La radura Eureka Springs, Arkansas L`uomo siede in una radura a
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La radura Eureka Springs, Arkansas L`uomo siede in una radura a
La radura Eureka Springs, Arkansas L'uomo siede in una radura a gambe incrociate. E' solo. Non è giornata da escursioni; è martedì e il cielo è coperto. Sopra di lui una nuvola si strappa e lascia cadere una macchia di luce. L'uomo fruga nella tasca della camicia, estrae un disegno piegato in quattro. Guarda il futuro della radura. Fa qualche correzione a matita, socchiude gli occhi. Ripiega il foglio e lo rimette in tasca. Due uomini in fila indiana camminano nel bosco. Non parlano. Non si assomigliano. L'unica cosa che li tiene insieme è il lungo travetto di legno che reggono sulla spalla destra. La difficoltà non sta nel peso, ma nella lunghezza: a volte devono fermarsi per non rimanere incastrati tra i tronchi. Anche in quel momento non parlano; stanno fermi a considerare le traiettorie possibili. Poi uno dei due decide, e ricominciano a camminare. L'uomo seduto a gambe incrociate si alza. Il cielo si è richiuso, fa freddo. Il vento rinforza. Misura a passi la radura, in larghezza e poi in lunghezza. E' stretta e lunga come la navata di una chiesa. E' stato il suo primo pensiero, la prima volta che è arrivato fin qui. Sono passati sei mesi. L'insegnante in pensione – il suo cliente – gli aveva dato indicazioni per arrivare alla radura, ma si era presentato con un'ora di ritardo. I due uomini proseguono il loro cammino in fila indiana. Davanti a loro appare un gigante. Ha una salopette di jeans e un giaccone a quadri. Ha la barba lunga e mastica una gomma. I due si fermano. Sta esattamente di fronte a loro, blocca il passaggio. Ha un'ascia in mano, appoggiata a terra. Si guardano. Poi il gigante con la salopette di jeans dice: − Vi serve una mano? I due uomini uomini scuotono la testa e sistemano meglio il travetto. Il gigante si tira da parte e loro proseguono, tra gli alberi. L'uomo nella radura pensa che potrebbe anche piovere. Nel momento in cui lo pensa, le gocce cominciano a cadere. Sono rade e pesanti. Si ripara sotto gli alberi e guarda lo spazio vuoto che lo separa dalla fine della radura. A qualche metro c'è una roccia scura che esce dal terreno. Lucidata dalla pioggia, ha un colore degno del pavimento di una cattedrale. Il suo cliente non era distratto né ritardatario. Aveva voluto lasciarlo solo in quel luogo perchè lui, l'architetto, sentisse la voce del bosco. Era il bosco il vero cliente. I due uomini con il travetto in spalla continuano a camminare. Gli alberi sono ombrelli sulle loro teste. Sentono il rumore della pioggia, ma nemmeno una goccia li bagna. Vedono gli uccelli rifugiati sui rami bassi. Sentono frusciare il sottobosco. Tutti gli animali sono raccolti in una grande stanza di alberi, in attesa che la pioggia finisca. Li guardano passare: anche loro sono solo due goffi animali. L'insegnante in pensione era un uomo robusto con i capelli grigi. Aveva comprato quel terreno perchè il bosco lo incantava. Era ben deciso a costruirci la casa della sua vecchiaia, ma tutte le persone che arrivavano nella radura si fermavano a guardare il cielo, gli alberi, la collina. Era un luogo sacro, e i luoghi sacri sono di tutti. L'unica cosa che avrebbe potuto costruire lì era una cappella per i viandanti. L'essenziale era rispettare il bosco. Niente ruspe, niente camion. Niente ferite nel suo bosco. Non un albero avrebbe dovuto essere abbattuto per realizzare l'edificio, né per trasportare il materiale da costruzione. I due uomini in marcia arrivano a un ruscello. La pioggia è finita, le rocce sono lucide. C'è un guado fatto di pietre piatte. Devono coordinare i passi per non cadere. Se il ritmo è giusto è facile, proprio come attraversare un ponte. L'uomo nella radura pensa a quando il suo maestro l'ha portato a visitare la casa, quella di cui tutti parlavano. Il rumore dell'acqua, la cascata tutto intorno. Non capiva dove finisse il dentro e iniziasse il fuori. Anche le volpi si confondevano; ogni tanto i padroni di casa ne trovavano una accanto al camino. E' così che lui vede Dio: non sa bene se c'è o non c'è, ma se c'è non capisce dove inizia e dove finisce. Se c'è, la sua casa non può essere altro che una cappella di legno e vetro in un bosco. Ai due uomini che trasportano il travetto, l'architetto ha chiesto come prima cosa se sono mai stati in un luogo sacro. I due si sono guardati interdetti: sono carpentieri, mica monaci. La domanda doveva essere importante, perchè è stata ripetuta una seconda volta. Entrambi hanno fatto segno di sì. Dunque sapete come ci si comporta in un luogo sacro. Altro cenno della testa. Vedo che avete capito: il silenzio. Solo allora l'architetto ha aperto i disegni sul tavolo. L'uomo nella radura torna a guardare il cielo, il disegno, l'orologio. Gli piacerebbe credere ancora, ma pensa di non poter credere più. E' tardi. Scuote la testa. Non si può fare. Sembrava tutto così giusto. Il posto. La luce. La trasparenza. La sensazione che fosse parte di un pensiero più grande. Inizia a scarabocchiare il disegno, ma si accorge che non può più muovere una sola linea. Ogni elemento è legato all'edificio intero. Anche lui è legato all'edificio, così come lo ha disegnato. Adesso dovranno chiamare un altro architetto: lui, qui, riesce a concepire solo questo. Sente un rumore alle sue spalle. I due uomini con il travetto escono dal bosco. Appoggiano il legno a terra. Il camion è nel parcheggio a valle? Sì. Avete attraversato il bosco? Ci si riesce? Sì. Si può organizzare una squadra di trenta uomini, a coppie di due? Nessun problema. Il cielo lascia cadere un raggio di sole vicino al legno. L'uomo sorride. E' tutto materiale da costruzione. Va bene, domani apriamo il cantiere. In memoria di Fay Jones