Un ragazzo di nome Bernardo - Seminario Vescovile di Acireale
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Un ragazzo di nome Bernardo - Seminario Vescovile di Acireale
Capitolo I Un ragazzo di nome Bernardo Il sole cominciava a fare capolino da dietro l’orizzonte e qualche flebile raggio, filtrando attraverso le tende, illuminava debolmente una stanza disordinata, decorata con mobili in legno lavorato artigianalmente, e il suo inquilino profondamente addormentato. Dalle coperte usciva fuori solo metà volto dalla carnagione chiara e contornato da corti capelli castani e ondulati. Quando, inaspettata come un fulmine a ciel sereno, suonò la sveglia, Bernardo si alzò controvoglia dal letto; si diresse a occhi chiusi per staccarla, ma sbatté un ginocchio sulla sedia vicino il letto, rovesciando sul pavimento una pila di fogli di esercizi di Fisica. Bernardo cominciò a saltellare su un piede per il dolore, cercando di calpestare meno fogli possibili sul pavimento e ricacciando indietro una imprecazione. Dolorante staccò la sveglia. Per calmarsi si avvicinò alla finestra e la aprì a metà, respirando un po’ di fresca aria primaverile: era già Marzo inoltrato e il sole già si era staccato dalla linea dell’orizzonte. Casa sua non era molto distante dal mare e, nei momenti di silenzio, si poteva sentire il rumore delle onde del mare. Bernardo scese in cucina e mentre metteva sopra i fornelli la caffettiera e il pentolino del latte ripassava a mente con un po’ di preoccupazione le lezioni che avrebbe frequentato quel giorno. Nel frattempo si alzarono anche i suoi genitori: si sedettero insieme a tavola per una veloce colazione come erano soliti fare usualmente la mattina. Suo padre era un uomo di mezza età, dai duri tratti del viso e dalle mani callose. Esercitava la professione di falegname da due decenni nel laboratorio adiacente la loro abitazione. Sua madre faceva la sarta ed era una donna assai dolce; le veniva commissionato spesso qualche corredo di nascita o servizio da letto matrimoniale. «Tu sei fortunato Bernardo» venne di dirle al figlio quella mattina«Anche se troverai una moglie senza corredo sarà la tua mammina a ricamarti un bel servizio!» A Bernardo andò di traverso il latte e cominciò a tossire. 1 Si lavò e vestì in fretta, salutò i suoi e si diresse verso l’unica utilitaria della famiglia, un po’ scolorita dai lunghi viaggi fatti. Entrò un po’ infastidito nella vettura e pose il suo zainetto sul sedile del passeggero: quanti libri aveva docilmente portato sulle sue spalle quel vecchio ammasso di stoffa, ricucito più volte dalle abili mani della mamma. Mise in moto la macchina e via verso quelle fatidiche lezioni. Ad ogni chilometro che tagliava con la strada si sentiva sempre più strano, a tal punto di dirsi, guardandosi dallospecchietto e respirando profondamente: «Berni... ma cos'hai?» Non capiva più cosa gli stava succedendo. Cosa voleva dalla sua vita. Si sentiva pazzo. Alle volte gli sembrava di sentire vocine in testa. Era sconvolto. Il traffico della circonvallazione gli dava più fastidio del solito. Eccolo giunto in facoltà; ecco il posto sotto il pino che ogni tanto regala qualche ricordino. Ed eccola, bella, mora, con la sua chioma fluente mossa dalla sua andatura da top. Al suo passare qualcuno sbatteva contro il pino, ma lei era diretta verso Bernardo. «Ciao amo’, come stai? Ti vedo un po’ strano, sembra che hai visto un fantasma. È vero che sono pallida, ma no come un lenzuolo!» «Ciao tesoro- il suo tesoro si chiamava Tea -sto così perché stanotte è andata un pochino in bianco...» «Già è da tanto che trascorri notte insonni. Potrei sapere, per favore, cos’hai?» A questa domanda un forte rossore investì Bernardo e qualche gocciolina di sudore iniziò a solcare il suo volto. Era fortemente impacciato. Pensava di non essere pazzo. Non era solamente lui a sentirsi strano; anche gli altri, soprattutto la ragazza che gli voleva tanto bene, si accorgevano della sua stranezza. Si schiarì la voce e prese la parola: «Ma mia cara cosa dici, è solo un po’ di stress accumulato. Un bel periodo di riposo e passerà tutto.»Le rispose: «Berni, se lo dici tu…» Lo guardava con i classici occhi a cuoricino. «Io mi fido. Anzi, dimmi come posso esserti di maggior aiuto.»Lui guardandola con un sorriso, dopo essere tornato bianco latte, aggiunse: «Grazie!» e scappò subito via dandole un bacio sulla fronte e dicendole: «Passo stasera da te dopo gli allenamenti. Ciao gioia!»Le strizzò l’occhio e, correndo, imbeccò le scalinate della facoltà. Tea restò perplessa, senza parole, ma con tantissime domande. Quel giorno la lezione di Elettrotecnica fu più difficile del solito. Tra sbadigli del tanto sonno perso ed i pensieri che gli mandavano in blackout il cervello, il nostro Berni 2 aveva la concentrazione rapida come un bradipo in digestione. Il prof intanto continuava a spiegare scrivendo alla lavagna leggi di Kirchhoff e compagnia bella, ma i circuiti di Bernardo quel giorno erano proprio off. Tanti pensieri affollavano la sua mente. Gli occhi di Tea; gli occhi dei ragazzini che il sabato l’attendevano in oratorio; il suo futuro, che allo stato attuale sembrava lineare come un corridoio del labirinto di Creta. Bernardo non ce la faceva più. Uscì dall’aula e corse verso i bagni, aprì il rubinetto dell’acqua fredda e si lavò la faccia: calde lacrime intiepidivano la fredda acqua. Raddrizzandosi, con la faccia tra le mani, riflettendosi allo specchio si domandava:Berni, cos’hai? Non puoi andare avanti così… Ma ti rendi conto? Basta! Si asciugò il volto e con molta nonchalance ritornò nell’aula ormai deserta. Tutti erano andati via visto che la lezione era finita da un pezzo. Bernardo guardò l’orologio e vide che già erano le 13.15, ma stranamente quel giorno non sentiva fame. In testa gli balenò quest’idea: Forse sono io il fantasma? Agitato si mise in macchina, spruzzò l’acqua dei tergicristalli per togliere i ricordini degli uccellini e partì. Giunto tra le mura domestiche diede il consueto bacino alla mamma e via, subito in stanza, buttando lo zaino sul letto. Si lavò le mani, sciacquò la faccia con acqua fredda, che quella volta rimase tale, ed infilò la tuta. Scese in cucina e trangugiò il piatto di spaghetti con la salsa che lui adorava, poi una fettina di pollo alla piastra ed infine una mela rossa. Nel frattempo seguiva le notizie del Tg: le solite notizie di crisi politica e finanziaria mista a spiragli di speranza; ogni tanto il giornalista incredulo dava delle belle notizie. Intanto l’orologio segnava le 15 in punto, tempo di dare un’occhiata a Facebook, salutare qualche amico in chat e, chissà, fissare un’uscita. Intanto l’orologio non arrestava il suo avanzare e, se non staccava, rischiava di fare tardi agli allenamenti - come di consueto. A causa di ciò in squadra era chiamato da tutti: Downloading -. Scappò di corsa, prese il borsone, saltò a volo in aiuto e via verso il campo sportivo. Arrivò che già la squadra aveva iniziato la corsetta, Bernardo tirò via i pantaloni - già sotto aveva i pantaloncini vestì il k-way e si aggregò agli altri. Il mister con una battuta gli disse: «Spero tu abbia finito il caricamento!»Scoppiò un boato, tutti si misero a ridere. Anche Bernardo rise ed iniziò l’allenamento. 3 Capitolo II Allenamenti e turbamenti Lo Sporting Trestello militava nel torneo di prima categoria e quell’anno lottava per la promozione. I giocatori erano già ordinati su doppia fila e da tempo avevano iniziato la corsetta blanda tipica dei riscaldamenti. Appena concluso il terzo giro di campo -valeva a dire nemmeno 1 km!- erano già tutti imploranti di ossigeno. La corsetta era diventata una zavorrata e le gambe pesavano quintali, mentre ad allietare l’atmosfera provvedeva il mister con le sue grida dal centro campo: «Sembra che state correndo sul catrame bollente, vi state appiccicando al suolo!» Non aveva tutti i torti: quei 44 scarpini coi tacchetti sembravano 44 lame d’aratro e i giocatori erano giunti al punto che non tiravano più su i piedi. Ma lui dal canto suo se ne infischiava e continuava a fischiare scandendo il passo. Fischiava e sbottava dicendo: «Di questo passo non andremo da nessuna parte -in tutti i sensi-, manco al triangolare di beneficienza per la Caritas!» E mentre gli altri cadevano come pere secche lungo il bordo campo - chi si accasciava a destra e chi crepava a sinistra - Bernardo correva su un altro pianeta. Anche se affaticato continuava a correre - si fa per dire - con la testa a Tea e l’incontro del sabato in oratorio. Quanti pensieri affollavano la sua testolina: Non vedo l’ora che il mister ci faccia finire questa seduta, ho bisogno di andare da Tea. Questa sera dobbiamo assolutamente parlare. Basta! Mamma, però, che belli i suoi occhi, le sue labbra, la sua fronte, i suoi capelli, la sua voce, il suo affetto per me. Caspita, devo pensare all’incontro di sabato per i miei piccoli. Dopodomani è vicino e non so di cosa parlare. Bernardo pensa! Pensa! Di cosa devi parlare? E poi la devo pagare oppure no questa seconda rata degli studi? Mi conviene? Cosa dirò ai miei? Non so nemmeno io che cerco, cosa voglio. Quant’è complicata questa vita. E mentre diceva tra sé tutti questi discorsi non si era accorto che era rimasto a 4 correre da solo. Il mister gli si piantò dinanzi come toro infuriato, aveva anche il fumo che gli usciva dal naso -fumava come un turco-, e gli intimò: «Amico friz! Così non va. Ti devi svegliare, se no lo farò io a calci nel didietro. Ma cos’hai, mi sembri più “bloccato” del solito. Due sono le cose: o cerchi di sboccarti o ti sbocco io, lasciandoti a marcire tra la panchina e la tribuna. Hai ca-pito!! Qui non sforniamo campioni di corsa. Anche se a mio parere sei bloccato come una ruota nel fango. Dunque, non ho sentito la tua risposta.» E lui: «Ok mister, farò del mio meglio.» «Ci spero per te. Adesso porta i tuoi piedi pieni di calli lontani dalla mia vista! Fila a fare gli addominali insieme agli altri!». Così, mentre gli altri erano piagati dai dolori all’addome e dalle risate fatte per la lavata di testa a cui avevano appena assistito, giunse anche Bernardocon aria più confusa che persuasa. Da qualche giorno il suo volto era un punto interrogativo. Stava diventando una nuova figura mitologica: dopo il minotauro si poteva narrare di Bernardo l’interrotauro. Finito lo strazio degli addominali, dei gradoni e degli scatti, finalmente giunse il tempo della partitella. Le squadre sfidanti erano sempre le stesse,Casacche contropanchina-tribuna teame Bernardo, dopo quel rimprovero, era tra quest’ultimi. Il mister fischiò e Bernardo dalla zona mediana iniziò a rincorrere il pallone. La partita trascorreva tra i fraseggi dei titolari che sembravano i Galacticos e le riserve che sembravano un pugile all’angolo implorante pietà. Gli attaccanti tagliavano la difesa come un coltello caldo nel burro. Il portiere delle riserve era soprannominato scolapasta -nick evidente- poiché aveva più buchi della rete della porta. La difesa annaspava per alzarsi e far finire il bomber in fuorigioco, ma più che giocatori di calcio sembravano campioni di mosca cieca. Il mister aveva le mani tra i capelli -aveva più barba che capelli-. A tal proposito circolava una leggenda tra gli spogliatoi: si diceva che almeno uno dei suoi capelli era solito lasciarsi cadere nel vuoto non appena il suo proprietario apprendeva che uno dei suoi titolari non era al 100%; il mister aveva davvero pochi giocatori su cui contare. A conseguenza di ciò circolava una seconda voce: si diceva che egli andava a messa e accendeva quotidianamente una candela a S. Antonio di Padova proprio per scongiurare qualsiasi infortunio dei suoi titolari. 5 La partitella andava avanti e ad eccezione di Spiderman -questo il soprannome del portiere titolare- tutti erano riversati nella metà campo delle riserve. Quando il cronometro segnava il 44° minuto,i titolari commisero inaspettatamente il grosso errore di perdere la palla e così permisero alle riserve di ripartire in contropiede a mo’ di arrembaggio. Sembrava di assistere all’avanzata dell’armata branca-leone; non furono capaci di arrivare in gol e vennero recuperati. Il difensore dei titolari, per fermare Blindo centauro- soprannome dell’attaccante delle riserve -, non poté far altro che atterrarlo con una scivolata tesa alla Philippe Mexes al limite dell’area. Il tonfo fu così forte che rimbombò in tutto l’impianto sportivo. Ci fu anche chi si affacciò dai balconi dei palazzi limitrofi per capire cosa avesse provocato un simile boato!Blindo centauro dolorante continuava a rotolarsi a terra dal dolore;sembrava un arancino ben cotto. Il mister si avvicinò e fischiò il fallo. Gli animi si accesero un pochino dando vita ad una piccola scaramuccia, così c’era chi da una parte reclamava il rigore, chi chiedeva la moviola in campo e chi urlava «Siete sempre i soliti Juventini!», espressione che da qualche anno è entrata nel linguaggio comune dei campi di calcio per indicare l’accezione di ladri o fortunati, anche se la prima è la più gettonata. Ad arrestare le proteste della controparte -che contestavano una cecità da pipistrelli agli avversari- provvide il mister decretando calcio di punizione per le riserve. Il suo giudizio era inappellabile. Bernardo prese il pallone e lo sistemò mentre Spiderman finiva di aggiustare la barriera collocando solo 5 compagni. Tutto era pronto. Nel silenzio degli astanti irruppe il fischio del mister. Bernardo sgomberò la mente dai pensieri, restando solo lui con la palla, la barriera, il portiere e la porta. Partì, colpì la palla di interno collo e disegnò una traiettoria a giro perfetta. Un suo compagno esclamò:«Wow! Ma chi è Giotto?»Tutti sbigottiti seguivano la traiettoria con lo sguardo. C’era chi spingeva la palla in rete con gli occhi. Il tiro era perfetto ed unico come una cometa, scavalcò la barriera e si insaccò sotto l’incrocio dei pali all’opposto del portiere. Spiderman si tuffò, ma non poté far nulla. Un boato di riscatto esplose dalle bocche delle riserve. Bernardo rimase incredulo e alla mente gli apparve il sorriso di Tea. Appena realizzò che aveva segnato iniziò a correre esultando come se in tribuna ci fosse Tea, i suoi ragazzi e tutta la tifoseria. Quel gol nei cuori delle riserve ne valeva 10 dei titolari. Il difensore titolare di panchina centrale esclamò: «Spiderman, nemmeno se ti fossi buttato una settimana prima l’avresti presa!» Bernardo quella sera era il Totti del Trestello. Il mister con il triplice fischio mandò tutti sotto le docce. La partita era 6 finita 10-1, ma per tutti loro era un pareggio. E anche se negli spogliatoi il coro delle riserve aveva voce solo per Bernardo egli, contento, finì di prepararsi e scappò in fretta: un appuntamento ben più importante lo attendeva. Tea lo attendeva. Così salutò tutti, salì sull’auto e partì. Ad ogni minuto trascorso la sua gioia lasciava posto alla confusione. Era giunto il momento di fare un discorso importante, ma non era sicuro di cosa doveva dire. Aveva un groviglio di parole in testa, ma non sapeva cosa doveva essere espresso per prima. E mentre si perdeva in questi dilemmi arrivò sotto casa di lei. La sua macchina sembrava quella del telefilm super car: le mancava solo la parola, di tanto in tanto la si sentiva implorare un’altra marcia, per il resto la strada la percorreva da sola. Posteggiò, spense il motore e scese. Chiuse la macchina, se la lasciò alle spalle e si diresse verso il citofono del residence. Giunto davanti alla pulsantiera, mirò al nome che cercava e come un cecchino, trattenne il fiato. In quel medesimo istante la tensione gli generò una gocciolina di sudore sulla fronte che gli solcò tutto il viso, fino ad arrivare giù al petto; giunta sul cuore iniziò a ballare la rumba. Il cuore batteva come mille tamburi e ciò non era dovuto allo sforzo della partita ma al momento che stava vivendo. Ancora in apnea continuò a fissare il citofono con una apprensione tale che il volto sembrava quello di Clint Eastwood in uno dei suoi tanti scontri western uno contro uno. Davanti a quel portone era uno scontro tra lui e quel citofono. In testa gli ronzava pure una colonna sonora, la tromba di “per un pugno di dollari”. Si decise; sferrò il colpo e premette il pulsante. Il trillo risuonò come un bang dei film di Sergio Leone. 7 Capitolo III Dichiarazione di matrimonio Bernardo attendeva la risposta che non tardò ad arrivare, eppure come gli sembrarono lunghi quegli attimi di attesa. In quel frangente di tempo che passò da quando si udì il bang del citofono a quando qualcuno impugnò la cornetta, lui ripercorse tutti gli attimi che ebbe vissuto con Tea: i primi sguardi reciproci per i corridoi della Cittadella universitaria, le prima volte che andò a casa sua, quel giorno di pioggia quando, dopo essere tornati dal panificio tutti inzuppati, scoccò il primo bacio. Ricordava come se fosse ieri il primo appuntamento con la cena cucinata dai due e mangiata romanticamente mentre il forno a legna li riscaldava. Il panino al McDonald’s, quello dal paninaro ambulante o la prima pizza vegetariana mangiata al lume dei lampioni di un’intima piazza tranquilla… Finalmente la cornetta fu alzata. Il suo cuore cessò di battere fino a quando non udì dal citofono una voce che gli intimò in maniera virile: «Chi è?»Per un instante fu titubante perché quella voce non gli diceva nulla, ma subito riprese: «Buonasera, sono Bernardo… C’è Tea?»La voce, dal tono un po’ sorpresa, replicò: «Mi perdoni signor Bernardo, forse avrà sbagliato. La signorina Tea abita all’interno 15 e questo è l’interno 13. Legga sulla pulsantiera!» In effetti guardando meglio vide che aveva sbagliato: dall’emozione aveva premuto il pulsante sotto a quello che cercava. Ripreso dalla magra figura e con la mente più lucida si avviò a suonare il pulsante giusto. Qualche secondo e questa volta la voce era quella attesa. Era proprio lei, che con voce sprizzante gioia diceva: «Chi è?»Era imbarazzato quando rispose:«Tesoro sono io, Bernardo. Che fai scendi?»«Altri cinque minuti, vuoi salire lo stesso?»È ben noto come spesso i cinque minuti delle ragazze corrispondano ai cinquanta minuti segnati dall’Orologio atomico del National Istitute of Standards and Tecnology di Boulder, l’orologio più preciso in assoluto; è anche noto che il tempo è relativo, specialmente per alcune persone. Sapendo che tra queste persone c’era anche Tea, Bernardo rispose che sarebbe salito su. 8 Giunto sul pianerottolo di casa la sua amata ancora si aggirava con tuta e ciabatte correndo, dando l’impressione di impegnarsi ad essere puntuale. Bernardo sapeva che i cinque minuti non li avrebbe rispettati e di questo parere era anche il padre di Tea, Nino, che accolse Bernardo invitandolo a mettersi comodo e si preparò ad intrattenerlo per un po’. «Spero ti piaccia il tiro al piattello. Stavo guardando proprio le finali.» Nino era maresciallo in pensione già da un anno, amante di tiro a bersaglio oltre che severo body guard delle sue due figlie. Bernardo ricordava ancora la prima uscita con Tea, quando fu scortato da lui: l’eclissi di luna che avrebbero dovuto vedere insieme romanticamente diventò una eclissi totale. Sotto lo spettacolo del sole che si frapponeva alla luna c’era Nino che si frapponeva a Tea. Col tempo, però, Bernardo era riuscito a guadagnarsi la fiducia del maresciallo e la sua benevolenza al punto che, quella sera, quando il tiratore in testa infranse un piattello particolarmente difficile da colpire Nino esclamò: «Bernardo, hai visto come si fa? Nella vita bisogna sempre beccare il bersaglio giusto. Premi il grilletto e vai fino in fondo. Tea è la donna giusta, non potevi fare centro migliore, e non lo dico perché è mia figlia». Quelle parole trapassarono il ragazzo come una pallottola. Un po’ arrossendo replicò: «Vede, un buon tiratore sa sempre aspettare il momento giusto per colpire.»«Bernardo, non credevo fossi così esperto di bersagli. Fai attenzione però a non sprecare cartucce.» Nel mezzo di questi educati tiri, sopraggiunse la signora Elvira. «Oh Berny, ti salvo io da Nino.Il lupo perde il pelo ma non il vizio.» E con un sorriso continuò:«Lo prendi un caffè? Ho anche delle paste da the se vuoi! Sei così sciupato in questo periodo… » Bernardo, dando uno sguardo all’orologio, rispose: «Gli allenamenti di calcio possono essere stremanti a volte. Accetto il caffè comunque!» Soddisfatta della risposta Elvira mise sul fuoco la moka. Il signor Nino, visto che alcuni colpi erano andati a vuoto, spostò l’interrogatorio sullo stato degli studi di Bernardo, sorseggiando il caffè con calma. I 9 cinque minuti iniziali intanto si erano allungati così a lungo che Nino ed Elvira erano propensi a chiedere a Bernardo se avesse voluto mangiare qualcosa per cena. E quando finalmente si aprì la porta della stanza di Tea, tra l’incredulità di tutti, si iniziò ad udire come un rullo di tamburi: era il cuore di Bernardo. Tea fece una giravolta e si mostrò con un sorriso disinvolto dicendo «Eccomi qui!». Irruppe un applauso liberatorio da parte degli antistanti che improvvisarono anche un bel coretto esclamando: «Tada … era ora!» Tea poteva benissimo aggiudicarsi il guinness dei primati con il riconoscimento “Miss. Tartaruga” eppure Bernardo non glielo aveva mai fatto pesare più di tanto. E anche in quel momento, in quella sera, bastò un suo sguardo per resettare gli ingorghi di pensieri caotici che affollavano la sua mente e pensò con occhi umidi: ma quant’è bella! «Madamoiselle Tea…» le porse il braccio con un leggero inchino di riverenza «… andiamo?» Uscirono a braccetto salutando papà Nino e mamma Elvira. Giunti al portone Bernardo l’avvolse in un caloroso abbraccio e la baciò. «Non ci eravamo ancora salutati come si deve».Arrossirono come le prime volte. Aveva davvero resettato la confusione che aveva in testa ed il disordine che teneva nel cuore. La sospensione del caos è spesso solo un rimedio palliativo e prima o poi esso ritornerà alla carica come un esercito di ribelli; eppure per quella sera, alla presenza di Tea, Bernardo si sentiva tranquillo e questo per il momento bastava. I due avevano voglia di vedere un film e decisero di andare al cinema. In macchina parlarono semplicemente delle vicende di una lunga giornata. Forse in conseguenza al caos mentale che aveva avuto fino a qualche ora fa distoglieva lo sguardo dalla strada più frequentemente del dovuto e guardava la sua amata con occhi che mai aveva avuto. Tea disse: «La mia amica Stefania mi ha dato una bellissima notizia. Non ci puoi credere. Dopo due anni di fidanzamento ha deciso di sposarsi con Gabriele». Lei, con occhi sognanti simili a quelli di una bambina dinnanzi a un castello delle Barbie, si girò verso di lui. «Tesoro, ci hai mai pensato? Chissà quando verrà il nostro giorno?»Una scarrellata di mitra colpì 10 Bernardo allo stomaco; dovette anche fare una brusca sterzata per evitare di investire un gatto. «Cara, dopo un anno mi sembra ancora prematuro parlare di queste cose». Lei rispose: «Non dirmi che vuoi aspettare la laurea e una sistemazione fissa, altrimenti prima del matrimonio raggiungeremo il fidanzamento d’argento!». «Sempre la solita esagerata. Però si, sarebbe bello».Bernardo percorse l’ultimo tratto di strada pigiando l’acceleratore più pesantemente. I due andavano matti entrambi per i film animati eppure, quando poco dopo la proiezione ebbe inizio, Bernardo non staccò gli occhi di dosso a Tea. All’uscita dal cinema lei era davvero entusiasta del film ma, quando cercava di commentare con l’amato lui non sapeva dire altro che: «Sì, davvero un bel film!» Bernardo in realtà aveva prestato attenzione solo ai titoli di coda e preferì tagliar corto: «Tesoro, non hai fame?»«Beh, un po’ sì, sento un leggero languore». Uscendo dal cinema, poco lontano, c’era un localino tipico da centro commerciale, dove tutti gli arredi al suo interno erano in vetroresina - e forse anche il cibo - ma in compenso si spendeva davvero poco. Tea propose di proseguire lì la serata. Si sa, sono le donne a comandare anche nella scelta di un locale in cui consumare una frugale cena, così Bernardo acconsentì. Forse, in mezzo alla confusione dei tavoli, sarebbe stato più facile per lui iniziare il discorso che si era prefissato di fare quella sera. Lungo il breve tratto di strada che li separava dalla destinazione successiva furono avvicinati da una giovane figura dai tratti orientali e dalla carnagione scura, con a braccio un abbondante mazzo di rose variopinte. Bernardo intuì subito che, nonostante i fuori, non aveva davanti Santa Teresa di Gesù Bambino bensì il classico venditore di rose importuno. «Comprare una rosa per tua moglie. Uno euro!» Bernardo fece istintivamente un passo 11 indietro e pestò qualcosa di sorprendentemente morbido che si rivelò essere un fresco bisogno di cagnolino. Nonostante il momento gli venne in mente che Gesù si era dichiarato presente in ogni categoria di bisognoso; inoltre,sulla croce, il Cristo aveva redento il mondo intero con i suoi animaletti. Così non pronunciò nessuna delle imprecazioni che gli si presentarono in testa e disse con un sorriso: «Avanti amico, dammi una rosa per la mia fidanzata». Giunti ai tavoli Tea ordinò un kebab ed una bibita senza zucchero, Bernardo un panino col petto di pollo alla piastra, insalata di verdure ed acqua. Lui ci teneva a non prendere chili, altrimenti col fischio che avrebbe mantenuto il posto da titolare! Ad un tratto accadde qualcosa di inaspettato. Bernardo non riusciva a credere ai suoi occhi; non avrebbe mai immaginato di assistere a una scena del genere e soprattutto quella sera! Un uomo di mezza età in giacca e papillon era salito su un tavolo poco più avanti e si era inginocchiato tra le posate e le bottiglie davanti a una donna vistosamente imbarazzata, tenendo in mano una custodia in velluto che aprì per mostrare un anello. Certo, l’amore fa fare vere e proprie pazzie! pensò Bernardo, non sapendo se trovare più strano il fatto che una dichiarazione di matrimonio venisse fattain giacca e papillon oppure sopra un tavolo di truciolato. Dopo pochi secondi durante i quali i volti della gente si voltarono perplessi verso quella stravagante scenetta l’uomo gettò un grido: «Mi sposaaaaa! Ci sposiamooooo! Ha detto si!». Un cameriere sembrò accorgersi solo in quel momento di quanto stava accadendo; fu così sorpreso da inciampare con una sedia e rovesciare una abbondante porzione di pollo e insalata in testa a Bernardo. Il suo autocontrollo fu seriamente messo alla prova. Anche se Bernardo ricevette un sacco di scuse dal proprietario del locale in persona (gli fu regalata la cena e ricevette persino in dono un ulteriore buono cena per due), la serata era stata irrimediabilmente rovinata. 12 Dopo aver accompagnato la sua bella a casa e averle dato la buonanotte Bernardo tornò nella sua stanza con i pensieri che, ribellandosi alla quiete,iniziavano ad uscire fuori dai ranghi. Mentre si preparava per andare a dormire si rese conto di quanto fosse stato stupido a non iniziare il discorso in macchina. Altro che Clint Eastwood… Al momento si sentiva molto più simile a don Chisciotte che si preparava a sfidare i mulini a vento, oppure a Et che aspettava chissà quale chiamata dall’alto. La pallottola era ancora rimasta in canna e quella serata non era stata altro che un palliativo terminato male. L’indomani l’attendeva una estenuante giornata di studio all’università e di altri duelli nel cuore. Spense l’abatjour e dopo essersi fatto un segno di croce salutò il lungo giorno ormai andato. 13 Capitolo IV Sfogo del cuore La settimana giunse al termine senza grosse novità. Il sabato mattina, come di consueto, Bernardo non aveva lezione eppure quello non sarebbe stato il solito sabato. In mattinata si sarebbe visto con un amico importante che frequentava già da qualche mese: l’appuntamento era alle 9:30 al bar sul lungomare di Faraglionia. Bernardo si girava e rigirava nel letto non facendo caso all’orario, e appena vide l’orologio, con un occhio aperto e l’altro ancora in fase rem, balzò fuori dal letto come uno shuttle in partenza da Cape Canaveral. La sveglia segnava le 9 ed anche il rintocco della chiesa, non molto lontano dalla sua casa, gli confermava il ritardo. In quanto a puntualità Bernardo poteva benissimo battersela con Tea. Quanto sono veritieri i proverbi antichi: Dio li fa e tra di loro si accoppiano. Bernardo si lavò in fretta e si precipitò sul suo bolide. Con una guida temeraria rischiò di perdere qualche pezzo e qualche punto dalla patente procurandosene altri sulla fronte o chissà dove, ma dopo una grande sudata giunse a Faraglionia tutt’intero. Si precipitò al bar. Guardò l’orologio che aveva al polso e quello del cellulare ed entrambi segnavano le ore 10; chiese anche al cameriere e la risposta confermò l’orario già visto. Mezzora di ritardo; aveva paura che fosse andato via, ma no, lui era lì. Stava seduto ad un tavolino un uomo, né troppo grande né tanto giovane, vestito con camicia grigio scura e jeans neri. Era don Andrea. Da qualche tempo Bernardo aveva iniziato un cammino di direzione spirituale. Si sa, con l’aiuto dei genitori un bambino riesce a camminare speditamente in qualche anno; muovere passi spediti sui sentieri della vita e tra i meandri dello spirito è impresa ancora più complessa e, senza una buona guida, si rischia lo smarrimento. Don Andrea era fermamente convinto che a stomaco pieno si discutesse meglio, così, per meglio mettere a proprio agio i suoi interlocutori, aveva adottato il metodo della “colazione spirituale”. 14 Giunto al tavolino Bernardo salutò ed imbarazzato chiese scusa per il ritardo. Don Andrea, con un sorriso che infondeva tranquillità, ricambiò il saluto e rassicurando Bernardo gli chiese cosa voleva prendere da mangiare. Ordinarono due granite accompagnate da calde brioche. Nei dieci minuti che passarono Bernardo diede sfogo senza sosta ai pensieri accumulati nella settimana. Apprezzava molto la particolare capacità di ascolto di don Andrea. Si interruppe solo quando arrivarono al tavolo le brioche fumanti e i bicchieri di granita bianconera. Il cameriere di servizio guardò i due basito ed adagiò con evidente stizza la colazione davanti ai due interlocutori – il tavolino tra l’altro aveva numero 30; un caso o una scelta ponderata? – Bernardo capì subito il motivo dell’insolita reazione: il cameriere era un evidente interista che ostentava la sua fede calcistica sulla sua propria pelle, tra le tante tumefazioni ed i non molti tatuaggi che raccontavano le vittorie della sua amata Inter. Bernardo pensò che la mattinata non era iniziata nel migliore dei modi dal momento che, per la seconda volta in un’ora e un quarto, aveva rischiato di finire al pronto soccorso. Tra un boccone e l’altro, e tra le vibrazioni del telefonino, continuò il suo discorso e in poco tempo giunse al nodo cruciale: parlò degli ultimi suoi incontri con Tea e del suo sentirsi continuamente inquieto perché non capiva se Dio lo stava chiamando ad altro. Questo altro lo spaventava. Il suo volto assunse una serietà che don Andrea forse non aveva mai visto in lui. Era la prima volta che buttava fuori il suo groviglio interiore; in questi termini non era mai riuscito a parlarne con nessuno, nemmeno con Tea. Era assurdo pensare che aveva difficoltà ad affrontare l’argomento soprattutto con se stesso. Si sa che i peggiori conflitti sono quelli con il proprio io. Adesso che queste parole erano state formulate verbalmente si sentiva più leggero, sebbene scosso. 15 Il cameriere si avvicinò ancora, questa volta per portar via i bicchieri spazzolati e portare i caffè caldi. Bernardo colse l’occasione per gettare un rapido sguardo al telefonino e vide che c’era una decina di messaggi tra quelli di Tea, free time e Saro; furono proprio quest’ultimi a fargli tornare in mente che in realtà gli appuntamenti della mattinata erano due. Don Andrea prese la parola appena il cameriere si fu allontanato. Attraverso le lenti degli occhiali, lo sguardo profondo e limpido di don Andrea faceva trasparire massima attenzione e sincera comprensione. Con la sua voce calda rassicurò il giovane e gli fece capire che ciò che stava vivendo fosse normale per un ragazzo della sua età in ricerca. «Bernardo sta’ tranquillo, perché ogni uomo nel mezzo del cammin di sua vita si troverà a fare i conti con il bivio della vocazione. Quello che conta è che, anche nelle selve oscure, non si dimentichi di cercare la luce.» Dopo questa vena dantesca continuò con un suggerimento pratico: «Torna a casa tranquillo, giacché i troppi pensieri accrescono la confusione e la paura del fare la scelta sbagliata. Rasserenati e chiedi a Dio nella preghiera di darti risposta. Va’ a messa quotidianamente per quanto puoi ed apri bene gli orecchi dell’anima e del corpo.» Con un grazie ed un sorriso si salutarono e Bernardo scappò dal suo amico Saro, del quale, se non avessi ricevuto i suoi messaggi, si era dimenticato di incontrare. Anche se Bernardo era alla ricerca della voce di Dio faceva un po’ fatica a ricordarsi quelle dei cari amici. Ormai tutti erano abituati a quel Bernardo. To be continued… 16