MERCATI FINANZIARI E AGENZIE DI RATING
Transcript
MERCATI FINANZIARI E AGENZIE DI RATING
UNIVERSITÁ DEGLI STUDI “ROMA TRE” FACOLTÁ DI ECONOMIA “F.CAFFÉ” Tesi di Laurea in Economia Monetaria MERCATI FINANZIARI E AGENZIE DI RATING RELATORE: CHIAR.MO PROF. GIOVANNI FERRI LAUREANDO VINCENZO D’APICE CORRELATORE: CHIAR.MA PROF. GIANCARLO MARTINENGO ANNO ACCADEMICO 2000-2001 Università degli Studi di Roma Tre Facoltà di Economia “Federico Caffè” Corso di Laurea in Economia e Commercio Tesi di Laurea in Economia Monetaria MERCATI FINANZIARI E AGENZIE DI RATING RELATORE: CHIAR.MO PROF. GIOVANNI FERRI LAUREANDO VINCENZO D’APICE CORRELATORE: CHIAR.MO PROF. GIANCARLO MARTINENGO ANNO ACCADEMICO 2000-2001 Matricola n° 83023.70 INDICE INTRODUZIONE 1. p.1 ORIGINE E TESTIMONIANZA DELL’ACCRESCIUTA IMPORTANZA DELLE AGENZIE DI RATING 1.I Introduzione 1.II Dibattiti aperti sulle agenzie di rating 1.II.1 Teorie sull’esistenza delle agenzie di rating 1.II.3 Problemi connessi con la nuova proposta di Basilea sui requisiti di capitale 1.III Evoluzione della regolamentazione e agenzie di rating 1.IV Origine delle agenzie di rating 1.V Le performance delle agenzie di rating 1.V.1 le performance tra il 1909 e 1960 nel mercato 1.V.2 Performance nella valutazione delle obbligazioni emesse dallo stato e dagli enti locali 1.V.3 Le performance delle agenzie di rating tra il 1970 e 1990 2 37 39 AGENZIE DI RATING E CRISI FINANZIARIE 2.I Introduzione 2.II Il comportamento delle agenzie di rating durante le crisi finanziarie 2.III Relazione tra il rating Sovrano e il mercato dei capitali. 2.IV Relazione tra livello del rating del debito emesso dall’ente Sovrano e crisi finanziarie 2.4.1 Confronto tra indicatori di fragilita’ bancaria 3 6 7 11 14 15 29 33 34 41 43 59 65 71 ANALISI DEL SETTORE DEL RATING 3.I Introduzione 3.II Le agenzie di rating: caratteristiche e organizzazione industriale 3.II.1 Il grado di concentrazione dell’offerta di rating 3.III Il rating: funzioni e prezzo 3.IV le performance del settore del rating 3.V La regolamentazione finanziaria USA e la proposta di Basilea 77 79 86 90 94 98 4 ANALISI EMPIRICA 4.I Introduzione 4.II Elaborazione della metodologia 4.III. Variabili descrittive 5 103 104 106 ANALISI ECONOMETRICA MULTIVARIATA 5.I Introduzione 5.II Analisi dei rating sovrani 5.III Analisi dei rating d’impresa 114 115 119 6 Conclusioni 126 BIBLIOGRAFIA 132 Introduzione L’elevato numero di crisi bancarie che ha colpito i paesi industrializzati e quelli emergenti nell’ultima decade, e l’alto costo della loro risoluzione hanno sollecitato un rinnovato interesse sulle caratteristiche di una nuova disciplina finanziaria. Come risultato, il sistema finanziario, dei Paesi sviluppati e di quelli emergenti, sta subendo una revisione della regolamentazione finanziaria caratterizzata da un passaggio da un tradizionale set di prescrizioni e proibizioni a un set di regole nuove, che hanno l’obiettivo di integrare le regolamentazioni e i controlli del mercato. A tal fine, tra giugno del 1999 e gennaio 2001, la Banca dei Regolamenti Internazionali, ha formulato una proposta di regolamentazione del sistema bancario. Il comitato di Basilea propone l’utilizzo dei rating, emessi dalle agenzie indipendenti di valutazione del credito (agenzie di rating), per determinare la ponderazione necessaria alla definizione dei requisiti minimi di capitale che le banche devono accantonare a fronte di un prestito (ovvero, ma solo in subordine, l’uso dei ratings prodotti dagli internal rating model delle banche). L’accordo di Basilea, nella sua prima formulazione del 1988, prevedeva che le banche detengano capitale in misura pari almeno all’8% delle attività ponderate per il rischio. Se, ad esempio, una banca presta 500 euro ad una impresa privata, alla quale si applica una ponderazione del 100% (cioè 500*100=500), il capitale da detenere deve essere pari almeno a 40 euro (500*8%=40). L’entità di tali 1 requisiti minimi di capitale varierà ora in funzione inversa al livello del rating della controparte. Questa proposta, attribuisce infatti alle agenzie di rating un ruolo fondamentale nelle determinazione del livello di patrimonializzazione del sistema bancario internazionale. L’attività delle agenzie si basa sull’assegnazione di rating creditizi a Enti Sovrani, banche e imprese. I rating offrono al mercato finanziario una stima sulla probabilità d’insolvenza del debitore a scadenza. Quanto più elevato è il giudizio, tanto minore è tale probabilità, e viceversa. Inoltre, le agenzie effettuano una continua attività di monitoraggio, che si concretizza nelle variazioni del livello del rating assegnato, segnalando così agli investitori la variazione del rischio di default nel tempo. Le conseguenze dei rating sui mercati finanziari sono principalmente due: (i) emittenti, di prestiti obbligazionari, con bassi rating, dovranno pagare un tasso d’interesse più alto, per compensare la maggiore probabilità di default, rispetto ad emittenti con rating alti; (ii) vista la disciplina finanziaria statunitense, il livello del rating determina anche la massa potenziale di sottoscrittori. In particolare, agli investitori istituzionali è vietato l’acquisto di attività che hanno un rating inferiore ad una certa soglia o è richiesto un accantonamento aggiuntivo; queste attività vengono definite come “sotto alla soglia dell’investimento” o “titoli speculativi”. Quindi se l’emittente riceve un rating al di sotto della soglia dell’investimento l’offerta di capitale diminuisce drasticamente. Date le notevoli economie di scala – nel processo di raccolta d’informazione per l’assegnazione del rating – e la necessità di una solida reputazione – che richiede tempi lunghi per essere costruita – l’industria del rating è molto concentrata e le nuove 2 entrate sono molto rare. Vi sono solo tre agenzie di rating che svolgono un’attività su scala mondiale: Moody’s, S&P e Fitch IBCA. L’errore nella previsione della crisi asiatica, commesso dalle agenzie, e il conseguente comportamento prociclico evidenziato da Ferri, Liu e Stiglitz, unitamene alla proposta del comitato da Basilea hanno fornito lo spunto teorico per lo sviluppo di questa tesi. Due interrogativi ci accompagneranno nel corso di questo studio: (i) i giudizi emessi dalle agenzie, in particolare quelli emessi nei confronti dei Paesi in via di sviluppo (PVS) e nei periodi di crisi, sono efficienti? (ii) l’importanza che le agenzie di rating hanno assunto a livello internazionale è il frutto della loro capacità di raccogliere ed emettere informazioni efficienti oppure deriva da forze esterne alla loro attività come, per esempio, la regolamentazione del mercato finanziario statunitense e la recente proposta del comitato di Basilea? In particolare, nel primo capitolo, cercheremo di chiarire la logica economica sottostante l’esistenza e l’espansione delle agenzie di rating, sottolineando la riduzione dei costi di informazione e monitoraggio, sulla qualità del debitore, che le agenzie possono apportare ai mercati finanziari. Analizzeremo quindi la nascita delle agenzie di rating in USA e come l’evoluzione della regolamentazione finanziaria statunitense abbia contribuito ad accrescere la loro importanza. Verrà inoltre dedicato ampio spazio alla proposta del comitato di Basilea sulla regolamentazione bancaria, illustrando la prima formulazione del 1988 e la recente modifica la cui stesura ultima è stata completata nel 2001. Dopo aver dato un quadro di riferimento teorico-regolamentare al lettore, nel secondo capitolo, ci concentreremo sulle relazioni esistenti tra output delle agenzie di rating e andamento dei mercati finanziari, 3 con particolare riferimento alle economie emergenti. Nel dettaglio, esamineremo il comportamento delle agenzie di rating nella crisi asiatica e le conseguenze che le loro azioni hanno prodotto sul costo dell’indebitamento di Sovrani, banche e imprese coinvolte nella crisi. Vista la particolare importanza che riveste il rating assegnato all’Ente Sovrano nelle economie emergenti abbiamo voluto, anche, verificare se esista una relazione tra il mercato finanziario domestico, il mercato finanziario internazionale e le variazioni dei giudizi sulla probabilità di default del Sovrano. Dopo aver appurata l’importanza delle agenzie sui mercati finanziari internazionali, descriveremo, nel terzo capitolo, le principali caratteristiche del settore industriale del rating. L’analisi del grado di concentrazione dell’offerta e del livello dei profitti sono di particolare interesse per testimoniare l’esistenza di un elevato potere di mercato a favore di tre sole imprese: Moody’s S&P e Fitch IBCA. L’esistenza di un elevato potere di mercato da parte delle agenzie di rating potrebbe, tuttavia, influenzare solo la ripartizione del surplus, con le agenzie di rating che estraggono rendita ai loro clienti paganti, cioè a sovrani e imprese. In tal senso, il potere di mercato delle agenzie di rating avrebbe effetti distributivi, ma non sarebbe fonte di inefficienze. Vi è, però, il sospetto che, oltre a generare estrazione della rendita, l’esercizio del potere di mercato conduca le agenzie di rating a investire meno di quanto socialmente efficiente nella raccolta ed elaborazione delle informazioni sui debitori. È per questo, che diviene necessario stabilire se le agenzie di rating investano risorse adeguate in tali funzioni. Nei capitoli quarto e quinto vengono esposti i risultati della ricerca econometrica condotta sulla relazione tra livello di investimento in 4 risorse umane, effettuato da Moody’s, e livello del rating. Esporremo l’elaborazione di una metodologia che stabilisca quanto le agenzie di rating investano nella raccolta di informazioni sui debitori e se questo influisce sul livello del rating di imprese e Sovrani distintamente nei paesi OCSE e per quelli non OCSE. In questa analisi si terrà anche debito conto degli indicatori proposti in letteratura che approssimano la qualità delle informazioni in ciascuno dei paesi considerati. Analizzando l’indicatore che quantifica l’investimento effettuato su ciascun debitore da parte di Moody’s, si giungerà ai seguenti principali risultati. In primo luogo, i risultati suggeriscono che un aumento dell’investimento in raccolta ed elaborazione delle informazioni sui debitori sovrani ne innalza il rating. Dato che, come si vedrà, questo investimento è (sia pur di poco) inferiore nei paesi non-OCSE che in quelli OCSE, ne deriva che i sovrani dei paesi meno sviluppati possono essere danneggiati da una situazione di sottoinvestimento da parte delle agenzie di rating. Inoltre, i risultati riferiti ai rating d’impresa sono ancor più suggestivi di quelli sui rating sovrani. Ne traspare che, in media, il rating di un’impresa che ricevesse un analista esclusivamente dedicato a essa salirebbe di 7 punti rispetto a quello di un’impresa che fosse seguita da analisti che disperdono il loro lavoro su miriadi d’imprese. Dunque, i nostri risultati indicano che, pur essendo, come si vedrà, l’investimento informativo di Moody’s nei confronti di imprese non-OCSE mediamente superiore a quanto effettuato per imprese OCSE, la situazione si caratterizza ancora per sottoinvestimento informativo nei confronti delle imprese non-OCSE. Quest’ultime, verosimilmente condizionate da assetti istituzionali sfavorevoli nei propri paesi, non avrebbero nulla da temere dall’intensificazione dell’impegno di 5 Moody’s nei loro confronti, anzi ne beneficerebbero ampiamente e, con tutta probabilità, sarebbero disposte a pagare di più per avere più analisti e, con questo, un rating migliore. Riconducendo il discorso al problema delle asimmetrie informative tra emittenti e investitori, che le agenzie di rating sono deputate a superare, appare essenziale che le agenzie dedichino maggiori risorse ai rating nei paesi non-OCSE. Ciò sarà tanto più vero nell’immediato futuro, allorché l’entrata in vigore della nuova normativa di Basilea legherà anche i requisiti minimi bancari e, dunque, l’offerta di credito, ai rating che le agenzie esprimono su imprese e sovrani. 6 1. ORIGINE E TESTIMONIANZA DELL’ACCRESCIUTA IMPORTANZA DELLE AGENZIE DI RATING 1.I INTRODUZIONE In questo primo capitolo si vuole evidenziare l’accresciuta importanza delle agenzie di rating e i dibattiti sul loro ruolo alla luce della nuova proposta del Comitato di Basilea sulla regolamentazione bancaria. Abbiamo voluto iniziare la discussione analizzando la riduzione dei costi nella raccolta di informazioni sui debitori e di monitoraggio successivi alla concessione del prestito, che le agenzie apportano ai mercati finanziari. Abbiamo altresì evidenziato come l’accresciuta importanza delle agenzie derivi essenzialmente dalla regolamentazione finanziaria americana. In particolare vengono analizzati gli effetti sui mercati finanziari dell’utilizzo, da parte della disciplina finanziaria, dei rating per stimare la rischiosità di un’attività e, inoltre, della costituzione di un’organizzazione “ristretta” come Il “NRSRO”, che raggruppa le agenzie di rating i cui giudizi possono essere utilizzati dalla disciplina finanziaria. La proposta formulata dal comitato di Basilea sulla regolamentazione del sistema bancario nel giugno del 1999 (e finalizzata nei primi mesi dell’anno corrente) ha sollevato nuovamente una notevole attenzione sulle agenzie di rating. 7 Secondo la nuova regolamentazione elaborata dal Comitato, verrà usato il rating emesso dalle agenzie indipendenti di valutazione del credito per determinare la ponderazione necessaria alla definizione dei requisiti minimi di capitale che le banche devono accantonare a fronte di un prestito. Viene quindi analizzata diffusamente la prima proposta del comitato, formulata nel 1988, e tutte le revisioni che hanno preceduto la formulazione dell’ultima proposta, con particolare riferimento al ruolo dei rating emessi dalle agenzie esterne di valutazione. Nel quarto paragrafo si fornisce una breve sintesi della storia delle agenzie di rating dalla loro nascita in America nel 1909 fino ad oggi. 8 1.II DIBATTITI APERTI SULLE AGENZIE DI RATING Le agenzie di rating traggono profitto dall’emissione di giudizi sulla capacità di rimborso dei soggetti che emettono prestiti obbligazionari. I giudizi (rating) da loro emessi vengono utilizzati dagli investitori per stimare il rischio dell’investimento. La reputazione dell’agenzia assume un ruolo fondamentale in questo tipo di attività perché, vista l’importanza del giudizio emesso, la storia societaria ne deve attestare la credibilità e la correttezza. Inoltre, la reputazione è il frutto di tutte le valutazioni emesse e da ognuna di loro può esserne intaccata. La reputazione delle maggiori agenzie di rating attualmente è molto buona e i loro giudizi sono diffusi e utilizzati da analisti e investitori. Questa credibilità è il frutto di una lunga esperienza nella valutazione delle obbligazioni iniziata negli Stati Uniti nei primi anni del ‘900. Due eventi sono di importanza fondamentale per capire la diffusione delle agenzie e la loro crescente importanza 1 . Il primo è sicuramente la decisione presa dalla SEC (Securities and Exchange Commision) nel 1930 di utilizzare i rating nella disciplina degli intermediari finanziari. In pratica si vietava a questi istituti di detenere attività che avevano un rating inferiore ad una certa soglia definita “investment grade”, che identifica titoli a rischiosità medio– bassa. Questa situazione sollevò un acceso dibattito negli Stati Uniti negli anni ’30 che fu spento dalla ripresa economiche della Nazione successiva alla grande crisi e dall’evidenza che le attività classificate delle agenzie come “titoli non speculativi”, ovvero con un rating 1 White L. J., (2001), the credit rating industry: an industrial organization analysis, www1.worldbank.org. 9 superiore alla soglia di “investment grade” difficilmente andavano in default. Senza dubbio, il dibattito sull’efficacia dei rating per scopi regolativi era destinato a riaccendersi con il mutare delle condizioni economiche. Il secondo evento che ha contribuito all’espansione delle agenzie di ratung è la costituzione da parte della SEC, nel 1970, di un’organizzazione d’interesse nazionale formata dalle agenzie di rating più importanti chiamata “NRSRO” (Nationally Recognized Statistical Ratings Organizations). Le conseguenze di questi due eventi sono d’importanza fondamentale nel funzionamento dei mercati finanziari. La prima è che il livello del rating, rappresentativo del rischio dell’investimento, influenza il tasso d’interesse. E’ facile notare come obbligazioni con bassi rating offrano tassi maggiori per compensare il maggior rischio. La seconda è che il livello del rating definisce le attività che gli intermediari finanziari possono detenere. Una società che riceve un rating, su una sua emissione obbligazionaria, al di sotto della soglia dell’investment grade vede ridursi la massa potenziale di sottoscrittori con delle ripercussioni sul collocamento del prestito, sul prezzo e quindi sul tasso d’interesse. La terza è che, data la diffusione dell’uso dei rating sui mercati finanziari internazionali, ogni società che vuole emettere un prestito obbligazionario è, di fatto, costretta a richiedere un rating, come fosse un certificato di solidità. Le richieste si concentreranno soprattutto verso quelle agenzie che fanno parte della “NRSRO”, sollevando così non pochi dubbi sulla possibilità di abusi da parte delle agenzie di rating riconosciute “d’interesse nazionale”. 10 La quarta si riferisce a situazioni di crisi 2 . I recenti eventi asiatici hanno mostrato come le riduzioni dei livelli di credibilità assegnati agli emittenti siano avvenuti non solo con ritardo rispetto allo scoppio della crisi, ma anche in modo eccessivo peggiorando così la situazione finanziaria di quelle imprese che hanno visto aumentare il costo del loro indebitamento a seguito della correzione al ribasso del giudizio emesso dalle agenzie. Se i giudizi emessi dalle agenzie fossero efficienti dovrebbero segnalare la variazione del rischio dell’emittente prima dello scoppio di una crisi e non quando Sovrani, banche e imprese sono già fallite o hanno gravi difficoltà finanziarie. Proprio nei mercati poco sviluppati e conosciuti, come nel caso delle economie emergenti, l’investimento della raccolta di informazioni da parte delle agenzie dovrebbe riuscire a colmare il vuoto lasciato dallo scarso funzionamento del mercato. Se la variazione del rating avviene in base a fattori esterni (correzione prolungata al ribasso del mercato azionario, problemi di liquidità nel sistema economico, messa in mora di alcune aziende del paese), e non già da fattori interni (studio preventivo dello sviluppo economico di un Paese, analisi finanziaria nel medio periodo delle imprese, bilancio societario) possiamo supporre che da parte delle agenzie di rating ci sia un basso investimento nella raccolta di informazioni dei paesi emergenti. In aggiunta, la diffusione dell’uso dei rating sarà, in prospettiva, fortemente amplificata dalla nuova regolamentazione di Basilea sui coefficienti minimi di capitalizzazione bancaria. Questa, infatti, assegna al livello del rating dei debitori un ruolo centrale nel 2 Ferri, Liu e Stiglitz, (1999), The Procyclical Role of Rating Agencies: Evidence from the East Asian Crisis, Economic Notes, vol. 28, No. 3, pp. 335-55. 11 determinare l’ammontare del capitale, di cui le banche debbono disporre a fronte di prestiti nei loro confronti. 1.II.1 TEORIE SULL’ESISTENZA DELLE AGENZIE DI RATING La funzione svolta dalle agenzie di rating aiuta l’investitore nel risolvere il problema delle asimmetrie informative presenti sui mercati finanziari. In primo luogo 1'analisi condotta dall'agenzia si basa su una massa di informazioni molto più ampia e dettagliata di quella di cui potrebbe disporre il singolo. Infatti 1'agenzia durante 1'assegnazione dei rating ha contatti diretti con il management e la realtà operativa dell'entità in questione, venendo a conoscenza di informazioni riservate. E’ evidente come nessun singolo investitore potrà effettuare una valutazione altrettanto completa e precisa. In secondo luogo, il costo per 1'investitore di un'analisi effettuata in proprio sarebbe proibitivo; le agenzie specializzate invece dispongono di un'organizzazione avviata e di risorse umane, tecnologiche e professionali, per cui sono in grado di ripartire molti costi su un gran numero di analisi e di operare in condizioni di economicità. Tra 1'altro, il costo di utilizzo del rating è per lo più nullo per il singolo, in quanto oggi, a differenza del passato, sono gli emittenti stessi che chiedono di avere la valutazione delle proprie emissioni, pagando all'agenzia un corrispettivo per ottenere un giudizio che diventa poi di pubblico dominio. L'esistenza delle agenzie di rating garantisce, infine, uno sfruttamento più efficiente delle risorse complessive di una società, perché l'analisi è compiuta una sola volta e da una sola entità al servizio di tutto il mercato, evitando duplicazioni e sprechi di 12 risorse. Gli emittenti sono disposti a sostenere un costo pur di essere valutate essenzialmente per due motivi: (i) 1'accesso a un dato mercato è precluso ai titoli senza rating , (ii) perché sono convinte di trarre un beneficio dall'assegnazione del rating ai propri titoli in termini di riduzione del costo dell’indebitamento. A parte i casi in cui il rating è obbligatorio per legge, sta diventando molto difficile affacciarsi sui mercati internazionali per reperire fondi senza questo "certificato di garanzia”. Due interrogativi ci accompagneranno nel corso di questo studio: (i) i giudizi emessi dalle agenzie, in particolare quelli emessi nei confronti dei Paesi in via di sviluppo (PVS) e nei periodi di crisi, sono efficienti? (ii) L’importanza che le agenzie di rating hanno assunto a livello internazionale deriva dalla loro capacità di raccogliere ed emettere informazioni efficienti oppure deriva da forze esterne alla loro attività come, per esempio la regolamentazione del mercato finanziario statunitense e se approvata, la recente proposta del comitato di Basilea? Le spiegazioni economiche sull’esistenza e sulla diffusione delle agenzie di rating sono diverse. Martin Fridson sostiene che l’esistenza delle società di valutazione del credito sia basata sulla teoria dell’agenzia 3 . L’agenzia di rating indipendente oltre a valutare l’obbligazione al momento dell’emissione continua a monitorarla risolvendo un problema “principale - agente” tra investitori e manager della compagnia. Senza questo continuo monitoraggio e il conseguente abbassamento del livello del rating al verificarsi di situazioni che mettono in pericolo la capacità di rimborso dell’impresa, i manager 3 Fridson M., (1998), Why do Bond Rating Agencies Exist?, Merrill Lynch Extra Credit, pp. 8. 13 potrebbero comportarsi in maniera opportunistica, intraprendendo azioni troppo rischiose, per esempio, potrebbero investire i fondi dei sottoscrittori in attività molto rischiose attratti da alti tassi di rendimento. I rating emessi dalle agenzie possono scoraggiare questi tipi di comportamenti e aiutare gli investitori a monitorare il comportamento degli emittenti. Inoltre, viste l’economie di scala e di scopo presenti nel settore del rating, le agenzie riducono il costo del processo informativo, essenziale per lo sviluppo di mercati finanziari efficienti. Fridson riconosce i molti svantaggi di questo sistema, ma ne mette anche in risalto il basso costo di monitoraggio del comportamento del debitore. Partnoy 4 invece ha una visione molto critica dell’esistenza delle agenzie di rating. Questi sostiene che la loro presenza sul mercato è influenzata, infatti, in modo sostanziale dal ricorso ai rating da parte degli organi di vigilanza del sistema finanziario. Se la regolamentazione del mercato statunitense non utilizzasse i rating per definire quali attività possono essere detenute dagli intermediari finanziari, le agenzie di rating baserebbero la loro esistenza sulla capacità di raccogliere informazioni ed emettere giudizi efficaci nell’individuazione della rischiosità dell’emittente. Invece, vista la legislazione vigente, le agenzie non vendono solo giudizi ma vendono anche licenze regolative, nel senso che identificano non solo gli intermediari che sono conformi alla disciplina, cioè che non detengono attività con rating inferiori ad una certa soglia, ma stabiliscono anche come si devono comportare in seguito a variazioni del giudizio sulla rischiosità dell’emittente. 4 Partnoy F., (1999), The Siskel and Ebert of Financial Markets? Two Thumbs Down for the Credit Rating Agencies, Washington University Law Quarterly 77, n. 3. 14 1.II.3 PROBLEMI CONNESSI CON LA NUOVA PROPOSTA DI BASILEA SUI REQUISITI DI CAPITALE La proposta formulata dal comitato di Basilea 5 sulla regolamentazione del sistema bancario nel giugno del 1999 (e finalizzata nei primi mesi dell’anno corrente) ha sollevato nuovamente una notevole attenzione sulle agenzie di rating. Secondo la nuova regolamentazione elaborata dal Comitato, verrà usato il rating emesso dalle agenzie indipendenti di valutazione del credito per determinare la ponderazione necessaria alla definizione dei requisiti minimi di capitale che le banche devono accantonare a fronte di un prestito. In poche parole, Enti sovrani, banche e imprese che hanno un rating basso costringeranno gli istituti di credito che emetteranno un prestito a loro favore ad accantonare una quota maggiore di capitale rispetto ai prestiti emessi a soggetti con alti rating. Inoltre, la distribuzione dei rating a livello mondiale non è affatto uniforme, anzi notiamo che la loro diffusione nei PVS è notevolmente inferiore a quella nei paesi industrializzati, con la conseguenza che, nella determinazione dei requisiti minimi di capitale bancari, anche alle aziende finanziariamente solide, ma che operano nei PVS, sarà applicato un ponderazione “forfetaria” del 100%, che si applica a tutti i soggetti che non hanno rating, invece di una percentuale minore e veritiera della loro capacità di rimborso. Alla luce di quanto detto le distorsioni 5 Bank for International Settlements, Basel Committee on Banking Supervision, (1999), A New Capital Adequacy Framework, www.bis.org 15 possono essere di entità notevole, specie ove si consideri che proprio nei PVS i mercati finanziari sono fragili e poco sviluppati, accrescendo perciò, per le banche, l’esigenza di maggiori capitali. 1.III EVOLUZIONE DELLA REGOLAMENTAZIONE E AGENZIE DI RATING In nessuna altra azienda il capitale riveste un ruolo così importante come nelle aziende creditizie. E’ stato da tempo accertato come la crisi di una banca, dovuta proprio ad un livello insufficiente di capitale sotto forma di riserve, possa trasformarsi in una crisi sistemica attraverso la diffusione di panico finanziario tra gli operatori 6 . Per evitare che le corse agli sportelli di una banca, che si trova in crisi di liquidità, si trasmettano all’intero sistema creditizio e quindi a quello finanziario di un paese generando una crisi sistemica, le autorità garantiscono in modo esplicito – attraverso l’assicurazione sui depositi - le passività degli enti creditizi. Le autorità nazionali e internazionali, come i governi e il FMI, intervengono inoltre per evitare il fallimento di istituti creditizi emettendo spesso pacchetti di salvataggio di grandi dimensioni, garantendo in modo implicito i risparmiatori dai rischi assunti dalla banca e riducendo l’instabilità del sistema finanziario. Questo atteggiamento delle autorità crea però non pochi problemi. In un mercato come quello del credito, dove le asimmetrie informative si manifestano con maggiore intensità, le garanzie di salvataggio generano due problemi: il moral hazard e l’adverse selection. 6 La letteratura definisce questo fenomeno come “run bancario”. Per ulteriori approfondimenti Pittaluga G.B. , (1998), Economia monetaria, Hoepli. 16 In pratica, le banche sono incentivate ad assumere più rischi in presenza di una regolamentazione che garantisca loro un aiuto da parte dello Stato in caso di necessità. Inoltre data l’assicurazione sui depositi, i depositanti non sono incentivati a scegliere in modo razionale le banche a cui affidare i propri risparmi e nemmeno a monitorare il comportamento dell’intermediario dopo la concessione del deposito. Invece i risparmiatori sono attratti solo da alti tassi d’interesse che però nascondono una maggiore rischiosità dell’attività bancaria. E’ impossibile negare l’importanza di un sistema di assicurazione sui depositi per il buon funzionamento del sistema finanziario e per la sua stabilità, vogliamo sottolineare però che la regolamentazione deve essere consapevole di questi problemi e deve imporre dei limiti minimi al capitale bancario che da una parte assicurino una gestione oculata del rischio e dall’altra non siano troppo restrittivi per non ridurre le potenzialità della banca di concedere prestiti e favorire così lo sviluppo del paese. Difatti un sistema bancario ben capitalizzato è capace di offrire credito alle imprese e finanziare opportunità d’investimento che stimolino la crescita e l’occupazione, due obiettivi primari della politica economica di un paese. Il primo tentativo di emanare una regolamentazione a livello internazionale è stato quello del Comitato di Basilea, che si occupa di promuovere la cooperazione tra banche centrali e altri agenti al fine di perseguire la stabilità monetaria e fiscale. Nel luglio 1988, il Comitato ha proposto l’utilizzo di un sistema di requisiti di capitali uniformi per 17 le banche attive a livello internazionale 7 , ratificato finora da 140 paesi 8 (tavola1). In breve, i requisiti patrimoniali delle banche sono determinati da tre elementi: • il capitale di vigilanza, ossia le poste destinate a difendere le banca dall’eventualità di perdite sui prestiti. L’accordo prevede anche la divisione del capitale di vigilanza in due blocchi: Tier 1 (patrimonio di base) e Tier 2 (patrimonio supplementare). Il primo blocco include il capitale sociale, gli utili non distribuiti e le riserve palesi, mentre il secondo, che comunque non può essere superiore al 50% del Tier 1, è formato dalle riserve occulte, dal debito subordinato, dai fondi rischi e dagli strumenti ibridi di capitale e di debito. • Il rischio, attraverso la definizione di una serie di ponderazioni relative al rischio di credito della controparte. Il rischio delle varie esposizioni creditizie (comprese quelle fuori bilancio) viene determinato con delle precise ponderazioni: 0% per le attività considerate non rischiose, 20% per le attività a rischio minimo, 50% per le attività a medio rischio, 100% per le attività molto rischiose. • Il rapporto minimo tra il capitale e l’attivo ponderato per il rischio. L’accordo prevede che le banche detengano capitale in misura pari almeno all’8% delle attività ponderate per il rischio. Se, per esempio, un banca presta 500 euro a un’impresa privata 7 Basle Committee on Banking Supervision, (1988), International Convergence of Capital Measurement and Capital Standards, www.bis.org. Per una versione in italiano dell’Accordo, cfr. Banca d’Italia, Accordo Internazionale sulla valutazione del patrimonio e sui coefficienti patrimoniali minimi, Bollettino Economico, n°11, ottobre 1988. 8 Banca d'Italia, (1988), Accordo Internazionale sulla valutazione del patrimonio e sui coefficienti patrimoniali minimi, Bollettino Economico, Numero 11, , pp. 29 18 Tavola 1: Requisiti di capitale bancario proposti dal Comitato di Basilea nel 1988 PONDERAZIONI DI Attività “in bilancio” Attività fuori bilancio RISCHIO Contante e valori assimilati; Impieghi analoghi all’erogazione Crediti verso banche centrali dei di credito con scadenza inferiore 0% paesi OCSE; Titoli di Stato ad 1 anno emessi da Governi dei paesi OCSE. Crediti verso banche multilaterali Impegni di firma legati ad di sviluppo e crediti garantiti da operazioni commerciali (crediti tali istituzioni o da titoli emessi documentari con garanzie reali) 20% dalle medesime; Titoli emessi da enti pubblici statunitensi Mutui integralmente assistiti da Facilitazioni garanzie ipotecaria su immobili all’emissione 50% in di appoggio titoli; altri residenziali che sono – o saranno- impegni all’erogazione di credito occupati dal mutuatario oppure con scadenza superiore ad un che sono locati anno Crediti verso imprese private; Sostituti diretti del credito Partecipazioni in imprese private; (fideiussioni e accettazioni); 100% Crediti verso banche e Governi Cessioni di attività prosolvendo, dei paesi non OCSE con rischio di credito a carico della banca alla quale si applica una ponderazione del 100% (cioè 500*100%= 500) il capitale da detenere deve essere pari almeno a 40 euro (500*8%= 40). Le critiche di maggior rilievo mosse a questa prima versione dell’accordo sono tre. 9 La prima è che la diversità del merito creditizio all’interno delle varie categorie non era considerata adeguatamente. Sembra necessario un maggiore numero di categorie per identificare 9 C. Zazzara, (ottobre 1999), Il ruolo del capitale nella banche e la sua regolamentazione: dall’accordo di Basilea del 1988 ad oggi, www.aifirm.com 19 meglio la rischiosità dei vari prestiti bancari, data l’elevata varietà di rischio di quest’ultimi. La seconda riguarda la scadenza (maturity) dell’investimento. I prestiti a breve termine e quelli a lungo termine venivano messi sullo stesso piano, non considerando invece la durata del prestito come fattore di rischio. Il terzo riguarda l’irrilevanza attribuita ai benefici derivanti dalla diversificazione di portafoglio in termini di riduzione del rischio. L’inadeguata specificazione del rischio poteva inoltre generare fenomeni di arbitraggio detti Risk Capital Arbitrage (RCA) che si manifestano da una parte sotto forma di trasformazione di attività sopra la linea in attività fuori bilancio, che richiedono minor capitale, senza eliminare o ridurre però il rischio di credito, con operazioni di secutitization e l’uso di credit derivatives; dall’altra attraverso la vendita delle attività migliori, cioè meno rischiose, che richiedono un elevato ammontare di capitale di vigilanza rapportato al rischio e l’acquisto di attività più rischiose che richiedono un minor capitale di vigilanza in rapporto al rischio (fenomeno del “cherry picking”). Come conseguenza di questi comportamenti opportunistici, gli intermediari finanziari potrebbero trasmettere al mercato delle informazioni distorte sul loro reale stato di salute e aumentando la rischiosità del sistema bancario. Ciononostante la regolamentazione introdotta nel 1988 dal Comitato di Basilea ha contribuito a rafforzare il livello di patrimonializzazione del sistema bancario internazionale anche se non è riuscito a creare un “level playing field” cioè un campo sul quale le banche possano competere in modo uniforme senza disparità. Alla luce del recente processo di globalizzazione e della conseguente liberalizzazione dei mercati finanziari nazionali ci sembra un obiettivo di primaria 20 importanza che deve essere ripreso con strumenti più efficaci da parte del Comitato nelle prossime proposte. Tavola 2: Le nuove ponderazioni di rischio legate ai ratings delle agenzie specializzate, proposte dal Comitato di Basilea nel 1999. ESPOSIZIONI PONDERAZIONI DI RISCHIO Moody’s da Aaa a da A1 a A3 da Baa1 a da Ba1 a Inferiore a B3 Senza Aa3 Baa3 Standard & Poor’s Rating B3 da AAA a Da A+ a da BBB+ a da BB+ a Inferiore AA- A- Conversione numerica da 100 a 85 Da 80 a 70 a Senza BBB- B- B- da 65 a 55 da 50 a 25 Inferiore a 25 Senza dei rating Rating rating Paesi Sovrani 0% 20% 50% 100% 150% 100% Banche (opzione1) 20% 50% 100% 100% 150% 100% Banche (opzione2) 20% 50% 50% 100% 150% 50% Imprese Private 20% 100% 100% 100% 150% 100% 20% 50% 100% 150% Deduzione del Capitale Operazioni Securitization di Opzione 1:Ponderazione di rischio basate su quelle dei paesi sovrani nei quali la banca opera. Opzione 2: Ponderazioni di rischio basate sulla valutazione della singola banca Fonte: Basel Committee on Banking Supervision, Op. cit., pp. 31. Inoltre lo sviluppo di pratiche per ridurre la quota d’accantonamento imposta dall’accordo ha creato disparità tra le banche che, avendo risorse finanziarie, gestionali e manageriali diverse, sono riuscite o meno ad aggirare le regole dell’accordo. Le nuove problematiche che le banche hanno dovuto affrontare, inserite in un processo di crescenti integrazione dei mercati finanziari, 21 hanno spinto il comitato di Basilea a formulare una nuova proposta per la riforma del sistema dei requisiti patrimoniali precedentemente definiti. La proposta, formulata nel giugno del 1999, prevede tre fasi successive per modificare la regola dell’8% come quota d’accantonamento di capitale bancario, a fronte di un prestito, per la copertura del rischio d’insolvenza. In particolare, la prima fase prevede l’applicazione di un modello standardizzato che utilizza i livelli di rating emessi dalle agenzie di valutazione del credito come tra i rischi di default delle attività creditizie. E’ possibile convertire i valori alfanumerici dei rating emessi dalle agenzie di valutazione specializzate in valori numerici per avere un riferimento più immediato (tavola3). Gli obiettivi del nuovo sistema 10 sono principalmente: 1. identificare in modo migliore la relazione tra capitale e i rischi reali dell’attività creditizia; 2. identificare tutti gli sviluppi nelle misurazioni e gestioni del rischio bancario. Questa nuova proposta poggia su tre pilastri: 1. requisiti patrimoniali minimi, al fine di dare concretezza alle regole standard definite nell’Accordo originario. Obiettivo di questo pilastro è avere un sistema di gestione del rischio di credito “risk sensitive”, cioè sensibile al rischio. Il comitato ha seguito tre approcci per la definizione dei requisiti patrimoniali minimi: • una versione modificata dell’approccio esistente; • utilizzo dei sistemi interni di credit ratings delle banche; • 10 l’uso dei modelli interni per il rischio di credito. Basel Committee on Banking Supervision, (1999), op. cit. 22 Al fine di ottenere un legame più stretto tra i requisiti patrimoniali e rischi dell’attività bancaria, il Comitato ha proposto alcune modifiche al sistema definito nel 1988, che si concretizzano nell’introduzione di una quinta classe per esposizioni altamente rischiose con ponderazione del 150%. Tavola 3: Conversione numerica dei rating emessi da Moody’s e S&P MOODY’S S&P EQUIVALENTE NUMERICO Aaa AAA 100 Aa1 AA+ 95 Aa2 AA 90 Aa3 AA- 85 A1 A+ 80 A2 A 75 A3 A- 70 Baa1 BBB+ 65 Baa2 BBB 60 Baa3 BBB- 55 Ba1 BB+ 50 Ba2 BB 45 Ba3 BB- 40 B1 B+ 35 B2 B 30 B3 B- 25 Caa1 da CCC+ a CCC- 20 Caa2 CC 15 Caa3 C 10 Caa D 5 Fonte: Ferri, Liu e Majnoni: “The role of rating agency assessments in less developed countries: impact of the proposed Basel guidelines”, Journal of Banking & Finance, Vol. 25, #1, gennaio 2001. Sono proposte inoltre specifiche ponderazioni, che fanno riferimento ai ratings esterni di agenzie specializzate nella valutazione del credito, per le esposizioni bancarie nei confronti 23 dei Paesi sovrani, banche, compagnie assicurative e per le operazioni di securitization di attività del portafoglio immobilizzato. L’obiettivo di questo approccio è di favorire le attività ad alta qualità con una riduzione del capitale da accantonare e aumentare i requisiti patrimoniali per le attività di bassa qualità, attraverso l’uso dei rating come indicatori della rischiosità dell’attività. Il Comitato sta anche sviluppando un approccio alla definizione dei requisiti patrimoniali basato sui sistemi di ratings interni alle banche (secondo punto di questo pilastro), che possono essere utilizzati da quelle banche più sofisticate previa approvazione degli organi di vigilanza. Per quanto riguarda il terzo punto di questo pilastro, il comitato incoraggia l’uso e la continua sperimentazione dei suddetti modelli. 2. attività di supervisione sull’adeguatezza del capitale delle banche e sul relativo processo interno di valutazione del capitale. L’obiettivo di questo pilastro è mettere in linea il capitale della banca con il profilo di rischio complessivo. A tal fine il Comitato incoraggia i paesi ad attuare attività di supervisione continua e interventi preventivi nel caso in cui il capitale non fornisca la giusta protezione contro il rischio assunto dalla banca; 3. efficace utilizzo della disciplina di mercato quale strumento per rafforzare la trasparenza e incoraggiare pratiche bancarie sicure. Una disciplina efficiente consente al mercato di produrre informazioni affidabili e tempestive che permettono ai partecipanti di effettuare fondate valutazioni dei rischi assunti. 24 Le critiche sulle quali è opportuno soffermarsi sono quelle che si riferiscono alla definizione delle categorie di rischio e all’utilizzo dei giudizi esterni emessi dalle agenzie indipendenti di valutazione del credito per determinare la rischiosità dell’emittente e la relativa quota di capitale da accantonare. Altman e Saunders 11 analizzano in modo specifico l’impatto della proposta di riforma del Comitato di Basilea sul sistema bancario internazionale. Secondo gli autori vi sono due errori sostanziali nella proposta di riforma. Il primo riguarda la lentezza con cui le agenzie di rating variano i loro giudizi, adattandoli alle reali condizioni di mercato degli emittenti. Questo potrebbe causare una lentezza delle riserve di capitale ad adeguarsi alla effettiva rischiosità nei periodi di crisi e creare una situazione di overshooting, aumentando le riserve di capitale quando la crisi è gia in corso. E’ stato più volte sottolineato, da economisti e dirigenti delle agenzie di rating, come quest’ultime siano state colte impreparate dalla crisi asiatica e abbiano variato il giudizio su Sovrani, banche e imprese asiatiche parecchi mesi dopo lo scoppio della crisi 12 . Se il ruolo delle agenzie di rating deve essere quello di dare tempestivamente informazioni all’investitore sulla rischiosità dell’emittente, le recenti crisi finanziarie hanno sollevato molti dubbi sulla capacità delle agenzie di svolgere in modo efficiente questo ruolo. 11 Altman E.I., Saunders A., (2001), An Analysis and Critique of the BIS Proposal on Capital Adequacy and Ratings,” Journal of Banking & Finance, Vol. 25. 12 Fitch IBCA: Credit agency accepts criticisms over Asia, 14 gennaio 1998, http://www.stern.nyu.edu/globalmacro/ 25 Il secondo problema riguarda la varietà di rischio delle imprese. Tre fasce di rischio, da “AAA” a “AA-“ l’accantonamento è del 20%; da “A+” a “B-“ è del 100%; inferiore a “B-“ è del 150%; più una fascia per le imprese che non hanno rating, sembrano essere insufficienti a cogliere con precisione la reale rischiosità di un’impresa o di una banca. Fasce troppo ampie potrebbero favorire imprese di bassa qualità e sfavorire imprese di alta qualità Gli autori hanno proposto di modificare lo schema originario di Basilea con lo schema di ponderazione esposto nella seguente tavola 4: Tavola 4: Ponderazione di rischio alternativa proposta da Altman e Saunders ESPOSIZIONI PONDERAZIONI DI RISCHIO Moody’s Da Aaa fino Da a Aa3 fino Aa3 Da Ba1 a Inferi Senza a B3 Baa3 Standard Poor’s e Da AAA Da fino a AA- fino B3 AA- Da BB+ a Inferi Senza a B- BBBConversione ore a rating ore a rating B- Da 100 a 85 Da 85 a 55 Da 50 a Inferi Senza numerica 25 ore rating 25 Imprese Private 10% 30% 100% 150% 100% La maggiore modifica proposta è stata la divisione della categoria che va da A+ fino a B- in due categorie separate per cogliere la differenza tra investimenti speculativi e non speculativi, identificati dalla soglia 26 dell’”investment grade” (superiori a 55 nella conversione numerica). Come accennato in precedenza, la regolamentazione del sistema finanziario vieta agli istituti creditizi di detenere attività con un rating inferiore a BBB-, (cioè inferiore a 55) 13 . Dopo aver condotto uno studio sui default delle imprese americane tra il 1981 e il 1999, gli autori concludono che un accantonamento del 20% per i prestiti emessi a società che appartengono alla prima categoria sembra eccessivo, visto che queste hanno una percentuale di default prossima allo zero. Gli autori inoltre hanno osservato che il rapporto delle perdite inattese tra gli investimenti non speculativi (prima e seconda fascia delle schema proposto) e quelli speculativi (terza fascia delle schema proposto) è pari circa a 3. Quindi, hanno suggerito un rapporto di ponderazione del 30% contro il 100% proposto dal Comitato per la seconda fascia. Nella proposta del Comitato di Basilea, formulata nel gennaio 2001 14 , l’approccio standardizzato è stato modificato come riportato tavola 5. La nuova proposta prevede un modifica della seconda fase di transizione, prima dell’adozione del modello definitivo. Durante la seconda fase viene data la possibilità di scegliere tra due opzioni basate sul rating interno (IRB); la prima chiamata “approccio base “, l’altra chiamata “approccio avanzato”. La prima alternativa prevede la costruzione di un database interno alla banca basato sulle probabilità di default delle attività bancarie in relazione all’esperienza storica della banca stessa. Tale probabilità di 13 White J.L., (2001), op. cit. Dale R.S., Thomas S.H., (1991), The Regulatory Use of Credit Ratings in International Financial Markets, Journal of International Securities Markets. 14 Basel Committee on Banking Supervision, (2001), A Proposal for a New Basel Capital Accord, BIS, www.bis.org. 27 default viene moltiplicata per un fattore di perdita standard (LGD) e per un fattore indicativo della maturity (M); entrambi i fattori vengono stabiliti dal comitato di Basilea. Tavola 5: Ponderazione di rischio proposta dal Comitato di Basilea nel gennaio 2001 ESPOSIZIONI PONDERAZIONI DI RISCHIO Moody’s Da Aaa fino Da A1 fino Da a A3 a A3 Inferior Senza Baa1 a e a Ba3 rating Ba3 Standard Poor’s e Da AAA Da A+ fino Da fino a AA- a A- Inferior Senza BBB+ a e a BB- rating BB- Conversione Da 100 a 85 Da 80 a 70 Da 65 a Inferior Senza numerica Imprese Private 20% 50% 40 e a 40 rating 100% 150% 100% La principale differenza tra l’approccio base e quello avanzato sta nella determinazione interna da parte della banca dei fattori LGD e M. Nella nuova proposta la ponderazione di rischio della prima categoria è rimasta del 20% e, quindi, suscettibile delle critiche fatte in precedenza. Inoltre, non vengono stabilite due categorie che separino esattamente le attività speculative da quelle non speculative, infatti la terza classe include imprese con rating, convertito in valore numerico, che va da 65 a 40, quando invece la soglia dell’investment grade è a livello numerico di 55. Questo implica che viene definito uno stesso livello di 28 ponderazione tra attività non speculative, che quindi possono essere detenute da intermediari finanziari, e quelle invece definite come speculative che non possono essere detenute da intermediari finanziari. Sempre sulla base dello studio fatto dagli autori sui casi d’insolvenza delle imprese americane, emerge che la probabilità di default delle imprese appartenenti alla seconda categoria è di 13 volte inferiore a quella delle imprese appartenenti alla terza categoria. Di conseguenza, il peso relativo attribuito dal modello standardizzato (50% contro 100% della classe successiva) sembra sottostimare il rischio reale delle imprese appartenenti alla terza categoria. Dallo studio emerge anche che la probabilità di default della quarta classe è 16 volte superiore a quella della terza classe. Nuovamente, la ponderazione sembra sottostimare il rischio reale delle imprese che appartengono alla quarta classe. Difatti, il rapporto di default tra queste due classi assegnato dal comitato è solo di 1,5 volte. Anche da questa analisi appare evidente che il modello, se venisse così applicato, favorirebbe le attività a bassa qualità richiedendo un accantonamento di capitale minore in relazione al rischio effettivo di default e sfavorirebbe quelle ad alta qualità, richiedendo un accantonamento di capitale eccessivo rispetto al rischio effettivo delle attività. Questa finalità è in netto contrasto con gli obiettivi teorici del Comitato di Basilea. Inoltre, visto il valore legale attribuito ai rating emessi dalle agenzie di valutazione del credito è necessaria una attenta regolamentazione per evitare abusi da parte delle agenzie stesse. 29 1.IV ORIGINE DELLE AGENZIE DI RATING Le agenzie di rating sostengono che la loro valutazione (rating) dei prestiti obbligazionari in circolazione fornisce all’investitore un indicatore sulla capacità / incapacità di rispettare, da parte del debitore, i termini del contratto obbligazionario. Il giudizio, che indica la probabilità di rimborso del prestito e degli interessi, può anche stimare, qualora il mutuatario fallisca, quando e quanti soldi potrà riavere il creditore 15 . Oggi i rating sono molto usati da investitori, analisti e intermediari finanziari ma, quando nacquero i primi mercati obbligazionari in Inghilterra e Germania nel 1800, la situazione era ben diversa. I rating non esistevano e non si avvertiva neanche il bisogno di un tale tipo di strumento perché le obbligazioni erano emesse da enti pubblici o Sovrani la cui reputazione, e quindi la capacità di restituzione del debito, era pressoché nota. Le agenzie di rating nascono in America nel 1909, circa un secolo dopo la nascita del mercato obbligazionario nazionale. La situazione economica americana era sostanzialmente differente da quella europea. Lo sviluppo Usa nel 1800 era stato trainato dalle compagnie ferroviarie, che avevano bisogno di una quantità elevata di capitale per effettuare i collegamenti necessari ad una nazione vastissima. Tale fermento economico stimolò da una parte lo Stato alla concessione di finanziamenti per la costituzione di compagnie pubbliche, dall’altra favorì la nascita di una nutrita schiera di investitori, sparsi su tutto il territorio nazionale, disposti a finanziare questi progetti 16 15 www.moodys.com 30 Già nel 1850 il mercato delle obbligazioni ferroviarie americano era molto sviluppato e vi partecipavano soggetti la cui reputazione non era pubblicamente nota. Gli investitori, prima della comparsa delle agenzie di rating, raccoglievano informazioni sugli emittenti attraverso tre canali la cui storia è strettamente collegata con la nascite delle agenzie stesse. (1) Le credit reporting agencies. Prima dello sviluppo dei mercati finanziari era in uso tra creditore e debitore, in senso lato, la cosiddetta “lettera di raccomandazione”. Queste lettere venivano inviate tra commercianti che si trovavano a trattare con gli stessi debitori per testimoniarne la loro correttezza. Questo mezzo per diffondere informazioni venne utilizzato fino al 1830 quando l’espansione del mercato americano favorì la nascita della agenzie di reporting del credito. Nel 1841, Lewis Tappan, fondò un’agenzia mercantile specializzata nella raccolta e nella distribuzione di giudizi di solvibilità sulle imprese con intense attività commerciali. Tale agenzia nel 1859 diede vita alla R.G. Dun Company, tra i cui soci spiccavano commercianti di seta, importatori, esportatori, banche ed assicurazioni. Nel 1847 John Bradstreet fondò a Cincinnati una compagnia simile e, nel 1933, la Dun e la Bradstreet si unirono nell’omonima compagnia di valutazione del credito che nel 1966 acquisterà Moody’s. (2) stampa finanziaria specializzata. “Il giornale delle ferrovie americane”, nato nel 1832, fu il primo periodico a pubblicare sistematicamente informazioni finanziarie riguardanti attività, passività, utili e assetti proprietari riguardanti le società ferroviarie. 16 Sylla R., (2001), A Historical Primer on the Business of Credit Ratings, Department of Economics Stern School of Business, www1.worldbank.org. 31 Dopo la guerra civile Henry Varnum Poor (fondatore del giornale), insieme a suo figlio, iniziò a pubblicare “il manuale delle ferrovie americane”, dove era possibile trovare le statistiche economiche ed operative annuali di molte compagnie ferroviarie americane. Dopo la morte di Poor nel 1905, prendendo spunto dalla nascita della Moody’s, il figlio si dedicò esclusivamente alla valutazione delle obbligazioni emesse dalle compagnie ferroviarie. In seguito si unì con la Standard Statistics, un’altra compagnia di informazione finanziaria, formando la “Standard & Poor’s”, ancora oggi una delle più grandi agenzie di rating. (3) le banche d’investimento. Tali istituti di credito giocarono un ruolo fondamentale nello sviluppo del marcato obbligazionario americano favorendo la circolazione delle obbligazioni attraverso la diretta sottoscrizione e distribuzione dei prestiti emessi. Le banche d’investimento affiancavano le aziende che volevano accedere al mercato internazionale dei capitali dove la reputazione della banca collocante era di fondamentale importanza. Aziende nate a New York come la J.P. Morgan avevano filiali a Londra e Parigi dove si erano formati i mercati obbligazionari europei più importanti. Seligman Brothers e Goldman Sachs hanno storia analoga. Queste aziende possedevano delle informazioni riservate sullo stato di salute delle aziende che emettevano i prestiti e potevano quindi avere un giudizio più accurato del grado di solvibilità dell’emittente. La differenza sostanziale di informazioni che potevano reperire queste banche rispetto ai semplici investitori stimolò un accesissimo dibattito che portò alla costituzione nel 1930 della SEC (Securities and Exchange Commission), organo con il compito di promuovere la 32 pubblicazione di informazioni finanziarie rilevanti per gli investitori da parte delle aziende che partecipavano ai mercati finanziari. John Moody racchiuse in una sola entità questi tre canali informativi e costituì la prima agenzia di rating del mondo nel 1909. La logica storica sottostante l’esistenza delle agenzie di rating è strettamente connessa con un problema basilare della finanza: come fanno gli investitori a determinare la capacità di rimborso del debitore e monitorarne, dopo la concessione del prestito, il comportamento? Mutuatari specializzati, come le istituzioni finanziarie (banche, sim, fondi pensione, compagnie assicurative) potrebbero essere capaci di produrre le informazioni riservate per stimare la capacità di rimborso del debitore; ma mutuatari non specializzati come i risparmiatori in genere potrebbero aver bisogno di aiuto nel produrre e reperire le informazioni necessarie per le decisioni d’investimento; inoltre gli specialisti potrebbero comunque aver bisogno di aiuto quando investono in mercati poco conosciuti.Oltre a ciò, per le obbligazioni dove ci sono centinaia o migliaia di sottoscrittori, le agenzie di rating che producono informazioni di natura “pubblica” eliminano il problema della duplicazione delle informazioni riducendo il costo che ogni obbligazionista dovrebbe sopportare, con effetti positivi sulla redditività dell’investimento. 1.V LE PERFORMANCE DELLE AGENZIE DI RATING 1.V.1 LE PERFORMANCE TRA IL 1909 E 1960 NEL MERCATO OBBLIGAZIONARIO AMERICANO. Lo studio sicuramente più completo che descrive il comportamento delle agenzie di rating nel primo periodo della loro storia è quello 33 condotto da W. Braddock Hickman 17 sulle emissioni obbligazionarie di società pubbliche, industriali e ferroviarie tra il 1900 e il 1943. L’aspetto che più ci interessa di questo studio è l’analisi di tre fonti differenti di ratings come misura della qualità dell’emittente a disposizione degli investitori. La prima è quella emessa dalle agenzie di rating come Moody’s, S&P e Fitch. La seconda è il rating implicito nella lista legale d’investimento delle banche di risparmio adottate dalle autorità di vigilanza del sistema finanziario negli stati di Maine, Massachusetts e New York. La terza è data da un rating di mercato calcolato come differenza di rendimento rispetto ad un’obbligazione base con la stessa scadenza. Hickman sostiene che i rating prodotti dalle tre fonti, si sono dimostrati efficienti, cioè hanno stimato bene la probabilità di default delle emissioni e hanno ben identificato il trade-off tra rischio e rendimento. Questa sostanziale similitudine di risultati per i tre diversi metodi di valutazione è da attribuire al fatto che i procedimenti si basavano sulle stesse informazioni e quindi non potevano produrre risultati molto differenti. Hickman individua anche delle differenze, in particolare tra il rating emesso dal mercato e gli altri due. Infatti il rating di mercato è molto meno stabile degli altri, nel senso che la percentuale di imprese che nel periodo analizzato non ha avuto variazioni di rating di mercato è molto più bassa della percentuale calcolala con gli altri due tipi di rating. 17 Lo studio è stato condotto da un team di economisti presso il centro studi del NBER sotto la leadership di W. Braddock Hickman, i risultati sono stati pubblicati in tre volumi: The Volume of Corporate Bond Financing since 1900, (1953), Corporate Bond Quality and Investor Experience, (1958), e Statistical Measures of Corporate Bond Financing since 1900, (1960), pubblicati da Princeton University Press per NBER. 34 Data la sua maggiore sensibilità nel breve periodo, il rating di mercato sembra cogliere meglio le variazioni delle situazioni economiche delle imprese rispetto agli altri due tipi di rating, infatti sulla base di un periodo di 4 anni la percentuale di default di aziende che hanno ricevuto un alto rating di mercato è minore rispetto alla percentuale di default delle aziende che hanno ottenuto un alto rating attraverso gli altri due metodi. La situazione cambia nel lungo periodo, infatti i default sono maggiori per i debitori che hanno ricevuto un alto rating dal mercato piuttosto che i debitori che lo ricevuto dagli altri due metodi. La spiegazione di questo risultato è che l’eccessiva sensibilità del rating di mercato, che spesso diventa instabilità, porta a valutazioni eccessivamente alte nei momenti di ottimismo ed eccessivamente basse nei momenti di pessimismo. Hickman sottolineò anche che le valutazioni delle agenzie di rating sono strettamente influenzate dall’andamento del ciclo economico del momento. Difatti troviamo un miglioramento delle valutazioni sei volte su sei cicli economici espansivi e una riduzione delle valutazioni cinque volte su sei cicli economici recessivi. Secondo l’autore questo comportamento era la conseguenza della regolamentazione finanziaria adottata in America. Difatti, le banche potevano acquistare obbligazioni che avevano un rating compreso nelle prime quattro classi. Nella valutazione complessiva del valore della banca queste attività venivano valutate al valore di bilancio mentre le attività con bassi rating venivano valutate al prezzo di mercato e le perdite capitali (date dalla differenza tra il valore di bilancio e il valore di mercato) venivano immediatamente sottratte al valore complessivo della banca. 35 Proprio per questo motivo il valore delle imprese era molto instabile, riducendosi nei periodi recessivi e gonfiandosi nei periodi espansivi. Questa considerazione portò Hickman a concludere che l’utilizzo dei rating da parte delle Autorità incaricate del controllo del sistema finanziario per scopi regolamentari potrebbe accentuare le difficoltà finanziarie nei periodi recessivi, quando invece sarebbero opportune misure che allevino tali difficoltà. Il processo finanziario è molto semplice. Ipotizziamo che una banca acquisti un’attività con un rating alto. Se inizia un periodo recessivo, o interviene uno shock esterno, le agenzie di rating abbassano la valutazione dell’attività in possesso della banca. Se la riduzione fa diventare il titolo “speculativo” la banca è costretta a venderlo con delle conseguenze drastiche sul prezzo dell’obbligazione, sul valore della banca e sul valore dell’impresa che ha emesso il prestito perché tutte gli istituti finanziari in possesso di quell’attività dovranno venderla. Se le riduzioni dei rating al di sotto della soglia dell’investment grade colpisce un numero elevato di titoli, si possono verificare cadute del mercato obbligazionario e azionario della Nazione generando una crisi sistemica. Thomas Atkinson 18 condusse una studio analogo a quello di Hickman nel periodo che va dal 1944 al 1960 analizzando però un numero minore di titoli obbligazionari. La differenza più importante tra i due studi, che portano a risultati diversi, è il contesto economico statunitense nel dopoguerra. Le condizioni macroeconomiche della nazione erano ottime e in costante crescita fino al 1970. Lo scenario nazionale era dominato da stabilità e prosperità. Come naturale conseguenza, le aziende conseguivano 18 Atkinson R.T., (1967), Trends in Corporate Bond Quality , New York: NBER, distribuito da Columbia University Press. 36 profitti che crescevano di anno in anno e permettevano l’utilizzo dell’autofinanziamento invece dell’indebitamento obbligazionario; le banche, per reagire alla caduta di domanda di prestiti, introdussero i finanziamenti a lungo termine come alternativa all’indebitamento di mercato. Non ci sorprende quindi che la percentuale di default in questo periodo è solo dello 0,1% contro l’1,7% dello periodo analizzato da Hickman. Il 93% delle obbligazioni in circolazione avevano un rating compreso nelle categorie di qualità medio alta contro l’83% del periodo di Hickman. Atkinson non riesce a dimostrare il comportamento ciclico delle agenzie, dimostrato invece da Hickman. La spiegazione è data dalla particolare situazione di prosperità dell’economia americana e delle sue aziende che ha determinato un ruolo del tutto marginale alle agenzie di rating. Non è forse un caso che negli anni ’60 molti economisti si chiedevano se i cicli economici fossero scomparsi. 1.V.2 PERFORMANCE NELLA VALUTAZIONE DELLE OBBLIGAZIONI EMESSE DALLO STATO E DAGLI ENTI LOCALI Dal 1919 Moody’s iniziò a valutare le obbligazioni emesse dallo Stato americano e dai suoi organi locali. S&P iniziò solo nel 1950. 37 Ovviamente il mercato delle obbligazioni statali e governative americano era già molto sviluppato alla fine del 1800.19 Il primo default in questo settore è quello della città di Mobile in Alabama verificatosi nel 1839. Gli anni seguenti possono essere divisi in quattro periodi per confrontare le percentuali di default. Il primo va dal 1839 al 1843, quando dodici stati e governi locali erano indebitati per 12 milioni di dollari e più della metà non furono pagati, 13 milioni di dollari furono ripudiati e 1,3 milioni di dollari di interessi non furono mai pagati. Il secondo periodo va dal 1873 al 1879, quando circa un quarto del bilione di dollari in circolazione andò in default e la perdita tra capitale e interessi fu di 150 bilioni di dollari. Il terzo periodo di grandi default fu quello compreso tra il 1893 e il 1899, quando 130 milioni di dollari di debiti, circa il 10% del totale in circolazione, andò in default con circa 25 milioni di dollari di perdita tra capitale e interessi. La grande depressione del 1930 rappresenta l’ultimo periodo di grandi default. Dal 1929 al 1937, quasi 2,85 bilioni di indebitamento, circa il 15% del totale in circolazione non furono onorati. I defaults statali e locali si ridussero sensibilmente nei decenni seguenti il grande conflitto. Questi furono solo di 325 milioni di dollari durante il periodo che va tra 1945 e 1965, che rappresentavano solo lo 0,3 % del totale di debiti in circolazione. Per valutare il comportamento delle agenzie di rating in questo settore prendiamo a riferimento lo studio condotto da Hempel su 264 emissioni obbligazionarie nel periodo che va al 1929 al 1937. Le conclusioni di Hempel mostrano come il 78% dei debiti non restituiti dopo lo scoppio della grande depressione erano valutati “Aa” o meglio. Questa elevata percentuale è spiegata dal fatto che le 19 Hempel G., (1971), The Postwar Quality of State and Local Debt , National Bureau of Economic Research, p. 103. 38 obbligazioni in circolazione con un rating “Aa” o migliore rappresentavano il 94% del totale. Dopo lo scoppio delle grande crisi i rating furono ovviamente rivisti verso il basso e le obbligazioni che riuscirono a mantenere una valutazione “Aa” o migliore furono solo il 10% del totale. La conclusione più importante di questo studio è che le agenzie di rating, dopo aver fallito nella previsione della grande crisi hanno cambiato i metodi di assegnazione dei rating spostandosi verso metodi più sofisticati. Questi nuovi metodi però non sono stati testati nei periodi successivi perché le condizioni economiche americane sono migliorate in modo costante e non si sono verificati periodi di recessione che potessero mettere alla prova l’efficacia di questi nuovi metodi. Le condizioni economiche e finanziarie americane messe in evidenza da Atkinson ed Hempel erano destinate a cambiare all’inizio degli anni ‘70 con la crisi del sistema nato dagli accordi di Bretton-Woods e il passaggio ad un regime di cambi flessibile ponendo le basi per la nascita di una nuova era finanziaria: la finanza internazionale caratterizzata dalla globalizzazione. In questo nuovo contesto le agenzie di rating recuperarono quell’importanza che era stata loro tolta dalla crescente prosperità dell’economia americana nel dopoguerra. 1.V.3 LE PERFORMANCE DELLE AGENZIE DI RATING TRA IL 1970 E 1990 Negli ultimi due decenni le agenzie di rating hanno avuto uno sviluppo notevolissimo che le ha portate ad essere un pilastro 39 fondamentale del sistema finanziario internazionale. Una spinta decisiva alla loro affermazione è venuta dal processo di liberalizzazione sperimentato da molti paesi negli ultimi anni con l’ampliamento del mercato obbligazionario internazionale ai Paesi in via di sviluppo. Proprio in questi Paesi dove i mercati sono poco sviluppati, la disciplina finanziaria è debole e lacunosa; le agenzie di rating sono un punto di riferimento essenziale per tutti gli operatori che vogliono investire in questi nuovi mercati. Tra il 1960 e il 1970 queste agenzie erano piccole e di scarsa importanza, concentrate soprattutto sul mercato obbligazionario americano che, data la sua bassa percentuale di default, non permetteva loro di giocare un ruolo da prime attrici. Alla fine degli anni ’60 una grande impresa americana non onorò il prestito obbligazionario emesso e provocò una crisi di liquidità che presto si tramutò in una crisi di fiducia nel mercato. La tensione tra gli investitori era altissima ma le imprese che avevano comunque bisogno di fondi per finanziarie i loro progetti, si rivolsero alle agenzie di rating per ottenere una valutazione che servisse a dissolvere i dubbi degli investitori sulla capacità di rimborso dell’emittente, in pratica un certificato di qualità. Questo episodio segna l’inizio di un periodo di ascesa delle agenzie di rating che oggi sono arrivate a detenere un potere enorme. Un’azienda che riceve un rating basso, o subisce una diminuzione della valutazione, può incorrere in gravi problemi. I più importanti sono due: (i) il costo dell’indebitamento diventa più alto rispetto a imprese con rating più elevati; (ii) la massa potenziale di investitori si riduce se il rating è al di sotto degli soglia che individua gli investimenti non speculativi. 40 L’espansione delle agenzie di rating è testimoniata anche dai dati aziendali. S&P nel 1980 aveva 30 professionisti nel suo team industriale, questi sono diventati 40 nel 1986. Nel 2000 S&P ha 800 analisti su un totale di 1.200 addetti. Moody’s si è sviluppata ad un tasso simile, contando, nel 2000, su uno staff di 1500 persone. L’aumento delle obbligazioni valutate è stato elevatissimo. Nel 1976, le obbligazioni valutate da Moody’s erano circa 600. Oggi l’agenzia americana valuta circa 20.000 emissioni pubbliche e private in circolazione negli USA, e 1.200 emissioni non americane. S&P ha delle valutazioni complessive di poco inferiori a Moodys per ogni categoria. Moodys valuta $5 trilioni di obbligazioni, S&P $2 trilioni. Così, queste due compagnie dominano il mercato del rating. 41 2 AGENZIE DI RATING E CRISI FINANZIARIE 2.I INTRODUZIONE In questo secondo capitolo si vuole analizzare, in sintesi, alcuni dei maggiori contributi economici sul comportamento delle agenzie di rating durante le crisi finanziarie. La discussione inizia esaminando lo studio condotto da Ferri, Liu e Stiglitz sul comportamento prociclico delle agenzie negli eventi asiatici. Dopo aver dato dimostrazione del ritardo con cui le agenzie hanno variato i loro giudizi sui paesi coinvolti nella crisi, si analizzano le cause del ritardo e gli effetti sui mercati finanziari. In seguito, i modelli di assegnazione del rating utilizzati dalle agenzie, sono paragonati con dei modelli econometrici basati esclusivamente su variabili economiche quantitative. Il risultato più interessante emerso è che il rating assegnato ai Sovrani dei paesi asiatici, prima dello scoppio della crisi, sovrastimava i fondamentali economici, dopo lo scoppio, l’abbassamento del rating evidenziava una sottostima dei fondamentali. A seguito di tale evidenza, abbiamo continuato analizzando il comportamento dei rating assegnati alle banche e alle imprese dei paesi coinvolti dalla crisi. Lo studio condotto da Ferri, Liu e Majnoni evidenzia come la proposta del comitato di Basilea sulla regolamentazione bancaria, se approvata, potrebbe aumentare la volatilità dei requisiti patrimoniali delle banche che operano nei PVS e imporre degli accantonamenti maggiori per quest’ultime rispetto alle banche che operano nei paesi industrializzati. In generale, questo potrebbe aumentare il costo del capitale nelle regioni che hanno un basso livello di merito creditizio. 42 Dall’analisi del comportamento delle agenzie di rating durante la crisi asiatica emerge una sensibilità differente tra il rating delle imprese e delle banche, da un parte, e il rating Sovrano dall’altra, in relazione al Paese d’appartenenza. Per i Paesi in via di sviluppo questa sensibilità è molto forte, in pratica a fronte di una variazione del rating Sovrano abbiamo quasi sempre una variazione delle imprese ivi operanti. Al contrario, per le imprese e banche che operano nelle economie sviluppate il livello del rating viene influenzato poco dalle variazioni del livello del rating Sovrano. Viene inoltre illustrata una simulazione dell’impatto sui CAR delle proposta di Basilea nelle recenti crisi finanziarie. Nel terzo paragrafo viene analizzata la correlazione esistente tra il rating assegnato all’Ente Sovrano e l’andamento dei mercati finanziari attraverso il contributo di Kaminsky e Schmukler. Dopo aver motivato le relazioni esistenti tra il tasso d’interesse USA e i tassi di rendimento negli altri mercati finanziari, si mostra come le variazioni dei giudizi emessi dalle agenzie vengano modificati quasi simultaneamente e come questo influenzi i mercati obbligazionari e azionari delle Nazione oggetto di variazione. Inoltre la variazione del livello del rating in un Paese influenza l’andamento del mercato finanziario dei Paesi vicini che hanno situazioni macroeconomiche simili. Risulta evidente come i mercati obbligazionari dei PVS sembrano essere molto più influenzati dalle variazioni del tasso USA rispetto ai mercati finanziari sviluppati. Infine, anche questi autori, dimostrano come il comportamento delle agenzie di rating sembra essere prociclico, facendo riferimento alle variabili economiche utilizzate nel processo d’assegnazione del rating. Nell’ultimo paragrafo si provvede a discutere l’efficienza di alcuni indicatori di fragilità bancari attraverso 43 il contributo di Bongini, Laeven e Majnoni. Il risultato di maggior interesse è che i giudizi emessi dalle agenzie di rating non sono mai riusciti ad anticipare lo scoppio di una crisi 2.II IL COMPORTAMENTO DELLE AGENZIE DI RATING DURANTE LE CRISI FINANZIARIE Il verificarsi di eventi straordinari come le crisi finanziarie che hanno investito il Messico e il Sud – Est asiatico hanno messo a dura prova i governi dei paesi interessati, gli organismi di cooperazione internazionali e l’architettura del sistema finanziario internazionale. In particolare, il comportamento delle agenzie di rating è al centro di un acceso dibattito vista la crescente diffusione del rating sui mercati finanziari internazionali e le pesanti ripercussioni che si sono avute nei paesi asiatici dopo la variazione del livello del rating di Sovrani, banche e imprese colpite dalla crisi del 1998. Ferri, Liu e Stiglitz 19 dimostrano come le agenzie di rating abbiano fallito nel prevedere lo scoppio della crisi asiatica e come il loro comportamento abbia contribuito ad aggravare le condizioni finanziarie asiatiche riducendo il valore dei rating assegnati ai Sovrani del Sud-Est asiatico in modo eccessivo. Molti indicatori20 di crisi finanziaria segnalavano la presenza di fragilità nelle economie asiatiche già a giugno del 1997, invece le variazioni del livello del rating sono state operate dalle agenzie con ampio ritardo. I 19 Ferri, Liu e Stiglitz (1999); The Procyclical Role of Rating Agencies: Evidence from the East Asian Crisis, Economic Notes, vol. 28, No. 3, 335-55. 20 Vedi paragrafo 2.IV. 44 downgrades 21 si sono verificati per Malesia e Indonesia a dicembre del 1997 e per la Corea ad ottobre 1997. Solo la Tailandia subì un downgrade ad aprile del 1997. Tutte le nazioni subirono una riduzione del livello del rating che le portò al di sotto della soglia dell’investment grade, fatta eccezione per la Malesia (tavola 6). Tavola 6: Andamento del rating Sovrano nei Paesi colpiti dalla crisi asiatica Indonesia Anno Moody S&P Corea Fitch 1986 Moody S&P Malesia Fitch Tailandia Moody S&P Moody S&P Baa1 Dic A- A2 Aug A- Giu A2 Nov 1988 A+ Ott 1989 Mar 1990 A1 Apr 1992 A3 Dic BBBLug 1993 Baa3 A2 Nov Mar 1994 A+ Dic 1995 AA- 1996 1997 BBB AA- Lug Giu Ba1 BB+ BBB- A3 Nov A+ Ott A Nov Dic Dic Giu Ba1 Dic A- Nov B- Dic BB+ A2 Dic A Dic B+ Dic A3 Apr A- Sep Baa1 Ott BBB Baa3 Nov Ott Ba1 Dic Dic 1998 A Dec A1 Ma B2 B Gen BB- BB+/B Baa2 Giu A-/A-2 A- Gen B- Mar Giu Ago Baa3 Set Apr 3/BBB- B3 CCC+ A- Gen Mar Mag 2/BBB BBB- + Giu Ago A3/BBBSep Fonte: Ferri, Liu e Stiglitz (1999); op. cit. Le azioni intraprese dalle agenzie durante la crisi asiatica furono di dimensioni senza precedenti nella storia del rating. 21 Per downgrade si intende l’azione con la quale le agenzie di rating aumentano la probabilità di default dell’emittente. 45 Infatti, anche durante la crisi messicana scoppiata nel 1995, il rating Sovrano messicano subì una forte riduzione, ma già prima della crisi era al di sotto dell’investment grade e quindi non si ebbero particolari ripercussioni sui mercati finanziari in seguito alle azioni intraprese dalle agenzie di rating. Dall’analisi della crisi messicana e di quella asiatica emerge che in periodi di tensione finanziaria le agenzie tendono ad aumentare il giudizio delle nazioni che hanno già un buon livello di rating e ad abbassare il giudizio delle nazioni che non hanno un rating basso generando un processo di “flight to quality” 22 . Le conseguenze finanziarie di questo comportamento sono tre: • aumento del costo dell’indebitamento per le imprese che subiscono una variazione negativa del livello del rating. Moody’s, ad ottobre del 1994, pubblicò uno studio sulla relazione tra rating e tasso d’interesse sull’emissione di un prestito obbligazionario 23 . Per le emissioni con un con rating “Aaa” il tasso d’interesse era dell’8%, invece per emissioni con un rating “Caa” il tasso d’interesse aumentava fino al 13% per compensare l’aumento del rischio. • La relazione tra rating e tasso non è lineare e diventa particolarmente forte se la variazione del rating porta il titolo da sopra a sotto la soglia dell’investment grade. Una diminuzione di otto “tacche” 24 del rating che porta un titolo da “Aaa” a “Baa3” (limite minimo dell’investment grade) causa in media 22 E’ facile notare che, nei periodi in cui l’elevata volatilità dei prezzi provoca incertezza sull’andamento futuro dei mercati, molti investitori chiudono le loro posizioni rischiose e preferiscono rimanere liquidi o scelgono investimenti con basso rendimento ma che hanno un rischio minimo cioè quelli di “qualità” maggiore. 23 Moody’s Investment Service, (1994), Note to the SEC on the Disclosure of Security Ratings, Moody’s Investor Service. 24 Ogni “tacca” corrisponde univocamente ad un livello di rating contraddistinto dalle lettere utilizzate dalle agenzie di rating. 46 un aumento dell’1% del costo dell’indebitamento, una diminuzione di sole due “tacche” del rating che porta il titolo da “Baa3” a “Ba2” causa anch’essa un aumento dell’1% del costo dell’indebitamento, infine una riduzione del rating di otto “tacche” che porta il titolo da “Ba2” a “Caa” causa un aumento del 3,5% del costo dell’indebitamento. • L’attraversamento della soglia dell’investment grade può causare un effetto di razionamento quantitativo. Difatti, la disciplina finanziaria proibisce agli investitori istituzionali di detenere attività che hanno un rating inferiore alla soglia dell’investment grade o ne richiede degli accantonamenti aggiuntivi 25 , generando così una riduzione dell’offerta di capitale nei confronti degli emittenti che hanno un livello del rating basso. A livello macroeconomico, inoltre, azioni di downgrade emettono segnali negativi nei confronti dei partecipanti al mercato influenzando il tasso di cambio, l’andamento del mercato azionario e l’andamento dei prezzi di altre attività domestiche. Per analizzare il comportamento delle agenzie di rating durante le crisi finanziarie e il relativo impatto sul mercato dei capitali è necessario individuare quali variabili economiche vengono utilizzate dalle agenzie per assegnare e modificare i loro giudizi. Le agenzie, però, difficilmente dichiarano quali variabili sono alla base del processo d’assegnazione del rating all’Ente sovrano e alle imprese. Solo 25 Cantor e Packer (1997), Differences of Opinion and Selection Bias in the Credit Rating Industry, Journal of Banking and Finance No. 21, 1395-1417. 47 attraverso sporadiche pubblicazioni industriali le maggiori agenzie dichiarano i loro criteri di assegnazione del rating 26 . Cantor and Packer 27 individuano otto variabili quantitative che influenzano sensibilmente il livello del rating dell’Ente sovrano: reddito pro capite, crescita del PIL, inflazione, bilancio fiscale e sviluppo economico. Un modello econometrico basato su queste variabili riusciva a spiegare quasi completamente il livello del rating assegnato agli Enti sovrani prima dello scoppio della crisi asiatica, ma non può spiegare il ritardo con cui i rating delle regioni asiatiche sono stati variati e l’ampiezza dei downgrade avvenuta dopo lo scoppio della crisi. Le maggiori agenzie di rating, attraverso varie pubblicazioni, hanno ammesso il loro errore giustificato solo parzialmente dalle caratteristiche relativamente nuove della crisi finanziario-valutaria che ha colpito i paesi del Sud-Est asiatico 28 . Infatti le crisi precedenti, in particolare quella messicana, erano state originate da uno squilibrio dei conti pubblici che provocarono il crollo della valuta generando gli effetti classici di una crisi valutaria. Invece, la crisi asiatica fu provocata da uno squilibrio finanziario del settore privato, fortemente indebitato a breve termine con l’estero. Proprio alla luce di questa constatazione, i modelli utilizzati dalle agenzie nel processo di assegnazione del rating Sovrano hanno preso in considerazione altre variabili come: indebitamento a breve termine, in particolare quello denominato in valuta straniera; indebitamento estero del settore 26 Moody’s Investment Service (1991) Global Analysis, London: IFR Publishing. Moody’s Investment Service (1995) Sovereign Supranationals Credit Opinions. Standard and Poor’s (1994) Sovereign Rating Criteria, Emerging Markets,124-27. 27 Cantor R. e Packer F., (1996), Determinants and Impact of Sovereign Credit Ratings, Federal reserve Bank of New York Quarterly Review, 37-51. 28 Fitch IBCA, (1998),op. cit. 48 privato e del settore pubblico; il regime del tasso di cambio e la competenza dei policy makers. In particolare Truglia 29 , senior manager di Moody’s, ha sottolineato l’importanza dell’indebitamento a breve termine proponendo l’introduzione di un nuovo indicatore di sostenibilità del debito ottenuto dal saldo della bilancia dei pagamenti più l’indebitamento a breve termine in valuta estera diviso per le riserve internazionali detenute dalla banca centrale. Inoltre, nel processo di assegnazione del rating all’Ente sovrano rivestono particolare importanza i giudizi qualitativi dell’agenzie, basati su informazioni “ad hoc” in relazione alla specificità del paese. Quindi i rating attualmente assegnati sono il risultato della somma di due funzioni: un giudizio rappresentativo dei fondamentali economici del paese e un giudizio basato sulle informazioni “ad hoc” che riflettono i giudizi qualitativi degli analisti delle agenzie. I pesi attributi ai due giudizi nella determinazione del rating Sovrano non sono mai stati dichiarati esplicitamente dalle agenzie ma possono essere ricavati confrontando il rating assegnato al paese con quello generato da un modello econometrico basato sulle variabili economiche prima elencate. Se il rating assegnato è più basso del rating generato dal modello econometrico significa che le agenzie attribuiscono un peso negativo ai giudizi qualitativi nella determinazione del rating Sovrano. In altre parole, il livello del rating generato dall’analisi dei fondamentali economici viene diminuito sulla base di aspettative negative formulate dagli analisti delle agenzie sull’andamento economico del paese in esame. Viceversa, se il rating assegnato è maggiore del rating generato dal modello econometrico 29 Truglia, V., (1998), Outlining the Major Factors of Country Risk, Moody’s Investor Service. 49 significa che al rating rappresentativo dei fondamentali economici vengono aggiunti dei punti sulla base di aspettative positive formulate dagli analisti sull’andamento economico del paese. L’analisi dell’andamento dei rating Sovrani assegnati ai paesi asiatici tra il 1997 e 1998 dimostra che prima dello scoppio della crisi i fondamentali economici delle regioni erano sovrastimati, invece dopo lo scoppio della crisi le agenzie hanno sottostimato i fondamentali economici riducendo in modo eccessivo il giudizio sulla capacità di rimborso dei paesi asiatici. I rating assegnati a Corea, Indonesia e Tailandia prima della crisi erano maggiori del rating emesso dal modello econometrico basato sui fondamentali economici del paese. La differenza, in questo caso positiva, è spiegata dai giudizi qualitativi positivi che le agenzie avevano sull’andamento futuro delle economie asiatiche. Quindi i fondamentali economici erano sovrastimati. Dopo lo scoppio della crisi, la riduzione dei rating Sovrani ha portato il livello del giudizio al di sotto del rating emesso dal modello econometrico, cioè i giudizi qualitativi hanno influenzato in modo negativo il livello del rating sottostimando in pratica i fondamentali economici. E’ importante sottolineare come il deterioramento dei fondamentali in Corea e Tailandia non giustifichi l’abbassamento del rating al di sotto della soglia dell’investment grade. Questa analisi dimostra che la riduzione del rating è stata maggiore di quanto la riduzione dei fondamentali lo giustificasse accentuando la crisi finanziaria, incoraggiando la fuga di capitali e rendendo ancora più gravoso la ricerca di fondi a livello internazionale da parte dei paesi colpiti dalla crisi (tavola 7). 50 Gli autori spiegano questo comportamento attraverso l’importanza della reputazione delle agenzie di rating nel business della valutazione del credito. La difesa della loro reputazione le porta ad assumere un comportamento conservativo che si manifesta nel ritardo con il quale i rating si adeguano alla nuova situazione finanziaria del paese e alla sottostima dei fondamentali economici quando il paese attraversa periodi finanziari critici contrapposta alla sovrastima dei fondamentali economici dei paesi che attraverso periodi finanziari buoni. Tavola 7: rating assegnato dalle agenzie V.S. rating assegnato dal modello econometrico Indonesia 60 50 40 30 20 10 0 Corea 85 80 75 70 65 60 55 50 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 Agenzie Econometrico Agenzie Malesia Econometrico Tailandia 100 85 80 75 70 65 60 55 50 75 50 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 Agenzie Econometrico 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 Agenzie Econometrico Fonte: Ferri, Liu e Stiglitz, (1999), op.cit. Se la proposta del comitato di Basilea venisse accettata le distorsioni sul mercato creditizio sarebbero notevoli, qualora le agenzie di rating 51 si comportassero ancora in modo prociclico. Difatti, le banche che concedono un prestito ad un Ente sovrano dovranno accantonare un quota di capitale in relazione alla rischiosità dell’emittente determinata proprio sulla base del livello del rating. Analizzando la proposta alla luce di quanto è accaduto in Asia, prima dello scoppio della crisi le banche si sarebbero trovate ad accantonare una quota di capitale inferiore alla rischiosità effettiva dei prestiti concessi ai paesi asiatici determinando una sottocapitalizzazione del sistema bancario. Al contrario, dopo lo scoppio della crisi, la riduzione del livello dei rating avrebbe causato un accantonamento eccessivo di riserve ed una aumento del costo dell’indebitamento, a danno dei governi asiatici, non in linea con la rischiosità effettiva del prestito. Ferri, Liu e Majnoni 30 analizzano l’impatto della proposta del comitato di Basilea nei PVS sulla base della constatazione che le agenzie di rating hanno una lunga esperienza nella valutazione delle obbligazioni emesse negli USA, dove sono nate, e in altri paesi industrializzati ma la loro attività si è sviluppata nei PVS solo nell’ultimo decennio, con la conseguenza che la distribuzione dei rating nel mondo risulta molto asimmetrica. Questo provoca delle ripercussioni rilevanti sulla qualità del rating emesso nei confronti dei Sovrani, banche e imprese che operano dove solo di recente le agenzie hanno iniziato a valutare i titoli obbligazionari contrattati sui mercati dei capitali domestici. Secondo gli autori l’applicazione delle proposta del comitato porterebbe un lieve miglioramento al costo di enormi distorsioni. Difatti, l’approvazione della proposta del comitato di Basilea potrebbe aumentare la volatilità dei requisiti patrimoniali delle banche che 30 Ferri, Liu e Majnoni, (2001), op. cit. 52 operano nei PVS e imporre degli accantonamenti maggiori per quest’ultime rispetto alle banche che operano nei paesi industrializzati. In generale, questo potrebbe aumentare il costo del capitale nelle regioni che hanno un basso livello di merito creditizio per tre ragioni: (i) la carenza di rating nei PVS implica che le banche e le imprese vengono comprese nella quarta fascia dell’accordo con una ponderazione del 100% (in sostanza rimane l’8% come quota d’accantonare) mentre la diffusione dei rating nei paesi industrializzati implica una riduzione della quota d’accantonamento da parte delle banche a fronte dei prestiti emessi alle banche e alle imprese operanti in questi paesi. Quindi se alle banche è richiesto un minor accantonamento di capitale possono espandere l’offerta di credito nei paesi industrializzati con una sostanziale riduzione del tasso d’interesse a fronte di una riduzione dell’offerta di credito nei confronti dei PVS, per i quali è richiesto un accantonamento maggiore. Le conseguenze per le banche operanti nei PVS sono scontate: aumento del costo dell’indebitamento e difficoltà di reperimento di risorse. A cascata le difficoltà del sistema bancario si trasmettono alle imprese. Questo problema è reso ancora più grave della constatazione che le imprese nei PVS non possono facilmente sostituire il credito bancario con il credito di mercato a causa della fragilità e dello scarso sviluppo dei mercati finanziari in questi paesi; (ii) come dimostrato precedentemente, i rating dei PVS spesso sono stati abbassati dalle agenzie di rating in modo eccessivo, cioè oltre quanto sembrava giustificato dal deterioramento dei fondamentali economici del paese. Nel processo di assegnazione del rating alle imprese e alle banche, le agenzie prendono il rating Sovrano come il 53 livello massimo oltre il quale il rating delle società ivi operanti non può andare. Naturalmente una riduzione del rating del Sovrano eccessiva implica una compressione del rating aziendale al di sotto della reale probabilità di default stimata attraverso l’analisi dei fondamentali dell’azienda. Anche questo crea delle distorsioni dell’allocazione efficiente delle risorse perché le imprese sono costrette ad emettere un prestito obbligazionario ad un tasso d’interesse influenzato da un rating che non rispecchia l’effettiva rischiosità del debito emesso. (iii) l’esperienza storica ci suggerisce che il rating delle società con sede nei PVS è molto più influenzato dal rating del Sovrano di quanto non lo sia il rating delle società con sede nei paesi industrializzati dal rating del proprio Sovrano. Viste le difficoltà politiche che spesso i governi asiatici e dell’America Latina si sono trovati ad affrontare, unitamente a problemi di corruzione e clientelismo, le imprese dei PVS potrebbero essere penalizzate per problemi relativi all’Ente sovrano e non alla loro gestione economico-finanziaria. Analizzando nel dettaglio la relazione tra distribuzione dei rating e livello di reddito, gli autori dividono i paesi del mondo in quattro categorie in base al reddito. La copertura dei rating diminuisce drasticamente con la riduzione del livello del reddito. Il numero di aziende valutate nel primo gruppo, formato dai paesi appartenenti al G-10, è di 24 volte superiore al numero di aziende valutate che fanno parte dell’ultimo gruppo, formato dalle nazioni che hanno il reddito più basso. In particolare Africa, America meridionale e Asia hanno la copertura minore. Inoltre la media dei rating assegnati 54 alle imprese operanti nei paesi industrializzati è ampiamente al di sopra della soglia dell’“investment grade” mentre la media dei rating assegnati imprese che operano nei PVS è al di sotto di tale soglia. Dall’analisi della distribuzione geografica dei rating emerge che le agenzie con sede negli USA nell’ultimo decennio hanno sviluppato la loro attività verso quei paesi dove i costi fissi e marginali dell’emissione del rating erano più bassi o dove c’era un elevata richiesta di rating. Per di più la valutazione delle imprese nei paesi a medio–basso reddito è un fenomeno talmente recente che non consente di stabilire se le metodologie usate dalle agenzie nel processo d’assegnazione del rating sono corrette. Infine al diminuire del reddito di una nazione la correlazione tra rating aziendale e rating Sovrano diventa sempre più forte. Mentre questi risultati potrebbero essere consistenti con giudizi razionali nella valutazione del rischio di credito in economie dove i costi della raccolta di informazione sono molto elevati e le istituzioni finanziarie sono instabili, potrebbero introdurre delle distorsioni qualora i rating venissero usati a fini regolativi. Riferendoci alla tabella di ponderazione del rischio proposta dal comitato nel Giugno del 1999, considerando i livello di rating delle imprese di tutto il mondo assegnato da Moody’s o S&P e tenendo presente gli accordi di Basilea emanati nel 1988 è possibile ipotizzare, in via generale, i cambiamenti che la nuova proposta introdurrà. La quota di accantonamento base per i prestiti alle imprese non bancarie è dell’8%. I possibili risultati dovuti all’introduzione del rating determinazione dei Car (Capital Asset Requirements) sono tre: 55 nella (i) il passaggio da un accantonamento dell’8% ad un accantonamento dell’1,6% per i prestiti emessi dalle banche ad imprese che hanno un rating compreso nelle prime due fasce dell’accordo, con un guadagno in termini di risorse non soggette all’obbligo di riserva dell’6,4%; (ii) nessuna variazione rispetto all’8% per le imprese che appartengono alla terza categoria e (iii) infine un passaggio dall’8% all’12% per le imprese che appartengono alla quarta categoria. Date le premesse sulla distribuzione dei rating delle imprese e la loro correlazione con il livello di reddito del paese in cui operano è facile dimostrare che le imprese che vedranno una riduzione del costo dell’indebitamento bancario sono quelle che operano nei paesi OCSE e quelli non OCSE ma comunque ad alto reddito, praticamente le imprese che formano i primi due gruppi della suddivisione in base al reddito prima menzionata. Invece, le imprese che formano gli ultimi due gruppi sulla base del reddito del paese in cui operano non avranno nessuna riduzione del costo dell’indebitamente bancario, anzi sembra probabile un aumento. Per quanto riguarda invece i prestiti interbancari i risultati possibili dovuti all’introduzione dei rating della determinazione dei Car sono quattro: (i) nessuna variazione rispetto alla quota dell’1,6% proposta dagli accordi del 1988 per i prestiti a banche che hanno rating compresi nelle prime due categorie; (ii) il passaggio da una quota dell’1,6% ad una quota dell’4% per i prestiti emessi a banche che hanno un rating compreso nella terza categoria, (iii) il passaggio da una quota del 1,6% ad una quota dell’ 8% per i prestiti emessi a banche che hanno un rating compreso nella quarta categoria e infine (iiii) un passaggio 56 da una quota dell’1,6% ad una dell’12% per prestiti emessi a banche che hanno un rating compreso nell’ultima fascia. I risultati della distribuzione degli aumenti e delle diminuzioni tra le banche di tutto il mondo rispecchiano quelli ottenuti per le imprese. La differenza sta nel fatto che anche le banche che operano nei paesi ad alto reddito vedranno un aumento medio dei Car del 2,4% . Mentre le banche appartenenti nei paesi a medio – basso reddito vedranno un aumento del 6,4%. Alla luce di questa semplice analisi appare già evidente come l’introduzione dei rating nella determinazione dei Car comporterà un aumento del costo dell’indebitamento internazionale per quelle imprese, bancarie e non, che operano nei PVS. Dall’analisi specifica del comportamento delle agenzie di rating durante il periodo che va dal giugno 1997 a giugno 1998, durante il quale la crisi asiatica si è manifestata nel modo più chiaro, emerge che i downgrade hanno colpito in modo diffuso il sistema bancario e le imprese dei paesi in crisi. In particolare il livello del rating delle banche e delle imprese coreane, indonesiane e tailandesi è sceso al di sotto della soglia dell’investment grade. Dal confronto tra il rating 31 assegnato alle imprese localizzate nelle economie sviluppate e quelle localizzate invece nelle economie in via di sviluppo tra il 1990 e 1999, emerge che per quest’ultime il peso del livello del rating assegnato all’ente Sovrano nel processo d’assegnazione del rating aziendale è molto maggiore rispetto alle imprese che operano nei paesi ad alto reddito. Inoltre tale sensibilità sembra accentuata nei casi di downgrade. In pratica una riduzione del 31 Gli autori utilizzano il rating minimo, ricevuto da ciascun’azienda nell’arco di ogni anno, emesso da Moody’s. 57 livello del rating del Sovrano di 10 punti 32 si traduce in una riduzione del rating delle imprese operanti dei PVS di 6,9 punti. Questa relazione non sembra invece verificata per le economie industrializzate. Riveste un interesse particolare l’analisi svolta dagli autori sulla relazione tra rating Sovrano e rating delle banche. Il livello del rating delle banche è funzione del rating assegnato al Sovrano dove la banca opera, però gli istituti creditizi che operano nei PVS sono molto più sensibili alle variazioni del rating dell’Ente sovrano rispetto ai loro omologhi che operano nei paesi industrializzati. Inoltre, questa maggiore sensibilità è molto più elevata nei casi di riduzione rispetto ai casi di aumenti del rating Sovrano. In pratica una riduzione di 10 punti (due tacche) del rating Sovrano si traduce in una variazione di 2,7 punti nel rating delle banche operanti nei paesi industrializzati e in una variazione di 7,5 punti nel rating delle banche operanti nei PVS. Invece una riduzione del rating Sovrano di 10 punti si traduce in una riduzione di 5,6 punti del rating delle prime banche e in una riduzione di 9,6 punti del rating delle seconde banche. E’ possibile simulare l’impatto sui Car della proposta di Basilea nelle recenti crisi finanziarie. I risultati della simulazione econometria evidenziano come i Car relativi ai prestiti interbancari, non avrebbero subito modifiche nelle crisi finanziarie che hanno colpito Colombia, India e Messico quando si è verificato un downgrade di 10 punti (due tacche). Invece i Car sarebbero passati dall’8% all’12% nel caso della crisi brasiliana dove si verificò un downgrade di due tacche, in Malesia i Car sarebbero passati dall’1,6% al 4% a fronte di un downgrade di quattro tacche e infine sarebbero passati dal 2,8% al 32 In questo caso facciamo riferimento alla conversione numerica dei giudizi alfabetici emessi dalle agenzie. 58 7,3% in Corea dove si verificò un downgrade di sei tacche. Invece i downgrade che si sono verificati nei paesi industrializzati nelle recenti crisi finanziarie non hanno provocato un aumento dei Car, lasciandoli invariati al livello del 1,6%. L’analisi viene estesa anche alle variazioni dei Car nei prestiti alle imprese operanti nelle regioni colpite dalle crisi. Contrariamente al caso precedente anche per molti paesi ad alto reddito si verifica un aumento dei Car. Rimangono costanti al livello del 1,8% solo nel caso della crisi finanziaria che ha colpito la Nuova Zelanda, mentre passano da 3,3% a 3,8% in Canada, da 2,4% a 3,2% in Finlandia, da 3,7% a 4,1% in Giappone, da 2,8% a 3,1% in Svezia. Comunque gli aumenti più ampi si hanno per i paesi a basso reddito. In Messico sarebbero passati da 7,3% a 8%, in Brasile da 7,4% a 8,9%, in Colombia da 7% a 10%, in India da 4% a 8%, in Malesia da 1,6% a 4% in fine in Corea da 1,9% a 5,7%. Questa analisi dimostra come l’introduzione della proposta del comitato di Basilea potrebbe aumentare la volatilità dei Car e provocare un notevole aumento del costo dell’indebitamento per quei paesi che hanno un rating basso o che subiscono delle pesanti riduzioni in seguito allo scoppio di una crisi finanziaria. Ferri, Liu e Majnoni dimostrano la stretta correlazione esistente nei PVS trai il rating Sovrano e il rating delle imprese e banche del paese. Visto l’andamento prociclico delle rating sovrano, gli effetti sul costo del finanziamento da parte delle imprese dei mercati emergenti possono essere di notevole entità mettendole in una posizione di svantaggio rispetto alle imprese che operano nei paesi industrializzati. 59 L’introduzione dei rating nella determinazione dei requisiti minimi patrimoniali delle banche è stata fatta con l’obiettivo di avere un livello di riserve il linea con il rischio dell’attività bancaria per reagire meglio alle crisi bancarie soprattutto alla luce degli eventi asiatici. I risultati della simulazione econometrica non sembrano supportare l’efficacia dell’utilizzo dei rating a scopi regolativi, anzi prevedono l’introduzione di un’ulteriore effetto distorsivo a scapito dei paesi che hanno un rating Sovrano basso e una limitata copertura da parte delle agenzie nella valutazione del merito creditizio di imprese e banche che operano sui mercati domestici. 2.III RELAZIONE TRA IL RATING SOVRANO E IL MERCATO DEI CAPITALI. Tra i fattori che influenzano la struttura dei tassi d’interesse sui mercati finanziari rivestono un ruolo di particolare importanza il livello del rating assegnato alle emissioni dell’Ente sovrano e il livello dei tassi d’interesse negli USA. Il primo valore ci indica il rischio dell’investimento e il secondo valore ci indica il rendimento dei titoli obbligazionari con la minore possibilità di default. A sua volta il mercato obbligazionario influenza il mercato azionario determinando in costo del denaro. Un aumento dei tassi d’interesse spesso comporta una riduzione del valore delle azioni perché da una parte aumentano gli oneri finanziari a scapito dei profitti e della distribuzione degli utili; dall’altra si verifica una sostituzione dei titoli azionari con i titoli obbligazionari spinta dalla accresciuta redditività di quest’ultimi. Infine il recente processo di 60 liberalizzazione finanziaria ha creato un unico mercato finanziario internazionale, formato dai mercati finanziari domestici, dove l’andamento di ogni singolo mercato si riflette, e a volte si amplifica, su tutti i mercati. Questa stretta interdipendenza, frutto delle sviluppo tecnologico, se da una parte favorisce una migliore allocazione del risparmio sui vari mercati e riesce a cogliere al meglio i vantaggi della diversificazione dei portafogli, dall’altra può provocare crisi finanziarie qualora non venga supportata da un’adeguata regolamentazione dei sistemi finanziari locali. I benefici, in termini di benessere sociale, della globalizzazione spesso sono stati minori dei costi sopportati dal sistema finanziario internazionale per risolvere crisi economiche generate proprio dalla liberalizzazione finanziaria 33 . Quando uno Stato decide di aprire i propri mercati ai capitali provenienti dall’estero deve prima attuare una serie di riforme politico - giuridiche che consentano ai mercati di operare su basi solide. Nelle recenti esperienze i governi dei PVS non solo non hanno attuato queste riforme ma hanno addirittura aumentato le distorsioni sui mercati finanziari domestici al fine di attrarre capitali internazionali 34 . Una testimonianza palese è la garanzia esplicita offerta dai governi asiatici sul rimborso degli investimenti che ha generato il fenomeno del “moral hazard” ,da molti indicato come una delle cause principali della crisi 35 . Possiamo supporre che dove i mercati siano poco sviluppati vi sia anche una carenza di informazione sulle imprese che partecipano al mercato. Quindi il giudizio emesso dalle agenzie di rating viene 33 Filosa R., (2001), Il futuro delle relazioni economiche internazionali, Saggi in onore di F. Caffè, pp. 111 – 160, FrancoAngeli 34 Corsetti G., P. Pesenti e N. Rubini, (1999), What caused the Asian currency and financial crisis?, Japan and the world economy, Vol. 11 No.3, http://www.econ.yale.edu/~corsetti 35 Krugman P., (1998), What happened to Asia, Mineo. 61 considerato dagli operatori come una valutazione emessa da soggetti specializzati sulla base di un’attenta analisi e di una meticolosa raccolta di informazioni. I recenti episodi di crisi e il relativo comportamento delle agenzie sollevano però non pochi dubbi sull’esattezza del processo di assegnazione del rating da parte delle agenzie e sulla loro capacità di variare tempestivamente i giudizi al cambiamento delle condizioni economiche. Kaminsky e Schmukler 36 analizzano la correlazione esistente tra il rating assegnato all’ente sovrano e l’andamento dei mercati finanziari. Le agenzie di rating utilizzano una metodologia di assegnazione dei giudizi che considera il rating sovrano come il livello massimo del rating che le imprese del paese possono ottenere. Di conseguenza la riduzione del livello del rating dell’Ente sovrano comporta una riduzione a cascata del livello del rating delle imprese nazionali. Inoltre i cambiamenti di rating in una nazione potrebbero suonare come campanello d’allarme per economie con situazione economicopolitiche simili e generare effetti di contagio che possono coinvolgere un intero continente. A tale proposito, Kaminsky e Schmukler (1999), hanno esaminato gli effetti di contagio provocati dal cambiamento del livello del rating, alla luce di differenti notizie, nelle nazioni vicine e hanno trovato che le “news” riguardanti la capacità di rimborso del debitore di un paese hanno marcati effetti sul mercato azionario e obbligazionario dei paesi vicini. Questi risultati sono supportati dalla constatazione di un elevato effetto contagio nelle recenti crisi finanziarie. Proprio in Asia la crisi partita dalla Tailandia ha coinvolto poi quasi tutto il continente asiatico perché gli operatori finanziari 36 Kaminsky G. e Schmukler S. (febbraio 2001),Emerging markets instability: do sovereign ratings affect country risk and stock returns?, www1.worldbank.org 62 consideravano la regione asiatica come un tutt’uno e quindi, secondo loro, la crisi in un paese si sarebbe presto verificata anche nei paesi con condizioni macroeconomiche simili. In molti casi tali aspettative possono generare crisi che si autorealizzano non giustificate da shocks economici o da fondamentali fragili 37 . Il rischio paese è il primo fattore che influenza i tassi d’interesse sui titoli governativi. Se le variazioni positive del rating apportano nuove informazioni al mercato avremo una riduzione del rischio paese con effetti positivi sul livello dei tassi d’interesse. Anche le imprese avranno un miglioramento del livello del rating che porta ad una riduzione del costo dell’indebitamento con effetti positivi sui profitti e quindi sul prezzo delle azioni. Per quanto riguarda la relazione tra tassi USA e mercati finanziari internazionali Kamin and von Kleist 38 sostengono che ci sono tre differenti canali attraverso i quali il cambiamento del tasso Usa può influenzare il rischio paese delle altre nazioni: (i) un aumento del tasso d’interesse offerto dalle obbligazioni americane, titoli con il rischio minore in assoluto, spinge verso l’alto anche il tasso al quale i governi delle altre nazioni possono fare il rollover del proprio debito, che ha una rischiosità sicuramente maggiore del debito statunitense; (ii) l’aumento dell’onere del debito mina la solvibilità del governo inducendo gli investitori a richiedere un tasso d’interesse maggiore per compensare il maggior rischio, diminuendo così la capacità di rimborso dello Stato; (iii) l’aumento dei tassi USA provoca una variazione nel allocazione efficiente dei portafogli degli 37 Per una rassegna dettagliata sulle diverse interpretazioni teoriche della crisi asiatica e dei principali modelli di crisi valutarie si veda Corsetti G., (2001), Interpreting the Asian Financial Crisis: Open Issues in Theory and Policy, Asian development Review, vol. 16, No 2. 38 Kamin, Steven and von Kleist, Karsten, (1999), The Evolution and Determinants of Emerging Market Credit Spreads in the 1990s, International Finance Discussion. Paper 1999-653, Federal Reserve Board. 63 investitori internazionali che si spostano verso le obbligazioni americane. La riduzione dell’offerta di capitale verso gli altri mercati spinge verso l’alto i tassi d’interesse nella periferia del sistema finanziario. Questa situazione penalizza maggiormente i paesi indebitati e quelli che hanno bisogno di capitali per sostenere il processo di industrializzazione. All’origine dei massicci afflussi di capitali verso le economie emergenti a metà degli anni ’90 c’era proprio un livello dei tassi d’interesse USA molto basso, che costrinse gli investitori a cercare attività con rendimenti più alti localizzate nelle economie con rischiosità maggiore 39 . Quindi, visto che l’aumento del tasso USA porta un aumento del tasso d’interesse nel resto del sistema provocando problemi finanziari ai governi degli altri paesi gli autori ipotizzano una relazione positiva tra l’andamento del tasso d’interesse Usa e il rischio paese. Inoltre il governo, di fronte ad un aumento del costo dell’indebitamento può aumentare l’imposizione fiscale riducendo i profitti delle imprese. Quindi un aumento del rendimento dei titoli governativi statunitensi avrà effetti negativi anche sul rendimento dei mercati azionari. I risultati dell’analisi condotta dagli autori evidenzia che gli upgrade e downgrade vengono annunciati quasi simultaneamente dalle diverse agenzie, quasi ci fosse un coordinamento nei loro comportamenti. Inoltre, i cambiamenti dei livelli dei rating sul debito emesso dagli Enti sovrani delle economie emergenti influenzano notevolmente i mercati azionari e obbligazionari domestici . In media a fronte di una riduzione dell’1% del rating abbiamo una riduzione del 3% del rendimento azionario. 39 Calvo G.A., Leiderman e Reinhart C.M., (2000), Capital inflow and real exchange rate appreciation in Latin America: the role of external factors, in IMF staff Paper, marzo. 64 Le variazioni dei rating contribuiscono alla diffusione del contagio in periodi di crisi a regioni con economie simili e alla diffusione di effetti di spillover. In particolare variazioni del livello del rating Sovrano in Paesi emergenti provocano una riduzione del rendimento del mercato interno e può provocare anche la riduzione del rendimento del mercato azionario di paesi vicini il cui livello del rating sul debito Sovrano non è stato variato. Come sostenuto dalla letteratura economica il contagio ha natura regionale, cioè, colpisce nazioni che hanno situazioni politicoeconomiche simili e che spesso si identificano in un intero continente. I mercati obbligazionari delle economie fragili, che hanno bassi livelli di rating, sono molto più esposti agli effetti negativi provocati dall’aumento del tasso d’interesse USA rispetto ai mercati obbligazionari delle economie sviluppate. Il legame tra mercati azionari dei PVS e tasso Usa esiste ma è più debole del precedente sulla base della considerazione che, in generale, le variazioni dei tassi d’interesse influenzano solo indirettamente i mercati azionari. Infine, il comportamento delle agenzie di rating sembra essere prociclico. Gli upgrade si verificano quando i mercati segnano un persistente rialzo nelle economie emergenti, mentre i downgrade si verificano dopo che il mercato ha segnato un persistente ribasso. Inoltre, questo effetto sembra essere più forte nei casi negativi e cioè quando il mercato è “orso”. In particolare l’analisi evidenzia che lo “spread” sui tassi obbligazionari è cresciuto del 9% nei 10 giorni prima l’annuncio dell’azione di downgrade da parte delle agenzie di rating e il mercato azionario, sempre nelle stesso periodo ha segnato una perdita complessiva del 7%. Anche se questi risultati possono derivare dalla capacità del mercato di anticipare determinati eventi e 65 quindi scontarli precedentemente il giorno dell’annuncio, in questo caso invece sembra un’ulteriore testimonianza del comportamento prociclico delle agenzie. Questa conclusione è in linea con lo studio condotto da Reinhart 40 dove l’autrice esamina se gli annunci delle agenzie di rating, sulla variazione della capacità di rimborso del debitore, hanno anticipato le crisi verificatesi negli anni novanta. Il risultato è stato negativo. Le agenzie di rating non solo non sono mai riuscite ad anticipare lo scoppio di una crisi ma hanno anche amplificato i problemi finanziari connessi alla crisi stessa riducendo i livelli dei rating nelle regioni coinvolte. 2.IV RELAZIONE TRA LIVELLO DEL RATING DEL DEBITO EMESSO DALL’ENTE SOVRANO E CRISI FINANZIARIE L’accesso al mercato internazionale dei capitali è fondamentale per lo sviluppo delle economie emergenti che hanno bisogno di risorse finanziarie per sostenere il processo d’industrializzazione. Mentre per le economie industrializzate l’accesso al mercato dei capitali avviene senza grosse difficoltà, l’accesso a tale mercato da parte dei PVS è precario e altamente variabile. Le condizioni entrata al mercato sono una variabile chiave che tutti i governi devono gestire. Vista la relazione già descritta tra rating Sovrano e il rating delle imprese che operano nel Paese, Il livello del rating dell’Ente sovrano determina le condizioni d’accesso al mercato internazionale dei capitali non solo dei governi ma anche delle imprese ivi operanti. 40 Reinhart, C., (2001), Do Sovereign Credit Ratings Anticipate Financial Crises? Evidence from Emerging Markets, mimeo, University of Maryland. 66 Il fattore di maggior importanza è il tasso d’interesse, che determina il costo dell’indebitamento ed è influenzato in modo notevole dal livello del rating, utilizzato dalla comunità internazionale come base per stimare il rischio implicito nell’emissione obbligazionaria effettuata dagli Enti sovrani e dalle imprese. Vista l’importanza attribuita a questa relazione è interessante analizzare se la variazione del livello del rating di un Ente sovrano possa essere all’origine di una crisi finanziaria. I mercati dei capitali dei PVS sono afflitti da problemi di trasparenza, efficienza e spessore che, uniti ai problemi di una classe politica spesso inadeguata, possono generare crisi valutarie e bancarie. Esiste un’ampia letteratura sulla contestualità delle crisi bancarie e valutarie nelle economie emergenti 41 . Nei modelli di prima generazione 42 politiche economiche incoerenti con il mantenimento di un regime di cambio fisso generano crisi valutarie. Nei modelli di seconda generazione le crisi valutarie derivano dal fatto che la difesa della stabilità del cambio può comportare il ricorso a politiche costose in termini sociali. Qualora queste politiche siano per il governo difficili da mantenere, gli speculatori tenderanno a dubitare sull’impegno delle autorità a mantenere fisso il tasso di cambio e sferreranno il loro attacco. Questi modelli sono stati utilizzati per interpretare la crisi messicana, ma non sono adatti a spiegare quella asiatica. Ciò ha indotto Krugman a dare una spiegazione finanziaria alla crisi dei Paesi del Sud–Est asiatico. La spiegazione si basa sulla constatazione che in una situazione in cui la solvibilità delle banche è garantita dallo Stato 41 Kaminsky G.L. e Reainhart C.M., (1999), The twin crisis: the causes of banking and balance of payments problems, Board of Governors of the Federal Reserve System, International Finance Discussion Paper, Washington. 42 Krugman P., (1979), A model of balance of payment crisis, Journal of Money Credit and Banking, agosto. 67 e l’attività di queste istituzioni non è regolamentata, le banche basano le loro decisioni d’investimento non sul rendimento atteso dei progetti, ma piuttosto sul rendimento dei medesimi in circostanze ideali. Questo comportamento dà luogo a due conseguenze. Da un lato, si determina una situazione di sovrainvestimento, in altre parole le banche finanziano progetti che, senza l’esistenza delle garanzia pubblica, non finanzierebbero. Dall’altro lato i prezzi delle attività la cui offerta è limitata, tendono a crescere in misura molto pronunciata. Questa bolla speculativa persiste fina al momento in cui sussiste la garanzia dello Stato sulla solvibilità delle banche. Nel momento in cui tale garanzia viene meno, perché i costi dei salvataggi bancari diventano insopportabili, la bolla speculativa scoppia: ne deriva una drastica caduta dei prezzi delle attività, il valore delle garanzie date dai prenditori ai datori di fondi crolla, si verificano diffusi casi di insolvenza, le consistenti perdite sui crediti portano le banche al fallimento o in situazioni di grave difficoltà. Inoltre il sistema bancario dei paesi del Sud–Est asiatico era fortemente indebitato e larga parte di questi debiti era a breve termine. I problemi del sistema bancario hanno alimentano la fuga di capitali dalla nazione spingendo al ribasso il tasso di cambio. Il tentativo da parte della banca centrale di difendere la parità del cambio porto ad una drastica riduzione delle riserve internazionali fino al punto in cui la Banca centrale è stata costretta a lasciar fluttuare il tasso di cambio. E’ interessante analizzare come si comportano le agenzie di rating all’interno di questo processo ed in particolare il ruolo svolto dal livello dei rating durante le crisi finanziarie. 68 C. M. Reinhart 43 analizza gli effetti del cambiamento del rating Sovrano nello scoppio delle crisi valutarie e bancarie. L’autrice vuole verificare se i downgrade nei rating creditizi precedono sistematicamente le crisi finanziarie. Per fare ciò utilizza tre indicatori di crisi valutarie. Il primo è quello usato da Kaminsky e Reinhart 44 , basato su un numero maggiore di nazioni. Il secondo indicatore di crisi è quello utilizzato da Frankel e Rose 45 , mentre il terzo è una versione modificata del Frankel e Rose che include però gli episodi di crisi “medie”. L’indice di crisi valutarie utilizzato da Kaminsky e Reinhart (1999) è una media ponderata delle variazioni del tasso di cambio e delle variazioni delle riserve: I= (Δe/e)- (δe/δR)* (ΔR/R) dove δ indica la deviazione standard. I cambiamenti del tasso di cambio hanno un peso positivo e i cambiamenti delle riserve hanno un peso negativo, quando il valore di quest’indice è di almeno tre scarti quadratici medi sopra il valore medio siamo in una situazione di crisi. L’indice viene ovviamente modificato per quei Paesi che hanno un elevato tasso d’inflazione che altrimenti darebbe origine ad una media errata. L’indicatore di Frankel e Rose (1996) segnala periodi di crisi quando si verifica una svalutazione del tasso di cambio di almeno 250 punti 43 Reinhart C., (2001), Sovereign Credit Ratings Before and After Financial Crises, presentato in occasione del convegno “ The Role of Credit Rating Agencies in the international Economy “, organizzato dalla Banca Mondiale, www.worldbank.org 44 Kaminsky, Graciela L., e Carmen M. Reinhart., (1999), The Twin Crises: The Causes of Banking and Balance-of-Payments Problems, American Economic Review 89 No. 3, giugno, pp. 473-500. 45 Frankel, Jeffrey A., e Andrew K. Rose, (1996), Exchange Rate Crises in Emerging Markets Journal of International Economics 41, No. 3/4 (novembre), pp. 351-68. 69 base in un mese e che tale svalutazione sia di 100 punti base maggiore del mese precedente. L’indice modificato di Frankel e Rose segnala periodi di crisi quando in un mese si verifica una svalutazione del tasso di cambio di almeno il 20% e che tale svalutazione sia almeno del 5% maggiore della svalutazione del mese precedente. Per i dati sulle crisi bancarie, l’autrice si basa su tre studi. Il primo è di Kaminsky e Reinhart 46 dove una crisi bancaria è caratterizzata da due eventi: (i) perdita di fiducia della clientela di una banca che porta al ritiro delle somme depositate costringendo la banca alla chiusura, alla fusione o all’intervento pubblico in uno o più istituti finanziari (come in Venezuela nel 1993); (ii) anche se non ci sono “run bancari” la presenza di chiusure, fusioni, cambi di proprietà o interventi pubblici in grandi gruppi finanziari che segnano l’inizio di situazioni simili per altre istituzioni finanziarie. Gli altri due studi sono di Barth, Caprio, e Levine Demirgüç-Kunt e Detragiache 47 , che forniscono un buon numero di dati sulle crisi bancarie riferite a molti paesi. Quindi l’autrice cerca di stimare la capacità previsiva del rating. La variabile dipendente è una dummy che esamina separatamente le crisi bancarie da quelle valutarie, mentre la variabile indipendente è il cambiamento del rating nel corso dei 12 mesi. La premessa base fatta dall’autrice è che se le agenzie di rating utilizzano tutte le informazioni disponibili sui fondamentali economici del soggetto che valutano, allora: (a) il rating potrebbe aiutare a predire la crisi nei termini in cui gli indicatori economici sui quali si 46 Kaminsky e Reinhart, (1999), op.cit. Demirguç-Kunt, Asli, e Enrica Detragiache, (1998), Banking Crises Around the World: Are There Any Common Threads, IMF Staff Papers 45, No. 1,marzo, pp.81-109. 47 70 basano le decisioni delle agenzie hanno potere previsionali, (b) il modello semplice non dovrebbe avere una cattiva specificazione – vale a dire altri indicatori non dovrebbero avere significatività statistica dato che le informazioni rilevanti sarebbero già riflesse negli stessi rating. Così, la situazione dei fondamentali macroeconomici sarebbe catturata in un singolo indicatore, vale a dire il rating. I risultati ottenuti dimostrano che le agenzie di rating, attraverso la variazione dei giudizi assegnati agli Enti sovrani, hanno sbagliato sistematicamente la previsione di crisi che si sono manifestate nelle tre forme sopra descritte. Le recenti crisi finanziarie hanno ampiamente dimostrato come i downgrade Sovrani si sono verificati quando la crisi era già in atto e non prima. L’errore, potrebbe dipendere dal set di variabili che le agenzie utilizzano per assegnare il rating all’Ente sovrano. L’autrice individua un set di indicatori e ne verifica la capacità di previsione paragonandoli poi con le variabili individuate da Cantor and Packer (1996) 48 alla base del processo d’assegnazione del rating Sovrano. Indicatori quali tasso di cambio reale, andamento delle esportazioni, rapporto tra l’aggregato monetario M2 e le riserve internazionali sono degli ottimi indicatori per prevedere lo scoppio di una crisi valutaria. Invece indicatori quali: andamento della bilancia dei pagamenti / PIL e andamento bilancia pagamenti / investimenti sembrano avere un contenuto informativo a fini previsionali più basso. Le agenzie danno molto peso al rapporto tra indebitamento ed esportazioni quando invece quest’indice ha un basso potere nella predizione di crisi finanziarie. Al contrario viene data poca importanza 48 Canto R. e F. Packer, (1996), Determinants and Impact of Sovereign Credit Ratings, Federal Reserve Bank of New York Economic Policy Review, (ottobre), 1-15. 71 a indicatori di liquidità, disallineamenti valutari e andamenti dei prezzi delle attività che invece hanno un buon potere previsivo. 2.4.1 CONFRONTO TRA INDICATORI DI FRAGILITA’ BANCARIA Gli studi pubblicati sulle cause delle crisi bancarie asiatiche, si sono spesso concentrati su fattori macroeconomici che possono aiutare a prevedere crisi valutarie e bancarie. Fino ad ora, pochi studi hanno analizzato le origini microeconomiche della crisi asiatica utilizzando i dati di ogni singola banca. Un’eccezione è rappresentata da Bongini, Claessens e Ferri 49 che hanno costruito un modello capace di prevedere il fallimento di istituzioni finanziarie, chiamato “early warning system”. Gli autori hanno dimostrato che i tradizionali indicatori CAMEL avrebbero potuto aiutare a predire le difficoltà finanziarie incontrate successivamente dagli istituti asiatici. Leaven 50 , invece, usa i dati di ogni singola banca per spiegare le differenze nel rischio dell’attività bancaria e nelle performance delle banche asiatiche dimostrando che gli istituti con proprietà concentrata sono i più rischiosi, come riflesso di un’eccessiva espansione del credito. E’ possibile analizzare il comportamento di vari indicatori di fragilità bancaria, prima e durante la crisi asiatica, per stabilire quale si sia comportato in modo migliore, cioè quale sia riuscito a segnalare per tempo lo scoppio della crisi con un livello di errore accettabile. Difatti 49 Bongini, P., S. Claessens e G. Ferri, (2000), The political economy of distress in East Asian financial institutions, Journal of Financial Services Research. 50 Laeven L., (1999), Risk and efficiency in East Asian banks, World Bank, Working Paper 2255, Washington, D.C. 72 molti indicatori possono segnalare lo scoppio di una crisi che poi non si verifica emettendo quindi falsi segnali e riportando una limitata efficacia. Bongini, Laeven e Majnoni 51 analizzano per ogni singola banca, localizzata nelle regioni del Sud-Est asiatico durante la crisi del 19951998, le performance di tre set di indicatori della fragilità bancaria che possono essere calcolati attraverso le informazioni pubbliche. Gli autori paragonano il comportamento di tre tradizionali indicatori di fragilità, che segnalano pericolo nell’intero del sistema bancario. Il primo è basato sui dati di bilancio delle banche, dai quali emerge il costo implicito della garanzia sui depositi; il secondo è basato sulla dinamica dei prezzi azionari e, infine, il terzo è basato sui giudizi emessi dalle agenzie di rating. Oltre ai dati di bilancio, gli autori hanno analizzato anche altre fonti d’informazione come il mercato azionario e i giudizi delle agenzie di rating. Da quando il mercato azionario del Sud-Est asiatico è relativamente liquido, il prezzo delle azioni può essere utilizzato per stimare la solidità finanziaria di un’azienda. Infine, gli autori utilizzano il contenuto informativo dei rating come indicatore di fragilità bancaria. La scelta di un periodo di crisi fornisce agli autori una distinzione netta tra istituzioni fragili e robuste, sulla base delle sovvenzioni statali ricevute ex-post dalle banche. Per la Tailandia il valore di mercato delle banche espresso come percentuale del totale delle passività iniziò a decrescere a metà giugno del 1996. Poco dopo si avvertirono i primi segnali di fragilità bancaria. L’amento della volatilità bancaria si verificò intorno alla 51 Paola Bongini, Luc Laeven e Giovanni Majnoni, (2001),How good is the market at assessing bank fragility? A horse race between different indicators, www1.worldank.org. 73 metà di novembre del 1996. Il premio sull’assicurazione dei depositi non incrementò fino a gennaio del 1997, ma comunque in anticipo rispetto alla decisione di abbandonare il regime di tasso fisso, avvenuta nel giugno del 1997. I rating creditizi sono chiaramente in ritardo. Una prima riduzione avvenne nell’aprile del 1997, ma i maggiori cambiamenti si verificarono a novembre del 1997, circa ¼ dopo lo scoppio della crisi. La situazione nelle altre regioni non differisce di molto. Il valore di mercato delle banche decresce allo scoppio della crisi, successivamente la volatilità e il premio d’assicurazione sui depositi iniziano ad aumentare. Le variazioni dei rating creditizi si verificano per ultimi e solo dopo che tutti gli indicatori hanno segnalato da tempo lo scoppio della crisi. L’Indonesia abbandonò il regime di cambi fissi il 14 agosto del 1997 e il 31 ottobre dello stesso anno presentò la lettera d’aiuto al FMI (Fondo monetario internazionale). I maggiori cambiamenti negli indicatori, valori di mercato, premio sui depositi e volatilità, hanno mostrato i primi cambiamenti a settembre del 1997, mentre le variazioni dei rating sono avvenute solo a novembre dello stesso anno. In Corea il primo segnale pubblico di crisi si verificò nell’agosto del 1997 quando il governo annunciò la propria disponibilità ad aiutare gli intermediari finanziari in difficoltà comprando le attività peggiori e emettendo prestiti speciali. La crisi scoppiò il 21 novembre del 1997 quando la Corea annunciò la richiesta d’aiuto al FMI. La lettera d’aiuto fu invita a dicembre del 1997. Nuovamente il comportamento dei tre indicatori è simile ai paesi precedenti. E’ interessante notare che la volatilità di mercato iniziò ad aumentare alla fine del 1996. Il 74 valore di mercato delle banche come percentuale del totale delle passività, iniziò a decrescere all’inizio del 1995. Il premio sui depositi iniziò ad aumentare a novembre nel 1997. Invece le variazioni maggiori dei rating si verificarono solo a dicembre del 1997. La Malesia fu l’ultima paese ad andare in crisi e non attuò alcun programma del FMI. Il 5 dicembre del 1997 il Ministro della finanze annunciò la disponibilità ad intervenire a sostegno delle istituzioni in difficoltà. Il valore di mercato delle banche iniziò ad essere estremamente volatile già da agosto del 1997, anticipando ampiamente l’annuncio governativo. Nuovamente le agenzie di rating non reagirono velocemente, infatti, il primo deterioramento sostanziale dei rating si verificò solo nell’aprile del 1998. I risultati ottenuti dall’analisi delle banche asiatiche, anche se non estendibili a periodi non di crisi e a nazioni differenti, possono essere così sintetizzati: - I giudizi emessi dalle agenzie di rating hanno mostrato la peggior capacità di distinguere le banche solide da quelle fragili. In particolare un considerevole miglioramento potrebbe essere ottenuto attraverso un maggior uso dell’analisi tradizionale basata su indicatori finanziari e su informazioni relative alla struttura proprietaria delle banca. - Le valutazioni delle agenzie di rating, mentre hanno un basso potere discriminatorio, hanno evidenziato il più basso livello di errore del primo tipo (l’errore di identificare una banca fragile come solida). Di conseguenza sembra che le agenzie attribuiscano molto peso all’errore di non identificare una banca insolvente piuttosto che all’errore di classificare una banca solida come insolvente. 75 - È lecito ipotizzare che la banca che abbia ricevuto un rating e che sia sotto il continuo monitoraggio da parte dell’agenzia subisca degli effetti di disciplina aggiuntivi rispetto a banche che non hanno rating. Difatti, errori di condotta economica sono individuati dagli analisti delle agenzie e comunicate al mercato che attribuisce una penalità all’azienda. Nello studio condotto dagli autori non sembra esserci una chiara dimostrazione che l’essere o meno valutati dalle agenzie abbia un effetto disciplinativo. Questo perché molti istituti in Asia anche se non avevano un rating erano considerati dal mercato “too big to fail” cioè troppo grandi perché il governo li lasciasse fallire. Questa garanzia implicita probabilmente ha nascosto gli effetti disciplinativi derivanti dal monitoraggio continuo delle agenzie di rating. - Il costo implicito dell’assicurazione sui depositi mostra una capacità di aggiustamento alla nuova situazione finanziaria maggiore rispetto ai rating delle agenzie. Le differenze di timing e di efficienza dei differenti indicatori hanno importanti implicazioni sulla disciplina finanziaria. Per esempio la regolamentazione bancaria potrebbe concentrarsi sull’uso dei rating emessi dalle agenzie (come proposto dal comitato di Basilea) se questi fornissero, con buona approssimazione, un indice di fragilità finanziaria. Da un altro lato, se la copertura delle agenzie di rating rispetto alle medie e piccole imprese è bassa o i rating non sono indicatori efficienti di fragilità bancaria è necessario l’utilizzo di indicatori alternativi. Questo potrebbe essere fatto, per esempio, stimolando la pubblicazione di informazioni finanziarie accurate (registri dei crediti o classificazioni migliori dei prestiti) o/e 76 riformando quelle istituzioni che posso rappresentare un ostacolo alla trasparenza. Gli autori trovano sostanziali differenze fra i tre gruppi di indicatori nella loro capacità di segnalare lo scoppio di una crisi finanziari sia in dato momento sia per quanto riguarda la durata. In particolare, negli episodi di crisi avvenuti nell’Est asiatico le informazioni basate sui giudizi emessi dalle agenzie non hanno saputo anticipare la pesante situazione finanziaria che si stava profilando. Invece, le informazioni basate sui mercati azionari hanno reagito in modo più rapido ai cambiamenti della situazione finanziaria rispetto ai giudizi emessi della agenzie di rating. Quando guardiamo in un’ottica settoriale, gli indicatori di bilancio, integrati con le informazioni relative all’assetto proprietario della banca, sembrano efficienti nel prevedere situazioni di fragilità bancaria. Complessivamente, i risultati ottenuti supportano la conclusione di politica economica che, dove il processo informativo è molto costoso, come in molti PVS, è necessario l’uso di una pluralità di indicatori della fragilità bancaria. 77 3 ANALISI DEL SETTORE DEL RATING 3.I INTRODUZIONE In questo capitolo si vuole analizzare il settore industriale del rating nei suoi aspetti microeconomici. Il paragrafo II esamina l’organizzazione industriale delle agenzie di rating evidenziando gli aspetti caratteristici dell’offerta. Il numero così esiguo di aziende che offrono questo servizio può essere preso come spunto per l’analisi del grado di monopolio presente nel settore. Attualmente le agenzie di rango internazionale presenti sul mercato sono tre: Moody’s, Standard e Poor’s e Fitch IBCA. Per ognuna di loro viene ripercorsa una sintesi storica sottolineando gli assetti proprietari, l’organizzazione interna e la relativa quota di mercato. In seguito viene data testimonianza del processo di globalizzazione dell’attività di rating, da parte delle agenzie che dominano il mercato, attraverso delle “joint ventures” con piccole agenzie di valutazione, localizzate nei mercati emergenti. Questa espansione, se da un lato può creare dei benefici infrastrutturali nei mercati finanziari operanti nei PVS, dall’altro può creare distorsioni essenzialmente per due ragioni. La prima è dovuta alla inesperienza delle agenzie di rating USA nella valutazione di Sovrani, banche e imprese che operano in questi mercati con la conseguente emissione di giudizi non sempre efficienti. La seconda è connessa con gli assetti proprietari delle banche e degli intermediari finanziari in questi mercati. Molte agenzie di rating locale che si uniscono con le agenzie USA sono di proprietà di banche e intermediari finanziari che a loro volta posseggono un 78 gran numero di aziende e hanno interessi politici. Quindi la pregnante presenza di conflitti d’interesse, per queste piccole agenzie, può sollevare dubbi sull’efficienza dei giudizi emessi e mettere in pericolo la reputazione delle agenzie maggiori. Successivamente, nel paragrafo III, si ripercorrono brevemente gli eventi storici ed economici che possono motivare l’esistenza di barriere all’entrata in questo settore. In particolare, viene rilevato come due scelte effettuate dalla SEC abbiano caratterizzato il mercato. La prima risale agli anni ’30, quando la SEC iniziò ad utilizzare i rating per stabilire quali attività potevano essere detenute dagli investitori istituzionali, stimolando la domanda di valutazioni da parte di molte imprese. La seconda risale al 1975 quando, l’organismo di vigilanza americano, costituì il NRSRO (ricordato sopra), un’organizzazione che raggruppa le agenzie di rating migliori alle quali viene riconosciuto un carattere di “interesse nazionale”. Oltre a questo tipo di barriere, nel mercato del rating un ostacolo molto importante all’entrata di nuove aziende è rappresentato dal ruolo della reputazione in questa attività. Vista la rilevanza giuridico – economica del rating, questo deve essere emesso da istituzioni la cui reputazione è frutto di un lavoro svolto nel tempo con efficienza e onestà. I tempi lunghi necessari alla formazioni di una reputazione riconosciuta a livello internazionale ostacolano l’ingresso di nuove aziende in questo settore. Nel paragrafo IV, dopo aver definito il rating come un indicatore sintetico di rischio, si analizza il listino prezzi utilizzato dalle maggiori agenzie. Moody’s e S&P applicano delle commissioni molto simili per la valutazione delle obbligazioni, mentre Fitch IBCA richiede delle commissioni leggermente più basse. Si analizzano 79 anche le correlazioni esistenti tra i rating emessi dalle diverse agenzie e le ripercussioni sui mercati finanziari. Grazie ai dati di bilancio pubblicati da Moody’s, è possibile verificare l’eccezionale crescita delle entrate dell’agenzia americana e lo sbalorditivo tasso di rendimento sul capitale investito. Viene inoltre esaminata l’innovazione e l’efficienza del settore. Si illustreranno infine, paragrafo V, gli effetti della proposta del comitato di Basilea, sul settore del rating, con particolare riferimento ai problemi di certificazione delle agenzie che emettono giudizi riflessi nella disciplina prudenziale del sistema bancario. 3.II LE AGENZIE DI RATING: CARATTERISTICHE E ORGANIZZAZIONE INDUSTRIALE Esaminando la struttura e l’organizzazione industriale delle principali agenzie di rating si riscontra come queste analizzino emissioni molto diverse tra loro, di varia entità e appartenenti ai più diversi settori di attività. Stati sovrani ed enti collegati, compagnie assicurative, aziende industriali, istituzioni finanziarie sono valutati esaminando quelle caratteristiche qualitative e quelle grandezze quantitative che, nei diversi casi, influenzano maggiormente la solvibilità futura. L’analisi delle varie tipologie di titoli viene affidata a comparti specializzati che attribuiscono pesi diversi alle variabili quantitative in relazione alla classe dell’emittente. Per esempio, nella valutazione di un’emissione statale viene attribuito un peso notevole al rischio politico, mentre nel caso di emissioni da parte di società industriali il 80 peso maggiore viene attribuito a variabili quali: prospettive future di mercato, capacità manageriali e organizzazione interna. Il primo elemento che emerge con chiarezza dall’analisi dell’organizzazione industriale del settore del rating è il numero limitato di imprese che offrono questo servizio. Attualmente in America sono tre e nel corso della storia non sono mai state più di cinque. Nel dicembre del 1999 la Dun & Bradstreet Corporation, che aveva acquistato Moody’s nel 1962, annuncia la scissione della compagnia in due linee produttive separate ed indipendenti al fine di aumentare il valore economico dell’impresa 52 . Questa avrebbe dato luogo a due unità funzionali: la “business information unit”, che si sarebbe occupata di informazioni finanziarie, settore tradizionale di D&B, e di altre attività minori; la “rating business unit”, formata proprio da Moody’s. A settembre del 2000 la scissione venne attuata e, dopo 100 anni di storia del rating, Moody’s diventa la prima agenzia trattata sul mercato azionario. Il business principale di Moody’s è l’emissione di valutazioni sul merito creditizio degli emittenti di prestiti obbligazionari. Per quanto riguarda la struttura organizzativa adottata da Moody's, è da evidenziare come, al fine di assicurare l'oggettività e la coerenza del giudizio, la strategia di Moody's sia legata ad alcuni punti fermi, che costituiscono le regole base dell'operatività. Risulta in questo caso centrale l'analisi del debito, attuata tramite numerosi incontri con il management, la valutazione di dati economici e finanziari e approfondite ricerche sull'emittente e sul settore di appartenenza. Inoltre, non essendo i ricercatori direttamente coinvolti nella vendita o 52 http://www.moodys.com 81 nello scambio di titoli e non dedicandosi alle azioni ordinarie delle emittenti, si cerca di salvaguardare l'indipendenza dell'agenzia, che non ha alcun legame o vincolo partecipativo con istituzioni governative, finanziarie o industriali. L’ottica seguita è poi di tipo globale: l'internazionalizzazione del mercato del credito ha portato Moody's a esigere dai propri team la capacità e professionalità necessarie a trattare con entità appartenenti a tutte le realtà del mondo. La struttura è divisa secondo criteri settoriali e funzionali all'interno di ogni gruppo; le divisioni sono guidate da direttori di ricerca e comprendono numerosi direttori associati, cui è affidata la supervisione dei team di analisi. L'agenzia è composta da cinque comparti separati: • Gruppo industriale, che si occupa dei settori: automobilistico, energetico (a livello privato), alta tecnologia, aerospaziale, industria di base, beni di consumo, oltre che di numerose branche del settore terziario; • Gruppo istituzioni finanziarie, che analizza: banche, compagnie di assicurazione, società di leasing, società di investimento e brokeraggio; • Gruppo pubblica utilità, che valuta: società elettriche pubbliche, società per la produzione e distribuzione di gas, compagnie telefoniche; • Gruppo Stati sovrani, che si occupa delle emissioni statali, delle entità sovranazionali e delle banche continentali per lo sviluppo; • Gruppo finanza strutturata, che valuta emissioni garantite, come titoli ipotecari o esigibili, e che svolge attività di supporto trasversalmente a tutti gli altri gruppi. 82 Esiste poi uno staff separato che si occupa della gestione e dello sviluppo di una banca dati interna e della efficacia comunicativa dell'agenzia verso il mercato. La scelta di un'organizzazione settoriale, comune a tutte le principali società di rating, è legata alle caratteristiche peculiari che ogni realtà presenta; la specializzazione degli analisti assicura una conoscenza più approfondita delle situazioni affrontate ed è un'ulteriore garanzia dell'affidabilità e correttezza del giudizio espresso. Le caratteristiche principali di Moody’s sono illustrate nella tavola 8. La Standard & Poor, fondata nel 1916 (7 anni dopo Moody’s), divenne subito una delle migliori concorrenti di Moody’s nell’offerta di informazioni finanziarie e analisi del rischio di titoli a reddito fisso. Inizialmente l’attività di S&P si concentrava nella valutazione di obbligazioni aziendali e pubbliche. Successivamente i rating di S&P coprirono una vasta gamma di prodotti finanziari presenti sul mercato, incluse le carte commerciali, i debiti emessi da Enti sovrani e le quote dei fondi comuni d’investimento. S&P fu una società indipendente fino al 1966, quando fu acquistata da McGraw-Hill Companies, un’azienda attivamente impegnata nel ramo editoriale e dei servizi informatici. Comunque S&P ha sempre avuto una elevata indipendenza nel suo business rispetto alla McGraw-Hill. Infatti l’agenzia di rating americana dichiara 53 che le sue valutazioni sono libere da pressioni politiche, accurate e basate su metodologie rigorose. La divisione rating di S&P è composta da cinque sezioni autonome: • Sezione 1 - istituzioni finanziarie/finanziamenti strutturati; • Sezione 2 - industrie/servizi pubblici; 53 http://www.standardandpoors.com/ratings/ 83 • Sezione 3 - entità internazionali; • Sezione 4 - municipalità; • Sezione 5 - assicurazioni/mezzi di trasporto. Esistono poi due unità di staff, che svolgono un'attività di supporto trasversalmente alle altre, e precisamente: pianificazione strategica, sviluppo e consulenza legale e servizi generali. Inoltre, all'interno di ogni gruppo, la divisione segue il criterio della specializzazione per comparti o aree di rating. Ognuna delle cinque sezioni base ha un comitato di analisti senior che affronta le questioni decisionali e valutative più importanti riguardanti la sezione stessa; esistono inoltre comitati che si occupano dell'analisi e della definizione dei criteri di valutazione per nuovi prodotti lanciati sui mercati finanziari, del reclutamento e dell'assunzione degli analisti, della formazione e dell'addestramento. Tutti questi comitati riferiscono al consiglio di amministrazione centrale. Le caratteristiche principali di S&P sono illustrate nella tavola 8. La Fitch Investors Service nel 1997 è stata acquisita dalla IBCA Group di Londra dando vita alla Fitch IBCA, terza agenzie nel settore del rating 54 . Come Moody’s e S&P la Fitch fu designata nel 1975 come “NRSRO”. Questa agenzia ha perseguito una politica di marketing molto aggressiva nell’area delle obbligazioni aziendali e governative per acquistare quote crescenti di mercato. Nel 2000 la Fitch IBCA acquista altre due agenzie di rating. La prima è la Duff & Phelps, molto attiva negli USA, la seconda è la Thomson Financial BankWatch, specializzata una agenzia internazionale di rating nell’offerta di servizi finanziari. La Fitch IBCA è l’agenzia di rating leader in Europa: particolarmente importante è la 54 http://www.fitchibca.com 84 sua copertura del mercato obbligazionario europeo alla luce del consolidamento dell’UE. Questa agenzia è di proprietà di un conglomerato francese: la FIMALAC SA, che possiede molte società impegnate nei settori chimici, manifatturieri e delle utilities. La crescente integrazione dei mercati finanziari internazionali da una parte, e l’aumento della domanda di rating da parte delle imprese di tutto il mondo, dall’altra, ha spinto le agenzie ad espandere la loro attività in Europa e nei mercati emergenti. La copertura di questi nuovi mercati avviene solitamente attraverso delle “joint ventures” internazionali tra le agenzie di rating maggiori e agenzie di piccole dimensioni localizzate nei mercati finanziari d’interesse. E’ da rilevare come la presenza delle tre maggiori agenzie di rating non sia uniformemente distribuita sui mercati internazionali. La copertura di Moody’s è maggiore in Asia rispetto a S&P, mentre in America Latina la situazione si capovolge. In Europa la copertura tra Moody’s e S&P è quasi equivalente, mentre la Fitch IBCA ha una posizione di leadership su questo mercato. Le istituzioni internazionali che promuovono lo sviluppo economico e la cooperazione tra le nazioni si sono accorte negli ultimi anni che l’espansione delle agenzie di rating nei mercati in via di sviluppo può creare dei benefici nella costruzione delle infrastrutture di mercato e ne stanno quindi promuovendo la diffusione. Difatti il buon funzionamento del mercato bancario è essenziale per lo sviluppo economico di ogni paese e la diffusione delle agenzie di rating può migliorare la solidità dei sistemi finanziari, riducendo il costo del processo informativo e il costo dell’attività di monitoraggio dei soggetti che partecipano al mercato obbligazionario. 85 Tavola 8: Caratteristiche principali delle tre maggiori agenzie di rating Moody's Reddito annuo S&P Fitch IBCA $ 602.000.000 $260 milioni 70% generato negli USA 90% deriva dalla valutazione di obbligazioni Reddito annuo netto $ 158.000.000 Attività $ 300.000.000 Dipendenti 1.500 Copertura $ 30 trilioni in emissioni $11 trilioni in emissioni 1.600 obbligazionarie suddivise: emissioni 1.200 1.100 così obbligazionarie così finanziarie, 1.000 aziende, 143.000 suddivise: 38.000 emissioni 17.000 aziendali, aziendali, istituzioni obbligazioni sovrane, municipali americane, 700 governative, enti pubblici e municipali e governative compagnie assicurative e più di 100 Sovrani 69 Sovrani 100 Nazioni, uffici presenti 86 Nazioni, uffici in 16 Paesi 75 Nazioni, uffici presenti in 14 Paesi in 16 Paesi Fonte: White L.J. (2001), op. cit. Tale processo deve però tenere in considerazione che le agenzie non possono produrre, in questi mercati, i benefici economici che producono nel mercato USA dove da circa un secolo emettono rating e le loro metodologie sono ampiamente testate. In questi mercati, relativamente nuovi e poco sviluppati, il rating deve essere considerato come uno dei tanti strumenti per valutare la solidità di una banca o di una impresa e non l’unico. Le recenti crisi hanno evidenziato come le agenzie di rating abbiano ancora molto da imparare nella valutazione di Enti sovrani e imprese che operano nei mercati emergenti. 86 Inoltre le “joint ventures” tra le prime tre agenzie del mercato e le agenzie con sede nei mercati emergenti possono sollevare dubbi sull’esistenza di conflitti d’interesse visto che molte di queste piccole agenzie sono possedute da istituzioni coinvolte nel processo d’intermediazione finanziaria nei mercati locali 55 . 3.II.1 IL GRADO DI CONCENTRAZIONE DELL’OFFERTA DI RATING Le spiegazioni della bassa concorrenza nel mercato del rating, testimoniata dal numero limitato di operatori, possono essere di diverso tipo. La scarsa presenza delle agenzie di rating fuori dagli USA può essere motivata dallo sviluppo ancora limitato del mercato obbligazionario in questi paesi rispetto al mercato USA e quindi da un minor bisogno di istituzioni specializzate che emettano uno strumento capace di aiutare l’investitore a stimare il rischio dell’investimento. Questa motivazione sembra però dare solo una risposta parziale al problema, vista l’importanza internazionale che da tempo molti mercati obbligazionari europei hanno assunto, come ad esempio il mercato di Londra. Invece l’esiguo numero di agenzie di rating sul mercato americano ha motivazioni storiche più radicali. Nel 1975 la SEC ha costituito un’organizzazione, la “NRSRO”, che raggruppa le agenzie di rating riconosciute a livello nazionale. Fecero subito parte di questa organizzazione la Moody’s, S&P, Fitch. In seguito, furono designate anche la Duff & Phelps, McCarthy, Crisanti & Maffei, IBCA e la 55 Roy C. Smith and Ingo Walter, (2001), Rating Agencies: Is There an Agency Issue? Stern School of Business, New York University, www1.worldbanck.org. 87 Thomson BankWatch per quanto riguarda le banche e le istituzioni finanziarie. L’ultima designazione avvenne nel 1992, da allora la SEC non ha concesso a nessuna altra azienda il riconoscimento “d’interesse nazionale”, nonostante le numerose candidature di aziende americane e internazionali. Questo crea delle barriere all’entrata che non derivano dal complesso processo d’investimento di risorse finanziarie in attività tecnologiche, produttive, commerciali ed organizzative sostenuto dalle imprese esistenti sul mercato al fine di migliorare la propria capacità competitiva 56 . Al contrario queste barriere derivano da una fonte esterna al mercato, cioè la disciplina finanziaria USA. Un altro punto di vista interessente, che ci consente di spiegare il limitato numero di aziende del settore del rating in USA anche prima della costituzione del “NRSRO”, è basato sull’importanza della reputazione aziendale in questa attività. La reputazione delle agenzie di rating è data dalla sommatoria di tutti i giudizi che gli operatoti economici hanno dato su ogni valutazione emessa dall’agenzia. Tanto più lunga sarà la storia dell’agenzia e la sua provata abilità ad emettere valutazioni accurate, tanto maggiori saranno i giudizi positivi degli operatori, tanto più solida sarà la reputazione dell’agenzia. Inoltre, una valutazione errata sembra ridurre la reputazione più di quanto la può aumentare una valutazione corretta. Spesso gli economisti sostengono che gli operatori hanno la memoria corta, nel senso che attribuiscono più peso agli errori commessi dai policy makers rispetto al peso attribuito alle azioni corrette compiute da questi ultimi. Insomma, la reputazione si costruisce nel tempo e basta anche solo un errore perché venga compromessa in modo grave 57 . E’ per questo motivo che la sopravvivenza di iniziative nuove o minori è minacciata dalla 56 57 Rispoli M., (1997), L’impresa industriale, il Mulino. Acocella N. (1997), Fondamenti di politica economica, NIS. 88 penetrazione sul mercato delle agenzie più affermate e dalla diffidenza dei potenziali clienti. Per le agenzie che valutano il rischio di default di un’emittente, la tentazione di comportarsi in modo opportunistico è molto elevata. Difatti una azienda potrebbe essere disposta a pagare una commissione più alta pur di avere un rating elevato oppure le agenzie stesse potrebbero minacciare le aziende emettendo un rating non richiesto (unsolicited rating), quindi gratuito, più basso del rating richiesto, quindi a pagamento 58 . Vista la loro importanza, le agenzie di rating sono controllate degli organi preposti alla vigilanza dei mercati finanziari nazionali come la SEC per il mercato americano e la FSA per quello britannico, al fine di scoraggiare comportamenti sleali. Un provvedimento disciplinare preso dalla SEC nei confronti di un’agenzia di rating sarebbe molto dannoso per la reputazione dell’agenzia e per la diffusione futura delle sue valutazioni. Questa preoccupazione scoraggia le agenzie ad assumere comportamenti opportunistici o ad assecondare forme di moral hazard nel settore. La difesa della reputazione sembra avere anche dei riflessi sulla gestione del personale da parte delle agenzie. I loro analisti possono ricevere delle pressioni politiche ed economiche al fine di emettere giudizi positivi sull’impresa o sull’Ente sovrano che stanno valutando; per questo motivo gli analisti sono ben remunerati e seguono un processo di formazione basato su principi morali molto rigorosi. Nell’archivio tenuto dalla SEC, Moody’s elenca i rischi relativi alla sua attività sottolineando che il suo successo deriva proprio dalla 58 Figlewski S. e White L.J., (1995), Orange County: Don't Blame Derivatives, Stern Business, pp. 30-35. Come verrà specificato nei paragrafi successive, le agenzie possono valutare gratuitamente anche emittenti che non richiedano esplicitamente un valutazione. 89 capacità di mantenere alta la propria reputazione ed emettere valutazione sempre indipendenti 59 . Un ultimo aspetto meritevole di considerazione sull’offerta di rating è la visione dei consumatori. Ovviamente per consumatore intendiamo gli utilizzatori del rating e cioè gli emittenti di prestiti obbligazionari e gli investitori 60 . I primi sono favorevoli all’ingresso di nuove agenzie nel mercato per ridurre i costi del servizio e migliorare il processo di valutazione del rischio di credito. Gli investitori, al contrario, vista la loro specializzazione nello sviluppo di metodologie interne per la valutazione del rischio delle attività finanziarie, sono contrari all’ingresso di nuove agenzie sul mercato. Difatti l’emissione di molti rating per uno stesso titolo complicherebbe notevolmente il processo di comparazione delle valutazioni e l’uso dei rating da parte della disciplina finanziaria. Anche Cantor e Packer 61 sottolineano come le agenzie abbiano delle scale di valutazione molto diverse per esprimere i loro giudizi. Ogni variazione normale di opinioni tra le agenzie con scale di valutazione diverse crea confusione nell’uso dei rating da parte della disciplina finanziaria e nelle scelte di portafoglio. Questo problema si aggrava con l’aumentare delle agenzie e delle differenze nella modalità d’emissione dei giudizi. A nostro avviso, però, il problema di facilità d’utilizzo dei rating non può ostacolare il processo di formazione di un mercato concorrenziale del rating e può essere facilmente risolto con l’adozione, da parte delle 59 Smith R.C. e Ingo W., (2001), op. cit. How Do Bond Issuers and Investors View Credit Rating Agencies? No author, working paper submitted for journal publication, 2000. 61 Cantor R. e Packer F., (1995), The Credit Rating Industry, Journal of Fixed Income. 60 90 agenzie, di una scala di valutazione unica che consenta di paragonare i rating emessi da tutte le agenzie in modo facile ed immediato. 3.III IL RATING: FUNZIONI E PREZZO Il rating può essere definito come un simbolo che sintetizza la valutazione - da parte delle agenzie specializzate - del rischio d'insolvenza di un debitore, o, più precisamente, della capacità del debitore di pagare puntualmente interessi e capitale di uno specifico debito o di una categoria di debiti. Infatti, a seconda del grado di protezione accordato al creditore, dalle specifiche caratteristiche contrattuali, a debiti diversi di un medesimo debitore possono essere assegnati rating diversi (issue rating), avendo peraltro sempre come riferimento il grado di affidabilità complessiva del debitore (issuer rating). Una distinzione basilare nei rating assegnati ai titoli emessi da un medesimo soggetto riguarda la durata del debito. Le agenzie di rating assegnano infatti due distinte tipologie di rating, rispettivamente, al debito a breve termine ossia avente durata non superiore all'anno (short-term rating) e al debito a medio-lungo termine (long-term rating). La funzione di questo indicatore è la valutazione sintetica del rischio di credito e non può, e non vuole, essere un consiglio d’investimento in base alla redditività del titolo. Inoltre le agenzie specializzate effettuano una continua attività di monitoraggio che, attraverso le variazioni del livello di rating assegnato, consente di analizzare la variazione del rischio nel tempo. L’utilizzo di questi indici sintetici di solvibilità è ormai diffusa su tutti i mercati finanziari dove è possibile collocare con successo un titolo di 91 nuova emissione solo se accompagnato da un rating elevato. Un fattore determinante per la diffusione dei rating è la relativa semplicità d’interpretazione: ogni simbolo è connesso univocamente ad un giudizio sulla capacità di rimborso del debitore. Il suo ruolo assume quindi due caratteristiche essenziali per l’efficienza e il buon funzionamento del mercato: valutazione del rischio e informazione al mercato. Moody’s e S&P sono obbligate a pubblicare, sul registro tenuto dalla SEC, ogni valutazione emessa, indipendentemente dalla volontà del richiedente. Se l’emittente non richiede il rating allora le agenzie valuteranno l’azienda solo con le informazioni reperibili pubblicamente ed emetteranno un giudizio definito “unsolicited rating”, se invece l’emittente richiede esplicitamente una valutazione dovrà pagare una commissione e consentirà all’agenzia di accedere ad informazioni riservate organizzando degli incontri tra gli analisti dell’agenzia e i manager della società. Moody’s e S&P hanno lo stesso listino prezzi per le emissioni di rating: 3,25 punti base del valore nominale del debito sulle emissioni fino a $500 milioni con una commissione minima di $25.000 e un massimo di $125.000 per S&P e $130.000 per Moody’s. Per entrambe la commissione aumenta dei 2 punti base se l’emissione supera i $500 milioni. I listini però non sono rigidi: ci sono sconti speciali per clienti abituali, emissioni multiple e particolari condizioni per la valutazione delle commercial paper 62 . S&P valuta solo su richiesta i titoli collocati in forma privata tramite intermediari finanziari, i certificati di deposito garantiti, quelli non 62 Si tratta di titoli di credito al portatore a breve termine (generalmente con scadenza inferiore ai sei mesi) consistenti in una promessa di pagamento non garantita, emessi dalle imprese e collocati sui mercati. 92 garantiti ma emessi da banche non-Usa e i finanziamenti con copertura ipotecaria. La Fitch IBCA emette rating solo su richiesta e per ogni tipo di emissione. Per quanto riguarda la valutazione delle obbligazioni aziendali, l’agenzia emette dei giudizi ogni qual volta si verifica una differenza sostanziale tra il rating emesso da Moody’s e quello emesso da S&P. Inoltre, la Fitch non rende pubblico il rating emesso senza l’autorizzazione del richiedente. La struttura dei pagamenti di questa agenzia è simile a quella di Moody’s e S&P, ma, vista la sua minor importanza, la commissione è leggermente inferiore: 0,025%. A giudizio di White 63 , Moody's e S&P, insieme potrebbero richiedere commissioni ancora più elevate visto il carattere oligopolistico del mercato. Se la domanda di rating è una classica curva di domanda, ad un alto livello di prezzo (commissioni) solo poche imprese faranno richiesta di rating, mentre in corrispondenza di un basso livello di prezzo ci sarà un elevato numero di imprese che ne faranno richiesta. Moody's e S&P, avrebbero, quindi, la possibilità di aumentare i loro profitti aumentando il prezzo/commissioni dei rating perdendo dei clienti fino ad arrivare al punto di massimizzazione dei profitti fissato dalla teoria del monopolio. L’equilibrio in questo punto non influisce sull’impegno da parte delle agenzie di valutare tutte le emissioni, su richiesta o meno. Sotto questo impegno i costi dell’emissione del rating sono fissi e gli unici costi marginali importanti sono i costi aggiuntivi che l’agenzia incontra nelle transazioni con il richiedente. Le motivazioni che le spingono a richiedere commissioni non troppo elevate sono principalmente quattro. 63 White L.J., (2001), op. cit. 93 Come prima cosa ci potrebbe essere un punto angoloso sulla curva di domanda dove il prezzo pagato compensa appena la riduzione nei costi di emissioni. Ma questo punto angoloso potrebbe essere presente per tutte le emissioni o solo sopra i 3,25 punti base, seguendo il modello dei pagamenti descritto prima (siamo in presenza di una curva di domanda ad angolo). Secondo, gli operatori oligopolistici, in un mercato alla Bertrand, potrebbero pensare che se iniziassero un politica di aumento dei prezzi che non viene seguita dai rivali, i loro clienti potrebbero diminuire, cioè di fronte ad una non cooperazione dei rivali la curva di domanda potrebbe essere molto elastica. Terzo, il listino prezzi descritto sopra potrebbe essere praticato solo a poche aziende e per le altre la commissione potrebbe essere trattata direttamente con l’emittente attuando una discriminazione di prezzo del primo tipo che potrebbe produrre una massimizzazione dei redditi con il risultato che tutti i compratori rimangono sul mercato. Quarto, a condizione che le agenzie di rating continuino ad impegnarsi a valutare tutte le richieste di rating, sollecitate o meno, potrebbe essere imbarazzante per le agenzie stesse vedere molte emittenti non richiedere più le loro valutazioni a causa dell’alto prezzo. La caduta della domanda di rating sollecitati fa crescere in proporzione i rating emessi non sollecitati ma questo danneggerebbe la reputazione delle agenzie perché i rating non sollecitati sono spesso considerati poco affidabili. Per quanto riguarda l’andamento dei rating, ricerche recenti condotte dalla BRI 64 dimostrano come i rating assegnati da Moody’s e S&P siano molto correlati. Per le emissioni di qualità medio-bassa i giudizi 64 Bank for International Settlements, (2000), Credit Ratings and Complementary Sources of Credit Quality Information, www.bis.org. 94 di Moody’s e S&P sono sistematicamente inferiori a quelli emessi dalla piccole agenzie di valutazione nazionali (più soggette a influenze da parte dell’establishment politico-economico-finanziario locale), mentre per le emissioni di alta qualità questa differenza tende a scomparire. Altre ricerche 65 dimostrano come le aziende che ottengono valutazioni da Fitch IBCA ricevano valutazioni più alte da Moody’s e S&P rispetto alle aziende che non ricevono una valutazione dalla terza agenzia del settore. Infine le imprese che ottengono una valutazione dalle tre agenzie sulla stessa emissione sembrano beneficiare di una maggiore stabilità del livello del rating e hanno, inoltre, una maggiore probabilità di ricevere un upgrade. 3.IV LE PERFORMANCE DEL SETTORE DEL RATING Un regime di mercato oligopolistico è caratterizzato da un numero limitate di imprese che costituiscono l’offerta, da un profitto che supera il costo–opportunità del mercato e da una perdita in termini sociali, ai danni del consumatore, dovuta alla disuguaglianza del prezzo con il costo marginale sopportato dall’imprenditore per produrre il bene o il servizio. Inoltre la perdita sociale aumenta se le imprese oligopolistiche formano dei cartelli comportandosi in modo collusivo. L’analisi dell’offerta del settore del rating ha evidenziato come questo sia fortemente concentrato e che i giudizi sugli emittenti più importanti vengano variati quasi simultaneamente dalle due maggiori agenzie. L’analisi dei profitti rafforza l’ipotesi di un eccessivo potere di mercato da parte delle agenzie di rating, anche se 65 Jeff J. e Livingston M., (1999), A Comparison of Bond Ratings from Moody’s, S&P and Fitch IBCA, Financial Markets, Institutions and Instruments, Vol. 8, No. 4. 95 questa verifica può essere effettuata solo per Moody’s e limitatamente agli ultimi sei anni. Come appare evidente dalla tavola 9, il ritorno sul capitale investito è sbalorditivo e lascia presagire un elevato potere di mercato da parte di Moody’s. Il rapporto tra profitti netti sul totale di attività oscilla tra il 28% e il 55%. Con una media sui sei anni del 44%. L’esistenza di extra–profitto in questo mercato sembra essere testimoniata anche dall’analisi dei listini delle agenzie. Le commissioni, come si ricorderà, sono uniformi fino ad un valore nominale del debito inferiore a $500 milioni, oltre questa soglia aumenta di 2 punti base. Appare improbabile che emissioni di grandi importi implichino regolarmente costi di valutazione maggiori. Un altro elemento d’analisi importante per evidenziare l’esistenza di un potere di mercato è il grado d’innovazione del settore. Nei mercati competitivi questo è molto elevato, spinto dalla concorrenza tre le imprese produttive al fine di aumentare la loro quota di mercato attraverso l’offerta di prodotti e servizi sempre migliori 66 . Risulta altresì difficile individuare degli standard assoluti con i quali confrontare il grado di innovazione di un’azienda e questo è ancora più vero per le aziende di rating. Possiamo comunque identificare l’innovazione in questo settore come l’espansione delle valutazioni su strumenti non tradizionali e l’emissione di rating sempre più accurati e precisi. Questo processo sembra essere stato portato avanti sempre dalle piccole agenzie di rating, seguite poi dalle agenzie che dominano il mercato 67 . Ciò testimonia che anche in questo settore la concorrenza può produrre i suoi classici effetti positivi. 66 67 Rispoli M., (1997), op. cit. Cantor R. e Packer F., (1995), op.cit. 96 Infine, l’ultimo aspetto settoriale che ci preme sottolineare è l’efficienza del settore. Tavola 9: Alcuni dati finanziari di Moody’s dal 1995 al 2000 2000 RICAVI 1999 1998 1997 1996 1995 $602.3 $564.2 $495.5 $423.1 $349.7 $300 REDDITO OPERATIVO $288.5 $270.4 $221.3 $184.2 $126.6 $115 REDDITO NETTO $158.5 $150.5 $132.0 $122.4 $73.1 ATTIVITA' $82 $398.3 $274.8 $296.2 $260.5 $264.4 $217 INDEBITAMENTO L/T $300.0 – – – – RAPPORTO R.N./ATTIVITA' MEDIA 95-00 39% 54,90% 44,60% 47% 27,60% 40,50% 44% Fonte: www.moodys.com In presenza di un elevato potere di mercato delle agenzie, è quindi lecito chiedersi se la struttura attuale del settore contribuisca in modo ottimale a migliorare l’efficienza del mercato obbligazionario. Sappiamo che un alto rating è sinonimo di bassa probabilità di default e viceversa. Il rating, però, potrebbe essere semplicemente il riflesso del mutamento delle condizioni finanziarie del mercato (per esempio la variazione del differenziale di tassi d’interesse tra obbligazioni 97 aziendali e titoli governativi), piuttosto che un’informazione aggiuntiva al mercato. E’ una buona analisi, invece, verificare se un cambiamento del rating provoca variazioni sui mercati finanziari, ovvero se le variazioni dei giudizi trasmettono una nuova informazione al mercato, oppure li lascia invariati, cioè il mercato conosce gia il motivo alla base del cambiamento del rating e lo ha gia scontato nella valutazioni dei titoli. Testimonianze recenti evidenziano che i cambiamenti del rating portano nuove informazioni al mercato, attraverso la variazione nella valutazione dei titoli. Quindi, in prima analisi sembra che le agenzie possano aumentare l’efficienza del mercato. Il problema però e verificare se queste informazioni sono accurate e comunicate tempestivamente da parte delle agenzie e se questo è verificato anche nei mercati dove i limiti organizzativo-regolamentari e la mancanza di trasparenza possono ostacolare il buon funzionamento del mercato. Abbiamo in precedenza evidenziato come il comportamento delle agenzie di rating sia stato prociclico nelle recenti crisi finanziarie, causando notevoli distorsioni sul mercato dei capitali. Inoltre, vista la disciplina finanziaria USA, l’informazione aggiuntiva comunicata al mercato da parte delle agenzie potrebbe essere solo un’indicazione legale sul tipo di trattamento che deve essere applicato all’impresa, che subisce una variazione del rating, e non un’indicazione finanziaria. Questa situazione potrebbe essere accentuata qualora la proposta del comitato di Basilea venisse applicata, perché stimolerebbe l’utilizzo dei rating da parte della disciplina finanziaria internazionale senza risolvere il problema delle barriere all’entrata in questo mercato, di fatto concentrando la richiesta di rating verso le tre 98 agenzie che dominano il mercato, con la conseguenza di aumentare il potere di mercato e politico in possesso di queste imprese. 3.V LA REGOLAMENTAZIONE FINANZIARIA STATUNITENSE E LA PROPOSTA DI BASILEA Nell’ultima proposta formulata dal Comitato di Basilea non vengono stabiliti i criteri per l’individuazione delle agenzie di rating, i cui giudizi hanno riflessi sulla regolamentazione prudenziale, viene stabilito solo un generico riferimento alla caratteristica di “internationally recognized”. In pratica, come detto, le uniche agenzie che hanno una statura e un riconoscimento internazionali sono Moody’s, S&P e Fitch IBCA; di conseguenza, è legittimo presumere che la domanda di rating aggiuntiva prodotta dalla riforma regolamentare di Basilea sarà notevole e si rivolgerà verso queste aziende. Analizzando lo schema logico della proposta, le somiglianze con i problemi dell’ordinamento finanziario USA, attuato dalla SEC, sono due. Il primo riguarda la spinta alla domanda di rating che proviene dalla regolamentazione e non dai partecipanti al mercato, sulla base di valutazioni sull’operato e sull’efficienza di ogni singola agenzia (in proposito ricordiamo la visione critica di Partnoy 68 ). L’effetto di questa proposta potrebbe essere quello di creare una domanda di rating superiore rispetto a quella che si avrebbe in sua assenza. Il secondo riguarda l’esistenza di barriere all’entrata che impediscono la creazione di un mercato concorrenziale in questo settore. Il comitato 68 Partnoy F., (1999), op. cit. 99 di Basilea dovrebbe costituire un organo che abbia il compito di certificare le agenzie di rating, che emettono giudizi utilizzati dalla disciplina, e stabilire i criteri da seguire nel processo di certificazione. In assenza di un organo che certifichi le competenze delle agenzie di rating, la nascita di agenzie di rating di “bassa qualità”, e quindi disposte ad emettere un giudizio alto in cambio di una commissione maggiore, potrebbe minare la stabilità di una regolamentazione basata sull’utilizzo dei rating. Secondo White 69 , esiste comunque un’alternativa migliore: la regolamentazione prudenziale potrebbe limitare gli investimenti rischiosi, da parte delle istituzioni finanziarie, utilizzando le informazioni fornite dal mercato. Ad esempio, specificando direttamente i limiti alla proprietà delle azioni, basando i requisiti patrimoniali sui differenziali di rendimento piuttosto che indirettamente attraverso i rating (questo è stato proposto da Partnoy, il quale sostiene che, qualora i differenziali di rendimento non fossero sufficienti a determinare i requisiti patrimoniali, si potrebbe utilizzare la volatilità del prezzo come criterio aggiuntivo). La caratteristica più importante di questa proposta è che essa definisce la rischiosità dell’attività sulla base di informazioni fornite dal mercato e non la delega ai giudizi emessi da agenzie esterne di valutazione. Senza i rating come pilastro della regolamentazione finanziaria il comitato di Basilea, e quindi anche la SEC, non dovrebbero certificare le agenzie che fanno parte del “NRSRO”, inoltre il destino delle aziende di rating – quelle presenti sul mercato e quelle che vogliono entrare - sarebbe lasciato alla valutazione espressa dal mercato. I partecipanti al mercato finanziario potrebbero decidere se, e quale, agenzia di rating 69 White L.J., (2001), op.cit. 100 fornisca l’aiuto migliore nel problema delle informazioni asimmetriche giustificando così i costi sociali e le commissioni pagate alle agenzie. Se la regolamentazione finanziaria vuole continuare a delegare alle agenzie di rating la determinazione dei requisiti patrimoniali delle istituzioni creditizie, allora qualche organizzazione internazionale dovrà certificare la competenza di ogni agenzie di rating e stabilire dei criteri equi per l’assegnazione del titolo di “riconoscimento internazionale”. In particolare in USA nel 1997 è stata proposta una regolamentazione per la formalizzazione dei criteri per la designazione e il monitoraggio delle agenzie appartenenti “NRSRO”. Le caratteristiche che un azienda di rating deve avere per diventare “NRSRO” sono: 1) Riconoscimento nazionale, cioè che le società di rating siano riconosciute come organizzazioni che distribuiscono rating credibili e attendibili. 2) Staff adeguato, risorse finanziarie e una struttura organizzativa che assicurino loro di poter svolgere in modo adeguato il ruolo scritto nel punto 1, includendo la capacità di operare in modo indipendente dalle pressioni economiche o dal controllo delle società che valutano e un sufficiente numero di dipendenti qualificati in termini di esperienza e competenza nella valutazione del rischio di credito. 3) Utilizzo di procedure di rating standardizzate che garantiscano l’emissione di rating credibili e precisi. 4) Estensione dei contatti con il management dell’emittente e accesso ai livelli direttivi più alti per ottenere delle informazioni riservate. 101 La SEC non ha approvato ancora tale regolamento. Nel frattempo comunque l’effetto limitativo sulla domanda della mancata ammissione di altre agenzie nel “NRSRO” e l’espansione dell’utilizzo dei rating ai fini disciplinativi genera notevoli distorsioni. Non sorprende quindi che Moody’s possa conseguire profitti notevoli in questo settore. I criteri proposti dal comitato di Basilea per l’individuazione delle agenzie di rating il cui output abbia riflessi sulla disciplina finanziaria sono molto simili a quelli sopra elencati 70 . Il primo criterio sembra però assicurato alle tre grandi agenzie di rating USA indipendentemente dal loro operato, perché se è vero che in caso di errori e comportamenti sleali le agenzie che fanno parte del “NRSRO” possono essere escluse dall’organizzazione, è altrettanto vero che in questo contesto caratterizzato da sole tre ditte di valutazione che emettono i rating guida della regolamentazione a fronte di una domanda notevole di rating, la nomina di “riconoscimento nazionale” è garantita alle tre agenzie. I rimanenti 4 criteri (adeguate risorse, procedure metodiche, adeguate conoscenze e procedure interne) sono misure di input e non di output. Piccole aziende o aziende con innovative tecnologie di valutazione potrebbero essere svantaggiate qualora la loro candidatura alla nomina di “riconoscimento internazionale” venisse esaminata alla luce di criteri che privilegiano la storia della società piuttosto che l’efficienza dei giudizi emessi. Sembra quindi opportuna una modifica dei criteri di designazione che focalizzi l’attenzione sulla valutazione dell’output delle agenzie al fine di stimolare un processo concorrenziale atto ad 70 BIS, Basel Committee on Banking Supervision, (2001), The Standardised Approach to Credit Risk, supporting document to the new Basel capital accord, www.bis.org. 102 assicurare un grado di efficienza necessario per la stabilità del sistema bancario internazionale. 103 4 4.I ANALISI EMPIRICA INTRODUZIONE La struttura oligopolistica del settore del industriale del rating causa un surplus del produttore a scapito del consumatore che implica un maggior costo di emettere passività. Abbiamo quindi un problema distributivo indipendente dalla qualità dell’output, che però, non crea effetti distorsivi. Questi invece sono provocati da un sottoinvestimento nella raccolta di informazioni per l’emissione dei rating. Non abbiamo benchmark di riferimento precisi per determinare il livello ottimale di investimento che le agenzie debbano compiere, ma abbiamo due indizi: 1, comportamento prociclico 2, analisi cross – action tra paesi diversi con livelli di reddito e disciplina diversa. La nostra ipotesi è che i giudizi emessi dalle agenzie di rating su emittenti che operano nei PVS non sia basati su informazioni riservate, come invece avviene nei paesi industrializzati, ma bensì su informazioni pubbliche, e quindi non apportano delle nuove informazioni al mercato. La motivazione è che in questi mercati il processo di raccolta è molto più costoso per i problemi di trasparenza, efficienza, spessore, lacune delle disciplina legale e finanziaria. Da queste premesse emerge la necessità di un investimento maggiore nella raccolta di informazioni al fine di emettere un giudizio che aumenti il grado di efficienza del mercato finanziario nei PVS. 104 4.II ELABORAZIONE DELLA METODOLOGIA Vogliamo quindi elaborare una metodologia che stabilisca quanto le agenzie di rating investono nella raccolta di informazioni sui debitori. La variabile che qui approssima l’investimento effettuato dall’agenzia in raccolta ed elaborazione delle informazioni sui debitori, sui quali l’agenzia stessa emette il rating, è costituita dalle unità-analista (in sigla UNIANA) dedicato a quel debitore. Nel calcolo di questo indicatore, ci si rivolge ai soli rating –Sovrani e di imprese non finanziarie– riferiti a debitori di tutti i paesi eccetto gli Stati Uniti. Tale scelta deriva da due considerazioni. In primo luogo, il fatto che l’attività di rating nei confronti degli USA è incommensurabilmente più sviluppata che nei confronti del resto del mondo. Inoltre, dal fatto che nelle agenzie, l’attività di rating USA e quella nei confronti del resto del mondo sono largamente segmentate e, dunque, gli analisti impegnati sul secondo segmento normalmente non lavorano sul primo e viceversa. In pratica, per il calcolo di UNIANA si procede nel modo seguente. La fonte dei dati è l’archivio on line di Moody’s 71 , consultato da gennaio a maggio 2001, che per ciascun rating emesso dall’agenzia, oltre al valore del rating riporta anche il nome degli analisti (generalmente due) responsabili di quel rating. Si tiene poi conto del fatto che uno stesso analista è di solito responsabile di un certo numero di rating (e non di uno solo). Pertanto, il tempo medio che ciascun analista dedica ai rating di cui è responsabile è funzione decrescente del numero di rating di cui questi è responsabile. Quindi, per quantificare questo tempo medio, conta su quante imprese 71 www.moodys.com 105 (debitori sovrani; di solito gli analisti dei rating sovrani non si occupano dei rating di impresa e viceversa) è impegnato ciascun analista. Assumendo che ciascun analista j distribuisca il suo tempo uniformemente tra le nj imprese (sovrani) di cui è responsabile e considerando che più di un analista può essere responsabile dell’impresa (del Sovrano) i, si calcola l’impegno di analisti totale profuso da Moody’s per ciascuna impresa i come: mi UNIANAi = [∑ (1 / n i j )] / mi j =1 ove mi è il numero totale di analisti responsabili dell’impresa (del Sovrano) i e nij è il numero totale di imprese (sovrani) cui l’analista j assegna un rating, essendo compreso nel numero anche il rating relativo all’impresa (al Sovrano) i. 4.III VARIABILI DESCRITTIVE Nel nostro campione riferito ai debitori sovrani, UNIANAi varia da un minimo di 0,037 (cioè il Sovrano ottiene il rating da un solo analista che è responsabile di 27 rating sovrani, ovvero da due analisti che sono coinvolti nel rating, rispettivamente, di 14 e 13 sovrani, ovvero da ogni altra combinazione equivalente) a un massimo di 0,133 (cioè il Sovrano ottiene il rating da un solo analista che è responsabile di 7,5 rating sovrani, ovvero da due analisti che sono coinvolti nel rating, rispettivamente, di 4 e 3,5 sovrani, ovvero da ogni altra combinazione equivalente). Per i sovrani, i valori medio e mediano di UNIANAi sono, rispettivamente, 0,084 (12 rating per analista) e 0,087 (11,5 rating per analista). 106 Nel nostro campione riferito ai rating di imprese non finanziarie, invece, UNIANAi varia da un minimo di 0,002 (cioè l’impresa ottiene il rating da un solo analista che è coinvolto in 500 rating d’impresa, ovvero da altra combinazione equivalente di più analisti) a un massimo di 2 (cioè l’impresa ottiene il rating da due analisti che sono coinvolti esclusivamente nel rating di quell’impresa). Per le imprese, i valori medio e mediano di UNIANAi sono, rispettivamente, 0,077 (13 rating per analista) e 0,042 (23,8 rating per analista). L’idea di fondo è che quanto maggiore UNIANAi, tanto maggiore l’investimento che Moody’s sta facendo nel raccogliere ed elaborare informazioni sull’impresa (sul Sovrano) i e, quindi, UNIANAi approssima il valore aggiunto creato da Moody’s per l’impresa (il Sovrano) i rispetto a quanto su di essa (esso) è noto pubblicamente. Naturalmente, UNIANAi è solo un’approssimazione. Basti pensare che gli analisti possono essere più o meno capaci e più o meno esperti, caratteristiche queste che ci è impossibile cogliere sulla base delle informazioni disponibili sul sito web di Moody’s. E, in ogni caso, la nostra approssimazione dovrebbe essere mediamente corretta. Una dimensione importante per la nostra analisi è se vi siano differenze sistematiche tra l’attività di rating dedicata alle imprese e Sovrani di paesi avanzati (approssimati dal gruppo dei paesi OCSE) e degli altri paesi (paesi non-OCSE). Ciò dipende, in primo luogo, dall’aspettativa che la disponibilità e la qualità delle informazioni per i paesi OCSE sia migliore rispetto ai non-OCSE. Ad esempio, un importante contributo recente di La Porta, Lopez-de-Silanes, Shleifer 107 e Vishny (1998) 72 mette in luce come vi siano sostanziali differenze tra paesi in termini di capacità di assicurare informazioni di qualità al pubblico (accounting standards), nel grado di certezza del diritto (rule of law) e di tutela dei creditori e come ciò abbia profonde conseguenze sullo sviluppo dei mercati finanziari. Questi due indicatori sono tra i principali su cui si concentra il contributo in discorso. Ebbene, tra i 90 Figura 1. Qualità di informazioni contabili e di applicazione della legge 55,6 ACCOUNTING STANDARDS 67,2 53 RULE OF LAW 0,0 92,6 10,0 20,0 30,0 PAESI OCSE 40,0 50,0 60,0 70,0 80,0 90,0 100,0 PAESI NON OCSE paesi che considereremo nell’analisi empirica che segue sui debitori sovrani 73 , ambedue gli indicatori assumono valori decisamente inferiori per i paesi non-OCSE rispetto a quelli OCSE (fig. 1). 72 La Porta, R., F. Lopez-de-Silanes, A. Shleifer e R.W. Vishny (1998), “Law and Finance”, Journal of Political Economy 106, No. 6, 1113-55. 108 Figura 2. Unità di analista per imprese e sovrani (mediana) 0,071 IMPRESE 0,033 0,087 SOVRANI 0,094 0,000 0,010 0,020 0,030 PAESI OCSE 0,040 0,050 0,060 0,070 0,080 0,090 0,100 PAESI NON OCSE Ciò ci induce ad aspettarci che, a parità di altre condizioni, le agenzie dovrebbero investire più risorse nel formulare il rating di imprese e sovrani nei paesi non-OCSE rispetto a quanto investono nei confronti di debitori dei paesi OCSE. Nei paesi non-OCSE è maggiore sia il bisogno di migliorare le informazioni che, quindi, il beneficio potenziale di investire di più nella raccolta ed elaborazione di informazione sui debitori. Prima di indagare tale questione in modo più sistematico mediante l’analisi econometria, vediamo se, in effetti, UNIANAi è più elevato nei paesi non-OCSE che in quelli OCSE. 73 Si tratta di: Argentina, Australia, Austria, Bahrain, Barbados, Belgio, Belize, Bolivia, Brasile, Bulgaria, Canada, Cile, Cina, Colombia, Costa Rica, Cipro, Croazia, Repubblica Cecoslovacca, Danimarca, Repubblica Dominicana, Ecuador, Egitto, El Salvador, Estonia, Fiji, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Guatemala, Honduras, Hong Kong, Ungheria, Islanda, India, Indonesia, Iran, Irlanda, Israele, Italia, Giamaica, Giappone, Giordania, Kazakistan, Corea del Sud, Kuwait, Lettonia, Libano, Lituania, Malesia, Malta, Mauritius, Messico, Moldavia, Marocco, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Nicaragua, Norvegia, Pakistan, Panama, Papua Nuova Guinea, Paraguay, Perù, Filippine, Polonia, Portogallo, Romania, Federazione Russa, Arabia Saudita, Singapore, Repubblica Slovacca, Slovenia, Sud Africa, Spagna, Svezia, Svizzera, Taiwan, Tailandia, Trinitad e Tobago, Tunisia, Turchia, Turkmenistan, Ucraina, Regno Unito, Emirati Arabi Uniti, Uruguay, USA, Venezuela, Vietnam. Tuttavia, per i paesi sottolineati (in corsivo) non si dispone di rating sovrano (d’impresa). 109 La figura 2 riporta i valori mediani di UNIANAi per imprese e sovrani distintamente per i due gruppi di paesi. l’investimento in termini di unità di analista è minore nei paesi nonOCSE che in quelli OCSE. Per i rating d’impresa, invece, l’aspettativa che si investa di più nei paesi non-OCSE è confermata. Ma, naturalmente, anche quest’ultima evidenza, pur andando nel senso atteso, non è sufficiente a certificare che le agenzie di rating investono “abbastanza” nei rating delle imprese dei paesi non-OCSE. Figura 3. Rating numerico per imprese e sovrani (mediana) 45 65 IMPRESE 52,5 96,25 SOVRANI 0 10 20 30 PAESI OCSE 40 50 60 70 80 90 100 PAESI NON OCSE Per i rating sovrani si trova che, contrariamente a quanto atteso, Diamo, infine, uno sguardo al livello mediano del rating Sovrano e d’impresa distinto tra i due gruppi di paesi. Per farlo, ricorriamo alla conversione numerica dei rating secondo la scala presentata sopra, nel 110 capitolo 2. Come ci si poteva aspettare, sia i rating sovrani che quelli d’impresa sono significativamente inferiori nei paesi non-OCSE che in quelli OCSE (figura 3). La differenza tra rating mediani è più marcata per i sovrani (52,5 contro 96,25) che per le imprese (45 contro 65). Questa evidenza induce a ritenere che vi sia un sample selection bias, per cui nei paesi non-OCSE solo le migliori imprese effettuano richiesta di un rating, richiesta che invece sarebbe assai più comune nei paesi OCSE (anche ove si escludano gli USA). È ora giunto il momento di approfondire l’analisi sul problema mediante l’analisi econometrica multivariata. A questo ci si dedica nel capitolo che segue. 111 5 ANALISI ECONOMETRICA MULTIVARIATA 5.I INTRODUZIONE Si è impostata l’analisi econometrica multivariata in modo distinto per i rating sovrani e per quelli d’impresa 74 . Nel primo caso, si stimano due equazioni: una di determinazione del rating in funzione di altre variabili e di UNIANAi e un’altra che pone UNIANAi come variabile dipendente in funzione di altre variabili esplicative. Per le imprese non finanziarie si stima un’equazione di determinazione dei rating in funzione di altre variabili e di UNIANAi. Ma vediamo nel dettaglio le specificazioni e i principali risultati. 5.II ANALISI DEI RATING SOVRANI La prima equazione stimata per i rating sovrani è la seguente: (1) rati = β 0 + β1unisupi + β 2 popi + β 3 pili + β 4 pil 2 i + β 5 pilproi + β 6 supi + β 7 engli + β 8 disti + ε ove, per il paese i, rat è il rating Sovrano, unisup è il rapporto tra UNIANAi e la superficie del paese (in km2), pop è la popolazione del paese (in milioni), pil è il prodotto interno lordo (in miliardi di $ correnti) e pil2 è il suo quadrato, pilpro è il PIL pro capite, sup è la superficie del paese (in km2), engl è una variabile 0-1 che assume valore uno per i paesi di lingua inglese e 0 per gli altri, dist è la distanza (in km) dagli Stati Uniti. 74 Tutte le regressioni sono condotte col metodo dei Minimi Quadrati Ordinari e applicano la correzione di White per l’eteroschedasticità. 112 Questa specificazione è motivata dalle seguenti considerazioni. In primo luogo, ci si aspetta che il rating del paese ne rifletta i fondamentali economici. Dunque, il rating dovrebbe essere più elevato per paesi con più elevato pilpro. Anche la dimensione del paese potrebbe avere un effetto positivo: questo aspetto viene colto da pop, da pil e pil2 (il termine quadratico viene inserito perché ci si aspetta una relazione non lineare), da sup. Ci si aspetta, inoltre, che dist ed engl possano avere, rispettivamente, effetto negativo e positivo, perché la prima variabile accresce i costi di transazione per la determinazione del rating, mentre la seconda li riduce. Infine, la nostra aspettativa è che al crescere dell’investimento da parte dell’agenzia con riferimento alla dimensione del paese (unisup) il rating aumenti perché si riduce l’asimmetria informativa. Inoltre, in considerazione del fatto che il rating di un Sovrano verosimilmente dipende anche dalla qualità delle informazioni in quel paese, si è considerata una seconda specificazione che include la variabile accounting standards, suggerita nel richiamato lavoro di La Porta et al. (1998). Ovviamente, ci si aspetta che, a parità di altre condizioni, il rating aumenti all’aumentare del valore di questa variabile. La specificazione in questione è la seguente: (1’) rati = β 0 + β1unisupi + β 2 pilproi + β 3 supi + β 4 engli + β 5 accounting i + ε I risultati delle stime delle due specificazioni sono riportati nella tavola 5.1. Si procede dalla specificazione generale a quella preferita eliminando i regressori non statisticamente significativi. Concentrandoci sulle due specificazioni preferite, ambedue sono contrassegnate da elevato potere esplicativo, come testimonia l’elevato R2. Risulta poi che i rating sovrani dipendono positivamente da pilpro e dal fatto che il paese sia di lingua inglese e calano 113 all’aumentare della dimensione del paese in termini di superficie. La variabile di interesse per la nostra ipotesi risulta significativa e ha segno positivo, indicando che, a parità di altre condizioni, i rating sovrani crescono ove l’agenzia di rating allochi un numero maggiore di unità-analista (scalato per la superficie del paese). Riguardo alla specificazione (1’), vi sono alcune differenze degne di rilievo rispetto a quella precedente. In primo luogo, il numero di osservazioni disponibili si dimezza, perché nello studio di La Porta et al. (1998) i valori della variabile accounting standards sono presentati Tavola 5.1: Stima dell’equazione di determinazione dei rating sovrani (a) variabile Specif. (1) base Spec. (1) preferita Spec. (1’) base Spec. (1’) preferita Costante Unisup 44,15947 43,12502 42,12119 39,64616 10,51*** 17,52*** 3,17*** 3,15*** 0,00008 4,43*** 0,00008 0,00035 0,00036 3,72*** 2,81*** 2,80*** Pop 0,00004 0,01 - - - Pil 0,00153 0,38 - - - Pil2 -0,00000 -0,92 - - - Pilpro 0,00202 0,00201 0,00152 0,00147 10,91*** 14,30*** 7,16*** 7,40*** Sup Engl Dist -0,00001 - -0,00001 - -0,00003 5,67*** 4,75*** 2,91*** 9,24513 8,10276 3,39710 2,68*** 2,58** -0,00021 - - - - 0,20363 - -0,00003 2,85*** 0,64 - 0,47 Accounting - 0,87 0,26656 1,26 No. osservazioni R 2 75 75 37 37 0,77 0,76 0,81 0,81 Statistica F 48,26 70,94 30,73 34,06 Prob > F 0,00 0,00 0,00 0,00 (a) Il primo valore si riferisce al coefficiente stimato, il secondo è la statistica t; ***, ** e * indicano, rispettivamente, significatività statistica all’1%, al 5% e al 10%. 114 - solo per alcuni dei paesi qui inclusi. In secondo luogo, la variabile eng perde significatività. Infine, anche escludendo eng, la variabile accounting esprime il segno atteso ma non raggiunge la significatività statistica. A questo punto, si è effettuato un secondo esercizio di regressione in cui si stimano le determinanti delle unità-analista (stavolta preso in valore assoluto e non più scalato per la superficie del paese). Anche in questo caso, si sono considerate due specificazioni. In particolare la seconda è caratterizzata per l’aggiunta della variabile accounting: ovviamente ci si aspetta che Moody’s dovrebbe investire di più nei paesi con più bassi accounting standards. In pratica, dunque, le due specificazioni sono le seguenti: (2) uniani = β 0 + β1 popi + β 2 pili + β 3 pil 2 i + β 4 pilproi + β 5 supi + β 6 engli + β 7 disti + ε (2’) uniani = β 0 + β1 popi + β 2 pili + β 3 pil 2 i + β 4 pilproi + β 5 supi + β 6 engli + β 7 disti + β 8 accountingi + ε I risultati della prima stima indicano che Moody’s investe proporzionalmente più unità-analista nei paesi con un pil più elevato e in quelli di lingua inglese (tavola 5.2). I risultati della seconda stima suggeriscono che, a parità di pil, Moody’s investe di più nei paesi più distanti e di meno in quelli con una popolazione maggiore. Anche in questo caso, il segno di accounting è quello atteso (positivo), ma non si riscontra un legame statisticamente significativo. Dunque, i risultati sembrano suggerire che un aumento dell’investimento in raccolta ed elaborazione delle informazioni sui debitori Sovrani abbia effetti di innalzamento del loro rating. Dato che, come si è visto, questo investimento è (sia pur di poco) inferiore 115 Tavola 5.2: Stima dell’equazione di determinazione delle unità di analisti sui rating sovrani (a) variabile Specif. (2) base Spec. (2) preferita Specie. (2’) base Spec. (2’) preferita Costante Pop Pil Pil2 Pilpro 0,07124 0,07615 0,05769 0,06248 15,23*** 30,76*** 3,25*** 5,85*** - -0,00002 0,00001 0,83 Dist 0,00002 0,00001 0,00001 4,92*** 1,83* 2,13** -0,00000 - -0,00000 - No. osservazioni R 2 -0,00000 3,04*** 4,78*** 1,25 0,00000 - -0,00000 -0,00000 - -0,00000 1,59 - - - - - - 0,78 - - -0,00000 0,45 0,01243 0,01507 -0,00271 1,68* 2,36** 0,18 0,00000 - 0,00000 0,00000 1,52 2,57** 0,00041 0,00022 1,36 1,23 0,64 Accounting 4,72*** 3,03*** 1,98* Engl -0,00002 0,00002 1,52 Sup - 2,28** - - 88 90 40 40 0,22 0,19 0,24 0,23 Statistica F 6,15 15,34 3,41 6,46 Prob > F 0,00 0,00 0,01 0,00 (a) Il primo valore si riferisce al coefficiente stimato, il secondo è la statistica t; ***, ** e * indicano, rispettivamente, significatività statistica all’1%, al 5% e al 10%. nei paesi non-OCSE che in quelli OCSE, ne deriva che i paesi meno sviluppati possono essere danneggiati da una situazione di sottoinvestimento da parte delle agenzie di rating. 5.III ANALISI DEI RATING D’IMPRESA La prima equazione stimata per i rating d’impresa è la seguente: 116 - - (3) frati = β 0 + β1sovrati + β 2 settorei + β 3uniani + ε mentre, come sopra, la seconda equazione tiene conto anche degli accounting standards: (3’) frati = β 0 + β1sovrati + β 2 settorei + β 3uniani + β 4 accounting i + ε La variabile dipendente (frat) è il rating individuale dell’impresa, che viene regredito su: i) il contemporaneo rating Sovrano del paese dell’impresa (sovrat); ii) una variabile di controllo per il settore di appartenenza dell’impresa (settore); iii) il numero di unità-analista impegnati nel rating dell’impresa (unian); iv) e, nella seconda equazione, la variabile accounting. Ci si aspetta che il rating dell’impresa dipenda in modo spiccato dal rating Sovrano del paese, ma che tale dipendenza possa differire tra paesi, essendo forte nei paesi non-OCSE e debole o assente nei paesi OCSE 75 . Al contrario, ci si aspetta che le caratteristiche settoriali (che qui approssimano, grossolanamente, la performance dell’impresa) contino di più nei paesi OCSE che nei paesi non-OCSE. Inoltre, ci si aspetta che il numero di unità-analista impegnate nel rating dell’impresa possa avere un effetto soprattutto nei paesi caratterizzati da qualità inferiore delle informazioni, vale a dire nei paesi non-OCSE. Infine, ci si aspetta che, a parità di altre condizioni, il rating delle imprese sia più basso nei paesi ove sono peggiori gli accounting standards. Cosa ci dicono i risultati delle stime? Quelli relativi alla prima equazione sono riportati nella tavola 5.3. Si stima dapprima l’intero gruppo delle 631 imprese censite. Si trova conferma che i rating d’impresa dipendono in misura importante e significativa dal rating Sovrano (e dal settore di appartenenza): un aumento di 10 punti del rating Sovrano (es. il passaggio da AA a AAA) si traduce mediamente 75 Ferri, Liu e Majnoni, (2001), op.cit. 117 in un aumento di 4 punti del rating d’impresa. La variabile unian non risulta significativa e, anzi, esprime un segno negativo, contrario alle attese. Si stima poi l’equazione per il sottoinsieme delle 532 imprese appartenenti a paesi OCSE. Le uniche due differenze degne di nota rispetto alla regressione sulle 631 imprese totali sono date dal fatto che: (i) la relazione tra rating d’impresa e Sovrano si indebolisce (il coefficiente cala da 0,39 a 0,33 e la significatività statistica scende dall’1% ad appena il 5%); (ii) unian esprime ora una relazione negativa e significativa. Quest’ultima evidenza suggerisce che l’intensificarsi dell’investimento informativo di Moody’s dà luogo a un peggioramento del rating, ovvero esso viene presumibilmente deliberato nei confronti di imprese “sorvegliate speciali”. Si stima, infine, l’equazione per il sottoinsieme delle 99 imprese appartenenti a paesi non-OCSE. I risultati sono, in questo caso, molto interessanti. Vi sono quattro differenze importanti rispetto alla regressione sulle 631 imprese totali: (i) la relazione tra rating d’impresa e Sovrano si rafforza (il coefficiente sale da 0,39 a 0,86 e la significatività statistica aumenta); (ii) il settore di appartenenza non risulta più significativa nel determinare il rating d’impresa; (iii) la bontà della regressione (misurata dall’R2) aumenta di un fattore 4 rispetto alla regressione sulle 631 imprese totali e di un fattore 20 rispetto alle imprese OCSE; (iv) contrariamente alle stime precedenti, unian esprime ora una relazione positiva e significativa. Ciò indica che un maggiore investimento informativo di Moody’s nei paesi nonOCSE dà luogo generalmente a un miglioramento del rating dell’impresa, ovvero esso viene presumibilmente deliberato nei 118 confronti di imprese di cui si sa poco e che, normalmente, risultano meritevoli. Tavola 5.3: Stima dell’equazione di determinazione dei rating d’impresa: specificazione 3 (a) variabile Tutti i paesi Solo paesi OCSE Solo paesi non-OCSE Costante 22,52614 27,97408 1,29226 8,88*** 1,78* 0,45 0,39033 0,33235 0,85979 12,42*** 1,97** 15,71*** 0,16991 0,18258 -0,27037 4,91*** 5,32*** 1,64 Sovrat Settore Unian -5,66617 - -11,16123 - 6,55750 1,32 1,74* 2,84*** 631 532 99 R2 0,14 0,03 0,60 Statistica F 83,40 12,56 82,86 Prob > F 0,00 0,00 0,00 No. osservazioni (a) Il primo valore si riferisce al coefficiente stimato, il secondo è la statistica t; ***, ** e * indicano, rispettivamente, significatività statistica all’1%, al 5% e al 10%. Veniamo, infine, all’equazione che tiene conto anche degli accounting standards. I risultati (riportati nella tavola 5.4) non mutano gran che. La principale differenza che rileva ai nostri fini è che accounting esprime un legame negativo e significativo con il rating d’impresa solo nella regressione generale e in quella dei paesi OCSE, ma non in quella dei paesi non-OCSE, ove, diversamente dalle altre due regressioni, unian seguita ad avere un effetto positivo e significativo. Nel loro complesso, i risultati riferiti ai rating d’impresa sono ancor più suggestivi di quelli sui rating sovrani. Ne traspare che, in media, il 119 - Tavola 5.4: Stima dell’equazione di determinazione dei rating d’impresa: specificazione 3’ (a) Variabile Tutti i paesi Solo paesi OCSE Solo paesi non-OCSE Costante 35,09159 15,10300 3,32171 5,90*** 0,94 0,53 0,54838 0,94373 0,88819 9,49*** 3,88*** 8,99*** 0,17542 0,18446 -0,31732 5,30*** 5,79*** 1,73* Sovrat Settore Unian -4,28295 - 0,96 Accounting -0,38925 -10,33743 - 1,55 - -0,63743 7,15416 2,86*** - -0,06125 2,74*** 3,23*** 0,36 616 524 92 R2 0,16 0,06 0,59 Statistica F 71,07 14,23 54,26 Prob > F 0,00 0,00 0,00 No. osservazioni (a) Il primo valore si riferisce al coefficiente stimato, il secondo è la statistica t; ***, ** e * indicano, rispettivamente, significatività statistica all’1%, al 5% e al 10%. rating di un’impresa che ricevesse un analista esclusivamente dedicato a essa salirebbe di 7 punti rispetto a quello di un’impresa che fosse seguita da analisti che disperdono il loro lavoro su miriadi d’imprese.In pratica, nel nostro campione per imprese non-OCSE, unian varia da un minimo di 0,001 (per il 1° percentile) a un massimo di 2 per il 99° percentile e, un’impresa che passasse dal primo al secondo valore vedrebbe crescere il proprio rating di 14 punti: se si trattasse dell’impresa con il rating mediano (45 nei paesi non-OCSE), essa potrebbe perciò superare la soglia dell’investment grade grazie al maggior investimento informativo da parte di Moody’s. Per quest’impresa, riferendoci allo studio sulle obbligazioni emesse da imprese USA citato sopra, le conseguenze benefiche in termini di 120 - - costo del debito sarebbero quantificabili in circa 2 punti di tasso d’interesse. Dunque, i nostri risultati indicano che, pur essendo l’investimento informativo di Moody’s nei confronti di imprese non-OCSE mediamente superiore a quanto effettuato per imprese OCSE, la situazione si caratterizza ancora per sottoinvestimento informativo nei confronti delle imprese non-OCSE. Quest’ultime, verosimilmente condizionate da assetti istituzionali sfavorevoli nei propri paesi, non avrebbero nulla da temere dall’intensificazione dell’impegno di Moody’s nei loro confronti, anzi ne beneficerebbero ampiamente e, con tutta probabilità, sarebbero disposte a pagare di più per avere più analisti e, con questo, un rating migliore. Riconducendo il discorso al problema delle asimmetrie informative tra emittenti e investitori, che le agenzie di rating sono deputate a superare, appare essenziale che le agenzie dedichino maggiori risorse ai rating nei paesi non-OCSE. Ciò sarà tanto più vero nell’immediato futuro, allorché l’entrata in vigore della nuova normativa di Basilea legherà anche i requisiti minimi bancari e, dunque, l’offerta di credito, ai rating che le agenzie esprimono su imprese e sovrani. 121 6 Conclusioni Le moderne economie di mercato, frutto del processo di globalizzazione, sono caratterizzate da una elevata volatilità del prezzo delle attività e dei movimenti di capitale. Questo provocano un aumento dell’instabilità del sistema finanziario internazionale, testimoniata dalle gravi crisi che hanno colpito i mercati emergenti di Messico e Asia. Questi Paesi sono molto sensibili alle variazioni improvvise ed eccessive dei flussi di capitale privato, a causa dello scarso sviluppo di marcati efficienti e delle lacune giuridiche. In questo contesto le agenzie di rating hanno un potere enorme nella distribuzione dei flussi di capitale privato tra le Nazioni. Difatti, attraverso le variazioni dei giudizi sulla rischiosità dell’investimento potrebbero far diminuire i flussi in entrata nei periodi di euforia e farli aumentare nei periodi di pessimismo. Purtroppo, però, il loro comportamento nelle ultime crisi si è dimostrato invece prociclico, aggravando le condizioni economiche dei paesi che attraversavano periodi di difficoltà finanziaria, oltre quanto pareva giustificato sulla base del peggioramento dei fondamentali macroeconomici di quei Paesi. L’analisi del comportamento delle agenzie di rating durante la crisi asiatica evidenzia due errori. Il primo riguarda la non previsione della crisi e il ritardo con cui hanno variato i giudizi sulla probabilità di default dei debitori asiatici allorché la crisi si è manifestata. Il secondo riguarda l’eccessiva penalizzazione attribuita ai Paesi asiatici in termini di riduzione del livello di rating, cioè la riduzione dei giudizi sulla solvibilità dei debitori asiatici è stata eccessiva rispetto al deterioramento dei fondamentali economici di quei Paese. 122 Per quanto riguarda il primo errore abbiamo visto come il rating assegnato all’ente Sovrano abbia fallito sistematicamente nel prevedere lo scoppio di crisi bancarie e valutarie. Il motivo risiede nel fatto che le agenzie non sembrano disporre di informazioni di qualità superiore nei mercati emergenti e hanno una limitata esperienza nella valutazione del rischio Sovrano in questi mercati, da ciò deriva che le agenzie sono soggette ad eccessi di euforia e di pessimismo, come gli altri operatori di mercato. In altre parole, le agenzie, paiono avere le stesse informazione che hanno gli investitori per determinare il rischio di default delle imprese e quindi si comportano in modo simile. Questo è dimostrato dal fatto che il rating Sovrano è basato su informazioni pubbliche come debito estero, riserve internazionali, politiche monetarie e fiscali. Invece nella valutazione di Sovrani e imprese che operano nei mercati sviluppati, le agenzie, grazie all’efficienza e alla trasparenza del mercato, possono raccogliere informazioni di qualità elevata sulle quali basare il giudizio sull’affidabilità del debitore. In questo modo comunicano al mercato un’informazione aggiuntiva perché gli investitori non possono accedere alle informazioni riservate sullo stato di salute degli emittenti o il processo di raccolta sarebbe, per loro, molto costoso. Per quanto riguarda il secondo errore, il comportamento delle agenzie di rating durante la crisi asiatica è stato prociclico, aggravando la situazione economica. Difatti, prima dello scoppio della crisi, i rating sottostimavano la probabilità di default degli emittenti asiatici e dopo lo scoppio, la variazione dei rating sovrastimava la probabilità di default degli emittenti asiatici. La riduzione dei rating Sovrani si è trasmessa anche a imprese e banche asiatiche per due motivi: (i) le agenzie utilizzano il livello del 123 rating Sovrano come livello massimo del rating assegnato a imprese e banche ivi operanti; (ii) è stato dimostrato che il rating di imprese e banche dei PVS è molto correlato con il livello del rating dell’Ente Sovrano perché, vista la scarsa trasparenza ed efficienza dei mercati emergenti, le agenzie non riescono ad identificare con precisione la probabilità di default della singola imprese e quindi tendono ad approssimarla con il rischio del Sovrano. Gli effetti di questi comportamenti sui mercati finanziari sono molteplici. Tra i più importanti ricordiamo: (i) la relazione tra rating e tasso d’interesse; tanto minore è il livello dei rating di impresa (Sovrano) tanto maggiore sarà il costo dell’indebitamento, (ii) la relazione tra rating e tasso d’interesse non è lineare, se la riduzione del rating porta il titolo ad essere classificato come “titolo speculativo” il tasso d’interesse sul titolo emesso aumento in modo ancora maggiore; (iii) il divieto imposto agli investitori istituzionali di acquistare titoli speculativi può causare un effetto di razionamento quantitativo verso quei titoli con rating molto bassi. Queste relazioni tendono ad amplificare le fluttuazioni dei movimenti di capitale e l’instabilità del sistema finanziario. Durante le fasi espansive, l’aumento dei rating rafforza aspettative euforiche e stimola un eccessivo afflusso di capitali; durante le fasi recessive, le riduzioni dei rating alimentano il panico tra gli operatori, accelerando la fuga dei capitali. Inoltre l’analisi del settore industriale del rating evidenzia gli aspetti potenzialmente negativi, ai fini dell’efficienza, sui quali si basa questa attività. In primo luogo i profitti delle agenzie derivano dalle commissioni pagate da Sovrani, banche e imprese, e non dagli investitori per l’utilizzo del giudizio emesso. Le agenzie quindi 124 potrebbero essere restie a ridurre i giudizi sui propri clienti. Ciò potrebbe introdurre una rigidità nei downgrades specialmente nei periodi di massicci afflussi di capitale, rigidità che, tuttavia, è temperata dall’esigenza delle agenzie di salvaguardare la propria reputazione nei confronti degli investitori. Infine la disciplina finanziaria statunitense ha contribuito in modo determinante all’espansione delle agenzie di rating. Nel 1930 la SEC decise di utilizzare i rating per stabilire quali attività potessero essere acquistate dagli investitori istituzionali. Nel 1975 la SEC costituì un’organizzazione, il “NRSRO”, di cui fanno parte le agenzie che hanno un riconoscimento d’interesse nazionale e che possono emettere giudizi utilizzati dalla disciplina finanziaria. Attualmente fanno parte di questa organizzazione solo Moody’s, S&P e Fitch IBCA. Queste due decisioni hanno contribuito a creare una notevole domanda di rating da parte delle imprese che volevano collocare prestiti obbligazionari sul mercato statunitense e, alla luce del processo di integrazione dei mercati finanziari, sui mercati internazionali. Inoltre le richieste di rating si sono concentrate verso quelle agenzie che fanno parte del “NRSRO”, accrescendo il potere economico e politico in loro possesso. La proposta del comitato di Basilea sulla regolamentazione del sistema bancario utilizza i rating per determinare la quota minima di capitale che le banche devono accantonare a fronte di un prestito. In sostanza per prestiti emessi a Sovrani, banche e imprese con bassi rating sarà richiesto un accantonamento di capitale maggiore, con l’inevitabile aumento del tasso d’interesse per questi emittenti. La proposta aumenterà la volatilità dei capitali nei mercati emergenti e il costo dell’indebitamento. L’analisi della distribuzione dei rating nei 125 PVS, evidenzia come questa sia ancora relativamente scarsa e il livello medio dei giudizi sia al di sotto della soglia del “investment grade”. Inoltre se le agenzie di rating continueranno a comportarsi in modo prociclico (peccando di ottimismo nelle fasi di boom e di pessimismo nelle fasi di crisi), anche il livello delle riserve bancarie e , dunque l’offerta di credito tenderebbero a muoversi in senso prociclico producendo effetti di overshooting. Difatti, prima delle scoppio della crisi, la sottostima del rischio di default degli emittenti asiatici, avrebbe generato un livello di riserve inferiore alla effettiva rischiosità dell’attivo, minando la capacità del sistema bancario di reagire a shocks esterni. Al contrario, dopo lo scoppio della crisi, la sovrastima del rischio di default degli emittenti asiatici avrebbe generato un livello eccessivo di riserve, sottraendo ingiustificatamente risorse al sistema economico. Inoltre la proposta del comitato di Basilea si riferisce genericamente alle agenzie che sono “internationally recognized” per stabilire quali rating possano essere usati dalla disciplina finanziaria e non stabilisce con precisioni le caratteristiche che devono avere le agenzie per ottenere questo importante riconoscimento. In questo modo non viene stimolata la formazione di un mercato concorrenziale necessario per assicurare la stabilità del sistema bancario internazionale. Nella ricerca econometrica si è voluto analizzare il livello d’investimento nella raccolta di informazioni, da parte di Moody’s, per l’assegnazione del rating a Sovrani e imprese. L’idea di fondo è che tanto maggiore sarà l’investimento da parte di Moody’s in termini di risorse umane nel raccogliere ed elaborare informazioni sull’impresa (Sovrano) e tanto maggiore sarà il valore 126 aggiunto creato da Moody’s per l’impresa (Sovrano) rispetto a quanto su di essa (esso) è noto pubblicamente. I risultati delle stime effettuate sui rating Sovrani ci dicono come un aumento dell’investimento in raccolta ed elaborazione delle informazioni sui debitori Sovrani abbia effetti d’innalzamento del loro rating. Dato che questo investimento è inferiore nei paesi non OCSE rispetto a in quelli OCSE, ne deriva che i Paesi meno sviluppati possono essere danneggiati da una situazione di sottoinvestimento in risorse umane da parte delle agenzie di rating. Dalle stime effettuate sui rating d’impresa dei paesi OCSE e non OCSE emerge una forte correlazione tra il rating del Sovrano e il rating dell’impresa: un aumento di 10 punti del rating del sovrano (es. passaggio da AA a AAA) si traduce mediamente in un aumento di 4 punti del rating d’impresa. Dalle stime effettuate solo per le imprese non OCSE emergono risultati ancora più interessanti. La relazione tra rating d’impresa e Sovrano diventa ancora più forte passando da 4 a 8,5 punti; le risorse umane impiegate nella raccolta d’informazioni hanno una relazione significativa e positiva con il livello del rating. Ciò indica che un maggiore investimento informativo di Moody’s nei paesi non-OCSE dà luogo generalmente a un miglioramento del rating dell’impresa. Possiamo affermare in generale che il rating di un‘impresa che ricevesse un’analista esclusivamente dedicato a essa salirebbe, in media, di 7 punti rispetto a quello di un’impresa che fosse seguita da analisti che disperdono il lavoro su miriadi d’imprese. Ad esempio, se un’impresa non OCSE avesse il rating mediano, cioè 45 per questi paesi, e ricevesse due analisti dedicati esclusivamente ad essa vedrebbe aumentare il proprio rating di 14 punti e potrebbe quindi superare la soglia dell’investment grade grazie al maggior 127 investimento informativo da parte di Moody’s. Inoltre il superamento di tale soglia si tradurrebbe in una riduzione del costo dell’indebitamento di due punti di tasso d’interesse. Dunque i nostri risultati ci indicano che sia le imprese non OCSE che Moody’s trarrebbero dei vantaggi dall’aumento di risorse umane nella raccolta d’informazioni sui mercati emergenti. Le imprese vedrebbero una riduzione del costo dell’indebitamento e con tutta probabilità sarebbero disposte a pagare di più per avere più analisti e quindi un rating migliore. Riconducendo il discorso al problema delle asimmetrie informative tra emittenti e investitori, che le agenzie di rating sono deputate a superare, appare essenziale che le agenzie dedichino maggiori risorse ai rating nei paesi non OCSE. Ciò sarà tanto più vero nell’immediato futuro, allorché l’entrata in vigore della nuova normativa di Basilea legherà anche i requisiti minimi bancari e, dunque, l’offerta di credito, ai rating che le agenzie esprimono su imprese e Sovrani. 128 Bibliografia Acocella, N. (1997), Fondamenti di politica economica, NIS. Altman, E.I. e A. Saunders, (2001), “An Analysis and Critique of the BIS Proposal on Capital Adequacy and Ratings,” Journal of Banking & Finance, Vol. 25. Atkinson, R.T., (1967), Trends in Corporate Bond Quality, New York: NBER, distribuito da Columbia University Press. Banca d’Italia, (1998), Accordo Internazionale sulla valutazione del patrimonio e sui coefficienti patrimoniali minimi, Bollettino Economico, n°11, ottobre. BIS, Basle Committee on Banking Supervision, (1988), International Convergence of Capital Measurement and Capital Standards, www.bis.org. BIS, Basel Committee on Banking Supervision, (1999), A New Capital Adequacy Framework, www.bis.org BIS, (2000), Credit Ratings and Complementary Sources of Credit Quality Information, www.bis.org BIS, Basel Committee on Banking Supervision, (2001), A Proposal for a New Basel Capital Accord, www.bis.org Bongini, P., S. Claessens e G. Ferri, (2000), The political economy of distress in East Asian financial institutions, Journal of Financial Services Research. Bongini, P., L. Laeven e G. Majnoni, (2001), How good is the market at assessing bank fragility? A horse race between different indicators, www1.worldbank.org Calvo, G.A., R. Leiderman e C.M. Reinhart, (2000), Capital inflow and real exchange rate appreciation in Latin America: the role of external factors, in IMF staff Paper, marzo. 129 Cantor, R. e F. Packer, (1995), The Credit Rating Industry, Journal of Fixed Income. Cantor, R. e F. Packer, (1996), Determinants and Impact of Sovereign Credit Ratings, Federal reserve Bank of New York Quarterly Review, 37-51. Cantor, R. e F. Packer, (1997), Differences of Opinion and Selection Bias in the Credit Rating Industry, Journal of Banking and Finance No. 21, 1395-1417. Corsetti, G., (2001), Interpreting the Asian Financial Crisis: Open Issues in Theory and Policy, Asian Development Review, vol. 16, No 2. Corsetti, G., P. Pesenti e N. Rubini, (1999), What caused the Asian currency and financial crisis?, Japan and the world economy, Vol. 11 No.3, http://www.econ.yale.edu/~corsetti Dale, R.S. e S.H. Thomas, (1991), The Regulatory Use of Credit Ratings in International Financial Markets, Journal of International Securities Markets. Demirguç-Kunt, A. ed E. Detragiache, (1998), Banking Crises Around the World: Are There Any Common Threads, IMF Staff Papers 45, No. 1, marzo, 81-109. Ferri, G., L. Liu e G. Majnoni, (2001) The role of rating agency assessments in less developed countries: impact of the proposed Basel guidelines, Journal of Banking & Finance, Vol. 25, #1, gennaio. Ferri, G., L. Liu e J.E. Stiglitz, (1999), The Procyclical Role of Rating Agencies: Evidence from the East Asian Crisis, Economic Notes, vol. 28, No. 3, 335-55. Figlewski, S. e L.J. White, (1995), Orange County: Don't Blame Derivatives, Stern Business, pp. 30-35. Filosa, R., (2001), 130 Il futuro delle relazioni economiche internazionali, Saggi in onore di F. Caffè, 111 – 160, FrancoAngeli Fitch IBCA: Credit agency accepts criticisms over Asia, 14 gennaio 1998, www.stern.nyu.edu/globalmacro Frankel, J.A., e A.K. Rose, (1996), Exchange Rate Crises in Emerging Markets, Journal of International Economics 41, No. ¾, novembre, 351-68. Fridson, M., (1998), Why do Bond Rating Agencies Exist?, ( novembre / dicembre), Merrill Lynch Extra Credit, pag. 8. Furman, J. e J.E. Stiglitz, (1998), Economic crisis: evidence and insight from East Asia, Brookings papers on Economic Activity, No. 2, pp. 1-135 Hickman, W.B., The Volume of Corporate Bond Financing since 1900, (1953), Corporate Bond Quality and Investor Experience, (1958), e Statistical Measures of Corporate Bond Financing since 1900, (1960), pubblicati da Princeton University Press per NBER. Jeff, J. e M. Livingston, (1999), A Comparison of Bond Ratings from Moody’s, S&P and Fitch IBCA, Financial Markets, Institutions and Instruments, Vol. 8, No. 4. Kamin, S. e K. von Kleist, (1999), The Evolution and Determinants of Emerging Market Credit Spreads in the 1990s, International Finance Discussion. Paper 1999-653, Federal Reserve Board. Kaminsky, G.L. e C.M. Reinhart., (1999), The Twin Crises: The Causes of Banking and Balance-of-Payments Problems, American Economic Review 89 No. 3, giugno, 473-500. 131 Kaminsky, G.L. e S. Schmukler, (2001), Emerging markets instability: do sovereign ratings affect country risk and stock returns? Febbraio, www1.worldbank.org Krugman, P., (1979), A model of balance of payment crisis, Journal of Money Credit and Banking, agosto. Krugman, P., (1998), What happened to Asia, Mineo. Laeven, L., (1999), Risk and efficiency in East Asian banks, World Bank, Working Paper 2255, Washington, D.C. Moody’s Investment Service, (1994), Note to the SEC on the Disclosure of Security Ratings, Moody’s Investor Service. Moody’s Investment Service, (1991), Global Analysis, London: IFR Publishing. Moody’s Investment Service, (1995), Sovereign Supranationals Credit Opinions. Partnoy, F., (1999), The Siskel and Ebert of Financial Markets? Two Thumbs Down for the Credit Rating Agencies, Washington University Law Quarterly 77, n. 3. Pittaluga, G.B. , (1998), Economia monetaria, Milano, Hoepli. Reinhart, C.M., (2001), Do Sovereign Credit Ratings Anticipate Financial Crises? Evidence from Emerging Markets, mimeo, University of Maryland. 132 Reinhart, C.M., (2001), Sovereign Credit Ratings Before and After Financial Crises, presentato in occasione del convegno “ The Role of Credit Rating Agencies in the international Economy “, organizzato dalla Banca Mondiale, www.worldbank.org Rispoli, M., (1997), L’impresa industriale, il Mulino. Roy, C.S. e I. Walter, (2001), Rating Agencies: Is There an Agency Issue?, Stern School of Business, New York University, www1worldbank.org. Sylla, R., (2001), A Historical Primer on the Business of Credit Ratings, Department of Economics Stern School of Business, www1.worldbank.org Standard and Poor’s, (1994), Sovereign Rating Criteria, Emerging Markets, (ottobre) 124-27. Stiglitz, J.E., (1999), The East Asian crisis: lesion for today and tomorrow, Economic Notes, No 3. Truglia, V., (1998), Outlining the Major Factors of Country Risk, Moody’s Investor Service. White, L. J., (2001), The credit rating industry: an industrial organization analysis, www1.worldbank.org. Zazzara, C., (1999), Il ruolo del capitale nella banche e la sua regolamentazione: dall’accordo di Basilea del 1988 ad oggi, www.aifirm.com www.moodys.com http://www.standardandpoors.com/ratings/ 133 134