Relazione Antonio Marchesi_Presidente
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Relazione Antonio Marchesi_Presidente
RAPPORTO ANNUALE 2013 – RELAZIONE DI ANTONIO MARCHESI, PRESIDENTE DI AMNESTY INTERNATIONAL ITALIA 1. Anche quest’anno, il capitolo dedicato all’Italia all’interno del Rapporto annuale è la testimonianza di una progressiva erosione dei diritti umani nel nostro paese, di ritardi e vuoti legislativi tuttora non colmati, di violazioni costanti o in aumento. Una situazione con molte ombre, tra le quali spiccano la discriminazione nell’accesso ai diritti fondamentali di moltissimi italiani e stranieri presenti nel paese, come i rom segregati nei campi ed esclusi da un alloggio adeguato, e i lavoratori migranti sfruttati dai loro datori di lavoro, l’allarmante livello raggiunto dalla violenza omicida contro le donne, la discriminazione di cui soffrono quotidianamente le persone LGBTI, gli ostacoli che incontra chi chiede verità e giustizia per coloro che sono morti - o che sono stati sottoposti a torture o maltrattamenti - mentre si trovavano nelle mani di organi dello Stato, la stigmatizzazione pubblica sempre più accesa di chi è "diverso" per colore della pelle o origine etnica (si tratti di un calciatore famoso, di un neoministro o di una famiglia rom). Allo stesso tempo, le pagine del capitolo sull'Italia del Rapporto annuale sono la testimonianza dell'impegno tenace di attivisti, organizzazioni, comitati, familiari di vittime di violazioni dei diritti umani, così come di alcuni risultati significativi ottenuti sul piano giudiziario. Sono questi, i in Italia come altrove, i principali fattori all’origine degli sviluppi positivi di cui Amnesty International dà conto nel 2012. 2. Passando alle questioni specifiche, la discriminazione dei rom non si è fermata sotto il governo Monti, che ha presentato ricorso contro la sentenza del Consiglio di stato che nel dicembre 2011 aveva dichiarato illegittima la cosiddetta “emergenza Nomadi” del 2008, madre dei vari “piani” che a livello locale - a Roma, Milano e altrove - hanno dato luogo a centinaia di sgomberi forzati e a violazioni multiple dei diritti umani dei rom, a cominciare dal diritto all’alloggio. Presunte esigenze securitarie hanno consentito di sottoporre a videosorveglianza e a controlli e limitazioni lesive dei diritti dei residenti migliaia di rom, segregati in campi monoetnici. La cosiddetta emergenza nomadi ha consentito anche la costruzione di nuovi campi segregati. Ci ha pensato la Corte di cassazione, poche settimane fa, a confermare l’illegittimità dell’ “emergenza Nomadi” e così a dichiarare chiusa 1 la vicenda – almeno dal punto di vista giudiziario. Nell’attesa che anche le prassi e il linguaggio politico si adeguino al principio di non discriminazione, le violazioni dei diritti dei rom sono continuate per tutto il 2012, con sgomberi forzati, segregazione in campi monoetnici ed ostacoli discriminatori nell’accesso ad un alloggio adeguato. Basti ricordare l’apertura nel Giugno 2012 del nuovo campo La Barbuta, accanto alla pista di atterraggio dell’aeroporto di Ciampino, che ha determinato la crescente segregazione delle persone che vi sono state condotte ad abitare, tutte di etnia rom. Ciò è avvenuto nonostante gli impegni presi dal governo con la Commissione europea nella Strategia nazionale per l’inclusione dei rom nel Febbraio dell’anno passato. 3 In parecchi casi di morti in custodia di polizia si sono registrate lacune nelle indagini che hanno portato in questi anni all’impunità di membri delle forze di polizia, un’impunita’ spesso scalfita soltanto a seguito di enormi sforzi delle famiglie delle vittime per ottenere giustizia. Tra i casi pregressi, voglio segnalare in modo particolare la vicenda di Giuseppe Uva: a cinque anni dalla sua morte, si è ancora lontani dall’accertamento della verità e nutriamo forti dubbi che quanto fatto finora sia conforme agli obblighi di efficacia, indipendenza, tempestività e completezza delle indagini che gli standard internazionali impongono agli Stati a fronte del decesso di una persona che si trova nelle mani delle forze di polizia. 4. Laddove la giustizia ha il coraggio di chiamare in causa altre istituzioni dello Stato, il suo cammino va spesso incontro a ostacoli e difficoltà. Talvolta si ottengono risultati importanti, come le due sentenze della Corte di cassazione che, rispettivamente a luglio e a settembre 2012, hanno confermato le condanne per le violenze della scuola Diaz a Genova nel 2001 e per il rapimento di Abu Omar a Milano nel 2003. Tuttavia l’azione giudiziaria da sola non basta a sconfiggere l’impunità, in un sistema che è privo di strumenti normativi, come il reato specifico di tortura, di organi di controllo indipendenti sui luoghi di detenzione, e della volontà delle istituzioni di schierarsi senza fraintendimenti dalla parte dei diritti umani, anche quando sul banco degli imputati vi siano appartenenti all'apparato dello Stato. Non possiamo negare che, dopo le condanne ottenute attraverso il lavoro investigativo di pubblici ministeri e giudici italiani per il rapimento di Abu Omar, abbiamo appreso con disappunto della grazia concessa dal Presidente Napolitano a Joseph Romano, ufficiale dell’aviazione statunitense e capo della sicurezza della base di Aviano all’epoca del rapimento di Abu Omar, la cui condanna era stata resa definitiva dalla Cassazione in Settembre 2012. La grazia a Romano offende gli sforzi compiuti per decenni da governi, attivisti, avvocati, organizzazioni non governative e vittime per assicurare che vi sia un sistema di giustizia in caso di violazioni dei diritti umani. Le violenze perpetrate dalle forze di polizia al G8 di Genova del 2001 restano un altro vergognoso capitolo di impunità per gravissime violazioni dei diritti umani. Centinaia di agenti che si macchiarono di violenze non saranno probabilmente mai identificati ne’ perseguiti, e le istituzioni non hanno ancora fatto i conti con le enormi responsabilità 2 politiche e sistemiche che portarono al disastro di quel G8. Le vittime attendono ancora le scuse delle istituzioni, nonostante la verità storica sia ormai accertata. C’è anche dell'altro nel capitolo del Rapporto annuale 2013 sull’Italia. Vi invito a leggerlo tutto con attenzione. 5. La situazione dei diritti umani nel nostro paese ci ha spinto, all’inizio di quest'anno, a lanciare un vero e proprio “pacchetto di riforme”, una Agenda in 10 punti per i diritti umani in Italia, sottoponendola all'attenzione dei leader delle coalizioni in corsa per le elezioni politiche e a tutti i candidati al Parlamento. 6. Il primo punto dell'Agenda chiede di "garantire la trasparenza delle forze di polizia" e di "introdurre il reato di tortura". Il raggiungimento di quest'ultimo obiettivo sembrava in dirittura d'arrivo nella scorsa legislatura ma è stato, per l'ennesima volta, del tutto incomprensibilmente e ingiustificatamente, impedito all'ultimo momento. L'idea della rimozione giuridica della tortura, e cioè che si possa eliminare il problema della tortura semplicemente non contemplandola nel codice, è evidentemente assurda. La Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, che l'Italia ha ratificato quasi 25 anni fa, impone tutta una serie di obblighi che presuppongono, come minimo, l'esistenza del reato. Aggiungo, per sgomberare il campo da obiezioni pretestuose, che le forze di polizia in uno Stato di diritto sono le prime ad avere un interesse a punire i responsabili di atti contrari alla dignità umana, che minano la credibilità e l'autorevolezza del corpo. 7. A proposito del secondo punto dell'Agenda - "fermare il femminicidio e la violenza contro le donne" - abbiamo accolto con soddisfazione l'annuncio della possibile imminente ratifica italiana della Convenzione di Istanbul. Sarebbe davvero un bel risultato. Mi limito ad aggiungere che le Convenzioni internazionali devono essere attuate nella legislazione e nella prassi degli stati. L'attuazione, avvenuta nel 2012 con dieci anni di ritardo, dello Statuto della Corte penale internazionale, è anch'essa una buona notizia, di cui il Rapporto annuale dà conto, ma è allo stesso tempo una vicenda che esemplifica la tendenza italiana a ritenere che la sola ratifica di un trattato sui diritti umani basti, che risolva i problemi, mettendoci al riparo da qualunque critica. 8. Non è così, e voglio ricordare, a proposito di ritardi italiani, la mancata creazione di una istituzione nazionale indipendente per i diritti umani, conforme ai principi di Parigi approvati dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite: anche in questo caso una proposta in fase di discussione avanzata è stata lasciata cadere alla fine della scorsa legislatura. E ricordo la necessità di provvedere con urgenza all'attuazione dell'OPCAT, il protocollo addizionale alla Convenzione contro la tortura, che l'Italia ha ratificato, il quale prevede la creazione di un sistema di vigilanza permanente sulla condizione dei luoghi di detenzione finalizzato a prevenire le torture e i trattamenti inumani e degradanti - sistema che tuttora manca e di cui vi e’ estremo bisogno nel paese, come ricordiamo nel Rapporto annuale citando le condizioni disumane e degradanti che 3 caratterizzano molte prigioni e centri di identificazione ed espulsione, in cui la dignità umana viene quotidianamente violata. 9. Anche il terzo punto dell'Agenda - "proteggere i rifugiati, fermare lo sfruttamento e la criminalizzazione dei migranti e sospendere gli accordi con la Libia sul controllo dell’immigrazione" - tema che richiama, in chiave italiana, uno dei focus generali del Rapporto annuale 2013, comprende in sé un obiettivo di riforma. Mi riferisco alla cancellazione dalle nostre leggi di quel reato di "ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato" che, oltre a essere risultato, secondo una commissione tecnica voluta dall'ex ministro della giustizia Severino, del tutto inefficace, è profondamente iniquo e in contrasto con gli standard internazionali in tema di privazione della libertà personale dei migranti irregolari. 10. Pure il quinto punto dell'Agenda - combattere l’omofobia e la transfobia e garantire tutti i diritti umani alle persone Lgbti (lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuate) - si traduce tra l'altro in una richiesta di riforma che andiamo avanzando da tempo: l'aggiunta del movente di omofobia tra le aggravanti contemplate nella cd legge Mancino per porre fine al trattamento discriminatorio che le vittime di crimini motivati da omofobia subiscono. 11. Non posso soffermarmi sui rimanenti punti della nostra "Agenda per i diritti umani in Italia". Essi riguardano temi che sono stati già toccati, in un modo o nell'altro, negli interventi di Carlotta Sami o mio. Mi limito a citarli: - assicurare condizioni dignitose e rispettose dei diritti umani nelle carceri; - imporre alle multinazionali italiane il rispetto dei diritti umani (di recente siamo diventati azionisti critici dell'ENI e in tale veste siamo intervenuti nell'Assemblea, sul tema delle violazioni dei diritti umani nel Delta del Niger); - lottare contro la pena di morte nel mondo e promuovere i diritti umani nei rapporti con gli altri stati - garantire il controllo sul commercio delle armi favorendo l’entrata in vigore, ratifica ed attuazione del trattato internazionale adottato dalla’Assemblea Generale delle NU un mese fa, col voto favorevole dell’Italia. 12. Noi pensiamo che la storia delle violazioni dei diritti umani in questo inizio di secolo sarebbe stata diversa se queste nostre raccomandazioni - già molte volte sottoposte alle istituzioni in passato - fossero state adottate per tempo. Se ad esempio fossero state seguite politiche rispettose dei diritti umani nella gestione dell’immigrazione, non sarebbero stati firmati e attuati accordi bilaterali come quello con la Libia, compreso l’ultimo, firmato nel 2012 dalla ministra Cancellieri con le nuove autorità di Tripoli, accordi che mettono a repentaglio la vita e l’integrità di 4 tante persone. Se l’Italia non avesse maturato un ritardo di un quarto di secolo nell’introduzione del reato di tortura nel codice penale, fatti estremamente gravi sarebbero stati puniti in modo più adeguato e forse altri non sarebbero avvenuti. Se vi fossero state leggi idonee a contrastare tutti i crimini dell’odio, forse l’omofobia sarebbe in ritirata. 13. Prima delle elezioni abbiamo sottoposto la nostra Agenda ai leader che si proponevano alla guida del governo e a tutti i candidati al parlamento. I leader di quattro formazioni politiche che compongono il governo (Berlusconi, Bersani, Monti e Pannella) hanno aderito all’Agenda, così come 114 attuali deputati e senatori, tra cui la presidente della Camera Laura Boldrini e la ministra delle Pari Opportunità Josefa Idem, oltre ad esponenti politici di diversi schieramenti come Stefania Prestigiacomo, Nichi Vendola, Ivan Scalfarotto, Mario Marazziti e Andrea Olivero. E’ stato un risultato importante, ma ora è arrivato il momento di mantenere le promesse e ci aspettiamo che coloro che hanno firmato i punti della nostra agenda tengano fede agli impegni precisi presi con Amnesty e con i numerosi cittadini che si sono informati, prima di recarsi a votare, sulle loro posizioni in materia di diritti umani. 14. Soprattutto a loro, ma più in generale alle istituzioni del nostro paese, Amnesty International dice che è più che mai giunto il momento di fare riforme serie nel campo dei diritti umani. Non ci sono alibi. Non regge l’alibi della crisi, - ammesso che considerazioni economiche possano valere a fronte della necessità di proteggere valori fondamentali.. Anche le violazioni dei diritti umani costano, e spesso di piu’ della loro tutela. Né rappresenta un'obiezione valida, a nostro avviso, la presunta limitazione dell'agenda del governo. Il Parlamento è stato eletto e il Governo è in carica: entrambi sono tenuti a svolgere le rispettive funzioni nell'interesse generale e a garantire l'attuazione delle convenzioni internazionali che il nostro paese si è impegnato a rispettare. Aggiungo che non richiede un grande impegno né sono necessari tempi lunghi per eliminare il reato di immigrazione irregolare, ampliare la legge Mancino al movente di omofobia, introdurre il reato di tortura e proibire gli sgomberi forzati. Sono passi relativamente semplici se esiste la volontà di compierli. 15. Nel rivolgerci al Presidente del Consiglio Enrico Letta abbiamo già avuto modo di apprezzare i riferimenti, nelle sue dichiarazioni programmatiche in occasione della richiesta di fiducia alle Camere, ai diritti delle donne, alla coesione con le comunità di origine straniera e alle condizioni delle carceri. Su quest’ultimo tema si era espresso, nel suo discorso di insediamento, anche il Presidente del Senato Piero Grasso, mentre, più di recente, la Presidente della Camera Boldrini e lo stesso Presidente della Repubblica hanno ricordato la necessità stringente del contrasto dell’omofobia. In parlamento sono stati già presentati diversi disegni di legge su temi di nostro interesse, tra cui l’introduzione del reato di tortura. 5 Ma né le dichiarazioni, né la presentazione di proposte di legge sono in grado, da sole, di modificare la vita delle persone, se non interviene una concreta volontà politica di cambiamento a darvi seguito. La speranza è quindi che Parlamento e Governo trovino il coraggio e abbiano la visione necessari a rendere l'Italia un paese rispettoso dei diritti umani. 6