Gordiano Lupi su Corriere Nazionale
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Gordiano Lupi su Corriere Nazionale
SCRITTURE&PENSIERI La frase di... Massimo Troisi a cura di Stefania Nardini «Laricchezzadeipoveri èrappresentatadailorofigli, quelladeiricchidailorogenitori» A colloquio con Dan Fante, figlio del mitico John “Buttarsi” è il suo ultimo romanzo “americano” Il sogno ritrovato «Lostiledimio padreha influenzatola mianarrazione» «Loscrittore ofaduelavori ohaunamoglie ricca» IsabellaBorghese «Amo l’Italia, dove ho vecchi amici. Sono stati giorni bellissimi in cui mi sono anche divertito molto sia con Capossela che con Chinaski». Cosa ne pensa della possibilità che Don Giovanni in Italia venga portato a teatro? «Felicità.Don Giovanni è un buon esempio del carattere e della personalità di mio padre. Rappresenta lui nel bene e nel male». Ma esisterà un “Full all life” per Dan Fante? «Non so. Mio padre ha scritto quel romanzo per soldi. Il mio prossimo libro si intitolerà “Fante, a memoir”. Riguarda la vita e il rapporto tra Dan e John. Sarà pubblicato in America quest’anno e in Italia spero il prossimo». Com’è la vita di uno scrittore in America? «Sono convinto che oggi uno scrittore per vivere o fa due lavori o ha unamoglie ricca!». Più volte paragonato a Bukowski Dan Fante, anche in “Buttarsi”, mentre racconta la storia tormentata di un uomo che cade e cerca di rialzarsi inciampando nei suoi vizi e tra sofferenze che non l’hanno risparmiato, nasconde la forza di un uomo, fattosi scrittore, che ha deciso di scrivere per salvarsi e per mettere le vicissitudini della sua vita a servizio della scrittura, condividendole dunque con i suoi lettori. Operazione non facile per il figlio di un’icona della letteratura americana, un figlio di quel sogno che ha segnato più di una generazione. E che di quel sogno oggi divienela continuità. «Mio padre ha avuto un gusto difficile per la letteratura - e attraverso lui e il suo occhio critico io ho sviluppato la mia preferenza. Scrivere bene è un’arte che sta scomparendo. Io e mio padre siamo scrittori. Il suo stile e la sua semplicità hanno influenzato moltissimo la mia scrittura. Tuttavia io cerco di decorare il mio modo come lui ha decorato il suo. Io ricerco la semplicità e provo a creare energia». A raccontarsi è Dan Fante, figlio del mitico John. Padre e scrittore di origine abruzzese, scoperto da Bukowski e conosciuto dal pubblico prima per “Le strade di Los Angeles”, poi per il successo di “Chiedi alla polvere”. Una produzione letteraria che non ha saputo mai staccarsi dalla turbolenta vita dello scrittore: John Fante ce l’aveva con la Chiesa, col padre, lavorava saltuariamente mentre imperversava con la scrittura, aspirando a trasformare una passione nel suo unico lavoro. Viveva di rapporti tormentati con le donne, ma scriveva moltissime lettere alla madre e le chiedeva soldi quando ne aveva bisogno. Poi beveva, sì, beveva per insoddisfazione mentre scriveva attingendo materiale e tematiche dalla sua vita e dalle sue origini italo-americane. Arturo Bandini è stato il suo alter ego. Oggi, il testimone passa a suo figlio Dan che, ricalcando le orme del padre, presenta già diverse pubblicazioni alle spalle con un considerevole numero di sostenitori in America, quanto in Italia. E così, come accadeva nei più noti romanzi di John Fante, anche in Buttarsi (ed.Marcosy Marcos) l'ultima pubblicazione di Dan, l'ossessione del protagonista è quella di pubblicare. Il romanzo consegna ai lettori le vicende di Bruno Dante che grazie a un ex-datore di lavoro ritrovato vive con l'impiego di tassista a Los Angeles. Ma questo, scrive l’autore, resta solo un modo bizzarro di far soldi. Dan Fante narra la storia tormentata del suo alter ego, in cui l’alcool lo danneggia come un amore distruttivo e la scrittura lo invade come un’ossessione in cerca di pubblicazione. Un rapporto difficile con le donne lo accompagna sempre, mentre la morte di Riccardo, il fratello, lo coglie come un grave lutto da elaborare. E il suo rapporto con le donne Dan? «Sono stato sposato varie volte, ma erano matrimoni terribili. Oggi ho trovato una donna che sopporta il mio cattivo carattere. Mia madre invece era una donna brillante. Per molti anni è stata la mia migliore amica. Ci siamo scontrati spesso, ma tra noi l’amore è sempre rimasto». La signora Fante e Dan infatti si sono scontrati anche sulla scrittura. Il giorno che Dan le portò il suo primo manoscritto ricalcando il fare di padre Fante, lei sospirò esausta, «Oh, mio dio!, un altro scrittorein casa! No!». Qual è il suo rapporto con la scrittura? Quando scrive e quale forma di scrittura preferisce? «Scrivo due ore al giorno per sei giorni a settimana. Per me la scrittura è un gioco, non una tortura. Resta un gioco in tutti i modi in cui scrivo e continuerò a farlo». E cosa le è rimasto del tour italiano? Il filosofo, l’asino e la storia Francesca Rigotti e Giuseppe Pulina autori di un saggio che propone mille curiosità sul quattrozampe che ora è in via di estinzione Camillo Valerio Curioso destino, quello dell’asino! Sebbene sia stato presente alla nascita di Gesù e sia servito per fuggire in Egitto o entrare a Gerusalemme, a differenza del “cugino” cavallo, nobile e celestiale, l’asino è stato spesso visto, come scriveva Evola, quale manifestazione di una “forza infera di dissoluzione”. Tanto in occidente quanto nell’Islam, i detrattori dell’asino non si contano e, in quest’autentico scrigno di curiosità, Rigotti e Pulina La copertina del curioso saggio in “Asini e filosofi” (ed. Interlinea) propongono un divertito e divertente excursus storico. In un retroterra intriso “di superstizioni, credenze magiche e luoghi comuni intrisi di zoofobia”, il periodo più infelice per la re- putazione dell’asino coincide proprio col Rinascimento, nonostante lo sdegno di Giordano Bruno per le “ironiche sentenze”, che prendevano “la gloriosa asinitade in gioco, spasso e scherno”. E, naturalmente, guai ad assomigliare all'asino per remissività e propensione a quelli che Giovanni Battista Della Porta chiamava “affetti di Venere”! In una Metaforica animale che sopravvive anche quando gli animali spariscono - quanti bambini ormai cavalcano un asino? - l’ambivalenza continua ad accompagnare il nostro beniamino, che sarà “insieme paziente e cocciuto, stupido e sapiente, mite e ribelle, mansueto e lussurioso”. Certo è che - erbivoro, addomesticato e sottoposto a disciplina, qual è - ben rappresenta il popolo paziente, subalterno e oppresso, che però, può “subire una metamorfosi e ribellarsi all’iniquo oppressor”. E si consoli, il nostro - e quanti asininamente vengono apostrofati -, nel sapere che già fra i filosofi greci era in uso darsi reciprocamente… dell’asino. IN VETRINA Le canzoni di una band, il caso Trintignant: la Francia dei Noir Desir Gordiano Lupi Il sei ottobre è uscito il primo libro italiano dedicato ai Noir Désir. Confesso che me lo sarei tranquillamente perso se non l’avesse scritto Sacha Naspini, perché non so niente di questo gruppo musicale, forse sono troppo vecchio per loro. Sacha Naspini è un maremmano di Follonica, poco più che trentenne, ha pubblicato un sacco di romanzi e di racconti, ma i suoi lavori più significativi sono: “L’ingrato” (Effequ), “I sassi” (Il Foglio), “Never alone” (Voras), “Cento per cento” (Historica) e “I Cariolanti” (Elliot). Sarebbe uno sceneggiatore cinematografico perfetto, perché sa scrivere ogni tipo di storia e soprattutto cambia genere o stile da un libro all’altro: è talmente bravo da saper rendere interessante la storia di un gruppo rock anche per chi non ha mai ascoltato un loro brano. La storia si sviluppa come un romanzo che racconta le vicissitudini e le canzoni di una mitica band giovanile. Il volume termina con uno struggente racconto parigino intitolato Des visages des figures che cita una canzone dei Noir Désir, ma anche Pietro Gobetti e Amedeo Modigliani, il tutto inserito in un’ambientazione onirico - cimiteriale. Com’è nato questo libro? «È successo tutto in un momento. Il 5 gennaio scorso, per la precisione. Per farla breve: Luigi Bernardi, attraverso una serie di scambi via mail, a un certo punto intuisce la mia passione per questa band, e di punto in bianco mi spara la domanda: Ti andrebbe di scrivere un libro sui Noir Désir? Sono rimasto a guardare quelle parole per qualche minuto. Il tempo di una sigaretta. Appena l’ho spenta ho cliccato su rispondi. E ho scritto: “Sì, lo faccio. Te lo butto giù di getto”». Per te si tratta di un’esperienza nuova dopo tanta narrativa… «Sì, ma non del tutto. In apertura e nella chiusa del libro ci sono parti che possono essere definite “di formazione”. Per il resto, cerco di raccontare la loro storia, semplicemente, con l’approccio che potrei avere con un amico al bar; dalle cantine di Bordeaux ai tour mondiali, fino al tragico evento di Vilnius, che ha imposto un urto di stop alla band. Cercare di raccontare la loro musica, anche, per quel poco che è possibile fare con le parole. Di sicuro, il tutto visto da un’ottica un po’' “partigiana” (a parte i momenti tragici e delicati legati a Bertrand Cantat). Ma non sono mica un critico musicale…». Come hai gestito la figura di Bertrand Cantat? «Questo è un libro sui Noir Désir. Finché ho potuto, non ho mai spostato la lente altrove. Ma Bertrand Cantat è sicuramente il perno su cui gira tutta la ruota. È stato l’anima, il cuore pulsante di un progetto musicale potente. Senza nulla togliere agli altri membri del gruppo, chiaramente. Ma per fare un esempio spiccio: il Jim Morrison nei Doors, per capirci. Un riferimento per decine di migliaia di giovani nel mondo. La bandiera dei No Global, dell'antirazzismo. E poi il fatto di Vilnius, la morte di Marie Trintignant. Nella coscienza di tutti questo evento ha come ridecifrato un grande disegno da capo. Nel libro tratto questa parte con distacco, riporto i fatti. Chiunque è libero di farsi la propria idea al riguardo. Cerco solo di far suonare tutte le campane. Sta di fatto che a un certo punto della storia s'impone l’esercizio interiore di separare l’uomo dall’artista, o qualcosa del genere. All’inizio è venuto male anche a me. Anzi, a volte mi si ripropone ancora. Forse perché alla fine non mi va di separare proprio niente».