Notiziario Settembre 2012
Transcript
Notiziario Settembre 2012
Sindacato Intercategoriale Lavoratori Autorganizzati Notiziario del Cobas Poste Settembre 2012 Via Marco Aurelio 31 - 20127 Milano - [email protected] - www.sicobas.org - poste.sicobas.org - tel/fax 0249661440 Che succede agli sportelli (e non solo)? E’ il 30 luglio scorso quando giornali e TV (anche nazionali) lanciano la notizia di un ferimento a colpi di pistola di una direttrice di un ufficio postale nel napoletano, da parte di un impiegato dello stesso ufficio. Il ferimento si trasformerà nel giro di qualche ora in omicidio in seguito alla morte della donna. La notizia si perderà, nel lasso di 24 ore, senza lasciare traccia, tra i rivoli della cronaca nera. Neppure nel settore postale, tra i dipendenti, non avrà alcun riscontro reale; non se ne parla, salvo qualche accenno, ma senza valutazioni di sorta. Non c’è traccia neppure della minima considerazione sul fatto da parte di nessun sindacato. Perchè ne stiamo parlando noi, sul nostro notiziario? La ragione è che, senza entrare nel merito della vicenda, nè volendo esprimere giudizi sulla sanità mentale o meno dell’impiegato; come neppure sui suoi presunti precedenti comportamenti illeciti (riportati da organi di stampa). Nè, infine, sull’esito dell’azione della magistratura, pensiamo di non fare alcuna forzatura giustificazionista, nel considerare il fatto un sintomo di una condizione generalizzata di malessere e insofferenza - in forme più o meno caratterizzate a seconda dei luoghi e delle persone coinvolte -, presente tra i lavoratori degli sportelli di Poste. Respingiamo al mittente sin d’ora ogni eventuale accusa di facile strumentalizzazione di un atto increscioso, dagli effetti drammatici, per fini di propaganda. Non ci interessano questi mezzucci, nè ci appartengono. Vogliamo però porre all’attenzione di chi ha voglia di usare il cervello, dei problemi reali (e gravi) che coinvolgono in primis i lavoratori degli sportelli, ma anche, in forme diverse, tutti i postali che lavorano. La deriva commerciale (in senso lato) di Poste è sotto gli occhi di tutti, rappresenta un dato assodato, organico all’attività quotidiana; è una scelta oramai consolidatasi come strategica. Diciamo in senso lato perchè questa scelta, e il relativo modus operandi, non si limitano certamente al settore Shop (sarebbe il minore dei mali, con qualche aspetto folkloristico), ma coinvolge tutti gli ambiti aziendali: dal finanziario, al postale, alla telefonia mobile, ecc. Permea ogni fase dell’attività degli sportelli, spesso sovrapponendosi e creando interferenze dannose agli stessi obiettivi aziendali. Non ci dilunghiamo (sono dati noti a tutti) sugli effetti per l’operatività dei lavoratori, di questo impianto commerciale. Vogliamo invece soffermarci sul modo in cui viene realizzata e concretizzata la gestione delle “risorse umane” in questo quadro. Si potrebbe sintetizzare il tutto dicendo che si sta cercando di applicare un metodo preso in prestito da altri settori di attività, in epoche spesso passate, in ambiti produttivi di altro rilievo. Lo si sta facendo in modo approssimativo, scimmiottando comportamenti, pratiche e terminologie (il briefing, il target, il badget, la policy, la mission,...) che, mentre - sovente -, danno luogo a risultati grotteschi ed esilaranti (se non riescono a dire più di due parole in italiano, cosa vanno ad impicciarsi con l’inglese e tutta la terminologia legata al bissniiss?), nel complesso si ripercuotono in modo negativo sui lavoratori, sulle condizioni di lavoro, sul rispetto di diritti e dignità, sulla salute, sulla percezione di sè dei lavoratori, sulla loro vita. E’ paradossale (ma non troppo, dato che è elemento di questo sistema), che questi effetti deleteri si ripercuotano a cascata coinvolgendo di volta in volta ogni funzione e ruolo, fino a concentrarsi sull’ultimo anello della catena, cioè il semplice impiegato. I direttori degli uffici, salvo che per coloro che hanno sposato in pieno la politica di Poste, sono nello stesso tempo vittime e carnefici di questo sistema. Così come lo sono i lavoratori che scaricano le loro frustrazioni sui loro pari, in qualche misura più deboli (vuoi per anzianità, condizioni contrattuali, limitazioni fisiche) o “diversi” (i pochi che combattono questo stato di cose ). Le pressioni sistematiche e martellanti per il raggiungimento degli obiettivi (finanziari, postali o di telefonia che siano) sono un dato strutturale, rappresentano una costante e fanno parte della quotidianità. Che si manifestino attraverso i briefing (locali o centralizzati); con i corsi; con i colloqui ad personam; oppure con le schede di valutazione e/o con le minacce più o meno recondite; con cambi di applicazione o con distacchi; e, infine, con qualche soldo di premio, il risultato non cambia: sono inevitabili (non proprio in realtà) e condizionano la vita lavorativa e non dei dipendenti. Ma non è tutto. A questa politica aziendale vanno aggiunti altri aspetti ed elementi, altrettanto - se non più -, rilevanti per la condizione reale dei lavoratori. Gli strumenti di lavoro, sia hardware che software, sono inadeguati (per voler essere moderati), spesso non funzionano stampanti o pc; per non parlare del segue pag 2 Suicidi e sofferenze al lavoro:un crimine del capitalismo L’estensione del dominio della manipolazione Per diversi mesi nel 2009 i media hanno parlato molto dei suicidi di dipendenti della France Telecom (33 in 18 mesi, quasi 2 al mese), già due anni prima, sempre in Francia, ci sono stati vari casi alla Peugeot e alla Renault. Anche in Italia ci sono stati di suicidi legati al lavoro. Riflettere sul significato di questi suicidi e sulla sofferenza che li determina, è molto importante non solo perché tutto ciò che riguarda le Stress da lavoro correlato. Cosa dice la norma. pag 3 condizioni di vita della classe sfruttata ci riguarda direttamente sia come lavoratori, sia come compagni, ma anche perché lo sviluppo di questo fenomeno ci permette di comprendere lo stato nel quale si trova oggi il sistema capitalista e soprattutto la necessità e l’urgenza di distruggere questo sistema per sostituirlo con una società capace di soddisfare le necessità umane. A partire dalla fine degli anni ’70 l’Occidente in apparenza si è progressivamente sottratto a quello che M. Foucalt allora definì “l’universo disciplinare”, che si era andato definendo sulle rovine dell’antico ordine medievale. Nel corso degli anni le profonde trasformazioni tecnologiche hanno contribuito a sviluppare l’idea di una potenziale liberazione individuale. I mutamenti culturali e psicologici che hanno contribuito alle trasformazioni della società capitalista, hanno prodotto segue pag 2 Esempi di ordinaria follia Comportamenti “equivoci” stanno attirando l’attenzione agli onori delle cronache. della magistratura. Siamo forse di fronte alla prossima apertura di un nuovo vaso di Pandora? pag 3 pag 4 pag. 2 segue Notiziario del Cobas Poste Che succede agli sportelli (e non solo)? sistema operativo che genera blocchi ed arresti della lavorazione, alle volte con esiti devastanti a livello nazionale. Gli effetti di queste inadeguatezze sono immediati e intollerabili sia per l’utenza, che attribuisce all’operatore la responsabilità delle code e dei ritardi, che per i lavoratori i quali subiscono le ire, e spesso gli insulti, di quelli esasperati dalle attese. Le condizioni strutturali, carenti, o semplicemente pessime, rispetto a standard minimi di tutela per la salute e la sicurezza dei lavoratori (e degli utenti, alle volte), sono proprie della gran parte degli uffici sul territorio nazionale. Nello stesso tempo effetti ancora non valutati sta producendo l’accordo sulle pause come video terminalisti, che subordina gli obblighi di legge aziendali a valutazioni produttive campate per aria e assolu- segue Settembre 2012 tamente inverosimili. Condizioni di stress generalizzato coinvolgono la stragrande maggioranza degli spertellisti facendone la costante della loro vita lavorativa, con effetti anche nel privato. In altra parte del notiziario analizziamo più dettaglio questo aspetto specifico, anche dal punto di vista normativo. Qui sottolineamo solo che il clima complessivo che è stato determinato dalle scelte aziendali non è certo il più consono per garantire un’attività lavorativa se non proprio serena (dove esiste questo luogo di lavoro?), quanto meno senza conflitti quotidiani all’insegna della litigiosità, tra dirigenti e sottoposti, tra sottoposti, tra impiegati ed utenza. Abbiamo visto come questa condizione patologica sia il frutto di precise scelte aziendali che, al netto di fuorvianti declinazioni personalistiche, ha alla base un solo ed unico principio: l’obbiettivo del raggiungimento dell’utile in sede di bilancio per Poste Italiane spa. Sono anni che questo utile si è attestato su cifre dell’ordine di centinaia di milioni di € (l’ultimo, relativo al 2011 è stato di circa 698 milioni, con una cedola trasferita nelle casse della Cassa Depositi e Prestiti di circa 350 milioni), e questo pone Poste Italiane spa tra le aziende italiane di rilievo. Un’azieda dunque affatto in crisi, che macina milioni di euro, e che sta ottenendo questi risultati solo ed esclusivamente attraverso lo sfruttamento dei suoi dipendenti. Per restare nel settore sportelli, se si facesse il confronto tra le retribuzioni di settori che svolgono attività similari a quella finanziaria in Poste, cioè nel bancario, si avrebbe esattamente il quadro della situazione con uno sbilancio negativo impressionante per Poste (quasi 1.300 € la retribuzione degli sportellisti). A fronte, stipendi da nababbi per i manager di Poste e per la pletora di dirigenti di ogni livello. Niente di nuovo, naturalmente, è questa la condizione standard sul mercato del lavoro capitalistico, di cui anche Poste e i suoi lavoratori fanno parte. Questo è dunque il nocciolo del problema; questo il nodo da affrontare per chiunque voglia porsi il problema di migliorare la condizione, anche economica, dei postali. Il discorso non può certo essere slegato dall’attacco sistematico in corso ai servizi pubblici, secondo i dettami del pensiero neoliberista, che ha già toccato e sta sempre più coinvolgendo Poste. La chiusura di centinaia di uffici postali all’ordine del giorno, il continuo taglio di zone di recapito, la riduzione degli addetti ai servizi (realizzata ad oggi tramite esodi più o meno incentivati e blocco del turnover, ma nel prossimo futuro con ben altri mezzi), la deriva commerciale su tutta la gamma delle prestazioni, sono gli ambiti concreti di questo attacco. Sta ai diretti interessati: i lavoratori di Poste (anche per il duplice ruolo di dipendenti e utenti), farsi carico di queste problematiche, sapendo con certezza che non possono affidarsi a nessun sindacato di categoria. Occorre acquistare la consapevolezza della propria condizione di classe, sgombrando la mente da pastoie clientelari o illusorie aspirazioni da ceto medio (1200/1300 €/mese non possono indurre a simili pensieri). Difendere i propri diritti, respingere attacchi aziendali, acquistare la propria dignità di lavoratori, difendere il carattere pubblico dei servizi offerti da Poste, deve essere un imperativo morale e politico per tutti. Suicidi e sofferenze al lavoro: un crimine del capitalismo un “iperindividualismo”, oscillante fra senso d’inanità e narcisismo. Questo discorso di sviluppo individuale in realtà nasconde nuove forme di manipolazione. Un esempio chiaro sono le politiche manageriali all’interno delle aziende. Non è un caso che la maggior parte dei guru del management elaborano un discorso manipolatorio che è allo stesso tempo accattivante e menzognero. Un discorso che si fonda sistematicamente su messaggi inconciliabili, in altre parole chiede agli individui una cosa e il suo contrario: realizzazione personale ed eccellenza; impiegabilità e fiducia; autonomia e conformismo. In sostanza l’azienda propone o esige dai suoi dipendenti una sempre maggiore autonomia, ma nello stesso tempo fissa per loro obiettivi e calendari che non possono essere messi in discussione; i dipendenti si possono considerare “autonomi” nella misura in cui organizzano il loro lavoro come meglio credono, però devono raggiungere i risultati previsti da altri. L’autonomia di cui si sta parlando, quindi è pura apparenza. Negli anni ’70 (sempre in apparenza) la logica piramidale delle aziende, grazie alle lotte operaie che criticavano in maniera radicale l’organizzazione capitalista del lavoro, era messa in crisi. Le imprese, soprattutto le multinazionali, iniziano il loro percorso di sviluppo, ed evolvono, seguendo le direttive dei nuovi manuali di “management partecipativo”. Nel 1986 l’amministratore delegato, Jan Carlzon, della compagnia aerea SAS, non esita ad intitolare il suo libro La piramide rovesciata. Non si tratta evidentemente di rovesciare i ruoli tra dirigenti e subordinati, ma di pensare relazioni di lavoro, in modo nuovo, nell’intento di migliorare efficienza e produttività. Secondo Carlzon, i dirigenti devono comportarsi come “guide” e poter contare sulla cooperazione e sull’impegno di ciascun dipendete. La direzione generale deve limitarsi a mettere a punto una strategia, lasciando ai quadri la possibilità di definire i bisogni dell’azienda e i mezzi per portare a buon fine la strategia. In sostanza lo scopo è quello di cercare di stimolare la creatività e lo spirito di collaborazione dell’insieme del personale. Quello che avviene in realtà è che i lavoratori lungi dall’essere autonomi, sono sempre più sotto controllo. Malgrado la presunta libertà, sono costretti a lavorare in stato d’urgenza e sotto la pressione degli obiettivi fissati dall’azienda. Il tutto è agevolato dalle nuove tecnologie (Internet, cellulari ecc.) che consentono all’azienda di essere in contatto permanente con i suoi dipendenti: il confine tra la sfera privata e la sfera pubblica si fa sempre più sfumato, e i lavoratori si trovano ad essere valutati e giudicati in base alla loro capacità di essere sempre disponibili flessibili, competen- ti e impiegabili. Se un tempo autonomia e libertà erano invocati per limitare la dipendenza dei lavoratori dai loro superiori, oggi, imposte dall’alto, si ritorcono contro gli stessi lavoratori. Si tratti dei manuali di management o della letteratura dedicata a realizzazione personale, autostima ecc. l’attitudine mag- giormente valorizzata sembra essere la capacità di imporsi sugli altri. Tutto ciò grazie ad una ridicola forma di sicurezza che rasenta l’arroganza. La certezza di avere ragione è il messaggio principale delle varie bibbie manageriali, che moltiplicano le ricette per aiutare gli individui a rafforzare il loro ascendente sugli altri. Il principio che governa questa “entusiasmante” visione dell’essere umano non è certo nuovo. Basti pensare ai puritani e ai giansenisti del XVII secolo. […...] Nella società contemporanea, come filo diretto a questo pensiero, gli individui si trovano a una doppia ingiunzione; da un lato, sono esortati ad avere fiducia in se stessi, e non lasciarsi influenzare dagli altri; dall’altro si ritrovano in una società che non sopporta la fragilità, che costantemente li valuta sulla base del successo ottenuto, e che promuove il successo come unico valore. Questa sorta di accozzaglia intellettuale propone come modello umano un individuo ideale, sottratto a ogni forma di dipendenza: non ha più bisogno degli altri, non li cerca più. Per questo motivo, è necessario non dare mai la sensazione di essere dipendenti da qualcuno o da qualcosa; la dipendenza è il segno dell’incapacità di essere padroni di sé. Viceversa, mostrandosi padrone di se stesso, l’individuo crede che alla fine tutto sia possibile. I suoi sogni non riguardano più i sentimenti, l’amicizia, l’amore. L’individuo è convinto che tutte le relazioni interper- sonali siano relazioni fittizie, artificiali. I suoi sogni sono concentrati sul suo sé. È convinto che se gli altri non hanno una buona opinione di lui, significa che c’è qualcosa che non va nella sua testa; e perciò deve diventare un altro. […...] Ora, per imporre suggestioni, la gestione della comunicazione diventa un elemento essenziale. La regola del successo consiste nel comprendere che una comunicazione controllata è la condizione indispensabile per gestire le tensioni che ci circondano. Donde il crescente successo di quello che viene la “programmazione neurolinguistica” (PNL). Questa tecnica di comunicazione di controllo della comunicazione propone alle persone tutta una serie di consigli che consentono alle persone di cambiare atteggiamento e di creare nuove forme di “spontaneità” adatte alle differenti circostanze della vita. Originaria degli Stati Uniti, la PNL, viene presentata come una tecnica in grado di indurre i cambiamenti che consentirebbe di raggiungere la felicità. I suoi inventori, Richard Bandler e John Grinder sono convinti che tutti coloro che hanno successo nella vita condividano i medesimi atteggiamenti e la medesima gestualità. Da qui l’idea che per aver successo nella vita sia sufficiente riuscire a riprodurre queste attitudini. Per questo motivo la PNL, tende a riprogrammare il cervello, allo scopo di aggiungervi nuove potenzialità. Nonostante che la PNL non venga considerata parte della corrente accademica prevalente della psicologia, questo dispositivo per il segue pag3 Notiziario del Cobas Poste segue Settembre 2012 pag. 3 Suicidi e sofferenze al lavoro: un crimine del capitalismo successo sembra perfettamente collaudato ed è applicato in particolare nella formazione aziendale. La manipolazione esiste da sempre. […...] Il mondo moderno è caratterizzato dal capovolgimento dell’ordine dei valori. Il management celebra i sofismi: il discorso più nobile non è certamente quello che intende procedere lungo il cammino della conoscenza, ma quello che mira a modificare gli atteggiamenti delle persone o suggerire come imporsi agli altri. Il linguaggio viene manipolato, alla verità si preferisce l’efficienza (che genera un profitto ovviamente). […...] Il suicidio nel posto di lavoro e le sue motivazioni. Quando, il 20 ottobre 2006, un tecnico informatico si getta dal quinto piano finendo nell’hall del Centro Renault, a Guyancourt (Ile-de-France), la notizia sconvolge l’opinione pubblica: il suicidio avviene in pieno giorno, davanti a decine di testimoni. Questo non è stato l’unico caso di suicidio avvenuto in questa sede: nel 2007 ci sono stati altri 3 casi. I risultati dell’indagine del Comitato d’igiene sicurezza e condizioni di lavoro mostrano dei dati allarmanti. Il rapporto ha ricevuto il 60% di risposte e descrive un quadro drammatico: “Il tasso di popolazione a rischio, al Centro tecnico, supera il 30%, laddove la media nazionale si aggira intorno al 10%” hanno dichiarato il 24 gennaio all’Agence France-Presse Pierre Nicolas, del sindacato e Bernard Masson, del Comitato d’igiene che ha promosso l’indagine. Il 2007 ha raggiunto un triste primato per quanto riguarda i suicidi, soprattutto nel settore automobilistico. Il 16 luglio un dipendente del gruppo PSA Peugeot Citroen è trovato morto nella fabbrica in cui lavorava, a Mulhose. L’uomo si sarebbe impiccato nelle officine di montaggio del settore logistico, portando così a sei, dall’inizio dell’anno, il numero dei dipendenti del gruppo che hanno scelto di porre fine alla loro vita. Il suicidio sul posto di lavoro rimane uno dei tabù della società occidentale. È più facile affrontare temi quali la corruzione della classe dirigente o le derive mafiose di settori della politica, che parlare di suicidio di un lavoratore. I rari casi nei quali, in passato, fu possibile affrontare una questione così drammatica riguardavano alcune professioni particolari “esposte” o a “rischio”, come le guardie carcerarie, i poliziotti, gli addetti al pronto soccorso o i vigili del fuoco, anche se, ogni volta, lo si faceva con un certo disagio. Ma quando si tratta di suicidi in settori come quello automobilistico e quello delle telecomunicazioni, il disagio si trasforma in mutismo. A differenza di ogni altro argomento, anche il più insolito, che incita l’amministrazione pubblica a circondarsi di numeri e percentuali, per i suicidi sui posti di lavoro non esistono statistiche ufficiali. Un’indagine parziale in Francia, l’unica condotta nel 2003 dall’ispettorato medico della Bassa-Normandia, rileva che il fenomeno non è trascurabile: in Francia, i lavoratori che si uccidono sul posto dei lavoratori sarebbero fra i trecento e quattrocento l’anno. Ma perché qualcuno decide oggi di togliersi la vita in ambienti di lavoro che da osservatori esterni potrebbero sembrare tutt’altro che duri?. Per mettere fine ai propri giorni, la scelta del luogo è assai significativo, è come se l’ultimo messaggio di chi decide di farla finita fosse rivolto direttamente ai suoi datori di lavoro e ai compagni di lavoro. Spiega Christophe Dejours “Questi suicidi sono legati al venire meno nel mondo del lavoro della solidarietà e dell’aiuto reciproco”. […...] Da questo punto di vista sono significativi i messaggi lasciati da chi si è tolto la vita, le testimonianze dei loro parenti. Come quella dell’elettricista napoletano che si impicca dopo che aveva finalmente ottenuto un posto fisso, ma senza il riconoscimento dei 25 anni passati da precario. Nella lettera a sua moglie affermava che si sentiva umiliato, mentre lei andava a lavorare. Ciò che ha spinto molti dei proletari che si sono tolti vita non è stato solo la preoccupazione di non poter sfamare la propria famiglia, ma anche il sentimento di perdere la propria dignità, la propria rispettabilità di uomo nel momento in cui, non essendoti data la possibilità di lavorare, sei ritenuto inutile, un peso morto della società. Questi sentimenti ti annientano, soprattutto se si è disoccupato o in cassa integrazione e quindi isolato materialmente dai tuoi compagni di lavoro. Il riconoscimento da parte degli altri è una delle condizioni essenziali [......] La solidarietà è una base essenziale del vivere sociale tra le per[…...] sone umane. L’internazionalismo Quali prospettive? è l’aspetto della solidarietà che Partendo da un punto di assume la forma più completa: la vista di chi lotta per abbattere il sistema capitalista si possono fare alcune brevi considerazioni in merito a quest’argomento. [......] solidarietà non si manifesta più solo verso i membri della famiglia, della tribù o della nazione, ma verso tutto il proletariato, tutti gli oppressi. […...] La perdita di solidarietà tra i lavoratori è stata determinata da diversi fattori: […...] - gli effetti deleteri della decomposizione del capitalismo che generano in particolare il “ciascuno per sé”, l’atomizzazione, l’arrangiarsi da soli, la distruzione delle relazioni sociali che sono alla base di ogni vita nella società. Questi fattori spiegano in gran parte il fatto che il capitalismo abbia potuto introdurre da una ventina di anni dei nuovi metodi di servitù senza causare risposte da parte della classe operaia, lotte di resistenza di fronte a questo aggravarsi considerevole delle sue condizioni di lavoro. […...] Quando il proletariato riprenderà il cammino delle lotte di massa, quando la solidarietà di classe ritornerà nei suoi ranghi, allora, non ci saranno più suicidi per il lavoro. Di M.Sacchi - Cobas Regione Lombardia Esempi di ordinaria follia «Credere, obbedire, combattere». E’ orgogliosa Angela Zappacosta, 54 anni di Chieti, di citare e ricitare Benito Mussolini davanti a cento direttori delle Poste. L’ultima volta lo ha fatto 48 ore fa, nella grande sala riunioni di Castelnuovo. Si parlava di budget da far quadrare, quindi di spese e di risparmi, e lei, la direttrice di origini teatine, sorella dell’ex senatore di An, Lucio ZapLa notizia dell’omicidio nell’ufficio postale napoletano è una di quelle che sciocca. Due lavorapacosta, passato a Forza Nuova, ha ancora una volta istruito tori, due facce della stessa medaglia, vittime e carnefici di un sistema, di una “regola” che im- i suoi sottoposti terminando il discorso con il motto del duce. Stress da lavoro correlato in Poste pone ritmi, profitti, obiettivi molto spesso irraggiungibili. Un ambiente (quello di lavoro) spesso pesante, deleterio, inumano. Giorno dopo giorno, l’ambiente di lavoro delinea i suo tragici profili, da un lato gli sfruttati, dell’altro gli sfruttatori. I ritmi, le imposizioni, le difficoltà giornaliere (macchinari obsoleti, postazioni non ergonomiche, insalubrità microclimatiche, personale insufficiente, pressioni commerciali, insulti da parti di clienti costretti a subire un servizio sempre più scadente) alimentano lo stress. Se n’é accorto anche Venerdì di Repubblica che, proprio ieri, le ha dedicato l’intera pagina 26, raccontando del nuovo corso delle Poste e di direttori che amano citare frasi del Ventennio. Ma il caso più eclatante, dice il settimanale, è la bionda e determinata capo degli uffici teramani che, raccontano i suoi direttori, non perde mai l’occasione di arringarli con frasi dal sapore per lei nostalgico, come un «viva l’Italia» con cui ha terminato un convegno l’estate scorsa, oppure «credere, obbedire combattere», che ha strappato applausi già ad ottobre e La normativa sulla sicurezza imporrebbe al datore di lavoro misure di prevenzione e di tutela ripetuto due sere fa. «Mi attribuiscono frasi di questo tipo?», avrebbe atte a prevenire conseguenze così tragiche e deleterie. commentato prima di pronunciarla l’ultima volta, «non è vero, ma se volete ve la dico», e vai con gli applausi.(l.c.) Le disposizioni di legge che riguardano il rischio da Stress da Lavoro Correlato sono contem- 09 gennaio 2010 da ilcentro.gelocal.it plate dall’art. 28 D.Lgs 81/08 s. m. i. in tema di valutazione dello stress in ambito lavorativo. Le situazioni di disagio lavorativo sono in costante aumento. Ricerche recenti nei paesi della Comunità Europea mettono in evidenza come lo stress legato alla attività lavorativa sia un problema di salute largamente diffuso fino ad occupare il secondo posto fra quelli più indicati dai lavoratori. Secondo queste ricerche, la condizione di stress interessa circa il 22% dei lavoratori in Europa. In Italia, secondo la “European Foundation for the Improvement of Living and Working Condition”, il valore si attesta al 27%, poco al di sopra della media europea (dati 2005 su ventisette paesi della Comunità Europea) . E’ altamente probabile che il fenomeno aumenti in futuro, a causa di alcuni cambiamenti in corso nel mondo del lavoro. Studi in questo senso della “European Agency for Safety and Health at Work” hanno individuato cinque aree di variabili che rendono emergenti i rischi psicosociali: 1- utilizzo di nuove forme di contratti di lavoro (contratti precari) e l’incertezza e l’insicurezza del lavoro stesso (scarsità di lavoro); 2- forza lavoro sempre più anziana per mancanza di adeguato turn-over; 3- alti carichi di lavoro, con conseguenti pressioni sui lavoratori da parte del management; 4- tensione emotiva elevata, per violenze e molestie sul lavoro; 5- interferenze e squilibrio fra lavoro e vita privata. Sarebbe necessario quindi che per valutare e fronteggiare i fattori lavorativi di stress, le aziende attuassero un’organizzazione del lavoro secondo un impianto più “umano”, ma sappiamo che ciò non è possibile nell’ambito dell’attuale sistema capitalistico. Maglia nera per chi vende meno Orologi e coppe per i promoter finanziari che hanno venduto di più. Magliette nere e barattoli di caramelle, contrassegnate da ironiche gocce di sudore per gli impiegati che non hanno raggiunto i risultati attesi nel “piazzare” l’universo merceologico (libri, cd e dvd, schede sim, investimenti e persino francobolli) impiantato negli uffici postali. Così il direttore della filiale Roma est, che raccoglie 76 uffici delle Poste di Roma e dei Castelli Romani, organizza tornei di vendite sulla falsariga dei mondiali di calcio: i lavoratori, però, insorgono e parlano apertamente di vessazioni dopo ciò che è accaduto a un’impiegata dell’area Specialisti sala consulenze retail di un ufficio postale dei Castelli Romani. In una convention, un’impiegata quarantenne, con 20 anni di anzianità aziendale, è stata spinta a indossare davanti a una cinquantina di colleghi una maglietta su cui erano disegnate grondanti gocce di sudore perché il suo ufficio è risultato ultimo nella classifica delle vendite di una polizza infortuni. I responsabili delle Poste hanno inoltre consegnato all’impiegata un barattolo di caramelle con la scritta “Gocce di sudore” per stigmatizzare lo scarso impegno. I direttori dei 76 uffici postali hanno gradito molto la scena e si sono fatti prendere dall’entusiasmo scattando decine di foto. La donna, invece, non ha proprio gradito: «Sono rimasta imbambolata - dice con un filo di voce -. Ho indossato la maglietta meccanicamente. Non capivo più niente. Intorno a me i flash delle macchinette fotografiche e tanti sorrisi ironici». 24 settembre 20120 - da ilmessaggero.it pag. 4 Notiziario del Cobas Poste Settembre 2012 C’è un vaso di Pandora in Poste Italiane SpA e sta per essere scoperchiato? Nell’immagine a lato, che riproduce l’articolo apparso sul Sole 24 ore del 18 agosto scorso (immagine ripresa dal sito http:// www.rischiocalcolato.it), si parla dell’indagine aperta a carico del Presidente di Poste Italiane SpA e dell’ex (fino a novembre lo era) AD di Postel Claudio Sforza. L’ipotesi di reato è relativa all’emissione di fatture false per 30 mioni di €uro. Va da sè che l’ammontare della cifra è relativa alla documentazione scoperta incidentalmente dalla Digos nel controllo stradale. Non è il primo episodio in cui Poste viene citata (qui in modo non certamente secondario o accidentale) con riferimento ad azioni non propriamente legali. Un altro episodio di rilievo è quello relativo alle indagini a carico di Luigi Bisignani, nelle quali compare ancora una volta Postel . Vedi dal sito de ilmessaggero.it del 19 giugno 2011: “Inchiesta P4, trattativa da cento milioni per vendere un palazzo al governo. Il ruolo di Bisignani per le commesse Eni, Poste, Ferrovie, Enel e Rai. All’esame dei pm romani gli appalti gestiti dall’affarista.”. Sabato 03 Dicembre 2011 NAPOLI - Agenti della Polizia postale e delle Comunicazioni di Campania, Molise e Calabria e della Polizia municipale di Napoli hanno dato esecuzione a nove ordinanze di custodia cautelare nei confronti di dipendenti di Poste Italiane, per il reato di concussione in concorso. I provvedimenti sono stati emessi a seguito di un'articolata attività di indagini diretta dalla sezione Reati contro la Pubblica amministrazione della Procura della Repubblica di Napoli. Le indagini, spiega il procuratore della Repubblica, Giovandomenico Lepore, «sono scaturite da più segnalazioni di cittadini extracomunitari che lamentavano, dopo essersi presentati a un ufficio postale napoletano per effettuare la trasmissione della documentazione relativa alle pratiche per il rilascio del permesso di soggiorno, di essere stati costretti al contestuale acquisto di sim card dell'operatore di telefonia Poste Mobile quale condizione insuperabile per poter usufruire del servizio postale richiesto». Dagli accertamenti disposti dalla Procura, spiega ancora Lepore, «è emerso che più dipendenti addetti agli sportelli avevano effettivamente condizionato l'accettazione della pratica all'acquisto del prodotto Poste Mobile». Le indagini «si sono sviluppate proficuamente anche grazie alla collaborazione fornita dalle strutture di sicurezza di Poste Italiane spa al fine di pervenire alla compiuta identificazione degli autori degli illeciti». 06 febbraio 2009 Ventisei persone accusate di tentata truffa e falso ideologico ai danni di Poste italiane e Cassa deposito e prestiti. Si tratta di responsabili e impiegati di uffici postali della provincia ai quali si contesta di aver falsamente venduto buoni postali fruttiferi a parenti e amici per ottenere incentivi dalle Poste. I ventisei imputati si sono opposti al decreto penale di condanna e ieri si è iniziato il processo penale davanti al giudice monocratico Monica Biasutti. Poste italiane spa si è costituita parte civile con l’avvocato Angelo Nanni del foro di Roma. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Alberto Fenos (ne assiste 21), Fabio Pes, Luca Colombaro e Alessandro Tauro. I fatti contestati, emersi in seguito a un’inchiesta del nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Pordenone, risalgono al periodo compreso tra settembre e dicembre 2003 nelle filiali di Pordenone, Arba, Sacile, Aviano, Casarsa, Maniago e Porcia. La Cassa depositi e prestiti, che si avvaleva di Poste italiane per la raccolta attraverso libretti di risparmio postali e buoni postali fruttiferi, aveva riconosciuto alle Poste una commissione del 2,63% sull’importo lordo dei buoni postali fruttiferi venduti. A loro volta, le Poste avevano promesso incentivi economici ai direttori e ai dipendenti di filiale e degli uffici periferici che avessero raggiunto gli obiettivi aziendali. E uno di questi era, appunto, la collocazione dei buoni postali fruttiferi. Secondo l’ipotesi accusatoria, i 26 imputati avrebbero fatto figurare la vendita dei buoni fruttiferi – per un valore complessivo di quasi 4 milioni di euro – a clienti della banca (che in realtà erano soprattutto familiari e conoscenti) senza però incassare il relativo importo e procedendo soltanto pochi giorni dopo (se non il giorno successivo) al disinvestimento. In questo modo la Cassa depositi e prestiti avrebbe comunque pagato la percentuale alle Poste a prescindere da quanto stessero fermi i depositi e le Poste, grazie alla documentazione prodotta dai dipendenti, avrebbero girato loro i premi. Secondo la difesa non si tratta di raggiro: «Il compito dei dipendenti era di raccogliere somme al lordo e non dedotti i rimborsi. Il problema è che il contratto tra Poste e Cassa doveva prevedere un periodo minimo di investimento». di Laura Pigani (Tralasciamo di citare i nominativi) Dato che siamo garantisti, fino alla conclusione delle indagini e di ogni grado eventuale di giudizio, per quanto ci riguarda, sono tutti innocenti, compresi quindi il Presidente di Poste Italiane SpA, l’ex postino, nonchè ex sindacalista CISL, Ialongo. Però nessuno può impedire a nessun altro di farsi una sua idea su questi episodi che non riguardano esattamente la fabbrichetta del vicentino, ma un’azienda a capitale pubblico che fa utili di bilancio da anni dell’ordine di centinaia di milioni di €uro. E le considerazioni che ne derivano non sono certo favorevoli, del resto, citando il sommo Andreotti:” A pensare male si fa peccato, ma molto spesso ci si azzecca”. Vedremo. Altre considerazioni invece su altri episodi che vedono coinvolti questa volta dei dipendenti di Poste. Questi, presi dalla frenesia commerciale, hanno fatto ricorso al genio italico (che tra i postali impera da questo punto di vista), e si sono inventati chi una “truffa sui buoni postali, in 26 a giudizio. Coinvolti capi-filiali e dipendenti di Pordenone, Arba, Sacile, Aviano, Casarsa, Maniago e Porcia. Le Poste parte civile. (Dal Messaggero Veneto del febbraio 2009). Chi “costringeva immigrati a comprare sim card: arrestati 9 dipendenti Poste “ (da il mattino.it del dicembre 201). Un bel quadretto quindi, all’insegna del laissez faire, secondo i canoni neoliberisti.