L`attesa e la Festa di don Vincenzo Sorce L`attesa e la Festa di don

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L`attesa e la Festa di don Vincenzo Sorce L`attesa e la Festa di don
Anno XIX n. 82
Gennaio - Marzo 2013
L’attesa e la Festa di don Vincenzo Sorce
A Roma per i lavori sulla riabilitazione
all’ARIS, ho potuto partecipare più da
vicino agli eventi che hanno coinvolto
la Chiesa. Un clima di attesa, di speranza.
Nella basilica vaticana partecipo, insieme a Simone, alla Messa per l’elezione del Sommo Pontefice.
File sterminate di fedeli. In basilica la
folla diventa assemblea orante. La
processione dei cardinali si snoda
verso la tomba di Pietro. C’è solennità, silenzio, atmosfera di preghiera,
consapevolezza dell’importanza dell’ora.
Una celebrazione sobria, carica di
tensione spirituale, in un contesto di
comunione ecclesiale.
Aleggiava in modo forte la presenza
dello Spirito Santo. L’elezione del vescovo di Roma vissuta in un’ottica di
fede. Sentire con la Chiesa, vivere la
Chiesa.
Piazza San Pietro diventa la casa di
tutti, il luogo dell’appuntamento di
quanti vogliono sperimentare visibilmente la gioia di essere insieme per
un evento storico.
E le fumate. Guardare in alto.
Anche il gabbiano, lassù, in cima al
comignolo, dice la sua partecipazione
nella piazza del Bernini.
Quelle nere, quella bianca: segnali
inequivocabili di un cammino che si
apre ad imprevedibili prospettive. E
giunge l’ora.
La loggia si illumina; “Habemus
Papam!”
La Chiesa tra passato e futuro, la
Chiesa radicata nella tradizione e con
le ali dischiuse verso il futuro.
Tonaca bianca, corpo rigido e folla
oceanica in festa. Un annunzio che è
profezia: Francesco I.
Il poverello d’Assisi come modello,
come testimone, come punto di riferimento.
Francesco per dire rinnovamento,
riforma, povertà, poveri. Il rapporto
fondamentale Chiesa e Vangelo.
Vescovo di Roma in una visione teologico-pastorale, in stretto rapporto
con la Chiesa locale di Roma, con il
popolo di Dio.
Papa di popolo, con il popolo, per il
popolo.
Un rapporto mistico, di preghiera
come priorità. In continuità con Benedetto XVI, sotto la protezione
della Vergine Maria, aperto al
mondo, nell’orizzonte della fraternità, del dialogo con tutti gli uomini di buona volontà.
Con un saluto feriale: “Buona sera,
buona notte”. Senza barriere,
senza condizionamenti, con semplicità, con autenticità.
Dall’America latina, dal Sud, con
radici italiane.
Disarmante, condotto dallo Spirito.
Padre dei poveri, servo dell’umanità, guida d’una Chiesa di speranza.
Gennaio - Marzo 2013
Incontrando Benedetto XVI -
Il mio cammino personale e quello del nostro progetto pastorale è stato sempre accompagnato dalla
presenza e dalla parola di Pietro.
Un tratto di strada l’abbiamo fatto con la guida di
Benedetto XVI.
Parole chiare, profonde, gesti semplici, autentici, insegnamenti sapienti ed attuali. Le sue encicliche, i
suoi libri, il suo magistero, la testimonianza della
sua vita.
La prima volta, quel pomeriggio storico dell’elezione, ero a Roma, insieme a Corrado Drago, alla
Consulta Nazionale per le tossicodipendenze.
Fui raggiunto da una telefonata e, correndo, giunsi
a Piazza San Pietro. C’era già molta gente. “Habemus Papam!” un boato di gioia.
La loggia che si apre e l’apparizione del nuovo Papa.
Timidamente, disarmato, abbandonato nelle braccia
di Dio:
di don Vincenzo Sorce
Signore di aiutarci a
comprendere sempre
più
profondamente
questo mistero meraviglioso, ad amarlo sempre di più e in esso
amare sempre di più Lui
stesso. Preghiamolo di
attirarci con la santa comunione sempre di più
in se stesso. Preghiamolo di aiutarci a non
trattenere la nostra vita
per noi stessi, ma a donarla a Lui e così ad
operare insieme con
Lui, affinché gli uomini
trovino la vita – la vita
vera che può venire
solo da Colui che è Egli
stesso la Via, la Verità e
la Vita. Amen.”
Durante l’anno sacerdotale ho avuto la gioia di partecipare all’incontro con i parroci della diocesi di
Roma, uno straordinario evento familiare ed illuminante.
Mi ha fatto gustare ed amare di più la Lectio Divina.
Introduce la Lettera agli Ebrei, sottolinea gli aspetti
fondamentali del sacerdozio: il sacerdote dev’essere
dalla parte di Dio, dev’essere uomo, uomo “immerso nella passione di questo mondo, cercando di
trasformarlo, di portarlo verso Dio.”
Sottolinea ancora:
“Questo mi sembra importante nella celebrazione
dell’Eucaristia: qui è raccolta tutta la preghiera
umana, tutto il desiderio umano, tutta la vera devozione umana, la vera ricerca di Dio, che si trova
“Dopo il grande Giovanni Paolo II, i Signori cardinali
hanno scelto me, un semplice e umile lavoratore
nella vigna del Signore…”
Tutte le volte che ne ho avuto l’occasione, trovandomi a Roma, ho scelto di incontrare Benedetto XVI
soprattutto in alcune celebrazioni liturgiche, affascinato dal suo stile di pregare e contemplare, di
presiedere e di illuminare.
Ha scandagliato e vissuto il mistero della liturgia, lo
ha vissuto e vi ha introdotto, con i gesti e le parole,
il popolo di Dio affidato alle sue cure pastorali.
Nelle sue celebrazioni ha fatto sentire la profondità
della dottrina e l’afflato mistico, la sua pedagogia
pastorale e la sua preoccupazione mistagogica.
In una celebrazione In cena Domini, in Laterano,
così ha concluso l’omelia che ci ha regalato:
“Così al centro della Pasqua nuova di Gesù stava la
Croce. Da essa veniva il dono nuovo portato da Lui.
E così essa rimane sempre nella Santa Eucaristia,
nella quale possiamo celebrare con gli Apostoli
lungo il corso dei tempi la nuova Pasqua. Dalla
croce di Cristo viene il dono. “Nessuno mi toglie la
vita, ma la offro da me stesso”. Ora Egli la offre a
noi. L’haggadah pasquale, la commemorazione dell’agire salvifico di Dio, è diventata memoria della
croce e risurrezione di Cristo – una memoria che
non ricorda semplicemente il passato, ma ci attira
entro la presenza dell’amore di Cristo. E così la berakha, la preghiera di benedizione e ringraziamento
di Israele, è diventata la nostra celebrazione eucaristica, in cui il Signore benedice i nostri doni – pane
e vino – per donare in essi se stesso. Preghiamo il
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finalmente realizzata in Cristo. Infine va detto che
adesso è aperto il cielo, il culto non è più enigmatico, in segni relativi, ma è vero, perché il cielo è
aperto e non si offre qualcosa, ma l’uomo diventa
uno con Dio e questo è il vero culto. Così dice la
Lettera agli Ebrei: “il nostro sacerdote sta alla destra del trono, del santuario, della vera tenda, che
il Signore Dio stesso ha costruito” (cfr 8,1-2).
Ritorniamo al punto che Melchisedek è Re di Salem.
Tutta la tradizione davidica si è richiamata a questo, dicendo: “Qui è il luogo, Gerusalemme è il
luogo del vero culto, la concentrazione del culto a
Gerusalemme viene già dai tempi abramici, Gerusalemme è il vero luogo della venerazione giusta di
Dio”.
Facciamo un nuovo passo: la vera Gerusalemme,
il Salem di Dio, è il Corpo di Cristo, l’Eucaristia è la
pace di Dio con l’uomo. Sappiamo che san Giovanni,
nel Prologo, chiama l’umanità di Gesù “la tenda di
Dio”, eskenosen en hemin (Gv 1,14). Qui Dio stesso
ha creato la sua tenda nel mondo e questa tenda,
questa nuova, vera Gerusalemme è, nello stesso
tempo sulla terra e in cielo, perché questo Sacramento, questo sacrificio si realizza sempre tra di noi
e arriva sempre fino al trono della Grazia, alla presenza di Dio. Qui è la vera Gerusalemme, al medesimo tempo, celeste e terrestre, la tenda, che è il
Corpo di Dio, che come Corpo risorto rimane sempre Corpo e abbraccia l’umanità e, nello stesso
tempo, essendo Corpo risorto, ci unisce con Dio.
Tutto questo si realizza sempre di nuovo nell’Eucaristia. E noi da sacerdoti siamo chiamati ad essere
ministri di questo grande Mistero, nel Sacramento e
nella vita. Preghiamo il Signore che ci faccia capire
sempre meglio questo Mistero, di vivere sempre
meglio questo Mistero e così offrire il nostro aiuto
affinché il mondo si apra a Dio, affinché il mondo sia
redento. Grazie”
L’ultima volta l’ho incontrato nella Basilica Vaticana
nella solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo, in
occasione dell’imposizione del Pallio ai nuovi metropoliti.
Ero lì insieme al Dr. Michele Ricotta, al Prof. Peter Cipolla e alla signora Maria Rita, per far festa al nuovo
arcivescovo di Porto Velho, dom Esmeraldo, che con
amore e attenzione segue le opere dell’Associazione
in Brasile.
Ho visto il Papa stanco, provato, immerso nel mistero di Dio e della Chiesa. Ho rinnovato il mio
amore al Papa, alla Chiesa.
Il Pontefice, tra l’altro, disse:
“Cari fratelli, come ricordavo all’inizio, la tradizione
iconografica raffigura san Paolo con la spada, e noi
sappiamo che questa rappresenta lo strumento con
cui egli fu ucciso. Leggendo, però, gli scritti dell’Apostolo delle genti, scopriamo che l’immagine
della spada si riferisce a tutta la
sua missione di evangelizzatore. Egli, ad esempio, sentendo avvicinarsi la morte,
scrive a Timoteo: «Ho combattuto la buona battaglia» (2
Tm 4,7). Non certo la battaglia
di un condottiero, ma quella di
un annunciatore della Parola di
Dio, fedele a Cristo e alla sua
Chiesa, a cui ha dato tutto se
stesso. E proprio per questo il
Signore gli ha donato la corona
di gloria e lo ha posto, insieme
con Pietro, quale colonna nell’edificio spirituale della Chiesa.
Cari Metropoliti: il Pallio che vi
ho conferito vi ricorderà sempre che siete stati costituiti nel e per il grande mistero di comunione che
è la Chiesa, edificio spirituale costruito su Cristo pietra angolare e, nella sua dimensione terrena e storica, sulla roccia di Pietro. Animati da questa
certezza, sentiamoci tutti insieme cooperatori della
verità, la quale – sappiamo – è una e «sinfonica»,
e richiede da ciascuno di noi e dalle nostre comunità l’impegno costante della conversione all’unico
Signore nella grazia dell’unico Spirito. Ci guidi e ci
accompagni sempre nel cammino della fede e della
carità la Santa Madre di Dio. Regina degli Apostoli,
prega per noi!”
Ho incontrato il Papa durante tutto il suo pontificato, leggendo le sue encicliche, i suoi libri. Stupito
della sua sintesi di teologo e di pastore, attento al
rapporto fede e scienza, evangelizzazione e modernità, mistero della Chiesa e dialogo con le religioni.
Papa Benedetto XVI
La “ fine del vecchio, l’inizio del nuovo” di Calogero Caltagirone
La decisione di papa Benedetto XVI di dimettersi
dall’esercizio del ministero petrino è stata giudicata
in molti modi e sono stati utilizzati diversi aggettivi.
Di tali gesti si è detto che è stato un atto coraggioso, rivoluzionario, storico, epocale, profetico, innovativo e così via. Certo è che le conseguenze
saranno importanti e imprevedibili per il futuro della
Chiesa e delle Chiese, della storia delle idee, delle
valutazioni etiche, della convivenza sociale e delle
dinamiche politiche. Dopo quanto è stato scritto in
ogni parte del mondo, la necessità di una qualche
riflessione più espressamente teologica e, più specificamente, ecclesiologica sull’evento si impone.
Dal punto di vista teologico ed ecclesiologico è possibile rilevare che le premesse del gesto di Benedetto XVI si possono individuare nella decisione di
Giovanni XXIII di recuperare il suo ruolo di vescovo
di Roma, un ruolo che sarebbe poi stato rivitalizzato
dai suoi successori, e da quanto contenuto nei Documenti del Concilio Vaticano II, specialmente sul
significato della collegialità episcopale e sulla dimensione sinodale della Chiesa.
Il Papa, infatti, è tale anche e soprattutto in quanto
vescovo di Roma, anche se da secoli si è persa l’abi-
tudine di considerare questo aspetto, vedendolo soprattutto come capo della cattolicità, centro di
potere, persona sacra in quanto vicario di Cristo. Il
recupero di quel ruolo avrebbe avuto diverse conseguenze, non ultima, il fatto che bisognava spostare l’attenzione dalla sua persona al suo ruolo,
che possiamo in fondo ritrovare già nelle prime comunità cristiane. In esse il vescovo è prima di tutto il pastore
di una Chiesa locale nella quale
i cristiani fanno l’esperienza di
essere l’unico popolo di Dio, il
corpo mistico di Cristo, la comunità vivente nell’amore, il sacramento di unità e di salvezza di
tutto il genere umano, la primizia ed il segno attualizzante del
regno di Dio. La Chiesa locale,
nella sua natura, si realizza
come Chiesa soggetto della mediazione storico salvifica nello
spazio e nel tempo, e Chiesa di
soggetti, uomini e donne concreti che accolgono, celebrano e
condividono il Vangelo della salvezza e dell’amore. La Chiesa locale ha in sé il segno della
molteplicità, della diversità,
della ricchezza interiore di diverse personalità e di diversi carismi. Essa assume l’essenzialità
di un volto dato da persone vere, soggettualità vere
ed autentiche nell’unità dello Spirito Santo, nella comunione del servizio e nell’autentica carità. È una
Chiesa, nella quale la diversità dei gruppi e delle
persone è riconosciuta e valorizzata in una responsabilità solidale anche se legittimamente diversificata. In questa Chiesa il vescovo, e, dunque, anche
il papa, in quanto vescovo, svolge un compito determinato che è quello di essere polarizzatore e non
monopolizzatore della comunione ecclesiale. Egli è
un dono dello spirito per presiedere alla costruzione
della Chiesa locale. Suoi compiti specifici sono presiedere la comunità in nome di Cristo Capo; discernere e coordinare i carismi per realizzare la piena
comunione di tutti i fedeli; garantire alla Chiesa locale la comunione con le altre Chiese ed il suo collegamento con la testimonianza degli apostoli. In
quanto vescovo di Roma, il papa presiede nella carità la comunione delle Chiese locali le quali, nell’esercizio del ministero petrino, vivono l’esperienza
della collegialità e della sinodalità.
Sulla base di queste considerazioni, bisogna riconoscere che la rinuncia di Benedetto XVI è un atto
semplicemente “evangelico”, un “atto di amore alla
Chiesa” e atto prettamente “conciliare”: un atto portatore di un
messaggio per tutti e di una provocazione al modo di essere e di
vivere cristiano. Il magistero di
Benedetto XVI è stato un insegnamento centrato sulla fondamentalità della fede, della speranza e dell’amore nella vita credente e di cui ogni cristiano è
chiamato a dare testimonianza. E
in questa ottica, con la rinuncia,
induce a leggere il ministero petrino come servizio di fede, speranza e amore alla comunità
cristiana e agli uomini tutti, e a
cogliere la differenza che esiste
tra la dimensione istituzionale,
frutto di un paradigma consolidato, e la dimensione vitale dell’essere Chiesa fatta di uomini e donne concreti, di
carne e sangue, di nomi e cognomi, di storie personali, di fatiche e gioie, angosce e speranze. Non
dunque una «organizzazione, qualcosa di strutturale» la Chiesa, quanto piuttosto, afferma Benedetto XVI, nell’incontro con il clero della diocesi di
Roma, un «organismo, una realtà vitale che entra
nella mia anima, così che io stesso divento elemento costruttivo della Chiesa come tale». Inoltre,
le dimissioni sono un “atto d’amore” di un cristiano,
un prete, un teologo innamorato della Chiesa, di
quella Chiesa che pur essendo santa (casta) conosce nei suoi membri l’esperienza del peccato (peccatrix) che rischia di deturpare il suo volto e di non
renderla più “desiderabile”, ma che in virtù della
forza di Cristo risorto è capace di andare oltre le debolezze umane e di trasformarle in umanità nuova
redenta e trasparente dell’amore di Dio per gli uomini. Amare la Chiesa implica per Benedetto XVI il
proprio «inserimento nel grande “noi” dei credenti
di tutti i tempi e luoghi». Seguendo Gesù Cristo
nella fede, speranza e amore, per Benedetto XVI,
nonostante i problemi, le storture, le debolezze, le
“sporcizie”, il peccato, i credenti, convertiti all’amore
di Dio, possono tenere alta la luce del loro essere
Chiesa e possono ancora una volta renderla “bella”
e offrirla veramente come la casa di tutti dove nessuno in essa è straniero. Un richiamo forte, questo,
in modo particolare, alle coscienze di chi ha grandi
responsabilità dentro la Chiesa perché le esercitino
sempre come un servizio. È per queste ragioni che
per Bendetto XVI occorre lavorare, perché il “vento”
del Concilio Vaticano II, che è stato una “nuova
Pentecoste, «con la forza dello Spirito Santo, agisca e sia rinnovata la Chiesa». Sotto questo profilo,
le dimissioni di Benedetto XVI sono un atto di “riforma” secondo lo spirito del Concilio Vaticano II.
La lezione che deriva da questo atto “conciliare”,
oltre a rappresentare un supremo gesto di moralizzazione, una sfida “politica” lanciata a chi ha ruoli
di responsabilità nella
Chiesa e nella società,
mette in evidenza che il
ministero petrino va esercitato con un’effettiva collegialità dei vescovi e una
piena corresponsabilità dei
laici. Un rilancio questo
della Chiesa come “popolo
di Dio”, dove la gerarchia
è al servizio dei fedeli,
come
mirabilmente
espresso nel secondo capitolo della Costituzione
Dogmatica sulla Chiesa
(Lumen gentium), del
Concilio Vaticano II.
In questo senso, Benedetto XVI è un papa conciliare
e
come
tale
rappresenta la “fine del
vecchio, l’inizio del nuovo”.
Gennaio - Marzo 2013
Papa Benedetto guidaci ancora per le vie del mondo e portaci nella tua preghiera
di don Vincenzo Sorce
ll Papa teologo e contemplativo, evangelizzatore
dei poveri e ricco di compassione per l’uomo di
oggi. Un Papa solidale con il mondo della cultura e,
per questo motivo, solidale con i popoli della terra.
Uomo di speranza, ha voluto additare alla Chiesa e
alle nazioni l’orizzonte della speranza, particolarmente con l’enciclica Spe salvi.
Interessante il n. 30 dell’enciclica Deus caritas est,
dove parla di volontariato, dell’anticultura della
morte che si esprime nella droga.
Allo stesso tema dedicherà la sua attenzione nel
suo viaggio in Brasile, in occasione della V Conferenza Generale dei vescovi latinoamericani.
In questo contesto di straordinaria importanza pastorale, ha anche incontrato gli specialisti della lotta
contro la droga e del recupero dei giovani dalle dipendenze.
Era presente anche Giusy Fulco, appartenente alla
Comunità “Santa Maria dei poveri” e operatrice instancabile della nostra Associazione in Brasile. Questa la sua testimonianza pubblicata sulla nostra
Rivista EMMAUS n° 61 del 2007:
“Nei giorni 8-9-10 e 11 maggio 2007, presso la
sede del Centro do Convenzioni Inacio de Loyola,
in Campinas – São Paulo – Brasile, è stata realizzata la Prima Conferenza Internazionale degli specialisti in tossicodipendenza dell’America Latina,
in occasione della V Conferenza del Consiglio Episcopale dell’America Latina – CELAM, svoltasi
alla presenza di Sua Santità Papa Benedetto XVI,
Bento XVI, come è chiamato in Brasile.
L’Associazione Casa Famiglia Rosetta che opera
da 15 anni in Brasile, nello Stato della Rondônia,
ha partecipato alla conferenza con una relazione
sulla Comunità Terapeutica.
Alla Conferenza hanno partecipato 39 specialisti
delle diverse aree nel campo della Tossicodipendenza: Prevenzione, Comunità Terapeutica, Politiche Pubbliche e Approccio Scientifico,
rappresentando i diversi Paesi del continente Americano: Brasile, Perú, Bolivia, Nicaragua, USA,
Argentina, Colombia, Uruguay, Jamaica.
È stata un’esperienza di grande ricchezza umana e
professionale, di forte condivisione di valori, di
proposte di vita e metodologie che, se pur diverse,
avevano lo stesso spirito e obiettivo: la persona
con dipendenza, la sua valorizzazione, la spiritualità come elemento fondamentale per la prevenGennaio - Marzo 2013
zione ed il recupero.
Ci ha gratificato l’aver visto come il lavoro svolto
dall’Associazione Casa Famiglia Rosetta, riconosciuto ormai a livello mondiale, sia un riferimento
in questa area, e ci è stato di conforto l’aver constatato come le diverse istituzioni se pur in Paesi e
culture diverse, vivano le stesse difficoltà e condividano gli stessi valori umani e etici.
La Conferenza ha avuto come obiettivo la stesura
del documento “La Chiesa, la Gioventù e la sofferenza causata dalle droghe” che è stato consegnato a Papa Benedetto XVI e, successivamente,
discusso nell’ambito della V Conferenza del Consiglio Episcopale dell’America Latina – CELAM
ad Aparecida.
Ispirato al documento “Chiesa, Droga e Tossicodipendenza” del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute, realizzato in Vaticano il 1
novembre del 2001, il documento presentato ha voluto sensibilizzare i Vescovi dell’America Latina
sulla questione della tossicodipendenza, che è una
problematica complessa e che richiede pertanto interventi congiunti attraverso alleanze strategiche
perché possa essere efficacemente affrontata.
Il documento, elaborato sulla base dei temi trattati
durante la Conferenza, ha dato enfasi al fatto che
la dipendenza da droghe è un fenomeno dinamico,
un problema di salute pubblica, e che genera violenza nella società.
Purtroppo, la scienza sembra aver rinunciato a
considerare la spiritualità come fattore di protezione contro l’uso di droghe, tanto nella prevenzione quanto nel recupero e reinserimento sociale,
mentre è evidente quanto sia fondamentale il contributo delle religioni non solo in questo campo,
ma anche nella definizione e implementazione delle
Politiche Pubbliche.
L’America Latina è da sempre promotrice di una
pastorale che promuove la cultura della pace, della
fraternità e della solidarietà umana. Le istituzioni
religiose rappresentano uno spazio di accoglienza
e appoggio spirituale, affettivo ma anche materiale
per le diverse necessità presentate dalle comunità.
La Chiesa ha fatto la scelta preferenziale dei poveri, dei giovani e degli emarginati, e i giovani con
dipendenza di droghe si inseriscono in questa
scelta e meritano di essere rispettati nella loro dignità di esseri umani.
Con la sua autorevolezza, la Chiesa ha grande potere di sensibilizzare, mobilitare e orientare le persone sul problema dell’uso di droghe e le sue
conseguenze per la società.
Considerando ciò, con il documento abbiamo chiesto
alla Chiesa di continuare a
guardare le persone con dipendenza con un “cuore che
vede”, sollecitando i suoi Pastori a essere la Voce della
Speranza insieme a coloro
che soffrono di questo male.
La Chiesa, fedele agli insegnamenti del suo Maestro,
assuma la missione di aiutare
le persone a liberarsi dagli
effetti disumani della dipendenza, per vivere pienamente
la dignità che Dio ha conferito loro.”
L’Associazione, che ha operato in Libia e continua ad
operare in Nigeria, Costa d’Avorio, Mozambico,
Tanzania, ha accolto con gioia le parole del Papa
nel documento post-sinodale Africae Munus che,
al n.140, recita:
“Le istituzioni sanitarie della Chiesa e tutte le persone che vi lavorano a diverso titolo si sforzino di
vedere in ogni malato un membro sofferente del
Corpo di Cristo. Difficoltà di ogni genere sorgono
sul vostro cammino: il numero crescente di malati,
l’insufficienza dei mezzi materiali e finanziari, la
defezione degli organismi che vi hanno lungamente
sostenuto e vi abbandonano, tutto questo vi dà a
volte l’impressione di un lavoro senza risultati tangibili. Cari operatori sanitari, siate portatori dell’amore compassionevole di Gesù alle persone che
soffrono! Siate pazienti, siate forti e abbiate coraggio! Per quanto riguarda le pandemie, i mezzi
finanziari e materiali sono indispensabili, ma applicatevi anche senza sosta a informare e formare
la popolazione e soprattutto i giovani.”
Una spinta per andare avanti superando le difficoltà
che si incontrano.
Le Associazioni del nostro progetto, Casa Famiglia
Rosetta, Terra Promessa, L’Oasi, non hanno voluto
mancare all’incontro con il Papa a Madrid, in occasione della XXVI Giornata Mondiale della Gioventù
del 2011.
Giovani feriti dalla vita e portatori di speranza. Così
raccontammo sulla nostra rivista quella straordinaria esperienza:
Un altro sogno che si realizza per la grande famiglia di Casa Rosetta, Terra Promessa e l’Oasi: partecipare alla 26° Giornata Mondiale della
Gioventù che ha avuto luogo a Madrid dal 16 al
21 agosto scorso.
Un’altra occasione per sentirsi parte viva della
Chiesa, un altro evento importante da custodire tra
i ricordi più cari, come quello della partecipazione
al Giubileo delle persone disabili di alcuni anni fa.
Ventidue ragazzi, accompagnati da alcuni operatori, hanno costituito la piccola ma significativa
“delegazione” che, insieme alle altre centinaia di
migliaia di giovani provenienti da tutto il mondo, si
è stretta intorno a Benedetto XVI, il Papa instancabile nell’esortare le nuove generazioni alla speranza e all’impegno per la costruzione di un
mondo migliore.
Nei giorni precedenti all’evento si respirava
nelle strutture un’aria di grande attesa, di formidabile entusiasmo, di gioiosa partecipazione.
Giovani sieropositivi, con disabilità psichica o
motoria, con problemi di dipendenza da droghe
e alcol, minori in condizione di disagio o stranieri, condividevano le medesime aspettative e
si preparavano ad essere parte di quel grande
mosaico di storie, sogni, progetti, creatività, ritrovata fiducia nel futuro, che da sempre caratterizza il grande popolo delle GMG.
“Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede”:
il tema della Giornata è stato quasi un manifesto che raccontava il riscatto delle molte storie
personali di cui i nostri ragazzi sono portatori.
Ha offerto loro l’opportunità di dimostrare che
è possibile riprendere in mano la propria vita,
creare per sé un nuovo progetto e crederci, realizzarlo ed offrirlo al mondo per mostrare che
nulla si perde di ciò che Dio ha voluto e amato
da sempre.
Casa Famiglia Rosetta, Terra Promessa, l’Oasi,
sono luoghi nei quali ciascuno si sente amato,
accolto, protetto e offerto di nuovo alla vita, nei
quali questo amore di Dio si fa concreto e diventa casa, persone che si occupano di te, spazio di speranza in un futuro possibile.
Arrivati a Madrid, i nostri giovani sono confluiti
nel grande mare di volti gioiosi che costituiscono, come dice il Papa, l’unica vera ricchezza
di cui la Chiesa ha bisogno: giovani pronti a
fare l’esperienza di Gesù risorto e vivo, compagno di cammino, per crescere nella fede e nell’amore.
Pubblichiamo qui di seguito la testimonianza di
Tiziana Riganelli, residente in una delle nostre
Strutture.
“Quella a cui mi è stata data la possibilità di
partecipare è stata, ai miei increduli occhi, una
enorme festa di colori, di gioia per la vita, con
balli, canti, bandiere, da ogni parte del mondo.
Un grande incontro di giovani da tutto il mondo
promosso dalla Chiesa Cattolica, una grande
festa della fede che celebra l’allegria dell’incontro personale dei giovani con Cristo, riuattorno al suo Vicario in terra, il Papa.
I giovani devono essere sempre di più i protagonisti di una continua e nuova evangelizzazione, evangelizzazione che avvenne secoli or
sono da diverse parti del mondo e di cui Cristo
è la pietra angolare.
Giovanni Paolo II disse: “La Chiesa del silenzio ha smesso di esistere. Ora parla per mezzo
della mia voce.” Si vedeva in lui l’intimità con
Dio, la sua pace interiore, il suo umile ma mai
nascosto buon umore.
Ho sentito Dio vicino a me, un Dio che mi è accanto, che mi cerca, mi aspetta, mi guarda, mi
perdona, un Dio che mi dà la vita. Insomma, un
Dio che ho ritrovato insieme a questi giovani,
che ho portato con me. Un incontro che a tutti
può cambiare la vita.
E se qualcuno può avere qualsivoglia forma di
scetticismo per queste mie affermazioni, provi,
provi con fede e certamente non rimarrà deluso.
Insomma, un incontro tematico e pastorale che
riflette la ricchezza variegata dell’apostolato
dei giovani nella Chiesa.
Infine, da questa meravigliosa esperienza vis-
cessità immediata: gli affamati devono essere
saziati, i nudi vestiti, i malati curati in vista
della guarigione, i carcerati visitati, ecc. Le Organizzazioni caritative della Chiesa, a cominciare da quelle della Caritas (diocesana,
nazionale, internazionale), devono fare il possibile, affinché siano disponibili i relativi mezzi
e soprattutto gli uomini e le donne che assumano tali compiti. Per quanto riguarda il servizio che le persone svolgono per i sofferenti,
occorre innanzitutto la competenza professionale: i soccorritori devono essere formati in
modo da saper fare la cosa giusta nel modo
giusto, assumendo poi l'impegno del proseguimento della cura. La competenza professionale è una prima fondamentale necessità,
ma da sola non basta. Si tratta, infatti, di esseri umani, e gli esseri umani necessitano
sempre di qualcosa in più di una cura solo tecnicamente corretta. Hanno bisogno di umanità. Hanno bisogno dell'attenzione del cuore.
Quanti operano nelle Istituzioni caritative della
Chiesa devono distinguersi per il fatto che non
si limitano ad eseguire in modo abile la cosa
conveniente al momento, ma si dedicano all'altro con le attenzioni suggerite dal cuore, in
modo che questi sperimenti la loro ricchezza
di umanità. Perciò, oltre alla preparazione professionale, a tali operatori è necessaria anche,
e soprattutto, la « formazione del cuore »: occorre condurli a quell’incontro con Dio in Cristo che susciti in loro l'amore e apra il loro
animo all'altro, così che per loro l'amore del
prossimo non sia più un comandamento imposto per così dire dall'esterno, ma una conseguenza derivante dalla loro fede che diventa
operante nell'amore.”
La vita monastica feconderà il suo insegnamento, il suo silenzio accompagnerà il
nostro cammino.
suta, ho motivo di ritenere che tale cammino,
questa verità e questa vita, si confermano come
gli unici valori per le generazioni che nel futuro
si affacceranno sullo scenario della storia.”
In uno sguardo che abbraccia il mondo intero, Papa Benedetto XVI ci offre straordinarie piste, capaci di costruire una società
solidale, attraverso lo stile del dono e della
gratuità, della cooperazione e della solidarietà, come ci insegna nella Caritas in veritate.
Teologia ed economia, ortodossia in armonia con l’ortoprassi.
Espressione di grandissima sensibilità
umana e della pedagogia dell’amore si rivela il n. 31a dell’enciclica Deus caritas
est:
“Secondo il modello offerto dalla parabola del
buon Samaritano, la carità cristiana è dapprima semplicemente la risposta a ciò che, in
una determinata situazione, costituisce la ne-
Gennaio - Marzo 2013
Inaugurato all’Eremo Don Limone
“IL MURO DEL VASAIO”
Domenica 3 marzo, l’Eremo “Don Limone” in Serradifalco ha ospitato un evento di grande rilievo
artistico e culturale: è stata, infatti, inaugurata
l’opera “IL MURO DEL VASAIO”, dell’artista slovacco Peter Porazik, scultore che, in Italia dal
2003, si è formato a Bratislava, Praga e Varsavia,
ed ha esposto le sue opere nelle più importanti
città europee.
I bassorilievi in terracotta, posti nel giardino della
meditazione dell’Eremo, raffigurano eventi e personaggi legati sia ad eventi di portata storica
nella Chiesa cattolica che significativi per l’Associazione Casa Famiglia Rosetta: la celebrazione
dell’Anno della Fede indetto da Benedetto XVI, il
50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, il 25° anniversario di fondazione della
Comunità “Santa Maria dei Poveri”.
Con la proclamazione dell’anno della fede, si sostanzia l’esortazione del pontefice a testimoniare
in pienezza la fede nell’oggi della storia. Straordinariamente importante, poi, l’anniversario di
inizio del Concilio Ecumenico Vaticano II, un
evento cruciale che fu considerato da alcuni una
vera e propria rivoluzione nella vita della Chiesa.
Infine, un evento fondamentale per Casa Rosetta: la fondazione, a Caltanissetta, 25 anni fa,
Gennaio - Marzo 2013
della comunità di laici
consacrati “Santa Maria
dei poveri”, a servizio dei
più piccoli e dimenticati,
in una donazione totale di
sé al Signore nel riserbo,
avendo al centro la teologia dell’Incarnazione e
ispirandosi allo stile della
Santa Famiglia di Nazareth.
Un percorso, dunque,
quello tracciato dall’opera
d’arte, che inserisce idealmente il cammino di Casa
Famiglia Rosetta e del suo
fondatore, Don Vincenzo
Sorce, nel solco del cammino della Chiesa universale.
La suggestiva intitolazione dell’opera è ispirata
ad un brano del Libro del
profeta Geremia che recita: “Ecco, come l'argilla
è nelle mani del vasaio,
così voi siete nelle mie
mani, casa d'Israele.”
(Ger 18, 7). Una rappresentazione forte, singolare
ma
anche
confortante della condizione umana: l’uomo
che è plasmato da Dio e
che da Lui viene ogni
volta riplasmato con pazienza, recuperato alla
sua dignità e al progetto
originario che Dio stesso
ha preparato da sempre
per ogni sua creatura.
Da dodici anni al servizio
della cultura, dell’accoglienza, della spiritualità,
l’Eremo continua ad
ospitare eventi culturali
di importante rilievo, riconfermandosi
luogo
privilegiato di riflessione
e laboratorio di idee.
Un’occasione importante, allora, quella di domenica, per valorizzare il ruolo educativo dell’arte e
della bellezza che elevano l’animo, stimolano le
intelligenze, aiutano a leggere e a raccontare la
fede.
Presentato all’Eremo Don Limone il volume
“TEILHARD DE CHARDIN
una proposta di senso per il futuro dell’umanità ”
Lunedì 28 gennaio 2013, presso il Centro di
Formazione e Spiritualità “Eremo Don Limone” in C.da S. Lucia – Serradifalco il Prof.
Calogero Caltagirone ha presentato il volume
a cura di Vincenzo Sorce “Teilhard de Chardin. Una proposta di senso per il futuro dell’umanità”, pubblicato da Salvatore Sciascia
Editore all’interno della Collana “Studi e Ricerche”.
Il volume raccoglie tutti i contributi offerti alla
riflessione dei qualificati e numerosi partecipanti durante l’omonimo Convegno di Studio
organizzato dall’Associazione Casa Famiglia
Rosetta e dalla Fondazione “Alessia”- Istituto
Euromediterraneo, e svoltosi dal 30 settembre al 1 ottobre 2011.
Pierre Teilhard de Chardin (1881 – 1955), gesuita, filosofo e paleontologo francese, fu conosciuto in vita soprattutto come scienziato
evoluzionista, ed ebbe notorietà come teologo soltanto dopo la pubblicazione postuma
dei suoi principali scritti che descrivono le sue
convinzioni teologiche e scientifiche.
All'età di undici anni entrò in un collegio di
gesuiti dove svolse gli studi letterari, filosofici
e infine matematici, fino all'anno 1899 allorché prese la decisione di entrare nel noviziato
della Compagnia di Gesù.
Dal 1905 al 1908 cominciò ad interessarsi alla
geologia, alla paleontologia e alla teoria dell'evoluzione. Nel 1911 fu ordinato prete. Nel
1918 pronunciò i voti solenni.
Un anno dopo ottenne i diplomi in geologia,
botanica e zoologia per la laurea in "Scienze
Naturali" alla Sorbona di Parigi.
Nel tentativo di conciliare la teoria evoluzionista e la dottrina del peccato originale,
espresse opinioni non conformi alla dottrina
ufficiale della Chiesa. I superiori del suo ordine, con un provvedimento disciplinare, lo
costrinsero a dimettersi dall'insegnamento di
materie filosofico-teologiche, lo invitarono a
non pubblicare più nulla su questi temi e gli
imposero il trasferimento in Cina, dove si era
già recato nel 1923 per conto del "Museo di
Storia naturale di Parigi", e dove rimase per
vent’anni.
Nel 1946 ritornò a Parigi dove fu nominato direttore di ricerca al "Centre national de la Recherche scientifique". Nel 1948 le autorità
della Chiesa gli rifiutarono l'autorizzazione a
proporre la sua candidatura ad una cattedra
al Collège de France, e lo invitarono a lasciare
la Francia.
Si trasferì a New York nel 1951 dove fu nominato collaboratore permanente della "Wenner-Gren Foundation for Anthropological
Research".
Stabilitosi stabilmente negli Stati Uniti, dopo
pochi anni morì; fu sepolto nel cimitero della
casa noviziale dei gesuiti a Saint Andrew on
Hudson (oggi Hyde Park of New York).
Pochi giorni prima di morire, in una sua ultima lettera esprimeva l'idea di volere scrivere
un saggio, "Umanesimo e umanesimo", in cui
avrebbe espresso l'idea di un nuovo umanesimo, ispirato all'uomo pienamente evoluto
che si eleva al di sopra di sé per raggiungere
il suo vero fine nell'essere sovra-umano.
Paolo VI in un discorso sui rapporti tra scienza
e fede si riferì a Teilhard come ad uno scienziato che, proprio nello studio della materia,
fosse riuscito a «trovare lo spirito», e come
la sua spiegazione dell'universo manifestasse,
anziché negare, «la presenza di Dio nell'universo quale Principio Intelligente e Creatore».
Ancor più recentemente, Papa Benedetto XVI
ha affermato che quella di Teilhard fu una
grande visione ovvero per cui alla fine avremo
una vera liturgia cosmica, e il cosmo diventerà ostia vivente: è l'idea della noosfera.
Il teologo francese e cardinale Henri de
Lubac, in accordo con l'omelia del Papa, ribadisce i collegamenti tra il pensiero del gesuita
con quello di San Paolo.
Ai giorni nostri, la vita, l’opera e il pensiero di
Teilhard de Chardin, costituiscono un punto
di riferimento fondamentale per moltissimi
scienziati, filosofi e teologi contemporanei.
Il volume curato da Don Sorce raccoglie i contributi di
studiosi
italiani annoverati
tra i mass i m i
esperti del
pensiero
teilhardiano: il
Prof. Massimo Naro,
docente
presso la
Pontificia
Facoltà
Teologica
di Sicilia di
Palermo, il
Prof. Lodovico Galleni, docente presso l’Università di
Pisa, il Prof. Fiorenzo Facchini dell’Università
di Bologna, il Prof. Carlo Cirotto, dell’Università di Perugia, il Prof. Sergio Rondinara, docente presso l’Istituto Universitario “Sofia” di
Loppiano (Firenze), il Prof. Carmelo Dotolo,
proveniente dalla Pontificia Università Urba-
niana in Roma, il Prof. Umberto Nizzoli dell’Università di Bologna, lo stesso Don Vincenzo Sorce, il Prof. Calogero Caltagirone,
chiamato a presentare il lavoro.
Fondatore e Presidente di Casa Famiglia Rosetta, Don Vincenzo Sorce è stato direttore
dell’Ufficio Catechistico Diocesano, dell’Istituto di Scienze Religiose e della Sede di Caltanissetta dell’Università LUMSA. Ha
insegnato presso la Facoltà Teologica di Sicilia e, attualmente, è docente nell’Istituto Teologico di Caltanissetta. Da diversi anni è
membro del Comitato Scientifico Organizzatore delle Settimane Sociali dei Cattolici.
Ricercatore di Filosofia Morale, il Prof. Calogero Caltagirone concentra la sua attività di
ricerca sulla questione antropologica ed etica,
entro la quale vengono analizzati i rapporti tra
i saperi scientifici contemporanei e la comprensione dell'uomo inteso come totalità
biopsichica secondo l'ordine dell'intero antropologico. L’obiettivo è quello di sviluppare,
nel quadro di una antropologia
fondamentale, il senso dell’essere dell’uomo
che, mediante l’esperienza etica, vive la sua
tensione verso l’umanizzazione e la realizzazione di una vita compiuta.
Tra le sue pubblicazioni, Monografie di carattere filosofico e Monografie di carattere teologico.
Gennaio - Marzo 2013
Celebrazione della Giornata mondiale del Malato:
Casa Rosetta offre al territorio un nuovo servizio
L’11 febbraio si celebra in tutto il mondo la
Giornata del Malato, iniziativa della Chiesa Cattolica per ravvivare l'attenzione quotidiana dei
credenti e dell’intera società, verso chi è sofferente e chi se ne prende cura, sostenendoli con
la propria carità.
L’obiettivo è quello di sensibilizzare il Popolo di
Dio e, di conseguenza, le molteplici istituzioni
sanitarie cattoliche e la stessa società civile,
alla necessità di assicurare la migliore assistenza agli infermi, ma anche di coinvolgere in
maniera particolare le diocesi, le comunità cristiane, le Famiglie religiose nella pastorale sanitaria.
Soltanto favorendo l'impegno sempre più prezioso del volontariato sarà possibile far meglio
comprendere l'importanza dell'assistenza,
anche religiosa, agli ammalati, da parte di
quanti vivono ed operano accanto a chi soffre.
Il tema scelto per l’anno 2013 si ispira alla parabola del buon Samaritano, icona dell’amore
al prossimo nella gratuità.
E in coincidenza con l’evento, l’Associazione
Casa Famiglia Rosetta ha dato l’avvio ufficiale
ad un nuovo servizio, l’Ambulatorio di Neurofisiopatologia ospitato presso il Villaggio Santa
Maria dei poveri in C.da Bagno.
La Neurofisiologia è la disciplina medica che si
occupa della diagnosi funzionale delle malattie
del cervello, del midollo spinale, dei nervi e dei
muscoli mediante l’utilizzo di esami strumentali.
L’Ambulatorio di Neurofisiopatologia dedicato a
mons. Angelo Rizzo, defunto Vescovo di Ragusa, si pone come risposta alla richiesta di
servizi medico-specialistici per la diagnosi e la
terapia delle principali patologie neurologiche.
Il laboratorio è dotato di moderne attrezzature diagnostiche per elettroencefalografia,
elettroneurografia ed elettromiografia.
L’elettroencefalogramma (EEG) è un esame
non invasivo che permette di registrare l’attività elettrica del cervello. Viene utilizzato in
tutti i casi di sospetta sofferenza encefalica
dovuta alle più svariate cause (neurologiche,
metaboliche, vascolari ecc.).
L’Elettromiografia (EMG) è un esame clinicostrumentale per la diagnosi delle malattie neuromuscolari. Viene condotto da un medico di
area specialistica neurologica con competenze
anatomiche, fisiologiche e cliniche del sistema
neuromuscolare, ed esperto di strumentazioni
e tecniche elettroniche.
L’Ambulatorio è aperto dal lunedì al venerdì,
dalle 9.00 alle 13.00.
Lo staff del Servizio, sotto la direzione sanitaria
della Dott.ssa Luisa Giglia, è composto dai neurologi Dott.ssa Simona Scalia e Dott. Giovanni
De Luca e dall’infermiere professionale Mario
Sferrazza.
Tutte le informazioni relative all’ambulatorio
possono essere acquisite presso il sito web dedicato: www.neurofisiopatologia.org
gliore coordinazione motoria, l’apprendimento di tecniche
artigianali, il riapprendimento delle attività quotidiane.
Qualunque occupazione è considerata valida, purché giovi
al paziente e venga adattata alle sue possibilità.
L’attività costituisce un insieme di azioni terapeutiche significative legate tra loro dalla presenza continua degli
operatori che ne colgono il significato e lo riconducono
all’elaborazione e all’integrazione con i momenti di confronto collettivo e operativo.
Il lavoro diviene così un vero e proprio agente terapeutico
sia dal punto di vista psicologico che da un punto di vista
dell’apprendimento e dell’addestramento professionale.
Lo svolgimento di un’attività produttiva è di grande valore poiché mira al miglioramento dei livelli di autostima
dei pazienti che, utilizzando la loro
manualità, vengono gratificati nel
vedere che con le loro energie
sono in grado di portare a termine
lavori e compiti via via sempre più
impegnativi.
L’ergoterapia prevede lo svolgimento dei lavori in una dimensione
di gruppo, all’interno di uno spazio
dedicato, in un tempo stabilito, determinato da regole e da ritmi, ma
costituisce anche un contesto educativo e di osservazione
attento ad assecondare
le attitudini, le inclinazioni ed il gusto dei singoli.
In definitiva, laboratorio
e produzione offrono un
contributo positivo alla
valorizzazione delle potenzialità residue e alla ristrutturazione della personalità delle persone in trattamento; qualcosa di familiare e di attraente che consente un migliore
recupero psicofisico utile anche ad accrescere l’autostima
e recuperare sani rapporti relazionali.
Così si esprime il curatore nell’ introduzione al volume:
“ Il lavoro è espressione della dignità della persona ed è rivelatore delle sue energie, delle sue capacità espressive,
della sua creatività, della capacità di partecipare alla continuità dell’opera creativa di Dio.
Ed anche la persona che vive particolari esperienze di disagio è capace di esprimersi e di dare il suo contributo a
che quanto è nascosto nella natura possa essere rivelato
e svelato.
Le Associazioni Casa Famiglia Rosetta,
Terra Promessa e L’Oasi, come spazi
umani privilegiati per le persone in difficoltà, stimolano e promuovono la creatività delle persone che ne fanno parte,
accompagnandone la progressiva capacità di essere protagoniste e rivelatrici di
straordinarie risorse.
Arte, bellezza, fantasia si possono sprigionare dal disagio e possono contribuire
al manifestarsi dello splendore della
Pubblicato il volume a cura di Don Vincenzo Sorce
“Creatività e terapia. Esperienze nel pianeta disagio”
È stato pubblicato, all’interno della Collana “Biblioteca di
Solidarietà” delle Edizioni Solidarietà, il volume a cura di
don Vincenzo Sorce “Creatività e terapia. Esperienze nel
pianeta disagio”.
Si tratta di una raccolta di esperienze e testimonianze redatte da diversi operatori impegnati in differenti Servizi
dell’Associazione: Case Famiglia per minori o disabili, Centri di Riabilitazione Neuropsicomotoria, Comunità Terapeutiche per tossicodipendenti, Case Alloggio.
Sono assistenti sociali, psicologi, educatori professionali,
terapisti della riabilitazione che utilizzano, all’interno di un
più generale piano riabilitativo ed educativo, anche l’ergoterapia come strumento di promozione e valorizzazione
della persona e delle sue abilità.
L’ergoterapia è una metodica riabilitativa ed educativa
che, attraverso la formazione al lavoro della persona in
trattamento, risulta efficace sia nella cura di alcune malattie psichiatriche, sia nella riabilitazione in senso più
ampio.
È indicata in tutti gli ambiti della rieducazione e del riadattamento sociale e professionale e il suo scopo è quello
di restituire ai pazienti la loro indipendenza e di guidarli
nel processo di adattamento alla loro condizione di disagio o di svantaggio, con l’obiettivo di superarla.
L’ergoterapia si basa sul lavoro come mezzo per ottenere
l’obiettivo prefissato, ad esempio, la ricerca di una mi-
Gennaio - Marzo 2013
creazione.
Il presente lavoro ne è documento e
stimolo.
Frutto di passione, di condivisione, di
capacità di creare.
Il risultato di un lavoro corale e di sorprese straordinarie.
Per aiutare a meravigliarsi ancora.”