nicola intonti ei moti del 1820-21 in capitanata

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nicola intonti ei moti del 1820-21 in capitanata
NICOLA INTONTI
E I MOTI DEL 1820-21 IN CAPITANATA
La facilità con cui la rivoluzione del 1820-21 si propagò ed il successo,
anche se effimero, che ottenne quasi senza colpo ferire, costituirono motivo di
profonda riflessione e, nello stesso tempo, di costante timore per Ferdinando
di Borbone quando fu rimesso sul trono del Regno delle Due Sicilie, dopo la
vittoria di Rieti del 7 marzo 1821 delle truppe austriache del generale Frimont
sui volontari napoletani del generale Guglielmo Pepe. Fino alla sua morte, avvenuta nel 1825, la principale preoccupazione del re fu quella di "estirpare fin
dalle radici" le sette carbonare e in questa opera scelse come suoi diretti collaboratori prima Antonio Capece Minutolo, principe di Canosa e, poi, un oscuro
funzionario di polizia, già intendente della Capitanata, Nicola Intonti, le cui
passate vicende, però, offrivano, come vedremo tra poco, sicure garanzie di
profonda avversione nei confronti dei carbonari. Ed entrambi non delusero le
aspettative del sovrano per la ostinazione con la quale perseguitarono i responsabili di ciò che avvenne nel nonimestre, ma, mentre abbastanza noti sono i
motivi per cui il principe di Canosa - usò ogni mezzo per "comprimere il maltalento e l'audacia" dei carbonari, meno palesi sono quelli per i quali Intonti,
pur senza ricorrere a violente misure repressive, fu quasi ossessionato dal pensiero che i carbonari costituissero una costante minaccia per la sicurezza dello
Stato e per conoscerli bisogna riportarsi a ciò che accadde a Foggia nei primi
giorni del luglio 1820.
Nella Capitanata le vendite carbonare erano particolarmente fiorenti e il
loro notevole contributo alla organizzazione dei moti viene sempre più messo
in evidenza da recenti acquisizioni di materiale archivistico. I dati ufficiali parlano di 4.833 iscritti alle sette carbonare su una popolazione complessiva di
111.337 abitanti, mentre a San Severo i settari erano 1.000 su 16.000 abitanti 1.
Per quanto concerne poi le categorie sociali alle quali apparte1 - Zurlo a Intonti, Foggia 25 ottobre 1823, A.S.F. Polizia Serie 2a, F 64.
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nevano le possiamo desumere dal prospetto "degli aggregati approssimativi
delle diverse opinioni politiche delle classi e delle masse "che l'intendente di
Capitanata trasmise al ministro di polizia. Dai dati riportati per "classi" si rileva
che erano per "lo liberalismo" i due terzi dei "proprietari gentiluomini" e dei
"professori"; un quarto dei "proprietari massari" e degli "artefici"; un quinto dei
"negozianti" e appena un cinquantesimo degli agricoltori. Mentre per le "masse" il rapporto tra i carbonari e coloro che erano per "la monarchia assoluta"
era di 1 a 22 nella Capitanata e di 1 a 23 nel distretto di San Severo 2.
Come è facile dedurre, il nucleo principale dei carbonari della Capitanata
era costituito da piccoli e medi proprietari terrieri e da professionisti e cioè da
quella borghesia provinciale che, uscita rafforzata dalle profonde trasformazioni sociali operate durante il decennio francese, si era inserita come terza forza
tra la grossa borghesia terriera, da sempre detentrice del potere, e le tartassate
masse contadine. Questa nuova classe sociale aveva, in un primo momento,
riposto tante speranze nel rientro a Napoli di Ferdinando di Borbone per ottenere concreti riconoscimenti sul piano politico ai fini di una attiva partecipazione all'amministrazione dello Stato. Viste però disattese le proprie aspettative,
delusa, per una vibrata forma di protesta, confluì nelle sette carbonare che già
proliferavano in tutto il regno sin dall'epoca murattiana. Ma erano carbonari
anche i contadini e il basso clero, tutta gente maturata dai grossi avvenimenti
del 1799 e dal decennio francese, e non mancavano elementi turbolenti ed inclini alla violenza ed anche briganti comuni 3. Ed era proprio contro costoro
che Nicola Intonti (1781 - 1839), allora intendente di Capitanata, si trovò a dover lottare e il li perseguitò con particolare accanimento, cercando fino all'ultimo di mandare a monte i loro piani sovversivi. Perciò, quando scoppiò la rivolta, il primo pensiero dei carbonari, in special modo dei sanseveresi, fu quello di
fargliela pagare una volta per tutte. Il 5 luglio 1820 Ro2 - Zurlo a Intonti, Foggia 25 ottobre 1823, stesso fascio.
3 - Va ricordata a questo proposito la connivenza che c'era tra Venusi, Picucci e
D'Ambrosio e il brigante Antonio De Nigris e la sua banda composta di 19 individui, che
spesso si rifugiava a Ripalta.
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dinò, Venusi, D'Ambrosio, Greco e Del Sordo Michelangelo insieme ad altri
noti carbonari di San Severo, alla testa di alcune centinaia di rivoltosi, si recarono a Foggia dove Rodinò, sottindentente di San Severo, fece circondare il palazzo dell'intendente, dichiarandolo decaduto dalla sua carica. Era anche intenzione di Rodinò passare per le armi Intonti e a questo scopo fece firmare la sua
sentenza di morte da un buon numero di Gran Maestri carbonari della provincia. Ma la Suprema Magistratura della Daunia non approvò l'esecuzione di Intonti, il quale, nel frattempo, si era rifugiato nel palazzo di Celentano, dove veniva sorvegliato a vista da un gruppo di carbonari di San Severo e di Serracapriola comandati da Giovanni D'Ambrosio di San Severo che "con ceffo di
assassino si presentò più volte al signor Intonti con i suoi seguaci incutendogli
timori colla minaccia di morte" 4. È facile immaginare quale fu in quei giorni lo
stato d'animo di Intonti, che, come si legge ancora nel rapporto "passò le ore in
continui palpiti", fino a quando, grazie all'aiuto di amici fidati, eludendo la sorveglianza dei suoi guardiani ed evitando anche un agguato tesogli sempre dal
Rodinò, la mattina dell'8 luglio riuscì a raggiungere Manfredonia, dove si imbarcò su "un legno" appositamente noleggiato per 500 ducati che lo portò a
Trieste.
Questi drammatici momenti che Intonti visse a Foggia devono certamente aver scosso il suo animo, ed è probabile, per non esprimere una sicurezza che in casi come questi non è mai lecito avere in maniera categorica, che
abbiano profondamente influito sulle decisioni che, non molto tempo dopo,
ebbe a prendere come ministro di polizia. Infatti, ristabilito l'ordine nel paese,
Intonti fece una rapida e brillante carriera e, subito dopo l'allontanamento del
Canosa dal ministero della polizia generale per i noti eccessi nel perseguitare i
carbonari, fu nominato, con l'appoggio del Medici, nel settembre 1821 commissario generale per la capitale e la provincia di Napoli, poi, dal maggio 1823,
direttore interino del ministero di polizia e, finalmente, dal dicembre 1824, ministro di polizia. Detenne questo enorme potere per circa dieci anni e sotto tre
sovrani: Ferdinando I,
4 - Lapiccola a Monteiasi, San Severo 20 settembre 1821, A.S.F. Polizia Serie 1a, F
31 ter, f 690.
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Francesco I e Ferdinando II, fino agli inizi del 1831, quando, in relazione alla
situazione europea scossa dagli avvenimenti francesi e belgi, tentò di provocare
le dimissioni del governo che, secondo lui, non sarebbe stato in grado di resistere al malcontento generale. Intonti osò fare queste proposte al consiglio dei
ministri l'11 febbraio e appena cinque giorni dopo, per espresso ordine del re,
dovette lasciare il regno. Comunque l'ascesa di Intonti al massimo vertice della
polizia borbonica rappresentò un duro colpo per i carbonari della Capitanata e
in modo particolare per quelli di San Severo, ben noti al nuovo ministro di polizia, i quali non avevano ancora completamente abbandonato l'idea della rivolta armata. Lo spirito pubblico in Capitanata, dunque, dove era stato inviato
come intendente Biase Zurlo 5, pur non presentando in superficie alcun segno
di notevole turbamento, rimase inquieto ed agitato proprio a causa di quanto
avveniva nel distretto di San Severo. E in uno dei suoi primi rapporti a Intonti,
Zurlo, dopo aver presentato come "generalmente buona" la situazione della
provincia, scrive: "Solo per San Severo mi rimane qualche dubbio" 6.
Ciò preoccupò il ministro che subito dopo, con la circolare n° 3757 del
2 agosto 1823, richiese a tutti gli intendenti gli "stati nominativi" di tutti coloro
che erano ritenuti irriconciliabili con "il prescritto sistema politico del regno".
Zurlo compilò un elenco dei carbonari e nel trasmetterglielo ebbe a scrivere: "Il
distretto di San Severo, che fu uno dei più effervescenti, ha richiamato sempre
la mia particolare vigilanza" 7 e ciò perchè vi figuravano, tra gli altri, quelli che
Intonti definì "carbonari d'alto bordo" e cioè Venusi Paolo, D'Ambrosio Gi ovanni, Greco Onofrio e Ricci Vincenzo di San Severo 8; Venetucci Giustiniano
di Torremaggiore; Picucci Paolo di San
5 - Uomo di notevole capacità e competenza, uno dei migliori funzionari della polizia borbonica, fratello del più celebre Giuseppe, ministro del nonimestre.
6 - Zurlo a Intonti, Foggia 31 maggio 1823, A.S.F. Polizia Serie 1a, F 29, f 628.
7 - Zurlo a Intonti, Foggia 25 ottobre 1823, già citata.
8 - Non compaiono in questo elenco altri noti carbonari di San Severo come Cavalli Vincenzo, Iannantuono Giovanni e Panunzio Filippo, perchè arrestati tutti in "mezzo alla piazza" la notte tra il 18 e il 19 agosto 1823 "per tentata ricostituzione di setta carbonara". Manca anche il nome di Gaetano Rodinò arrestato fin dal maggio 1821 e, dopo
un periodo trascorso nelle carceri di S. Maria Apparente di Napoli, rinchiuso nelle prigioni di Lucera in attesa del processo.
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Paolo; i fratelli Diego e Domenico Ricci di Serracapriola; il medico condotto
Palumbo Raffaele, originario di San Severo, e Cera Leonardo di San Marco.
Tutte vecchie conoscenze di Intonti, il cui solo nome bastava a fargli rivivere
quei tristi giorni del luglio 1820. E ciò che gli dava più pensiero era che molti di
costoro godevano piena libertà di azione. Ecco quindi le sue raccomandazioni
a Zurlo di sottoporre a stretta sorveglianza le "persone turpi" e di segnalargli
ogni minima novità che riguardasse in modo particolare i fratelli Ricci, D'Ambrosio e Picucci per i rapporti che mantenevano, tramite don Raffaele Pappone
di S. Giuliano, con i carbonari del distretto di Larino. Egli non si diede mai
pace fino a quando questi uomini, dei quali aveva personalmente sperimentato
la decisione nell'agire, erano nella condizione di poter tramare contro lo Stato.
Ed anche quando riuscì a metterli tutti nella impossibilità di agire (Venusi morì
nelle carceri di Lucera, Rodinò e Greco erano rinchiusi nelle stesse carceri, Ricci Vincenzo in quelle di Foggia e D'Ambrosio era latitante) dalle disposizioni e
dai suggerimenti che continuamente inviava ai suoi subalterni traspare una eccessiva preoccupazione che influì negat ivamente sul suo operato. E a questo
proposito acutamente scrive l'Ulloa: "... agli intendenti si inculcavano vigilanza
e rigore. Era trasfondere le paure che Intonti inoculava alla corte e tornavano
riflesse nel governo" 9.
Dopo tutto le sue vere e proprie angosce erano anche giustificate dalle
manifestazioni di vitalità della carboneria in alcune parti del regno, non esclusa
la Capitanata, dove, fin dai primi tempi della restaurazione, si verificarono alcuni episodi degni di nota. Nel settembre 1821, infatti, l'intendente dell'Aquila
Antonio Capece Minutolo scrisse all'intendente di Foggia Spinelli che presso
San Severo, in località Torre dei giunghi, nel trappeto dell'ex convento dei Celestini, ormai diruto, esisteva un deposito di armi predisposto dai carbonari di
San Severo per essere prelevato dai carbonari abruzzesi 10.
9 - P.C. ULLOA, Il regno di Francesco I, a cura di R. Moscati, Napoli 1933, p. 34.
10 - Capece Minutolo a Spinelli, L'Aquila 22 settembre 1821, A.S.F. Polizia Serie
2a, F 36.
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Nel maggio 1824, poi, un tale Cosimo De Vita di Rutino, in provincia di
Salerno, un delinquente comune che sotto falso nome si era fatto assumere
come guardiano, denunciò a Zurlo che nella masseria di Vesciglito, distante
sette miglia da San Severo sulla strada che porta a Lucera e appartenente a Luigi Del Sordo, si era costituita una setta di cui era Gran Maestro Raffaele Bottazzi. Gli altri carbonari erano lo stesso Del Sordo Luigi, Tondi Carlo, La Cecilia Giovanni, Venusi Antonio, fattore della masseria, Bottazzi Gaetano, un tale
mastro Domenico di mestiere forgiaio, un certo don Emanuele (forse Emanuele Sammarco) e il bandito De Nigris. Ciò però preoccupava anche le autorità di
polizia per i turbamenti che poteva arrecare alla pubblica tranquillità, era l'esistenza della setta dei calderari. Istituita nel 1816 dal principe di Canosa, quando
era ministro della polizia, perchè si opponesse ai carbonari "in difesa della religione e della monarchia legittima", la setta aveva come simbolo una caldaia
sotto la quale "brucia e si consuma il carbone". I calderari erano armati e costituivano pertanto una sorta di milizia privata, che poteva da un momento all'altro provocare un ritorno a stragi sanfediste. Perciò Intonti faceva sorvegliare
anch'essi nella persuasione che "tutto ciò che sentiva di setta era un male per lo
Stato". L'esistenza di questa setta a San Severo era stata segnalata già nel 1817,
ma di essa poi non si è saputo più nulla fino a quando nel dicembre 1824, durante una perquisizione fatta nelle celle delle carceri di San Severo, dal sottocustode Pellegrino Domenico, non furono invenute carte che ne attestavano l'attività. Della setta calderara facevano parte, fra gli altri, i detenuti Tondi Antonio, Scesa Luigi, Misco Pasquale e fra Arcangelo da Vico. Tra le carte furono
trovati "catechismi e istruzioni" e un ordine del giorno, vero e proprio delirante
programma che, firmato dal marchese Circello 11 e
11 - Allontanato il Canosa, con decreto del 27 giugno 1816 l'interim del ministero di
polizia venne dato al marchese di Circello.
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datato Napoli 2 febbraio 1821, esponeva in modo abbastanza esplicito, gli scopi
per i quali era sorta la setta reazionaria 12.
Fra carbonari e calderari c'era, dunque, uno stato di continua tensione se,
ancora nel 1828, lo scopo principale di una nuova setta di carbonari sorta a San
Paolo nella farmacia di Schiavone Giovanni di San Severo, che ne era il Gran
Maestro, era, stando alla denuncia fatta da Tosiani Nicola al sottintendente di San
Severo, quello di "vilipendere a avvilire quanto prima i calderari" 13.
Ebbene tutto questo fermento preoccupava Intonti che vedeva carbonari
un po' dovunque se continuava ad inviare circolari allo scopo di inquisire intere
categorie o singole persone onde accertare eventuali responsabilità nella organizzazione di nuove sette. Persino le congreghe e le confraternite vennero sottoposte a controlli di polizia. Il 9 febbraio 1825 Intonti scrive a Santangelo, nuovo
intendente di Capitanata: "Si è avuto luogo di scorgere che delle congregazioni di
pia istituzione erano cominciate a degradare in adunanze poco religiose ed indecenti, con qualche immiscenza settaria, così che sotto il pretesto di attendere alle
opere di pietà e di beneficenza, vi si alimenta la corruzione" 14.
Il sottintendente di San Severo Como Camillo, dopo accurate indagini,
scrisse nel suo rapporto che tutto era normale nelle con12 - Lo stesso documento, però anonimo e senza data, è stato pubblicato da
Gemma Caso in La carboneria di Capitanata, Napoli 1913, pag. 101. Vi è, comunque, tra i
due qualche lieve differenza dovuta alle trascrizioni a cui è stato sottoposto il testo originale. Riporto perciò il documento da me rinvenuto, oltre che per la sua importanza storica, anche per renderne possibile un confronto con quello della Caso.
"Ordine del giorno. È tempo ormai l'ostilità cominci con molti nemici. Le circostanze lo
esigono e noi non dobbiamo perderci di coraggio, quantunque i nostri bravi siano al di
sotto del loro numero. La protezione di cui godiamo ci deve empire di entusiasmo e di
coraggio. Cristiani nulla importa lo sterminio de' ribaldosi repubblicani, quando a spogliarci de' nostri beni e macchiar l'onor nostro e privarsi di vita. Tutto ciò che operiamo a
pro della Croce e del Trono sarà tutto perdonato. Preme un tal sentimento ornarci di
coraggio, attività e zelo. Non si rende delitto il togliere di vita un inimico dell'umanità,
della Religione e del Trono. Seguite l'armi de' nostri bravi fratelli e li perseguirete da nemici dell'ordine della nostra santa religione conosciuto dall'amabilissimo sovrano. Procuriamo di scoprire i capi e quindi alla morte. Dietro un tal successo vi auguro che sarete
anche voi per dimostrar lo stesso attaccamento, avendo li bracci della libertà e non della
religione, ci benedica.
Napoli 2 febbraio 1821. Il marchese Circello, A.S.F. Polizia Serie 2a, F 70.
13 - Santangelo a Intonti, Foggia 2 settembre 1828, A.S.F. Polizia Seria 1a, F 394, f
3224.
14 - Intonti a Santangelo, Napoli 9 febbraio 1825, A.S.F. Polizia Serie 2a, F 74.
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fraternite di San Severo (che erano tre: del Carmine, del Soccorso e della Morte) e anche in quelle del distretto, le quali, seguendo il loro regolamento, questuavano "tanto in numerario che in cereali e del tenue prodotto una parte si
cede a beneficio dell'orfanotrofio nei giorni del S. Natale, della Pasqua e dei
Morti, restando il rimanente impiegato a supplire alle spese per la cera, l'organista, il sacrestano, il padre spirituale, le messe d'obbligo e la riparazione degli
arredi sacri" 15.
Poi ancora, temendo "un ravvivamento delle speranze dei liberali non
ravveduti, prodotto dalle alterazioni nelle fantasie irrequiete", impartisce rigide
disposizioni affinchè "i funzionari di polizia addetti a' rispettivi capoluoghi di
provincia e di distretto girando pe' comuni ne osservino destramente con occhio perspicace lo stato morale, le tendenze, la varietà e la preponderanza delle
opinioni e tutt'altro che rientri nell'analisi dello spirito pubblico" 16. Ma il terrore che gli incutevano le sette segrete si manifestò in modo assai evidente in un
"ordine di servizio" in cui affermava: "Mi si è dato avviso che veggasi spesso
circolare delle persone aventi le basette fin sotto il mento e gli abiti guarniti di
bottoni di metallo con figura di animali, vuolsi che tali soggetti possano essere
emissari di società segrete e facciano uso dei dinotati segni esteriori come un
distintivo di riconoscenza che non l'espone a compromissioni" 17.
Infine, richiamandosi ad una ministeriale del 18/8/1826 in cui sollecitava la compilazione di uno "stato dei soggetti i più attendibili dalla polizia",
chiede ancora "note di coloro che per marcata inemendabilità ne' sentimenti
professati un tempo di nonimestre poteano considerarsi come perniciosi alla
tranquillità pubblica ne' casi di qualche eventuale conturbamento" 18.
E "lo stato de' settari della provincia di Capitanata" che Santangelo gli
trasmise in data 12 settembre 1828 è il più ricco di nomi
15 - Como a Santangelo, San Severo 6 gennaio 1827, A.S.F. Polizia Serie 2a, F
74.
16 - Intonti a Santangelo, Napoli 6 marzo 1828, A.S.F. Polizia Serie 1a, F 69, f
950.
17 - Intonti a Santangelo, Napoli 26 luglio 1828, A.S.F. Polizia Serie 1a, F 350,
f 2618.
18 - Intonti a Santangelo, Napoli 15 febbraio 1828, A.S.F. Polizia Serie 1a, F
350, f 2613.
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e di notizie che ci sia pervenuto sui carbonari della nostra provincia. Ormai
tutti i settari erano schedati e le loro mosse attentamente sorvegliate dalla polizia borbonica opportunamente stimolata dall'Intonti, il quale, in fondo, riucì,
prima di essere destituito dal suo incarico, a raggiungere lo scopo che si era
prefisso, perchè nel 1830 la carboneria era quasi completamente scomparsa dal
regno.
GIUSEPPE CLEMENTE
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