nuovo» Museo di Palazzo San Francesco

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nuovo» Museo di Palazzo San Francesco
Elisabetta Farioli
Il «nuovo» Museo di Palazzo San Francesco
1) Il nuovo ingresso (rendering)
Premessa
L’esigenza di un progetto di intervento per la rifunzionalizzazione di Palazzo
San Francesco – sede principale del sistema museale cittadino reggiano - si è fatta
stringente a partire dalla metà degli anni
novanta, stimolata dalla possibilità di destinazione museale di tutto l’immobile ma
anche dalla cogenza di un sempre più forte
sistema di obblighi in materia di sicurezza
e accessibilità. Il progetto di Panstudio /
Arrigo Rudi (capogruppo Cesare Mari),
avviato nel 2002, aveva infatti come obiettivi l’adeguamento dell’edificio rispetto
alle norme di sicurezza, il rinnovamento
impiantistico, la realizzazione di più adeguati collegamenti in verticale e il ripristino dell’ultimo piano del palazzo. Idea forte della soluzione progettuale approvata
era la scelta di un nuovo ingresso sul retro
dell’edificio e la riproposizione dell’antico
scalone come elemento distributivo centrale al sistema museografico.
Nel 2004 a causa di un contenzioso con
la ditta appaltatrice i lavori si sono interrotti consegnando un edificio ancora non
accessibile e solo parzialmente ristrutturato.
Nel frattempo si sono delineate nuove
linee di intervento per il centro storico della città di Reggio Emilia: piazza della Vittoria, oggetto di un significativo progetto di
riqualificazione, è stata individuata come
il nuovo focus della vita culturale cittadina, in grado di coordinare le proposte dei
79
principali teatri e istituzioni museali.
L’affaccio del Museo sulla piazza si presentava quindi come una imprescindibile
opportunità che ha comportato la totale
revisione degli assunti del progetto Mari
– Rudi e ne ha consigliato quindi l’abbandono.
E’ stato contattato lo studio dell’ar-
2) La “sala nera” al piano 0 (rendering)
chitetto Italo Rota, personaggio di punta
dell’architettura italiana, con al suo attivo
importanti realizzazioni museografiche e
allestitive (recentissimo il suo allestimento
del Museo del Novecento a Milano).
A lui è stata chiesta una proposta che,
a partire dalla progettazione degli allestimenti del Museo, contribuisse a rafforzarne l’identità e le capacità di comunicazione.
Obiettivi quindi molto diversi e più
ampi rispetto a quanto richiesto al progetto precedente che prefigurava per il Museo
di Palazzo San Francesco una direzione di
sviluppo in continuità, legata all’adeguamento agli attuali standard museali ministeriali e all’esigenza di valorizzare il patrimonio (consentendo in particolare l’esposizione delle opere d’arte contemporanea).
Nel gennaio 2007 il concept generale
del progetto Rota è stato approvato dalla
Giunta municipale. Dopo diverse difficoltà legate al reperimento dei fondi (non ultimo l’annullamento del finanziamento di
1.500.000 di euro inserito nel programma
80 per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità
d’Italia) un primo importante stralcio del
progetto (finanziato dal Comune di Reggio
Emilia con 4.300.000 euro) è pronto per
essere appaltato, compatibilmente con i
vincoli che il patto di stabilità impone agli
enti locali.
Il progetto proposto dall’architetto Rota
è un progetto ambizioso, dedicato in larga
parte agli allestimenti e invece molto «leggero» per quanto riguarda gli interventi
strutturali, impegnato nella ricucitura degli interventi precedenti ma poco preoccupato di nascondere realtà impiantistiche o
sovrapposizione di preesistenze.
Un progetto che tocca anche da vicino il
tema dei confini, sempre più incerti, tra il
ruolo dell’architetto e il ruolo del direttore
o responsabile del museo, in una visione
nuova in cui l’ambito della museografia e
quello della museologia tendono a confondersi, o meglio a presupporsi a vicenda,
in una sempre più avvertita esigenza della
molteplicità di competenze necessarie alla
vita di una moderna istituzione museale e
del complesso quadro di relazioni che ne
presiede la conduzione.
Non mi soffermerò in questo articolo
sulla descrizione del progetto Rota, se non
nelle sue linee principali, e invece cercherò di approfondire le conseguenze che il
progetto avrà sulla fruizione delle collezioni e del patrimonio limitatamente al primo
stralcio in corso di attuazione.
La ricerca di una identità
E’ nota l’importanza di alcune collezioni
storiche conservate nel Museo, in particolare la collezione del naturalista Lazzaro
Spallanzani (acquistata dal Comune nel
3) La “galleria rossa” al piano delle collezioni
storiche (rendering)
1799 e allestita a Palazzo San Francesco
dal 1830) e il Museo di Gaetano Chierici,
padre della paletnologia in Italia, allestito
a partire dal 1860 come Museo di Storia
Patria. A queste due principali nuclei collezionistici si accostano poi numerose altre collezioni minori, da quella di Naborre
Campanini (impegnato in particolare nella
ricerca e salvaguardia delle arti minori) a
quelle degli esploratori reggiani (Antonio
Spagni, Raimondo Franchetti) per non citare che qualche nome di un elenco molto
più ampio che offre un esemplare spaccato
delle caratteristiche e tipologie del collezionismo italiano dalla fine del Settecento
ai primi decenni del Novecento.
La peculiarità dei Musei di Reggio è stata quella di mantenere praticamente intatte
queste collezioni, almeno le principali, non
solo nell’ordinamento ma anche nell’allestimento.
Il primo piano di Palazzo San Francesco
è quindi oggi un importante luogo di testimonianza collezionistica, un esempio in sé
coerente di stratificazione di modalità allestitive storiche. Si passa dagli strabilianti
armadi storici della collezione Spallanzani,
organizzati secondo evidenti criteri di ordine estetico, all’insistito ritmo espositivo
delle vetrine della collezione Chierici, sistematica collocazione di reperti utili allo
studio e alla catalogazione (purtroppo nei
primi anni novanta sono state invece riordinate le collezioni zoologiche con criteri
selettivi e sistematici e molti animali impagliati sono stati trasferiti nei depositi).
Scarse le informazioni didascaliche (difficile inserirle in un contesto così caratterizzato), inadeguati rispetto alle esigenze
della sicurezza e alle moderne regole della conservazione degli arredi (il Museo di
Palazzo San Francesco fatica ad ottenere
dalla Regione Emilia Romagna il riconoscimento di museo di qualità per le caratteristiche dei vetri storici delle sue vetrine,
non in linea con le esigenze della sicurezza
del pubblico).
Un Museo amato dalla città (31.000
le presenze del 2010), frequentato dalle
scuole (attraverso attività didattiche che
ricostruiscono percorsi di senso tra le sue
collezioni, 22.500 i fruitori nel 2010), vissuto come curiosità dai pochi turisti che lo
visitano, considerato un intoccabile punto
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di riferimento per gli studiosi.
Le collezioni più moderne (a parte il
Museo di Storia Romana) sono allestite al
piano superiore, con allestimenti realizzati
in economia e un ambito di interesse esclusivamente territoriale, riferito all’archeologia e alla storia dell’arte.
Il progetto dell’architetto Rota (condiviso con la direzione dei Musei) muove dal
riconoscimento dell’importanza di salvaguardare le collezioni storiche allestite al
primo piano di Palazzo San Francesco:
nessuno sfoltimento dei materiali dunque,
come richiederebbe una maggiore loro visibilità (e come è stato fatto in una situazione molto simile nel Museo Civico di
Modena) nessuna integrazione di apparati
didascalici.
Invece una riflessione forte sul significato di queste collezioni storiche per l’oggi,
il deciso superamento dell’idea di conservazione come statica salvaguardia di un
patrimonio, l’affascinante programma di
fare diventare questo patrimonio una eredità per tutti in grado di offrire riflessioni
al nostro presente e attrezzarci meglio per
il nostro futuro.
Nella definizione della nuova ipotesi
progettuale si è lavorato in particolare su
alcuni concetti principali, visti come centrali nell’identità di Palazzo San Francesco:
MEMORIA Il museo di Palazzo San
Francesco è prima di tutto il luogo della
memoria di una comunità. L’imperativo di
una sua conservazione si è fino ad ora tradotto in un sostanziale immobilismo, certo
provvidenziale rispetto a mode che negli
anni sessanta/settanta hanno distrutto simili realizzazioni museali. Tutto il progetto
parte dall’obiettivo di valorizzare queste
sue caratteristiche e non certo di tradirle o metterle in discussione. Ma – ci siamo chiesti – è possibile tentare un nuovo
82 approccio che, senza toccare l’esistente,
consenta di rendere il museo in grado di
comunicare con l’oggi?
Quello di cui noi abbiamo bisogno oggi
è una memoria critica, una memoria che,
come ha scritto Federico Ferrari1, lungi
dal voler ricreare una narrazione del continuum della storia o della storia come un
continuum, cerca invece di mostrare, nello spazio reale dell’ esposizione gli scarti,
le contraddizioni, le cesure profonde che
attraversano quella costellazione di ricordi, opere e passioni che vengono chiamati
memoria.
Perché la memoria diventi memoria
vivente, capace di incidere sul presente,
abbiamo bisogno di evidenziare con una
sensibilità moderna queste fratture, queste
cesure.
Solo così la nostra attenzione ma anche
la nostra sensibilità e la nostra cultura riusciranno a scuotersi e a farci partecipare
del nostro passato.
Ecco dunque che il Museo di Palazzo
San Francesco, straordinario caleidoscopio
di testimonianze di diversi momenti storici rappresentati da testimonianze spesso
impreviste, curiose, provenienti da diversi
contesti culturali, con materiali provenienti da differenti ambiti tipologici (naturalistici, archeologici, artistici, antropologici)
può naturalmente offrirsi come possibile
problematica occasione di lettura di una
storia non univoca, non trionfalmente
tesa alla sua evoluzione progressista, ma
più vera e vicina alle nostre esperienze di
ambiguità, confusioni, ritardi e pentimenti
ma anche di sogni e utopie visionarie.
Quella che sarà proposta è una lettura
a doppi livelli delle collezioni: da un lato
approfondimenti di carattere scientifico
adeguati al pubblico dei conoscitori e specialisti, dall’altro una più libera modalità di
approccio che parte dall’oggi, dai problemi della contemporaneità e intende leggere nelle testimonianze del passato possibili
stimoli a una lettura del presente in vista di
future possibili visioni del mondo.
In questo modo, come auspica Ferrari,
il passato viene scelto, diviene frutto di un
atto critico e il patrimonio storico custodito nel museo diventa l’immagine speculare
del futuro.
Il museo è dunque il passaggio tra una
dimensione passata e un’apertura al futuro, tra la memoria di una tradizione e l’invenzione di un avvenire.
Un museo storico come quello di Reggio Emilia diventa quindi un «contemporaneo» attivatore di sollecitazioni per il
presente e possibili futuri.
Si pone così come preziosa metafora zione del rapporto tra memoria e contemdel Tempo, preziosa sineddoche che nel poraneità.
racconto di una piccola comunità si pone
come atto critico che si interroga sul no- In che modo
Questi assunti – maturati in una riflesstro essere contemporanei.
sione che dura ormai da alcuni anni coinCONSERVAZIONE Ancora ribadiamo volgendo il personale scientifico dei Muche conservare le collezioni storiche è un sei – sono stati già sperimentati in alcune
obbligo imprescindibile che ogni progetto delle attività più fortemente intenzionate
di revisione dei nostri musei non può tra- dei Musei. Da alcuni anni infatti, accanto
a proposte didattiche più tradizionalmente
dire.
Ma cosa significa conservare oggi? riferite a precisi ambiti cronologici o temaL’idea di conservazione in ambito museale tici, vengono individuati percorsi trasversi collega al tema del patrimonio, conside- sali rispetto agli ambiti disciplinari che, a
rato fino a pochi decenni fa l’essenza stessa partire dalla scelta di un soggetto (Forma,
Acqua, Natura, Illusione, etc.) si muovodell’istituzione museale.
Patrimonio è qualcosa di fisso e conso- no tra le collezioni scientifiche e quelle
lidato, concluso e mummificato, per defi- archeologiche, tra arte antica e arte connizione tramandato di padre in figlio, che temporanea, tra testimonianze territoriali
deve essere preservato e non sperperato. e materiali di tutti i paesi coinvolgendo poi
Ma l’insieme delle opere del Museo non gli interlocutori in possibili interpretazioni
deve soggiacere alle leggi patrimoniali ma riferite all’esperienza personale. Proposte
anche al pubblico adulto in incontri di
diventare un’eredità vivente.
Eredità è l’accettazione di una memoria carattere interattivo queste attività, dopo
e il suo prolungamento nel presente, è pre- alcune iniziali difficoltà, sono state accolte
con molto favore da parte degli insegnangna della vitalità eterna del passato.
Il patrimonio spetta solo ai legittimi ti, sollecitati così a una visione che rompe
successori, a coloro che ne garantiscono la la divisione per discipline e cronologie (su
continuità, l’eredità si sceglie, non è data cui sostanzialmente si struttura l’esperienda alcuna investitura, richiede una decisio- za scolastica), consente una lettura unitaria
ne, una presa di posizione critica che con- e trasversale dei saperi, sollecita più mobili
duca il passato a porre in una situazione curiosità e possibilità di interazioni.
In occasione di queste prime parziali
critica il presente.
L’eredità può e deve essere assunta an- sperimentazioni (che hanno riguardato anche da «altri» e il tema è particolarmente che l’allestimento di piccole mostre di arte
forte nella nostra città dove un museo ci- contemporanea tra le collezioni) il Museo
vico, ricco di testimonianze di un passato di Palazzo San Francesco si è rivelato un
locale, deve diventare «eredità» di una so- luogo ideale per sperimentare all’interno
di una istituzione museale queste comcietà molto più complessa e articolata.
Il patrimonio diventa eredità e dà i suoi plesse traiettorie di pensieri sempre più
frutti. Come in ogni idea di business, come fortemente avvertite come necessarie dalla
nella parabola dei talenti dove il figlio che cultura della nostra contemporaneità incoraggiando quindi ad assumere con forza gli
ha sotterrato i denari viene redarguito.
Il museo da luogo dell’eterno immobile assunti metodologici del «progetto Rota».
«Non si tratta – scrive Elio Grazioli diventa specchio di mutazioni.
di ricerca della vaghezza o dell’ambiguità 83
Dall’approfondimento di questi temi come esaltazione della confusione degli
emerge la possibilità per il Museo di Palaz- ambiti, della lettura dei confini tra le discizo San Francesco di un possibile rilancio pline, tra arte e scienza e altro ancora, di
che, a partire dal riconoscimento delle sue contaminazioni e trasversalità finalizzate al
peculiarità ed eccellenze, ne riesca a garan- fantastico e alla fede in una forma unica e
tire una più ampia notorietà e lo consolidi pervasiva, originaria e formante, ma piutcome possibile laboratorio di sperimenta- tosto dell’arte che c’è in ogni disciplina, di
nodi che si creano tra gli ambiti, di studio
esatto della loro forma, della bellezza e del
senso che sconfinano dallo specifico e non
si pongono come modello ma come incontro sul percorso e risultato di una spinta»2.
Come si conciliano queste ipotesi di lettura trasversale tra le collezioni con gli imperativi di mantenimento degli allestimenti storici che abbiamo assunto come imprescindibile limite al nuovo progetto? Come
trasformare nel contempo conservando?
Gli spazi «attivatori» del progetto
Il progetto Rota nella sua prima tranche
di attuazione consentirà il recupero di alcune zone di Palazzo San Francesco attualmente non utilizzate per l’esposizione dei
materiali, in particolare:
- tutto il piano 0
- al piano 1 un’ampio salone dell’antico
convento con alcune salette adiacenti
84 - tra il piano 2 e il piano tre zone attigue
al grande scalone di smistamento
- tutto il piano 3
Questi gli spazi dunque disponibili per
introdurre quelle possibilità di lettura
«critica» delle collezioni storiche di cui in
premessa abbiamo cercato di individuare i
principali nodi teorici .
Il piano 0, attualmente adibito a spazio deposito e servizi, assume particolare
rilevanza come naturale prolungamento
di piazza della Vittoria e luogo di osmosi
tra il museo e la città. Si pone come polo
di forte attrazione urbana caratterizzato
da ampissima accessibilità e deve svolgere
una funzione attrattiva di invito al museo
e alla visita delle sue collezioni. Il nuovo
diedro di ingresso, nell’angolo dell’edificio, si caratterizza per le pareti rivestite da
fioriti «giardini verticali» e l’installazione
di alte strutture di acciaio specchiante che
riflettono immagini tratte dai materiali dei
Musei.
All’interno l’acquario lacustre (evocazione del tema dell’acqua come principio
della vita) introdurrà a un antro oscuro,
caratterizzato dal ritmo delle volte, una
sorta di caverna primordiale da cui emergeranno oggetti simbolo del museo. La
minuscola Venere di Chiozza (proposta attraverso una riproduzione dell’originale),
carica di naturalismo padano, i frammenti
della grande balena ritrovata sulle colline
a pochi chilometri della città, l’imponente
balenottera approdata in città negli anni
cinquanta e da tutti considerata il simbolo del Museo, il calco dei celebri cippi di
Rubiera suggeriranno una sorta di percorso iniziatico tra elementi naturali e artistici con riferimento ai temi primigeni della
maternità, alla nascita della storia e della
scrittura, alla dimensione del tempo e della
memoria di una città.
Sempre al piano 0 una sorta di grande
diorama suggerisce al visitatore una lettura dello sviluppo delle collezioni museali
secondo una disposizione stratigrafica evidenziata da oggetti simbolo delle diverse
raccolte e collezioni.
Il richiamo degli ambienti più luminosi
spinge il visitatore a proseguire nella visita
e lo conduce agli accessi che in verticale
conducono alle collezioni del primo piano.
In alternativa, in diretto collegamento e
osmosi con lo spazio verde del giardino, è
possibile raggiungere lo spazio/laboratorio
della città, dedicato ai cantieri progettuali
e strategici e alla presentazione di progetti
culturali di forte interesse per la comunità,
attivo la mattina nell’ambito di proposte
didattiche per i ragazzi e liberamente ac-
4,5,6) Il pubblico partecipa alla performance /
installazione L’amore ci dividerà, maggio 2010
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cessibile al pubblico adulto il pomeriggio negli ultimi anni sarà proposto un nuovo
approccio alla storia della cultura che, lie la sera.
berandosi dal predominio del pensiero ocIl piano 1 si rafforza come parte più im- cidentale, potrà confrontare le espressioni
portante del Museo dedicata alle collezioni e testimonianze provenienti dalle diverse
parti del mondo.
storiche.
Un museo locale diventa così un museo
Accanto alle raccolte di Lazzaro Spallanzani e Gaetano Chierici, negli spazi ri- planetario, in grado di suggerire orizzonti
costruiti dell’antico salone del convento di saperi e culture più adeguate alla consarà allestita la cosiddetta «Sala Rossa», ri- temporaneità e in particolare alla sempre
proposizione filologica della grande Espo- più variegata comunità cittadina.
sizione d’arte e industria allestita nel 1876
Il terzo e ultimo piano si caratterizza
presso Palazzo San Giorgio dove per la
prima volta erano state esposte al pubbli- per la libertà degli spazi ma anche dei conco le principali opere d’arte della città, di tenuti museali.
La suggestione dei locali, liberata da
proprietà sia pubblica che privata, nucleo
ogni inserimento incongruo e restituita alla
iniziale della Pinacoteca civica.
Molti di questi dipinti sono oggi conser- sua spettacolarità, si porrà nella sua ritrovati nei nostri Musei, solo in parte esposti vata semplicità, luogo libero da ogni aura o
al pubblico. L’allestimento si porrà come raffinatezza estetica, ideale contenitore per
riproposizione contemporanea delle mo- attività culturali e espositive temporanee.
Spazi laboratoriali – a utilizzo delle scuodalità espositive di un salon ottocentesco
(da qui il nome «sala rossa», con riferimen- le ma anche del pubblico adulto – si intrecciano a spazi di sosta e esposizione, a spazi
to all’idea dei damaschi dell’epoca).
Saranno esposte anche alcune tipologie di ristoro e intrattenimento (un prestigioso
di cosiddette «arti minori» documentate roof restaurant, affacciato sulla piazza e acnel catalogo dell’esposizione, a indicare cessibile in modo autonomo dall’esterno)
l’importante momento culturale di incon- nell’intento di offrire un luogo di relazioni
tro tra arte, artigianato e nascente produ- «vero», dove le cose accadono, in una sorta di commistione fra l’arte e la vita
zione industriale.
L’ampia navata espositiva (Kunsthalle)
Con lo spostamento dei nuclei storici
diventa
luogo privilegiato per offrire, atriferiti alle collezioni artistiche il piano 1
consolida così il suo ruolo di custode dei traverso esposizioni periodiche, una divermodelli museografici che hanno presiedu- sa lettura del contesto collezionistico che
to la formazione del Museo di Palazzo San il visitatore ha potuto visitare, in ideale
Francesco. Con maggiore libertà al piano continuità con gli allestimenti del piano 0
superiore, dedicato alle raccolte di nuova e della sala affacciata sullo scalone. Sono
formazione sia di ambito archeologico che questi gli spazi «attivatori» dove dovranno
di ambito artistico, gli allestimenti (non trovare attuazione le nuove modalità espocontemplati nella fase di lavori appaltati) sitive e di accostamento dei materiali a cui
potranno organizzarsi secondo diversi cri- viene affidato il compito di risignificare i
teri tematici rafforzando la loro funzione più intimi significati delle collezioni storidi spazi laboratoriali frequentati dal mon- che del museo individuando possibilità di
contatto con tematiche della nostra condo della scuola.
Sempre al piano 1 una nuova sala (de- temporaneità.
Nell’ estate 2010 una grande installazio86 nominata «museo planetario») consentirà
attraverso l’esposizione di materiali per lo ne - L’amore ci dividerà- Prove generali di
più oggi conservati nei depositi una più un museo curata da Italo Rota e accompagnata da
completa valorizzazione delle collezioni
extraeuropee, frutto di donazioni degli sonorizzazioni di Carlo Antonelli, DJ set
esploratori della città o di depositi di altri Fabio De luca, performance di Nico Vamusei. In linea con l’impostazione di di- scellari – ha per la prima volta sperimentaversi progetti culturali realizzati dai Musei to queste nuove possibilità allestitive.
L’idea è stata quella di utilizzare gli spazi
di cantiere dell’ultimo piano del Palazzo.
Qui, all’insegna del motto «Il museo è ora»
ha avuto inizio il processo di riallestimento del Museo attraverso una prima tappa
espositiva, con lo scopo di sperimentare le
nuove modalità di presentazione dei materiali invitando la città a un coinvolgimento
che ne stimolasse la creatività.
L’installazione si apriva con dodici vetrine in cui oggetti delle diverse collezioni ponevano domande proprie della quotidianità di tutti, esplicito riferimento a
quella complessità non comprimibile così
caratteristica dei nostri tempi che il museo
oggi riesce a rappresentare attraverso la realtà fisica dei propri oggetti.
La navata principale dei nuovi spazi
era occupata per metà dalla spettacolare
installazione «Arca di Noè»: anonimi cittadini hanno collocato sulla scena animali imbalsamati conservati nei depositi dei
Musei in una veloce performance ripresa da
un video che costituisce «la prima stanza»
del sito del progetto del Museo. Al lato opposto la Venere di Chiozza, capolavoro per
eccellenza dei Musei, eletta grande progenitrice del nostro territorio, dominava l’allestimento fotografico di trecento ritratti
di reggiani del nostro tempo.
Le stanze laterali erano dedicate a temi
sollecitati dalle collezioni di Palazzo San
Francesco e di particolare attualità per la
cultura contemporanea (Extreme beauty
/ Nature-artificial / Y doppio / Hybride /
Comunication), con approfondimenti sulla lettura sincronica delle espressioni artistiche delle diverse culture del mondo
(Anywhere 1850), sul rapporto con il territorio, così fondante per la nostra cultura
(sono esposte alcune immagini fotografiche da Esplorazioni lungo la Via Emilia),
con la rilettura della nostra recente storia
culturale in ambientazioni d’epoca (period
room dedicata al salotto dell’intellettuale
reggiano degli anni sessanta).
L’installazione, di grande impatto emozionale, si poneva con forza in una dimensione che guarda al futuro sollecitando
l’impegno e la responsabilità di ogni visitatore, chiamato ad assumersi un ruolo non
solo verso il rinnovamento del museo ma
anche verso la città del domani.
«Il futuro – recitava una citazione posta
all’inizio dell’allestimento – mi interessa
molto, è il posto dove dovrò passare il resto della mia vita».
Commentando in un incontro pubblico
l’allestimento di Rota, in occasione delle
giornate inaugurali di Fotografia Europea
2010, Paolo Fabbri, nell’ambito di più ampie considerazioni da lui stesso definite
«incentivo semiotico per le energie rinnovabili nell’estetica», poneva una interessante distinzione fra le attività di «implementazione» che di norma accompagnano
l’esposizione di un’opera d’arte in un museo (dalla cornice alla didascalia, l’illuminazione etc.) e invece le caratteristiche di
«attivazione» riconoscibili nell’installazione proposta.
«Cosa significa attivare le opere e non
invece semplicemente implementarle? Per
esempio accostare ad un’ opera delle altre
opere, attivare non le opere ma le relazioni
tra le opere. L’attivazione non approfondisce un’opera, la mette in contatto con
un’altra e si inventa delle nuove relazioni.
Attivare è relazionare».
La modalità allestitiva esplorata da
Rota richiama con evidenza la tecnica del
«montaggio» e riporta al grande modello
di Mnemosyne, l’atlante di immagini dispiegata sui grandi pannelli di legno a cui
Aby Warburg lavorò dal 1924 alla morte,
«non solo un compendio per immagini ma
un pensiero per immagini, non soltanto un
‘promemoria’ ma una memoria al lavoro»
come annota G.Dibi Huberman3.
Stringenti le analogie tra la riflessione di
Warburg sulla storia («un modello fantasmale in cui i tempi non erano ricalcati sulla trasmissione accademica dei saperi ma
si esprimevano per assilli, sopravvivenze,
ritornanze delle forme, cioè per non saperi, per impensati, per inconsci del tempo»
scrive Dibi Huberman) e sul suo rapporto col presente che lui vede intrecciato di
passati multipli («Accanto a tutto lo scibile 87
della terra si pone, quale accordo fondamentale che sempre risuona, la storia del
mondo antico, ossia di tutti quei popoli la
cui vita è sfociata nella nostra»).
Ecco quindi che un montaggio di tipo
anacronico crea un rapporto tra attualità
e primitività, proprio quello che il nuovo
allestimento del Museo intende fare scattare, individua una modalità di presentazione dei materiali che «non è né messa in
ordine né bric a brac e, nel decostruire una
lettura sequenziale della storia, ci consegna
un intrigante puzzle delle sopravvivenze
dell’antichità».
Nel progetto Rota un ruolo importante viene affidato all’inserimento di opere
d’arte contemporanea (non so se i budget assegnati ci consentiranno di avviare
adeguati progetti di committenza o acquisizioni). E’ indubbio che in numerose
ricerche artistiche della contemporaneità
rimbalzano con evidenza suggestioni che
rimandano ai materiali presenti nelle nostre collezioni; basti citare i famosi animali
in formaldeide di Damien Hirst, ma anche
le numerose rivisitazioni di temi naturali
che attraversano diverse esperienze di artisti contemporanei. Come pure è evidente
che i riferimenti potrebbero ampliarsi quasi all’infinito, nella rispondenza per esempio tra le testimonianze musive e i pixel di
tante opere contemporanee etc.
L’arte contemporanea può assumere
questo compito di «risignificazione» del
passato. Rispetto a quell’affascinante coagulo di storie, collezioni, oggetti che sono
i Musei di Reggio Emilia può svolgere il
ruolo di toccare le corde di una sensibilità dell’oggi capace di risuonare nella profondità del passato, può farci percepire
la nostra contemporaneità come l’ultimo
tassello della storia del mondo, della sua
complessità, della sua continua mutazione.
Sempre all’ultimo piano di Palazzo San
Francesco sarà allestita la sezione delle period rooms del Novecento, una originale
rilettura della cultura cittadina dal dopoguerra agli anni ottanta che riprende l’idea
originaria di una sezione dedicata all’arte contemporanea dove esporre le opere
conservate nei depositi. Attraverso la pre88 sentazione di dipinti, sculture, ma anche
di mobili e oggetti di arredo, manifesti e
registrazioni televisive saranno allestiti alcuni ambienti che sono stati importanti
per le vicende dell’arte del dopoguerra nel
nostro territorio con l’intento di restituire
uno spaccato della vita sociale e politica
del tempo.
In questi ambienti il pubblico potrà fisicamente entrare e vedere le opere d’arte
nel contesto culturale ma anche sociale che
le ha generate, apprezzandole e comprendendole così in modo più autentico.
Il sito
La parola multimedialità non è stata fin
qui ancora citata, in controtendenza con
quanto ci si poteva aspettare da una soluzione allestitiva di taglio spiccatamente
contemporaneo. L’idea infatti è di valorizzare il museo come luogo di oggetti fisici
e tangibili, investiti di forti significati e valenze simboliche, ma «agiti» in quanto tali.
Le straordinarie possibilità della multimedialità sono demandate a un altrove
che è lo spazio del web, la rete come infinita possibilità di rimandi e citazioni ma
soprattutto come possibile luogo di protagonismo attivo del visitatore, sia reale che
remoto.
La tecnologia accompagna ormai l’uomo come una sua estensione, smartphone
e ipad ci rendono in ogni momento collegati. Inutile quindi «sporcare» l’allestimento del museo con scatole tecnologiche
di minore o maggiore impatto, la fruizione
ai contenuti diventa individuale, il senso di
comunità si recupera, più allargato e condiviso, nelle piattaforme di scambio del
web.
Il sito dunque diventa luogo necessario
e parallelo all’esposizione fisica del museo.
Non si tratta di un sito di carattere informativo o didascalico, ma di un sito «attivatore» sovrapposto al sito istituzionale
dei Musei. Il sito del «nuovo» Palazzo San
Francesco non deve tradire le caratteristiche di impatto emozionale e spettacolare
che suscita la visita reale alle sue collezioni. Si rivolge a una comunità più allargata
ma anche più esigente, interessata a livello
culturale alla vicenda di questo straordinario ricettacolo di memorie collezionistiche
ma anche motivata a livello professionale
dalla possibilità di scaricare gratuitamente
contenuti e soprattutto immagini di alto
potere evocativo per la contemporaneità,
da utilizzare in innovativi progetti di comunicazione.
Gli oggetti della collezione, restituiti
anche attraverso innovative elaborazioni
grafiche, sono dunque disponibili gratuitamente accanto ad altre immagini di materiali simili che possono afferire al sito attraverso contatti e link; la lettura delle collezioni storiche sarà riproposta attraverso
modalità di story telling e l’elaborazione di
mappe concettuali interattive che, a partire
dalle collezioni e dai materiali, esploderanno in più complessive visioni d’insieme che
rimanderanno a letture sincroniche dello
sviluppo della cultura in tutti i suoi aspetti, con particolare interesse per i più complessivi aspetti antropologici suggeriti, o a
letture «a soggetto» capaci di intercettare
problematiche dell’attualità.
La modalità del «blog», aperta da contributi di studiosi invitati periodicamente
a proporre riflessioni o ad aprire dibattiti, garantirà la possibilità di un contributo
individuale aperto a tutti, con mediazioni
di carattere redazionale che consentano
di estrapolare dai contenuti degli specialisti più allargate e quotidiane domande
in grado di interfacciare anche un’utenza
generica.
Così pure le dinamiche dei Dj mix (selezione di brani preesistenti, con spiccate
individualità autoriali legate alla caratteristica della scelta) e le modalità del «cover»
(reinterpretazione o rifacimento di interventi o contributi) si rivela la più adeguata
a un re-mix di contenuti culturali di intrigante attualità .
Evidente è la simmetria suggerita tra
questo approccio tecnologico e le modalità allestitive di «montaggio» e «accrochage» individuale negli allestimenti dei nuovi
spazi museali.
Al sito e ai nuovi dispositivi allestitivi
viene quindi demandato il compito di risignificare i contenuti delle collezioni storiche estrapolandone nuove possibili attualità.
Il completo rispetto delle preesistenze
(sia di ordinamento che di allestimento)
immobilizza la loro storicità e il loro significato collezionistico salvaguardandone
anche la piena disponibilità per la comunità degli studiosi e dei conoscitori.
Gli interventi di lettura critica si pongono in maniera del tutto individuata e distinta, con caratteristiche di temporaneità
e reversibilità, soggette alla precarietà delle
interpretazioni e alla parzialità delle necessarie mediazioni di tipo comunicativo.
L’istituzione museo, investita negli ultimi venti anni da una straordinaria attenzione anche mediatica che ne ha fatto uno
dei luoghi privilegiati del vivere contemporaneo, da depositario di valori indiscussi
e immutabili si trasforma in un più mobile
laboratorio di idee e dispositivo di sperimentazione.
In questo generale processo di trasformazioni in atto il «nuovo» museo di Palazzo San Francesco, forte delle sue tradizioni, potrà offrire un modello di riferimento
che aiuti a percepire il passato come nuova
e attuale necessità.
note
1. F. Ferrari Lo spazio critico. Note per una
decostruzione dell’istituzione museale, Roma
2004.
2. E. Grazioli, in Il collezionismo o il mondo come
voluttà e dissimulazione, a cura di A. Martegani,
E.Grazioli, G. Ricuperati, Milano 2006
3. Dibi Hubermann, L’Immagine insepolta. Aby
Warburg, la memoria dei fantasmi e la storia
dell’arte, Torino, 2006.
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