-
fino
B3
AA- Da BB+ a Inferi Senza
a B-
BBBConversione
ore a rating
ore a rating
B-
Da 100 a 85 Da 85 a 55 Da 50 a Inferi Senza
numerica
25
ore
rating
25
Imprese Private 10%
30%
100%
150% 100%
La maggiore modifica proposta è stata la divisione della categoria che
va da A+ fino a B- in due categorie separate per cogliere la differenza
tra investimenti speculativi e non speculativi, identificati dalla soglia
26
dell’”investment grade” (superiori a 55 nella conversione numerica).
Come accennato in precedenza, la regolamentazione del sistema
finanziario vieta agli istituti creditizi di detenere attività con un rating
inferiore a BBB-, (cioè inferiore a 55) 13 .
Dopo aver condotto uno studio sui default delle imprese americane tra
il 1981 e il 1999, gli autori concludono che un accantonamento del
20% per i prestiti emessi a società che appartengono alla prima
categoria sembra eccessivo, visto che queste hanno una percentuale di
default prossima allo zero.
Gli autori inoltre hanno osservato che il rapporto delle perdite inattese
tra gli investimenti non speculativi (prima e seconda fascia delle
schema proposto) e quelli speculativi (terza fascia delle schema
proposto) è pari circa a 3. Quindi, hanno suggerito un rapporto di
ponderazione del 30% contro il 100% proposto dal Comitato per la
seconda fascia.
Nella proposta del Comitato di Basilea, formulata nel gennaio 2001 14 ,
l’approccio standardizzato è stato modificato come riportato tavola 5.
La nuova proposta prevede un modifica della seconda fase di
transizione, prima dell’adozione del modello definitivo. Durante la
seconda fase viene data la possibilità di scegliere tra due opzioni
basate sul rating interno (IRB); la prima chiamata “approccio base “,
l’altra chiamata “approccio avanzato”.
La prima alternativa prevede la costruzione di un database interno alla
banca basato sulle probabilità di default delle attività bancarie in
relazione all’esperienza storica della banca stessa. Tale probabilità di
13
White J.L., (2001), op. cit.
Dale R.S., Thomas S.H., (1991), The Regulatory Use of Credit Ratings in International Financial
Markets, Journal of International Securities Markets.
14
Basel Committee on Banking Supervision, (2001), A Proposal for a New Basel Capital Accord,
BIS, www.bis.org.
27
default viene moltiplicata per un fattore di perdita standard (LGD) e
per un fattore indicativo della maturity (M); entrambi i fattori vengono
stabiliti dal comitato di Basilea.
Tavola 5: Ponderazione di rischio proposta dal Comitato di Basilea nel
gennaio 2001
ESPOSIZIONI PONDERAZIONI DI RISCHIO
Moody’s
Da Aaa fino Da A1 fino Da
a A3
a A3
Inferior Senza
Baa1 a e a Ba3 rating
Ba3
Standard
Poor’s
e Da
AAA Da A+ fino Da
fino a AA-
a A-
Inferior Senza
BBB+ a e a BB- rating
BB-
Conversione
Da 100 a 85 Da 80 a 70 Da 65 a Inferior Senza
numerica
Imprese Private 20%
50%
40
e a 40
rating
100%
150%
100%
La principale differenza tra l’approccio base e quello avanzato sta
nella determinazione interna da parte della banca dei fattori LGD e M.
Nella nuova proposta la ponderazione di rischio della prima categoria
è rimasta del 20% e, quindi, suscettibile delle critiche fatte in
precedenza.
Inoltre, non vengono stabilite due categorie che separino esattamente
le attività speculative da quelle non speculative, infatti la terza classe
include imprese con rating, convertito in valore numerico, che va da
65 a 40, quando invece la soglia dell’investment grade è a livello
numerico di 55. Questo implica che viene definito uno stesso livello di
28
ponderazione tra attività non speculative, che quindi possono essere
detenute da intermediari finanziari, e quelle invece definite come
speculative che non possono essere detenute da intermediari
finanziari. Sempre sulla base dello studio fatto dagli autori sui casi
d’insolvenza delle imprese americane, emerge che la probabilità di
default delle imprese appartenenti alla seconda categoria è di 13 volte
inferiore a quella delle imprese appartenenti alla terza categoria. Di
conseguenza, il peso relativo attribuito dal modello standardizzato
(50% contro 100% della classe successiva) sembra sottostimare il
rischio reale delle imprese appartenenti alla terza categoria. Dallo
studio emerge anche che la probabilità di default della quarta classe è
16 volte superiore a quella della terza classe. Nuovamente, la
ponderazione sembra sottostimare il rischio reale delle imprese che
appartengono alla quarta classe. Difatti, il rapporto di default tra
queste due classi assegnato dal comitato è solo di 1,5 volte.
Anche da questa analisi appare evidente che il modello, se venisse
così applicato, favorirebbe le attività a bassa qualità richiedendo un
accantonamento di capitale minore in relazione al rischio effettivo di
default e sfavorirebbe quelle ad alta qualità, richiedendo un
accantonamento di capitale eccessivo rispetto al rischio effettivo delle
attività. Questa finalità è in netto contrasto con gli obiettivi teorici
del Comitato di Basilea.
Inoltre, visto il valore legale attribuito ai rating emessi dalle agenzie di
valutazione del credito è necessaria una attenta regolamentazione per
evitare abusi da parte delle agenzie stesse.
29
1.IV ORIGINE DELLE AGENZIE DI RATING
Le agenzie di rating sostengono che la loro valutazione (rating) dei
prestiti obbligazionari in circolazione fornisce all’investitore un
indicatore sulla capacità / incapacità di rispettare, da parte del
debitore, i termini del contratto obbligazionario. Il giudizio, che indica
la probabilità di rimborso del prestito e degli interessi, può anche
stimare, qualora il mutuatario fallisca, quando e quanti soldi potrà
riavere il creditore 15 .
Oggi i rating sono molto usati da investitori, analisti e intermediari
finanziari ma, quando nacquero i primi mercati obbligazionari in
Inghilterra e Germania nel 1800, la situazione era ben diversa. I rating
non esistevano e non si avvertiva neanche il bisogno di un tale tipo di
strumento perché le obbligazioni erano emesse da enti pubblici o
Sovrani la cui reputazione, e quindi la capacità di restituzione del
debito, era pressoché nota.
Le agenzie di rating nascono in America nel 1909, circa un secolo
dopo la nascita del mercato obbligazionario nazionale. La situazione
economica americana era sostanzialmente differente da quella
europea. Lo sviluppo Usa nel 1800 era stato trainato dalle compagnie
ferroviarie, che avevano bisogno di una quantità elevata di capitale per
effettuare i collegamenti necessari ad una nazione vastissima. Tale
fermento economico stimolò da una parte lo Stato alla concessione di
finanziamenti per la costituzione di compagnie pubbliche, dall’altra
favorì la nascita di una nutrita schiera di investitori, sparsi su tutto il
territorio nazionale, disposti a finanziare questi progetti 16
15
www.moodys.com
30
Già nel 1850 il mercato delle obbligazioni ferroviarie americano era
molto sviluppato e vi partecipavano soggetti la cui reputazione non era
pubblicamente nota. Gli investitori, prima della comparsa delle
agenzie di rating, raccoglievano informazioni sugli emittenti
attraverso tre canali la cui storia è strettamente collegata con la nascite
delle agenzie stesse.
(1) Le credit reporting agencies. Prima dello sviluppo dei mercati
finanziari era in uso tra creditore e debitore, in senso lato, la cosiddetta
“lettera di raccomandazione”. Queste lettere venivano inviate tra
commercianti che si trovavano a trattare con gli stessi debitori per
testimoniarne la loro correttezza. Questo mezzo per diffondere
informazioni venne utilizzato fino al 1830 quando l’espansione del
mercato americano favorì la nascita della agenzie di reporting del
credito. Nel 1841, Lewis Tappan, fondò un’agenzia mercantile
specializzata nella raccolta e nella distribuzione di giudizi di
solvibilità sulle imprese con intense attività commerciali. Tale agenzia
nel 1859 diede vita alla R.G. Dun Company, tra i cui soci spiccavano
commercianti
di
seta,
importatori,
esportatori,
banche
ed
assicurazioni.
Nel 1847 John Bradstreet fondò a Cincinnati una compagnia simile e,
nel 1933, la Dun e la Bradstreet si unirono nell’omonima compagnia
di valutazione del credito che nel 1966 acquisterà Moody’s.
(2) stampa finanziaria specializzata. “Il giornale delle ferrovie
americane”, nato nel 1832, fu il primo periodico a pubblicare
sistematicamente
informazioni
finanziarie
riguardanti
attività,
passività, utili e assetti proprietari riguardanti le società ferroviarie.
16
Sylla R., (2001), A Historical Primer on the Business of Credit Ratings, Department of
Economics Stern School of Business, www1.worldbank.org.
31
Dopo la guerra civile Henry Varnum Poor (fondatore del giornale),
insieme a suo figlio, iniziò a pubblicare “il manuale delle ferrovie
americane”, dove era possibile trovare le statistiche economiche ed
operative annuali di molte compagnie ferroviarie americane. Dopo la
morte di Poor nel 1905, prendendo spunto dalla nascita della
Moody’s, il figlio si dedicò esclusivamente alla valutazione delle
obbligazioni emesse dalle compagnie ferroviarie. In seguito si unì con
la Standard Statistics, un’altra compagnia di informazione finanziaria,
formando la “Standard & Poor’s”, ancora oggi una delle più grandi
agenzie di rating.
(3) le banche d’investimento. Tali istituti di credito giocarono un ruolo
fondamentale nello sviluppo del marcato obbligazionario americano
favorendo la circolazione delle obbligazioni attraverso la diretta
sottoscrizione e distribuzione dei prestiti emessi. Le banche
d’investimento affiancavano le aziende che volevano accedere al
mercato internazionale dei capitali dove la reputazione della banca
collocante era di fondamentale importanza. Aziende nate a New York
come la J.P. Morgan avevano filiali a Londra e Parigi dove si erano
formati i mercati obbligazionari europei più importanti. Seligman
Brothers e Goldman Sachs hanno storia analoga. Queste aziende
possedevano delle informazioni riservate sullo stato di salute delle
aziende che emettevano i prestiti e potevano quindi avere un giudizio
più accurato del grado di solvibilità dell’emittente.
La differenza sostanziale di informazioni che potevano reperire queste
banche rispetto ai semplici investitori stimolò un accesissimo dibattito
che portò alla costituzione nel 1930 della SEC (Securities and
Exchange Commission), organo con il compito di promuovere la
32
pubblicazione di informazioni finanziarie rilevanti per gli investitori
da parte delle aziende che partecipavano ai mercati finanziari.
John Moody racchiuse in una sola entità questi tre canali informativi e
costituì la prima agenzia di rating del mondo nel 1909.
La logica storica sottostante l’esistenza delle agenzie di rating è
strettamente connessa con un problema basilare della finanza: come
fanno gli investitori a determinare la capacità di rimborso del debitore
e monitorarne, dopo la concessione del prestito, il comportamento?
Mutuatari specializzati, come le istituzioni finanziarie (banche, sim,
fondi pensione, compagnie assicurative) potrebbero essere capaci di
produrre le informazioni riservate per stimare la capacità di rimborso
del debitore; ma mutuatari non specializzati come i risparmiatori in
genere potrebbero aver bisogno di aiuto nel produrre e reperire le
informazioni necessarie per le decisioni d’investimento; inoltre gli
specialisti potrebbero comunque aver bisogno di aiuto quando
investono in mercati poco conosciuti.Oltre a ciò, per le obbligazioni
dove ci sono centinaia o migliaia di sottoscrittori, le agenzie di rating
che producono informazioni di natura “pubblica” eliminano il
problema della duplicazione delle informazioni riducendo il costo che
ogni obbligazionista dovrebbe sopportare, con effetti positivi sulla
redditività dell’investimento.
1.V LE PERFORMANCE DELLE AGENZIE DI RATING
1.V.1 LE PERFORMANCE TRA IL 1909 E 1960 NEL MERCATO
OBBLIGAZIONARIO AMERICANO.
Lo studio sicuramente più completo che descrive il comportamento
delle agenzie di rating nel primo periodo della loro storia è quello
33
condotto da W. Braddock Hickman 17 sulle emissioni obbligazionarie
di società pubbliche, industriali e ferroviarie tra il 1900 e il 1943.
L’aspetto che più ci interessa di questo studio è l’analisi di tre fonti
differenti di ratings come misura della qualità dell’emittente a
disposizione degli investitori.
La prima è quella emessa dalle agenzie di rating come Moody’s, S&P
e Fitch.
La seconda è il rating implicito nella lista legale d’investimento delle
banche di risparmio adottate dalle autorità di vigilanza del sistema
finanziario negli stati di Maine, Massachusetts e New York.
La terza è data da un rating di mercato calcolato come differenza di
rendimento rispetto ad un’obbligazione base con la stessa scadenza.
Hickman sostiene che i rating prodotti dalle tre fonti, si sono
dimostrati efficienti, cioè hanno stimato bene la probabilità di default
delle emissioni e hanno ben identificato il trade-off tra rischio e
rendimento. Questa sostanziale similitudine di risultati per i tre diversi
metodi di valutazione è da attribuire al fatto che i procedimenti si
basavano sulle stesse informazioni e quindi non potevano produrre
risultati molto differenti.
Hickman individua anche delle differenze, in particolare tra il rating
emesso dal mercato e gli altri due. Infatti il rating di mercato è molto
meno stabile degli altri, nel senso che la percentuale di imprese che
nel periodo analizzato non ha avuto variazioni di rating di mercato è
molto più bassa della percentuale calcolala con gli altri due tipi di
rating.
17
Lo studio è stato condotto da un team di economisti presso il centro studi del NBER sotto la
leadership di W. Braddock Hickman, i risultati sono stati pubblicati in tre volumi: The Volume of
Corporate Bond Financing since 1900, (1953), Corporate Bond Quality and Investor Experience,
(1958), e Statistical Measures of Corporate Bond Financing since 1900, (1960), pubblicati da
Princeton University Press per NBER.
34
Data la sua maggiore sensibilità nel breve periodo, il rating di mercato
sembra cogliere meglio le variazioni delle situazioni economiche delle
imprese rispetto agli altri due tipi di rating, infatti sulla base di un
periodo di 4 anni la percentuale di default di aziende che hanno
ricevuto un alto rating di mercato è minore rispetto alla percentuale di
default delle aziende che hanno ottenuto un alto rating attraverso gli
altri due metodi. La situazione cambia nel lungo periodo, infatti i
default sono maggiori per i debitori che hanno ricevuto un alto rating
dal mercato piuttosto che i debitori che lo ricevuto dagli altri due
metodi.
La spiegazione di questo risultato è che l’eccessiva sensibilità del
rating di mercato, che spesso diventa instabilità, porta a valutazioni
eccessivamente alte nei momenti di ottimismo ed eccessivamente
basse nei momenti di pessimismo.
Hickman sottolineò anche che le valutazioni delle agenzie di rating
sono strettamente influenzate dall’andamento del ciclo economico del
momento. Difatti troviamo un miglioramento delle valutazioni sei
volte su sei cicli economici espansivi e una riduzione delle valutazioni
cinque volte su sei cicli economici recessivi. Secondo l’autore questo
comportamento era la conseguenza della regolamentazione finanziaria
adottata in America. Difatti, le banche potevano acquistare
obbligazioni che avevano un rating compreso nelle prime quattro
classi. Nella valutazione complessiva del valore della banca queste
attività venivano valutate al valore di bilancio mentre le attività con
bassi rating venivano valutate al prezzo di mercato e le perdite capitali
(date dalla differenza tra il valore di bilancio e il valore di mercato)
venivano immediatamente sottratte al valore complessivo della banca.
35
Proprio per questo motivo il valore delle imprese era molto instabile,
riducendosi nei periodi recessivi e gonfiandosi nei periodi espansivi.
Questa considerazione portò Hickman a concludere che l’utilizzo dei
rating da parte delle Autorità incaricate del controllo del sistema
finanziario per scopi regolamentari potrebbe accentuare le difficoltà
finanziarie nei periodi recessivi, quando invece sarebbero opportune
misure che allevino tali difficoltà.
Il processo finanziario è molto semplice. Ipotizziamo che una banca
acquisti un’attività con un rating alto. Se inizia un periodo recessivo, o
interviene uno shock esterno, le agenzie di rating abbassano la
valutazione dell’attività in possesso della banca. Se la riduzione fa
diventare il titolo “speculativo” la banca è costretta a venderlo con
delle conseguenze drastiche sul prezzo dell’obbligazione, sul valore
della banca e sul valore dell’impresa che ha emesso il prestito perché
tutte gli istituti finanziari in possesso di quell’attività dovranno
venderla. Se le riduzioni dei rating al di sotto della soglia
dell’investment grade colpisce un numero elevato di titoli, si possono
verificare cadute del mercato obbligazionario e azionario della
Nazione generando una crisi sistemica.
Thomas Atkinson 18 condusse una studio analogo a quello di Hickman
nel periodo che va dal 1944 al 1960 analizzando però un numero
minore di titoli obbligazionari.
La differenza più importante tra i due studi, che portano a risultati
diversi, è il contesto economico statunitense nel dopoguerra. Le
condizioni macroeconomiche della nazione erano ottime e in costante
crescita fino al 1970. Lo scenario nazionale era dominato da stabilità e
prosperità. Come naturale conseguenza, le aziende conseguivano
18
Atkinson R.T., (1967), Trends in Corporate Bond Quality , New York: NBER, distribuito da
Columbia University Press.
36
profitti che crescevano di anno in anno e permettevano l’utilizzo
dell’autofinanziamento invece dell’indebitamento obbligazionario; le
banche, per reagire alla caduta di domanda di prestiti, introdussero i
finanziamenti a lungo termine come alternativa all’indebitamento di
mercato.
Non ci sorprende quindi che la percentuale di default in questo
periodo è solo dello 0,1% contro l’1,7% dello periodo analizzato da
Hickman. Il 93% delle obbligazioni in circolazione avevano un rating
compreso nelle categorie di qualità medio alta contro l’83% del
periodo di Hickman.
Atkinson non riesce a dimostrare il comportamento ciclico delle
agenzie, dimostrato invece da Hickman. La spiegazione è data dalla
particolare situazione di prosperità dell’economia americana e delle
sue aziende che ha determinato un ruolo del tutto marginale alle
agenzie di rating. Non è forse un caso che negli anni ’60 molti
economisti si chiedevano se i cicli economici fossero scomparsi.
1.V.2
PERFORMANCE
NELLA
VALUTAZIONE
DELLE
OBBLIGAZIONI EMESSE DALLO STATO E DAGLI ENTI
LOCALI
Dal 1919 Moody’s iniziò a valutare le obbligazioni emesse dallo Stato
americano e dai suoi organi locali. S&P iniziò solo nel 1950.
37
Ovviamente il mercato delle obbligazioni statali e governative
americano era già molto sviluppato alla fine del 1800.19 Il primo
default in questo settore è quello della città di Mobile in Alabama
verificatosi nel 1839. Gli anni seguenti possono essere divisi in
quattro periodi per confrontare le percentuali di default. Il primo va
dal 1839 al 1843, quando dodici stati e governi locali erano indebitati
per 12 milioni di dollari e più della metà non furono pagati, 13 milioni
di dollari furono ripudiati e 1,3 milioni di dollari di interessi non
furono mai pagati. Il secondo periodo va dal 1873 al 1879, quando
circa un quarto del bilione di dollari in circolazione andò in default e
la perdita tra capitale e interessi fu di 150 bilioni di dollari. Il terzo
periodo di grandi default fu quello compreso tra il 1893 e il 1899,
quando 130 milioni di dollari di debiti, circa il 10% del totale in
circolazione, andò in default con circa 25 milioni di dollari di perdita
tra capitale e interessi. La grande depressione del 1930 rappresenta
l’ultimo periodo di grandi default. Dal 1929 al 1937, quasi 2,85 bilioni
di indebitamento, circa il 15% del totale in circolazione non furono
onorati. I defaults statali e locali si ridussero sensibilmente nei decenni
seguenti il grande conflitto. Questi furono solo di 325 milioni di
dollari durante il periodo che va tra 1945 e 1965, che rappresentavano
solo lo 0,3 % del totale di debiti in circolazione.
Per valutare il comportamento delle agenzie di rating in questo settore
prendiamo a riferimento lo studio condotto da Hempel su 264
emissioni obbligazionarie nel periodo che va al 1929 al 1937.
Le conclusioni di Hempel mostrano come il 78% dei debiti non
restituiti dopo lo scoppio della grande depressione erano valutati “Aa”
o meglio. Questa elevata percentuale è spiegata dal fatto che le
19
Hempel G., (1971), The Postwar Quality of State and Local Debt , National Bureau of
Economic Research, p. 103.
38
obbligazioni in circolazione con un rating “Aa” o migliore
rappresentavano il 94% del totale. Dopo lo scoppio delle grande crisi i
rating furono ovviamente rivisti verso il basso e le obbligazioni che
riuscirono a mantenere una valutazione “Aa” o migliore furono solo il
10% del totale.
La conclusione più importante di questo studio è che le agenzie di
rating, dopo aver fallito nella previsione della grande crisi hanno
cambiato i metodi di assegnazione dei rating spostandosi verso metodi
più sofisticati. Questi nuovi metodi però non sono stati testati nei
periodi successivi perché le condizioni economiche americane sono
migliorate in modo costante e non si sono verificati periodi di
recessione che potessero mettere alla prova l’efficacia di questi nuovi
metodi.
Le condizioni economiche e finanziarie americane messe in evidenza
da Atkinson ed Hempel erano destinate a cambiare all’inizio degli
anni ‘70 con la crisi del sistema nato dagli accordi di Bretton-Woods e
il passaggio ad un regime di cambi flessibile ponendo le basi per la
nascita di una nuova era finanziaria: la finanza internazionale
caratterizzata dalla globalizzazione. In questo nuovo contesto le
agenzie di rating recuperarono quell’importanza che era stata loro
tolta dalla crescente prosperità dell’economia americana nel
dopoguerra.
1.V.3 LE PERFORMANCE DELLE AGENZIE DI RATING TRA IL
1970 E 1990
Negli ultimi due decenni le agenzie di rating hanno avuto uno
sviluppo notevolissimo che le ha portate ad essere un pilastro
39
fondamentale del sistema finanziario internazionale. Una spinta
decisiva
alla
loro
affermazione
è
venuta
dal
processo
di
liberalizzazione sperimentato da molti paesi negli ultimi anni con
l’ampliamento del mercato obbligazionario internazionale ai Paesi in
via di sviluppo. Proprio in questi Paesi dove i mercati sono poco
sviluppati, la disciplina finanziaria è debole e lacunosa; le agenzie di
rating sono un punto di riferimento essenziale per tutti gli operatori
che vogliono investire in questi nuovi mercati.
Tra il 1960 e il 1970 queste agenzie erano piccole e di scarsa
importanza, concentrate soprattutto sul mercato obbligazionario
americano che, data la sua bassa percentuale di default, non
permetteva loro di giocare un ruolo da prime attrici. Alla fine degli
anni ’60 una grande impresa americana non onorò il prestito
obbligazionario emesso e provocò una crisi di liquidità che presto si
tramutò in una crisi di fiducia nel mercato. La tensione tra gli
investitori era altissima ma le imprese che avevano comunque bisogno
di fondi per finanziarie i loro progetti, si rivolsero alle agenzie di
rating per ottenere una valutazione che servisse a dissolvere i dubbi
degli investitori sulla capacità di rimborso dell’emittente, in pratica un
certificato di qualità.
Questo episodio segna l’inizio di un periodo di ascesa delle agenzie di
rating che oggi sono arrivate a detenere un potere enorme.
Un’azienda che riceve un rating basso, o subisce una diminuzione
della valutazione, può incorrere in gravi problemi. I più importanti
sono due: (i) il costo dell’indebitamento diventa più alto rispetto a
imprese con rating più elevati; (ii) la massa potenziale di investitori si
riduce se il rating è al di sotto degli soglia che individua gli
investimenti non speculativi.
40
L’espansione delle agenzie di rating è testimoniata anche dai dati
aziendali.
S&P nel 1980 aveva 30 professionisti nel suo team industriale, questi
sono diventati 40 nel 1986. Nel 2000 S&P ha 800 analisti su un totale
di 1.200 addetti. Moody’s si è sviluppata ad un tasso simile, contando,
nel 2000, su uno staff di 1500 persone. L’aumento delle obbligazioni
valutate è stato elevatissimo. Nel 1976, le obbligazioni valutate da
Moody’s erano circa 600. Oggi l’agenzia americana valuta circa
20.000 emissioni pubbliche e private in circolazione negli USA, e
1.200 emissioni non americane. S&P ha delle valutazioni complessive
di poco inferiori a Moodys per ogni categoria. Moodys valuta $5
trilioni di obbligazioni, S&P $2 trilioni. Così, queste due compagnie
dominano il mercato del rating.
41
2
AGENZIE DI RATING E CRISI FINANZIARIE
2.I
INTRODUZIONE
In questo secondo capitolo si vuole analizzare, in sintesi, alcuni dei
maggiori contributi economici sul comportamento delle agenzie di
rating durante le crisi finanziarie. La discussione inizia esaminando lo
studio condotto da Ferri, Liu e Stiglitz sul comportamento prociclico
delle agenzie negli eventi asiatici. Dopo aver dato dimostrazione del
ritardo con cui le agenzie hanno variato i loro giudizi sui paesi
coinvolti nella crisi, si analizzano le cause del ritardo e gli effetti sui
mercati finanziari. In seguito, i modelli di assegnazione del rating
utilizzati dalle agenzie, sono paragonati con dei modelli econometrici
basati esclusivamente su variabili economiche quantitative. Il risultato
più interessante emerso è che il rating assegnato ai Sovrani dei paesi
asiatici, prima dello scoppio della crisi, sovrastimava i fondamentali
economici, dopo lo scoppio, l’abbassamento del rating evidenziava
una sottostima dei fondamentali. A seguito di tale evidenza, abbiamo
continuato analizzando il comportamento dei rating assegnati alle
banche e alle imprese dei paesi coinvolti dalla crisi. Lo studio
condotto da Ferri, Liu e Majnoni evidenzia come la proposta del
comitato di Basilea sulla regolamentazione bancaria, se approvata,
potrebbe aumentare la volatilità dei requisiti patrimoniali delle banche
che operano nei PVS e imporre degli accantonamenti maggiori per
quest’ultime
rispetto
alle
banche
che
operano
nei
paesi
industrializzati. In generale, questo potrebbe aumentare il costo del
capitale nelle regioni che hanno un basso livello di merito creditizio.
42
Dall’analisi del comportamento delle agenzie di rating durante la crisi
asiatica emerge una sensibilità differente tra il rating delle imprese e
delle banche, da un parte, e il rating Sovrano dall’altra, in relazione al
Paese d’appartenenza. Per i Paesi in via di sviluppo questa sensibilità
è molto forte, in pratica a fronte di una variazione del rating Sovrano
abbiamo quasi sempre una variazione delle imprese ivi operanti. Al
contrario, per le imprese e banche che operano nelle economie
sviluppate il livello del rating viene influenzato poco dalle variazioni
del livello del rating Sovrano. Viene inoltre illustrata una simulazione
dell’impatto sui CAR delle proposta di Basilea nelle recenti crisi
finanziarie.
Nel terzo paragrafo viene analizzata la correlazione esistente tra il
rating assegnato all’Ente Sovrano e l’andamento dei mercati finanziari
attraverso il contributo di Kaminsky e Schmukler. Dopo aver motivato
le relazioni esistenti tra il tasso d’interesse USA e i tassi di rendimento
negli altri mercati finanziari, si mostra come le variazioni dei giudizi
emessi dalle agenzie vengano modificati quasi simultaneamente e
come questo influenzi i mercati obbligazionari e azionari delle
Nazione oggetto di variazione. Inoltre la variazione del livello del
rating in un Paese influenza l’andamento del mercato finanziario dei
Paesi vicini che hanno situazioni macroeconomiche simili. Risulta
evidente come i mercati obbligazionari dei PVS sembrano essere
molto più influenzati dalle variazioni del tasso USA rispetto ai mercati
finanziari sviluppati. Infine, anche questi autori, dimostrano come il
comportamento delle agenzie di rating sembra essere prociclico,
facendo riferimento alle variabili economiche utilizzate nel processo
d’assegnazione del rating. Nell’ultimo paragrafo si provvede a
discutere l’efficienza di alcuni indicatori di fragilità bancari attraverso
43
il contributo di Bongini, Laeven e Majnoni. Il risultato di maggior
interesse è che i giudizi emessi dalle agenzie di rating non sono mai
riusciti ad anticipare lo scoppio di una crisi
2.II
IL COMPORTAMENTO DELLE AGENZIE DI RATING
DURANTE LE CRISI FINANZIARIE
Il verificarsi di eventi straordinari come le crisi finanziarie che hanno
investito il Messico e il Sud – Est asiatico hanno messo a dura prova i
governi dei paesi interessati, gli organismi di cooperazione
internazionali e l’architettura del sistema finanziario internazionale. In
particolare, il comportamento delle agenzie di rating è al centro di un
acceso dibattito vista la crescente diffusione del rating sui mercati
finanziari internazionali e le pesanti ripercussioni che si sono avute nei
paesi asiatici dopo la variazione del livello del rating di Sovrani,
banche e imprese colpite dalla crisi del 1998.
Ferri, Liu e Stiglitz 19 dimostrano come le agenzie di rating abbiano
fallito nel prevedere lo scoppio della crisi asiatica e come il loro
comportamento abbia contribuito ad aggravare le condizioni
finanziarie asiatiche riducendo il valore dei rating assegnati ai Sovrani
del Sud-Est asiatico in modo eccessivo. Molti indicatori20 di crisi
finanziaria segnalavano la presenza di fragilità nelle economie
asiatiche già a giugno del 1997, invece le variazioni del livello del
rating sono state operate dalle agenzie con ampio ritardo. I
19
Ferri, Liu e Stiglitz (1999); The Procyclical Role of Rating Agencies: Evidence from the East
Asian Crisis, Economic Notes, vol. 28, No. 3, 335-55.
20
Vedi paragrafo 2.IV.
44
downgrades 21 si sono verificati per Malesia e Indonesia a dicembre
del 1997 e per la Corea ad ottobre 1997. Solo la Tailandia subì un
downgrade ad aprile del 1997. Tutte le nazioni subirono una riduzione
del livello del rating che le portò al di sotto della soglia
dell’investment grade, fatta eccezione per la Malesia (tavola 6).
Tavola 6: Andamento del rating Sovrano nei Paesi colpiti dalla crisi asiatica
Indonesia
Anno
Moody
S&P
Corea
Fitch
1986
Moody
S&P
Malesia
Fitch
Tailandia
Moody
S&P
Moody
S&P
Baa1 Dic
A-
A2 Aug
A- Giu
A2 Nov
1988
A+ Ott
1989
Mar
1990
A1 Apr
1992
A3 Dic
BBBLug
1993
Baa3
A2 Nov
Mar
1994
A+ Dic
1995
AA-
1996
1997
BBB
AA-
Lug
Giu
Ba1
BB+
BBB-
A3 Nov
A+ Ott
A Nov
Dic
Dic
Giu
Ba1 Dic
A- Nov
B- Dic
BB+
A2 Dic
A Dic
B+ Dic
A3 Apr
A- Sep
Baa1 Ott
BBB
Baa3 Nov
Ott
Ba1 Dic
Dic
1998
A Dec
A1 Ma
B2
B Gen
BB-
BB+/B
Baa2 Giu
A-/A-2
A-
Gen
B- Mar
Giu
Ago
Baa3 Set
Apr
3/BBB-
B3
CCC+
A-
Gen
Mar
Mag
2/BBB
BBB-
+ Giu
Ago
A3/BBBSep
Fonte: Ferri, Liu e Stiglitz (1999); op. cit.
Le azioni intraprese dalle agenzie durante la crisi asiatica furono di
dimensioni senza precedenti nella storia del rating.
21
Per downgrade si intende l’azione con la quale le agenzie di rating aumentano la probabilità di
default dell’emittente.
45
Infatti, anche durante la crisi messicana scoppiata nel 1995, il rating
Sovrano messicano subì una forte riduzione, ma già prima della crisi
era al di sotto dell’investment grade e quindi non si ebbero particolari
ripercussioni sui mercati finanziari in seguito alle azioni intraprese
dalle agenzie di rating.
Dall’analisi della crisi messicana e di quella asiatica emerge che in
periodi di tensione finanziaria le agenzie tendono ad aumentare il
giudizio delle nazioni che hanno già un buon livello di rating e ad
abbassare il giudizio delle nazioni che non hanno un rating basso
generando un processo di “flight to quality” 22 .
Le conseguenze finanziarie di questo comportamento sono tre:
• aumento del costo dell’indebitamento per le imprese che
subiscono una variazione negativa del livello del rating.
Moody’s, ad ottobre del 1994, pubblicò uno studio sulla
relazione tra rating e tasso d’interesse sull’emissione di un
prestito obbligazionario 23 . Per le emissioni con un con rating
“Aaa” il tasso d’interesse era dell’8%, invece per emissioni con
un rating “Caa” il tasso d’interesse aumentava fino al 13% per
compensare l’aumento del rischio.
• La relazione tra rating e tasso non è lineare e diventa
particolarmente forte se la variazione del rating porta il titolo da
sopra a sotto la soglia dell’investment grade. Una diminuzione
di otto “tacche” 24 del rating che porta un titolo da “Aaa” a
“Baa3” (limite minimo dell’investment grade) causa in media
22
E’ facile notare che, nei periodi in cui l’elevata volatilità dei prezzi provoca incertezza
sull’andamento futuro dei mercati, molti investitori chiudono le loro posizioni rischiose e
preferiscono rimanere liquidi o scelgono investimenti con basso rendimento ma che hanno un
rischio minimo cioè quelli di “qualità” maggiore.
23
Moody’s Investment Service, (1994), Note to the SEC on the Disclosure of Security Ratings,
Moody’s Investor Service.
24
Ogni “tacca” corrisponde univocamente ad un livello di rating contraddistinto dalle lettere
utilizzate dalle agenzie di rating.
46
un aumento dell’1% del costo dell’indebitamento, una
diminuzione di sole due “tacche” del rating che porta il titolo da
“Baa3” a “Ba2” causa anch’essa un aumento dell’1% del costo
dell’indebitamento, infine una riduzione del rating di otto
“tacche” che porta il titolo da “Ba2” a “Caa” causa un aumento
del 3,5% del costo dell’indebitamento.
• L’attraversamento della soglia dell’investment grade può
causare un effetto di razionamento quantitativo. Difatti, la
disciplina finanziaria proibisce agli investitori istituzionali di
detenere attività che hanno un rating inferiore alla soglia
dell’investment grade o ne richiede degli accantonamenti
aggiuntivi 25 , generando così una riduzione dell’offerta di
capitale nei confronti degli emittenti che hanno un livello del
rating basso.
A livello macroeconomico, inoltre, azioni di downgrade emettono
segnali negativi nei confronti dei partecipanti al mercato influenzando
il tasso di cambio, l’andamento del mercato azionario e l’andamento
dei prezzi di altre attività domestiche.
Per analizzare il comportamento delle agenzie di rating durante le crisi
finanziarie e il relativo impatto sul mercato dei capitali è necessario
individuare quali variabili economiche vengono utilizzate dalle
agenzie per assegnare e modificare i loro giudizi. Le agenzie, però,
difficilmente dichiarano quali variabili sono alla base del processo
d’assegnazione del rating all’Ente sovrano e alle imprese. Solo
25
Cantor e Packer (1997), Differences of Opinion and Selection Bias in the Credit Rating Industry,
Journal of Banking and Finance No. 21, 1395-1417.
47
attraverso sporadiche pubblicazioni industriali le maggiori agenzie
dichiarano i loro criteri di assegnazione del rating 26 .
Cantor and Packer 27 individuano otto variabili quantitative che
influenzano sensibilmente il livello del rating dell’Ente sovrano:
reddito pro capite, crescita del PIL, inflazione, bilancio fiscale e
sviluppo economico. Un modello econometrico basato su queste
variabili riusciva a spiegare quasi completamente il livello del rating
assegnato agli Enti sovrani prima dello scoppio della crisi asiatica, ma
non può spiegare il ritardo con cui i rating delle regioni asiatiche sono
stati variati e l’ampiezza dei downgrade avvenuta dopo lo scoppio
della crisi.
Le maggiori agenzie di rating, attraverso varie pubblicazioni, hanno
ammesso il loro errore giustificato solo parzialmente dalle
caratteristiche relativamente nuove della crisi finanziario-valutaria che
ha colpito i paesi del Sud-Est asiatico 28 . Infatti le crisi precedenti, in
particolare quella messicana, erano state originate da uno squilibrio
dei conti pubblici che provocarono il crollo della valuta generando gli
effetti classici di una crisi valutaria. Invece, la crisi asiatica fu
provocata da uno squilibrio finanziario del settore privato, fortemente
indebitato a breve termine con l’estero. Proprio alla luce di questa
constatazione, i modelli utilizzati dalle agenzie nel processo di
assegnazione del rating Sovrano hanno preso in considerazione altre
variabili come: indebitamento a breve termine, in particolare quello
denominato in valuta straniera; indebitamento estero del settore
26
Moody’s Investment Service (1991) Global Analysis, London: IFR Publishing. Moody’s
Investment Service (1995) Sovereign Supranationals Credit Opinions. Standard and Poor’s (1994)
Sovereign Rating Criteria, Emerging Markets,124-27.
27
Cantor R. e Packer F., (1996), Determinants and Impact of Sovereign Credit Ratings, Federal
reserve Bank of New York Quarterly Review, 37-51.
28
Fitch IBCA, (1998),op. cit.
48
privato e del settore pubblico; il regime del tasso di cambio e la
competenza dei policy makers.
In particolare Truglia 29 , senior manager di Moody’s, ha sottolineato
l’importanza
dell’indebitamento
a
breve
termine
proponendo
l’introduzione di un nuovo indicatore di sostenibilità del debito
ottenuto dal saldo della bilancia dei pagamenti più l’indebitamento a
breve termine in valuta estera diviso per le riserve internazionali
detenute dalla banca centrale.
Inoltre, nel processo di assegnazione del rating all’Ente sovrano
rivestono particolare importanza i giudizi qualitativi dell’agenzie,
basati su informazioni “ad hoc” in relazione alla specificità del paese.
Quindi i rating attualmente assegnati sono il risultato della somma di
due funzioni: un giudizio rappresentativo dei fondamentali economici
del paese e un giudizio basato sulle informazioni “ad hoc” che
riflettono i giudizi qualitativi degli analisti delle agenzie. I pesi
attributi ai due giudizi nella determinazione del rating Sovrano non
sono mai stati dichiarati esplicitamente dalle agenzie ma possono
essere ricavati confrontando il rating assegnato al paese con quello
generato da un modello econometrico basato sulle variabili
economiche prima elencate. Se il rating assegnato è più basso del
rating generato dal modello econometrico significa che le agenzie
attribuiscono
un
peso
negativo
ai
giudizi
qualitativi
nella
determinazione del rating Sovrano. In altre parole, il livello del rating
generato dall’analisi dei fondamentali economici viene diminuito sulla
base di aspettative negative formulate dagli analisti delle agenzie
sull’andamento economico del paese in esame. Viceversa, se il rating
assegnato è maggiore del rating generato dal modello econometrico
29
Truglia, V., (1998), Outlining the Major Factors of Country Risk, Moody’s Investor Service.
49
significa che al rating rappresentativo dei fondamentali economici
vengono aggiunti dei punti sulla base di aspettative positive formulate
dagli analisti sull’andamento economico del paese. L’analisi
dell’andamento dei rating Sovrani assegnati ai paesi asiatici tra il 1997
e 1998 dimostra che prima dello scoppio della crisi i fondamentali
economici delle regioni erano sovrastimati, invece dopo lo scoppio
della crisi le agenzie hanno sottostimato i fondamentali economici
riducendo in modo eccessivo il giudizio sulla capacità di rimborso dei
paesi asiatici.
I rating assegnati a Corea, Indonesia e Tailandia prima della crisi
erano maggiori del rating emesso dal modello econometrico basato sui
fondamentali economici del paese.
La differenza, in questo caso positiva, è spiegata
dai giudizi
qualitativi positivi che le agenzie avevano sull’andamento futuro delle
economie
asiatiche.
Quindi
i
fondamentali
economici
erano
sovrastimati.
Dopo lo scoppio della crisi, la riduzione dei rating Sovrani ha portato
il livello del giudizio al di sotto del rating emesso dal modello
econometrico, cioè i giudizi qualitativi hanno influenzato in modo
negativo il livello del rating sottostimando in pratica i fondamentali
economici. E’ importante sottolineare come il deterioramento dei
fondamentali in Corea e Tailandia non giustifichi l’abbassamento del
rating al di sotto della soglia dell’investment grade. Questa analisi
dimostra che la riduzione del rating è stata maggiore di quanto la
riduzione dei fondamentali lo giustificasse accentuando la crisi
finanziaria, incoraggiando la fuga di capitali e rendendo ancora più
gravoso la ricerca di fondi a livello internazionale da parte dei paesi
colpiti dalla crisi (tavola 7).
50
Gli autori spiegano questo comportamento attraverso l’importanza
della reputazione delle agenzie di rating
nel business della
valutazione del credito. La difesa della loro reputazione le porta ad
assumere un comportamento conservativo che si manifesta nel ritardo
con il quale i rating si adeguano alla nuova situazione finanziaria del
paese e alla sottostima dei fondamentali economici quando il paese
attraversa periodi finanziari critici contrapposta alla sovrastima dei
fondamentali economici dei paesi che attraverso periodi finanziari
buoni.
Tavola 7: rating assegnato dalle agenzie V.S. rating assegnato dal modello econometrico
Indonesia
60
50
40
30
20
10
0
Corea
85
80
75
70
65
60
55
50
1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998
Agenzie
Econometrico
Agenzie
Malesia
Econometrico
Tailandia
100
85
80
75
70
65
60
55
50
75
50
1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998
Agenzie
Econometrico
1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998
Agenzie
Econometrico
Fonte: Ferri, Liu e Stiglitz, (1999), op.cit.
Se la proposta del comitato di Basilea venisse accettata le distorsioni
sul mercato creditizio sarebbero notevoli, qualora le agenzie di rating
51
si comportassero ancora in modo prociclico. Difatti, le banche che
concedono un prestito ad un Ente sovrano dovranno accantonare un
quota di capitale in relazione alla rischiosità dell’emittente
determinata proprio sulla base del livello del rating. Analizzando la
proposta alla luce di quanto è accaduto in Asia, prima dello scoppio
della crisi le banche si sarebbero trovate ad accantonare una quota di
capitale inferiore alla rischiosità effettiva dei prestiti concessi ai paesi
asiatici determinando una sottocapitalizzazione del sistema bancario.
Al contrario, dopo lo scoppio della crisi, la riduzione del livello dei
rating avrebbe causato un accantonamento eccessivo di riserve ed una
aumento del costo dell’indebitamento, a danno dei governi asiatici,
non in linea con la rischiosità effettiva del prestito.
Ferri, Liu e
Majnoni 30 analizzano l’impatto della proposta del
comitato di Basilea nei PVS sulla base della constatazione che le
agenzie di rating hanno una lunga esperienza nella valutazione delle
obbligazioni emesse negli USA, dove sono nate, e in altri paesi
industrializzati ma la loro attività si è sviluppata nei PVS solo
nell’ultimo decennio, con la conseguenza che la distribuzione dei
rating nel mondo risulta molto asimmetrica.
Questo provoca delle ripercussioni rilevanti sulla qualità del rating
emesso nei confronti dei Sovrani, banche e imprese che operano dove
solo di recente le agenzie hanno iniziato a valutare i titoli
obbligazionari contrattati sui mercati dei capitali domestici. Secondo
gli autori l’applicazione delle proposta del comitato porterebbe un
lieve miglioramento al costo di enormi distorsioni.
Difatti, l’approvazione della proposta del comitato di Basilea potrebbe
aumentare la volatilità dei requisiti patrimoniali delle banche che
30
Ferri, Liu e Majnoni, (2001), op. cit.
52
operano nei PVS e imporre degli accantonamenti maggiori per
quest’ultime
rispetto
alle
banche
che
operano
nei
paesi
industrializzati. In generale, questo potrebbe aumentare il costo del
capitale nelle regioni che hanno un basso livello di merito creditizio
per tre ragioni:
(i) la carenza di rating nei PVS implica che le banche e le imprese
vengono comprese nella quarta fascia dell’accordo con una
ponderazione del 100% (in sostanza rimane l’8% come quota
d’accantonare) mentre la diffusione dei rating nei paesi industrializzati
implica una riduzione della quota d’accantonamento da parte delle
banche a fronte dei prestiti emessi alle banche e alle imprese operanti
in questi paesi. Quindi se alle banche è richiesto un minor
accantonamento di capitale possono espandere l’offerta di credito nei
paesi industrializzati con una sostanziale riduzione del tasso
d’interesse a fronte di una riduzione dell’offerta di credito nei
confronti dei PVS, per i quali è richiesto un accantonamento
maggiore. Le conseguenze per le banche operanti nei PVS sono
scontate: aumento del costo dell’indebitamento e difficoltà di
reperimento di risorse. A cascata le difficoltà del sistema bancario si
trasmettono alle imprese. Questo problema è reso ancora più grave
della constatazione che le imprese nei PVS non possono facilmente
sostituire il credito bancario con il credito di mercato a causa della
fragilità e dello scarso sviluppo dei mercati finanziari in questi paesi;
(ii) come dimostrato precedentemente, i rating dei PVS spesso sono
stati abbassati dalle agenzie di rating in modo eccessivo, cioè oltre
quanto sembrava giustificato dal deterioramento dei fondamentali
economici del paese. Nel processo di assegnazione del rating alle
imprese e alle banche, le agenzie prendono il rating Sovrano come il
53
livello massimo oltre il quale il rating delle società ivi operanti non
può andare. Naturalmente una riduzione del rating del Sovrano
eccessiva implica una compressione del rating aziendale al di sotto
della reale probabilità di default stimata attraverso l’analisi dei
fondamentali dell’azienda. Anche questo crea delle distorsioni
dell’allocazione efficiente delle risorse perché le imprese sono
costrette ad emettere un prestito obbligazionario ad un tasso
d’interesse influenzato da un rating che non rispecchia l’effettiva
rischiosità del debito emesso.
(iii) l’esperienza storica ci suggerisce che il rating delle società con
sede nei PVS è molto più influenzato dal rating del Sovrano di quanto
non lo sia il rating delle società con sede nei paesi industrializzati dal
rating del proprio Sovrano.
Viste le difficoltà politiche che spesso i governi asiatici e
dell’America Latina si sono trovati ad affrontare, unitamente a
problemi di corruzione e clientelismo, le imprese dei PVS potrebbero
essere penalizzate per problemi relativi all’Ente sovrano e non alla
loro gestione economico-finanziaria.
Analizzando nel dettaglio la relazione tra distribuzione dei rating e
livello di reddito, gli autori dividono i paesi del mondo in quattro
categorie in base al reddito.
La copertura dei rating diminuisce drasticamente con la riduzione del
livello del reddito.
Il numero di aziende valutate nel primo gruppo, formato dai paesi
appartenenti al G-10, è di 24 volte superiore al numero di aziende
valutate che fanno parte dell’ultimo gruppo, formato dalle nazioni che
hanno il reddito più basso. In particolare Africa, America meridionale
e Asia hanno la copertura minore. Inoltre la media dei rating assegnati
54
alle imprese operanti nei paesi industrializzati è ampiamente al di
sopra della soglia dell’“investment grade” mentre la media dei rating
assegnati imprese che operano nei PVS è al di sotto di tale soglia.
Dall’analisi della distribuzione geografica dei rating emerge che le
agenzie con sede negli USA nell’ultimo decennio hanno sviluppato la
loro attività verso quei paesi dove i costi fissi e marginali
dell’emissione del rating erano più bassi o dove c’era un elevata
richiesta di rating. Per di più la valutazione delle imprese nei paesi a
medio–basso reddito è un fenomeno talmente recente che non
consente di stabilire se le metodologie usate dalle agenzie nel processo
d’assegnazione del rating sono corrette. Infine al diminuire del reddito
di una nazione la correlazione tra rating aziendale e rating Sovrano
diventa sempre più forte. Mentre questi risultati potrebbero essere
consistenti con giudizi razionali nella valutazione del rischio di credito
in economie dove i costi della raccolta di informazione sono molto
elevati e le istituzioni finanziarie sono instabili, potrebbero introdurre
delle distorsioni qualora i rating venissero usati a fini regolativi.
Riferendoci alla tabella di ponderazione del rischio proposta dal
comitato nel Giugno del 1999, considerando i livello di rating delle
imprese di tutto il mondo assegnato da Moody’s o S&P e tenendo
presente gli accordi di Basilea emanati nel 1988 è possibile
ipotizzare, in via generale,
i cambiamenti che la nuova proposta
introdurrà.
La quota di accantonamento base per i prestiti alle imprese non
bancarie è dell’8%.
I
possibili
risultati
dovuti
all’introduzione
del
rating
determinazione dei Car (Capital Asset Requirements) sono tre:
55
nella
(i) il passaggio da un accantonamento dell’8% ad un accantonamento
dell’1,6% per i prestiti emessi dalle banche ad imprese che hanno un
rating compreso nelle prime due fasce dell’accordo, con un guadagno
in termini di risorse non soggette all’obbligo di riserva dell’6,4%; (ii)
nessuna variazione rispetto all’8% per le imprese che appartengono
alla terza categoria e (iii) infine un passaggio dall’8% all’12% per le
imprese che appartengono alla quarta categoria.
Date le premesse sulla distribuzione dei rating delle imprese e la loro
correlazione con il livello di reddito del paese in cui operano è facile
dimostrare che le imprese che vedranno una riduzione del costo
dell’indebitamento bancario sono quelle che operano nei paesi OCSE
e quelli non OCSE ma comunque ad alto reddito, praticamente le
imprese che formano i primi due gruppi della suddivisione in base al
reddito prima menzionata. Invece, le imprese che formano gli ultimi
due gruppi sulla base del reddito del paese in cui operano non avranno
nessuna riduzione del costo dell’indebitamente bancario, anzi sembra
probabile un aumento.
Per quanto riguarda invece i prestiti interbancari i risultati possibili
dovuti all’introduzione dei rating della determinazione dei Car sono
quattro:
(i) nessuna variazione rispetto alla quota dell’1,6% proposta dagli
accordi del 1988 per i prestiti a banche che hanno rating compresi
nelle prime due categorie; (ii) il passaggio da una quota dell’1,6% ad
una quota dell’4% per i prestiti emessi a banche che hanno un rating
compreso nella terza categoria, (iii) il passaggio da una quota del
1,6% ad una quota dell’ 8% per i prestiti emessi a banche che hanno
un rating compreso nella quarta categoria e infine (iiii) un passaggio
56
da una quota dell’1,6% ad una dell’12% per prestiti emessi a banche
che hanno un rating compreso nell’ultima fascia.
I risultati della distribuzione degli aumenti e delle diminuzioni tra le
banche di tutto il mondo rispecchiano quelli ottenuti per le imprese.
La differenza sta nel fatto che anche le banche che operano nei paesi
ad alto reddito vedranno un aumento medio dei Car del 2,4% . Mentre
le banche appartenenti nei paesi a medio – basso reddito vedranno un
aumento del 6,4%.
Alla luce di questa semplice analisi appare già evidente come
l’introduzione dei rating nella determinazione dei Car comporterà un
aumento del costo dell’indebitamento internazionale per quelle
imprese, bancarie e non, che operano nei PVS.
Dall’analisi specifica del comportamento delle agenzie di rating
durante il periodo che va dal giugno 1997 a giugno 1998, durante il
quale la crisi asiatica si è manifestata nel modo più chiaro, emerge che
i downgrade hanno colpito in modo diffuso il sistema bancario e le
imprese dei paesi in crisi. In particolare il livello del rating delle
banche e delle imprese coreane, indonesiane e tailandesi è sceso al di
sotto della soglia dell’investment grade.
Dal confronto tra il rating 31 assegnato alle imprese localizzate nelle
economie sviluppate e quelle localizzate invece nelle economie in via
di sviluppo tra il 1990 e 1999, emerge che per quest’ultime il peso del
livello
del
rating
assegnato
all’ente
Sovrano
nel
processo
d’assegnazione del rating aziendale è molto maggiore rispetto alle
imprese che operano nei paesi ad alto reddito. Inoltre tale sensibilità
sembra accentuata nei casi di downgrade. In pratica una riduzione del
31
Gli autori utilizzano il rating minimo, ricevuto da ciascun’azienda nell’arco di ogni anno,
emesso da Moody’s.
57
livello del rating del Sovrano di 10 punti 32 si traduce in una riduzione
del rating delle imprese operanti dei PVS di 6,9 punti. Questa
relazione
non
sembra
invece
verificata
per
le
economie
industrializzate.
Riveste un interesse particolare l’analisi svolta dagli autori sulla
relazione tra rating Sovrano e rating delle banche. Il livello del rating
delle banche è funzione del rating assegnato al Sovrano dove la banca
opera, però gli istituti creditizi che operano nei PVS sono molto più
sensibili alle variazioni del rating dell’Ente sovrano rispetto ai loro
omologhi che operano nei paesi industrializzati. Inoltre, questa
maggiore sensibilità è molto più elevata nei casi di riduzione rispetto
ai casi di aumenti del rating Sovrano. In pratica una riduzione di 10
punti (due tacche) del rating Sovrano si traduce in una variazione di
2,7 punti nel rating delle banche operanti nei paesi industrializzati e in
una variazione di 7,5 punti nel rating delle banche operanti nei PVS.
Invece una riduzione del rating Sovrano di 10 punti si traduce in una
riduzione di 5,6 punti del rating delle prime banche e in una riduzione
di 9,6 punti del rating delle seconde banche.
E’ possibile simulare l’impatto sui Car della proposta di Basilea nelle
recenti crisi finanziarie. I risultati della simulazione econometria
evidenziano come i Car relativi ai prestiti interbancari, non avrebbero
subito modifiche nelle crisi finanziarie che hanno colpito Colombia,
India e Messico quando si è verificato un downgrade di 10 punti (due
tacche). Invece i Car sarebbero passati dall’8% all’12% nel caso della
crisi brasiliana dove si verificò un downgrade di due tacche, in
Malesia i Car sarebbero passati dall’1,6% al 4% a fronte di un
downgrade di quattro tacche e infine sarebbero passati dal 2,8% al
32
In questo caso facciamo riferimento alla conversione numerica dei giudizi alfabetici emessi dalle
agenzie.
58
7,3% in Corea dove si verificò un downgrade di sei tacche. Invece i
downgrade che si sono verificati nei paesi industrializzati nelle recenti
crisi finanziarie non hanno provocato un aumento dei Car, lasciandoli
invariati al livello del 1,6%.
L’analisi viene estesa anche alle variazioni dei Car nei prestiti alle
imprese operanti nelle regioni colpite dalle crisi. Contrariamente al
caso precedente anche per molti paesi ad alto reddito si verifica un
aumento dei Car. Rimangono costanti al livello del 1,8% solo nel caso
della crisi finanziaria che ha colpito la Nuova Zelanda, mentre
passano da 3,3% a 3,8% in Canada, da 2,4% a 3,2% in Finlandia, da
3,7% a 4,1% in Giappone, da 2,8% a 3,1% in Svezia. Comunque gli
aumenti più ampi si hanno per i paesi a basso reddito. In Messico
sarebbero passati da 7,3% a 8%, in Brasile da 7,4% a 8,9%, in
Colombia da 7% a 10%, in India da 4% a 8%, in Malesia da 1,6% a
4% in fine in Corea da 1,9% a 5,7%.
Questa analisi dimostra come l’introduzione della proposta del
comitato di Basilea potrebbe aumentare la volatilità dei Car e
provocare un notevole aumento del costo dell’indebitamento per quei
paesi che hanno un
rating basso o che subiscono delle pesanti
riduzioni in seguito allo scoppio di una crisi finanziaria.
Ferri, Liu e Majnoni dimostrano la stretta correlazione esistente nei
PVS trai il rating Sovrano e il rating delle imprese e banche del paese.
Visto l’andamento prociclico delle rating sovrano, gli effetti sul costo
del finanziamento da parte delle imprese dei mercati emergenti
possono essere
di notevole entità mettendole in una posizione di svantaggio rispetto
alle imprese che operano nei paesi industrializzati.
59
L’introduzione dei rating nella determinazione dei requisiti minimi
patrimoniali delle banche è stata fatta con l’obiettivo di avere un
livello di riserve il linea con il rischio dell’attività bancaria per reagire
meglio alle crisi bancarie soprattutto alla luce degli eventi asiatici.
I risultati della simulazione econometrica non sembrano supportare
l’efficacia dell’utilizzo dei rating a scopi regolativi, anzi prevedono
l’introduzione di un’ulteriore effetto distorsivo a scapito dei paesi che
hanno un rating Sovrano basso e una limitata copertura da parte delle
agenzie nella valutazione del merito creditizio di imprese e banche che
operano sui mercati domestici.
2.III
RELAZIONE TRA IL RATING SOVRANO E IL MERCATO
DEI CAPITALI.
Tra i fattori che influenzano la struttura dei tassi d’interesse sui
mercati finanziari rivestono un ruolo di particolare importanza il
livello del rating assegnato alle emissioni dell’Ente sovrano e il livello
dei tassi d’interesse negli USA.
Il primo valore ci indica il rischio dell’investimento e il secondo
valore ci indica il rendimento dei titoli obbligazionari con la minore
possibilità di default. A sua volta il mercato obbligazionario influenza
il mercato azionario determinando in costo del denaro. Un aumento
dei tassi d’interesse spesso comporta una riduzione del valore delle
azioni perché da una parte aumentano gli oneri finanziari a scapito dei
profitti e della distribuzione degli utili; dall’altra si verifica una
sostituzione dei titoli azionari con i titoli obbligazionari spinta dalla
accresciuta redditività di quest’ultimi. Infine il recente processo di
60
liberalizzazione finanziaria ha creato un unico mercato finanziario
internazionale, formato dai mercati finanziari domestici, dove
l’andamento di ogni singolo mercato si riflette, e a volte si amplifica,
su tutti i mercati. Questa stretta interdipendenza, frutto delle sviluppo
tecnologico, se da una parte favorisce una migliore allocazione del
risparmio sui vari mercati e riesce a cogliere al meglio i vantaggi della
diversificazione dei portafogli, dall’altra può provocare crisi
finanziarie
qualora
non
venga
supportata
da
un’adeguata
regolamentazione dei sistemi finanziari locali. I benefici, in termini di
benessere sociale, della globalizzazione spesso sono stati minori dei
costi sopportati dal sistema finanziario internazionale per risolvere
crisi economiche generate proprio dalla liberalizzazione finanziaria 33 .
Quando uno Stato decide di aprire i propri mercati ai capitali
provenienti dall’estero deve prima attuare una serie di riforme politico
- giuridiche che consentano ai mercati di operare su basi solide. Nelle
recenti esperienze i governi dei PVS non solo non hanno attuato
queste riforme ma hanno addirittura aumentato le distorsioni sui
mercati finanziari domestici al fine di attrarre capitali internazionali 34 .
Una testimonianza palese è la garanzia esplicita offerta dai governi
asiatici sul rimborso degli investimenti che ha generato il fenomeno
del “moral hazard” ,da molti indicato come una delle cause principali
della crisi 35 .
Possiamo supporre che dove i mercati siano poco sviluppati vi sia
anche una carenza di informazione sulle imprese che partecipano al
mercato. Quindi il giudizio emesso dalle agenzie di rating viene
33
Filosa R., (2001), Il futuro delle relazioni economiche internazionali, Saggi in onore di F. Caffè,
pp. 111 – 160, FrancoAngeli
34
Corsetti G., P. Pesenti e N. Rubini, (1999), What caused the Asian currency and financial
crisis?, Japan and the world economy, Vol. 11 No.3, http://www.econ.yale.edu/~corsetti
35
Krugman P., (1998), What happened to Asia, Mineo.
61
considerato dagli operatori come una valutazione emessa da soggetti
specializzati sulla base di un’attenta analisi e di una meticolosa
raccolta di informazioni.
I recenti episodi di crisi e il relativo comportamento delle agenzie
sollevano però non pochi dubbi sull’esattezza del processo di
assegnazione del rating da parte delle agenzie e sulla loro capacità di
variare tempestivamente i giudizi al cambiamento delle condizioni
economiche.
Kaminsky e Schmukler 36 analizzano la correlazione esistente tra il
rating assegnato all’ente sovrano e l’andamento dei mercati finanziari.
Le agenzie di rating utilizzano una metodologia di assegnazione dei
giudizi che considera il rating sovrano come il livello massimo del
rating che le imprese del paese possono ottenere. Di conseguenza la
riduzione del livello del rating dell’Ente sovrano comporta una
riduzione a cascata del livello del rating delle imprese nazionali.
Inoltre i cambiamenti di rating in una nazione potrebbero suonare
come campanello d’allarme per economie con situazione economicopolitiche simili e generare effetti di contagio che possono coinvolgere
un intero continente. A tale proposito, Kaminsky e Schmukler (1999),
hanno esaminato gli effetti di contagio provocati dal cambiamento del
livello del rating, alla luce di differenti notizie, nelle nazioni vicine e
hanno trovato che le “news” riguardanti la capacità di rimborso del
debitore di un paese hanno marcati effetti sul mercato azionario e
obbligazionario dei paesi vicini. Questi risultati sono supportati dalla
constatazione di un elevato effetto contagio nelle recenti crisi
finanziarie. Proprio in Asia la crisi partita dalla Tailandia ha coinvolto
poi quasi tutto il continente asiatico perché gli operatori finanziari
36
Kaminsky G. e Schmukler S. (febbraio 2001),Emerging markets instability: do sovereign
ratings affect country risk and stock returns?, www1.worldbank.org
62
consideravano la regione asiatica come un tutt’uno e quindi, secondo
loro, la crisi in un paese si sarebbe presto verificata anche nei paesi
con condizioni macroeconomiche simili. In molti casi tali aspettative
possono generare crisi che si autorealizzano non giustificate da shocks
economici o da fondamentali fragili 37 .
Il rischio paese è il primo fattore che influenza i tassi d’interesse sui
titoli governativi. Se le variazioni positive del rating apportano nuove
informazioni al mercato avremo una riduzione del rischio paese con
effetti positivi sul livello dei tassi d’interesse. Anche le imprese
avranno un miglioramento del livello del rating che porta ad una
riduzione del costo dell’indebitamento con effetti positivi sui profitti e
quindi sul prezzo delle azioni.
Per quanto riguarda la relazione tra tassi USA e mercati finanziari
internazionali Kamin and von Kleist 38 sostengono che ci sono tre
differenti canali attraverso i quali il cambiamento del tasso Usa può
influenzare il rischio paese delle altre nazioni:
(i) un aumento del tasso d’interesse offerto dalle obbligazioni
americane, titoli con il rischio minore in assoluto, spinge verso l’alto
anche il tasso al quale i governi delle altre nazioni possono fare il rollover del proprio debito, che ha una rischiosità sicuramente maggiore
del debito statunitense; (ii) l’aumento dell’onere del debito mina la
solvibilità del governo inducendo gli investitori a richiedere un tasso
d’interesse maggiore per compensare il maggior rischio, diminuendo
così la capacità di rimborso dello Stato; (iii) l’aumento dei tassi USA
provoca una variazione nel allocazione efficiente dei portafogli degli
37
Per una rassegna dettagliata sulle diverse interpretazioni teoriche della crisi asiatica e dei
principali modelli di crisi valutarie si veda Corsetti G., (2001), Interpreting the Asian Financial
Crisis: Open Issues in Theory and Policy, Asian development Review, vol. 16, No 2.
38
Kamin, Steven and von Kleist, Karsten, (1999), The Evolution and Determinants of Emerging
Market Credit Spreads in the 1990s, International Finance Discussion. Paper 1999-653, Federal
Reserve Board.
63
investitori internazionali che si spostano verso le obbligazioni
americane. La riduzione dell’offerta di capitale verso gli altri mercati
spinge verso l’alto i tassi d’interesse nella periferia del sistema
finanziario. Questa situazione penalizza maggiormente i paesi
indebitati e quelli che hanno bisogno di capitali per sostenere il
processo di industrializzazione. All’origine dei massicci afflussi di
capitali verso le economie emergenti a metà degli anni ’90 c’era
proprio un livello dei tassi d’interesse USA molto basso, che costrinse
gli investitori a cercare attività con rendimenti più alti localizzate nelle
economie con rischiosità maggiore 39 .
Quindi, visto che l’aumento del tasso USA porta un aumento del tasso
d’interesse nel resto del sistema provocando problemi finanziari ai
governi degli altri paesi gli autori ipotizzano una relazione positiva tra
l’andamento del tasso d’interesse Usa e il rischio paese. Inoltre il
governo, di fronte ad un aumento del costo dell’indebitamento può
aumentare l’imposizione fiscale riducendo i profitti delle imprese.
Quindi un aumento del rendimento dei titoli governativi statunitensi
avrà effetti negativi anche sul rendimento dei mercati azionari.
I risultati dell’analisi condotta dagli autori evidenzia che gli upgrade e
downgrade vengono annunciati quasi simultaneamente dalle diverse
agenzie, quasi ci fosse un coordinamento nei loro comportamenti.
Inoltre, i cambiamenti dei livelli dei rating sul debito emesso dagli
Enti sovrani delle economie emergenti influenzano notevolmente i
mercati azionari e obbligazionari domestici . In media a fronte di una
riduzione dell’1% del rating abbiamo una riduzione
del 3% del
rendimento azionario.
39
Calvo G.A., Leiderman e Reinhart C.M., (2000), Capital inflow and real exchange rate
appreciation in Latin America: the role of external factors, in IMF staff Paper, marzo.
64
Le variazioni dei rating contribuiscono alla diffusione del contagio in
periodi di crisi a regioni con economie simili e alla diffusione di effetti
di spillover. In particolare variazioni del livello del rating Sovrano in
Paesi emergenti provocano una riduzione del rendimento del mercato
interno e può provocare anche la riduzione del rendimento del mercato
azionario di paesi vicini il cui livello del rating sul debito Sovrano non
è stato variato.
Come sostenuto dalla letteratura economica il contagio ha natura
regionale, cioè, colpisce nazioni che hanno situazioni politicoeconomiche simili e che spesso si identificano in un intero continente.
I mercati obbligazionari delle economie fragili, che hanno bassi livelli
di rating, sono molto più esposti agli effetti negativi provocati
dall’aumento del tasso d’interesse USA rispetto ai mercati
obbligazionari delle economie sviluppate. Il legame tra mercati
azionari dei PVS e tasso Usa esiste ma è più debole del precedente
sulla base della considerazione che, in generale, le variazioni dei tassi
d’interesse influenzano solo indirettamente i mercati azionari.
Infine, il comportamento delle agenzie di rating sembra essere
prociclico. Gli upgrade si verificano quando i mercati segnano un
persistente rialzo nelle economie emergenti, mentre i downgrade si
verificano dopo che il mercato ha segnato un persistente ribasso.
Inoltre, questo effetto sembra essere più forte nei casi negativi e cioè
quando il mercato è “orso”. In particolare l’analisi evidenzia che lo
“spread” sui tassi obbligazionari è cresciuto del 9% nei 10 giorni
prima l’annuncio dell’azione di downgrade da parte delle agenzie di
rating e il mercato azionario, sempre nelle stesso periodo ha segnato
una perdita complessiva del 7%. Anche se questi risultati possono
derivare dalla capacità del mercato di anticipare determinati eventi e
65
quindi scontarli precedentemente il giorno dell’annuncio, in questo
caso invece sembra un’ulteriore testimonianza del comportamento
prociclico delle agenzie. Questa conclusione è in linea con lo studio
condotto da Reinhart 40 dove l’autrice esamina se gli annunci delle
agenzie di rating, sulla variazione della capacità di rimborso del
debitore, hanno anticipato le crisi verificatesi negli anni novanta. Il
risultato è stato negativo. Le agenzie di rating non solo non sono mai
riuscite ad anticipare lo scoppio di una crisi ma hanno anche
amplificato i problemi finanziari connessi alla crisi stessa riducendo i
livelli dei rating nelle regioni coinvolte.
2.IV RELAZIONE TRA LIVELLO DEL RATING DEL DEBITO
EMESSO DALL’ENTE SOVRANO E CRISI FINANZIARIE
L’accesso al mercato internazionale dei capitali è fondamentale per lo
sviluppo delle economie emergenti che hanno bisogno di risorse
finanziarie per sostenere il processo d’industrializzazione. Mentre per
le economie industrializzate l’accesso al mercato dei capitali avviene
senza grosse difficoltà, l’accesso a tale mercato da parte dei PVS è
precario e altamente variabile.
Le condizioni entrata al mercato sono una variabile chiave che tutti i
governi devono gestire. Vista la relazione già descritta tra rating
Sovrano e il rating delle imprese che operano nel Paese, Il livello del
rating dell’Ente sovrano determina le condizioni d’accesso al mercato
internazionale dei capitali non solo dei governi ma anche delle
imprese ivi operanti.
40
Reinhart, C., (2001), Do Sovereign Credit Ratings Anticipate Financial Crises? Evidence from
Emerging Markets, mimeo, University of Maryland.
66
Il fattore di maggior importanza è il tasso d’interesse, che determina il
costo dell’indebitamento ed è influenzato in modo notevole dal livello
del rating, utilizzato dalla comunità internazionale come base per
stimare il rischio implicito nell’emissione obbligazionaria effettuata
dagli Enti sovrani e dalle imprese.
Vista l’importanza attribuita a questa relazione è interessante
analizzare se la variazione del livello del rating di un Ente sovrano
possa essere all’origine di una crisi finanziaria.
I mercati dei capitali dei PVS sono afflitti da problemi di trasparenza,
efficienza e spessore che, uniti ai problemi di una classe politica
spesso inadeguata, possono generare crisi valutarie e bancarie. Esiste
un’ampia letteratura sulla contestualità delle crisi bancarie e valutarie
nelle economie emergenti 41 . Nei modelli di prima generazione 42
politiche economiche incoerenti con il mantenimento di un regime di
cambio fisso generano crisi valutarie. Nei modelli di seconda
generazione le crisi valutarie derivano dal fatto che la difesa della
stabilità del cambio può comportare il ricorso a politiche costose in
termini sociali. Qualora queste politiche siano per il governo difficili
da mantenere, gli speculatori tenderanno a dubitare sull’impegno delle
autorità a mantenere fisso il tasso di cambio e sferreranno il loro
attacco. Questi modelli sono stati utilizzati per interpretare la crisi
messicana, ma non sono adatti a spiegare quella asiatica. Ciò ha
indotto Krugman a dare una spiegazione finanziaria alla crisi dei Paesi
del Sud–Est asiatico. La spiegazione si basa sulla constatazione che in
una situazione in cui la solvibilità delle banche è garantita dallo Stato
41
Kaminsky G.L. e Reainhart C.M., (1999), The twin crisis: the causes of banking and balance of
payments problems, Board of Governors of the Federal Reserve System, International Finance
Discussion Paper, Washington.
42
Krugman P., (1979), A model of balance of payment crisis, Journal of Money Credit and
Banking, agosto.
67
e l’attività di queste istituzioni non è regolamentata, le banche basano
le loro decisioni d’investimento non sul rendimento atteso dei progetti,
ma piuttosto sul rendimento dei medesimi in circostanze ideali.
Questo comportamento dà luogo a due conseguenze. Da un lato, si
determina una situazione di sovrainvestimento, in altre parole le
banche finanziano progetti che, senza l’esistenza delle garanzia
pubblica, non finanzierebbero. Dall’altro lato i prezzi delle attività la
cui offerta è limitata, tendono a crescere in misura molto pronunciata.
Questa bolla speculativa persiste fina al momento in cui sussiste la
garanzia dello Stato sulla solvibilità delle banche. Nel momento in cui
tale garanzia viene meno, perché i costi dei salvataggi bancari
diventano insopportabili, la bolla speculativa scoppia: ne deriva una
drastica caduta dei prezzi delle attività, il valore delle garanzie date
dai prenditori ai datori di fondi crolla, si verificano diffusi casi di
insolvenza, le consistenti perdite sui crediti portano le banche al
fallimento o in situazioni di grave difficoltà.
Inoltre il sistema bancario dei paesi del Sud–Est asiatico era
fortemente indebitato e larga parte di questi debiti era a breve termine.
I problemi del sistema bancario hanno alimentano la fuga di capitali
dalla nazione spingendo al ribasso il tasso di cambio. Il tentativo da
parte della banca centrale di difendere la parità del cambio porto ad
una drastica riduzione delle riserve internazionali fino al punto in cui
la Banca centrale è stata costretta a lasciar fluttuare il tasso di cambio.
E’ interessante analizzare come si comportano le agenzie di rating
all’interno di questo processo ed in particolare il ruolo svolto dal
livello dei rating durante le crisi finanziarie.
68
C. M. Reinhart 43 analizza gli effetti del cambiamento del rating
Sovrano nello scoppio delle crisi valutarie e bancarie. L’autrice vuole
verificare
se
i
downgrade
nei
rating
creditizi
precedono
sistematicamente le crisi finanziarie. Per fare ciò utilizza tre indicatori
di crisi valutarie. Il primo è quello usato da Kaminsky e Reinhart
44
,
basato su un numero maggiore di nazioni. Il secondo indicatore di
crisi è quello utilizzato da Frankel e Rose
45
, mentre il terzo è una
versione modificata del Frankel e Rose che include però gli episodi di
crisi “medie”.
L’indice di crisi valutarie utilizzato da Kaminsky e Reinhart (1999) è
una media ponderata delle variazioni del tasso di cambio e delle
variazioni delle riserve:
I= (Δe/e)- (δe/δR)* (ΔR/R)
dove δ indica la deviazione standard. I cambiamenti del tasso di
cambio hanno un peso positivo e i cambiamenti delle riserve hanno un
peso negativo, quando il valore di quest’indice è di almeno tre scarti
quadratici medi sopra il valore medio siamo in una situazione di crisi.
L’indice viene ovviamente modificato per quei Paesi che hanno un
elevato tasso d’inflazione che altrimenti darebbe origine ad una media
errata.
L’indicatore di Frankel e Rose (1996) segnala periodi di crisi quando
si verifica una svalutazione del tasso di cambio di almeno 250 punti
43
Reinhart C., (2001), Sovereign Credit Ratings Before and After Financial Crises, presentato in
occasione del convegno “ The Role of Credit Rating Agencies in the international Economy “,
organizzato dalla Banca Mondiale, www.worldbank.org
44
Kaminsky, Graciela L., e Carmen M. Reinhart., (1999), The Twin Crises: The Causes of
Banking and Balance-of-Payments Problems, American Economic Review 89 No. 3, giugno, pp.
473-500.
45
Frankel, Jeffrey A., e Andrew K. Rose, (1996), Exchange Rate Crises in Emerging Markets
Journal of International Economics 41, No. 3/4 (novembre), pp. 351-68.
69
base in un mese e che tale svalutazione sia di 100 punti base maggiore
del mese precedente.
L’indice modificato di Frankel e Rose segnala periodi di crisi quando
in un mese si verifica una svalutazione del tasso di cambio di almeno
il 20% e che tale svalutazione sia almeno del 5% maggiore della
svalutazione del mese precedente.
Per i dati sulle crisi bancarie, l’autrice si basa su tre studi.
Il primo è di Kaminsky e Reinhart 46 dove una crisi bancaria è
caratterizzata da due eventi: (i) perdita di fiducia della clientela di una
banca che porta al ritiro delle somme depositate costringendo la banca
alla chiusura, alla fusione o all’intervento pubblico in uno o più istituti
finanziari (come in Venezuela nel 1993); (ii) anche se non ci sono
“run bancari” la presenza di chiusure, fusioni, cambi di proprietà o
interventi pubblici in grandi gruppi finanziari che segnano l’inizio di
situazioni simili per altre istituzioni finanziarie.
Gli altri due studi sono di Barth, Caprio, e Levine Demirgüç-Kunt e
Detragiache 47 , che forniscono un buon numero di dati sulle crisi
bancarie riferite a molti paesi.
Quindi l’autrice cerca di stimare la capacità previsiva del rating.
La variabile dipendente è una dummy che esamina separatamente le
crisi bancarie da quelle valutarie, mentre la variabile indipendente è il
cambiamento del rating nel corso dei 12 mesi.
La premessa base fatta dall’autrice è che se le agenzie di rating
utilizzano tutte le informazioni disponibili sui fondamentali economici
del soggetto che valutano, allora: (a) il rating potrebbe aiutare a
predire la crisi nei termini in cui gli indicatori economici sui quali si
46
Kaminsky e Reinhart, (1999), op.cit.
Demirguç-Kunt, Asli, e Enrica Detragiache, (1998), Banking Crises Around the World: Are
There Any Common Threads, IMF Staff Papers 45, No. 1,marzo, pp.81-109.
47
70
basano le decisioni delle agenzie hanno potere previsionali, (b) il
modello semplice non dovrebbe avere una cattiva specificazione –
vale a dire altri indicatori non dovrebbero avere significatività
statistica dato che le informazioni rilevanti sarebbero già riflesse negli
stessi rating. Così, la situazione dei fondamentali macroeconomici
sarebbe catturata in un singolo indicatore, vale a dire il rating.
I risultati ottenuti dimostrano che le agenzie di rating, attraverso la
variazione dei giudizi assegnati agli Enti sovrani, hanno sbagliato
sistematicamente la previsione di crisi che si sono manifestate nelle tre
forme sopra descritte. Le recenti crisi finanziarie hanno ampiamente
dimostrato come i downgrade Sovrani si sono verificati quando la crisi
era già in atto e non prima.
L’errore, potrebbe dipendere dal set di variabili che le agenzie
utilizzano per assegnare il rating all’Ente sovrano.
L’autrice individua un set di indicatori e ne verifica la capacità di
previsione paragonandoli poi con le variabili individuate da Cantor
and Packer (1996) 48 alla base del processo d’assegnazione del rating
Sovrano.
Indicatori quali tasso di cambio reale, andamento delle esportazioni,
rapporto tra l’aggregato monetario M2 e le riserve internazionali sono
degli ottimi indicatori per prevedere lo scoppio di una crisi valutaria.
Invece indicatori quali: andamento della bilancia dei pagamenti / PIL
e andamento bilancia pagamenti / investimenti sembrano avere un
contenuto informativo a fini previsionali più basso.
Le agenzie danno molto peso al rapporto tra indebitamento ed
esportazioni quando invece quest’indice ha un basso potere nella
predizione di crisi finanziarie. Al contrario viene data poca importanza
48
Canto R. e F. Packer, (1996), Determinants and Impact of Sovereign Credit Ratings, Federal
Reserve Bank of New York Economic Policy Review, (ottobre), 1-15.
71
a indicatori di liquidità, disallineamenti valutari e andamenti dei prezzi
delle attività che invece hanno un buon potere previsivo.
2.4.1 CONFRONTO
TRA
INDICATORI
DI
FRAGILITA’
BANCARIA
Gli studi pubblicati sulle cause delle crisi bancarie asiatiche, si sono
spesso concentrati su fattori macroeconomici che possono aiutare a
prevedere crisi valutarie e bancarie. Fino ad ora, pochi studi hanno
analizzato le origini microeconomiche della crisi asiatica utilizzando i
dati di ogni singola banca. Un’eccezione è rappresentata da Bongini,
Claessens e Ferri 49 che hanno costruito un modello capace di
prevedere il fallimento di
istituzioni finanziarie, chiamato “early
warning system”. Gli autori hanno dimostrato che i tradizionali
indicatori CAMEL avrebbero potuto aiutare a predire le difficoltà
finanziarie incontrate successivamente dagli istituti asiatici.
Leaven 50 , invece, usa i dati di ogni singola banca per spiegare le
differenze nel rischio dell’attività bancaria e nelle performance delle
banche asiatiche dimostrando che gli istituti con proprietà concentrata
sono i più rischiosi, come riflesso di un’eccessiva espansione del
credito.
E’ possibile analizzare il comportamento di vari indicatori di fragilità
bancaria, prima e durante la crisi asiatica, per stabilire quale si sia
comportato in modo migliore, cioè quale sia riuscito a segnalare per
tempo lo scoppio della crisi con un livello di errore accettabile. Difatti
49
Bongini, P., S. Claessens e G. Ferri, (2000), The political economy of distress in East Asian
financial institutions, Journal of Financial Services Research.
50
Laeven L., (1999), Risk and efficiency in East Asian banks, World Bank, Working Paper 2255,
Washington, D.C.
72
molti indicatori possono segnalare lo scoppio di una crisi che poi non
si verifica emettendo quindi falsi segnali e riportando una limitata
efficacia.
Bongini, Laeven e Majnoni 51 analizzano per ogni singola banca,
localizzata nelle regioni del Sud-Est asiatico durante la crisi del 19951998, le performance di tre set di indicatori della fragilità bancaria che
possono essere calcolati attraverso le informazioni pubbliche. Gli
autori paragonano il comportamento di tre tradizionali indicatori di
fragilità, che segnalano pericolo nell’intero del sistema bancario. Il
primo è basato sui dati di bilancio delle banche, dai quali emerge il
costo implicito della garanzia sui depositi; il secondo è basato sulla
dinamica dei prezzi azionari e, infine, il terzo è basato sui giudizi
emessi dalle agenzie di rating.
Oltre ai dati di bilancio, gli autori hanno analizzato anche altre fonti
d’informazione come il mercato azionario e i giudizi delle agenzie di
rating. Da quando il mercato azionario del Sud-Est asiatico è
relativamente liquido, il prezzo delle azioni può essere utilizzato per
stimare la solidità finanziaria di un’azienda. Infine, gli autori
utilizzano il contenuto informativo dei rating come indicatore di
fragilità bancaria.
La scelta di un periodo di crisi fornisce agli autori una distinzione
netta tra istituzioni fragili e robuste, sulla base delle sovvenzioni
statali ricevute ex-post dalle banche.
Per la Tailandia il valore di mercato delle banche espresso come
percentuale del totale delle passività iniziò a decrescere a metà giugno
del 1996. Poco dopo si avvertirono i primi segnali di fragilità
bancaria. L’amento della volatilità bancaria si verificò intorno alla
51
Paola Bongini, Luc Laeven e Giovanni Majnoni, (2001),How good is the market at assessing
bank fragility? A horse race between different indicators, www1.worldank.org.
73
metà di novembre del 1996. Il premio sull’assicurazione dei depositi
non incrementò fino a gennaio del 1997, ma comunque in anticipo
rispetto alla decisione di abbandonare il regime di tasso fisso,
avvenuta nel giugno del 1997. I rating creditizi sono chiaramente in
ritardo. Una prima riduzione avvenne nell’aprile del 1997, ma i
maggiori cambiamenti si verificarono a novembre del 1997, circa ¼
dopo lo scoppio della crisi.
La situazione nelle altre regioni non differisce di molto. Il valore di
mercato
delle
banche
decresce
allo
scoppio
della
crisi,
successivamente la volatilità e il premio d’assicurazione sui depositi
iniziano ad aumentare. Le variazioni dei rating creditizi si verificano
per ultimi e solo dopo che tutti gli indicatori hanno segnalato da tempo
lo scoppio della crisi.
L’Indonesia abbandonò il regime di cambi fissi il 14 agosto del 1997
e il 31 ottobre dello stesso anno presentò la lettera d’aiuto al FMI
(Fondo monetario internazionale).
I maggiori cambiamenti negli indicatori, valori di mercato, premio sui
depositi e volatilità, hanno mostrato i primi cambiamenti a settembre
del 1997, mentre le variazioni dei rating sono avvenute solo a
novembre dello stesso anno.
In Corea il primo segnale pubblico di crisi si verificò nell’agosto del
1997 quando il governo annunciò la propria disponibilità ad aiutare gli
intermediari finanziari in difficoltà comprando le attività peggiori e
emettendo prestiti speciali. La crisi scoppiò il 21 novembre del 1997
quando la Corea annunciò la richiesta d’aiuto al FMI. La lettera
d’aiuto fu invita a dicembre del 1997. Nuovamente il comportamento
dei tre indicatori è simile ai paesi precedenti. E’ interessante notare
che la volatilità di mercato iniziò ad aumentare alla fine del 1996. Il
74
valore di mercato delle banche come percentuale del totale delle
passività, iniziò a decrescere all’inizio del 1995. Il premio sui depositi
iniziò ad aumentare a novembre nel 1997. Invece le variazioni
maggiori dei rating si verificarono solo a dicembre del 1997.
La Malesia fu l’ultima paese ad andare in crisi e non attuò alcun
programma del FMI. Il 5 dicembre del 1997 il Ministro della finanze
annunciò la disponibilità ad intervenire a sostegno delle istituzioni in
difficoltà. Il valore di mercato delle banche iniziò ad essere
estremamente volatile già da agosto del 1997, anticipando
ampiamente l’annuncio governativo. Nuovamente le agenzie di rating
non
reagirono
velocemente,
infatti,
il
primo
deterioramento
sostanziale dei rating si verificò solo nell’aprile del 1998.
I risultati ottenuti dall’analisi delle banche asiatiche, anche se non
estendibili a periodi non di crisi e a nazioni differenti, possono essere
così sintetizzati:
- I giudizi emessi dalle agenzie di rating hanno mostrato la peggior
capacità di distinguere le banche solide da quelle fragili. In
particolare un considerevole miglioramento potrebbe essere
ottenuto attraverso un maggior uso dell’analisi tradizionale basata
su indicatori finanziari e su informazioni relative alla struttura
proprietaria delle banca.
- Le valutazioni delle agenzie di rating, mentre hanno un basso
potere discriminatorio, hanno evidenziato il più basso livello di
errore del primo tipo (l’errore di identificare una banca fragile
come solida). Di conseguenza sembra che le agenzie attribuiscano
molto peso all’errore di non identificare una banca insolvente
piuttosto che all’errore di classificare una banca solida come
insolvente.
75
- È lecito ipotizzare che la banca che abbia ricevuto un rating e che
sia sotto il continuo monitoraggio da parte dell’agenzia subisca
degli effetti di disciplina aggiuntivi rispetto a banche che non
hanno rating. Difatti, errori di condotta economica sono individuati
dagli analisti delle agenzie e comunicate al mercato che attribuisce
una penalità all’azienda. Nello studio condotto dagli autori non
sembra esserci una chiara dimostrazione che l’essere o meno
valutati dalle agenzie abbia un effetto disciplinativo. Questo perché
molti istituti in Asia anche se non avevano un rating erano
considerati dal mercato “too big to fail” cioè troppo grandi perché
il governo li lasciasse fallire. Questa garanzia implicita
probabilmente ha nascosto gli effetti disciplinativi derivanti dal
monitoraggio continuo delle agenzie di rating.
- Il costo implicito dell’assicurazione sui depositi mostra una
capacità di aggiustamento alla nuova situazione finanziaria
maggiore rispetto ai rating delle agenzie.
Le differenze di timing e di efficienza dei differenti indicatori hanno
importanti implicazioni sulla disciplina finanziaria. Per esempio la
regolamentazione bancaria potrebbe concentrarsi sull’uso dei rating
emessi dalle agenzie (come proposto dal comitato di Basilea) se questi
fornissero, con buona approssimazione, un indice di
fragilità
finanziaria. Da un altro lato, se la copertura delle agenzie di rating
rispetto alle medie e piccole imprese è bassa o i rating non sono
indicatori efficienti di fragilità bancaria è necessario l’utilizzo di
indicatori alternativi. Questo potrebbe essere fatto, per esempio,
stimolando la pubblicazione di informazioni finanziarie accurate
(registri dei crediti o classificazioni migliori dei prestiti) o/e
76
riformando quelle istituzioni che posso rappresentare un ostacolo alla
trasparenza.
Gli autori trovano sostanziali differenze fra i tre gruppi di indicatori
nella loro capacità di segnalare lo scoppio di una crisi finanziari sia in
dato momento sia per quanto riguarda la durata. In particolare, negli
episodi di crisi avvenuti nell’Est asiatico le informazioni basate sui
giudizi emessi dalle agenzie non hanno saputo anticipare la pesante
situazione finanziaria che si stava profilando.
Invece, le informazioni basate sui mercati azionari hanno reagito in
modo più rapido ai cambiamenti della situazione finanziaria rispetto ai
giudizi emessi della agenzie di rating.
Quando guardiamo in un’ottica settoriale, gli indicatori di bilancio,
integrati con le informazioni relative all’assetto proprietario della
banca, sembrano efficienti nel prevedere situazioni di fragilità
bancaria.
Complessivamente, i risultati ottenuti supportano la conclusione di
politica economica che, dove il processo informativo è molto costoso,
come in molti PVS, è necessario l’uso di una pluralità di indicatori
della fragilità bancaria.
77
3 ANALISI DEL SETTORE DEL RATING
3.I
INTRODUZIONE
In questo capitolo si vuole analizzare il settore industriale del rating
nei suoi aspetti microeconomici.
Il paragrafo II esamina l’organizzazione industriale delle agenzie di
rating evidenziando gli aspetti caratteristici dell’offerta. Il numero così
esiguo di aziende che offrono questo servizio può essere preso come
spunto per l’analisi del grado di monopolio presente nel settore.
Attualmente le agenzie di rango internazionale presenti sul mercato
sono tre: Moody’s, Standard e Poor’s e Fitch IBCA. Per ognuna di
loro viene ripercorsa una sintesi storica sottolineando gli assetti
proprietari, l’organizzazione interna e la relativa quota di mercato. In
seguito viene data testimonianza del processo di globalizzazione
dell’attività di rating, da parte delle agenzie che dominano il mercato,
attraverso delle “joint ventures” con piccole agenzie di valutazione,
localizzate nei mercati emergenti. Questa espansione, se da un lato
può creare dei benefici infrastrutturali nei mercati finanziari operanti
nei PVS, dall’altro può creare distorsioni essenzialmente per due
ragioni. La prima è dovuta alla inesperienza delle agenzie di rating
USA nella valutazione di Sovrani, banche e imprese che operano in
questi mercati con la conseguente emissione di giudizi non sempre
efficienti. La seconda è connessa con gli assetti proprietari delle
banche e degli intermediari finanziari in questi mercati. Molte agenzie
di rating locale che si uniscono con le agenzie USA sono di proprietà
di banche e intermediari finanziari che a loro volta posseggono un
78
gran numero di aziende e hanno interessi politici. Quindi la pregnante
presenza di conflitti d’interesse, per queste piccole agenzie, può
sollevare dubbi sull’efficienza dei giudizi emessi e mettere in pericolo
la reputazione delle agenzie maggiori.
Successivamente, nel paragrafo III, si ripercorrono brevemente gli
eventi storici ed economici che possono motivare l’esistenza di
barriere all’entrata in questo settore. In particolare, viene rilevato
come due scelte effettuate dalla SEC abbiano caratterizzato il mercato.
La prima risale agli anni ’30, quando la SEC iniziò ad utilizzare i
rating per stabilire quali attività potevano essere detenute dagli
investitori istituzionali, stimolando la domanda di valutazioni da parte
di molte imprese. La seconda risale al 1975 quando, l’organismo di
vigilanza
americano,
costituì
il
NRSRO
(ricordato
sopra),
un’organizzazione che raggruppa le agenzie di rating migliori alle
quali viene riconosciuto un carattere di “interesse nazionale”. Oltre a
questo tipo di barriere, nel mercato del rating un ostacolo molto
importante all’entrata di nuove aziende è rappresentato dal ruolo della
reputazione in questa attività. Vista la rilevanza giuridico – economica
del rating, questo deve essere emesso da istituzioni la cui reputazione
è frutto di un lavoro svolto nel tempo con efficienza e onestà. I tempi
lunghi necessari alla formazioni di una reputazione riconosciuta a
livello internazionale ostacolano l’ingresso di nuove aziende in questo
settore.
Nel paragrafo IV, dopo aver definito il rating come un indicatore
sintetico di rischio, si analizza il listino prezzi utilizzato dalle
maggiori agenzie. Moody’s e S&P applicano delle commissioni molto
simili per la valutazione delle obbligazioni, mentre Fitch IBCA
richiede delle commissioni leggermente più basse. Si analizzano
79
anche le correlazioni esistenti tra i rating emessi dalle diverse agenzie
e le ripercussioni sui mercati finanziari.
Grazie ai dati di bilancio pubblicati da Moody’s, è possibile verificare
l’eccezionale crescita delle entrate dell’agenzia americana e lo
sbalorditivo tasso di rendimento sul capitale investito. Viene inoltre
esaminata l’innovazione e l’efficienza del settore. Si illustreranno
infine, paragrafo V, gli effetti della proposta del comitato di Basilea,
sul settore del rating, con particolare riferimento ai problemi di
certificazione delle agenzie che emettono giudizi riflessi nella
disciplina prudenziale del sistema bancario.
3.II
LE
AGENZIE
DI
RATING:
CARATTERISTICHE
E
ORGANIZZAZIONE INDUSTRIALE
Esaminando la struttura e l’organizzazione industriale delle principali
agenzie di rating si riscontra come queste analizzino emissioni molto
diverse tra loro, di varia entità e appartenenti ai più diversi settori di
attività. Stati sovrani ed enti collegati, compagnie assicurative,
aziende industriali, istituzioni finanziarie sono valutati esaminando
quelle caratteristiche qualitative e quelle grandezze quantitative che,
nei diversi casi, influenzano maggiormente la solvibilità futura.
L’analisi delle varie tipologie di titoli viene affidata a comparti
specializzati che attribuiscono pesi diversi alle variabili quantitative in
relazione alla classe dell’emittente. Per esempio, nella valutazione di
un’emissione statale viene attribuito un peso notevole al rischio
politico, mentre nel caso di emissioni da parte di società industriali il
80
peso maggiore viene attribuito a variabili quali: prospettive future di
mercato, capacità manageriali e organizzazione interna.
Il
primo
elemento
che
emerge
con
chiarezza
dall’analisi
dell’organizzazione industriale del settore del rating è il numero
limitato di imprese che offrono questo servizio. Attualmente in
America sono tre e nel corso della storia non sono mai state più di
cinque.
Nel dicembre del 1999 la Dun & Bradstreet Corporation, che aveva
acquistato Moody’s nel 1962, annuncia la scissione della compagnia
in due linee produttive separate ed indipendenti al fine di aumentare il
valore economico dell’impresa 52 . Questa avrebbe dato luogo a due
unità funzionali: la “business information unit”, che si sarebbe
occupata di informazioni finanziarie, settore tradizionale di D&B, e di
altre attività minori; la “rating business unit”, formata proprio da
Moody’s. A settembre del 2000 la scissione venne attuata e, dopo 100
anni di storia del rating, Moody’s diventa la prima agenzia trattata sul
mercato azionario. Il business principale di Moody’s è l’emissione di
valutazioni
sul
merito
creditizio
degli
emittenti
di
prestiti
obbligazionari.
Per quanto riguarda la struttura organizzativa adottata da Moody's, è
da evidenziare come, al fine di assicurare l'oggettività e la coerenza
del giudizio, la strategia di Moody's sia legata ad alcuni punti fermi,
che costituiscono le regole base dell'operatività. Risulta in questo caso
centrale l'analisi del debito, attuata tramite numerosi incontri con il
management, la valutazione di dati economici e finanziari e
approfondite ricerche sull'emittente e sul settore di appartenenza.
Inoltre, non essendo i ricercatori direttamente coinvolti nella vendita o
52
http://www.moodys.com
81
nello scambio di titoli e non dedicandosi alle azioni ordinarie delle
emittenti, si cerca di salvaguardare l'indipendenza dell'agenzia, che
non ha alcun legame o vincolo partecipativo con istituzioni
governative, finanziarie o industriali.
L’ottica seguita è poi di tipo globale: l'internazionalizzazione del
mercato del credito ha portato Moody's a esigere dai propri team la
capacità e professionalità necessarie a trattare con entità appartenenti a
tutte le realtà del mondo.
La struttura è divisa secondo criteri settoriali e funzionali all'interno di
ogni gruppo; le divisioni sono guidate da direttori di ricerca e
comprendono numerosi direttori associati, cui è affidata la
supervisione dei team di analisi. L'agenzia è composta da cinque
comparti separati:
•
Gruppo industriale, che si occupa dei settori: automobilistico,
energetico (a livello privato), alta tecnologia, aerospaziale,
industria di base, beni di consumo, oltre che di numerose branche
del settore terziario;
•
Gruppo istituzioni finanziarie, che analizza: banche, compagnie
di assicurazione, società di leasing, società di investimento e
brokeraggio;
•
Gruppo pubblica utilità, che valuta: società elettriche pubbliche,
società per la produzione e distribuzione di gas, compagnie
telefoniche;
•
Gruppo Stati sovrani, che si occupa delle emissioni statali, delle
entità sovranazionali e delle banche continentali per lo sviluppo;
•
Gruppo finanza strutturata, che valuta emissioni garantite, come
titoli ipotecari o esigibili, e che svolge attività di supporto
trasversalmente a tutti gli altri gruppi.
82
Esiste poi uno staff separato che si occupa della gestione e dello
sviluppo di una banca dati interna e della efficacia comunicativa
dell'agenzia verso il mercato.
La scelta di un'organizzazione settoriale, comune a tutte le principali
società di rating, è legata alle caratteristiche peculiari che ogni realtà
presenta; la specializzazione degli analisti assicura una conoscenza più
approfondita delle situazioni affrontate ed è un'ulteriore garanzia
dell'affidabilità e correttezza del giudizio espresso.
Le caratteristiche principali di Moody’s sono illustrate nella tavola 8.
La Standard & Poor, fondata nel 1916 (7 anni dopo Moody’s),
divenne subito una delle migliori concorrenti di Moody’s nell’offerta
di informazioni finanziarie e analisi del rischio di titoli a reddito fisso.
Inizialmente l’attività di S&P si concentrava nella valutazione di
obbligazioni aziendali e pubbliche. Successivamente i rating di S&P
coprirono una vasta gamma di prodotti finanziari presenti sul mercato,
incluse le carte commerciali, i debiti emessi da Enti sovrani e le quote
dei fondi comuni d’investimento.
S&P fu una società indipendente fino al 1966, quando fu acquistata da
McGraw-Hill Companies, un’azienda attivamente impegnata nel ramo
editoriale e dei servizi informatici. Comunque S&P ha sempre avuto
una elevata indipendenza nel suo business rispetto alla McGraw-Hill.
Infatti l’agenzia di rating americana dichiara 53 che le sue valutazioni
sono libere da pressioni politiche, accurate e basate su metodologie
rigorose.
La divisione rating di S&P è composta da cinque sezioni autonome:
•
Sezione 1 - istituzioni finanziarie/finanziamenti strutturati;
•
Sezione 2 - industrie/servizi pubblici;
53
http://www.standardandpoors.com/ratings/
83
•
Sezione 3 - entità internazionali;
•
Sezione 4 - municipalità;
•
Sezione 5 - assicurazioni/mezzi di trasporto.
Esistono poi due unità di staff, che svolgono un'attività di supporto
trasversalmente alle altre, e precisamente: pianificazione strategica,
sviluppo e consulenza legale e servizi generali. Inoltre, all'interno di
ogni gruppo, la divisione segue il criterio della specializzazione per
comparti o aree di rating.
Ognuna delle cinque sezioni base ha un comitato di analisti senior che
affronta le questioni decisionali e valutative più importanti riguardanti
la sezione stessa; esistono inoltre comitati che si occupano dell'analisi
e della definizione dei criteri di valutazione per nuovi prodotti lanciati
sui mercati finanziari, del reclutamento e dell'assunzione degli analisti,
della
formazione
e
dell'addestramento.
Tutti
questi
comitati
riferiscono al consiglio di amministrazione centrale. Le caratteristiche
principali di S&P sono illustrate nella tavola 8.
La Fitch Investors Service nel 1997 è stata acquisita dalla IBCA
Group di Londra dando vita alla Fitch IBCA, terza agenzie nel settore
del rating 54 . Come Moody’s e S&P la Fitch fu designata nel 1975
come “NRSRO”. Questa agenzia ha perseguito una politica di
marketing molto aggressiva nell’area delle obbligazioni aziendali e
governative per acquistare quote crescenti di mercato.
Nel 2000 la Fitch IBCA acquista altre due agenzie di rating. La prima
è la Duff & Phelps, molto attiva negli USA, la seconda è la Thomson
Financial
BankWatch,
specializzata
una
agenzia
internazionale
di
rating
nell’offerta di servizi finanziari. La Fitch IBCA è
l’agenzia di rating leader in Europa: particolarmente importante è la
54
http://www.fitchibca.com
84
sua copertura del mercato obbligazionario europeo alla luce del
consolidamento dell’UE. Questa agenzia è di proprietà di un
conglomerato francese: la FIMALAC SA, che possiede molte società
impegnate nei settori chimici, manifatturieri e delle utilities.
La crescente integrazione dei mercati finanziari internazionali da una
parte, e l’aumento della domanda di rating da parte delle imprese di
tutto il mondo, dall’altra, ha spinto le agenzie ad espandere la loro
attività in Europa e nei mercati emergenti. La copertura di questi
nuovi mercati avviene solitamente attraverso delle “joint ventures”
internazionali tra le agenzie di rating maggiori e agenzie di piccole
dimensioni localizzate nei mercati finanziari d’interesse. E’ da rilevare
come la presenza delle tre maggiori agenzie di rating non sia
uniformemente distribuita sui mercati internazionali. La copertura di
Moody’s è maggiore in Asia rispetto a S&P, mentre in America Latina
la situazione si capovolge. In Europa la copertura tra Moody’s e S&P
è quasi equivalente, mentre la Fitch IBCA ha una posizione di
leadership su questo mercato.
Le istituzioni internazionali che promuovono lo sviluppo economico e
la cooperazione tra le nazioni si sono accorte negli ultimi anni che
l’espansione delle agenzie di rating nei mercati in via di sviluppo può
creare dei benefici nella costruzione delle infrastrutture di mercato e
ne stanno quindi promuovendo la diffusione. Difatti il buon
funzionamento del mercato bancario è essenziale per lo sviluppo
economico di ogni paese e la diffusione delle agenzie di rating può
migliorare la solidità dei sistemi finanziari, riducendo il costo del
processo informativo e il costo dell’attività di monitoraggio dei
soggetti che partecipano al mercato obbligazionario.
85
Tavola 8: Caratteristiche principali delle tre maggiori agenzie di rating
Moody's
Reddito annuo
S&P
Fitch IBCA
$ 602.000.000
$260 milioni
70% generato negli USA
90%
deriva
dalla
valutazione di obbligazioni
Reddito annuo netto
$ 158.000.000
Attività
$ 300.000.000
Dipendenti
1.500
Copertura
$ 30 trilioni in emissioni $11 trilioni in emissioni 1.600
obbligazionarie
suddivise:
emissioni
1.200
1.100
così obbligazionarie
così finanziarie, 1.000 aziende,
143.000 suddivise: 38.000 emissioni 17.000
aziendali, aziendali,
istituzioni
obbligazioni
sovrane, municipali americane, 700
governative, enti pubblici e municipali e governative
compagnie assicurative e
più di 100 Sovrani
69 Sovrani
100 Nazioni, uffici presenti 86 Nazioni, uffici in 16 Paesi 75 Nazioni, uffici presenti
in 14 Paesi
in 16 Paesi
Fonte: White L.J. (2001), op. cit.
Tale processo deve però tenere in considerazione che le agenzie non
possono produrre, in questi mercati, i benefici economici che
producono nel mercato USA dove da circa un secolo emettono rating
e le loro metodologie sono ampiamente testate. In questi mercati,
relativamente nuovi e poco sviluppati, il rating deve essere
considerato come uno dei tanti strumenti per valutare la solidità di una
banca o di una impresa e non l’unico. Le recenti crisi hanno
evidenziato come le agenzie di rating abbiano ancora molto da
imparare nella valutazione di Enti sovrani e imprese che operano nei
mercati emergenti.
86
Inoltre le “joint ventures” tra le prime tre agenzie del mercato e le
agenzie con sede nei mercati emergenti possono sollevare dubbi
sull’esistenza di conflitti d’interesse visto che molte di queste piccole
agenzie sono possedute da istituzioni coinvolte nel processo
d’intermediazione finanziaria nei mercati locali 55 .
3.II.1 IL GRADO DI CONCENTRAZIONE DELL’OFFERTA DI
RATING
Le spiegazioni della bassa concorrenza nel mercato del rating,
testimoniata dal numero limitato di operatori, possono essere di
diverso tipo. La scarsa presenza delle agenzie di rating fuori dagli
USA può essere motivata dallo sviluppo ancora limitato del mercato
obbligazionario in questi paesi rispetto al mercato USA e quindi da un
minor bisogno di istituzioni specializzate che emettano uno strumento
capace di aiutare l’investitore a stimare il rischio dell’investimento.
Questa motivazione sembra però dare solo una risposta parziale al
problema, vista l’importanza internazionale che da tempo molti
mercati obbligazionari europei hanno assunto, come ad esempio il
mercato di Londra.
Invece l’esiguo numero di agenzie di rating sul mercato americano ha
motivazioni storiche più radicali. Nel 1975 la SEC ha costituito
un’organizzazione, la “NRSRO”, che raggruppa le agenzie di rating
riconosciute a livello nazionale. Fecero subito parte di questa
organizzazione la Moody’s, S&P, Fitch. In seguito, furono designate
anche la Duff & Phelps, McCarthy, Crisanti & Maffei, IBCA e la
55
Roy C. Smith and Ingo Walter, (2001), Rating Agencies: Is There an Agency Issue? Stern
School of Business, New York University, www1.worldbanck.org.
87
Thomson BankWatch per quanto riguarda le banche e le istituzioni
finanziarie. L’ultima designazione avvenne nel 1992, da allora la SEC
non ha concesso a nessuna altra azienda il riconoscimento “d’interesse
nazionale”, nonostante le numerose candidature di aziende americane
e internazionali. Questo crea delle barriere all’entrata
che non
derivano dal complesso processo d’investimento di risorse finanziarie
in attività tecnologiche, produttive, commerciali ed organizzative
sostenuto dalle imprese esistenti sul mercato al fine di migliorare la
propria capacità competitiva 56 . Al contrario queste barriere derivano
da una fonte esterna al mercato, cioè la disciplina finanziaria USA.
Un altro punto di vista interessente, che ci consente di spiegare il
limitato numero di aziende del settore del rating in USA anche prima
della costituzione del “NRSRO”, è basato sull’importanza della
reputazione aziendale in questa attività. La reputazione delle agenzie
di rating è data dalla sommatoria di tutti i giudizi che gli operatoti
economici hanno dato su ogni valutazione emessa dall’agenzia. Tanto
più lunga sarà la storia dell’agenzia e la sua provata abilità ad emettere
valutazioni accurate, tanto maggiori saranno i giudizi positivi degli
operatori, tanto più solida sarà la reputazione dell’agenzia. Inoltre, una
valutazione errata sembra ridurre la reputazione più di quanto la può
aumentare una valutazione corretta. Spesso gli economisti sostengono
che gli operatori hanno la memoria corta, nel senso che attribuiscono
più peso agli errori commessi dai policy makers rispetto al peso
attribuito alle azioni corrette compiute da questi ultimi. Insomma, la
reputazione si costruisce nel tempo e basta anche solo un errore
perché venga compromessa in modo grave 57 . E’ per questo motivo che
la sopravvivenza di iniziative nuove o minori è minacciata dalla
56
57
Rispoli M., (1997), L’impresa industriale, il Mulino.
Acocella N. (1997), Fondamenti di politica economica, NIS.
88
penetrazione sul mercato delle agenzie più affermate e dalla diffidenza
dei potenziali clienti.
Per le agenzie che valutano il rischio di default di un’emittente, la
tentazione di comportarsi in modo opportunistico è molto elevata.
Difatti una azienda potrebbe essere disposta a pagare una
commissione più alta pur di avere un rating elevato oppure le agenzie
stesse potrebbero minacciare le aziende emettendo un rating non
richiesto (unsolicited rating), quindi gratuito, più basso del rating
richiesto, quindi a pagamento 58 .
Vista la loro importanza, le agenzie di rating sono controllate degli
organi preposti alla vigilanza dei mercati finanziari nazionali come la
SEC per il mercato americano e la FSA per quello britannico, al fine
di scoraggiare comportamenti sleali. Un provvedimento disciplinare
preso dalla SEC nei confronti di un’agenzia di rating sarebbe molto
dannoso per la reputazione dell’agenzia e per la diffusione futura delle
sue valutazioni. Questa preoccupazione scoraggia le agenzie ad
assumere comportamenti opportunistici o ad assecondare forme di
moral hazard nel settore.
La difesa della reputazione sembra avere anche dei riflessi sulla
gestione del personale da parte delle agenzie. I loro analisti possono
ricevere delle pressioni politiche ed economiche al fine di emettere
giudizi positivi sull’impresa o sull’Ente sovrano che stanno valutando;
per questo motivo gli analisti sono ben remunerati e seguono un
processo di formazione basato su principi morali molto rigorosi.
Nell’archivio tenuto dalla SEC, Moody’s elenca i rischi relativi alla
sua attività sottolineando che il suo successo deriva proprio dalla
58
Figlewski S. e White L.J., (1995), Orange County: Don't Blame Derivatives, Stern Business, pp.
30-35. Come verrà specificato nei paragrafi successive, le agenzie possono valutare gratuitamente
anche emittenti che non richiedano esplicitamente un valutazione.
89
capacità di mantenere alta la propria reputazione ed emettere
valutazione sempre indipendenti 59 .
Un ultimo aspetto meritevole di considerazione sull’offerta di rating è
la visione dei consumatori. Ovviamente per consumatore intendiamo
gli utilizzatori del rating e cioè gli emittenti di prestiti obbligazionari e
gli investitori 60 . I primi sono favorevoli all’ingresso di nuove agenzie
nel mercato per ridurre i costi del servizio e migliorare il processo di
valutazione del rischio di credito. Gli investitori, al contrario, vista la
loro specializzazione nello sviluppo di metodologie interne per la
valutazione del rischio delle attività finanziarie, sono contrari
all’ingresso di nuove agenzie sul mercato. Difatti l’emissione di molti
rating per uno stesso titolo complicherebbe notevolmente il processo
di comparazione delle valutazioni e l’uso dei rating da parte della
disciplina finanziaria.
Anche Cantor e Packer 61 sottolineano come le agenzie abbiano delle
scale di valutazione molto diverse per esprimere i loro giudizi. Ogni
variazione normale di opinioni tra le agenzie con scale di valutazione
diverse crea confusione nell’uso dei rating da parte della disciplina
finanziaria e nelle scelte di portafoglio. Questo problema si aggrava
con l’aumentare delle agenzie e delle differenze nella modalità
d’emissione dei giudizi.
A nostro avviso, però, il problema di facilità d’utilizzo dei rating non
può ostacolare il processo di formazione di un mercato concorrenziale
del rating e può essere facilmente risolto con l’adozione, da parte delle
59
Smith R.C. e Ingo W., (2001), op. cit.
How Do Bond Issuers and Investors View Credit Rating Agencies? No author, working paper
submitted for journal publication, 2000.
61
Cantor R. e Packer F., (1995), The Credit Rating Industry, Journal of Fixed Income.
60
90
agenzie, di una scala di valutazione unica che consenta di paragonare i
rating emessi da tutte le agenzie in modo facile ed immediato.
3.III IL RATING: FUNZIONI E PREZZO
Il rating può essere definito come un simbolo che sintetizza la
valutazione - da parte delle agenzie specializzate - del rischio
d'insolvenza di un debitore, o, più precisamente, della capacità del
debitore di pagare puntualmente interessi e capitale di uno specifico
debito o di una categoria di debiti. Infatti, a seconda del grado di
protezione accordato al creditore, dalle specifiche caratteristiche
contrattuali, a debiti diversi di un medesimo debitore possono essere
assegnati rating diversi (issue rating), avendo peraltro sempre come
riferimento il grado di affidabilità complessiva del debitore (issuer
rating). Una distinzione basilare nei rating assegnati ai titoli emessi da
un medesimo soggetto riguarda la durata del debito. Le agenzie di
rating
assegnano
infatti
due
distinte
tipologie
di
rating,
rispettivamente, al debito a breve termine ossia avente durata non
superiore all'anno (short-term rating) e al debito a medio-lungo
termine (long-term rating). La funzione di questo indicatore è la
valutazione sintetica del rischio di credito e non può, e non vuole,
essere un consiglio d’investimento in base alla redditività del titolo.
Inoltre le agenzie specializzate effettuano una continua attività di
monitoraggio che, attraverso le variazioni del livello di rating
assegnato, consente di analizzare la variazione del rischio nel tempo.
L’utilizzo di questi indici sintetici di solvibilità è ormai diffusa su tutti
i mercati finanziari dove è possibile collocare con successo un titolo di
91
nuova emissione solo se accompagnato da un rating elevato. Un
fattore determinante per la diffusione dei rating è la relativa semplicità
d’interpretazione: ogni simbolo è connesso univocamente ad un
giudizio sulla capacità di rimborso del debitore. Il suo ruolo assume
quindi due caratteristiche essenziali per l’efficienza e il buon
funzionamento del mercato: valutazione del rischio e informazione al
mercato.
Moody’s e S&P sono obbligate a pubblicare, sul registro tenuto dalla
SEC, ogni valutazione emessa, indipendentemente dalla volontà del
richiedente. Se l’emittente non richiede il rating allora le agenzie
valuteranno
l’azienda
solo
con
le
informazioni
reperibili
pubblicamente ed emetteranno un giudizio definito “unsolicited
rating”, se invece l’emittente richiede esplicitamente una valutazione
dovrà pagare una commissione e consentirà all’agenzia di accedere ad
informazioni riservate organizzando degli incontri tra gli analisti
dell’agenzia e i manager della società. Moody’s e S&P hanno lo stesso
listino prezzi per le emissioni di rating: 3,25 punti base del valore
nominale del debito sulle emissioni fino a $500 milioni con una
commissione minima di $25.000 e un massimo di $125.000 per S&P e
$130.000 per Moody’s. Per entrambe la commissione aumenta dei 2
punti base se l’emissione supera i $500 milioni. I listini però non sono
rigidi: ci sono sconti speciali per clienti abituali, emissioni multiple e
particolari condizioni per la valutazione delle commercial paper 62 .
S&P valuta solo su richiesta i titoli collocati in forma privata tramite
intermediari finanziari, i certificati di deposito garantiti, quelli non
62
Si tratta di titoli di credito al portatore a breve termine (generalmente con scadenza inferiore ai
sei mesi) consistenti in una promessa di pagamento non garantita, emessi dalle imprese e collocati
sui mercati.
92
garantiti ma emessi da banche non-Usa e i finanziamenti con
copertura ipotecaria.
La Fitch IBCA emette rating solo su richiesta e per ogni tipo di
emissione. Per quanto riguarda la valutazione delle obbligazioni
aziendali, l’agenzia emette dei giudizi ogni qual volta si verifica una
differenza sostanziale tra il rating emesso da Moody’s e quello emesso
da S&P. Inoltre, la Fitch non rende pubblico il rating emesso senza
l’autorizzazione del richiedente. La struttura dei pagamenti di questa
agenzia è simile a quella di Moody’s e S&P, ma, vista la sua minor
importanza, la commissione è leggermente inferiore: 0,025%.
A giudizio di White 63 , Moody's e S&P, insieme potrebbero richiedere
commissioni ancora più elevate visto il carattere oligopolistico del
mercato. Se la domanda di rating è una classica curva di domanda, ad
un alto livello di prezzo (commissioni) solo poche imprese faranno
richiesta di rating, mentre in corrispondenza di un basso livello di
prezzo ci sarà un elevato numero di imprese che ne faranno richiesta.
Moody's e S&P, avrebbero, quindi, la possibilità di aumentare i loro
profitti aumentando il prezzo/commissioni dei rating perdendo dei
clienti fino ad arrivare al punto di massimizzazione dei profitti fissato
dalla teoria del monopolio. L’equilibrio in questo punto non influisce
sull’impegno da parte delle agenzie di valutare tutte le emissioni, su
richiesta o meno. Sotto questo impegno i costi dell’emissione del
rating sono fissi e gli unici costi marginali importanti sono i costi
aggiuntivi che l’agenzia incontra nelle transazioni con il richiedente.
Le motivazioni che le spingono a richiedere commissioni non troppo
elevate sono principalmente quattro.
63
White L.J., (2001), op. cit.
93
Come prima cosa ci potrebbe essere un punto angoloso sulla curva di
domanda dove il prezzo pagato compensa appena la riduzione nei
costi di emissioni. Ma questo punto angoloso potrebbe essere presente
per tutte le emissioni o solo sopra i 3,25 punti base, seguendo il
modello dei pagamenti descritto prima (siamo in presenza di una
curva di domanda ad angolo).
Secondo, gli operatori oligopolistici, in un mercato alla Bertrand,
potrebbero pensare che se iniziassero un politica di aumento dei prezzi
che non viene seguita dai rivali, i loro clienti potrebbero diminuire,
cioè di fronte ad una non cooperazione dei rivali la curva di domanda
potrebbe essere molto elastica.
Terzo, il listino prezzi descritto sopra potrebbe essere praticato solo a
poche aziende e per le altre la commissione potrebbe essere trattata
direttamente con l’emittente attuando una discriminazione di prezzo
del primo tipo che potrebbe produrre una massimizzazione dei redditi
con il risultato che tutti i compratori rimangono sul mercato.
Quarto, a condizione che le agenzie di rating continuino ad impegnarsi
a valutare tutte le richieste di rating, sollecitate o meno, potrebbe
essere imbarazzante per le agenzie stesse vedere molte emittenti non
richiedere più le loro valutazioni a causa dell’alto prezzo. La caduta
della domanda di rating sollecitati fa crescere in proporzione i rating
emessi non sollecitati ma questo danneggerebbe la reputazione delle
agenzie perché i rating non sollecitati sono spesso considerati poco
affidabili.
Per quanto riguarda l’andamento dei rating, ricerche recenti condotte
dalla BRI 64 dimostrano come i rating assegnati da Moody’s e S&P
siano molto correlati. Per le emissioni di qualità medio-bassa i giudizi
64
Bank for International Settlements, (2000), Credit Ratings and Complementary Sources of
Credit Quality Information, www.bis.org.
94
di Moody’s e S&P sono sistematicamente inferiori a quelli emessi
dalla piccole agenzie di valutazione nazionali (più soggette a influenze
da parte dell’establishment politico-economico-finanziario locale),
mentre per le emissioni di alta qualità questa differenza tende a
scomparire. Altre ricerche 65 dimostrano come le aziende che
ottengono valutazioni da Fitch IBCA ricevano valutazioni più alte da
Moody’s e S&P rispetto alle aziende che non ricevono una
valutazione dalla terza agenzia del settore. Infine le imprese che
ottengono una valutazione dalle tre agenzie sulla stessa emissione
sembrano beneficiare di una maggiore stabilità del livello del rating e
hanno, inoltre, una maggiore probabilità di ricevere un upgrade.
3.IV LE PERFORMANCE DEL SETTORE DEL RATING
Un regime di mercato oligopolistico è caratterizzato da un numero
limitate di imprese che costituiscono l’offerta, da un profitto che
supera il costo–opportunità del mercato e da una perdita in termini
sociali, ai danni del consumatore, dovuta alla disuguaglianza del
prezzo con il costo marginale sopportato dall’imprenditore per
produrre il bene o il servizio. Inoltre la perdita sociale aumenta se le
imprese oligopolistiche formano dei cartelli comportandosi in modo
collusivo. L’analisi dell’offerta del settore del rating ha evidenziato
come questo sia fortemente concentrato e che i giudizi sugli emittenti
più importanti vengano variati quasi simultaneamente dalle due
maggiori agenzie. L’analisi dei profitti rafforza l’ipotesi di un
eccessivo potere di mercato da parte delle agenzie di rating, anche se
65
Jeff J. e Livingston M., (1999), A Comparison of Bond Ratings from Moody’s, S&P and Fitch
IBCA, Financial Markets, Institutions and Instruments, Vol. 8, No. 4.
95
questa verifica può essere effettuata solo per Moody’s e limitatamente
agli ultimi sei anni.
Come appare evidente dalla tavola 9, il ritorno sul capitale investito è
sbalorditivo e lascia presagire un elevato potere di mercato da parte di
Moody’s. Il rapporto tra profitti netti sul totale di attività oscilla tra il
28% e il 55%. Con una media sui sei anni del 44%. L’esistenza di
extra–profitto in questo mercato sembra essere testimoniata anche
dall’analisi dei listini delle agenzie. Le commissioni, come si
ricorderà, sono uniformi fino ad un valore nominale del debito
inferiore a $500 milioni, oltre questa soglia aumenta di 2 punti base.
Appare improbabile che emissioni di grandi importi implichino
regolarmente costi di valutazione maggiori.
Un altro elemento d’analisi importante per evidenziare l’esistenza di
un potere di mercato è il grado d’innovazione del settore. Nei mercati
competitivi questo è molto elevato, spinto dalla concorrenza tre le
imprese produttive al fine di aumentare la loro quota di mercato
attraverso l’offerta di prodotti e servizi sempre migliori 66 . Risulta
altresì difficile individuare degli standard assoluti con i quali
confrontare il grado di innovazione di un’azienda e questo è ancora
più vero per le aziende di rating. Possiamo comunque identificare
l’innovazione in questo settore come l’espansione delle valutazioni su
strumenti non tradizionali e l’emissione di rating sempre più accurati e
precisi. Questo processo sembra essere stato portato avanti sempre
dalle piccole agenzie di rating, seguite poi dalle agenzie che dominano
il mercato 67 . Ciò testimonia che anche in questo settore la concorrenza
può produrre i suoi classici effetti positivi.
66
67
Rispoli M., (1997), op. cit.
Cantor R. e Packer F., (1995), op.cit.
96
Infine, l’ultimo aspetto settoriale che ci preme sottolineare è
l’efficienza del settore.
Tavola 9: Alcuni dati finanziari di Moody’s dal 1995 al 2000
2000
RICAVI
1999
1998
1997
1996
1995
$602.3 $564.2 $495.5 $423.1 $349.7 $300
REDDITO
OPERATIVO
$288.5 $270.4 $221.3 $184.2 $126.6 $115
REDDITO NETTO $158.5 $150.5 $132.0 $122.4 $73.1
ATTIVITA'
$82
$398.3 $274.8 $296.2 $260.5 $264.4 $217
INDEBITAMENTO
L/T
$300.0
–
–
–
–
RAPPORTO
R.N./ATTIVITA'
MEDIA 95-00
39% 54,90% 44,60% 47% 27,60% 40,50%
44%
Fonte: www.moodys.com
In presenza di un elevato potere di mercato delle agenzie, è quindi
lecito chiedersi se la struttura attuale del settore contribuisca in modo
ottimale a migliorare l’efficienza del mercato obbligazionario.
Sappiamo che un alto rating è sinonimo di bassa probabilità di default
e viceversa. Il rating, però, potrebbe essere semplicemente il riflesso
del mutamento delle condizioni finanziarie del mercato (per esempio
la variazione del differenziale di tassi d’interesse tra obbligazioni
97
aziendali e titoli governativi), piuttosto che un’informazione
aggiuntiva al mercato.
E’ una buona analisi, invece, verificare se un cambiamento del rating
provoca variazioni sui mercati finanziari, ovvero se le variazioni dei
giudizi trasmettono una nuova informazione al mercato, oppure li
lascia invariati, cioè il mercato conosce gia il motivo alla base del
cambiamento del rating e lo ha gia scontato nella valutazioni dei titoli.
Testimonianze recenti evidenziano che i cambiamenti del rating
portano nuove informazioni al mercato, attraverso la variazione nella
valutazione dei titoli. Quindi, in prima analisi sembra che le agenzie
possano aumentare l’efficienza del mercato. Il problema però e
verificare se queste informazioni sono accurate e comunicate
tempestivamente da parte delle agenzie e se questo è verificato anche
nei mercati dove i limiti organizzativo-regolamentari e la mancanza di
trasparenza possono ostacolare il buon funzionamento del mercato.
Abbiamo in precedenza evidenziato come il comportamento delle
agenzie di rating sia stato prociclico nelle recenti crisi finanziarie,
causando notevoli distorsioni sul mercato dei capitali. Inoltre, vista la
disciplina finanziaria USA, l’informazione aggiuntiva comunicata al
mercato da parte delle agenzie potrebbe essere solo un’indicazione
legale sul tipo di trattamento che deve essere applicato all’impresa,
che subisce una variazione del rating, e non un’indicazione
finanziaria. Questa situazione potrebbe essere accentuata qualora la
proposta
del
comitato
di
Basilea
venisse
applicata,
perché
stimolerebbe l’utilizzo dei rating da parte della disciplina finanziaria
internazionale senza risolvere il problema delle barriere all’entrata in
questo mercato, di fatto concentrando la richiesta di rating verso le tre
98
agenzie che dominano il mercato, con la conseguenza di aumentare il
potere di mercato e politico in possesso di queste imprese.
3.V
LA
REGOLAMENTAZIONE
FINANZIARIA
STATUNITENSE E LA PROPOSTA DI BASILEA
Nell’ultima proposta formulata dal Comitato di Basilea non vengono
stabiliti i criteri per l’individuazione delle agenzie di rating, i cui
giudizi hanno riflessi sulla regolamentazione prudenziale, viene
stabilito
solo
un
generico
riferimento
alla
caratteristica
di
“internationally recognized”. In pratica, come detto, le uniche agenzie
che hanno una statura e un riconoscimento internazionali sono
Moody’s, S&P e Fitch IBCA; di conseguenza, è legittimo presumere
che la domanda di rating aggiuntiva prodotta dalla riforma
regolamentare di Basilea sarà notevole e si rivolgerà verso queste
aziende.
Analizzando lo schema logico della proposta, le somiglianze con i
problemi dell’ordinamento finanziario USA, attuato dalla SEC, sono
due. Il primo riguarda la spinta alla domanda di rating che proviene
dalla regolamentazione e non dai partecipanti al mercato, sulla base di
valutazioni sull’operato e sull’efficienza di ogni singola agenzia (in
proposito ricordiamo la visione critica di Partnoy 68 ). L’effetto di
questa proposta potrebbe essere quello di creare una domanda di
rating superiore rispetto a quella che si avrebbe in sua assenza. Il
secondo riguarda l’esistenza di barriere all’entrata che impediscono la
creazione di un mercato concorrenziale in questo settore. Il comitato
68
Partnoy F., (1999), op. cit.
99
di Basilea dovrebbe costituire un organo che abbia il compito di
certificare le agenzie di rating, che emettono giudizi utilizzati dalla
disciplina, e stabilire i criteri da seguire nel processo di certificazione.
In assenza di un organo che certifichi le competenze delle agenzie di
rating, la nascita di agenzie di rating di “bassa qualità”, e quindi
disposte ad emettere un giudizio alto in cambio di una commissione
maggiore, potrebbe minare la stabilità di una regolamentazione basata
sull’utilizzo dei rating.
Secondo White 69 , esiste comunque un’alternativa migliore: la
regolamentazione prudenziale potrebbe limitare gli investimenti
rischiosi, da parte delle istituzioni finanziarie, utilizzando le
informazioni fornite dal mercato. Ad esempio, specificando
direttamente i limiti alla proprietà delle azioni, basando i requisiti
patrimoniali
sui
differenziali
di
rendimento
piuttosto
che
indirettamente attraverso i rating (questo è stato proposto da Partnoy,
il quale sostiene che, qualora i differenziali di rendimento non fossero
sufficienti a determinare i requisiti patrimoniali, si potrebbe utilizzare
la volatilità del prezzo come criterio aggiuntivo). La caratteristica più
importante di questa proposta è che essa definisce la rischiosità
dell’attività sulla base di informazioni fornite dal mercato e non la
delega ai giudizi emessi da agenzie esterne di valutazione. Senza i
rating come pilastro della regolamentazione finanziaria il comitato di
Basilea, e quindi anche la SEC, non dovrebbero certificare le agenzie
che fanno parte del “NRSRO”, inoltre il destino delle aziende di rating
– quelle presenti sul mercato e quelle che vogliono entrare - sarebbe
lasciato alla valutazione espressa dal mercato. I partecipanti al
mercato finanziario potrebbero decidere se, e quale, agenzia di rating
69
White L.J., (2001), op.cit.
100
fornisca
l’aiuto
migliore
nel
problema
delle
informazioni
asimmetriche giustificando così i costi sociali e le commissioni pagate
alle agenzie. Se la regolamentazione finanziaria vuole continuare a
delegare alle agenzie di rating la determinazione dei requisiti
patrimoniali delle istituzioni creditizie, allora qualche organizzazione
internazionale dovrà certificare la competenza di ogni agenzie di
rating e stabilire dei criteri equi per l’assegnazione del titolo di
“riconoscimento internazionale”. In particolare in USA nel 1997 è
stata proposta una regolamentazione per la formalizzazione dei criteri
per la designazione e il monitoraggio delle agenzie appartenenti
“NRSRO”.
Le caratteristiche che un azienda di rating deve avere per diventare
“NRSRO” sono:
1) Riconoscimento nazionale, cioè che le società di rating siano
riconosciute come organizzazioni che distribuiscono rating
credibili e attendibili.
2) Staff adeguato, risorse finanziarie e una struttura organizzativa
che assicurino loro di poter svolgere in modo adeguato il ruolo
scritto nel punto 1, includendo la capacità di operare in modo
indipendente dalle pressioni economiche o dal controllo delle
società che valutano e un sufficiente numero di dipendenti
qualificati in termini di esperienza e competenza nella
valutazione del rischio di credito.
3) Utilizzo di procedure di rating standardizzate che garantiscano
l’emissione di rating credibili e precisi.
4) Estensione dei contatti con il management dell’emittente e
accesso ai livelli direttivi più alti per ottenere delle informazioni
riservate.
101
La SEC non ha approvato ancora tale regolamento. Nel frattempo
comunque
l’effetto
limitativo
sulla
domanda
della
mancata
ammissione di altre agenzie nel “NRSRO” e l’espansione dell’utilizzo
dei rating ai fini disciplinativi genera notevoli distorsioni.
Non sorprende quindi che Moody’s possa conseguire profitti notevoli
in questo settore.
I criteri proposti dal comitato di Basilea per l’individuazione delle
agenzie di rating il cui output abbia riflessi sulla disciplina finanziaria
sono molto simili a quelli sopra elencati 70 .
Il primo criterio sembra però assicurato alle tre grandi agenzie di
rating USA indipendentemente dal loro operato, perché se è vero che
in caso di errori e comportamenti sleali le agenzie che fanno parte del
“NRSRO” possono essere escluse dall’organizzazione, è altrettanto
vero che in questo contesto caratterizzato da sole tre ditte di
valutazione che emettono i rating guida della regolamentazione a
fronte di una domanda notevole di rating, la nomina di
“riconoscimento nazionale” è garantita alle tre agenzie. I rimanenti 4
criteri (adeguate risorse, procedure metodiche, adeguate conoscenze e
procedure interne) sono misure di input e non di output. Piccole
aziende o aziende con innovative tecnologie di valutazione potrebbero
essere svantaggiate qualora la loro candidatura alla nomina di
“riconoscimento internazionale” venisse esaminata alla luce di criteri
che privilegiano la storia della società piuttosto che l’efficienza dei
giudizi emessi. Sembra quindi opportuna una modifica dei criteri di
designazione che focalizzi l’attenzione sulla valutazione dell’output
delle agenzie al fine di stimolare un processo concorrenziale atto ad
70
BIS, Basel Committee on Banking Supervision, (2001), The Standardised Approach to Credit
Risk, supporting document to the new Basel capital accord, www.bis.org.
102
assicurare un grado di efficienza necessario per la stabilità del sistema
bancario internazionale.
103
4
4.I
ANALISI EMPIRICA
INTRODUZIONE
La struttura oligopolistica del settore del industriale del rating causa
un surplus del produttore a scapito del consumatore che implica un
maggior costo di emettere passività. Abbiamo quindi un problema
distributivo indipendente dalla qualità dell’output, che però, non crea
effetti distorsivi. Questi invece sono provocati da un sottoinvestimento
nella raccolta di informazioni per l’emissione dei rating. Non abbiamo
benchmark di riferimento precisi per determinare il livello ottimale di
investimento che le agenzie debbano compiere, ma abbiamo due
indizi: 1, comportamento prociclico 2, analisi cross – action tra paesi
diversi con livelli di reddito e disciplina diversa.
La nostra ipotesi è che i giudizi emessi dalle agenzie di rating su
emittenti che operano nei PVS non sia basati su informazioni
riservate, come invece avviene nei paesi industrializzati, ma bensì su
informazioni pubbliche, e quindi non apportano delle nuove
informazioni al mercato. La motivazione è che in questi mercati il
processo di raccolta è molto più costoso per i problemi di trasparenza,
efficienza, spessore, lacune delle disciplina legale e finanziaria.
Da queste premesse emerge la necessità di un investimento maggiore
nella raccolta di informazioni al fine di emettere un giudizio che
aumenti il grado di efficienza del mercato finanziario nei PVS.
104
4.II
ELABORAZIONE DELLA METODOLOGIA
Vogliamo quindi elaborare una metodologia che stabilisca quanto le
agenzie di rating investono nella raccolta di informazioni sui debitori.
La variabile che qui approssima l’investimento effettuato dall’agenzia
in raccolta ed elaborazione delle informazioni sui debitori, sui quali
l’agenzia stessa emette il rating, è costituita dalle unità-analista (in
sigla UNIANA) dedicato a quel debitore. Nel calcolo di questo
indicatore, ci si rivolge ai soli rating –Sovrani e di imprese non
finanziarie– riferiti a debitori di tutti i paesi eccetto gli Stati Uniti.
Tale scelta deriva da due considerazioni. In primo luogo, il fatto che
l’attività di rating nei confronti degli USA è incommensurabilmente
più sviluppata che nei confronti del resto del mondo. Inoltre, dal fatto
che nelle agenzie, l’attività di rating USA e quella nei confronti del
resto del mondo sono largamente segmentate e, dunque, gli analisti
impegnati sul secondo segmento normalmente non lavorano sul primo
e viceversa.
In pratica, per il calcolo di UNIANA si procede nel modo seguente.
La fonte dei dati è l’archivio on line di Moody’s 71 , consultato da
gennaio a maggio 2001, che per ciascun rating emesso dall’agenzia,
oltre al valore del rating riporta anche il nome degli analisti
(generalmente due) responsabili di quel rating. Si tiene poi conto del
fatto che uno stesso analista è di solito responsabile di un certo
numero di rating (e non di uno solo). Pertanto, il tempo medio che
ciascun analista dedica ai rating di cui è responsabile è funzione
decrescente del numero di rating di cui questi è responsabile. Quindi,
per quantificare questo tempo medio, conta su quante imprese
71
www.moodys.com
105
(debitori sovrani; di solito gli analisti dei rating sovrani non si
occupano dei rating di impresa e viceversa) è impegnato ciascun
analista. Assumendo che ciascun analista j distribuisca il suo tempo
uniformemente tra le nj imprese (sovrani) di cui è responsabile e
considerando che più di un analista può essere responsabile
dell’impresa (del Sovrano) i, si calcola l’impegno di analisti totale
profuso da Moody’s per ciascuna impresa i come:
mi
UNIANAi = [∑ (1 / n i j )] / mi
j =1
ove mi è il numero totale di analisti responsabili dell’impresa (del
Sovrano) i e nij è il numero totale di imprese (sovrani) cui l’analista j
assegna un rating, essendo compreso nel numero anche il rating
relativo all’impresa (al Sovrano) i.
4.III VARIABILI DESCRITTIVE
Nel nostro campione riferito ai debitori sovrani, UNIANAi varia da un
minimo di 0,037 (cioè il Sovrano ottiene il rating da un solo analista
che è responsabile di 27 rating sovrani, ovvero da due analisti che
sono coinvolti nel rating, rispettivamente, di 14 e 13 sovrani, ovvero
da ogni altra combinazione equivalente) a un massimo di 0,133 (cioè
il Sovrano ottiene il rating da un solo analista che è responsabile di 7,5
rating sovrani, ovvero da due analisti che sono coinvolti nel rating,
rispettivamente, di 4 e 3,5 sovrani, ovvero da ogni altra combinazione
equivalente). Per i sovrani, i valori medio e mediano di UNIANAi
sono, rispettivamente, 0,084 (12 rating per analista) e 0,087 (11,5
rating per analista).
106
Nel nostro campione riferito ai rating di imprese non finanziarie,
invece, UNIANAi varia da un minimo di 0,002 (cioè l’impresa ottiene
il rating da un solo analista che è coinvolto in 500 rating d’impresa,
ovvero da altra combinazione equivalente di più analisti) a un
massimo di 2 (cioè l’impresa ottiene il rating da due analisti che sono
coinvolti esclusivamente nel rating di quell’impresa). Per le imprese, i
valori medio e mediano di UNIANAi sono, rispettivamente, 0,077 (13
rating per analista) e 0,042 (23,8 rating per analista).
L’idea di fondo è che quanto maggiore UNIANAi, tanto maggiore
l’investimento che Moody’s sta facendo nel raccogliere ed elaborare
informazioni sull’impresa (sul Sovrano) i e, quindi, UNIANAi
approssima il valore aggiunto creato da Moody’s per l’impresa (il
Sovrano) i rispetto a quanto su di essa (esso) è noto pubblicamente.
Naturalmente, UNIANAi è solo un’approssimazione. Basti pensare
che gli analisti possono essere più o meno capaci e più o meno esperti,
caratteristiche queste che ci è impossibile cogliere sulla base delle
informazioni disponibili sul sito web di Moody’s. E, in ogni caso, la
nostra approssimazione dovrebbe essere mediamente corretta.
Una dimensione importante per la nostra analisi è se vi siano
differenze sistematiche tra l’attività di rating dedicata alle imprese e
Sovrani di paesi avanzati (approssimati dal gruppo dei paesi OCSE) e
degli altri paesi (paesi non-OCSE). Ciò dipende, in primo luogo,
dall’aspettativa che la disponibilità e la qualità delle informazioni per i
paesi OCSE sia migliore rispetto ai non-OCSE. Ad esempio, un
importante contributo recente di La Porta, Lopez-de-Silanes, Shleifer
107
e Vishny (1998) 72 mette in luce come vi siano sostanziali differenze
tra paesi in termini di capacità di assicurare informazioni di qualità al
pubblico (accounting standards), nel grado di certezza del diritto
(rule of law) e di tutela dei creditori e come ciò abbia profonde
conseguenze
sullo sviluppo dei mercati finanziari. Questi due indicatori sono tra i
principali su cui si concentra il contributo in discorso. Ebbene, tra i 90
Figura 1. Qualità di informazioni contabili e di applicazione della legge
55,6
ACCOUNTING STANDARDS
67,2
53
RULE OF LAW
0,0
92,6
10,0
20,0
30,0
PAESI OCSE
40,0
50,0
60,0
70,0
80,0
90,0
100,0
PAESI NON OCSE
paesi che considereremo nell’analisi empirica che segue sui debitori
sovrani 73 , ambedue gli indicatori assumono valori decisamente
inferiori per i paesi non-OCSE rispetto a quelli OCSE (fig. 1).
72
La Porta, R., F. Lopez-de-Silanes, A. Shleifer e R.W. Vishny (1998), “Law and Finance”,
Journal of Political Economy 106, No. 6, 1113-55.
108
Figura
2.
Unità
di
analista
per
imprese
e
sovrani
(mediana)
0,071
IMPRESE
0,033
0,087
SOVRANI
0,094
0,000
0,010
0,020
0,030
PAESI OCSE
0,040
0,050
0,060
0,070
0,080
0,090
0,100
PAESI NON OCSE
Ciò ci induce ad aspettarci che, a parità di altre condizioni, le agenzie
dovrebbero investire più risorse nel formulare il rating di imprese e
sovrani nei paesi non-OCSE rispetto a quanto investono nei confronti
di debitori dei paesi OCSE. Nei paesi non-OCSE è maggiore sia il
bisogno di migliorare le informazioni che, quindi, il beneficio
potenziale di investire di più nella raccolta ed elaborazione di
informazione sui debitori. Prima di indagare tale questione in modo
più sistematico mediante l’analisi econometria, vediamo se, in effetti,
UNIANAi è più elevato nei paesi non-OCSE che in quelli OCSE.
73
Si tratta di: Argentina, Australia, Austria, Bahrain, Barbados, Belgio, Belize, Bolivia, Brasile,
Bulgaria, Canada, Cile, Cina, Colombia, Costa Rica, Cipro, Croazia, Repubblica Cecoslovacca,
Danimarca, Repubblica Dominicana, Ecuador, Egitto, El Salvador, Estonia, Fiji, Finlandia,
Francia, Germania, Grecia, Guatemala, Honduras, Hong Kong, Ungheria, Islanda, India,
Indonesia, Iran, Irlanda, Israele, Italia, Giamaica, Giappone, Giordania, Kazakistan, Corea del
Sud, Kuwait, Lettonia, Libano, Lituania, Malesia, Malta, Mauritius, Messico, Moldavia, Marocco,
Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Nicaragua, Norvegia, Pakistan, Panama, Papua Nuova Guinea,
Paraguay, Perù, Filippine, Polonia, Portogallo, Romania, Federazione Russa, Arabia Saudita,
Singapore, Repubblica Slovacca, Slovenia, Sud Africa, Spagna, Svezia, Svizzera, Taiwan,
Tailandia, Trinitad e Tobago, Tunisia, Turchia, Turkmenistan, Ucraina, Regno Unito, Emirati
Arabi Uniti, Uruguay, USA, Venezuela, Vietnam. Tuttavia, per i paesi sottolineati (in corsivo) non
si dispone di rating sovrano (d’impresa).
109
La figura 2 riporta i valori mediani di UNIANAi per imprese e sovrani
distintamente per i due gruppi di paesi.
l’investimento in termini di unità di analista è minore nei paesi nonOCSE che in quelli OCSE. Per i rating d’impresa, invece, l’aspettativa
che si investa di più nei paesi non-OCSE è confermata. Ma,
naturalmente, anche quest’ultima evidenza, pur andando nel senso
atteso, non è sufficiente a certificare che le agenzie di rating investono
“abbastanza” nei rating delle imprese dei paesi non-OCSE.
Figura 3. Rating numerico per imprese e sovrani (mediana)
45
65
IMPRESE
52,5
96,25
SOVRANI
0
10
20
30
PAESI OCSE
40
50
60
70
80
90
100
PAESI NON OCSE
Per i rating sovrani si trova che, contrariamente a quanto atteso,
Diamo, infine, uno sguardo al livello mediano del rating Sovrano e
d’impresa distinto tra i due gruppi di paesi. Per farlo, ricorriamo alla
conversione numerica dei rating secondo la scala presentata sopra, nel
110
capitolo 2. Come ci si poteva aspettare, sia i rating sovrani che quelli
d’impresa sono significativamente inferiori nei paesi non-OCSE che
in quelli OCSE (figura 3). La differenza tra rating mediani è più
marcata per i sovrani (52,5 contro 96,25) che per le imprese (45 contro
65). Questa evidenza induce a ritenere che vi sia un sample selection
bias, per cui nei paesi non-OCSE solo le migliori imprese effettuano
richiesta di un rating, richiesta che invece sarebbe assai più comune
nei paesi OCSE (anche ove si escludano gli USA).
È ora giunto il momento di approfondire l’analisi sul problema
mediante l’analisi econometrica multivariata. A questo ci si dedica nel
capitolo che segue.
111
5
ANALISI ECONOMETRICA MULTIVARIATA
5.I
INTRODUZIONE
Si è impostata l’analisi econometrica multivariata in modo distinto per
i rating sovrani e per quelli d’impresa 74 . Nel primo caso, si stimano
due equazioni: una di determinazione del rating in funzione di altre
variabili e di UNIANAi e un’altra che pone UNIANAi come variabile
dipendente in funzione di altre variabili esplicative. Per le imprese non
finanziarie si stima un’equazione di determinazione dei rating in
funzione di altre variabili e di UNIANAi. Ma vediamo nel dettaglio le
specificazioni e i principali risultati.
5.II
ANALISI DEI RATING SOVRANI
La prima equazione stimata per i rating sovrani è la seguente:
(1)
rati = β 0 + β1unisupi + β 2 popi + β 3 pili + β 4 pil 2 i + β 5 pilproi + β 6 supi + β 7 engli + β 8 disti + ε
ove, per il paese i, rat è il rating Sovrano, unisup è il rapporto tra
UNIANAi e la superficie del paese (in km2), pop è la popolazione del
paese (in milioni), pil è il prodotto interno lordo (in miliardi di $
correnti) e pil2 è il suo quadrato, pilpro è il PIL pro capite, sup è la
superficie del paese (in km2), engl è una variabile 0-1 che assume
valore uno per i paesi di lingua inglese e 0 per gli altri, dist è la
distanza (in km) dagli Stati Uniti.
74
Tutte le regressioni sono condotte col metodo dei Minimi Quadrati Ordinari e applicano la
correzione di White per l’eteroschedasticità.
112
Questa specificazione è motivata dalle seguenti considerazioni. In
primo luogo, ci si aspetta che il rating del paese ne rifletta i
fondamentali economici. Dunque, il rating dovrebbe essere più elevato
per paesi con più elevato pilpro. Anche la dimensione del paese
potrebbe avere un effetto positivo: questo aspetto viene colto da pop,
da pil e pil2 (il termine quadratico viene inserito perché ci si aspetta
una relazione non lineare), da sup. Ci si aspetta, inoltre, che dist ed
engl possano avere, rispettivamente, effetto negativo e positivo,
perché la prima variabile accresce i costi di transazione per la
determinazione del rating, mentre la seconda li riduce. Infine, la nostra
aspettativa è che al crescere dell’investimento da parte dell’agenzia
con riferimento alla dimensione del paese (unisup) il rating aumenti
perché si riduce l’asimmetria informativa.
Inoltre, in considerazione del fatto che il rating di un Sovrano
verosimilmente dipende anche dalla qualità delle informazioni in quel
paese, si è considerata una seconda specificazione che include la
variabile accounting standards, suggerita nel richiamato lavoro di La
Porta et al. (1998). Ovviamente, ci si aspetta che, a parità di altre
condizioni, il rating aumenti all’aumentare del valore di questa
variabile. La specificazione in questione è la seguente:
(1’) rati = β 0 + β1unisupi + β 2 pilproi + β 3 supi + β 4 engli + β 5 accounting i + ε
I risultati delle stime delle due specificazioni sono riportati nella
tavola 5.1. Si procede dalla specificazione generale a quella preferita
eliminando
i
regressori
non
statisticamente
significativi.
Concentrandoci sulle due specificazioni preferite, ambedue sono
contrassegnate da elevato potere esplicativo, come testimonia
l’elevato R2. Risulta poi che i rating sovrani dipendono positivamente
da pilpro e dal fatto che il paese sia di lingua inglese e calano
113
all’aumentare della dimensione del paese in termini di superficie. La
variabile di interesse per la nostra ipotesi risulta significativa e ha
segno positivo, indicando che, a parità di altre condizioni, i rating
sovrani crescono ove l’agenzia di rating allochi un numero maggiore
di unità-analista (scalato per la superficie del paese).
Riguardo alla specificazione (1’), vi sono alcune differenze degne di
rilievo rispetto a quella precedente. In primo luogo, il numero di
osservazioni disponibili si dimezza, perché nello studio di La Porta et
al. (1998) i valori della variabile accounting standards sono presentati
Tavola 5.1: Stima dell’equazione di determinazione dei rating sovrani (a)
variabile
Specif. (1) base
Spec. (1) preferita
Spec. (1’) base
Spec.
(1’)
preferita
Costante
Unisup
44,15947
43,12502
42,12119
39,64616
10,51***
17,52***
3,17***
3,15***
0,00008 4,43***
0,00008
0,00035
0,00036
3,72***
2,81***
2,80***
Pop
0,00004
0,01
-
-
-
Pil
0,00153
0,38
-
-
-
Pil2
-0,00000
-0,92
-
-
-
Pilpro
0,00202
0,00201
0,00152
0,00147
10,91***
14,30***
7,16***
7,40***
Sup
Engl
Dist
-0,00001
-
-0,00001
-
-0,00003
5,67***
4,75***
2,91***
9,24513
8,10276
3,39710
2,68***
2,58**
-0,00021
-
-
-
-
0,20363
-
-0,00003
2,85***
0,64
-
0,47
Accounting
-
0,87
0,26656
1,26
No. osservazioni
R
2
75
75
37
37
0,77
0,76
0,81
0,81
Statistica F
48,26
70,94
30,73
34,06
Prob > F
0,00
0,00
0,00
0,00
(a) Il primo valore si riferisce al coefficiente stimato, il secondo è la statistica t; ***, ** e *
indicano, rispettivamente, significatività statistica all’1%, al 5% e al 10%.
114
-
solo per alcuni dei paesi qui inclusi. In secondo luogo, la variabile eng
perde significatività.
Infine, anche escludendo eng, la variabile accounting esprime il segno
atteso ma non raggiunge la significatività statistica.
A questo punto, si è effettuato un secondo esercizio di regressione in
cui si stimano le determinanti delle unità-analista (stavolta preso in
valore assoluto e non più scalato per la superficie del paese). Anche in
questo caso, si sono considerate due specificazioni. In particolare la
seconda è caratterizzata per l’aggiunta della variabile accounting:
ovviamente ci si aspetta che Moody’s dovrebbe investire di più nei
paesi con più bassi accounting standards. In pratica, dunque, le due
specificazioni sono le seguenti:
(2) uniani = β 0 + β1 popi + β 2 pili + β 3 pil 2 i + β 4 pilproi + β 5 supi + β 6 engli + β 7 disti + ε
(2’)
uniani = β 0 + β1 popi + β 2 pili + β 3 pil 2 i + β 4 pilproi + β 5 supi + β 6 engli + β 7 disti + β 8 accountingi + ε
I risultati della prima stima indicano che Moody’s investe
proporzionalmente più unità-analista nei paesi con un pil più elevato e
in quelli di lingua inglese (tavola 5.2). I risultati della seconda stima
suggeriscono che, a parità di pil, Moody’s investe di più nei paesi più
distanti e di meno in quelli con una popolazione maggiore. Anche in
questo caso, il segno di accounting è quello atteso (positivo), ma non
si riscontra un legame statisticamente significativo.
Dunque,
i
risultati
sembrano
suggerire
che
un
aumento
dell’investimento in raccolta ed elaborazione delle informazioni sui
debitori Sovrani abbia effetti di innalzamento del loro rating. Dato
che, come si è visto, questo investimento è (sia pur di poco) inferiore
115
Tavola 5.2: Stima dell’equazione di determinazione delle unità di analisti
sui rating sovrani (a)
variabile
Specif. (2) base
Spec. (2) preferita
Specie. (2’) base
Spec.
(2’)
preferita
Costante
Pop
Pil
Pil2
Pilpro
0,07124
0,07615
0,05769
0,06248
15,23***
30,76***
3,25***
5,85***
-
-0,00002
0,00001
0,83
Dist
0,00002
0,00001
0,00001
4,92***
1,83*
2,13**
-0,00000
-
-0,00000
-
No. osservazioni
R
2
-0,00000
3,04***
4,78***
1,25
0,00000
-
-0,00000
-0,00000
-
-0,00000
1,59
-
-
-
-
-
-
0,78
-
-
-0,00000
0,45
0,01243
0,01507
-0,00271
1,68*
2,36**
0,18
0,00000
-
0,00000
0,00000
1,52
2,57**
0,00041
0,00022
1,36
1,23
0,64
Accounting
4,72***
3,03***
1,98*
Engl
-0,00002
0,00002
1,52
Sup
-
2,28**
-
-
88
90
40
40
0,22
0,19
0,24
0,23
Statistica F
6,15
15,34
3,41
6,46
Prob > F
0,00
0,00
0,01
0,00
(a) Il primo valore si riferisce al coefficiente stimato, il secondo è la statistica t; ***, ** e *
indicano, rispettivamente, significatività statistica all’1%, al 5% e al 10%.
nei paesi non-OCSE che in quelli OCSE, ne deriva che i paesi meno
sviluppati possono essere danneggiati da una situazione di
sottoinvestimento da parte delle agenzie di rating.
5.III ANALISI DEI RATING D’IMPRESA
La prima equazione stimata per i rating d’impresa è la seguente:
116
-
-
(3) frati = β 0 + β1sovrati + β 2 settorei + β 3uniani + ε
mentre, come sopra, la seconda equazione tiene conto anche degli
accounting standards:
(3’) frati = β 0 + β1sovrati + β 2 settorei + β 3uniani + β 4 accounting i + ε
La variabile dipendente (frat) è il rating individuale dell’impresa, che
viene regredito su: i) il contemporaneo rating Sovrano del paese
dell’impresa (sovrat); ii) una variabile di controllo per il settore di
appartenenza dell’impresa (settore); iii) il numero di unità-analista
impegnati nel rating dell’impresa (unian); iv) e, nella seconda
equazione, la variabile accounting. Ci si aspetta che il rating
dell’impresa dipenda in modo spiccato dal rating Sovrano del paese,
ma che tale dipendenza possa differire tra paesi, essendo forte nei
paesi non-OCSE e debole o assente nei paesi OCSE 75 . Al contrario, ci
si aspetta che le caratteristiche settoriali (che qui approssimano,
grossolanamente, la performance dell’impresa) contino di più nei
paesi OCSE che nei paesi non-OCSE. Inoltre, ci si aspetta che il
numero di unità-analista impegnate nel rating dell’impresa possa avere
un effetto soprattutto nei paesi caratterizzati da qualità inferiore delle
informazioni, vale a dire nei paesi non-OCSE. Infine, ci si aspetta che,
a parità di altre condizioni, il rating delle imprese sia più basso nei
paesi ove sono peggiori gli accounting standards.
Cosa ci dicono i risultati delle stime? Quelli relativi alla prima
equazione sono riportati nella tavola 5.3. Si stima dapprima l’intero
gruppo delle 631 imprese censite. Si trova conferma che i rating
d’impresa dipendono in misura importante e significativa dal rating
Sovrano (e dal settore di appartenenza): un aumento di 10 punti del
rating Sovrano (es. il passaggio da AA a AAA) si traduce mediamente
75
Ferri, Liu e Majnoni, (2001), op.cit.
117
in un aumento di 4 punti del rating d’impresa. La variabile unian non
risulta significativa e, anzi, esprime un segno negativo, contrario alle
attese.
Si stima poi l’equazione per il sottoinsieme delle 532 imprese
appartenenti a paesi OCSE. Le uniche due differenze degne di nota
rispetto alla regressione sulle 631 imprese totali sono date dal fatto
che: (i) la relazione tra rating d’impresa e Sovrano si indebolisce (il
coefficiente cala da 0,39 a 0,33 e la significatività statistica scende
dall’1% ad appena il 5%); (ii) unian esprime ora una relazione
negativa e significativa. Quest’ultima evidenza suggerisce che
l’intensificarsi dell’investimento informativo di Moody’s dà luogo a
un peggioramento del rating, ovvero esso viene presumibilmente
deliberato nei confronti di imprese “sorvegliate speciali”.
Si stima, infine, l’equazione per il sottoinsieme delle 99 imprese
appartenenti a paesi non-OCSE. I risultati sono, in questo caso, molto
interessanti. Vi sono quattro differenze importanti rispetto alla
regressione sulle 631 imprese totali: (i) la relazione tra rating
d’impresa e Sovrano si rafforza (il coefficiente sale da 0,39 a 0,86 e la
significatività statistica aumenta); (ii) il settore di appartenenza non
risulta più significativa nel determinare il rating d’impresa; (iii) la
bontà della regressione (misurata dall’R2) aumenta di un fattore 4
rispetto alla regressione sulle 631 imprese totali e di un fattore 20
rispetto alle imprese OCSE; (iv) contrariamente alle stime precedenti,
unian esprime ora una relazione positiva e significativa. Ciò indica
che un maggiore investimento informativo di Moody’s nei paesi nonOCSE dà luogo generalmente a un miglioramento del rating
dell’impresa, ovvero esso viene presumibilmente deliberato nei
118
confronti di imprese di cui si sa poco e che, normalmente, risultano
meritevoli.
Tavola 5.3: Stima dell’equazione di determinazione dei rating d’impresa:
specificazione 3 (a)
variabile
Tutti i paesi
Solo paesi OCSE
Solo paesi non-OCSE
Costante
22,52614
27,97408
1,29226
8,88***
1,78*
0,45
0,39033
0,33235
0,85979
12,42***
1,97**
15,71***
0,16991
0,18258
-0,27037
4,91***
5,32***
1,64
Sovrat
Settore
Unian
-5,66617
-
-11,16123
-
6,55750
1,32
1,74*
2,84***
631
532
99
R2
0,14
0,03
0,60
Statistica F
83,40
12,56
82,86
Prob > F
0,00
0,00
0,00
No.
osservazioni
(a) Il primo valore si riferisce al coefficiente stimato, il secondo è la statistica t; ***, ** e *
indicano, rispettivamente, significatività statistica all’1%, al 5% e al 10%.
Veniamo, infine, all’equazione che tiene conto anche degli accounting
standards. I risultati (riportati nella tavola 5.4) non mutano gran che.
La principale differenza che rileva ai nostri fini è che accounting
esprime un legame negativo e significativo con il rating d’impresa
solo nella regressione generale e in quella dei paesi OCSE, ma non in
quella dei paesi non-OCSE, ove, diversamente dalle altre due
regressioni, unian seguita ad avere un effetto positivo e significativo.
Nel loro complesso, i risultati riferiti ai rating d’impresa sono ancor
più suggestivi di quelli sui rating sovrani. Ne traspare che, in media, il
119
-
Tavola 5.4: Stima dell’equazione di determinazione dei rating d’impresa:
specificazione 3’ (a)
Variabile
Tutti i paesi
Solo paesi OCSE
Solo paesi non-OCSE
Costante
35,09159
15,10300
3,32171
5,90***
0,94
0,53
0,54838
0,94373
0,88819
9,49***
3,88***
8,99***
0,17542
0,18446
-0,31732
5,30***
5,79***
1,73*
Sovrat
Settore
Unian
-4,28295
-
0,96
Accounting
-0,38925
-10,33743
-
1,55
-
-0,63743
7,15416
2,86***
-
-0,06125
2,74***
3,23***
0,36
616
524
92
R2
0,16
0,06
0,59
Statistica F
71,07
14,23
54,26
Prob > F
0,00
0,00
0,00
No.
osservazioni
(a) Il primo valore si riferisce al coefficiente stimato, il secondo è la statistica t; ***, ** e *
indicano, rispettivamente, significatività statistica all’1%, al 5% e al 10%.
rating di un’impresa che ricevesse un analista esclusivamente dedicato
a essa salirebbe di 7 punti rispetto a quello di un’impresa che fosse
seguita da analisti che disperdono il loro lavoro su miriadi
d’imprese.In pratica, nel nostro campione per imprese non-OCSE,
unian varia da un minimo di 0,001 (per il 1° percentile) a un massimo
di 2 per il 99° percentile e, un’impresa che passasse dal primo al
secondo valore vedrebbe crescere il proprio rating di 14 punti: se si
trattasse dell’impresa con il rating mediano (45 nei paesi non-OCSE),
essa potrebbe perciò superare la soglia dell’investment grade grazie al
maggior investimento informativo da parte di Moody’s. Per
quest’impresa, riferendoci allo studio sulle obbligazioni emesse da
imprese USA citato sopra, le conseguenze benefiche in termini di
120
-
-
costo del debito sarebbero quantificabili in circa 2 punti di tasso
d’interesse.
Dunque, i nostri risultati indicano che, pur essendo l’investimento
informativo di Moody’s nei confronti di imprese non-OCSE
mediamente superiore a quanto effettuato per imprese OCSE, la
situazione si caratterizza ancora per sottoinvestimento informativo nei
confronti delle imprese non-OCSE. Quest’ultime, verosimilmente
condizionate da assetti istituzionali sfavorevoli nei propri paesi, non
avrebbero nulla da temere dall’intensificazione dell’impegno di
Moody’s nei loro confronti, anzi ne beneficerebbero ampiamente e,
con tutta probabilità, sarebbero disposte a pagare di più per avere più
analisti e, con questo, un rating migliore.
Riconducendo il discorso al problema delle asimmetrie informative tra
emittenti e investitori, che le agenzie di rating sono deputate a
superare, appare essenziale che le agenzie dedichino maggiori risorse
ai rating nei paesi non-OCSE. Ciò sarà tanto più vero nell’immediato
futuro, allorché l’entrata in vigore della nuova normativa di Basilea
legherà anche i requisiti minimi bancari e, dunque, l’offerta di credito,
ai rating che le agenzie esprimono su imprese e sovrani.
121
6
Conclusioni
Le moderne economie di mercato, frutto del processo di
globalizzazione, sono caratterizzate da una elevata volatilità del
prezzo delle attività e dei movimenti di capitale. Questo provocano un
aumento dell’instabilità del sistema finanziario internazionale,
testimoniata dalle gravi crisi che hanno colpito i mercati emergenti di
Messico e Asia. Questi Paesi sono molto sensibili alle variazioni
improvvise ed eccessive dei flussi di capitale privato, a causa dello
scarso sviluppo di marcati efficienti e delle lacune giuridiche. In
questo contesto le agenzie di rating hanno un potere enorme nella
distribuzione dei flussi di capitale privato tra le Nazioni. Difatti,
attraverso le variazioni dei giudizi sulla rischiosità dell’investimento
potrebbero far diminuire i flussi in entrata nei periodi di euforia e farli
aumentare nei periodi di pessimismo. Purtroppo, però, il loro
comportamento nelle ultime crisi si è dimostrato invece prociclico,
aggravando le condizioni economiche dei paesi che attraversavano
periodi di difficoltà finanziaria, oltre quanto pareva giustificato sulla
base del peggioramento dei fondamentali macroeconomici di quei
Paesi.
L’analisi del comportamento delle agenzie di rating durante la crisi
asiatica evidenzia due errori. Il primo riguarda la non previsione della
crisi e il ritardo con cui hanno variato i giudizi sulla probabilità di
default dei debitori asiatici allorché la crisi si è manifestata. Il secondo
riguarda l’eccessiva penalizzazione attribuita ai Paesi asiatici in
termini di riduzione del livello di rating, cioè la riduzione dei giudizi
sulla solvibilità dei debitori asiatici è stata eccessiva rispetto al
deterioramento dei fondamentali economici di quei Paese.
122
Per quanto riguarda il primo errore abbiamo visto come il rating
assegnato all’ente Sovrano abbia fallito sistematicamente nel
prevedere lo scoppio di crisi bancarie e valutarie.
Il motivo risiede nel fatto che le agenzie non sembrano disporre di
informazioni di qualità superiore nei mercati emergenti e hanno una
limitata esperienza nella valutazione del rischio Sovrano in questi
mercati, da ciò deriva che le agenzie sono soggette ad eccessi di
euforia e di pessimismo, come gli altri operatori di mercato. In altre
parole, le agenzie, paiono avere le stesse informazione che hanno gli
investitori per determinare il rischio di default delle imprese e quindi
si comportano in modo simile. Questo è dimostrato dal fatto che il
rating Sovrano è basato su informazioni pubbliche come debito estero,
riserve internazionali, politiche monetarie e fiscali. Invece nella
valutazione di Sovrani e imprese che operano nei mercati sviluppati,
le agenzie, grazie all’efficienza e alla trasparenza del mercato,
possono raccogliere informazioni di qualità elevata sulle quali basare
il giudizio sull’affidabilità del debitore. In questo modo comunicano al
mercato un’informazione aggiuntiva perché gli investitori non
possono accedere alle informazioni riservate sullo stato di salute degli
emittenti o il processo di raccolta sarebbe, per loro, molto costoso.
Per quanto riguarda il secondo errore, il comportamento delle agenzie
di rating durante la crisi asiatica è stato prociclico, aggravando la
situazione economica. Difatti, prima dello scoppio della crisi, i rating
sottostimavano la probabilità di default degli emittenti asiatici e dopo
lo scoppio, la variazione dei rating sovrastimava la probabilità di
default degli emittenti asiatici.
La riduzione dei rating Sovrani si è trasmessa anche a imprese e
banche asiatiche per due motivi: (i) le agenzie utilizzano il livello del
123
rating Sovrano come livello massimo del rating assegnato a imprese e
banche ivi operanti; (ii) è stato dimostrato che il rating di imprese e
banche dei PVS è molto correlato con il livello del rating dell’Ente
Sovrano perché, vista la scarsa trasparenza ed efficienza dei mercati
emergenti, le agenzie non riescono ad identificare con precisione la
probabilità di default della singola imprese e quindi tendono ad
approssimarla con il rischio del Sovrano.
Gli effetti di questi comportamenti sui mercati finanziari sono
molteplici. Tra i più importanti ricordiamo: (i) la relazione tra rating e
tasso d’interesse; tanto minore è il livello dei rating di impresa
(Sovrano) tanto maggiore sarà il costo dell’indebitamento, (ii) la
relazione tra rating e tasso d’interesse non è lineare, se la riduzione del
rating porta il titolo ad essere classificato come “titolo speculativo” il
tasso d’interesse sul titolo emesso aumento in modo ancora maggiore;
(iii) il divieto imposto agli investitori istituzionali di acquistare titoli
speculativi può causare un effetto di razionamento quantitativo verso
quei titoli con rating molto bassi.
Queste relazioni tendono ad amplificare le fluttuazioni dei movimenti
di capitale e l’instabilità del sistema finanziario. Durante le fasi
espansive, l’aumento dei rating rafforza aspettative euforiche e
stimola un eccessivo afflusso di capitali; durante le fasi recessive, le
riduzioni dei rating alimentano il panico tra gli operatori, accelerando
la fuga dei capitali.
Inoltre l’analisi del settore industriale del rating evidenzia gli aspetti
potenzialmente negativi, ai fini dell’efficienza, sui quali si basa questa
attività. In primo luogo i profitti delle agenzie derivano dalle
commissioni pagate da Sovrani, banche e imprese, e non dagli
investitori per l’utilizzo del giudizio emesso. Le agenzie quindi
124
potrebbero essere restie a ridurre i giudizi sui propri clienti. Ciò
potrebbe introdurre una rigidità nei downgrades specialmente nei
periodi di massicci afflussi di capitale, rigidità che, tuttavia, è
temperata dall’esigenza delle agenzie di salvaguardare la propria
reputazione nei confronti degli investitori.
Infine la disciplina finanziaria statunitense ha contribuito in modo
determinante all’espansione delle agenzie di rating. Nel 1930 la SEC
decise di utilizzare i rating per stabilire quali attività potessero essere
acquistate dagli investitori istituzionali. Nel 1975 la SEC costituì
un’organizzazione, il “NRSRO”, di cui fanno parte le agenzie che
hanno un riconoscimento d’interesse nazionale e che possono emettere
giudizi utilizzati dalla disciplina finanziaria. Attualmente fanno parte
di questa organizzazione solo Moody’s, S&P e Fitch IBCA. Queste
due decisioni hanno contribuito a creare una notevole domanda di
rating
da parte delle imprese che volevano collocare prestiti
obbligazionari sul mercato statunitense e, alla luce del processo di
integrazione dei mercati finanziari, sui mercati internazionali. Inoltre
le richieste di rating si sono concentrate verso quelle agenzie che
fanno parte del “NRSRO”, accrescendo il potere economico e politico
in loro possesso.
La proposta del comitato di Basilea sulla regolamentazione del
sistema bancario utilizza i rating per determinare la quota minima di
capitale che le banche devono accantonare a fronte di un prestito. In
sostanza per prestiti emessi a Sovrani, banche e imprese con bassi
rating sarà richiesto un accantonamento di capitale maggiore, con
l’inevitabile aumento del tasso d’interesse per questi emittenti.
La proposta aumenterà la volatilità dei capitali nei mercati emergenti e
il costo dell’indebitamento. L’analisi della distribuzione dei rating nei
125
PVS, evidenzia come questa sia ancora relativamente scarsa e il
livello medio dei giudizi sia al di sotto della soglia del “investment
grade”.
Inoltre se le agenzie di rating continueranno a comportarsi in modo
prociclico (peccando di ottimismo nelle fasi di boom e di pessimismo
nelle fasi di crisi), anche il livello delle riserve bancarie e , dunque
l’offerta di credito tenderebbero a muoversi in senso prociclico
producendo effetti di overshooting. Difatti, prima delle scoppio della
crisi, la sottostima del rischio di default degli emittenti asiatici,
avrebbe generato un livello di riserve inferiore alla effettiva rischiosità
dell’attivo, minando la capacità del sistema bancario di reagire a
shocks esterni. Al contrario, dopo lo scoppio della crisi, la sovrastima
del rischio di default degli emittenti asiatici avrebbe generato un
livello eccessivo di riserve, sottraendo ingiustificatamente risorse al
sistema economico.
Inoltre la proposta del comitato di Basilea si riferisce genericamente
alle agenzie che sono “internationally recognized” per stabilire quali
rating possano essere usati dalla disciplina finanziaria e non stabilisce
con precisioni le caratteristiche
che devono avere le agenzie per
ottenere questo importante riconoscimento. In questo modo non viene
stimolata la formazione di un mercato concorrenziale necessario per
assicurare la stabilità del sistema bancario internazionale.
Nella ricerca econometrica si è voluto analizzare il livello
d’investimento nella raccolta di informazioni, da parte di Moody’s,
per l’assegnazione del rating a Sovrani e imprese.
L’idea di fondo è che tanto maggiore sarà l’investimento da parte di
Moody’s in termini di risorse umane nel raccogliere ed elaborare
informazioni sull’impresa (Sovrano) e tanto maggiore sarà il valore
126
aggiunto creato da Moody’s per l’impresa (Sovrano) rispetto a quanto
su di essa (esso) è noto pubblicamente. I risultati delle stime effettuate
sui rating Sovrani ci dicono come un aumento dell’investimento in
raccolta ed elaborazione delle informazioni sui debitori Sovrani abbia
effetti d’innalzamento del loro rating. Dato che questo investimento è
inferiore nei paesi non OCSE rispetto a in quelli OCSE, ne deriva che
i Paesi meno sviluppati possono essere danneggiati da una situazione
di sottoinvestimento in risorse umane da parte delle agenzie di rating.
Dalle stime effettuate sui rating d’impresa dei paesi OCSE e non
OCSE emerge una forte correlazione tra il rating del Sovrano e il
rating dell’impresa: un aumento di 10 punti del rating del sovrano (es.
passaggio da AA a AAA) si traduce mediamente in un aumento di 4
punti del rating d’impresa.
Dalle stime effettuate solo per le imprese non OCSE emergono
risultati ancora più interessanti. La relazione tra rating d’impresa e
Sovrano diventa ancora più forte passando da 4 a 8,5 punti; le risorse
umane impiegate nella raccolta d’informazioni hanno una relazione
significativa e positiva con il livello del rating. Ciò indica che un
maggiore investimento informativo di Moody’s nei paesi non-OCSE
dà luogo generalmente a un miglioramento del rating dell’impresa.
Possiamo affermare in generale che il rating di un‘impresa che
ricevesse un’analista esclusivamente dedicato a essa salirebbe, in
media, di 7 punti rispetto a quello di un’impresa che fosse seguita da
analisti che disperdono il lavoro su miriadi d’imprese. Ad esempio, se
un’impresa non OCSE avesse il rating mediano, cioè 45 per questi
paesi, e ricevesse due analisti dedicati esclusivamente ad essa
vedrebbe aumentare il proprio rating di 14 punti e potrebbe quindi
superare la soglia dell’investment grade grazie al maggior
127
investimento informativo da parte di Moody’s. Inoltre il superamento
di
tale
soglia
si
tradurrebbe
in
una
riduzione
del
costo
dell’indebitamento di due punti di tasso d’interesse.
Dunque i nostri risultati ci indicano che sia le imprese non OCSE che
Moody’s trarrebbero dei vantaggi dall’aumento di risorse umane nella
raccolta d’informazioni sui mercati emergenti. Le imprese vedrebbero
una riduzione del costo dell’indebitamento e con tutta probabilità
sarebbero disposte a pagare di più per avere più analisti e quindi un
rating migliore.
Riconducendo il discorso al problema delle asimmetrie informative tra
emittenti e investitori, che le agenzie di rating sono deputate a
superare, appare essenziale che le agenzie dedichino maggiori risorse
ai rating nei paesi non OCSE. Ciò sarà tanto più vero nell’immediato
futuro, allorché l’entrata in vigore della nuova normativa di Basilea
legherà anche i requisiti minimi bancari e, dunque, l’offerta di credito,
ai rating che le agenzie esprimono su imprese e Sovrani.
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