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Una traccia dorata sull’acqua
Alla Fondazione Baur di Ginevra antichi gioielli arabi e asiatici
/ 09.01.2017
di Marco Horat
Si dice spesso che le montagne più che dividere le popolazioni le uniscano; la stessa cosa vale per i
deserti e gli oceani. In terre distanti tra loro molte miglia, separate da mari a prima vista invalicabili,
si ritrovano tratti culturali comuni, segno inequivocabile di contatti, di scambi materiali e spirituali
intensi. Una constatazione che ci deve accendere nella testa una lampadina: gli incontri come pure
gli scontri tra genti di cultura diversa sono sempre avvenuti nel corso della storia umana fin dalla
più lontana antichità, con risvolti positivi da una parte (ogni sfida può essere un arricchimento, una
crescita per l’uno e l’altro dei protagonisti) e negativi dall’altra, con incomprensioni, paure,
distruzioni, piccoli e grandi drammi. In tempi di pace, ma in fondo anche di guerra, uno dei
principali canali lungo i quali si sono sviluppati questi contatti è stato il commercio, che insieme alle
cose ha fatto viaggiare le persone e le idee.
È questa la storia che ci illustra la mostra di Ginevra allestita presso la Fondazione Baur, specialista
di primissimo piano nell’arte asiatica grazie alle sue collezioni e ai prestiti internazionali, che
presenta più di trecento gioielli archeologici ed etnici che ci fanno ripercorrere le rotte antiche che
univano l’Europa occidentale – via Mediterraneo, Mar Rosso e Golfo Persico – all’India, al Sud-est
asiatico e alla Cina, da dove provenivano spezie, profumi, perle, pietre e metalli preziosi, seta,
tessuti pregiati e opere d’arte di ogni genere. Vie marittime che facevano il paio con le strade
carovaniere sulla terraferma. Un mondo vasto e variato tra i regni di Arabia e l’Insulindia con
culture, lingue, tradizioni, costumi, modi di vivere e religioni diversi tra di loro. Una storia fatta di
regni e imperi che si sono succeduti nel tempo, di guerre e di conquiste che hanno mutato i confini
dei singoli paesi: Yemen, Oman, India, Cina, Vietnam, Cambogia e Indonesia.
Diversi sì, ma con alcuni tratti culturali comuni, come si diceva all’inizio, ai quali la mostra ci
permette di risalire al di là delle differenze stilistiche e di lavorazione dei materiali esposti. A fare da
filo conduttore è l’oro, per definizione metallo prezioso caro agli dèi e agli uomini. Lo ritroviamo
quale simbolo di potere o di rispetto per i defunti di rango, metallo sprigionante l’energia del Sole
capace di penetrare il buio dell’eternità. Ad accrescere il suo fascino un’esplosione di luce che ci
viene dalle innumerevoli pietre preziose che lo accompagnano. Insieme a gioielli e parures vengono
esposti a Ginevra tessuti e sculture che allargano un poco l’orizzonte espositivo e aiutano a
contestualizzare i preziosi reperti.
Quattro le parti nelle quali si articola la mostra che porta il visitatore a solcare idealmente i mari
sulle tracce degli antichi vascelli commerciali. Il viaggio parte dai regni di sabbia della mitica Arabia
felix con alcune preziose parures datate tra l’VIII secolo a.C. e il III d.C. accostate a gioielli
tradizionali dello Yemen, dell’Oman e dell’Arabia saudita. Si passa poi agli splendori dell’India
meridionale con una serie di collane, pendenti, orecchini, bracciali baroccheggianti che bene
illustrano quel gusto per l’esuberanza estetica che riporta ai tempi antichi, tipico di quella parte del
mondo.
Una terza sezione ricca di reperti archeologici (bella una corona in oro decorata) è invece dedicata a
quelli che vengono definiti gli «imperi dimenticati», vale a dire Birmania, Cambogia, Thailandia e
Vietnam; una regione vasta come mezzo continente con testimonianze storiche che ci fanno pensare
ai fasti di Angkor (IX-XV secolo), capitale dell’impero dei Khmer, tanto per citare uno dei luoghi
archeologici più famosi al mondo. Infine le innumerevoli Isole delle spezie sparse tra Indonesia e
Filippine (Giava, Bali, Sumatra – da non perdere un diadema nuziale in oro – Sulawesi, Nias) con
gioielli esuberanti di particolare valenza culturale e religiosa a significare il rango sociale di chi li
portava. Per la verità è una cosa che succede un po’ ovunque nel mondo di ieri e di oggi, a
testimonianza di una continuità culturale che trascende il tempo e lo spazio, seppure con modalità
specifiche.
Un discorso complesso dunque che si propone di suscitare qualche riflessione al di là del godimento
estetico dei gioielli esposti. Per esempio, si riflette sulla persistenza di tratti culturali tradizionali in
società apparentemente entrate nell’ottica della globalizzazione odierna, infatti ci sono pezzi antichi
e altri datati XIX-XX secolo ma di gusto tradizionale. Oppure sull’importanza degli incontri umani al
di là delle frontiere; o ancora sugli esiti di scambi tra civiltà diverse per cultura in campo sociale e
quindi anche artistico.