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 IL DON GIOVANNI
VIVERE È UN ABUSO, MAI UN DIRITTO
regia e scene Filippo Timi
di e con Filippo Timi
e con Umberto Petranca, Alexandre Styker, Marina Rocco, Elena Lietti, Lucia Mascino,
Roberto Laureri, Matteo De Blasio, Fulvio Accogli
luci Gigi Saccomandi
costumi Fabio Zambernardi in collaborazione con LAWERNCE STEELE
regista assistente Fabio Cherstich
direttore dell’allestimento Emanuele Salamanca
spettacolo nato dal laboratorio in collaborazione con CRT Centro di Ricerca per il
Teatro
TEATRO FRANCO PARENTI/TEATRO STABILE DELL’UMBRIA
Attore, regista, scrittore, Filippo Timi dopo una lunga ed eterogenea esperienza
teatrale, arriva al grande schermo e alla televisione con cui ottiene grande popolarità
e riconoscimenti. Ma è sempre il teatro il perno della sua carriera artistica, che ora lo
vede
regista
e
interprete
e
autore
del
‘suo’
Don
Giovanni.
Né secondo Molière né secondo Mozart quindi, semplicemente secondo Filippo Timi: il
mito di Don Giovanni riscritto dal più irriverente dei giovani artisti italiani. Rivisitando
il mito del Burlador de Sevilla sulla falsariga del libretto di Da Ponte, Timi si spinge
oltre il divieto del filosofo-matematico Friedrich von Hardenberg, in arte Novalis, che
sul finire del Settecento dichiarava che “l’infinito e la donna sono incomprensibili
perché nessuno dei due può venire elevato al quadrato”. Con spezzature, metafore,
allusioni e ironie il gioco di Timi mira a fare esplodere una tradizione che va dalla
leggenda di Orfeo sbranato dalle femmine invasate, fino alla sprezzante definizione
che il darwiniano Richard Dawkins ha dato di Dio (un “meme” particolarmente
invasivo: quasi un virus della psiche), passando per l’arte della fuga, non solo scenica
ma anche musicale (pensiamo a Bach), per la dissoluzione delle istituzioni, per la
forza anarchica della passione che alla fine distrugge se stessa. L’esito paradossale è
una sorta di religione della mente, “con un Dio così umano da far tenerezza… che non
cerca il bene, che non combatte il male e finalmente si arrende alla bellezza della
vita”. È la religione impossibile sognata da Nietzsche, che si realizza nella magia della
scena.
Emilia Romagna Teatro Fondazione – Teatro Stabile Pubblico Regionale, Sede Legale: Teatro Storchi, Largo Garibaldi 15, 41124 Modena. Sede Organizzativa: Via Ganaceto, 129 ‐ 41121, Modena Centralino: Tel. 059 2136011, Biglietteria:. 059 2136021, e‐mail: [email protected] C.F. e P.IVA 01989060361 Note di regia
Leporello: Signore credete in Dio?
Don Giovanni: Pè perepè pè pè.
Leporello: credete al diavolo allora?
Don Giovanni: Po po ro pop o po.
Leporello: Crederete almeno all’aldilà, spero.
Don Giovanni. Chichirichì!
Leporello: In cosa credete signore?
Don Giovanni: Credo che l’uomo sia vuoto e il mondo un pregiudizio, una fra le tante
misere
scelte, credo che Dio sia il più stupendo e potente virus, ma si sa, ogni virus ha il suo
antidoto.
Leporello: E quale sarebbe quest’antidoto?
Don Giovanni: un virus più potente capace di debellarlo.
Leporello: E voi conoscete questo virus prodigioso?
Don Giovanni: Io sono quel virus.
Don Giovanni conosce la sua fine, è solo questione di rincorsa. Don Giovanni è
l’umanità volubile e insaziabile, l’umanità finalmente priva di quelle morali colpevoli
dell’assurdo destino verso cui stiamo precipitando. E la colpa non è certo della storia,
o di tutti quei Cristi che ci hanno professato amore, ma la nostra: la fame di potere
insita nell’uomo, nessuno escluso, la fame di resistere, di mistificare, di ingannarsi
piuttosto che sopravvivere. Meglio morire da idioti ma tutti insieme che svegliarsi e di
colpo comprendere l’errore? Evidentemente sì. Ma stavolta l’evidenza lascerà una
firma sanguinaria, una firma così profonda da spazzare via l’intera umanità. Don
Giovanni è un’intera Storia dell’umanità che muore. Finalmente, dopo la sua rincorsa,
dopo millenni di fame, eccolo pagare il conto. Non c’è scampo: se neppure un’umanità
sveglia e godereccia, fuori dalle regole e concentrata sul piacere come Don Giovanni,
non può esimersi dal suo più importante appuntamento con la morte, allora, neppure
noi possiamo più far finta di nulla.
Solo schiavi delle proprie miserie e desideri più neri ci si riappacifica con la propria
infanzia, e si è pronti a vivere la morte. La vita è ingiusta, ecco che cos’è la vita, una
farsa che si trasforma in tragedia. Vivo è solo ciò che muore, e solo amando si rischia
davvero di toccare le vette gelide dell’estrema solitudine, e da lì sentire il canto delle
sirene. Solo tradendo si raggiunge l’amore assoluto. Un desiderio morto non è più un
desiderio. Don Giovanni non brucia mai veramente, desidera bruciare, promette
l’inferno, la sua arte è teatrale, recita così bene la promessa che è impossibile non
credergli o ancora meglio non desiderare credergli. Donna Elvira è il passato, è la
conquista difficile, la conquista di un tempo lento, l’amore vero, la prima donna,
l’amore che ritorna a chiedere il compenso di una promessa già fatta. Donna Anna è
l’amore ingannatore, violento, un errore semi-calcolato, è l’amore che libera dal
vecchio incubo e rende la donna libera di scendere verso un incubo ancora più
cosciente, è l’amore compulsivo, immediato, sbagliato per definizione. Zerlina è
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via la donna al marito, il desiderio di ritrovare quella purezza semplice di sposare la
figlia del farmacista.
Ognuno ha la propria storia, io la mia, tu la tua, voi la vostra e Don Giovanni ha la
sua. Non l’ha scelto lui di nascere Mito, gli è capitato, e lui non si sottrae dall’essere se
stesso. Ecco in cosa è grande. Non perché accetta la morte, deve per forza, come
tutti. È grande perché accetta a pieno le conseguenze, inevitabili, dell’essere
nient’altro che se stesso.
Filippo Timi
Filippo Timi – Biografia
È un attore, regista, scrittore, nato a Perugia nel 1974.
Si è formato al Centro per la Sperimentazione e la Ricerca Teatrale di Pontedera con
Dario Marconcini, al Teatro Valdoca di Cesena con Cesare Ronconi e con Pippo
Delbono ha fatto uno studio per il suo spettacolo La rabbia.
Con Bruno De Franceschi si dedica agli studi sulla voce, flautofonia e canto armonico;
lavora sul corpo e partecipa ai workshop di Teatrodanza con Julie Anne Stanzak, del
Tanztheater Wuppertal di Pina Bausch, con la compagnia di danza contemporanea
Sosta Palmizi e Raffaella Giordano.
Ha lavorato anche con Robert Wilson in G.A. Story e Davide Enia. Nel 1996 con
l’attore Silvano Voltolina e lo scenografo Giacomo Strada fonda Bobby Kent & Margot,
collettivo teatrale che sviluppa ricerche sul rapporto tra corpo e spazio ispirate alle
riflessioni di Pavel Florenskij.
Premio UBU 2004 come miglior attore di teatro under 30, è stato sulla scena Orfeo,
Danton, Perceval, Satana, e ha interpretato La vita bestia, al quale si ispira il suo
primo romanzo “Tutt’al più muoio” (2006), scritto con Edoardo Albinati, seguito da “E
lasciamole cadere queste stelle” (2007) e “Peggio che diventare famoso” (2008).
Le sue ultime apparizioni teatrali lo vedono nella triplice veste di attore, regista e
autore: nel 2009-2010 con Il popolo non ha il pane, diamogli le briosche, nel 20112012 con Favola, c’era una bambino e dico c’era perché ora non c’è più e, sempre nel
2012 con Amleto².
Al cinema è stato, tra gli altri, nei seguenti film: “In memoria di me” di Saverio
Costanzo, “I demoni di San Pietroburgo” di Giuliano Montaldo, “Come dio comanda”
di Gabriele Salvatores, “Vincere” di Marco Bellocchio, “La Doppia Ora” di Giuseppe
Capotondi, “Vallanzasca” di Michele Placido, “Ruggine” di Daniele Gaglianone.
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