Numero_3 marzo_2013 - Diocesi di Brindisi
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Numero_3 marzo_2013 - Diocesi di Brindisi
Redazione: piazza Duomo, 12 Brindisi Anno XXXVI n° 3 E-mail: [email protected] 15 Marzo 2013 tel. 340.2684464 | fax 0831.524296 € 1,00 Spedizione in A.P. - art. 2 - c.20 - L.662/96 In caso di mancato recapito inviare al CDM di Brindisi per la restituzione al mittente previo pagamento Resi Il Cardinale argentino Jorge Mario Bergoglio è il nuovo Vescovo di Roma Papa Francesco Ampio Speciale alle pagine 11-14 15 marzo 2013 3 Vita Diocesana Il Messaggio dell’Arcivescovo per la Santa Pasqua L a celebrazione della Pasqua di quest’anno è arricchita dal grande dono che lo Spirito ha fatto alla Chiesa, il dono di Papa Francesco. Prima della elezione del nuovo Pontefice, tutto il mondo si esercitava in umane previsioni, in conclusioni di pensiero o nella lettura delle situazioni. Alla fine, però, lo Spirito Santo ha rotto questi ragionamenti e queste posizioni, tirando fuori una scelta che ha meravigliato tutti. La bellezza risiede nel fatto che solo da Dio nascono le cose nuove, le uniche che possono portare la meraviglia e la gioia nel cuore dell’uomo. I primi passi e i primi gesti compiuti da Papa Francesco ci hanno fatto intravedere un’esistenza, all’interno della Chiesa, che diventa più autentica nella sua semplicità. La scelta stessa del nome di Francesco, porta dentro di sé qualcosa che fa diventare il Vangelo più trasparente. San Francesco è stato definito un Vangelo «sine glossa», cioè senza commento, un Vangelo completamente limpido corrispondente alla sua vita, un Vangelo vivo. Il Vangelo ha dentro la forza di dare all’uomo questa originalità, questa gioia, questa bellezza, questa novità. L’uomo spera in un futuro e in un domani migliore, ma le sole speranze non portano da nessuna parte. Solo le speranze legate a ciò che Dio compie nella vita dell’uomo e nella sua storia, danno un fondamento alle nostre attese. È proprio questa la bellezza dell’annuncio della Pasqua. Dio ha posto la cosa nuova, cioè ha posto Gesù nella storia dell’umanità, la pietra viva, quella pietra che è stata scartata dai pensatori, dagli organizzatori del mondo. Il Signore l’ha scelta come base di un edificio nuovo che è la Chiesa, di un edificio che resterà per sempre. Noi dobbiamo tacere, diventare piccoli e umili per lasciare al Signore la libertà di farsi presente nella nostra vita. Solo così avremo la gioia, la libertà di pensare tutte le cose e permettere che il Signore venga a regnare nel cuore di ciascuno di noi e nei nostri ambienti: nella famiglia, nella società, in ogni luogo in cui ci sia bisogno. Anche la politica, che costituisce la testa in un organismo, ha bisogno di purificazione e di conversione, per restituire fiducia all’uomo. Solo il Signore Risorto può donarci la forza di un ribaltamento, solo Lui può portare la novità. Esorto tutti coloro che vivono i drammi e le fatiche quotidiane ad avere coraggio, a cercare la soluzione dei loro problemi in Colui che Dio ha posto nella storia dell’uomo, Gesù Risorto, il quale ha assunto su di sé l’umanità, la debolezza e il peccato per portarci ad uno splendore, ad una luce, ad una libertà che solo Lui, con la grazia dello Spirito, è capace di donarci. La ricostruzione parte dalle piccole cose, cioè dal nostro cuore, dal «sì» alle cose giuste, vere, buone, dall’amore autentico presente nel cuore di ciascuno di noi. La vera speranza passa attraverso un cuore rigenerato. Dal coraggio di fidarci delle piccole cose nasce veramente la possibilità di un futuro in cui trovi spazio Dio. Pasqua, nella vita di ciascuno di noi, significa ripartire da questo incontro con l’opera di Dio. Il dono di Papa Francesco ci pone in continuità con la Pasqua, una Parola per ciascuno, accolta in una fede che sia autentica, vera, capace di fare spazio all’opera di Dio nella propria vita. Brindisi, 19 marzo 2013 Solennità di San Giuseppe + Domenico CALIANDRO Arcivescovo 4 Vita Diocesana 15 marzo 2013 beni culturali Numerosi visitatori nella sede recentemente allestita a S. Teresa il 12 marzo L’Arcivescovo ha incontrato le Comunità del Cammino Neocatecumenale Comprendere l’opera di Dio nella propria vita Le Giornate nazionali dei Musei ecclesiastici S i é svolta in tutta Italia, sabato 2 e domenica 3 marzo 2013, la prima edizione delle Giornate nazionali dei Musei ecclesiastici: due giornate di apertura libera e gratuita, ideate dall’AMEI, Associazione Musei ecclesiastici italiani, per dare evidenza alla peculiare categoria dei musei ecclesiastici e promuoverne la conoscenza e la valorizzazione. Una grande novità nell’ambito della più generale iniziativa, denominata Anno 2013-Musei in Rete, pensata per unire tutte le istituzioni museali ecclesiastiche che, con il loro impegno costante, contribuiscono a vivificare il territorio italiano. Patrocinata dell’Ufficio Nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana e dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, l’iniziativa è stata presentata in conferenza stampa presso il Museo diocesano di Milano, lo scorso 21 febbraio, dal Presidente nazionale dell’AMEI, monsignor Giancarlo Santi, alla presenza di monsignor Stefano Russo, direttore UNBCE della Cei, e dell’arch. Roberto Cecchi, sottosegretario al MiBAC. A questo momento di grande condivisione ha partecipato anche il Museo diocesano “Giovanni Tarantini” dell’Arcidiocesi di Brindisi-Ostuni e l’occasione di aderire all’apertura straordinaria per le due giornate della manifestazione è stata promossa dall’Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici diocesano e curata dall’associazione Ar.Tur., con il contributo di Eliconarte Servizi per l’Arte e la Cultura, Società di Storia Patria per la Puglia, Gruppo Archeologico Brindisino. Grande interesse e attenzione ha dimostrato la risposta dei partecipanti – numerosissimi, infatti, sono stati i visitatori singoli e quelli organizzati in gruppo, ma anche i nuclei familiari intervenuti al completo - accolti dalla qualificata competenza degli operatori culturali che hanno offerto il servizio di guida durante le visite, nella sede recentemente allestita presso la chiesa di Santa Teresa degli Scalzi, a Brindisi. Anno 2013-Musei in Rete costituisce il primo progetto di rete intorno a un tema individuato a livello nazionale e fina- Giovani studenti in visita al Museo diocesano lizzato a rendere visibile la rete di tutti i musei ecclesiastici, che conta oltre mille realtà, dalla Sicilia alla Valle d’Aosta, spesso ingiustamente escluse dagli itinerari turistici abituali e che, invece, custodiscono un vero e proprio tesoro di arte e cultura. Peculiarità di questi musei è il forte radicamento che essi stabiliscono con la comunità di riferimento e il loro ruolo di ‘presidio’, se così si può dire, dell’identità di quella comunità stessa, religiosa ma anche culturale nella più ampia accezione, di chi in quel territorio ci abita o di chi semplicemente vi transita. Oltrepassare la soglia di questi musei vuol dire vincere un pregiudizio; lasciarsi sorprendere da ciò che questi luoghi conservano ed espongono; ricomporre significativi frammenti della storia personale e collettiva, materiale e immateriale, che il patrimonio di arte sacra racconta. Le celebrazioni che ricorrono nel 2013, per l’anniversario dell’Editto di Costantino, hanno suggerito l’idea di un percor- so progettuale a scala nazionale, condiviso e ispirato al tema costantiniano nel suo significato originario, alle sue conseguenze per la storia del Cristianesimo, anche in relazione alla contemporaneità: Costantino 313 d.C.. Tra le iniziative in corso, la mostra organizzata dal Museo Diocesano di Milano, allestita a Palazzo Reale: Costantino 313 d.C.- L’editto di Milano e il tempo della tolleranza, un evento espositivo di rilievo internazionale, che sta suscitando un forte interesse da parte del pubblico, della critica e dei mass media. Il museo “Giovanni Tarantini” dell’Arcidiocesi di BrindisiOstuni, a partire dal 4 maggio 2013, proporrà Costantino 313 d.C.- L’invenzione della Santa Croce e sviluppi iconografici, una serie di iniziative, di cui è in corso la calendarizzazione, che ruotano attorno ad un articolato progetto educativo incentrato sul tema della Croce e sul suo rinvenimento da parte di Sant’Elena, finalizzate a valorizzare il patrimonio storico-artistico diocesano come risorsa educativa, poiché esiste un’eccellenza diffusa sul territorio, accanto all’eccellenza delle opere in mostra nelle diverse istituzioni museali, di cui l’iniziativa proposta da AMEI intende dar conto. Il programma dettagliato prevede una serie di percorsi a tema, con visite guidate a vari edifici di culto, conferenze e, dal 13 al 21 settembre 2013, una settimana di incontri di approfondimento. Tutto ciò nell’ottica della specifica missione che il Museo diocesano esprime verso le comunità locali, sollecitandone la rilettura del territorio e animandone il dialogo con la società contemporanea nelle sue diverse espressioni individuali e istituzionali, a motivo di quella sua peculiare connotazione di luogo aperto alla relazione tra sensibilità, fedi e culture diverse, che parla a ciascuno in forma adatta a lui e trasforma il fruitore in ambasciatore della propria cultura. Manuela Zammillo scuola socio-politica Il prof. Danilo Urso tiene una relazione di estrema attualità Alterazioni climatiche ed energia, rispettare le regole L o scorso 16 febbraio, presso l’auditorium “Mons. Elio Antelmi” dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Brindisi, si è tenuto un incontro sul tema “Alterazioni climatiche ed energia”. Il prof. Danilo Urso, docente universitario e certificatore degli impianti energetici, ha prospettato gli aspetti problematici e le responsabilità connesse alla vita e lo sviluppo del territorio brindisino. Il nodo principale della questione ruota attorno ad alcuni bisogni dell’uomo che per vari motivi, a Brindisi, si compromettono l’un l’altro: il bisogno di crescita e di sviluppo con il bisogno di vivere in una città salubre ed ecosostenibile. Il prof. Urso ha precisato che dal punto di vista dei principi non c’è da fare molto in quanto tutto è scritto nei documenti della dottrina sociale della Chiesa e dai vari protocolli internazionali (protocollo di Kyoto, Autorizzazione Integrata Ambientale, etc.). Sviluppo ed eco-sostenibilità risultano essere a Brindisi ancora parole utopiche e inconciliabili. Scendendo più in profondità ci accorgiamo che il problema sostanziale non sia tanto l’assenza di normativa quanto il mancato rispetto di queste ultime. A Brindisi, ha continuato il prof. Urso, non viene rispettato il limite di emissione di CO2, ma addirittura superato a livello esponenziale i limiti imposti. Lo sviluppo industriale, nel nostro territorio, ha subito enormemente le conseguenze di scelte calate dall’alto per le così dette “ragioni di stato”; tutto ciò non ha fatto altro che fermare un possibile sviluppo della realtà territoriale in quanto, venendo a mancare quell’auto-determinismo economico, pian piano la vocazione imprenditoriale è venuta meno; la produzione energetica a Brindisi si può considerare un servizio e non un prodotto, servizio perché non ha a che fare con la città, non c’è produzione locale e quindi crescita economica per la città e non promuove ulteriore sviluppo. Bisogna essere vigili per non abboccare all’amo di chi propina la teoria del carbone pulito, va da sé che il carbone in 5 Vita Diocesana 15 marzo 2013 quanto tale è sempre dannoso per la salute dell’uomo e dell’ambiente. In questa direzione fu fatta la proposta del famoso “ progetto pilota” con l’obiettivo di non immettere più CO2 in atmosfera, ma anche questo progetto è risultato uno specchietto per le allodole in quanto la cattura della CO2 se non va in atmosfera andrà a finire nel sottosuolo e inoltre è impensabile attuarlo nella nostra città in quanto un simile progetto a pieno regime può catturare solo 80 mila tonnellate all’anno. La nostra centrale a Brindisi ne produce oltre i 15 milioni di tonnellate annue. Per non parlare poi dell’ormai stagnante pensiero di collettivizzare i costi, mentre gli utili vengono privatizzati. Dove possiamo trovare la soluzione? Certamente la troviamo nella nostra affezione alla verità in quanto cattolici, ma soprattutto con la corresponsabilità derivata dallo studio di quelle che sono le risorse economiche compatibili con una sistema rispettoso dell’ambiente. E come città, ha concluso il prof. Urso, dovremmo impegnarci per far sentire la nostra voce chiedendo, a chi produce energia nel nostro territorio, di reinvestire i capitali nella città per poter quanto meno giungere ad un passo in più verso una cittadinanza attiva, vigile e responsabile. Il futuro non è il domani, è quell’oggi di cui dovevamo occuparci ieri. Don Alessandro Donno M ons. Domenico Caliandro, lo scorso 12 marzo, ha incontrato le Comunità Neocatecumenali della Diocesi presso S. Maria del Casale. È stata celebrata una semplice ma intensa liturgia della Parola che ha visto partecipi numerosi fratelli di Brindisi, Ostuni, San Pancrazio e Veglie. All’Arcivescovo sono state presentate le comunità e i carismi che sono germogliati in esse: presbiteri, suore e famiglie sparse nel mondo per la missio ad gentes. Quanti frutti in questi anni, in cui la Diocesi, ha visto succedersi dei Pastori saggi che, illuminati dal Vaticano II, hanno accolto con gioia e lungimiranza questo Cammino di iniziazione cristiana per adulti che riscopre e recupera la ricchezza del Battesimo. Il Cammino Neocatecumenale nasce dall’esperienza di Kiko Arguello a partire dal 1964 tra i più poveri, tra i baraccati di Palomeras Altas, alla periferia di Madrid e giunge nelle nostre città nel 1974, dove viene annunciata una sintesi kerigmatico-catechetica, che dà luogo alla formazione di piccole comunità cristiane, che cominciano a vivere – come la Sacra Famiglia di Nazareth – in umiltà semplicità e lode, dove “l’altro è Cristo”. Mons. Caliandro, visibilmente contento, ha ascoltato con attenzione le testimonianze dei fratelli che hanno raccontato come stanno imparando a comprendere l’opera di Dio nella loro vita, sperimentandone l’infinita misericordia. Tanti i giovani presenti. Alcuni di loro da diversi mesi hanno iniziato a pregare con il rosario e lo fanno quotidianamente davanti al Tabernacolo della loro parrocchia per sostenere con la preghiera i fratelli impegnati nel mondo per la missio ad gentes. Nel cuore della liturgia l’Arcivescovo ha proclamato la prima lettura del giorno tratta dal capitolo 47 del Libro di Ezechiele e ha rivolto ai presenti una riflessione incentrata su due parole: tempio e acqua. Ci ha invitati a leggere questo brano della Parola di Dio alla luce del messaggio donatoci da Gesù Cristo, vero tempio e luogo da dove sgorga l’acqua della salvezza e della vita eterna. Guardando a Lui crocifisso e scoprendo la miseria dei nostri limiti – che a volte ci fanno volare basso – possiamo gustare la gioia della resurrezione insieme con Lui dai nostri peccati. Nicola Moro L’Arcivescovo accolto dalle comunità © A.Leo locorotondo L’Arcivescovo ha incontrato la comunità della cittadina barese Una chiesa orante a misura di Cristo e a servizio dell’uomo L a terra, la povertà, il sacrificio: sono i tre concetti la riflessione della necessità di una Chiesa chiave che hanno colpito al cuore e preso alla pancia orante fatta più a misura di Cristo e a servidei locorotondesi nel primo incontro pubblico tra il zio dell’uomo, che non pura ritualità fine a se nuovo Arcivescovo, Mons. Domenico Caliandro, e la costessa. E l’entusiasmo dei partecipanti non si munità cristiana dell’unico Comune della Provincia di Bari è fatto attendere al termine della celebrazioche ricade nella Diocesi di Brindisi - Ostuni. ne. Il legame con l’ulivo e con la pietra, elementi fondamenIl nuovo Arcivescovo ha colpito i fedeli per tali del paesaggio locorotondese e cari al nuovo Pastore per la limpidezza dei concetti espressi con la la sua origine geografica di provenienza, vicina a questa massima chiarezza, offrendo una pagina di comunità, richiamati durante l’omelia della terza domecatechesi semplice e comprensibile a tutti, nica di Quaresima, hanno contraddistinto e marcato l’inma allo stesso tempo motivo di riflessione gresso del nuovo Vescovo nella Chiesa Madre San Giorgio proclamando la necessità e l’urgenza della Martire. conversione a cui il Signore invita con passioIl richiamo all’autenticità e soprattutto all’essenzialità che ne il suo popolo, i suoi figli, i suoi discepoli: l’uomo ritrova in Cristo, dando senso e contenuto alla proquanto Dio ha compiuto in passato si rinnova L’Arcivescovo saluta i fedeli presenti alla celebrazione pria vita terrena, è stato il filo rosso che Mons. Domenico “oggi” nella celebrazione. ha voluto tracciare nella sua omelia, lo scorso 3 marzo. I Il saluto ai fratelli ammalati al termine della fedeli delle tre Parrocchie della Vicaria foranea di Locorotondo, San Giorgio, Santa Fami- Santa Messa, la serenità e soprattutto la giovialità e cordialità con cui si è presentato Mons. glia e San Marco, guidati dai rispettivi Parroci, insieme alla partecipazione corale di tutti Domenico, stringendo le mani dei tantissimi presenti nella chiesa matrice di Locorotoni sacerdoti a servizio di questo lembo di terra, e di tutti i preti, giovani e anziani, originari do, ha fatto riscoprire un legame antico e sempre nuovo. Questa comunità, ai confini della di questa città, hanno accolto Mons. Domenico in una occasione speciale in cui si è avuto Diocesi di Brindisi-Ostuni, ha respirato, in una preghiera partecipata, aria di adesione al modo di ribadire quel tratto distintivo che dovrebbe caratterizzare qualsiasi comunità cri- progetto condiviso che è quello del Vangelo, e di appartenenza alla grande famiglia cristiastiana, e cioè l’unità. na che è la Chiesa. Alla celebrazione erano presenti numerosi fedeli e, tra gli altri, i rappresentanti dei diversi Sui volti dei fedeli si leggeva la gioia di avere accolto in mezzo a noi un Padre, che ricorda movimenti, dei gruppi parrocchiali e delle associazioni cittadine, oltre ai rappresentanti il profumo di casa e di famiglia. istituzionali della pubblica amministrazione. La solenne semplicità della liturgia, l’omelia detta dall’altare, la comunione data in primis ai fratelli ammalati scendendo in mezzo Dino L’Abate a loro: piccoli gesti che hanno suscitato commozione, richiamando, in chi era presente, MESAGNE Durante la novena in onore della Madonna del Carmine Primo incontro con la “Civitas mariae” U na catechesi su Maria protagonista della storia della salvezza, proprio nel giorno in cui la comunità cittadina si preparava a celebrare la sua patrona, la Madonna del Carmine, per aver preservato i cittadini dalla distruzione che un tremendo terremoto avrebbe potuto determinare. Per mons. Domenico Caliandro, non c’era giorno migliore per incontrare, per la prima volta dal suo ingresso in diocesi, la comunità di Mesagne, “Civitas mariae”. E lo ha fatto il 19 febbraio con una solenne celebrazione vespertina in chiesa madre, durante la quale ha subito ricordato il suo debito filiale nei confronti di mons. Armando Franco, quindi ha sottolineato, sulla scia degli orientamenti di quel presule, come il cammino all’unisono dei pastori, la comunione, sia condizione essenziale per una vita feconda del popolo di Dio. E sul concetto di comunione ha svolto alcune riflessioni, riferendosi a Maria, che ha creato quella «fratellanza necessaria», a cui fare sempre riferimento, mentre «il peccato è esattamente il contrario: è allontanamento dal cuore, dalla vita e dal Mistero di Dio». Maria è madre della Chiesa – ha ripreso – ed ha riflettuto come lei sia il «compimento dell’Antico testamento» e l’apertura della nuova storia. «Quando lei recita il Magnificat – ha detto – se osserviamo bene, ci sono tante parti che altre donne della Scrittura hanno detto prima di lei, ma lei le compie; è la sintesi: è la serva di Israele, la nuova Gerusalemme». Non solo: «Lei compie le promesse e arriva ad accogliere Gesù: lo accoglie nella fede, nel suo corpo e sta accanto a Gesù per tutta la vita. E quando ai piedi della Pubblicazione periodica Reg. Tribunale Brindisi n. 259 del 6/6/1978 Proprietario-Editore Arcidiocesi di Brindisi-Ostuni Questo periodico è associato alla Unione Stampa Periodica Italiana La celebrazione © Enzo Neve Croce le si dice, mostrandole Giovanni: ‘Ecco tuo figlio’, diventa madre di tutti noi, madre della Chiesa e di tutti i credenti”. In questo modo, quindi, ha spiegato cosa sia la fede: “Non è un‘io’, ma un ‘noi’, uno stare accanto: io e Gesù. Quindi quando il soggetto della nostra vita diventa un noi, diciamo: è un uomo di fede, perché avere fede significa fare come Maria, fare la volontà del Padre». Direzione: Piazza Duomo, 12 - Brindisi Tel. 340/2684464 - Fax 0831/524296 [email protected] Questo periodico è membro della Federazione Italiana Settimanali Cattolici Direttore Responsabile: Angelo Sconosciuto Coordinatore di Redazione: Giovanni Morelli Hanno collaborato: Daniela Negro, Antonella Di Coste Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 12 del 19 marzo 2013 Spedizione in abbonamento postale (art. 2 - comma 20 - legge 662/96) Abbonamento annuale: € 15,00 sul conto corrente postale n. 2784160 intestato a: ASSOCIAZIONE CULTURALE FERMENTO Piazza Duomo, 12 - 72100 Brindisi Responsabile del trattamento dei dati personali: Angelo Sconosciuto Stampa Martano Editrice s.r.l. Viale delle Magnolie, 23 - Z.I. Bari - Tel. 080/5383820 6 Vita Diocesana 15 marzo 2013 vicaria di mesagne Primo incontro dei giovani della città con l’Arcivescovo Caliandro La vita vissuta attraverso le grandi figure della Bibbia L a consulta di Pastorale Giovanile della Vicaria di Mesagne ha organizzato un percorso di incontri per giovani e giovani-adulti in preparazione alla Pasqua, per vivere meglio uno dei tempi più “forti” del cammino liturgico, la Quaresima. Gli incontri sono previsti tutti i lunedì di Quaresima a partire dal 25 febbraio. Tema chiave di tutto il percorso è “La fede vissuta attraverso le grandi figure della Bibbia”. Ogni incontro prevede un personaggio della Bibbia da prendere in esame per “conoscerlo” meglio e riflettere sul significato più profondo della Fede. Il primo incontro del 25 febbraio ha trattato la figura di Abramo, figura di “fede e coraggio”. In ogni incontro ci viene presentata la vita, i momenti salienti dell’esistenza di un personaggio della Sacra Scrittura che nella sua esperienza di Fede ha segnato un tratto importante nella storia del popolo di Dio. Lu- nedì 25 è stata la volta del “padre della fede”, Abramo. Grazie alle parole di don Marco Candeloro, che ci ha spezzato la Parola, abbiamo compreso quanto sia stato affascinante e tremendo fidarsi di Dio da parte di Abramo. Ogni serata viene anche “intervistato un testimone”. Testimone è colui che mostra la propria fede attraverso le opere: nel primo incontro infatti i numerosi giovani presenti hanno avuto la possibilità di parlare in videoconferenza con Renato Maizza, Missio- vicaria del salento I Giovani incontrano l’Arcivescovo Incrociare lo sguardo di Cristo I l giorno 28 febbraio nella parrocchia Sant’Antonio Abate di Veglie l’arcivescovo Domenico Caliandro ha incontrato noi giovani. L’incontro era incentrato su tematiche giovanili e, in particolar modo, sul significato e i mezzi con i quali raggiungere la felicità. Dopo la lettura del passo del Vangelo del “Giovane ricco” e il successivo commento, Sua eccellenza ha lasciato spazio a quanti volessero condividere i propri dubbi e riflessioni. Le domande erano incentrate sulla felicità, sul rapporto tra i giovani e la situazione economica attuale e sull’aspetto della vita interiore di ciascuno di noi. Ciò che ci ha colpito maggiormente è stato l’atteggiamento umile e informale assunto dall’arcivescovo nel porsi verso l’uditorio. Vogliamo ricordare in particolar modo il significato che egli ha attribuito al termine felicità intesa come meta da raggiungere attraverso la riflessione interiore puramente soggettiva; essa costituisce il conseguimento della più appagante soddisfazione dell’io. La ricerca della felicità comporta delle scelte che devono essere affrontate con coraggio e non con temerarietà: il coraggio, inteso come la capacità di fare delle scelte ponderate e riflettute nella vita, secondo Sua eccellenza, è in contrasto con la temerarietà, degenerazione dell’istinto. Nel corso del dibattito è emerso, inoltre, l’ormai comune tema del rapporto ragazzo-politica, nonché capacità dell’uomo di essere un buon cittadino del mondo, basandosi sui principi morali della Parola di Dio. Buon cittadino, secondo le parole di Caliandro, è colui che prende coscienza delle proprie possibilità e dei propri doveri, ambientandoli nella Comunità Cristiana. Soddisfatti delle risposte ottenute, l’auditorio ha ringraziato con un momento di gioia l’intervento di sua eccellenza. L’esperienza ha spinto i presenti alla ricerca della propria felicità interiore e a prendere atto del significato di comunità cristiana, seguendo l'esortazione rivoltaci a non abbassare lo sguardo come ha fatto il "Giovane ricco" ma ad incrociare lo sguardo di Cristo fino a lasciarci raggiungere il cuore. La comunità r/s del Veglie1 AGESCI Testimonianza I l primo incontro tra i giovani della vicaria del Salento ed il loro nuovo vescovo si è svolto giovedì 28 febbraio a Veglie, nella chiesa di Sant’Antonio Abate. Un incontro semplice, simpatico e divertente. Dopo aver riflettuto sul brano biblico del “giovane ricco” (Mt 19, 16-29), si è instaurato un dialogo tra il vescovo ed i giovani. Protagonista della serata è stata la felicità. I vari gruppi avevano già riflettuto, nei loro incontri parrocchiali, sul medesimo tema, ed erano scaturiti alcuni video ed alcune canzoni, uniti a delle domande da porre a Mons. Caliandro. «La strada per raggiungere la felicità – ha spiegato il vescovo – è fare ciò che piace, senza mai permettere a nessuno di dire ciò che si deve fare e chi si deve diventare! Nessuno deve ostacolare la nostra libertà! Ma esser liberi vuol dire fare delle scelte, ed avere il coraggio di scegliere. Il coraggio dipende da noi giovani: esso modella la nostra vita e n’è la sintesi». Dopo aver posto le domande, alcune delle quali scaturite da un video e da due canzoni (“che rumore fa la felicità”; “ho messo via”), Mons. Domenico Caliandro, ha concluso l’incontro, non prima di aver recitato con i giovani presenti l’Inno alla Vita composto da Madre Teresa di Calcutta. Durante il canto finale il Vescovo ha distribuito a tutti i partecipanti delle spillette con il logo dell’incontro. Mariangela Rossi Pede nario della Consolata presso Buenos Aires. Ma chi ha coinvolto tutti i giovani presenti all’incontro del 25 febbraio è stato Mons. Domenico Caliandro, nostro Arcivescovo, che è stato letteralmente sommerso di domande cariche di mille dubbi da parte dei numerosi giovani presenti. Un dialogo molto diretto, del tipo domanda-risposta, che ha coinvolto l’intera assemblea per quasi un’ora. “Come si può vivere meglio la propria fede?” “Come si può distinguere la voce di Dio?”, queste e tante altre le domande rivolte all’Arcivescovo che ha offerto, attraverso linguaggio che andava dai vertici della filosofia e teologia sino agli esempi pratici della vita di tutti i giorni, delle piste di riflessione da percorrere nella vita di ciascuno. Simone Solimeo salesiani Festa regionale preadolescenti Allegria+Bontà-Cattiveria=Santità nche quest’anno il A Movimento Giovanile Salesiano della Puglia si è dato appuntamento per la Festa dei preadolescenti. Quest’anno a fare da “casa” all’evento è stata la comunità di Brindisi. Il 10 marzo scorso, infatti, centinaia di giovani si sono lasciati guidare in un percorso fatto di accoglienza, giochi, attività e riflessioni ispirato al tema “A+B-C= SANTITÀ, (Allegria + Bontà – Cattiveria = Santità”). Alla festa hanno partecipato i giovanissimi di tutti gli oratori della Puglia dei Salesiani Don Bosco e delle Figlie di Maria Ausiliatrice, accompagnati dai loro responsabili e animatori. L’incontro si è tenuto presso l’oratorio salesiano di Brindisi dove, a partire dalle ore 9, c’è stata l’accoglienza dei ragazzi provenienti dalle varie case pugliesi: musica di sottofondo, colazione e divisione in squadre attraverso la consegna di una maglietta colorata con impresso un logo, uno diverso dall’altro. Tra un ballo e un altro, si è atteso l’arrivo di tutti i giovanissimi salesiani per iniziare poi, immediatamente, le attività previste dal programma. Dopo il benvenuto e la presentazione da parte degli animatori del tema “A+B-C= SANTITÀ”, i ragazzi sono stati divisi in squadre a seconda del logo e del colore della maglietta per poi dare il via al divertimento, alla nascita di nuove amicizie, alla condivisione, al supporto l’uno con l’altro e al “gioco” di squadra. Si è passati ai giochi a stand dove si dove “guadagnare” un gettone da inserire nella bottiglia di squadra che avrebbe poi determinato i vincitori. Da un gioco all’altro, da uno stand all’altro i giovanissimi si sono alternati cercando di portare alla propria squadra più punti possibili guadagnando non solo quelli, ma anche in gioia, in sorrisi, in esperienza, in crescita seppur stando lì solo per una giornata. Giusto una pausa per gustare il pranzo al sacco, scattare qualche foto a ricordo della giornata e delle nuove amicizie, e poi in campo per i balli di gruppo. Scatenati, animatori e ragazzi, hanno “digerito” le buone cose che avevano in zaino per poi rilassarsi un attimo e prepararsi alla celebrazione eucaristica tutti assieme e colorando la chiesa con magliette e sorrisi. Durante la Santa Messa presieduta dal direttore dell’oratorio di Brindisi, don Paolo Criseo, alcuni animatori del posto hanno portato in scena attraverso il personaggio di don Bosco ed alcuni suoi ragazzi il tema della giornata. Non sono mancati gli interventi e i ringraziamenti delle sorelle Figlie di Maria Ausiliatrice e dei sacerdoti per la giornata ricca e gioiosa donata ai ragazzi provenienti da ogni parte della Puglia che oltre alla stanchezza, sono tornati a casa con uno zaino colmo di ricordi, di una nuova esperienza e nuovi amici e di una strada per la Santità proprio come quella percorsa dai loro giovani coetanei, San Domenico Savio, Michele Magone e Francesco Besucco, tre dei giovani di Don Bosco. Antonella Di Coste 15 marzo 2013 7 Parrocchie guagnano I giovani si interrogano sul significato delle relazioni brindisi Giovanissimi e fede La parola “diretta” meglio di ogni telematica Il coraggio di testimoniare L’ uomo cammina, muove i suoi passi verso un nuovo orizzonte, spinto dalla ricerca del progresso e dell'autonomia. Si trova di fronte a straordinarie conquiste che entrano con forza nella sua vita: internet e i social network. Cosa fare? Opporsi energicamente, o approvare in modo servile? È innegabile il grande impatto sulla società odierna, sempre più avvolta nella "rete". Di certo vengono ampliate le conoscenze e accorciate le distanze, ma a scapito della vita sociale che si identifica con quella virtuale. Ormai basta un semplice click per farsi “teletrasportare” dalla propria scrivania a un'altra esistenza sicuramente più libera e spontanea. È in questa nuova agorà creata dai social network che l'uomo sociale può esprimere opinioni, pensieri e preoccupazioni, sempre protetto da uno schermo. Tuttavia i social network dovrebbero essere considerati per quello che sono: un ausilio nelle relazioni personali e non un mezzo che le sostituisce. Anche la Chiesa si è espressa in questo senso, proprio come suggerisce il Messaggio per la 47ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni: «come ogni altro frutto dell'ingegno umano, le nuove tecnologie della comunicazione chiedono di essere poste al servizio del bene integrale della persona e dell'umanità intera». Spesso, infatti, valori come l'amicizia perdono il loro significato intrinseco: ci si sente soli pur contando un gran numero di "amicizie" virtuali e si avverte un vuoto perché manca il principale elemento per comunicare e instaurare una vera relazione: la parola. Alla luce di ciò, la parrocchia Santa Maria Assunta di Guagnano, ha lanciato una nuova "sfida" creando un gruppo di giovani, luogo in cui potersi incontrare, confrontare, divertire con l'obiettivo di salvaguardare le relazioni dirette che sembrano tanto logorate dalla telematica. I giovanissimi con don Pierluigi Ruggiero I giovani di Guagnano con il parroco don Salvatore Innocente È importante evitare di isolarsi dalla società e limitare i rapporti con essa, perché rimane fondamentale continuare a stabilire contatti umani: l'uomo è pur sempre un "animale sociale". Abbracciando quasi l'esperienza "dell'Allegra Brigata", infatti, ognuno di noi approfondisce una tematica e la presenta agli altri, sviluppando un dibattito e favorendo lo scambio di opinioni che arricchisce se stessi e gli altri. Attualità, problematiche sociali, sport e interessi vari, solo per citare alcuni dei molteplici temi trattati. A proposito dei social network, dal dibattito sono emersi gli aspetti positivi e quelli negativi. La realtà virtuale è una grande risorsa se saputa utilizzare in maniera opportuna, senza ovviamente abusarne. Il rischio principale, infatti, è che questo mezzo diventi un fine e un idolo. Perciò solo se sarà popolata dai nostri valori, diventerà strumento di progresso e di emancipazione dell'umanità in direzione del bene comune. Veronica Leuci O ggi i giovani non riescono a relazionarsi con Dio perché non trovano nulla che fondi quanto detto nelle Sacre Scritture. La maggior parte dei ragazzi dice di non credere nel cristianesimo ma c’è una parte di essi che, seppure in minoranza, crede nella Chiesa e professa la fede cristiana. Un esempio di ciò può essere l’esperienza di fede che noi giovanissimi dell’Istituto Tecnico Industriale “Ettore Majorana” di Brindisi abbiamo vissuto nella giornata di sabato 3 marzo nella Cattedrale di Brindisi. Don Pierluigi, vice-parroco della Cattedrale, docente di religione presso la nostra scuola, ha celebrato con e per gli studenti, i docenti e il personale scolastico. Anche se non c’era un’ampia rappresentanza di noi studenti, siamo riusciti ad essere veri testimoni della fede di Dio. Ma quanto coraggio ci vuole per andare a messa quando nessuno dei nostri coetanei ci va? Quanto è difficile dedicare del tempo per gli altri mentre i nostri amici si divertono? Dobbiamo essere testimoni: esserlo significa annunciare con la parola e con la vita Gesù Cristo il suo messaggio. Colui che annuncia Cristo deve andare contro corrente e noi continueremo a professare la nostra fede senza mai vergognarci di Lui! Carlotta Tarlo e Ilaria Barbolla 8 Associazioni & Movimenti 15 marzo 2013 15 marzo 2013 9 Associazioni & Movimenti agesci Thinking Day 2013: Guide e Scout in festa per il grande Raduno della Zona “Messapia” Pregare vuol dire partecipare “H o sempre pregato per il Papa, ma in questi giorni prego ancor di più”. È questa, una delle dichiarazioni che si è potuto ascoltare nei giorni che hanno fatto seguito all’annuncio delle dimissioni che Benedetto XVI ha comunicato proprio nella Giornata Mondiale del Malato 2013 (11 febbraio). Ogni giorno nelle dimore dei sofferenti, “piccoli santuari oranti”, la “preghiera per il Pontefice” o “secondo le intenzioni del Papa” è parte integrante del rosario, che sostiene ed arricchisce la orazione liturgica della comunità celebrante che, nella recita del canone, eleva al Signore il “ricordo per la Chiesa…in unione con il Papa”. La preghiera, esperienza che manifesta una relazione filiale con il Signore, è la prassi cultuale che ogni sofferente vive nella sua esistenza, facendola diventare il ritmo della vita quotidiana (così come avviene nelle comunità religioni e/o monastiche). È nella preghiera che il credente trova la “sorgente” a cui attingere per dissetarsi e per rinfrescarsi anche, e soprattutto, nelle situazioni nelle quali l’avanzamento dell’età, l’incidenza di una malattia, le difficoltà riscontrare a causa della disabilità, lo strappo provocato dal lutto, richiedono una “fonte” capace di rinvigorire. Il corpo e lo spirito sono messi a dura prova. È la preghiera “lo strumento d’azione più potente” che il credente utilizza, anche, per intenerire ed intercedere la misericordia divina, avendo dichiarato il desiderio di “fare la Tua volontà, o Signore”. È con la preghiera che il fedele partecipa (è partecipe, ovvero soggetto attivo) allo sviluppo della Storia della salvezza collaborando e coadiuvando l’agire divino. Eppure può sembrare che si attribuisca poca importanza ed infruttuosa risposta alla preghiera. Cadiamo, anche noi, nell’errore di pensare che il mondo si cambia con le azioni, le rivoluzioni, con i progetti-piani (anche pastorali). Forse, è anche per questo che non abbiamo sempre la buona prassi di affidare alla preghiera la riuscita di un im- azione cattolica Giovani e spiritualità “Narrare il passato… radice del nostro futuro” pegno pastorale, di un avvenimento ecclesiale, di una esperienza che vede coinvolto un componente la comunità parrocchiale (si privilegia la preghiera di intercessione più che di affidamento). Affidiamo n maniera consapevole e motivata, anche ai sofferenti,l’impegno di sostenere il nuovo che ha bisogno delle loro preghiera e dell’offerta delle loro sofferenze, invitandoli a divenire coadiutori, soggetti partecipi, in questo momento importante nella vita della Chiesa universale. azione cattolica Assemblea diocesana Aprire il cuore a Dio Chiesa di tutti Chiesa dei poveri S Q uando il week end di spiritualità è iniziato, nel pomeriggio di sabato 2 marzo, diverse erano le attese dei partecipanti, giovani e adulti di Azione Cattolica: chi era venuto al Santuario di Jaddico per un momento di pausa dai ritmi abituali, chi per cercare un momento di pace, chi pronto a mettersi in ascolto della Parola di Dio. In ogni caso tutti desiderosi di stare alla presenza del maestro, di Gesù. Poi sono venute le parole a dir poco “inquietanti” di don Salvatore Tardio - assistente dei giovani di AC – il quale ci ha introdotti nel clima degli esercizi spirituali, spiegando come l’esperienza di Dio non può fermarsi all’epidermico senso di soddisfazione interiore, anzi è proprio il contrario. O un solo giorno o una settimana di esercizi sono un momento di grazia nel quale Dio vuole rompere false certezze e mettere in discussione scelte e modi di vivere, demolire una nostra idea di Dio per purificare la fede in Lui, anche quando ne sentiamo l’assenza. Perchè alla fine di un cammino di fede, e i santi ce lo insegnano, c’è il fidarsi solamente di Dio. Non le emozioni quindi, delle quali forse andiamo continuamente in ricerca, ma un atto di fede, perchè Dio, che pure abita in noi, solo alle volte tocca la nostra psiche (emozioni) rarissimamente il corpo (le lacrime, le stimmate, i volti trasfigurati...) ma è sempre presente. Dopo la consegna del silenzio, condizione indispensabile per l’incontro con il completamente Altro, tre meditazioni sul libro della Genesi, chiave di lettura di tutta la Sacra Scrittura, hanno preceduto e guidato la preghiera personale, la cui anima è stare gratuitamente a “perdere tempo” con Dio. Il clima di raccoglimen- to che la casa di spiritualità tenuta dai padri carmelitani offre, ha favorito l’ascolto, tenuto lontano dai rumori della quotidianità e ha permesso il raccoglimento e la preghiera. Le pagine toccanti del capitolo 3 di Genesi ci consegnano il peccato delle origini, o meglio l’origine del peccato, l’inganno che il maligno ha situato nel cuore dell’uomo, mostrandoci come quello che lì è un racconto, in realtà è il dramma interiore che ogni persona umana di ogni tempo vive: la seduzione del male, il dialogo col serpente, la lotta, la caduta. Ma Dio ha voluto riparare a tali conseguenze del peccato instaurando relazioni personali con l’umanità e dando così inizio alla storia della salvezza. Il ciclo di Abramo (Gn 11-23) è la risposta al peccato contro Dio. Il ciclo di Giacobbe (Gn 28-36) racconta la riparazione al peccato contro la fraternità, il ciclo di Giuseppe (Gn 37 e ss.) quella al peccato contro la terra. Dio sceglie di redimere l’uomo con una relazione personale con Lui, in un crescendo, sino alla donazione del suo unico Figlio, come meravigliosamente compendia la lettera agli Ebrei (ad esempio Eb 11). Nella preghiera abbiamo aperto il nostro cuore a Dio, per sentire il disgusto del peccato; per confrontare la nostra fede con la capacità di fidarci di Lui e delle cose impossibili; per riconoscere la paternità di Dio che è padre di tutti e dunque ci può essere riconciliazione con i fratelli. Resta a noi proseguire questi esercizi spirituali, per conservare come Maria nel nostro cuore quel silenzio che permette l’incontro personale con il Signore e affidarci alla sua Parola. Antonio D’Amone i è svolta sabato 16 febbraio scorso, l’annuale assemblea diocesana di Azione Cattolica, presso il teatro della parrocchia San Vito martire di Brindisi. La riflessione dell’associazione, nel cinquantesimo anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II, ha avuto come tema “Chiesa di tutti, in particolare chiesa dei poveri”. Dopo la preghiera che ci ha fatti entrare nella riflessione, l’assemblea ha avuto inizio con l’intervento del presidente diocesano, Piero Conversano, che ha, quindi, introdotto il relatore della serata, mons. Giuseppe Lorizio, professore ordinario di Teologia fondamentale presso la Pontificia Università Lateranense. La riflessione di mons. Lorizio si è inserita in un momento storico della Chiesa inedito e particolare, a pochi giorni dall’annuncio delle dimissioni di Benedetto XVI che non poteva non dare un taglio diverso alla serata. Parlare della Chiesa povera tra i poveri, quindi, non significa limitarsi alla sola povertà materiale, ma riflettere su altre povertà, forse meno evidenti, ma che ugualmente segnano la vita dell’uomo. Troppe volte, infatti, anche nelle polemiche che si rivolgono alla Chiesa, si punta l’attenzione sull’aspetto economico, (vedi anche il cosiddetto scandalo dello IOR) ma della povertà umana, della solitudine che attanaglia l’uomo di oggi e impoverisce il suo spirito, forse ci si dovrebbe occupare molto di più. Certo, il Concilio Vaticano II ha lanciato una riflessione profonda riguardo all’essere della Chiesa nel mondo, e in un mondo caratterizzato da grande complessità. Il racconto del cosiddetto patto delle Catacombe per una chiesa serva e povera ha segnato ancora più la riflessione dei presenti. Pensare a questo gruppo di vescovi che, a pochi giorni dalla chiusura di un Concilio che oggi leggiamo come rivoluzionario, si recano nelle Catacombe di Domitilla per firmare una dichiarazione ancora più rivoluzionaria in cui si impegnano ad abbandonare orpelli e privilegi in nome della coerenza evangelica e della scelta preferenziale dei poveri, ha suscitato profondo silenzio carico di riflessione nei presenti. L’assemblea ha avuto anche i suoi risvolti per tutte le età; mentre, infatti, gli adulti ascoltavano la relazione di mons. Lorizio, accierrini e giovanissimi vivevano la loro assemblea parallela, riflettendo a loro misura sullo stesso tema che hanno condiviso alla fine della serata con tutta l’assemblea. In particolare i giovanissimi, respirando il clima pre-elettorale quasi al suo apice, hanno riflettuto su che cosa sia il servizio ai poveri e all’uomo attraverso la politica, arrivando a stilare un vero e proprio programma elettorale con quelle che sono le priorità per un Paese più giusto e attento alle esigenze della gente. Gli accierrini poi, attraversando una grande porta che è Cristo, ci hanno detto che per aprire quella porta hanno bisogno di tante chiavi, che sono le famiglie, gli educatori, gli adulti che con il loro esempio e la loro testimonianza li aiutano a conoscere sempre meglio il Signore Gesù. Una serata davvero intensa abbiamo trascorso, e ritornando a casa la riflessione è continuata e continua ancora perché davvero l’associazione sappia incamminarsi in una Chiesa che fa la scelta preferenziale dei poveri ogni giorno e con sempre maggiore convinzione, perché è la scelta che primo fra tutti ha fatto il Signore. Iolanda Milone Testimonianza S iamo Marco e Arianna, giovane coppia di Tuturano in procinto di unirci in matrimonio il prossimo settembre. Il 10 febbraio scorso abbiamo avuto la fortuna di partecipare alla Festa della promessa, culminata con l'incontro tra i fidanzati e il Vescovo Mons. Caliandro. Già al nostro arrivo si sentiva il fermento di tutte le giovani coppie, curiose di vivere questa giornata in comunità per celebrare il giorno di san Valentino lontano dal consumismo, all’insegna della preghiera e dell'amore reciproco. Pregno di significati i simboli dell’incontro: l'albero della croce di Gesù, che sempre ci guida e ci ama, ispirato e spinto dal vento dello Spirito Santo, rappresentato dalle vele. È stato significativo, all’ingresso, scrivere tutti i nostri nomi sulla cartina come segno della nostra partecipazione alla vita di comunità sotto la guida delle proprie parrocchie per non perdere mai la bussola del nostro amore. Altrettanto bello é stato il dono-ricordo che abbiamo ricevuto, l’interazione dei pensieri attraverso i bigliettini e il nodo fatto per unire le due cordicine, a significato di due persone distinte che si uniscono nel vincolo del matrimonio. Ultimo momento, tanto divertente quanto di condivisione tra le varie coppie, è stato il rinfresco. Insomma, in maniera inaspettata abbiamo avuto dimostrazione di quanto sia bello stare insieme nell’amore di Cristo, grazie alla nostra Chiesa che senza necessariamente proporci il solito modo di pregare, ci coinvolge con canti, balli e testimonianze di vita vissuta, vera e sincera. Arianna Madeo e Marco Capodieci “I l vento della SIS arriva in un sussurro, noi invadiam le strade con il colore azzurro…”. Questo ritornello ha scandito lo svolgersi del grande Raduno degli Scout dell’AGESCI della Zona “Messapia”, che si è svolto a Brindisi il 9 e 10 marzo scorsi, in occasione della “Giornata del pensiero” in cui si festeggia il compleanno dei fondatori dello Scautismo, Robert Baden Powell e di sua moglie, Olave St. Clair e si “pensa” agli altri Scout sparsi nel mondo, in particolare a chi è nelle difficoltà e nel bisogno. Per questo, l’offerta raccolta quest’anno verrà devoluta all’operazione nazionale “Un euro per una sede” a favore dei Gruppi Scout dell’EmiliaRomagna a cui il terremoto dell’anno scorso ha distrutto il luogo di incontro. Lo slogan che ha orientato l’attività è stato: “Narrare il passato… radice del nostro futuro”. Già dal primo pomeriggio di sabato, le Comunità Rovers/Scolte (105 giovani tra i 16 e i 20 anni con circa 30 Capi/o) si sono incontrate in Cattedrale presso la sede del locale Gruppo scout “Brindisi 2”, per iniziare con l’accoglienza e la preghiera animata da don Mino Schena, Assistente Ecclesiastico di Zona, le attività specifiche che hanno visto i vari Clan/Fuoco svolgere un’importantissima attività, apparentemente bizzarra. Difatti i Rovers e le Scolte hanno girato per determinati luoghi del centro cittadino, dispensando abbracci - gesto caduto ormai in disuso - tra le varie persone che passavano da lì. I giovani Scout, inoltre, si sono soffermati con queste persone, ponendo a loro alcune domande proprio sull’importanza dei luoghi in cui è stato compiuto questo gesto affettuoso. Rientrati in Cattedrale hanno animato la serata, rappresentando, sul palco del cortile del Duomo, i loro lavori: divertenti video, scenette, originali canzoni e altre tecniche espressive alternative che avevano in comune un unico tema, la “memoria”. Numerosi sono stati i gruppi che, ad esempio, hanno scelto come evento di riferimento la rivoluzione del “68 , o la caduta del muro di Berlino, proprio per ricordare determinati avvenimenti storici che hanno rappresentato la svolta di questa epoca e che magari molti dei giovani scout presenti non hanno avuto modo di vivere in quanto non erano ancora nati. La cena comunitaria, con la riproposizione di piatti tipici della tradizione del proprio paese, è stato elemento di rivalutazione e di condivisione della propria storia, e ha concluso la serata. La mattina della domenica è iniziata alle ore 8:30 con l’arrivo, in piazzale Lenio Flacco, delle Unità di Lupetti/e e di Esploratori/Guide, a completamento di tutti i Gruppi Scout. Gli oltre 1000 partecipanti hanno celebrato l’Eucarestia con l’altare posizionato tra le scalinate e il porto. Ad aiutare nel servizio liturgico, un diacono permanente e 2 ministri straordinari dell’Eucarestia (2 dei quali già Capi scout) ed il coro scout del “Brindisi 1”. Presenti anche vecchi Scout brindisini che hanno avuto il piacere di partecipare all’evento e vedere come le “nuove leve” stanno crescendo. Il resto della mattinata è stato impegnato nelle attività divise per le tre Branche. I Lupetti/e, occupando piazza Santa Teresa, hanno rievocato 13 invenzioni che hanno caratterizzato la storia dell’umanità dai primi strumenti per la caccia-pesca, alle invenzioni tecnologiche del XIX secolo. Gli Esploratori e le Guide, rima- © Federica Marseglia © Federica Marseglia sti sul piazzale Lenio Flacco, si sono sfidati, di Squadriglia, in giochi da strada che erano in uso nel passato, rivisitandoli e magari aggiornandoli negli strumenti adoperati. Nel primo pomeriggio le Squadriglie vincitrici sono state premiate da Aldo Indini, già Capo Scout del “Brindisi1” (ASCI) negli anni ‘50. I Rovers e le Scolte hanno fatto ritorno in Cattedrale dove, con l’occasione della quarta edizione del premio “Pio La Torre”, divisi in gruppi di formazione, hanno elaborato delle idee per riqualificare il territorio brindisino sottratto alla mafia. Questi “giovanissimi imprenditori”, mettendo in scena proprie idee, quasi come fosse un spot pubblicitario, hanno dimostrato di essere un vero e proprio serbatoio di idee concrete per un rilancio etico ed imprenditoriale. Ad esempio, alcuni gruppi hanno proposto di realizzare una gelateria artigianale in cui vendere gelati contenenti prodotti naturali nati nelle terre confiscate alla mafia. Altri gruppi, invece, hanno voluto soffermarsi più sull’ambito turistico-gastronomico, proponendo di costruire un ristorante su un suolo confiscato, dove poter mettere a disposizione dei neo-diplomati le cucine, ma anche l’esperienza di chef importanti, favorendo così anche l’occupazione giovanile. Terminata questa attività, i ragazzi del Clan/Fuoco hanno potuto assistere all’importante testimonianza della dott.ssa Anna Maria Casaburi, magistrato presso il Tribunale per i minorenni di Lecce. Il giudice ha testimoniato la difficile condizione dei giovani reclusi nei centri di recupero, che già a questa età si trovano ad essere privati della piena libertà. Particolarmente interessanti sono state le domande poste alla dottoressa Casaburi da parte di alcuni scout, i quali si sono maggiormente soffer- mati sul problema del reato di violenza sessuale, in quanto la legislazione italiana non ha assunto una posizione del tutto punitiva nei confronti degli stupratori, in particolare di quelli minorenni. Le attività delle Branche, comprendendo il pranzo a sacco, si sono svolte sino alle 15, quando tutti si sono ritrovati nuovamente sul piazzale dove, con un po’ di animazione, è stato accolto il Vescovo Mons. Domenico Caliandro, che dopo aver salutato, ha indicato delle parole chiave, quali il rispetto delle regole, la disciplina, l’approccio positivo alla vita, come presupposti che fanno dello scautismo un’esperienza importante per la crescita di ogni ragazzo/a. Citando la pronta disponibilità e intervento degli Scout, «sempre in prima linea, quando si verificano situazioni difficili», ha invitato tutti i presenti alla preghiera del “Padre nostro” e ha impartito la benedizione. Con lo scambio di un “nodo” tra tutti i partecipanti, i “gridi di Gruppo”, i ringraziamenti a quanti hanno collaborato, sostenuto e aiutato nello svolgimento della manifestazione, ci si è salutati e dati appuntamento alle prossime attività. Oltre ai Gruppi della Zona AGESCI “Messapia” hanno partecipato il Reparto dello “Squinzano1” e la Comunità M.A.S.C.I. di Manduria. L’evento ha dato il via ai festeggiamenti per i 90 anni di scautismo in Brindisi, che proprio nel marzo del 1923, vedeva il Gruppo Scout “Brindisi1”, con sede in Cattedrale, ufficialmente iscritto nei Registri dell’A.S.C.I. (Associazione Scautistica Cattolica Italiana). Donato Rosa e Angelo Russo Consultorio diocesano Speranza Via Pace brindisina 35/A - Brindisi (nei pressi della Parrocchia dei Salesiani) tel. 0831/563145 e-mail: [email protected] 10 Associazioni & Movimenti apostolato della preghiera Incontro formativo La vita si è resa visibile “L a vita si è resa visibile” è stato il tema dell’incontro formativo diocesano per gli associati all’Apostolato della Preghiera, svolto da padre Tommaso Guadagno, direttore nazionale dell’Adp, venerdì 15 febbraio u.s. nel teatro della parrocchia San Vito martire. L’incontro si è svolto alla presenza di sua eccellenza mons. Domenico Caliandro che, dopo un breve momento di preghiera, ha salutato i presenti manifestando il suo interesse ed il suo affetto all’AdP con parole significative di incoraggiamento e di speranza sulla diffusione, anche tra i più giovani, di questa forma importantissima di presenza nella e per la Chiesa. Padre Tommaso, presentando il suo ultimo libro sulla preghiera con le icone, intitolato con il passo giovanneo suddetto, ha sottolineato il «fascino della bellezza spirituale» emanato dalle icone che possono divenire «uno strumento di esperienza spirituale forte ed anche terapeutica in quanto testimoniano il legame inscindibile tra bellezza, verità e bontà». Richiamando la frase di Dostoevskij “Il mondo lo salverà la bellezza”, ed il pensiero di alcuni papi come Paolo VI e Benedetto XVI sulla stretta relazione tra verità e bellezza, tra arte e fede, ha rilevato come, nell’odierna società basata sull’immagine dissacratoria del «bello ed esaltante il volgare e l’orrido, sia urgente la rieducazione dello sguardo e l’ecologia dell’immagine». Un obiettivo educativo fondamentale che si può realizzare con la preghiera e la conoscenza spirituale anche mediante le icone ortodosse. Così le icone, lungi dal divenire fonte di idolatria, sono come “finestre aperte sul mondo spirituale”, perchè hanno il potere di evocare, cioè di risvegliare nella coscienza una visione spirituale che altrimenti rimarrebbe nascosta. Dopo un’interessante presentazione tecnica sulla storia e sulla canonicità delle icone ortodosse ha soffermato lo sguardo e la riflessione su tre icone che occupano un posto centrale nell’iconostasi (parete rivestita da icone che separa l’altare dalla comunità dei fedeli): il Volto Santo, Gesù misericordioso e l’Ultima Cena. L’icona del Volto Santo, raffigurante il Signore Gesù Cristo in un’apparizione ieratica, non fatta da mani d’uomo secondo la tradizione bizantina, è l’icona per eccellenza ed è da considerare come una rappresentazione sintetica dell’uomo interiore, l’essenza più profonda di ogni essere umano che si apre alla conoscenza di Dio e realizza così la speranza di una 15 marzo 2013 comunità gesù risorto Ad Ostuni Chi perde la vita per me la salverà I l versetto del Vangelo di Marco “Chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà” è stato il tema che ha condotto la giornata del Ritiro Regionale della Puglia per Animatori e Responsabili della Comunità Gesù Risorto. vita santa e pienamente conforme alla dignità di figli di Dio. L’icona di Gesù misericordioso o del Cristo Pantocrator esprime la volontà di pietà e d’amore di Dio verso ogni essere umano, una volontà manifestata dalla pienezza del soffio dello Spirito Santo che rende possibile il dono totale di sé fino a morire per la redenzione dei fratelli. L’icona dell’Ultima Cena, illustrando il tradimento di Giuda e l’istituzione dell’Eucaristia o, secondo la liturgia bizantina, la consegna dei tremendi Misteri, è fonte di riflessione sull’immenso amore di Dio che Lo spinge a donare il suo Figlio Gesù per la salvezza di tutti gli uomini e suscita il desiderio, che si fa preghiera, di avere gli stessi sentimenti che furono nel suo Cuore. “In conclusione, fratelli, tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri. … E il Dio della pace sarà con voi!” Le parole di san Paolo, rivolte ai Filippesi, riassumono efficacemente l’argomento di questo incontro formativo, occasione unica per imparare a rieducarsi nella custodia degli occhi. A tal proposito si ricorda il detto popolare “gli occhi sono la finestra dell'anima”, cioè il luogo attraverso il quale tutto si riversa nel cuore e, poichè la vera preghiera è quella del cuore, non si potrà mai viverla autenticamente se si è impediti da rievocazioni suscitate da immagini riprovevoli. Perciò in quest’Anno della Fede gli associati all’Apostolato della Preghiera sono chiamati in particolar modo a “tenere fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede (Eb 12, 1)”, e a vivere da figli riconoscenti verso il Padre in una preghiera incessante di lode, ringraziamento e supplica per divenire belli della bellezza di Dio ed essere così icona meravigliosa della Grazia salvifica e rigenerante di Dio, Amore trinitario. Maria Bafaro Il 3 marzo scorso, circa centoventi Animatori e Responsabili sono convenuti presso il Centro di spiritualità “Madonna della Nova” a Ostuni, da varie diocesi della Puglia, per pregare e riflettere sul tema della giornata. In questa occasione sono stati messi in luce alcuni ministeri (o servizi) che vengono svolti in Comunità, con la finalità di trasmettere anche ad altre Comunità della Puglia determinati carismi, come quello della “rappresentazione sacra” così fiorente nelle Comunità di Castellana Grotte, Putignano e Santeramo in Colle. L’accoglienza festosa dei fratelli, ha introdotto la giornata che è proseguita con una potente preghiera di lode a Dio con canti in lingue, profezie, momenti di adorazione e di ascolto, intercessione, e preghiere di guarigione. Al termine è stata posta una Bibbia aperta ed i fratelli, poggiando la mano su di essa, hanno rinnovato il proprio “eccomi” al Signore Gesù. Dopo la preghiera di lode, Gaetano Larizza, come facente parte del Ministero Internazionale dei Canti della Comunità, ha tenuto una relazione su questo servizio così importante per l’animazione della preghiera carismatica. Stella Montaruli, delegata diocesana in Conversano-Monopoli, ha continuato la riflessione nello specifico sul Ministero dello “ Spettacolo o Rappresentazione Sacra”, dono di grazia molto apprezzato per la sua bellezza e spettacolarità nei Ritiri Regionali e nei Convegni Internazionali, dove sono state messe in scena rappresentazioni sacre molto coinvolgenti e ben curate in tutte i particolari. Dopo la pausa pranzo, Gabriele Tauro, membro del CIS (Comitato Internazione di Servizio) ha tenuto un insegnamento sull’animazione della preghiera Carismatica e sull’Imposizione delle mani; seguito da molte testimonianze e condivisioni varie dei presenti. La giornata si è conclusa con la Santa Messa presieduta da Padre Clemente Majuli, OMI. Luigi Grassi Speciale 15 marzo 2013 11 nuovo pontefice Il card. Jorge Mario Bergoglio è il 266° successore di Pietro Papa Francesco preso “quasi alla fine del mondo” I l volto sereno e sorridente, il drappo rosso che abbraccia l’affaccio della Loggia, la banda che suona l’inno nazionale e lui che ascolta commosso in piedi. Otto anni dopo il suo predecessore, il Papa emerito, Papa Francesco - il 266° Romano Pontefice della storia della Chiesa, primo Papa gesuita della storia - alle 20.21 del 13 marzo si è affacciato per la prima volta dalla Loggia delle Benedizioni per ricevere il saluto della folla, un oceano festante in piazza S. Pietro che ha atteso più di un’ora sotto la pioggia per vedere il nuovo Papa. “Fratelli e sorelle buonasera”, le sue prime, semplici, parole. L’attesa fumata bianca era arrivata alle 19.06, dal comignolo della Cappella della Cappella Sistina. A dare il solenne annuncio al popolo, alle 20.12, è stato il cardinale protodiacono, cardinale Jean Louis Tauran. Queste le sue parole in latino: “Annuntio vobis gaudium magnum; habemus Papam: Eminentissimum ac Reverendissimum Dominum, Dominum Georgium Marium Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalem Bergoglio qui sibi nomen imposuit Franciscum”. Il primo Papa fuori dal continente europeo è stato eletto nel 75° Conclave della storia della Chiesa, dai 115 cardinali elettori, al quinto scrutinio. La fumata bianca © Sir La gioia dei fedeli in piazza S. Pietro © Sir Quasi alla fine del mondo. “Voi sapete che il dovere del Conclave è di dare un vescovo a Roma”, ha proseguito il nuovo Papa: “Sembra che i miei fratelli cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo”, ha scherzato sulle sue origini argentine, “ma siamo qui”. “Vi ringrazio dell’accoglienza”, ha poi detto: “la comunità diocesana di Roma ha il suo vescovo: grazie!”. Il primo pensiero al Papa emerito. Il primo pensiero al suo predecessore: “Prima di tutto, vorrei fare una preghiera per il nostro vescovo emerito, Benedetto XVI”, ha detto Francesco: “preghiamo tutti insieme per lui, perché il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca”. Poi la recita del Padre Nostro, dell’Ave Maria e del Gloria al Padre, insieme alla piazza. “E adesso incominciamo questo cammino: vescovo e popolo”, ha detto subito dopo il Papa: “Questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese”. Il Papa ha definito già da oggi il suo pontificato “un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi”. “Preghiamo sempre per noi, l’uno per l’altro”, il primo impegno chiesto e preso insieme ai fedeli. Poi l’orizzonte si è allargato: “Preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza”. Poi il primo augurio, sempre rivolto alla piazza: “Vi auguro che questo cammino di Chiesa, che oggi incominciamo e nel quale mi Vaticano, 13 marzo. Papa Francesco si affaccia per la prima volta alla Loggia della Basilica Vaticana © Sir aiuterà il mio cardinale vicario sia fruttuoso per l’evangelizzazione di questa città tanto bella”. Prima vi chiedo un favore. Prima di impartire la benedizione “Urbi et Orbi”, il nuovo Papa ha fatto un gesto inedito e già indicativo del modo in cui concepisce il servizio del ministero petrino: “Prima vi chiedo un favore”, ha detto rivolgendosi direttamente alla folla che lo ha ascoltato in religioso silenzio: “Prima che il vescovo benedica il popolo, vi chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica: la preghiera del popolo, chiedendo la benedizione per il suo vescovo. Facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me”. E così, sulla piazza è sceso un minuto di intenso silenzio, di vera preghie- ra, seguita da un applauso. La benedizione e gli applausi. Poi la benedizione “Urbi et Orbi”, in latino. Una benedizione rivolta “a voi e a tutto il mondo, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà”, ha proseguito poi il nuovo Papa in italiano, e dalla folla si è levato un altro applauso. “Fratelli e sorelle, vi lascio. Grazie tante dell’accoglienza. Pregate per me e a presto”, il semplice saluto finale, che ha richiamato il primo con cui si era rivolto alla folla dalla Loggia. Infine, una confidenza ai fedeli sul giorno dopo: “Domani voglio andare a pregare la Madonna, perché custodisca tutta Roma. Buonanotte e buon riposo”. salice salentino Interessante tavola rotonda organizzata dalla Parrocchia Santa Maria Assunta Ha senso credere oggi? Fede cercata e fede vissuta U n dialogo sereno e proficuo, una zona franca in cui, pur nelle identità specifiche di ciascuno, avere la possibilità di comunicare la gioia e la bellezza della propria fede o la fatica del credere, tra mille dubbi e interrogativi. Per riprendere le parole di Papa Benedetto XVI, che ne è stato l’ideatore, un moderno “cortile dei gentili”. Questi i presupposti posti a base dell’iniziativa organizzata dalla Parrocchia Santa Maria Assunta di Salice Salentino. La Tavola Rotonda “Ha senso credere, oggi? Confronto tra fede cercata e fede vissuta” si è svolta il 15 febbraio u.s., presso il Centro Polifunzionale. Sono intervenuti, Bruno Mitrugno, già Direttore diocesano della Caritas, da sempre impegnato nel servizio agli ultimi e l’Avv. Donato De Mitri, già Sindaco di Salice. A moderare il dibattito, la Dott. ssa Federica Ianne. L’incontro è stato aperto dall’ArcipreteParroco don Carmine Canoci, che, nel saluto, ha precisato come la comunità parrocchiale non abbia voluto far cadere nel silenzio la provvidenzialità di un Anno della Fede voluto dal papa emerito Benedetto XVI, programmando tutta una serie di iniziative di vario genere, a cadenza mensile, per promuovere, diffondere e testimoniare la realtà della fede. Le stesse, a ben dire, non si presentano come occasioni estemporanee, ma rientrano a pieno titolo, nel piano pastorale parrocchiale che lo stesso don Carmine ha proposto all’inizio dell’anno e che si pone come obiettivo prioritario l’impegnativo, ma pur sempre affascinante progetto della Nuova Evangelizzazione. Nel corso della Tavola Rotonda, attraverso le domande rivolte agli intervenuti, ampio spazio è stato dato alla comu- nicazione delle esperienze personali, dalle quali è emerso chiaramente quanto credenti e non credenti si trovino più vicini di quanto si potrebbe supporre. Il credente, fortemente animato dalla speranza, si affida totalmente a Dio, perché nella persona di Gesù Cristo, ne avverte la vicinanza, fatta amore e misericordia. Anche il non credente, a fine giornata, si ferma un attimo a fare il suo esame di coscienza, a riflettere se le sue azioni e i suoi comportamenti sono risultati coerenti e rispondenti ai valori della solidarietà, della giustizia, della fratellanza, che, pur essendo sperimentabili nel vivere umano, sono valori prettamente cristiani. Le due voci si sono, poi, confrontate sul ruolo della Chiesa del nostro tempo, sulle luci e sulle ombre del suo operare tra gli uomini, attraverso l’annuncio della Parola, i Sacramenti e la carità. Ci si è interrogati, inoltre, sugli atteggiamenti e comportamenti che devono contraddistinguere il cristiano che sceglie di impegnarsi in politica. Sul rapporto Chiesa-Mondo, in particolare, è stato chiesto ai relatori di indicare quali potenzialità e risorse, ciascuno per la sua parte, la Chiesa e il mondo, possono mettere a frutto, per un dialogo più ravvicinato ed una reciproca accoglienza. Su questo versante, sono emerse posizioni differenti, logica conseguenza dei diversi punti di vista. Al bisogno di una Chiesa che, lontana da ogni forma di potere, si mostri più autorevole su ogni ambito e non solo su questioni dottrinali, ha fatto eco la necessità di amare l’altro, in quanto tale, di aprirsi al dialogo, rendendo buona testimonianza dell’essere credenti, appartenenti ad una Chiesa, le cui scelte sono sempre in funzione del bene dell’uomo. La Tavola Rotonda si è conclusa con l’invito da parte di don Carmine a riprendere nella riflessione personale quanto ascoltato, per un esame di coscienza, per una verifica del proprio operato, perché si attui quella conversione del cuore, che non è compiere miracoli, ma riuscire a creare quelle condizioni giuste che portino, passo dopo passo, anche sofferto, a migliorare il cammino insieme. Coralba Rosato Le emozioni della gente Prima della fumata. Il 13 marzo è il secondo giorno di Conclave. Dopo la fumata nera del mattino, è tanta l’attenzione per l’esito degli scrutini pomeridiani. Sono trascorsi alcuni minuti dalle 16 e la piazza inizia a colorarsi timidamente di ombrelli che sfidano l’ostinazione della pioggia. La fumata prevista intorno alle 17 non c’è stata, da questo momento gli occhi si moltiplicano, così come impermeabili e bandiere, e lo sguardo sui maxi schermi si fa sempre più insistente. Ci penserà il gabbiano adagiato sul comignolo più famoso del mondo a strappare un sorriso, stemperando l’attesa. Sono passate le 18, poi le 18.30, ancora niente. Intanto, Piazza San Pietro è diventata il centro del mondo. Provo ad ascoltare gli umori della gente, di chi è venuto da ogni parte della Terra ed è qui per caso o per l’occasione. C’è chi spera nell’elezione del nuovo Papa a breve, come il sindaco di una piccola città che vorrebbe vedere la fumata bianca prima della partenza del suo treno, in serata. Altri, più prudenti, si aspettano la grande notizia per l’indomani o addirittura per venerdì. Di questi, alcuni, come un seminarista, preferirebbero avere il nuovo pontefice il più tardi possibile perché, in fondo, l’attesa è bella. Fa restare tutti sospesi, con il volto verso il cielo nella speranza di un segno. Sembra che ciascuno identifichi il Papa in colui che può dare una risposta alle proprie esigenze, qualcuno in cui potersi rispecchiare. Così, alla domanda sui possibili pronostici, alcune suore indiane affermano che confidano nell’azione dello Spirito Santo, va bene qualunque nome. Tanti turisti vorrebbero andar via da Roma sapendo di aver partecipato a un evento storico, magari portando a casa il “trofeo” di un Papa della loro stessa nazionalità. Una coppia di americani staziona a San Pietro dal giorno prima. Nulla di strano, se non fosse che sono turisti non credenti, a Roma solo per altri tre giorni e che, fino a quando non vedranno il successore di Benedetto XVI, sono pronti a trascorre ciò che resta delle loro vacanze all’ombra del colonnato, rinunciando ad andare in giro per la Città Eterna. È curioso come questo continua a pagina 14 I retroscena della elezione I l racconto dei cardinali elettori francesi dei minuti e delle ore successive all’elezione. A cominciare dalla sorpresa per la scelta del nome. Il Papa Francesco che conserva la sua croce pettorale e va incontro al cardinale Dias, claudicante, per abbracciarlo. I minuti immediatamente successivi alla elezione, il rapporto cordiale, semplice e alla mano con i cardinali, i suoi interventi in aula. A raccontare ai giornalisti il “dietro le quinte” del Conclave, sono stati i cardinali elettori francesi che all’indomani della elezione hanno incontrato la stampa, dando “a caldo” le loro impressioni e raccontando con semplicità e profondità l’esperienza unica, solenne, gioiosa dell’elezione di un Sommo Pontefice. Il momento in cui Papa Francesco ha accettato la nomina. È il cardinale di Lione Philippe Barbarin a dare ai giornalisti particolari inediti di quanto è successo nei minuti immediatamente successivi all’elezione del cardinale Bergoglio a sommo Pontefice. Quando il Cardinale Decano, a nome di tutto il Collegio degli elettori, ha chiesto al cardinale Giorgio Mario Bergoglio se accettava la sua elezione, il cardinale argentino ha risposto sì ma ha anche aggiunto “sono un peccatore” e si è lasciato andare «come ad un gesto disarmante». Poi, quando gli hanno chiesto come voleva essere chiamato, lui ha risposto “Franciscus” ed ha aggiunto, “a causa di San Francesco” e il collegio cardinalizio ha accolto quel nome «con una certa sorpresa». A quel punto poi il cerimoniere mons. Marini gli ha offerto la Croce pettorale dorata, ma il Papa ha detto che preferiva mantenere la propria. Prima poi di salutare ad uno ad uno i cardinali, papa Francesco - accorgendosi delle difficoltà motorie del cardinale Ivan Dias - è andato verso di lui per abbracciarlo. Poi è tornato, e ha salutato i cardinali scegliendo però di non sedersi al trono papale ma di rimanere in piedi. Poi a cena - ricorda il cardinale André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi - nella casa Santa Marta, rivolgendosi scherzosamente ai cardinali, ha detto: “Spero che siate perdonati”. continua a pagina 14 12 Speciale 15 marzo 2013 Speciale 15 marzo 2013 13 nuovo pontefice I primi giorni del nuovo Papa tra celebrazione con i cardinali e incontro con i giornalisti, preghiera dell’Angelus e solenne celebrazione di inizio pontificato Una Chiesa sposa di Cristo, in cammino alla sua presenza e carica della sua Croce La prima omelia di Papa Francesco: «Camminare, edificare, confessare» “C amminare, edificare, confessare”: attorno a questi tre verbi si è articolata la prima omelia di papa Francesco, nella Cappella Sistina, davanti ai 115 cardinali che lo hanno eletto. Circa sette minuti in tutto, un condensato spirituale che ha preso spunto dalle letture della Messa, e in particolare riferendosi al Vangelo di Matteo con il dialogo tra Gesù e Pietro (Matteo 1, 13-19). “In queste letture – ha esordito il nuovo Papa, che ha parlato interamente a braccio – c’è qualcosa di comune: è il movimento, è il cammino, il movimento nella confessione”. Poi ha declinato il significato dei tre verbi: camminare, edificare, confessare. “Camminare alla luce del Signore”, ha spiegato, è la prima cosa che Dio ha detto ad Abramo: “cammina nella mia presenza, e sii irreprensibile”. “Camminare”, ha ripetuto il Papa: “la nostra vita è un cammino, e se ci fermiamo qualcosa non va”. “Camminare sempre, in presenza del Signore, alla luce del Signore”, l’esortazione del Santo Padre: “cerchiamo di vivere con quella irreprensibilità che Dio chiedeva ad Abramo nella sua promessa”. Chiesa, non ong. “Edificare la Chiesa”, il secondo impegno mutuato dal Papa dalle letture della Messa, nelle quali “si parla di pietre, ma pietre vive, pietre pronte per lo Spirito Santo”. Di qui l’invito a “edificare la Chiesa, la sposa di Cristo, su quella pietra angolare che è lo stesso Signore”. Terzo verbo, infine, “confessare”. “Noi possiamo camminare quello che vogliamo, edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo qualcosa non va, diventiamo una ong pietosa, ma non la Chiesa sposa di Cristo”, il forte ammonimento del Papa. “Quando non si cammina, ci si ferma”, ha proseguito: ”Quando non si edifica nelle pietre, succede come ai bam- U P bini sulla spiaggia, quando fanno dei palazzi sulla sabbia, senza consistenza”. Poi il Papa ha citato Leon Bloy, per affermare che “quando non si confessa Gesù Cristo, avviene che chi non prega il Signore prega il diavolo. Quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità e il diavolo”. “Camminare, edificare, costruire, confessare”, la progressione dei verbi usata dal Papa. “Non è così facile – ha ammesso – perché per camminare, per costruire, per confessare, alle volte ci sono scosse, ci sono movimenti che non sono proprio movimenti del cammino, sono movimenti che ci tirano indietro”. Senza la Croce siamo “mondani”. Il Vangelo di Matteo, ha fatto notare il Papa, prosegue “con una situazione speciale”, perché “lo stesso Pietro, che ha confessato Gesù Cristo” – “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” – sembra dirgli “io ti seguo, ma non oggi, con altre possibilità, senza la Croce”. “Quando camminiamo senza la Croce, quando edifichiamo senza la Croce, e quando confessiamo con Cristo senza la Croce – l’ammonimento centrale della prima omelia di papa Francesco – non siamo discepoli del Signore, siamo mondani. Siamo vescovi, siamo preti, siamo cardinali, ma non siamo discepoli cristiani”. “Vorrei che tutti noi, dopo questi giorni e queste grazie – l’auspicio del nuovo Papa nella sua omelia interamente a braccio – abbiamo il coraggio di camminare in presenza del Signore, con la Croce del Signore, di edificare la Chiesa con il sangue del Signore versato sulla Croce, e di confessare l’unica gloria: Cristo Crocifisso”. “E così la Chiesa va avanti”, ha concluso il Papa, invocando l’intercessione di Maria, “nostra madre”, affinché “ci conceda di camminare, edificare, confessare Gesù Cristo Crocifisso”. Il primo angelus: «Mai stancarsi di chiedere perdono» n applauso fragoroso e prolungato ha accolto, domenica 17 marzo, l’affacciarsi di Papa Francesco per il suo primo Angelus. Alla folla che ha riempito piazza San Pietro, via della Conciliazione e le strade attigue, il Pontefice, con il volto sorridente, ha rivolto il suo saluto: “Fratelli e sorelle, buongiorno! Dopo il primo incontro di mercoledì scorso, oggi posso rivolgere di nuovo il mio saluto a tutti! E sono felice di farlo di domenica, nel giorno del Signore! Questo è bello è importante per noi cristiani: incontrarci di domenica, salutarci, parlarci come ora qui, nella piazza”. Una piazza, ha sottolineato il Santo Padre, che, “grazie ai media, ha le dimensioni del mondo”. La pazienza di Dio. In questa quinta domenica di Quaresima, ha ricordato il Santo Padre, “il Vangelo ci presenta l’episodio della donna adultera, che Gesù salva dalla condanna a morte. Colpisce l’atteggiamento di Gesù: non sentiamo parole di disprezzo, non sentiamo parole di condanna, ma soltanto parole di amore, di misericordia che invitano alla conversione”. “Neanche io ti condanno: va’ e d’ora in poi non peccare più!”, dice Gesù. “Eh, fratelli e sorelle – ha sottolineato Francesco -, il volto di Dio è quello di un padre misericordioso, che sempre ha pazienza! Avete pensato voi alla pazienza di Dio, la pazienza che Lui ha con ciascuno di noi? Eh, quella è la sua misericordia. Sempre ha pazienza: ha pazienza con noi, ci comprende, ci attende, non si stanca di perdonarci se sappiamo tornare a Lui con il cuore contrito. ‘Grande è la misericordia del Signore’, dice il Salmo”. Il Padre misericordioso. A proposito della misericordia il Papa ha voluto condividere con i fedeli una lettura che ha fatto. “In questi giorni, ho potuto leggere un libro di un cardinale, il cardinale Kasper, un teologo in gamba, eh? Un buon teologo, sulla misericordia. E mi ha fatto tanto bene, quel libro, ma non crediate che faccia pubblicità ai libri dei miei cardinali, eh? Non è così!”, ha detto spiritosamente. Ma, ha proseguito, questa lettura “mi ha fatto tanto bene, tanto bene. Il cardinale Kasper diceva che sentire misericordia, questa parola cambia tutto. È il meglio che noi possiamo sen- il motto e lo stemma tire: cambia il mondo. Un po’ di misericordia rende il mondo meno freddo e più giusto”. Per il Pontefice, “abbiamo bisogno di capire bene questa misericordia di Dio, questo Padre misericordioso che ha tanta pazienza. Ricordiamo il profeta Isaia, che afferma che anche se i nostri peccati fossero rossi scarlatti, l’amore di Dio li renderà bianchi come la neve”. È “bello” per il Santo Padre questo aspetto della “misericordia”. Non stanchiamoci di chiedere perdono. Francesco ha, quindi, raccontato un episodio della sua vita: “Ricordo appena vescovo, nell’anno 1992, è arrivata a Buenos Aires” l’immagine della “Madonna di Fatima. E si è fatta una grande messa per gli ammalati. E io sono andato a confessare a quella messa. E alla fine, quasi della messa, mi alzavo, perché dovevo fare una cresima. È venuta da me una donna anziana, umile, molto umile, untraottantenne. Io l’ho guardata e le ho detto: ‘Nonna – perché da noi si dice così nonna agli anziani: nonna, lei vuole confessarsi?’. ‘Sì’, mi ha detto. ‘Ma se lei non ha peccato’. Lei mi ha detto: ‘Tutti abbiamo peccati’. ‘Ma forse il Signore non li perdona’. ‘Il Signore perdona tutto’, mi ha detto: sicura. ‘Ma come lo sa, lei, signora?’. ‘Se il Signore non perdonasse tutto, il mondo non esisterebbe’”. A quel punto, il Papa ha ammesso: “Io ho sentito una voglia di domandarle: ‘Mi dica, signora, lei ha studiato alla Gregoriana?’, perché quella è la sapienza che dà lo Spirito Santo: la sapienza interiore verso la misericordia di Dio. Non dimentichiamo questa parola: Dio mai si stanca di perdonarci, mai!”. Ma, allora, “qual è il problema?”. “Eh, il problema è che noi ci stanchiamo di chiedere perdono – ha sottolineato il Pontefice -! Lui, mai si stanca di perdonare, ma noi, a volte, ci stanchiamo di chiedere perdono”. Di qui l’invito: “Non ci stanchiamo mai, non ci stanchiamo mai! Lui è il Padre amoroso che sempre perdona, che ha quel cuore di misericordia per tutti noi”. Poi ancora un’esortazione: “E anche noi impariamo ad essere misericordiosi con tutti. Invochiamo l’intercessione della Madonna che ha avuto nelle sue braccia la misericordia di Dio fatta uomo”. Vaticano, 19 marzo. Messa di inizio Pontificato di Papa Francesco © AFP/Sir inizio pontificato La figura di San Giuseppe al centro dell’omelia del Papa «Custodi di noi stessi, degli altri, del creato» È durata circa 2 ore la Messa di inaugurazione del pontificato di Papa Francesco alla quale hanno partecipato 200mila persone radunate fin dalle prime ore dell’alba in piazza san Pietro. Significative e profonde le parole pronunciate dal Pontefice nel corso della sua omelia. Dopo aver ricordato il suo predecessore, del quale ricorre l’onomastico, Papa Bergoglio ha incentrato la sua riflessione sulla figura di Giuseppe il «custode di Maria e di Gesù» il quale ha esercitato la custodia «con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale». La custodia di Giuseppe – ha detto ancora il Papa «si estende poi alla Chiesa». Giuseppe è “Custode”, ha spiegato il Papa, «perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge». In lui, secondo Papa Francesco, «vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana; Cristo!». «Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!», l’invito del Santo Padre ai fedeli. «Siate i custodi dei doni di Dio», ha esortato il Papa nell’omelia, dopo aver spiegato che «la vocazione del custodire non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato. È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. È l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. È il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti». «E quando l’uomo viene meno a questa responsabilità, quando noci prendiamo cura del creato e dei fratelli - ha ammonito il Papa - allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli Erode che tramano disegni di morte, e distruggono e deturpano il volto dell’uomo e della donna». «Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo custodi della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente. Non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo!». È il forte appello al centro dell’omelia del Papa, che ha suscitato l’applauso immediato della piazza. «Ma per custodire dobbiamo anche avere cura di noi stessi!», ha proseguito il Papa: «Ricordiamo che l’odio, l’invidia la superbia sporcano la vita!». Custodire vuol dire, allora, «vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è da lì che escono intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono». E soprattutto «Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!». «Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce; deve guardare al servizio umile, concreto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli». Poi la definizione del ministero petrino: «Custodire Gesù con Maria, custodire l’intera creazione, custodire ogni persona, specie la più povera, custodire noi stessi: ecco un servizio che il vescovo di Roma è chiamato a compiere, ma a cui tutti siamo chiamati per far risplendere la stella della speranza”. Custodiamo con amore ciò che Dio ci ha donato», l’invito finale del Papa. Una volta rientrato in basilica, il Papa ha ricevuto il saluto delle delegazioni dei capi di Stato presenti alla celebrazione. apa Francesco ha deciso di confermare il motto, “Miserando atque eligendo” e, nei tratti essenziali, anche lo stemma che aveva come arcivescovo, caratterizzato da una lineare semplicità. Lo stemma. Lo scudo blu dello stemma papale è sormontato dai simboli della dignità pontificia (mitra collocata tra chiavi decussate d’oro e d’argento, rilegate da un cordone rosso), uguali a quelli voluti dal predecessore Benedetto XVI. In alto, campeggia l’emblema dell’ordine di provenienza del Papa, la Compagnia di Gesù: un sole raggiante e fiammeggiante caricato dalle lettere, in rosso, Ihs, monogramma di Cristo. La lettera “H” è sormontata da una croce; in punta, i tre chiodi in nero. In basso, si trovano la stella e il fiore di nardo. La stella, secondo l’antica tradizione araldica, simboleggia la Vergine Maria, madre di Cristo e della Chiesa; mentre il fiore di nardo indica san Giuseppe, patrono della Chiesa universale. Nella tradizione iconografica ispanica, infatti, san Giuseppe è raffigurato con un ramo di nardo in mano. Ponendo nel suo scudo tali immagini, il Papa ha inteso esprimere la propria particolare devozione verso la Vergine Santissima e san Giuseppe. Il motto. Il motto di Papa Francesco, “Miserando atque eligendo”, è tratto dalle omelie di San Beda il Venerabile, sacerdote (Om. 21; Ccl 122, 149-151), il quale, commentando l’episodio evangelico della vocazione di san Matteo, scrive: “Vidit ergo lesus publicanum et quia miserando atque eligendo vidit, ait illi Sequere me” (Vide Gesù un pubblicano e siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi). Questa omelia è un omaggio alla misericordia divina ed è riprodotta nella Liturgia delle Ore della festa di san Matteo. Essa riveste un significato particolare nella vita e nell’itinerario spirituale del Papa. Infatti, nella festa di san Matteo dell’anno 1953, il giovane Jorge Bergoglio sperimentò, all’età di 17 anni, in un modo del tutto particolare, la presenza amorosa di Dio nella sua vita. In seguito ad una confessione, si sentì toccare il cuore ed avvertì la discesa della misericordia di Dio, che con sguardo di tenero amore, lo chiamava alla vita religiosa, sull’esempio di Sant’Ignazio di Loyola. Una volta eletto vescovo, Bergoglio, in ricordo di tale avvenimento che segnò gli inizi della sua totale consacrazione a Dio nella Sua Chiesa, decise di scegliere, come motto e programma di vita, l’espressione di San Beda “Miserando atque eligendo”, che ha inteso riprodurre anche nel proprio stemma pontificio. All’insegna della semplicità anche l’Anello del pescatore: non sarà d’oro, ma di argento dorato. Il pallio è lo stesso indossato dal suo predecessore Benedetto XVI. BREGANTINI AL PAPA: VADA IN SIRIA «S arebbe bello, il mio è un auspicio, che come primo segno, Papa Francesco, che ha scelto questo nome in onore del santo della pace oltre che della cura del creato e della povertà, facesse qualcosa per la Siria, che ha tanto bisogno, magari compiendo una visita nel Paese». Lo afferma mons. Giancarlo Bregantini, vescovo di Campobasso, anche lui in piazza San Pietro per la messa di inizio pontificato di Papa Bergoglio, di cui sottolinea «il messaggio di povertà» ma invita anche a non contrapporre la sua figura a quella di Benedetto XVI, anzi a leggere i due Papi «nella continuità». Il primato della carità C’ è già bisogno di mettere ordine nei pensieri comunicati da papa Francesco, colui che i cardinali hanno preso “quasi alla fine del mondo”. Già quelle parole alla piazza, pronunciate subito dopo l’elezione, sono di forte impatto: c’è il primato della preghiera; c’è il legame forte, intenso, necessario tra il pastore ed il popolo di Dio che gli viene affidato, richiamo fortissimo al Concilio Ecumenico Vaticano II del quale celebriamo il 50° dell’apertura proprio nell’anno della Fede. C’è il “primato della carità”, che si declina nell’amore e nel servizio quali punti nodali della propria missione. In un messaggio di saluto c’era già tutto: l’affermazione della Chiesa, popolo di Dio, “non una Ong pietosa”, ma sposa di Cristo, esempio visibile della fede nel Risorto e grazie a lui, “mai senza Croce”, consapevole della Verità, con una missione universale che il papa ha sintetizzato efficacemente nell’indirizzo rivolto ai “fratelli cardinali”: “Non cediamo al pessimismo, portiamo Gesù Cristo all’uomo e tutti gli uomini alla gioia cristiana”. Quel primato di carità nel servizio è stato subito riconosciuto, anche da chi non è cattolico e – si oserebbe dire – anche da chi non crede in Gesù Cristo, Figlio di Dio, nato da Maria, morto in croce e risorto. Le presenze in piazza San Pietro nel giorno della messa d’inizio del ministero petrino dicono appunto l’essere tutti figli di Dio, padre amoroso, che non esclude e non dimentica nessuno, anzi proprio perché guarda soprattutto agli “ultimi” giudica appunto in virtù di questo metro: misericordia e attenzione a chi è povero, indifeso, dimenticato. Sulla misericordia, del resto, papa Bergoglio si è soffermato nel suo primo Angelus, ribadendo la differenza tra un Padre che non smette di perdonare e di rialzare chi è caduto e l’uomo, che si stanca di chiedere misericordia e perdono, chiudendo così, egli stesso, il canale di comunicazione più vivo e fecondo. L’attenzione agli ultimi, invece, oltre le parole di ogni intervento pubblico, sono i gesti concreti ad evidenziarla. Attenzione ai poveri ed al creato, che nasce dal considerare il valore della singola persona, sono nelle parole dell’omelia della messa di inizio del ministero petrino; sono nel gesto di fermare il proprio cammino in piazza San Pietro per chinarsi su un infermo; sono nell’invitare i propri fedeli di Buenos Aires a non venire a Roma, ma di devolvere quelle somme, magari faticosamente risparmiate, a chi non ha di che sfamarsi; sono nello sconvolgere ogni ordine di orari e di protocollo cercando il contatto con ciascuno perchè, in quanto uomo, reca il volto di Dio. Il Poverello di Assisi lo riconobbe nel lebbroso e nel lupo, nel volto di ciascun uomo e cercò il contatto con tutti… “Il Poverello è l’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il creato”, ha detto il pontefice ai giornalisti sabato scorso e ad ogni incontro – quasi eco giovannea – ha sempre deciso di parlare agli uomini di buona volontà, che tanto richiamano, tra l’altro, i pastori nella notte di Betlem, che andarono senza indugio, senza calcolo, rispondendo ad un semplice invito e trovarono Dio, un povero tra i poveri. “Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!”, ha detto sabato scorso papa Francesco. Ed ha spiegato che essa “pur essendo certamente anche un’istituzione umana, storica, con tutto quello che comporta, non ha una natura politica, ma essenzialmente spirituale: è il popolo di Dio, il santo popolo di Dio, che cammina verso l’incontro con Gesù Cristo”. È dunque “Cristo il Pastore della Chiesa, ma la sua presenza nella storia passa attraverso la libertà degli uomini – ha aggiunto -: tra di essi uno viene scelto per servire come suo vicario, successore dell’apostolo Pietro, ma Cristo è il centro, non il successore di Pietro”. Costui è però colui che visibilmente risponde alla domanda: «Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?». Una risposta che riassume una vita tutta intera. Angelo Sconosciuto Speciale 14 Il commento di Mons. Caliandro «Q uella di oggi (13 marzo, ndr) è una giornata di grande gioia per tutta la Chiesa. Dopo aver assistito all’avvenimento storico delle dimissioni di un Papa, ieri sera abbiamo vissuto con trepidazione la elezione del nuovo Pontefice. Di Papa Francesco mi ha colpito lo stile con il quale si è presentato al popolo, sia a quanti erano radunati in piazza San Pietro, sia all’umanità intera collegata attraverso i mezzi di comunicazione. Dai pochi gesti compiuti e dalle prime parole pronunciate dal nuovo Pontefice, è emerso l’amore e l’affetto per il suo popolo. Considero un gesto sublime l’atto di inchinarsi per ricevere la benedizione del popolo. Ancor più sorprendente è stata la reazione della piazza che ha risposto all’invito del Papa con un silenzio eloquente. Si è trattato, insomma, di una bella sintonia tra il Pontefice e il suo popolo, proprio all’inizio di un nuovo cammino. La semplicità di Papa Francesco, emersa dai suoi primi gesti, ma anche dalla scelta del nome legato al santo di Assisi, ci ricorda che l’umanità è una grande famiglia in cui siamo tutti fratelli amati da Dio e nella quale viene riscoperta la solidarietà e valorizzata la dignità di ogni uomo. Francesco è un Papa che porta con sé il profumo del Vangelo, ma anche il profumo della sua gente dalla quale non vuole estraniarsi, ma che invece vuole continuare a servire, condividendone il cammino, soprattutto con i piccoli e i poveri, così come ha dimostrato nel suo ministero di Arcivescovo di Buenos Aires. L’elezione di Papa Francesco è un dono grande dello Spirito Santo e dimostra che, al di là di umane previsioni, il Signore continua a donare alla Chiesa la persona giusta per affrontare le grandi sfide che ogni epoca storica pone davanti. Mentre accogliamo con gioia ed esultanza la lieta notizia, invito i fedeli e l’intera comunità diocesana a pregare per la Chiesa e per il nuovo Papa». + Domenico CALIANDRO Arcivescovo 15 marzo 2013 La ricompensa del nuovo Papa ai giornalisti S eguire il Conclave e l’elezione del nuovo pontefice da corrispondente significa aver avuto il privilegio di essere in prima linea a testimoniare passaggio e inizio di un’epoca. Ho avuto la possibilità di far parte, anch’io, di quell’esercito di giornalisti venuti da ogni angolo della Terra per raccontare cosa stava accadendo e chi, da lì a poco, avrebbe cambiato la storia. La stampa è entrata nel centro del mondo per trasmetterlo, con l’ausilio delle nuove tecnologie, alla parte di mondo che non poteva essere fisicamente in Piazza San Pietro. Abbiamo avuto una copertura mediatica globale, resa possibile dal lavoro di migliaia di professionisti. In primo luogo i giornalisti che, armati di block notes, registratori e microfoni, hanno lavorato senza sosta, al pari dei tecnici audiovisivi e dei fotografi. Ho ancora impressa nella mente l’immagine di operatori che, con pazienza e dedizione, portano a spalla ingombranti telecamere da proteggere con impermeabili di fortuna, anche a costo di restare loro, sotto l’acqua. Tutto questo non è solo lavoro, è una missione. È un peccato come l’opinione pubblica, a volte con fondati motivi, sia, però, troppo spesso prevenuta nei confronti di una professione che, in nome dell’informazione, rinuncia quotidianamente a una quotidianità di routine. Eppure, anche questo è il bello di chi ha scelto di informare il mondo per regalargli i propri occhi, raccontarlo con il proprio volto, la voce, con le dita sulla tastiera di un computer ancora acceso a tarda notte. La sera, dopo l’elezione, sono tornata in una delle quattro postazioni riservate alla stampa, il Media Center allestito a ridosso dell’Aula Paolo VI. Volevo sapere se ci sarebbe stata una conferenza stampa. Eravamo ancora tutti lì, noncuranti dell’orario, ma felici di avere La Notizia. Sono questi i momenti che ripagano della pioggia, della stanchezza, dei pranzi saltati e delle cene a mezzanotte. Se tali sono gli inconvenienti della professione, ci sono situazioni in cui certi pegni da pagare vengono abbondantemente ripagati quando chi ha il compito di facilitare il nostro lavoro svolge un servizio eccellente. Sto parlando della Sala Stampa della Santa Sede, la cui organizzazione è stata impeccabile e ci ha realmente messo nelle condizioni di lavorare al meglio. Uno staff efficiente, bollettini e comunicati puntualmente ordinati sul desk, connessione wireless, televisori sintonizzati sugli eventi da seguire, zona dedicata alle emittenti radiofoniche e televisive, una bacheca aggiornata con orari e appuntamenti. Per circa due ore, quasi ogni giorno, il Direttore della Sala Stampa, Padre Federico Lombardi, ha informato e risposto Le emozioni della gente segue da pagina 11 evento catalizzi anche l’attenzione di persone che non si professano cattoliche. Anzi, più che curioso, è forse un bell’auspicio di conversione in questo Anno della fede. Fumata bianca. La pioggia non accenna a diminuire. C’è tanta umidità, eppure basta girarsi un attimo a guardare la folla, per sentirsi ripagati delle ore di attesa. San Pietro è diventata un patchwork di emozioni pronte ad esplodere ed il calore umano sprigionato da questo tappeto di colori è più forte di qualunque avversità meteorologica. Poi, all’improvviso, poco dopo le 19, il fumo bianco. Passa una frazione di secondo per prendere coscienza, essere sicuri di ciò che trasmettono gli schermi. Subito dopo, la piazza esulta in tutte le lingue del mondo. È sempre questione di secondi, ed ecco la gente, ancora un po’ incredula, correre disordinata verso il centro, in direzione della Loggia della Basilica. Chi sarà e cosa ci si aspetta dal neoeletto? Se prima le persone azzardavano qualche ipotesi, in questi lunghi minuti in molti confessano di non aver idea di chi, da lì a poco, si sarebbe affacciato. Un uomo spera in un Papa sudamericano, per ridare attenzione ai Paesi più poveri, una ragazza appena uscita dal lavoro tifa invece per il cardinale filippino, perché è il più giovane. L’importante, dice un’americana, è che riporti le masse in Chiesa, riavvicini quanti si sono disaffezionati e quanti, invece, non hanno mai creduto. Un gruppo di canadesi sostiene il proprio connazionale, ma ammette, poi, che chiunque sarà il benvenuto perché ciò che conta è avere un Papa, non importa la provenienza. Non credo nel caso, quindi mi piace sottolineare che dalla fumata bianca in poi, la pioggia ha iniziato a diminuire, fino a cessare quasi del tutto. Dalla postazione riservata alla stampa, intorno all’obelisco, si ha una visuale magnifica della piazza, illuminata dalle luci di migliaia di cellulari e fotocamere, telecamere e tablet, come tanti occhi elettronici che, puntati verso la Loggia, rendono San Pietro una piazza stellare. Habemus Papam! Se prima si respirava un clima di entusiastica sospensione, l’annuncio e l’affacciarsi di Papa Francesco liberano la gioia di un popolo che non aspettava altro che accogliere con tangibile affetto il suo nuovo pontefice. Già la scelta di chiamarsi Francesco suscita in molti identificazione. Trasuda, da questo nome, il ritorno alle origini, all’umiltà, alla povertà che, come mi suggerisce una signora boliviana, non è solo povertà economica, ma anche spirituale. I sudamericani acclamano il primo Papa della loro terra, le altre nazionalità si mescolano per fare festa e suonare l’unica armonia che annulla ogni dissonanza: l’essere tutti figli di Dio. Bellissimi gli applausi, i sorrisi, i cori. Forse ancora più belli, quegli attimi di silenzio richiesti dal Papa perché la gente preghi Dio di benedirlo. Un gesto inconsueto, il primo di una serie alla quale speriamo di non abituarci mai. Laura Guadalupi nostra inviata a Roma il 13 marzo Convegno delle Commissioni per la Pastorale della Famiglia e per la Catechesi Analisi e prospettive del pre e post-battesimo 16 marzo, prima udienza di Papa Francesco con i giornalisti a tutte le domande dei giornalisti, dalle più impegnative alle più insignificanti, sempre con grande intelligenza, con sorridente disponibilità. Ottime, inoltre, le traduzioni di P. Thomas Rosica per inglese e francese e di P. Josè Maria Gil Tamayo per lo spagnolo. A sorprendere ancora di più sono il clima sereno, l’ordine che hanno regnato in una circostanza per sua natura poco ordinaria. La ricompensa più grande è arrivata, comunque, direttamente dal Santo Padre, durante l’udienza dedicata ai rappresentanti dei mezzi di comunicazione sociale, lo scorso sabato 16 marzo. Abbiamo sentito l’affetto, la riconoscenza di Papa Francesco per il nostro lavoro, soprattutto quando, a braccio e sorridendo, ha detto: “Avete lavorato, eh! Avete lavorato!”. In quel momento tutti abbiamo riso, grati e complici di un Papa che parla della nostra come di una professione che, al pari di tante altre, “necessita di studio, di sensibilità, di esperienza”, ma che “comporta una particolare attenzione nei confronti della verità, della bontà e della bellezza”. Riempie il cuore sentire il suo apprezzamento, mentre il profondo rispetto che nutre per la coscienza di ciascuno si manifesta in una benedizione silenziosa. Per nulla silenzioso è, invece, l’applauso che lo saluta, vedendolo andare via. Per nulla silenziosi sono i sorrisi e le strette di mano fra quanti, con un badge al collo, si riconoscono come fratelli della stessa scelta di vita, diversa per latitudini e longitudini, credo e tradizioni, lingua e cultura. Identica, però, nella missione. Laura Guadalupi nostra inviata a Roma I retroscena della elezione segue da pagina 11 La scelta e le votazioni. «Colui che è stato scelto - commenta il cardinale Jean Pierre Ricard, arcivescovo di Bordeaux - non era certamente nella lista dei favoriti sui media, non era certamente tra i papabili, ma è colui che i cardinali hanno scelto a causa della sua personalità. Si è rivelato chiaro che il cardinale Bergoglio era l’uomo giusto, che aveva le qualità giuste per governare la Chiesa, per essere il nuovo Papa». Quando lo avete capito? «L’abbiamo capito - risponde il cardinale André Vingt-Trois - molto semplicemente quando abbiamo cominciato a vedere che il numero dei voti che otteneva stavano aumentando. E quando il consenso ha cominciato a cristallizzarsi sulla sua persona, è stato chiaro che era lui l’eletto». Il cardinale Barbarin nega che in questi giorni di conclave ci siano stati tra i cardinali elettori pressioni o movimenti per l’elezione di un candidato piuttosto che un altro. «Non ho consultato nessuno - ha detto per fare la mia scelta. Sono stati giorni di forte preghiera, vissuti nella consapevolezza dell’abisso che esisteva tra la povertà della mia scelta e la grandezza dell’avvenimento». L’età e la personalità. Evidentemente alla fine, l’età non ha contato, sebbene le cause delle dimissioni del precedente papa siano state decise per la fatica e l’età avanzata e che tutto faceva presupporre un Papa più giovane. E invece è stato scelto il cardinale Bergoglio perché - ha detto il cardinale Ricard - «la sua personalità è stata determinante. D’altronde papa Giovanni XXIII, pur essendo stato eletto Papa anziano, è stato un Pontefice decisivo per la storia della Chiesa». Riforma della curia romana. È il cardinale Ricard a dire come nel corso delle Congregazioni generali, dai cardinali è stata espresso più volte il desiderio di una riforma della curia romana, chiedendosi anche espressamente, se tutti gli organismi presenti in curia servano effettivamente alla Chiesa e all’evangelizzazione. Sicuramente - ha quindi aggiunto - il Papa valuterà la necessità di una maggiore collegialità attraverso «una presenza più vicina con i responsabili dei dicasteri»; un maggior «lavoro insieme tra le congregazioni e i Pontifici Consigli soprattutto quando trattato gli stessi temi»; una «maggiore trasparenza». «Dal nuovo Pontefice si attende - ha aggiunto il cardinale di Bordeaux - una riforma della curia così come d’altra parte sta avvenendo nelle amministrazioni delle diocesi». Ma «non sarà una riforma brutale», ha subito aggiunto il cardinale di Parigi, Vingt-Trois. Sarà condotta con «la dolcezza, la pazienza, la costanza della carità». La macchina del Papa è rimasta vuota. Ultimo particolare inedito lo ha raccontato ai giornalisti il cardinale Ricard. Finita la cerimonia di saluto alla piazza, il Papa e i cardinali si sono avviati all’uscita, usufruendo dell’ascensore. Il Papa è entrato per primo e i cardinali non osavano entrare. E invece lui ha fatto segno a tutti di entrare e sono scesi con l’ascensore stretti, stretti. Arrivati alle macchine, Papa Francesco ha scelto di entrare nel pulmino dei cardinali e la “macchina del Papa” è rimasta vuota. Che cosa gli avete detto nel salutarlo? Tutti e tre i cardinali gli hanno assicurato «grande gioia» e che avrebbero «continuato con tutti i cattolici di Francia a pregare per lui». E papa Francesco, rivolgendosi al cardinale Ricard ha detto: “Ne ho bisogno”. M ercoledì 13 marzo presso il Santuario di Santa Maria Madre della Chiesa di Jaddico, si è svolto un convegno regionale organizzato dalle Commissioni per la Pastorale della Famiglia e per la Catechesi. Scopo dell’incontro è stato quello di riflettere sulla realtà pastorale battesimale, approfondendo il tema: “analisi e prospettive del pre e post-battesimo”. Per la Commissione regionale di Pastorale Familiare, l’esigenza di organizzare questo momento di riflessione è nata dal fatto che gli uffici nazionali della Catechesi e della Famiglia, a fine giugno, si incontreranno per riflettere su come la famiglia e la parrocchia, insieme, possono educare alla fede e accompagnare le tappe della iniziazione cristiana. È la prima volta che due Commissioni regionali si incontrano. All’appuntamento erano presenti, oltre ai direttori e ai responsabili delle due commissioni delle varie Diocesi di Puglia, due Vescovi, Mons. Donato Negro, Arcivescovo di Otranto e delegato per la Famiglia e Mons. Vito Angiuli, Vescovo di Ugento S.Maria di Leuca, delegato regionale per la Catechesi. L’incontro si è svolto nella semplicità e familiarità di una Chiesa che si interroga e vuole programmare mettendo insieme i carismi e le esperienze di ciascuno. La prassi di chiedere il battesimo per i figli nei primi mesi dalla nascita, costituisce una preziosa opportunità pastorale per la ri-evangelizzazione dei genitori, superando la falsa alternativa tra evangelizzazione e sacramentalizzazione. I due termini, infatti, non si contrappongono, ma si implicano a vicenda in quanto rappresentano due aspetti di un unico processo di introduzione, educazione e maturazione della/alla fede. Dal confronto è risultato evidente come in alcune diocesi si abbia già un’attenzione pastorale ai genitori che chiedono il Battesimo dei loro figli, meno verso i genitori che hanno i figli da 0 -6 anni. Gli aspetti fondamentali della pastorale pre e post-battesimale devono essere il reinserimento dei genitori nella comunità cristiana, considerando la famiglia come grembo materno che genera la vita, si prende cura dei figli, si adopera per farli crescere sul piano fisico, intellettuale, affettivo e spirituale. I genitori sono chiamati a questa responsabilità educativa grazie ai “tria numera” del loro Battesimo e alla Grazia del sacramento del matrimo- esperienze Il weekend di Incontro Matrimoniale nio. Ecco alcuni punti emersi, da cui ripartire: corresponsabilità tra presbiteri e laici; ripartire dal dono della fede; ripartire dall’Eucaristia; vivere l’essere cristiano con gli altri e per gli altri. L’incontro ha inteso creare uno stile di fare pastorale che sicuramente sta portando nella direzione giusta anche se la strada è ancora lunga. È difficile tenere insieme teoria e prassi, ma si sta tentando di farlo insieme, vale a dire i due sacramenti preposti a portare avanti la Chiesa: Ordine e Matrimonio, questo stare insieme è un” insieme sacramentale”. La proposta post-battesimale, richiede una coraggiosa programmazione, ed è importante che venga offerta una pista di lavoro per mettere in atto un itinerario comune. In generale, la catechesi battesimale è il preludio di tutto il cammino della iniziazione cristiana ed è una specifica scelta di evangelizzazione degli adulti, che è il vero cambiamento che la Chiesa deve attuare. Anna Maria e Arturo Destino paternità Intervista allo psichiatra Andreoli Giorni indimenticabili Padre, “erogatore” di amore I ncontro Matrimoniale, un’associazione della Chiesa presente, in modo significativo, anche nella nostra diocesi ha come obiettivo riscoprire i sacramenti del Matrimonio e dell’Ordine attraverso un richiamo ed un sostegno a viverli con uno stile di relazione fatta di vera apertura e maggiore responsabilità. Agli inizi l’Associazione si preoccupava solo delle coppie. Attualmente invece vi sono percorsi, che iniziano sempre con un fine settimana, rivolti ai fidanzati, alle famiglie e da ultimo quello per i giovani. Al primo fine settimana Choice, che significa scelta hanno partecipato 17 giovani e due sacerdoti. Il “WE Choice” costituisce un valore aggiunto per Incontro Matrimoniale poiché, se il suo carisma è aiutare coppie e consacrati a scoprire la bellezza della relazione, quel carisma va attuato anche accostando i giovani per far sì che diventino persone capaci di fare scelte mature e responsabili e di intessere relazioni profonde e durature. Di seguito, riportiamo alcune testimonianze dei giovani che hanno partecipato al primo fine settimana Choice. Per Elisa si è trattato «di una esperienza che mi ha aperto a me stessa, e ora che ho gli strumenti per intraprendere questo cammino di scoperta, so di potermi aprire con più facilità e senza timore all’altro». Michele «sentiva proprio il bisogno di una esperienza di questo tipo: «Per 44 ore ho staccato la spina e pensato solo a me e alla mia vita trascorsa, riflettendo sugli sbagli fatti nel passato e godendo delle giuste azioni». Francesco non nasconde i timori e le titubanze iniziali, che alla fine si sono trasformate in un “turbinio di sensazioni ed emozioni che hanno pervaso corpo, anima, mente e soprattutto il cuore». Stessi dubbi e diffidenze per Lucia che però alla fine racconta come il fine settimana le abbia «permesso di incontrare e godere dell’amicizia di persone speciali, perché come me desiderose di condividere in profondità, di andare oltre le superficialità del mondo odierno». Simona ha accettato di partecipare al fine settimana “Choice” per evadere dalla solita routine, salvo scoprire poi che «Choice è un’esperienza che ti tocca, ti cambia, ti risana! Credo che tutti i giovani dovrebbero fare questo “incontro d’amore!”» . Significativa anche la testimonianza di don Marco che non sapeva neppure della esistenza di Choice «un’esperienza di tre giorni, che si vorrebbe non finissero mai!». Giorni in cui è possibile «vedere e gustare la bellezza che impregna tutte le nostre vite, anche quando non ce ne accorgiamo o proviamo delusione, malessere e scoraggiamento…Ho incontrato persone che quando parlano, più che muovere le labbra muovono il cuore… ed è più che dire o informare: è condividere e comunicare… e ne avevo tanto bisogno…Ho sentito Dio vicinissimo, presente, forte, coinvolgente … e ne avevo ancor più bisogno… Quando si vuol consegnare una parte di sé, della propria vita, hai accanto chi ti accoglie e ti ascolta senza giudicarti e senza avere risposte preconfezionate alle tue domande… ho sentito che l’altro è uno come me, in cammino … e questa compagnia è tanto consolante e rassicurante, tenera e incoraggiante. Il team è composto da persone disposte a regalare fiducia, a osare la speranza, a sognare realtà che superano la realtà, coi piedi ben saldi per terra e lo sguardo all’orizzonte, per incamminarsi insieme… Un prete scopre di imparare tanto dai giovani e i giovani scoprono tanto grazie a “un prete”… Ho incontrato nuovi amici e amiche a cui mi sento legato da ciò che abbiamo vissuto e condiviso; da un’esperienza unica, speciale e irripetibile; dal nostro stare insieme così particolare e straordinariamente ordinario…L’esperienza mi ha fatto percepire che ciò che credo e cerco di vivere è vero…Con pochi gesti semplici e con incontri segnati da rispetto, premura, sincerità, profondità… si sente il cuore rinascere…Quando ti va di ridere lo fai e quando ti va di piangere altrettanto… e che sei lì non per caso ma per ritornare a “ridere e piangere” con autenticità nella vita…» Sono stati giorni indimenticabili «perché le ferite si aprono alla guarigione, le offese al perdono, la gioia alla felicità… I prossimi appuntamenti di Incontro Matrimoniale, che si svolgeranno presso Casa del Sole a Laureto di Fasano sono: il WE Choice del 5/7 Aprile 2013; il WE Sposi del 19/21 Aprile 2013; il WE Fidanzati del 10/12 Maggio 2013. Per informazioni: www.incontromatrimoniale.org o telefonare a Franca e Rino Francioso (0831 966578). Teresa e Pippo Vincenti N ella catechesi dell’udienza generale del 30 gennaio Benedetto XVI aveva trattato il tema della “paternità” di Dio. Maria Michela Nicolais, per il Sir, ha approfondito gli aspetti più umani con lo psichiatra Vittorino Andreoli. Si può definire la nostra una “società senza padri”? «Limitandomi alla realtà italiana, che è quella di cui mi occupo, posso dire che la crisi della figura del padre risale ormai ad alcuni decenni, ma si è fortemente acuita negli ultimissimi anni, tanto da indurci a parlare di padre assente: un padre, cioè, che esiste, ma dal punto di vista educativo, affettivo, è come se non ci fosse. Certo si tratta di un’affermazione generale, che vede alcune differenze, però è fuor di dubbio che il padre, oggi, è un padre che non c’è, o che comunque sembra aver assunto soltanto un ruolo di erogatore di beni, di colui che fornisce ‘ben-essere’ inteso solo in senso materiale. Si tratta di una visione patologica, non solo limitata, perché la funzione del padre è una funzione affettiva: il padre deve erogare prima di tutto amore, perché l’amore è un legame affettivo che dà sicurezza, e la sicurezza non deriva solo dal denaro». Impegni di lavoro sempre più pressanti, preoccupazioni economiche, “invasione” dei mass media nelle case: questi i fattori che per Benedetto XVI impediscono un “sereno e costruttivo” rapporto tra padri e figli. In che modo l’agenda quotidiana condiziona tale rapporto? «Il Papa fa un’analisi dell’ambito familiare, e mette l’accento sulla crisi della paternità perché ritiene che il fenomeno si stia aggravando. Nel momento in cui, infatti, c’è una crisi economica, il padre non riesce più a fornire in termini di beni tutto ciò che erogava prima, e così si sente in qualche modo ‘meno padre’. È vero, inoltre, che i padri per lavoro sono spesso fuori casa, ma perché in casa si sentono in imbarazzo: le riunioni alle sette di sera sono salvifiche, perché lì trovano amici importanti, mentre andare a casa fa più problema perché ci si sente dei falliti. Una volta a casa, poi, magari è lui che accende la tv, che diventa una barriera, una difesa dall’attivazione degli affetti, che altrimenti sarebbero manchevoli. È la famiglia, così, che non funziona, e ciò è dovuto al fatto che non la si ritiene il luogo della circolarità degli affetti. Come scrive il Papa nella ‘Deus caritas est’, l’amore è darsi, non dare oggetti, ma dare se stessi. Un padre, a volte, preferisce dare dieci euro piuttosto che un bacio». Oggi emerge sempre più il tema della conflittualità dei ruoli, materno e paterno, nelle famiglie disgregate o in difficoltà. «A mio avviso, anche la crisi generale della famiglia è una crisi che si fonda sulla non affettività. Se nella coppia manca l’affetto, se c’è conflitto, sospetto, stanchezza, è molto difficile fare sia il padre sia la madre, perché gli affetti si sostengono vicendevolmente: il padre non può fare anche la madre, e la madre non può fare anche il padre. Se però tra i due c’è la rottura, non c’è la cooperazione nell’affettività. Il problema, in altre parole, riguarda l’insieme, la sinfonia». A farne le spese sono prima di tutto i bambini, contesi o addirittura “strappati” con la forza di fronte alla propria scuola, come è accaduto di recente a Padova... «Quando guarda il padre e la madre, il figlio non riesce a vedere l’uno distaccato dall’altra: se gli adulti ammettono la separazione, i figli non l’ammetterebbero mai. Se un adolescente separa il padre dalla madre, quando non ottiene una cosa da uno va dall’altra, strumentalizzando così il conflitto. È una questione di credibilità degli affetti: come fa un figlio a sentire che un papà gli vuole bene, quando si accorge che il padre non vuole bene a sua madre, alla quale invece lui vuole bene?”» Cosa direbbe a un giovane che non ha un buon rapporto con suo padre? «Spesso i giovani giudicano i padri e le madri. A un giovane direi: “Ma ti sei mai posto la domanda del perché tuo padre, così come lo vedi, non ti soddisfi? Stasera, magari, quando rientra a casa, chiedigli semplicemente come sta”». 16 50° Concilio e Anno della Fede 15 marzo 2013 viaggio tra i documenti conciliari Il decreto “Optatam Totius” I presbiteri? Pastori capaci di dialogo con il mondo I l volto nuovo che il Concilio voleva dare alla Chiesa non poteva non tener conto del ministero presbiterale e del rinnovamento della formazione nei seminari: il decreto “Optatam Totius” fu approvato il 28 ottobre 1965 con una votazione quasi plebiscitaria, cioè con 2.318 “placet”, 3 “non placet” e nessun astenuto. Il documento consta di sette parti e 22 numeri: il proemio, il regolamento da farsi in ogni nazione (I), la necessità di favorire le vocazioni sacerdotali (II), l’ordinamento dei seminari maggiori (III), la necessità di maggior impegno nella formazione spirituale (IV), la revisione degli studi ecclesiastici (V), le norme per la formazione pastorale (VI), il perfezionamento della formazione dopo gli studi. Anzitutto si vuole una formazione contestualizzata e incarnata nelle varie Regioni. Si superava un’idea formativa “rigida”, regolata dalla Congregazione dei Seminari a volte nei dettagli, e si lasciava alle Conferenze episcopali la stesura di un “regolamento di formazione sacerdotale”. Oltre al pieno coinvolgimento dei vescovi (si ricordi che una delle “cinque piaghe della Chiesa” secondo Rosmini era la mancata formazione del clero da parte dei vescovi), si guardava al ministero del prete come “generato” nella sua Chiesa locale, per far sì che si avessero autentici pastori che conoscessero le esigenze del loro gregge. Le varie componenti del popolo di Dio, dai laici nelle loro famiglie (chiamate il “primo seminario”) e nel campo educativo, ai sacerdoti, ai vescovi, sono tutte coinvolte nel “favorire le vocazioni” (n.2). Nel periodo conciliare si avvertiva già una crisi numerica nei seminari minori, accompagnata da un certo scetticismo circa l’utilità di questa istituzione formativa che accoglieva i ragazzi già nella pre-adolescenza. È per questo che il Concilio dedica solo un numero nell’«Optatam Totius» al tema dei seminari minori (3), nel quale insite su uno stile educativo attento alla crescita integrale del ragazzo. Il seminarista sarà sempre meno frequentemente un giovane con un’esperienza seminariale nella preadolescenza, e piuttosto proveniente dalle comunità parrocchiali. Naturalmente il luogo di formazione è il seminario maggiore, del quale il Concilio ridefinisce le finalità. Il modello presbiterale che si propone è quello di un uomo fornito di “quelle virtù umane che sono tenute in gran considerazione tra gli uomini” (n.11), anzitutto ministro della Parola e, quindi, ministro del culto e dei sacramenti, pastore autentico (n.4). Si insiste sugli aspetti spirituali della formazione, tesi a formare un pastore dotato di un forte senso ecclesiale (n.9). Una ventata di novità viene data alla ricomprensione della legge “santa e salda” del celibato nella tradizione latina, ripresentandola nelle sue motivazioni più autentiche: la finalità per il Regno, l’adesione a Dio con cuore indiviso, la prefigurazione della resurrezione futura e, infine, l’aiuto NOVITà Il volume curato da mons. Cozzoli Pensare, professare, vivere la fede “P ensare professare vivere la fede”. Questo il titolo del volume curato da monsignor Mauro Cozzoli, docente in teologia morale. Il libro percorre le tre direttrici della fede sul solco della esortazione apostolica “Porta Fidei”, con la quale Benedetto XVI ha indetto l’Anno della fede. La “Porta Fidei” è «qualcosa di profondamente personale», come l’ha chiamata monsignor Enrico dal Covolo, rettore della Lateranense, che nella presentazione avvenuta presso la Pontificia Università, ha definito la lettera una sorta di «autobiografia spirituale del Papa e guida autorevolissima». Pensare la fede. Monsignor Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, è intervenuto all’incontro sulla direttrice “pensare la fede”. «Fede e ragione - ha esordito monsignor Müller - non si escludono reciprocamente, ma sono due poli di una medesima realtà che rendono capace l’uomo d’indagare e di riconoscere l’ambiente come creazione, e l’uomo come creatura capace di riconoscere se stesso e la propria esistenza». «La fede - ha spiegato il prefetto - non è un’immaginazione soggettiva, un sentimento o elemento psicologico, ma è oggettiva componente della realtà vitale umana»: e in quanto «essere intellettuale l’uomo è concepito in modo tale che egli non nasconde Dio alla ragione». Ma, ha precisato monsignor Müller, «per pensare la fede il mondo ha bisogno di una ragione che non sia muta di fronte al divino»: per questo «il logos divino che in Cristo ha assunto forma umana è la ragione che giunge per la fede», ha chiarito ricordando la frase di Benedetto XVI «non agire con il logos è contrario alla natura di Dio», pronunciata nel 2006 a Ratisbona. “Dio che è logos assicura all’uomo la sensatezza del mondo e dell’esistere”. Sigillo dell’identità cristiana. Il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le cause dei santi, chiamato a pronunciarsi sul tema “professare la fede”, ha evidenziato come l’etimologia del verbo professare, dal greco “omologheo” indichi «la concordanza in una dichiarazione comune», ma anche «dichiarazione aperta e sincera». Professare la fede è «il sigillo dell’identità cristiana», è «omologhia», «confermare la propria identità insieme ad altri». «La fede - ha continuato il cardinale Amato - ha sempre bisogno di essere espressa e motivata, anche oggi, soprattutto davanti alle incomprensioni». E citando Giustino, Tertulliano, Clemente Alessandrino e altri, il cardinale ha voluto mettere l’accento sui martiri del nostro tempo, ricordando come «i cristiani che professano la fede non sono affatto contrari allo Stato». Rapporto personale con Gesù. «La fede non è un’idea, un concetto, un ragionamento, ma un incontro che si alimenta in quell’ossigeno naturale che chiamiamo preghiera in cui Dio ci parla». Così il cardinale Agostino Vallini, vicario del Papa per la diocesi di Roma, è intervenuto sulla questione “vivere la fede”, che significa «stabilire un rapporto personale con Gesù che dà fisionomia alla nostra vita». «La fede come concetto non esiste - ha ribadito il cardinale - non vediamo la fede ma persone credenti». «L’uomo credente - ha dunque spiegato il cardinale - è colui che è capace di consegnarsi al Signore: credere vuol dire coinvolgersi, rispondere a una iniziativa di Dio: la fede vissuta plasma la vita, organizza i pensieri, i sentimenti, tutta la persona attorno alla persona di Cristo, principio finalistico del nostro vivere». Il cammino della fede è, secondo il cardinale Vallini, «un percorso che va dalla logica della pura ragione a quella della risurrezione»: “porta” di questo passaggio “è la croce”. Ma, ha precisato, «vivere la fede non è un fatto individuale, personale ma ecclesiale», perché «chi crede non sta di fronte ma è dentro, è aggregato». Il cardinale Vallini ha quindi ricordato il «nuovo stile» proposto da Gesù, quello ribadito nel Vangelo di Matteo: «Vivere la fede - ha detto - significa vivere nella carità, ascoltare gli ultimi, sentire che ci appartengono». Marta Fallani che può dare per l’esercizio del proprio ministero (n.10). Il prete, che si prepara a essere un evangelizzatore, deve poter accedere a studi filosofici e teologici rinnovati nei loro programmi e nella loro metodologia. Alla revisione degli studi ecclesiastici sono dedicati i nn.13-18. L’”Optatam Totius” insiste soprattutto sulla ricchezza della Rivelazione, alla quale deve attingere ogni disciplina teologica: sia la dogmatica (“prima vengano proposti gli stessi temi biblici”), sia la morale (“maggiormente fondata sulla Scrittura”), in modo tale che la Parola “sia l’anima di tutta la teologia” (n.16). La finalità a cui tende tutta la formazione è quella di dare alla Chiesa un pastore capace di dialogo con il mondo: l’educazione al dialogo e al senso ecclesiale e missionario non sono un semplice complemento della formazione, ma lo spirito che la pervade tutta intera (nn. 19-20). Infine si insiste su quella che noi oggi chiamiamo formazione permanente, di cui si sente già l’esigenza. Il Concilio della “Gaudium et Spes”, della “Lumen Gentium”, della “Ad Gentes”, è il Concilio della “Optatam Totius” e della “Presbyterorum Ordinis”, in un gioco di vasi comunicanti in cui è impossibile essere Chiesa rinnovata dallo Spirito senza la collaborazione di tutti. Mons. Luigi Renna 15 15 marzo marzo 2013 2013 17 50° Concilio Vita Diocesana e Anno della Fede viaggio tra i documenti conciliari Il decreto “Christus Dominus” La missione pastorale dei vescovi I l decreto sulla missione pastorale dei vescovi nella Chiesa, dal titolo latino “Christus Dominus”, fu votato nel Concilio Vaticano II a pochi giorni dalla sua conclusione - precisamente il 28 ottobre 1965 - praticamente all’unanimità, poiché ottenne 2.319 voti a favore, appena 2 contrari e 1 nullo, e fu quindi ratificato e promulgato da Paolo VI. È chiamato “decreto” poiché si presenta con un marcato carattere pastorale: si richiama alla dottrina sull’episcopato già presentata dalla costituzione dogmatica sulla Chiesa (“Lumen Gentium”) e offre le linee guida per lo svolgimento della missione dei vescovi. Il decreto è diviso in tre capitoli. Nel primo tratta della posizione dei vescovi nei confronti della Chiesa universale (il collegio episcopale, il sinodo dei vescovi, la sollecitudine per la Chiesa universale) e nei confronti della Santa Sede (il potere dei vescovi nelle loro diocesi, la curia romana). Nel secondo capitolo si parla dei vescovi e le Chiese particolari, con la presentazione dei tre ministeri: insegnare, santificare, governare da pastori d’anime. In una seconda parte di questo capitolo centrale si affronta la questione della revisione dei confini delle diocesi. In una terza parte si tratta dei cooperatori del vescovo: vescovi coadiutori e ausiliari, curia e consigli diocesani, clero diocesano. Infine, nella quarta parte si parla dei religiosi. Nel capitolo terzo si presentano orientamenti e indicazioni riguardo ai sinodi e concili particolari, alle conferenze episcopali, alle province e regioni ecclesiastiche. Nel decreto merita di essere evidenziata la visione sacramentale dell’episcopato. Il n. 4 afferma: “I vescovi, in virtù della loro sacramentale consacrazione e in gerarchica comunione con il capo e con i membri del collegio, sono costituiti membri del corpo episcopale”. Si ripropone la dottrina già esposta nella “Lumen Gentium”: “Fra i vari ministeri che fin dai primi tempi si esercitano nella Chiesa, secondo la testimonianza della tradizione tiene il primo posto l’ufficio di quelli che, costituiti nell’episcopato, per successione che decorre ininterrotta dall’origine, possiedono il tralcio del seme apostolico” (n. 20). Veniva così chiusa una questione che datava da tempi remoti. San Girolamo, per esempio, nel quarto secolo, sosteneva che dal punto di vista del sacramento, del carisma ministeriale, non esiste una differenza tra il vescovo e i preti. Egli non nega la legittimità del ministero del vescovo, ma sostiene che si tratta puramente di una distribuzione funzionale di compiti, necessaria di fatto per l’unità della Chiesa. Le questioni intorno all’episcopato lungo i secoli derivano soprattutto dal progressivo accentuarsi delle sue funzioni giurisdizionali a scapito del ministero della parola e dei compiti sacerdotali e pastorali. E proprio nel campo giurisdizionale, per il progressivo movimento di centralizzazione papale, la figura del vescovo non trova un posto preciso: per molti, se il papa ha un’autorità su tutta la Chiesa universale, i vescovi non possono averla sulle Chiese particolari, se non derivata dal papa stesso. Ogni concezione che vedesse nell’episcopato un’istituzione divina, un sacramento voluto da Cristo, sembrava porsi inevitabilmente in conflitto con il primato romano. Quando il Concilio Vaticano I definì in maniera solen- ne il primato del papa, molti pensarono che la questione dell’episcopato fosse chiusa per sempre e addirittura fosse finita per la Chiesa l’epoca dei concili. Di fatto sul piano dottrinale la questione rimase aperta e finalmente con il Concilio Vaticano II si è pervenuti a sostenere che l’episcopato è un vero e proprio sacramento istituito da Gesù Cristo. Pertanto, per il Concilio i vescovi “reggono le Chiese particolari loro affidate come vicari e delegati di Cristo” e “non devono esser considerati vicari dei romani pontefici” (LG 27). Il recupero del valore sacramentale dell’episcopato si accompagna da vicino con il recupero del significato della Chiesa particolare. Questa non può essere ridotta a una suddivisione burocratica di quella universale, né a una semplice entità amministrativa. Riscoprendo il ruolo della collegialità dei vescovi, la Chiesa locale, l’importanza dei laici e degli organismi di partecipazione, come i consigli presbiterali e pastorali, il Concilio ha sostituito alla logica della rappresentanza la spiritualità di comunione e la logica della partecipazione diretta, tipiche della Chiesa dei primi secoli. Con la varietà dei carismi e dei ministeri che lo Spirito Santo suscita direttamente e liberamente nel vissuto quotidiano e concreto della Chiesa, nasce una ricchezza che ricade a vantaggio di tutta la Chiesa stessa. Certo, alla gerarchia spetta il compito di discernere e autenticare i carismi, non però quello di crearli. Infatti i pastori hanno il carisma della sintesi, non la sintesi dei carismi. Mons. Francesco Lambiasi ANNIVERSARI Per il 50° delle Edizioni Dehoniane Bibbia per la Formazione cristiana N on è solo una singolare coincidenza. Possiamo considerare un segno della Provvidenza per la comunità cristiana la circostanza che, in concomitanza con la celebrazioni per il 50° anniversario dell’apertura del concilio Vaticano II, dal settembre 2012 fino al prossimo settembre, le Edizioni Dehoniane Bologna festeggino e ricordino i propri 50 anni, essendo molto forte il nesso, che lega quell’evento di Chiesa alle fortune di una casa editrice cattolica. «Il primo programma editoriale delle Dehoniane veniva pubblicato nel settembre 1962», scrivono padre Alfio Filippi, direttore emerito Edb e padre Pier Luigi Cabri, direttore editoriale della stessa casa editrice. Ed insieme aggiungono: «Per una felice coincidenza, nel mese successivo (ottobre 1962) si apriva il concilio Vaticano II, che per la vita e per il catalogo Edb è stato un punto di riferimento determinante». E come celebra l’evento una casa editrice? In questo clima di anniversari, lo fa con la nuova edizione della “Bibbia per la Formazione cristiana”. «Un’opera molto apprezzata in prima edizione e subito esaurita», dicono i due padri, che aggiungono: «L’impegno per la diffusione e l’approfondimento della Bibbia è stato fin dagli inizi uno dei tratti caratterizzanti delle Edb. Questa nuova edizione – concludono – è un ulteriore passo per un ascolto sempre più quotidiano della Parola di Dio». Se, come usa dire, “anche l’occhio vuole la sua parte”, ebbene, il lettore è subito accontentato perché già nei risguardi può ammirare la riproduzione delle tavole a olio realizzate da Giuseppe Cordiano, ma è altro ciò che maggiormente interessa. «Nel 1993, quando uscì la Bibbia per la Formazione cristiana – scrive p. Cabri nella Presentazione -, le Edizioni Dehoniane di Bologna riscontrarono da subito per quell’opera apprezzamento e accoglienza. La formula editoriale che proponeva un unico volume (…), la chiarezza del commento al testo biblico, l’individuazione dei destinatari (famiglie, catechisti, operatori pastorali, giovani) contribuirono a dare valore e preziosità a un libro che rimase disponibile soltanto per breve tempo. In pochi mesi esaurì la tiratura e da allora, nonostante le sollecitazioni che provenivano da più parti, non fu più ristampato». Insomma, tra la prima edizione del 1993 e la ristampa del 1994, si consumò un evento. Chi giunse in ritardo dovette consultarla nelle biblioteche o recuperare l’edizione originale in tre volumi, la Biblia para la Iniciación Cristiana, edita dalla Commissione episcopale spagnola per l’insegnamento e la catechesi, su incarico ed approvazione della Conferenza episcopale spagnola. Ed ora, visto che nel 2008 è stata pubblicata l’editio princeps della nuova traduzione della Conferenza episcopale italiana, quale migliore occasione per promuovere questa edizione che, rispetto alla precedente, reca gli opportuni adattamenti e i necessari aggiornamenti a testo-commento e, appunto, una singolare ed entusiasmante iconografia? P. Cabri non ha dubbi. È «uno libro rivolto a tutti. Uno strumento per la lettura e la scoperta della Bibbia – aggiunge -, per la riflessione e lo studio, per l’approfondimento e la preghiera». Da queste pagine traspare «un mondo ricco di umanità e di storia, fatto di parola ed eventi, di domande e di risposte, che porta al riconoscimento di se stessi dentro una grande storia che coinvolge e interessa l’intera umanità». E citando l’esegeta JeanLouis Ska, il quale sostiene che la Bibbia è “come la strada verso casa”, questa edizione è davvero una guida autorevole. Prima del testo, infatti, si propone al lettore non solo la nota dei vescovo spagnoli, ma anche una bella riflessione di mons. Lorenzo Chiarinelli, vescovo emerito di Viterbo («Dio parla agli uomini come amici») e opportuni paragrafi orientativi che, unificati nel capitolo «Una Bibbia per la formazione cristiana», sono una bussola pratica per ciascun lettore, il quale troverà davvero una via agevole per incamminarsi. Il resto lo farà la sua curiosità intellettuale, la sua fede e (ci sia consentito) il vento del Concilio che non ha mai smesso di soffiare. (a. scon.) la nostra fede/2 La seconda espressione del Simbolo “Credo in Dio creatore del cielo e della terra” D urante l’Udienza Generale del 6 febbraio scorso, il Papa emerito Benedetto XVI aveva continuato la catechesi sul simbolo della fede cristiana, soffermandosi sulla frase “Creatore del cielo e della terra”, spiegandola alla luce del primo capitolo della Genesi. “È Dio l’origine di tutte le cose e nella bellezza della creazione si dispiega la sua onnipotenza di Padre che ama. (...) In quanto origine della vita (...) si prende cura di ciò che ha creato con un amore e una fedeltà che non vengono mai meno, dicono ripetutamente i salmi. Così, la creazione diventa luogo in cui conoscere e riconoscere l’onnipotenza del Signore e la sua bontà, e diventa appello alla fede di noi credenti perché proclamiamo Dio come Creatore. (...) È nel libro della Sacra Scrittura che l’intelligenza umana può trovare, alla luce della fede, la chiave di interpretazione per comprendere il mondo. In particolare, occupa un posto speciale il primo capitolo della Genesi, con la solenne presentazione dell’opera creatrice divina che si dispiega lungo sette giorni (...).Per sei volte, ad esempio, viene ripetuta la frase: ‘Dio vide che era cosa buona’ (...) Tutto ciò che Dio crea è bello e buono, intriso di sapienza e di amore; l’azione creatrice di Dio porta ordine, immette armonia, dona bellezza. Nel racconto della Genesi poi emerge che il Signore crea con la sua parola: per dieci volte si legge nel testo l’espressione ‘Dio disse’. (...) La vita sorge, il mondo esiste, perché tutto obbedisce alla Parola divina”. “Ma la nostra domanda oggi è: nell’epoca della scienza e della tecnica, ha ancora senso parlare di creazione? - si è chiesto Benedetto XVI, spiegando che: “La Bibbia non vuole essere un manuale di scienze naturali; vuole invece far comprendere la verità autentica e profonda delle cose. La verità fondamentale che i racconti della Genesi ci svelano è che il mondo non è un insieme di forze tra loro contrastanti, ma ha la sua origine e la sua stabilità nel ‘Logos’, nella Ragione eterna di Dio, che continua a sorreggere l’universo. C’è un disegno sul mondo che nasce da questa Ragione, dallo Spirito creatore”. “Vertice dell’intera creazione sono “l’uomo e la donna, l’essere umano, l’unico ‘capace di conoscere e di amare il suo Creatore’. I racconti della creazione nel Libro della Genesi ci introducono anche in questo misterioso ambito, aiutandoci a conoscere il progetto di Dio sull’uomo. Anzitutto affermano che Dio formò l’uomo con la polvere della terra. Questo significa che non siamo Dio, non ci siamo fatti da soli, siamo terra; ma significa anche che veniamo dalla terra buona, per opera del Creatore buono. (...) A questo si aggiunge un’altra realtà fondamentale: tutti gli esseri umani sono polvere, al di là delle distinzioni operate dalla cultura e dalla storia, al di là di ogni differenza sociale siamo un’unica umanità plasmata con l’unica terra di Dio. Vi è poi un secondo elemento: l’essere umano ha origine perché Dio soffia l’alito di vita nel corpo modellato dalla terra. L’essere umano è fatto a immagine e somiglianza di Dio. Tutti allora portiamo in noi l’alito vitale di Dio e ogni vita umana (...) sta sotto la particolare protezione di Dio. Questa è la ragione più profonda dell’inviolabilità della dignità umana contro ogni tentazione di valutare la persona secondo criteri utilitaristici e di potere”. “Nei primi capitoli del Libro della Genesi troviamo due immagini significative: il giardino con l’albero della conoscenza del bene e del male e il serpente. Il giardino ci dice che la realtà in cui Dio ha posto l’essere umano non è una foresta selvaggia, ma luogo che protegge, nutre e sostiene; e l’uomo deve riconoscere il mondo non come proprietà da saccheggiare e da sfruttare, ma come dono del Creatore, (...) dono da coltivare e custodire, da far crescere e sviluppare nel rispetto, nell’armonia, seguendone i ritmi e la logica, secondo il disegno di Dio. Poi, il serpente è una figura che deriva dai culti orientali della fecondità, che affascinavano Israele e costituivano una costante tentazione di abbandonare la misteriosa alleanza con Dio. (...) In questo modo il serpente suscita il sospetto che l’alleanza con Dio sia come una catena che lega, che priva della libertà e delle cose più belle e preziose della vita. La tentazione diventa quella di costruirsi da soli il mondo in cui vivere, di non accettare i limiti dell’es- sere creatura, i limiti del bene e del male, della moralità; la dipendenza dall’amore creatore di Dio è vista come un peso di cui liberarsi. Questo è sempre il nocciolo della tentazione. Ma quando si falsa il rapporto con Dio, con una menzogna, mettendosi al suo posto, tutti gli altri rapporti vengono alterati. Allora l’altro diventa un rivale, una minaccia: Adamo, dopo aver ceduto alla tentazione, accusa immediatamente Eva; (...) il mondo non è più il giardino in cui vivere con armonia, ma un luogo da sfruttare e nel quale si celano insidie; l’invidia e l’odio verso l’altro entrano nel cuore dell’uomo”. “Dei racconti della creazione, vorrei evidenziare un ultimo insegnamento: il peccato genera peccato e tutti i peccati della storia sono legati tra di loro. Questo aspetto ci spinge a parlare di quello che è chiamato il ‘peccato originale’. Qual è il significato di questa realtà, difficile da comprendere? (...) Anzitutto dobbiamo considerare che nessun uomo è chiuso in se stesso (...); noi riceviamo la vita dall’altro e non solo al momento della nascita, ma ogni giorno. L’essere umano è relazione: io sono me stesso solo nel tu e attraverso il tu, nella relazione dell’amore con il Tu di Dio e il tu degli altri. Ebbene, il peccato è turbare o distruggere la relazione con Dio, questa la sua essenza: distruggere la relazione con Dio, la relazione fondamentale, mettersi al posto di Dio. (...) Turbata la relazione fondamentale, sono compromessi o distrutti anche gli altri poli della relazione, il peccato rovina le relazioni, così rovina tutto, perché noi siamo relazione. Ora, se la struttura relazionale dell’umanità è turbata fin dall’inizio, ogni uomo entra in un mondo segnato da questo turbamento delle relazioni, entra in un mondo turbato dal peccato, da cui viene segnato personalmente; il peccato iniziale intacca e ferisce la natura umana. E l’uomo da solo, uno solo non può uscire da questa situazione, non può redimersi da solo; solamente il Creatore stesso può ripristinare le giuste relazioni. (...) Questo avviene in Gesù Cristo, che compie esattamente il percorso inverso di quello di Adamo (...): mentre Adamo non riconosce il suo essere creatura e vuole porsi al posto di Dio, Gesù, il Figlio di Dio, è in una relazione filiale perfetta con il Padre, si abbassa, diventa il servo, percorre la via dell’amore umiliandosi fino alla morte di croce, per rimettere in ordine le relazioni con Dio. La Croce di Cristo diventa così il nuovo albero della vita”. “Vivere di fede - ha concluso Benedetto XVI - vuol dire riconoscere la grandezza di Dio e accettare la nostra piccolezza, la nostra condizione di creature lasciando che il Signore la ricolmi del suo amore e così cresca la nostra vera grandezza. Il male, con il suo carico di dolore e di sofferenza, è un mistero che viene illuminato dalla luce della fede, che ci dà la certezza di poterne essere liberati: la certezza che è bene essere un uomo”. 18 Attualità & Territorio in Breve marò italiani I due fucilieri di Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, di stanza presso il Reggimento San Marco di Brindisi, accusati di aver ucciso due pescatori indiani scambiati per pirati non faranno ritorno in India. Lo ha annunciato nei giorni scorsi il governo italiano. “L’Italia - sostiene, infatti, la Farnesina ha sempre ritenuto che la condotta delle Autorità indiane violasse gli obblighi di diritto internazionale gravanti sull’India in virtù del diritto consuetudinario e pattizio”. Di “situazione inaccettabile” ha parlato il premier indiano Manmohan Singh commentando la vicenda su richiesta di alcuni parlamentari indiani del gruppo “Left” (sinistra). A loro il premier ha detto che chiederà al ministro degli Esteri, Salman Khurshid, di sollevare la questione con l’Italia. asia bibi Asia Bibi, cristiana pakistana di 45 anni, madre di cinque figli (di cui uno disabile), accusata di blasfemia, è la prima donna ad essere condannata a morte per aver offeso il profeta Maometto durante una lite tra contadine. 1.359 giorni, 32.616 ore in una cella, senza finestre, del carcere pakistano di Sheikhupura, nella provincia del Punjab, una delle terre più fertili del pianeta. Per sostenere la liberazione di Asia Bibi, il quotidiano “Avvenire” ha lanciato una petizione che ha superato le 30mila sottoscrizioni. Impacchettate in due scatoloni, le firme sono state consegnate il 6 marzo alla signora Tehmina Janjua, ambasciatore della Repubblica Islamica del Pakistan in Italia. «Già da due anni e mezzo abbiamo scelto di porre un ‘bollo’ nella pagina degli editoriali e sul sito internet con lo slogan ‘Salviamo Asia’, per ricordare a tutti una vicenda che stenta a trovare la luce dei riflettori» - ha spiegato in una recente intervista il direttore di Avvenire Marco Tarquinio. MLAC Il Movimento Lavoratori di Azione Cattolica della Puglia ha festeggiato il santo patrono dei lavoratori, San Giuseppe. L’iniziativa regionale, dal titolo “L’Italia dei capolavori” si è svolta, domenica 17 marzo, nel nostro territorio diocesano, precisamente presso la Cooperativa Cantina Due Palme di Cellino San Marco. La manifestazione ha avuto inzio con una visita guidata delle cantine. Subito dopo ha preso avvio un convegno pubblico sul tema “L’impresa agricola, capolavoro della nostra terra”, al quale sono intervenuti: Eugenio Cascione, direttore Confcooperative Brindisi, Angelo Maci, Presidente Cantine Due Palme, Don Lucio Ciardo, Coordinatore Progetto Policoro Puglia e Giuseppe Caggiula, Segretario Mlac della diocesi di Nardò-Gallipoli. Al termine i partecipanti hanno potuto prendere parte ad una degustazione di prodotti tipici locali. 15 marzo 2013 15 marzo 2013 nota politica Come si muoverà un Parlmento senza maggioranza GIOVANI E web Le domande di senso che pongono i social network Q I Sanare l’anomalia italiana con sano realismo uando un mondo nuovo si affaccia, viene anticipato dai segni che vanno interpretati. Accade nei grandi passaggi della storia, ma anche in quella cronaca minima che è la politica italiana. Spesso ridotta a chiacchiericcio di comari o a cortile di casa per élites stanche e rassegnate, la politica va comunque presa sul serio perché da essa spesso dipende la vita di tanti. Basti un esempio: la montagna di debito pubblico che ci soffoca e pesa come un macigno sulle spalle di tutti i cittadini italiani sta lì a dimostrare che le scelte di pochi possono segnare il destino di un intero popolo. Dunque, tutto ciò che accade nelle aule parlamentari ci riguarda. Così come ci tocca anche quello che della politica non vediamo, eppure intuiamo che accada in qualche stanza della Repubblica. Il mondo nuovo è quello di un Parlamento privo di maggioranza, incapace di esprimere un governo stabile. Il mondo nuovo è quello che per eleggere i propri massimi organi di funzionamento democratico, le presidenze, deve sperare nel soccorso di quanti, disobbedendo alle indicazioni dettate via internet dal proprio capopartito, danno una mano per garantire la funzionalità minima delle istituzioni democratiche. Il mondo nuovo è quello che si allontana sempre più dalla normale dialettica europea tra forze di ispirazione popolare o socialdemocratica e si avventura nel deserto del populismo. Il mondo nuovo è quello in cui le culture politiche appaiono sempre più sfilacciate e sfibrate, quasi che la caduta di tutti i muri e di tutte le ideologie abbia lasciato i potenziali governanti privi di ogni riferimento ideale. Il mondo nuovo è quello in cui una volgare imprecazione, una volta categoricamente proibita in famiglia, è spacciata alla maniera di una droga sociale e addirittura pretende di farsi programma politico. Il mondo nuovo è quello in cui i capipartito non sono più soggetti alle dure pratiche democratiche, ma vestono i panni padronali o dei guru. Bene, con questo mondo nuovo, nel quale tre cittadini su dieci non si presentano neppure alle urne, bisogna fare i conti armandosi dell’unica arma in nostro possesso: il realismo. Una categoria dell’agire umano, il realismo, che in troppe occasioni viene stravolta non solo dalle circostanze esterne della storia, ma spesso incrocia l’irresponsabilità degli uomini e la loro incapacità di individuare i contorni del bene comune. Se infatti ci si muovesse sulla strada del realismo, si potrebbero anche superare le angustie del tatticismo per scegliere la strada della cooperazione responsabile. Se risultasse impossibile costruire un governo legittimato da una chiara maggioranza parlamentare, non sarebbe comunque necessario garantire la costituzione di un governo di corresponsabilità nazionale in grado di traghettarci verso un nuovo appuntamento elettorale? E quali caratteristiche dovrebbe avere questo governo per tranquillizzare i mercati finanziari, rasserenare le cancellerie europee, contenere da subito la spesa pubblica e dare un minimo di ossigeno alle famiglie e ai lavoratori? Per non parlare dell’urgenza di varare una legge elettorale in grado di dare al Paese una maggioranza certa dopo il voto. Si potrebbe obiettare che il mondo nuovo che abbiamo tratteggiato ha prodotto comunque l’elezione dei presidenti di Camera e Senato. E magari qualcuno ipotizza che per questa strada si possa far nascere un governo… Basta osservare che in Europa solo l’Italia si trova in questa impasse e che evocare il caso belga (535 giorni senza governo e senza danni per la nazione) è semplicemente improponibile per un Paese latino come il nostro. Piuttosto, questo mondo nuovo, così come si presenta, è una vera anomalia che sembra fare dell’Italia una democrazia parlamentare balbettante e sotto ricatto. Una democrazia debole e dunque esposta a pericoli di vario genere, a cominciare dal default finanziario, senza voler evocare scenari ben più drammatici. Accade solo in Italia, dunque è un’anomalia da sanare al più presto. Domenico Delle Foglie new york Discutibile iniziativa del sindaco società Sentenza della Consulta Teenager incinte nel mirino La domenica cancellata I li orari e i giorni di apertura (o chiusura) degli esercizi commerciali sono un tema che non cessa di interessare e anche dividere l’opinione pubblica, il mondo politico nonché la stessa Chiesa, soprattutto per gli aspetti legati al riposo festivo, alla celebrazione cristiana della domenica, alla vita comunitaria, alla dimensione dei legami familiari. Recentemente la Corte Costituzionale italiana si è pronunciata sulla materia, prendendo in considerazione numerosi ricorsi presentati da diverse Regioni italiane, in forma e con modalità e contenuti diversi, ma tutti accomunati dall’intento di salvaguardare, in qualche modo, la domenica come giorno festivo e di riposo oltre che di armonia familiare e sociale. La Corte Costituzionale ha di fatto rigettato tutti i ricorsi regionali variamente motivati a difesa dei piccoli esercizi (Piemonte), del riposo settimanale (Friuli e Toscana), del rispetto delle peculiarità socio-culturali (Lombardia) e altre. La Consulta ha così sancito, a quanto sembra una volta per tutte, la prevalenza del principio di “tutela della concorrenza” e del valore superiore della liberalizzazione, “rimuovendo vincoli e limiti alle modalità di esercizio delle attività economiche”. Tutto ciò - sostiene la Corte - va “a beneficio dei consumatori” creando “un mercato più dinamico e più aperto all’ingresso di nuovi operatori”. mmaginate di trovare una grande città italiana, magari del nostro Meridione, tappezzata di manifesti 6 metri per tre in cui un bimbo pacioso e ricciuto, versando lacrimoni sulle gote brunite, rimproveri dolente la madre che lo ha messo al mondo: lo sai che essendo il figlio di una mamma adolescente ho il doppio delle probabilità di non andare all’università? In alternativa: una bimba dalla pelle scura guarda pensosa al cielo, brontolando saccente: onestamente mamma… è probabile che lui ti molli, e allora che ne sarà di me? Ebbene, ne dà notizia il New York Times, ed è esattamente quello che sta accadendo nella Grande Mela, dove l’attivissimo sindaco Bloomberg prima ha cercato di ridurre le gravidanze delle teenager accollando l’educazione sessuale alle scuole pubbliche e “responsabilizzando” gli infermieri delle scuole superiori affinché fornissero strumenti per il controllo delle nascite, tra cui la pillola del giorno dopo. Non soddisfatto dei risultati, e con un occhio al bilancio municipale (follow the money…), ha pensato che il modo migliore per scoraggiare le adolescenti fosse quello di farle sentire in colpa per aver tenuto il proprio bambino. Un colpo di genio che manda serenamente all’aria ogni tipologia di cultura dell’accoglienza, nella città che si fa vanto di essere la più liberal, la più aperta ai gay, alle minoranze, ai diritti di tutti. G Veicoli per stimolare il protagonismo dei giovani l web e i suoi social network (facebook, tweeter, youtube e via scorrendo) possono stimolare un protagonismo tra i giovani? Essere connessi in rete è una condizione normale soprattutto per le nuove generazioni: ormai smartphone e tablet permettono di rimanere dentro un sistema di comunicazione costante, dove si possono condividere sensazioni, emozioni e immagini, dove si possono ricercare e raccogliere informazioni, come chiedere opinioni ad amici. Nella navigazione web incontriamo diverse esperienze interessanti, non solo in campo sociale o politico, ma anche ecclesiale. I giovani lanciano proposte per nuove modalità di pastorale. Alcuni organizzano e invitano i loro coetanei attraverso facebook a una serata-pub, nel contesto di una missione popolare parrocchiale. Altri hanno reso possibili le trasmissioni via web di una radio che sfrutta i locali dell’oratorio. Altri ancora promuovono gli esercizi spirituali in città per vivere la Quaresima utilizzando i social network. Queste tre iniziative sono solo alcuni dei possibili esempi, che mostrano come il web sia un terreno abitato: non è circoscritto ai IL LATO POSITIVO Regia: David O. Russel Nel cinema americano classico uno dei generi più importanti era la commedia. Già nell’epoca del muto la commedia, sotto forma delle comiche, svolgeva un ruolo fondamentale nella nascente industria cinematografica americana: portare al cinema gli spettatori, farli divertire e, dunque, aumentare il successo del neonato mezzo cinematografico. Ma è con l’arrivo del sonoro che la commedia diventa veramente un grande genere di riferimento. Perché uno dei tratti fondamentali di ogni commedia è l’importanza del dialogo, della sceneggiatura, nella quale si racconta la schermaglia fra i sessi che è tipica del genere. Il cuore di ogni commedia, infatti, è la storia d’amore fra due protagonisti, spesso in contrasto all’inizio, ma che nel finale arrivano al più classico degli happy end. Questo schema viene riproposto anche oggi ne “Il lato positivo”, il film di David O. Russel, tratto da un romanzo di successo, che ha fatto vincere alla sua protagonista, Jennifer Lawrence, il suo primo Premio Oscar. Una pellicola che adatta ai tempi contemporanei quel grande modello di riferimento. Pat esce dall’ospedale psichiatrico dopo otto mesi di trattamento con una sola idea in testa: rimettersi in forma e riconquistare la moglie Nikki. Un divieto di avvicinamento lo costringe, però, nel frattempo, in casa con la madre e il padre. Questi ha perso il lavoro e si è dato alle scommesse, e gli impone degli 19 Cultura & Comunicazione media ufficiali, non si limita a trattare di questioni politiche, sociali o ambientali; nel web si affacciano le persone, in particolare i giovani, che lo abitano con naturalezza senza troppe elucubrazioni mentali. Spesso la presenza sui social network e su Internet è vista come sintomo di alienazione. Una sensazione che forse trova conferma in alcuni casi. Però se andiamo in profondità scopriamo che i social network possono incentivare i giovani al protagonismo. Le tre iniziative di pastorale indicano, ad esempio, uno stretto rapporto tra luogo “virtuale” e luogo “materiale”. Se una piattaforma mediatica è un punto di contatto, di approfondimento, un ambiente tradizionale diventa un punto d’in- incontri settimanali con il dottor Patel. A questo punto, la già precaria autodisciplina di Pat viene sconvolta dall’incontro con Tiffany, giovane vedova con una recente storia di dipendenza da sesso e psicofarmaci. In cambio della sua intercessione presso Nikki, Tiffany vuole infatti che Pat le faccia da partner per un bizzarro concorso di danza. Dapprima riluttante, alla fine Pat accetterà e insieme a Tiffany troverà una strada per uscire dalla sua crisi. E soprattutto troverà l’amore. Lo schema della pellicola è, dunque, classico, ma contemporaneo è il modo di raccontarlo e an che la descrizione dei suoi protagonisti. Prima di tutto, infatti, il film è sì una commedia ma parla di problemi seri (come la depressione e i deficit mentali) e quindi commistiona tratti lievi a tratti drammatici, commedia e dramma. Inoltre i personaggi principali sono chiari esempi dei giovani di oggi, sempre più confusi, fragili, insicuri, nel mondo postmoderno dominato dalla desocializzazione, dalla solitudine, dalla mancanza di ogni appiglio. Il merito della pellicola è quello di sapersi muovere con leggerezza tra temi pesanti, senza mai però renderli superficiali. E soprattutto finalmente si rivede una commedia americana senza volgarità, che è, purtroppo, diventato un tratto tipico delle proposte americane degli ultimi anni. In un finale positivo ma non favolistico, la pellicola ci suggerisce che l’amore e la famiglia sono i valori da cui ripartire, le basi per superare le difficoltà, in cui ci troviamo immersi. contro fisico. Il termine tecnico si chiama meetup: è usato quando alcuni partecipanti a un dibattito o a un forum su web decidono poi d’incontrarsi faccia a faccia per continuare le discussioni, prendere delle decisioni, o quanto meno conoscersi. Un altro indicatore delle possibilità di promuovere partecipazione a partire dal web è il flash mob, che viene invece utilizzato per manifestare un’opinione o sensibilizzare gli altri cittadini rispetto a un particolare problema. Si utilizza Internet per propagare un tam tam, ma anche per spiegare come prepararsi all’appuntamento, magari attraverso un video esplicativo dei passi per illustrare una danza, come è accaduto per la manifestazione contro la violenza delle donne, che ha coinvolto milioni di persone nel mondo. Il web, allora, può essere un veicolo per stimolare i giovani al protagonismo. Bisogna, però, porre attenzione a non trasformare un luogo di comunicazione nell’unico strumento di comunicazione. Andrea Casavecchia Anna Karenina Regia: Joe Wright Anna Karenina è uno dei personaggi tragici più complessi e profondi che la letteratura russa ci abbia lasciato. Il libro di Tolstoj, infatti, è al tempo stesso un affresco esatto dei propri tempi, soprattutto della Russia aristocratica, e la storia di una donna che ha il coraggio di seguire l’amore, anche a costo di sacrificare ogni cosa (pure suo figlio). Il romanzo, infatti, ambientato nelle più alte classi sociali russe, approfondisce i temi dell’ipocrisia, della gelosia, della fede, della fedeltà, della famiglia, del matrimonio, della società, del progresso, del desiderio e della passione, nonché il conflitto tra lo stile di vita agrario e quello urbano. Oggi ci viene offerta una nuova versione cinematografia del libro di Tolstoj a opera del regista inglese Joe Wright, in cui a incarnare il volto sofferente della protagonista c’è la giovane diva inglese Keira Knightley. La storia è nota. Anna è la perla dell’alta società di San Pietroburgo finché non lascia suo marito per l’affascinante conte Vronskij, ufficiale dell’esercito. Innamorandosi l’uno dell’altra, oltrepassano il limite dei banali adulteri, passatempi comuni dell’epoca. Anche quando Vronskij inizia a diventare sempre più distante, Anna non riesce a tornare da un marito che detesta e che non le permette di vedere il figlio. Incapace di accettare di essere stata lasciata da Vronskij e di ritornare a una vita che odia, si uccide. Premio Campione al Direttore Sir «I l mestiere del giornalista cattolico è particolarmente impegnativo perché ogni giorno siamo chiamati a vivere una doppia fedeltà. Innanzitutto una fedeltà costituzionale e repubblicana, in quanto nell’esercizio della cittadinanza responsabile essa si riverbera necessariamente nelle scelte e nelle prassi di una professione pubblica qual è il giornalismo. Poi una fedeltà alla Chiesa, che si concretizza nella dimensione comunitaria e di comunione. Una doppia fedeltà che mette a dura prova la coscienza del giornalista cattolico chiamato a operare nello spazio pubblico». Lo ha detto il 3 marzo a Bari il direttore del Sir, Domenico Delle Foglie, ricevendo il premio “Michele Campione” alla carriera promosso dal Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Puglia in collaborazione con Regione Puglia, Provincia di Bari, Comune di Bari, Università degli studi di Bari, Ufficio comunicazioni sociali della diocesi di Bari-Bitonto e d’intesa con la famiglia Campione. Il film, come il romanzo, contiene anche la storia d’amore di Konstantin Levin e Kitty, solida e onesta, che si pone continuamente in contrasto con quella di Anna e Vronskij, che è macchiata dall’incertezz a della situazione, che crea scompiglio, ritorsioni e sospetti. Il regista sceglie una via di messa in scena particolare per questa sua trasposizione cinematografica: fa recitare i suoi attori su un palco cinematografico e dietro le quinte di esso, alternando a sequenze di questo tipo sequenze, invece, tradizionali, per evidenziare la teatralità della storia raccontata e forse anche la situazione di estremo disagio in cui si viveva nella Russia dell’epoca, sempre costretti su un “palcoscenico” in cui non è permesso nessun errore. La regia è certamente affascinante, con alcune scene molto suggestive (come quella del primo ballo fra Anna e Vronskij), ma la scelta di questa teatralità depotenzia un po’ la forza emotiva della storia raccontata, lasciando lo spettatore freddo e distante rispetto alle vicende messe in scena. Inoltre il regista esclude totalmente dal film ogni tipo di riflessione religiosa e spirituale che, invece, era uno dei tempi portanti del libro di Tolstoj. Così facendo ci offre un’Anna Karenina rivisitata in maniera moderna (anche per la scelta della protagonista, così giovane per un ruolo così complesso) ma senza la profondità che il romanzo portava con sé. Un’Anna bellissima esteriormente, dunque, quanto vuota interiormente. Paola Dalla Torre 20 Sport 15 marzo 2013 coni Giovanni Malagò è il nuovo presidente nazionale Lo sport italiano e una svolta in senso etico L o sport italiano ha un nuovo presidente che resterà in carica fino al 2016. L'uomo designato è, a sorpresa, Giovanni Malagò, che ha battuto sul filo di lana il favorito Raffaele Pagnozzi, colui che rappresentava la continuità della gestione Petrucci. Anche queste elezioni hanno dimostrato che il nostro sport resta diviso: Malagò l'ha spuntata per 5 voti, 40 a 35, e ora dovrà compiere uno sforzo importante per ricompattare quelle federazioni che non lo volevano alla presidenza. Ma al di là degli scenari geopolitici, resta sullo sfondo l'immagine di un settore nevralgico del Paese praticamente abbandonato a se stesso: già il presidente uscente Petrucci si era lamentato del fatto che in nessuno dei programmi della miriade di liste che si sono presentate a queste elezioni politiche ci fosse un capitolo incentrato sul futuro delle discipline agonistiche in Italia. Ambizioso, determinato, decisionista, il nuovo presidente ha un buon curriculum sportivo alle spalle, molto trasversale: romanista da sempre, è stato campione d'Italia di calcio a Un CSI di Frontiera L a nostra è sempre stata una associazione di frontiera. Le comodità, le certezze, la routine non fanno per noi. Siamo inguaribili amanti delle esperienze di frontiera. Siamo un'associazione per gente che ama "l’infinito", per gente che ha imparato a sognare, per gente che si impegna per rendere possibile l’impossibile. Portare lo sport "dappertutto" è sempre stata una nostra vocazione. In queste ore sono ad Haiti , dove un anno fa abbiamo aperto l’ultima sede internazionale del CSI. In questi giorni si sta svolgendo il primo corso allenatori (50 partecipanti) del CSI haitiano. Un anno fa aprire il CSI ad Haiti sembrava follia. Oggi è realtà. Tutto questo è stato possibile grazie all’impegno e all’ entusiasmo di tutta la nostra associazione. Un entusiasmo o che contagia. L’ ultimo ad essersi ammalato di "follia attraverso lo sport" è stato Andrea Zorzi che ci ha messo un attimo a riempire lo zaino ed a partire con me. L’esperienza di Haiti sta dentro un ragionamento più grande. È quell’ idea di andare in frontiera, di essere associazione "missionaria", che ci ha portato ad essere presenti in Camerun, in Albania, nella Repubblica Centrafricana, in Congo...ed in tanti altri paesi del mondo. A chi ci chiede il perché di tutto questo rispondiamo con semplicità: "perché i bambini sono bambini in ogni paese del mondo. Perché tutti i bambini hanno diritto di essere felici correndo dietro ad un pallone. Perché lo sport nei paesi in via di sviluppo è un’ arma educativa straordinaria. Infine perché vogliamo che la gente del CSI sia gente con gli occhi aperti e spalancati sul mondo". Non siamo solo appassionati ai grandi viaggi. Nella complessa società di oggi esistono frontiere anche nel nostro quartiere o dietro casa nostra. É questa considerazione che ci ha portato ad occuparci dello sport in carcere, ad esserci nelle periferie, a fondare la Nazionale amputati di calcio, a fare tornei nei centri di accoglienza, ad aprire società sportive in Aspromonte e tanto altro ancora... È questa considerazione che porta ogni nostra società sportiva ad accogliere tutti, ma proprio tutti, a partire da quel "ragazzo" scartato da tante altre realtà e che nessuno vorrebbe avere tra i piedi. Insomma il tutti gli ambiti "difficili" in cui portare lo sport diventa scomodo e faticoso il CSI c’é! Il popolo del CSI è fatto così. É un popolo che ha una passione educativa che non conosce confini. É un popolo del quale siamo immensamente orgogliosi. Massimo Achini 5 sempre nella capitale, ma è in grado di cavarsela bene anche a tennis, sci, atletica, nuoto e canottaggio. Proprio queste due discipline hanno forse pesato nella scelta di Malagò, che infatti è stato presidente del Comitato organizzatore dei mondiali di nuoto di Roma 2009 ed è attualmente presidente del Circolo Canottieri Aniene, il più prestigioso della Capitale, che sotto la sua guida ha fatto incetta di atleti di vertice: la sua campagna acquisti ha portato infatti sulle rive del Tevere campionesse come Federica Pellegrini, Josefa Idem e Alessandra Sensini. A Malagò spetterà l'arduo compito di provare a dare una svolta in senso etico a un movimento assediato, in troppe discipline, da scandali assortiti. La tenuta sportiva, lo dimostrano i recenti Giochi londinesi, c'è ancora, ma forse non basta più. C'è bisogno di maggiore trasparenza con gli sponsor, di una lotta ancora più spietata al doping, di u n'intransigenza assoluta rispetto a episodi di violenza che troppo spesso spadroneggiano nel calcio e non solo. Qualche settimana fa, il sport educational F ar nascere nei più piccoli la voglia di avvicinarsi allo sport per vivere un sano divertimento: a questo deve aver pensato il Comitato Provinciale di Brindisi del Centro Sportivo Italiano, appoggiando l’iniziativa ideata dal CSI Puglia per il progetto “Sport Educational”. Partire da un nucleo ben ristretto di soggetti in tenera età per andare a trasmettere una nuova cultura sportiva, attraverso i piccoli sportivi, anche negli adulti: risponde perfettamente a queste caratteristiche la classe, un gruppo misurato di individui che con il loro innato entusiasmo possano riuscire a coinvolgere, nelle loro attività, dapprima le loro famiglie, e poi le scuole e il territorio. Lo sport vissuto, quindi, come strumento di promozione di sane abitudini di vita nei più piccoli, con una duplice valenza: mentre gli attori del progetto giocano, essi sviluppano nuove capacità motorie, andando ad integrare nel gruppo attivo anche quei bambini e quei ragazzi che vivono momenti di disagio sociale o che hanno problemi di disabilità e si sentono esclusi dalle attività sportive. Cellula base su cui porre in essere il progetto è la classe di una scuola primaria, un vero e proprio microcosmo in cui si attivano sin da subito diverse dinamiche nei rapporti tra bambini, ma non solo: è all’interno del nucleo classe che si sviluppa un lavoro di sensibilizzazione che vede protagonisti i piccoli alunni, per poi toccare le loro famiglie, la scuola e l’intero territorio, innescando un vero e proprio circolo virtuoso. Il progetto, iniziato con l’avvio dell’anno scolastico, ha visto dapprima l’iscrizione delle classi al candidato Malagò, a proposito di certi gesti di tesserati del calcio nei confronti del pubblico (vedi quello di Delio Rossi e altri) aveva parlato provocatoriamente di escludere per un turno il calcio dal Coni. Ma la sua battaglia dovrebbe portare anche a sbloccare l'impasse legata agli stadi di proprietà, che a parte la Juventus, zavorrano ormai tutto il movimento calcistico e non permettono ai nostri club di restare competitivi al pari delle altri grande società europee. Personaggio influente della Roma bene (intende rilanciare l'idea dell'Olimpiade capitolina), Malagò conosce alla perfezione gli ambienti politici e imprenditoriali che contano: passa per un innovatore visionario, capace di grandi intuizioni e magari in grado di coinvolgere attorno allo sport sponsor o mecenati impensabili prima della sua elezione. Lo sport si attende molto da lui, specie quello di base: molte strutture sono desuete, e ci vuole qualcuno che sappia trasmettere forti motivazioni non solo agli atleti, giovani o in erba che siano, ma anche e soprattutto a istruttori, allenatori, preparatori, il cui silenzioso lavoro resta decisivo per l'Italia sportiva del futuro. Leo Gabbi il dirigente sportivo U progetto: successivamente sono stati avviati i primi allenamenti e laboratori, che hanno portato i piccoli sportivi a frequentare corsi di calcio a 5, pallavolo, pallacanestro, tennis tavolo e atletica. Dopo l’organizzazione dei tornei delle discipline attivate nel periodo del progetto, si passerà ad organizzare il premio Fair Play e Best Sport Reporter, a livello regionale: un momento che i ragazzi avranno a loro disposizione per mobilitare l’attenzione del mondo degli adulti, promuovendo la cultura dello sport come divertimento e indicatore di stili di vita sani. 24 sono i partner che hanno aderito nel territorio pugliese al progetto “Sport Educational” tra Comitati Territoriali del CSI, istituti scolastici, comuni e società sportive. Solo in Puglia, si prevede che il numero dei bambini e dei ragazzi coinvolti nella sfida progettuale si attesti intorno alle 1000 unità, il che rende “Sport Educational” una grande opportunità per dare vita ad una nuova cultura sportiva, che abbracci la società civile su più livelli e che, oltre a sviluppare nei giovanissimi sportivi la voglia di stare insieme, possa aiutarli a imparare a mettersi in relazione con il mondo che li circonda. Agnese Poci na figura importante da curare continuamente: il dirigente sportivo Nel corso della mia ancor breve esperienza all’interno della grande famiglia del CSI, mi sono sempre chiesto se esistesse una “ricetta” in grado di ispirare un buon dirigente sportivo. La figura del dirigente sportivo è una figura fondamentale, presente in ogni contesto sportivo, non solo di una singola società ma anche all’interno di organizzazioni più strutturate, come può essere quella di un comitato provinciale. Al dirigente sportivo CSI è demandato il compito di promuovere con senso di responsabilità una pratica sportiva significativa ed educativa per i propri atleti, scegliendo i collaboratori e gli allenatori giusti, garantendo un clima di partecipazione e condivisione, di serenità e di amicizia. Il dirigente CSI agisce. Ama i verbi. Soprattutto all’infinito perché dicono di qualcosa che inizia e non finisce. Tra i verbi che un buon dirigente dovrebbe “coniugare all’infinito” ci dovrebbero essere: Accogliere: le persone che, per qualsiasi motivo, si rivolgono a lui. Accogliere significa far sentire alle persone che per lui sono importanti; Incontrare: per accogliere si devono “incontrare” le persone, anzi per meglio dire, occorre “andare incontro” alle persone per aumentare il numero di coloro che possono vivere esperienze sportive significative; Testimoniare: il dirigente dimostra attraverso l’esperienza quotidiana che, attraverso la sua attività, egli incarna valori e la sua azione diviene così testimonianza viva: Comunicare: la testimonianza è la prima effettiva forma di comunicazione che rende evidente i valori a cui si fa riferimento; Motivare: incontrare, accogliere, testimoniare aiutano a “dare motivazione” alle persone. Se si è motivati e se la motivazione cresce sempre più nel tempo, allora la scelta non è l’emozione di un momento, ma diviene consapevolezza, azione, vita; Educare: per educare è necessario rispettare le persone. Educare non significa, infatti, “insegnare” né tantomeno “addestrare”. Educare significa, invece, attivare nei confronti della persona che hai davanti quei processi che aiutano a liberare le proprie potenzialità, le proprie capacità, la propria libertà. In poche parole per accogliere e incontrare è necessario essere persone. Per testimoniare e motivare è necessario vivere una fede. Cosimo Destino basket Le ragazze della Futura conquistano l’A2 Un sogno diventato realtà a pallacanestro brindisina scala i ver- anni, dall’altra una palestra L tici e ritira il pass per la A2. La squadra di ragazze giovani e decise femminile “Futura Basket Brindisi”, infatti, a rientrare nella élite del badomenica 10 marzo ha conquistato, in anticipo, una storica promozione nella categoria superiore. Il meritato traguardo è arrivato grazie alla voglia, al lavoro, al gruppo e alla tenacia che hanno incorniciato una stagione memorabile. Da una parte la società, impegnata a un progetto che guardava al limitare dei due sket nazionale. Una tappa storica, una vetta storica, già, perché nessuno mai in città era arrivato così in alto ed ora la Futura corona il suo percorso ventennale, fatto di pagine dense di emozioni, con una stagione quasi perfetta. La cornice è di quelle che si farà ricordare. Brindisi si riscopre più ricca sportivamente, tra le città, poche (Milano, Siena, Cremona, Venezia e Bologna), che possono vantare insieme la A1 maschile e la A2 femminile. 22 di Luciano Lotti “V ita affettiva di Padre Pio. Mondo interiore e cure d’anime nei diari delle figlie spirituali” di p. Luciano Lotti (pp. 72, euro 5,50) è uno dei volumetti che inaugura la collana “Sguardi” delle Edizioni Dehoniane, affidati, con saggi brevi, “ad autori di grande competenza, chiamati ad occuparsi di temi d interesse culturale, che spesso intersecano le questioni di attualità”. E questo sembra proprio il caso delle pagine, che ci occupano, già pubblicate nel volume di scritti per l’VIII centenario dell’Ordine di Santa Chiara, curato da Paolo Martineli (EDB, Bologna, 2012, pp. 651-685). “Le tantissime agiografie di Padre Pio mettono in risalto la riservatezza con cui egli si rapportò con il mondo femminile sin dalla sua adolescenza”, esordisce p. Lotti che, docente di Teologia, oltre ad essere direttore dell’Istituto superiore di scienze religiose di San Severo è direttore della rivista “Studi su Padre Pio” e noto per aver dato alle stampe “L’epistolario di Padre Pio. Una lettura mistagogica” (2006). In quattro capitoli, p. Lotti affronta il tema della castità che ha creato ostacoli e rallentamenti al processo di beatificazione di padre Pio, “che non dissimula affetto e predilezione nei confronti delle figlie spirituali”. Si tratta di donne legate a lui da profonda devozione – si desume da queste pagine -, una sorta di “monastero invisibile”, non “esente da personalismi, gelosie e invidie”. Denso il terzo capitolo su “il mondo affettivo”, ma è da tutto il libro che l’autore fa emergere come, proprio dalla lettura dei loro diari, “caratterizzati da una notevole esuberanza linguistica”, si stagli quasi plasticamente innanzi al lettore “il mondo interiore di un uomo di fede e di grande umanità, tormentato da dubbio di non essere in grado di compiere in modo adeguato la direzione delle anime”. Da queste pagine emerge “un ritratto lontano dall’austera icona del frate, segnata da una severa ascesi, dai vortici di estasi prolungate e da altri numerosi fenomeni mistici”, ma è bello qui riportare le stesse parole dell’autore, molto più efficaci: “Per Padre Pio il sacro non sarà mai tale se non si misurerà con l’umano, ecco perché ha la capacità di passare dal Tabor al Getzemani e viceversa, accompagnando le persone a scoprire un mistero che per tanti versi restare tale fino alla morte. Sia per il direttore che per le figlie spirituali, molti aspetti della loro esistenza saranno avvolti dal deserto, ma proprio questo essere insieme verso una meta resa concreta dal continuo contatto con il soprannaturale li aiuterà a trasfigurare l’umano all’interno dell’opera di Dio”. (a. scon.) D Sant’Agostino La Pasqua di Remo Piccolomini (cur.) i recente l’opinione pubblica è stata informata di una singolar circostanza: il santo vescovo di Ippona, “guida spirituale della filosofia che ha fondato l’idea di Europa”, è davvero una stella di prima grandezza nel mondo dell’editoria se è vero che “nel mondo escono ogni anno circa 400 titoli suoi o su di lui”. In questo contesto, grazie a Remo Piccolomini, agostiniano, direttore della “Nuova Biblioteca Agostiniana”, la comunità pensante tutta intera (non solo dunque quella cristiana) riceve un altro bel dono, inserito da Città Nuova nella collana “Piccola Biblioteca Agostiniana” che, fondata da Agostino Trapè e diretta proprio da questo religioso, propone le traduzioni italiane “di alcune opere di sant’Agostino o pagine antologiche agostiniane particolarmente attuali, in riferimento ai temi e interessi emergenti nella Chiesa e nella cultura contemporanea”. Ecco dunque “La Pasqua” (pp. 224, Euro 18,50), libro nel quale non solo si propongono le parole di Agostino, che svolgendo la sua missione di pastore di anime per trentanove anni, ha lasciato una trentina di discorsi solo per questa ricorrenza annuale, fulcro e culmine della fede e dell’esperienza cristiana, avendo egli predicato puntualmente in questa solennità, ma anche un’ampio studio introduttivo, capace di orientare chiunque. “Sono scritti che mettono in luce Agostino come consumato catechista – è stato autorevolmente sostenuto -, dove la competenza dottrinale e il raro tratto psicologico si sposano con un linguaggio adatto all’uditorio. La sua predicazione è prettamente teologica, impegnata a far capire al popolo il mistero cristiano, servendosi di immagini, esempi che i fedeli possono capire. Al tempo stesso Agostino non si accontenta delle belle parole – si conclude sul punto -, ma scende nel concreto della vita. La teologia è per lui scienza legata alla storia dell’uomo, deve parlare all’uomo, convivere con lui”. Del resto padre Piccolomini osserva: “La conclusione di questi discorsi è riassunta da Agostino nell’esortazione appassionata e piena di tenerezza: Siete diventati figli di Dio, viviamo tutti in santità e giustizia come in pieno giorno, il giorno che il Signore ci ha dato. Con questa luce, sceglietevi chi volete imitare”. Tutto questo perché? “Ci sono personaggi nella storia che hanno la capacità di essre sempre contemporanei, a dire di Julien Green – sostiene p. Piccolomini -, romanziere contemporaneo, “Egli, Agostino, è sempre in anticipo sui tempi in cui si legge”, nonostante siano trascorsi secoli di storia. Agostino è uno dei rari penstori che ha questa prerogativa”. Come non concordare? (a. scon.) 15 marzo 2013 IL LIBRO Vita affettiva di Padre Pio IL LIBRO il libro Libri Costruire la casa sulla roccia di Karol Wojtyla U n’ulteriore conferma alla convinzione che il magistero pontificio del Beato Giovanni Paolo II è nato non da elaborazioni dottrinarie di un algido laboratorio, ma dall’esperienza vissuta e condivisa prima come sacerdote, quindi come arcivescovo di Cracovia, viene da queste pagine ancora fresche di stampa e prima custodite n ell ’A rchivio del Centro di Documentazione e Studio del Pontificato di Giovanni Paolo II, stese com’erano in lingua polacca, quindi diventate «Costruire la casa sulla roccia. Esercizi spirituali per fidanzati del vescovo Karol Wojtyla» (pp. 821, euro 7), pubblicate da “Punto famiglia” in collaborazione con il sopra citato Centro di Documentazione. Inseriti nella bella collana dei «Percorsi liturgici», l’edizione italiana gode di una prefazione di mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia, e di un saggio introduttivo magistralmente curato da Przemyslav Kwiatkowski, docente presso l’Istituto Giovanni Paolo II e mostra la genesi dell’ampio magistero del Beato pontefice sul matrimonio e la famiglia attraverso le riflessioni, che egli offriva ai fidanzati di Cracovia in occasione di un corso di preparazione al matrimonio. Si tratta, dunque, di scritti mai pubblicati in Italia, che «manifestano lo straordinario interesse del Papa polacco per l’amore coniugale e la famiglia», hanno scritto ed è stato spiegato «come la visione della famiglia, che papa Wojtyla aveva portato con sé a Roma dalla Polonia, non appare nata da ragionamenti che aveva elaborato a tavolino ma da esperienze che visse e condivise dapprima come sacerdote e poi come vescovo di Cracovia». Nel volumetto troviamo tre conferenze pronunciate dal vescovo Karol Wojtyla, dal 19 al 21 dicembre 1960, nella collegiata universitaria di Sant’Anna a Cracovia, durante un corso per i fidanzati. Ai giovani che si preparavano al matrimonio diceva: «Attenti a ciò che fate! Tutto ciò non resta solo al livello dell’uomo, non è una questione solo umana. Se è un sacramento, è una cosa divina. Dio qui è chiamato a testimone, e non si può chiamare Dio a testimone invano». E giustamente viene fatto osservare come «l’accento sull’importanza della scelta è dato anche dalla definizione del patto nuziale come voto». Scrive mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia, nella prefazione: «Il giovane presule non parla di promessa matrimoniale ma di voto matrimoniale pronunciato davanti a Dio. Forse, anche su questo nuovo linguaggio che è più teologico che giuridico-linguistico, occorrerebbe riflettere, soprattutto oggi, data la crisi della coppia che ci travolge». 15 marzo 2013 Le Rubriche SETTEMBRE 1943: BRINDISI CAPITALE COL RE E IL GOVERNO DEI SOTTOSEGRETARI I l mese di settembre del 1943 fu cruciale per l‘Italia e la città di Brindisi che si trovò al centro dell’attenzione nazionale. Nella notizia diffusa la sera dell’8 settembre, Radio Londra confermò che l’Italia aveva firmato l’armistizio con gli angloamericani. Il Capo del Governo Pietro Badoglio annunziò: “Il governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la schiacciante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla nazione, ha chiesto l’armistizio”. Il caos fu immediato: Badoglio non si era preoccupato di dare preventive istruzioni alle forze armate italiane, che, prive di ordini, si lasciarono sopraffare e disarmare dai tedeschi che invece avevano ricevuto il comando preciso di invadere l’Italia. Il re ed il capo del Governo, nel timore di cadere nelle mani nemiche, pensarono di partire la sera del 9 settembre per raggiungere una località non occupata dalle truppe tedesche. La prima tappa fu Pescara dove s’imbarcarono su una unità navale italiana ed il pomeriggio del giorno successivo il comandante della piazza militare marittima di Brindisi, l’ammiraglio Luigi Rubartelli, ricevette via radio un chiaro messaggio: “invito Bottiglione ad andare incontro alla Baionetta, vi troverà un fraterno amico.” In realtà si temeva che le due unità navali, l’incrociatore Scipione l’Africano e la corvetta Baionetta, pur battendo bandiera italiana, fossero in mano tedesca e volessero tentare la conquista della piazzaforte navale brindisina. Il telegramma lo rassicurò, poiché capì che ad inviarglielo era stato il compagno di studi dell’Accademia Navale, ammiraglio Raffaele De Courten, divenuto ministro e Capo di Stato Maggiore della Marina, il quale, il giorno prima, gli aveva inviato via radio l’ordine di partenza per Pescara della corvetta “Scimitarra” soprannome conosciuto solo dai due ex compagni. Non appena l’ammiraglio Rubartelli salì sulla nave vide il re Vittorio Emanuele III, la regina Elena, il principe ereditario Umberto, il maresciallo Pietro Badoglio, il ministro della Real Casa Pietro Acquarone e l’ammiraglio De Courten. Dopo i primi attimi di confusione si cominciò ad organizzare gli alloggi idonei ad ospitare la famiglia reale. Il re, la regina e l’aiutante di campo Puntoni salirono sul motoscafo dell’ammiraglio Rubartelli, che li condusse al castello Svevo dove aveva sede il comando della Marina e dove si fece appena in tempo a schierare un picchetto di marinai per rendere gli onori ai sovrani. La regina ed il re occuparono il primo piano della palazzina, 23 25 MARZO 1993: “INDE A PONTIFICATUS” AMPLIA IL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA CULTURA A mentre il principe Umberto e la famiglia Rubartelli si sistemarono al piano terra. Il maresciallo Badoglio, il generale Sandalli e il duca Acquarone furono sistemati provvisoriamente nella casermetta dei sommergibilisti e poi spostati a villa Oliva, mentre Ambrosio, capo di Stato Maggiore, fissò la propria residenza a villa Fischetti. Erano mesi terribili, confusi e straordinari. Ebbe così comunque inizio, pur anche tra mille difficoltà e mancanze, il Regno del Sud. Agli interni fu nominato Vito Reale, alle Finanze Guido Jung, alla Giustizia Giuseppe De Santis, alla Guerra il generale Taddeo Orlando, alla Pubblica Istruzione Giovanni Cuomo, all’Industria e Commercio Epicarpo Corbino, alle Poste Mario Fano, alle Ferrovie e Trasporti Giovanni Di Raimondo, all’Agricoltura Tommaso Siciliani, ai Lavori Pubblici Raffaele De Caro, alla Marina Mercantile l’ammiraglio Pietro Barone ed infine agli Esteri Renato Prunas. La prima riunione del Governo si tenne nei locali della Prefettura il 24 novembre 1943. In questo modo la monarchia cercò di legittimare il suo operato, anche se la sovranità si estendeva su un terreno molto limitato e per giunta sottoposta nell’esercizio dei suoi poteri alla supervisione della missione militare alleata. Nel difficile e burrascoso periodo dei centocinquanta giorni Brindisi fu teatro di operazioni diplomatiche e della stentata formazione di una nuova classe dirigente, rappresentante dei rinati partiti politici, ma ancora una volta tutto passò su Brindisi e sulla sua capacità di saper sfruttare le occasioni per definire il proprio ruolo e la propria identità. Katiuscia Di Rocco veva già provveduto alla riforma della Curia Romana con la Costituzione Apostolica “Pastor Bonus”, ma bisognava che l’azione pastorale fosse ancora più incisiva. Ecco perché il 25 marzo di 20 anni addietro, il Beato Giovanni Paolo II promulgò la sua lettera apostolica in forma di motu proprio, con la quale il Pontificio Consiglio della Cultura ed il Pontificio Consiglio per il dialogo con i non credenti furono uniti in un solo Consiglio. In quattro articoli ordinava il nuovo organismo, ma sono le premesse che descrivono appieno la ratio di questa importante decisione. Il Papa sente di attuare le “ricche e stimolanti indicazioni offerte dal Concilio Vaticano II quando si preoccupa “di sviluppare il dialogo della Chiesa col mondo contemporaneo. In particolare, ho cercato – aggiunge - di promuovere l’incontro con i non credenti sul terreno privilegiato della cultura, fondamentale dimensione dello spirito che mette gli uomini in rapporto fra loro e li unisce in ciò che essi hanno di più proprio, la comune umanità”. Nasce del resto da questa preoccupazione, nel 1982, il “Pontificio Consiglio della Cultura con l’intento di rafforzare la presenza pastorale della Chiesa in questo specifico ambito vitale, nel quale è in gioco il destino del mondo in questo scorcio di millennio”. A tale necessità, tuttavia, sommava anche quella di promuovere – lo scrisse nell’autografo al card. Casaroli del 20 maggio di quello stesso anno – “il dialogo con le religioni non cristiane e con individui e gruppi che non si richiamano ad alcuna religione, nella ricerca congiunta di una comunicazione culturale con tutti gli uomini di buona volontà”. Non solo, avendo notato il papa che il Pontificio Consiglio della Cultura lavorava a stretto contatto con la Pontificia Commissione per la Conservazione del Patrimonio Artistico e Storico della Chiesa (28 giugno 1988) ed avvertendo “l’opportunità di rendere più adeguata la presenza qualificata della Santa Sede nel campo della cultura, mediante un rinnovamento e collegamento delle Pontificie Accademie”, decise, “di riunire, in deroga alle disposizioni della Costituzione Pastor Bonus, il Pontificio Consiglio della Cultura ed il Pontificio Consiglio per il Dialogo con i non credenti e di fonderli in un unico Organismo, che avrà il nome di Pontificio Consiglio della Cultura, con il quale d’ora innanzi la Pontificia Commissione per la Conservazione del Patrimonio Artistico e Storico manterrà contatti periodici”. Il nuovo organismo fu strutturato in due sezioni: “Fede e Cultura” e “Dialogo con le Culture”. “La sezione Fede e Cultura continuerà l’attività che ha svolto fino al presente il Pontificio Consiglio della Cultura”, sancì il Pontefice, mentre “La sezione Dialogo con le Culture continuerà l’attività finora svolta dal Pontificio Consiglio per il Dialogo con i non credenti”. Sono i quattro articoli che le precedono, tuttavia, a dare l’esatta dimensione di questo percorso di convergenza. “Il Consiglio promuove l’incontro tra il messaggio salvifico del Vangelo e le culture del nostro tempo, spesso segnate dalla non credenza e dall’indifferenza religiosa, affinché esse si aprano sempre più alla Fede cristiana, creatrice di cultura e fonte ispiratrice di scienze, lettere ed arti”, stabilì il pontefice e precisò: “Il Consiglio manifesta la sollecitudine pastorale della Chiesa di fronte ai gravi fenomeni di frattura tra Vangelo e culture”. E ancora: “Promuove quindi lo studio del problema della non credenza e dell’indifferenza religiosa presente in varie forme nei diversi ambienti culturali, indagandone le cause e le conseguenze per quanto riguarda la Fede cristiana, con l’intento di fornire sussidi adeguati all’azione pastorale della Chiesa per l’evangelizzazione delle culture e l’inculturazione del Vangelo”. Il percorso di convergenza si è poi compiuto con il papa emerito Benedetto XVI, quando, con il motu proprio “Pulchritudinis fidei” del 30 luglio 2012 ha unificato sotto il Dicastero della Cultura l’azione che era propria della Pontifica Commissione per i beni culturali della Chiesa. (a.scon.) il sito DiocesANO in versione per tablet e smartphone m.diocesibrindisiostuni.it