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ALBERTO DE VIVO
IL TEMPO:
ORDINE E DURATA NEI RACCONTI' DI ITALO CALVINO
Abano Terme: Piovan Editore, 1990. 234 pp.
Il volume in questione si presenta sotto la veste di uno studio delle
strutture del tempo in una serie di racconti scritti da Calvino fra il 1945
e il 1958. In realtà si tratta di un ennesimo contributo alla polemica fra
marxisti e formalisti sul realismo — ο meno — di Calvino, una
discussione che avrei ritenuta esaurita e forse anche un p o '
anacronistica, ma che invece qui viene ripresa in termini "aggiornati"
per approdare a dei risultati misti e non sempre, direi, pertinenti.
Il primo capitolo, intitolato "Il tempo nella cultura occidentale,"
getta le basi della discussione. L'autore si propone di studiare il
rapporto fra tempo narrato e tempo narrativo nei racconti di Calvino.
Per tempo narrato intende il tempo "storico" ο "oggettivo" coperto dalle
vicende di un racconto, ο dalla fabula. Per tempo narrativo intende il
tempo invece dell'intreccio ο "soggettivo": ossia il tempo richiesto per
la lettura del racconto e il modo in cui questo tempo viene distribuito
dall'autore rispetto al tempo storico. Due sono gli interrogativi che
vengono posti: "Quali sono le relazioni tra l'ordine naturale degli eventi
della storia e l'ordine della loro presentazione tramite il discorso?" e
"Quali sono le relazioni tra la durata della presentazione discorsiva e
quella degli eventi della storia?" (p. 53). Scopo dichiarato dell'indagine
è di determinare "dove corre l'interesse del narratore, cioè quali eventi
egli considera più importanti, da ogni punto di vista — ideologico, etico,
estetico — tramite la quantità di tempo-spazio dedicato a questo e a
quell'evento, nonché la sua tendenza verso la mimesi e la diegesi" (p.
53).
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Il desiderio di De Vivo è di accontentare tutti: di salvare Calvino
dalle accuse di estetismo arbitrario, recuperandone la dimensione
storico-sociale, ma in termini formali, dimostrando cioè che le scelte
stilistiche dell'autore sono sempre dettate dalla materia stessa. Secondo
questa prospettiva, "carattere storico" e "carattere inventivo" non si
contrappongono mai, ma si complementano nella direzione di un
"realismo critico" che collocherebbe Calvino in una posizione polemica
nei confronti del realismo tradizionale, ma sempre all'interno di un
impegno storico-sociale che riflette le sue lontane radici nel neorealismo degli anni Quaranta e una sostanziale fedeltà alle istanze eticomorali di quel periodo.
Senza entrare nel merito delle posizioni teoriche tratteggiate nel
primo capitolo a carattere metodologico, vorrei procedere alla
discussione di alcune delle analisi, per metterne in rilievo quelli che
sono, secondo me, i meriti e i difetti.
La prima analisi è la più estesa, perché in essa il critico ci conduce
per mano attraverso le due fasi analitiche del suo metodo. La prima si
svolge a livello fraseologico, per individuare le "varie tecniche usate per
la trasmissione della narrazione" (p. 97); nella seconda fase, si cerca di
vedere "se tra il significato delle varie tecniche usate [...] che [..]
equivale al significato del tempo narrativo, e il significato del tempo
narrato, esiste un rapporto di similarità ο di diversità" (p. 97). Secondo
l'ipotesi di De Vivo "tale rapporto non può essere contrastante perché
questi due aspetti della narrazione, astrattamente separati dalla critica,
nel miglior caso per ragioni analitiche, sono intrinsecamente connessi
nel segno letterario" (p. 97). Perciò, "il significato della struttura
decifrato con un metodo formale, e il significato del contenuto decifrato
con un metodo sociologico, sono simili perché riflettono quelli del
racconto: questo implica che il significato del tempo narrato e narrativo
sono simili e quindi che la struttura ha un valore sia storico che estetico,
così come il contenuto ha un valore sia storico che estetico" (p. 98).
Il primo racconto analizzato è "Andato al comando" del 1945, "un
racconto che ha per argomento principale la fucilazione di una spia da
parte di un partigiano" (p. 57). Il critico fa notare che ciò che interessa
Calvino principalmente qui è la situazione psicologica della spia; si dà
per scontato che Calvino condivide le posizioni del partigiano ma che
la sua attenzione si rivolge alla situazione umana del fascista.
Quest'ultimo deve affrontare la morte ma, siccome il partigiano vuole
fargli credere che sarà rilasciato, può tentare, nel frattempo, di negare
a sé stesso l'ineluttabilità della sorte che lo attende.
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Il critico si trova a dover dimostrare che l'interesse di Calvino per
il fascista non è sintomatico di un "decadentismo" disimpegnato ma
semplicemente segno precoce del suo dissidio nei confronti del
trionfalismo partigiano marxisteggiante che però non intacca il suo
fondamentale impegno storico. A livello di analisi stilistica, ciò
corrisponde, secondo De Vivo, a dimostrare che il tempo usato è, per
lo più, quello che egli chiama "processuale" (registrazione di movimento
"cronologico") e non anacronico (tipo flashback) né acronico (tipo
commento, descrizione, ecc.). La prevalenza dello stile diretto (dialogo)
e la relativa non-intrusione del narratore sarebbero ulteriori prove della
"tendenza al reale [...] intesa [...] non come cronaca ma come simbolica
di uno sforzo collettivo" (p. 104).
Il problema con questo tipo di analisi, almeno per come lo vedo io,
è che cerca di eliminare delle ambiguità che sono trascurabili solo a
prezzo di perdere alcune sfumature importanti della rappresentazione.
Sarà vero che prevale il tempo processuale, ma è vero che, ove esso
non impera, ove invece l'autore adopera, per esempio, l'ordine acronico,
lo fa per descrizioni e commenti "quasi sempre di natura ironica"? Ora,
è importante per il critico sottolineare l'ironia, ossia il distacco, per non
fare entrare in conflitto le riflessioni personali del narratore con le
istanze mimetiche e le posizioni ideologiche sottese, secondo De Vivo,
da tali istanze. Siccome il critico concede che l'atteggiamento di
Calvino nei confronti del partigiano è un attegiamento di distacco, è
preoccupato di far vedere che il suo interesse per il fascista e per il suo
viaggio verso la morte sia altrettanto distaccato, e comunque sempre
mantenuto entro i margini ristretti di un appropriato disprezzo
ideologico.
Facciamone un esempio (e si tenga presente che lo spazio non
permette di farne altri, che però non mancano): "Si sentiva sicuro di sé,
il disarmato, enormemente sicuro. Era l'uomo più astuto del paese, era
difficile fargliela. Gli altri, segretario e mastri, non erano più tornati: lui
sarebbe tornato" (p. 79). De Vivo sostiene che nell'analisi del discorso
indiretto libero sia sempre possibile identificare la voce parlante. In
polemica con Seymour Chatman, distingue fra forma e contenuto nello
stile indiretto libero, attribuendo al narratore la forma, al personaggio
il contenuto. Questo gli permette di affermare che la distanza ironica
insita nelle parole "enormemente sicuro" sia segno di disprezzo da parte
del narratore; a me, invece, sembra che, per Calvino, l'umanità del
fascista sta proprio nella sua debolezza, nel suo vano tentativo di
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illudersi. Il discorso indiretto libero è proprio il luogo della massima
ambiguità e la commistione di voci è segno del rifiuto di Calvino di
oggettivare il personaggio. De Vivo nega completamente il patos che
deriva dall'uso del discorso indiretto libero, che è segno non di una
contraddizione ideologica, ma di un'ambiguità dell'artista in quanto tale,
attratto proprio dalla sfida di entrare nei panni di un fascista. Il limite
dell'analisi di De Vivo in questo caso sta nel fatto che non gli basta
dimostrare che prevalgono le istanze mimetiche e realistiche su quelle
più personali. Vuole per forza espungere ogni possibile segno di
"contraddizione," facendo rientrare il tutto in uno schema che non
tollera ambiguità, pur di risolvere una questione astratta, nella cui
"irrisolvibilità," secondo me, risiede proprio tutto l'interesse della cosa.
Un altro racconto che soffre alquanto dalla lettura a cui viene
sottoposto è "L'avventura di una bagnante" (1951). Più difficilmente
riconducibile ad una problematica "impegnata," descrive i vari stati
d'animo di una signora piccolo-borghese perbene che, durante un tuffo
in mare, perde per caso la parte inferiore del costume da bagno.
Trascorre sei ore in acqua prima di essere salvata da un pescatore e suo
figlio, che provvedono a portarle una gonna e poi la conducono a riva
nella loro barca. Il racconto segue le oscillazioni dei sentimenti della
signora, che arriva perfino a dubitare della propria moralità e che la
disperazione porta anche a contemplare momentaneamente la morte. Il
critico conclude che il tema del racconto è il contrasto fra ragione e
sentimento, e che la "vittoria della ragione sul sentimentalismo
irrazionale che si lega ad una tradizione illuministica," porta la signora
a superare la vergogna ed a salvarsi. Questa vittoria "dovrebbe essere
giudicata positivamente dalla sinistra italiana" nonostante "la presenza
della problematica interiore, psicologica, dell'io della protagonista
invece di quella storica, sociale, economica e politica" (p. 165). Senza
entrare nei dettagli dell'analisi temporale, vorrei citare un brano che fa
vedere fino a che punto il voler dimostrare a tutti i costi che
"l'attenzione dell'autore è dedicata ai problemi sociali del nostro tempo
e che quindi egli è uno scrittore impegnato" (p. 218) faccia cadere il
critico in affermazioni del tutto stonate, che storpiano completamente il
senso del racconto:
Il rapporto io-storia come minaccia mortale è invece al centro del
racconto "L'avventura di un bagnante" in cui la momentanea crisi
morale della protagonista, causata dalla perdita del bikini che le fa
credere di provare piacere per la propria nudità e di aver un'inconscia
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tendenza libidinosa da espiare con la morte, viene superata tramite la
memoria della propria innocenza che le dà la forza di salvarsi. La
coscienza storica dell'io interviene contro la presente crisi per
riaffermare la propria integrità. Il passato s'oppone al presente
riconfermando il proprio valore nel futuro e ci presenta un'immagine
positiva del tempo monotetico, ripetitivo e ciclico. Tale racconto serve
a ricordarci del valore costruttivo che il passato può avere in alcuni
casi e quindi che non è sempre necessario ο produttivo rifiutare i
valori del passato in nome di un miglior futuro. La forma temporale
del racconto rispecchia tale significato tramite l'uso del flashback in
funzione dialettica con il presente e con valore di flash-forward (p.
217).
Tema di questo racconto non è la lotta fra ragione e sentimento,
che semmai viene presentata qui in chiave satirica, quanto la sensualità
repressa di una signora piccolo-borghese che, in una parentesi del tutto
eccezionale, si trova a-tu-per-tu col proprio corpo e gusta momenti di
piacere, che reprimerà nuovamente appena le cose rientrano nell'ordine,
ma non senza un certo compiacimento per il pericolo corso. Satira della
"ragione" quindi, almeno della ragione piccolo-borghese, ed accento
sulla sua chiara funzione repressiva. Cito l'ultimo brano del racconto:
Alla signora Isotta, seduta in motobarca con quei due, in
quell'esagerato vestito verde e arancione, sarebbe pure piaciuto che
il viaggio continuasse ancora. Ma la barca puntava già la prua verso
la riva, e i bagnanti portavano via le sedie a sdraio, e l'uomo s'era
chinato sul motore voltandole le spalle: le spalle rosso mattone,
traversate dalle nocche della spina dorsale, su cui la pelle dura e
salata scorreva come mossa da un sospiro.
Un esempio invece di lettura un po' più vicina allo spirito del testo
è quella del racconto "L'avventura di un viaggiatore" (1957). Il racconto
descrive il viaggio in treno di un impiegato settentrionale per
raggiungere per qualche giorno la donna amata che abita a Roma.
Contento solo quando sta con Cinzia, durante il viaggio cerca — senza
successo — di "ritenere un senso di felicità e ottimismo trasformando ο
reprimendo l'inevitabile squallore delle cose che [lo] rende infelice e
nervoso" (p. 201): questo, secondo De Vivo, il significato del "tempo
narrato." I ripetuti tentativi del personaggio di chiudersi in un bozzolo
sicuro che gli permetterà di anticipare la sensazione di armonia e di
sicurezza che prova con Cinzia, si trovano a dover ogni volta far i conti
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con gli ostacoli posti dal "mare dell'oggettività": lo squallore dello
scompartimento, le interruzioni importune degli altri viaggiatori, i vestiti
che si sgualciscono, e così via. Il "tempo narrativo" conferma che "la
storia di Federico ha proprio la funzione di rivelare ai lettori
l'impossiblità di reprimere, alterare ο cambiare il processo degenerativo
[della Storia] nonostante l'ottimismo della volontà" (pp. 203-4). (Bella,
in particolare, l'immagine del gettone che Federico tiene gelosamente
racchiuso nel pugno per la telefonata a Cinzia quando arriva a Roma,
come simbolo di quell'isola di felicità che l'amore crea, anche se solo
di sfuggita, nel corso della vita. Egli lo custodisce con la stessa tenacia
ed insistenza con cui cerca invano di ripararsi dalle intrusioni della
realtà durante il tragitto ferroviario.)
Purtroppo, per far rientrare questo racconto in una linea evolutiva
macrostrutturale implicita nel suo discorso, il critico poi contrappone il
racconto al romanzo Il barone rampante, in base al fatto che le due
opere sono del 1957: "La strategia che invece sembra funzionare
positivamente ci è indicata dall'atteggiamento del protagonista del
Barone: prendere una distanza dal mondo e dalla Storia per
comprenderla e persino dirigerla" (p. 204). De Vivo cerca di
controbilanciare le istanze intimistiche di questo racconto creando
legami artificiosi col romanzo, che indicherebbe invece la strada
"giusta" per il confronto con la Storia. Di nuovo, il rapporto mi sembra
alquanto macchinoso, se non altro perché si tratta di due sfere distinte,
quella personale e quella pubblica (per non dire poi del fatto che la
stessa riuscita del gesto "pubblico" di Cosimo è messa in questione da
una serie di elementi che non è qui il caso di discutere). In ogni caso,
il rapporto di Cosimo con Viola è soggetto alla stessa degenerazione a
cui finirà per soggiacere il rapporto fra Cinzia e Federico, una volta che
gli argini così faticosamente costruiti e difesi da Federico avranno
ceduto ripetutamente all'inevitabile urto con la realtà. Cito l'ultimo
brano del racconto:
Alla stazione Termini, il primo a saltar giù dal vagone, fresco
come una rosa, era lui. In mano stringeva il gettone. Nelle nicchie tra
i pilastri e gli stand, i telefoni grigi non attendevano che lui. Infilò il
gettone, fece il numero, ascoltò col batticuore il trillo lontano, udì il
— Pronto [...] — di Cinzia emergere ancora odoroso di sonno e di
soffice tepore, e lui già nella tensione dei loro giorni insieme,
nell'affannosa guerra delle ore, e capiva che non sarebbe riuscito a
dirle nulla di quel che era stata per lui quella notte, che già sentiva
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svanire, come ogni perfetta notte d'amore, al dirompere crudele dei
giorni.
In conclusione, direi che l'analisi di De Vivo è molto accurata e
meritevole per molti aspetti, ma che sarebbe stala più convincente se si
fosse presentata come uno studio delle strutture del tempo, senza voler
necessariamente trarre delle conclusioni a volte forzate in nome di una
volontà di razionalità che è piuttosto nel soggetto che osserva (De Vivo)
che nell'oggetto osservato (i racconti di Calvino). Che l'opera di
Calvino sia radicata in un saldo convincimento della funzione sociale —
in senso lato — della letteratura è indubbio. Che i suoi interessi di
scrittore si rivolgano anche — e forse soprattutto — a questioni non
necessariamente passibili di chiare soluzioni sociali è altrettanto ovvio.
Che questo costituisca un problema lo è meno. I metodi sono tutti d'un
pezzo, gli scrittori no. Calvino sarà stato un illuminista, ma un
illuminista del '900, molto cosciente dei limiti — e dei vizi — della
ragione, e anche scettico sul valore dell'"impegno" in letteratura. Il
voler a tutti i costi schierarlo fra i "razionalisti" significa togliere alla
sua opera proprio quello spessore e quella complessità che ne fanno uno
dei grandi scrittori del secolo.
LUCIENNE KROHA
McGill University,
Montreal, Quebec
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