Biblos Anno X, nn. 23-24 2003
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Biblos Anno X, nn. 23-24 2003
Servizio di informazione culturale e bibliografico della biblioteca comunale "G. Schirò" di Piana degli Albanesi (PA) IN QUESTO NUMERO EDITORIALE 5 La cultura per lo sviluppo (P. Gazzetta) 7 DIBATTITO Natura e misteri del cambiamento (P. Manali) ^^_ LETTERATURA 9 Divina Commedia, Inferno, IH (G. Gerbino) 12 Tulipani i math (G. Gerbino) Biblos Biblos: servizio di infor-mazione culturale/a cura della Biblioteca comunale "G. Schifò". - N. 1 [ (nov. 1993)-N. 16 (nov. 2000)]; 2001 n. s., N. 23/24 [ (marzo) 2003]-. [Piana degli AlbanesÌ]:[Comune di Piana degli Albanesi], ti993]-- Periodicità irregolare 1. Albanesi d'Italia - Cultura Periodici I. Biblioteca comunale "G. Schirò", Piana degli Albanesi Scheda {atalngrafìca a cura dt S. Fusco 24 28 45 STORIA Ancora su Portella (G. Casarrubea) L'emigrazione albanese in Italia nel tardo Medioevo (S. Dedja) Mons. Paolo Scbirò (Z. Schifò) 2003 © Comune di Piana degli Albanesi Bashkia e Hores se Arberesb'évet DOCUMENTI 5 1 II fondo Gangale (M. Mandala) 58 Un documento dell'Archivio della cattedrale di S, Demetrio (GD Schifò) In copertina: CJapelja e Drangoit 61 LINGUISTICA Diaspora nella diaspora (A. Cusenza) 64 71 73 TRADIZIONI L'abito tradizionale di Piana (L. Stassi) (^apelja e Drangoit (G. Schifò di Modica) Kalivari (G. D. Schifò) 76 DIRITTO // disegno di legge n.499 ATTUALITÀ 86 90 93 95 98 Progetto Brinjat 2 Progetto Alba Alcune novità Festa eflamurit Ritorno in Albania Brinjat RECENSIONI 101 Importante opera della nostra tradizione letteraria (A.N. Berisha) 106 Piana degli Albanesi: una comunità in cambiamento (S. Pillitteri) 108 Le risorse del territorio (P. Manali) Si ringrazia per la collaborazione: Sara Cusenza BIBLIOTECA COMUNALE "G. SCHIRÒ" PIANA DEGLI ALBANESI (PA) Direttore: Pietro Manali Recapito: Cortile Municipio 2 CAP: Tei. e fax: E-mail: Sito Web Sistemi di ca calefazione: Software: 90037 09Ì 8561006-07 ko-rabib@tin. il www. comunepianalhanesi Autori, Soggetti, CDD CDS/ÌSIS/BIBLO Unità bibliografiche 19029 MFN: 15345 BIBLOS Servizio di informazione culturale e bibliografica dtlla biblioteca comunale "G. Schirò" di Piana degli Albanesi (PA) Anno X, nn. 23-24 (2003) Ad Anna Maria Matranga Solo la poesia, la grande poesia può esprimere l'intensità di un dolore e ratrocità di un destino ingiusto. A chi questo talento non possiede restano solo parole inadeguate EDITORIALE PIETRO GUZZETTAI La cultura per lo sviluppo Le vere risorse di Piana degli Albanesi ruotano attorno alla sua identità culturale e alle sue peculiarità ambientali. Lingua arbé'reshe e rito binanti nò-greco concorrono principalmente a determinare quest'unicum irripetibile che il destino ha voluto collocare in uno spazio geografico, anch'esso speciale, ormai da oltre cinque secoli. Da questa considerazione preliminare deve muovere una politica culturale e di sviluppo per questa comunità. In verità, affermando ciò, non si pretende di avere compiuto una scoperta assolutamente originale in quanto con queste tematiche si sono misurate intere generazioni di amministratori, intellettuali e operatori mettendo in atto quanto hanno potuto o saputo realizzare: congressi, pubblicazioni, museo, biblioteca, strumenti didattici, guide, attività e strumenti di promozione culturale di varia natura, misure di sostegno all'associazionismo (teatrale, musicale, folcloristico), etc.. È stata messa in atto, finora, una politica culturale a "mosaico", costituita cioè da diversi tasselli che messi assieme hanno inteso ricomporre e valorizzare l'identità culturale di Piana in un avanzamento a tappe attraverso un percorso ancora non concluso. I prossimi anni della presente consigliatura dovranno vedere il raggiungimento di altri traguardi in una visione politica d'assieme che costituisca il punto di partenza per tradurre finalmente le risorse culturali in fattori di sviluppo economico completando quanto ancora rimane da fare e soprattutto cercando di operare, in una logica "sistemica", un vero e proprio salto di qualità. A tal fine il metodo di lavoro da adottare, per qualificare e ottimizzare Ì risultati, deve essere quello di rafforzare ulteriormente i rapporti di collaborazione con altri Enti e Istituzioni (Scuole, Università, Eparchia di Piana degli Albanesi, Comuni arbereshe, Provincia regionale di Palermo, Regione siciliana, Comunità europea, Istituzioni scientifiche varie, associazionismo Assessore comunale alle Attività culturali, Istruzione e Tempo libero. 5 diffuso) rivolgendo nel contempo uno sforzo particolare e ulteriore ad una politica di cooperazione con le comunità albanesi d'Italia per realizzare un circuito (il progetto "Brinjat" e il progetto "Alba" costituiscono un modello operativo) che possa sviluppare potenzialità oltre che culturali anche di reciproco sviluppo economico e sociale nel contesto più ampio dell'utilizzo anche di altri strumenti di sviluppo e di cooperazione di carattere sovraterritoriale. Concretamente, l'attuazione di una simile politica passa per: - il potenziamento delle istituzioni culturali a disposizione (biblioteca, museo civico, archivio storico); - la realizzazione di attività culturali (convegni, seminari, incontri culturali, mostre etc.) di rilevo sovracomunale; - la produzione di una intensa attività editoriale finalizzata ad approfondire vieppiù la storia e la cultura locali; - il pieno utilizzo delle opportunità offerte dalla L. 482/99, la legge di tutela delle minoranze linguistiche storiche, e dalla L. R. 26/98, la legge regionale di tutela; - la messa in campo di strumenti massmediologici (radio, televisione locale, reti informatiche); - il coordinamento efficace fra le politiche di promozione turistico-culturale e quelle di promozione delle attività produttive. Le iniziative, sommariamente richiamate, hanno bisogno, oltre che delle risorse necessarie, anche di luoghi fisici dove svolgersi e in questo senso dovrà essere prodotto ogni sforzo possibile per entrare nella disponibilità piena di alcuni "contenitori" che al bisogno rispondano: il palazzo Manzone, l'ex Cinema Vicari, l'ex macello comunale ((^ìrituri), l'ex Convitto Saluto in Palermo. Alla base di questo progetto dovrà essere posto, accanto agli investimenti di natura economica e sociale, un investimento di carattere strategico come è quello finalizzato alla formazione delle giovani generazioni senza di che è inutile pensare ad una qualunque polìtica culturale o ad una qualsiasi politica di sviluppo. L'atteggiamento che occorre assumere è quello improntato all'ottimismo della volontà e dell'umiltà nonché alla capacità di dialogo e allo spirito di collaborazione e di apertura. Solo così sarà possibile riuscire a mobilitare le energie migliori della comunità che pur ci sono e in abbondanza. La iattanza e la presunzione, come tutti sanno, oltre ad avere un forte odore dì provincia, producono inevitabilmente prima isolamento e poi fallimento. DIBATTITO PIETRO MANALI1 Natura e misteri del "cambiamento" Ad alcuni lemmi tocca, ciclicamente, il compito di assumere valenze che tracimano dalla pura sfera della comunicazione verso domini più ampi. Cambiamento è uno di questi. Così è sembrato di una qualche utilità occuparsi di alcune sue accezioni. In ambito politico, per esempio, il termine viene assunto spesso come alternativa. Ognuno comprende che, ove tale evenienza si realizzi con gli strumenti istituzionali del consenso e della democrazia, nulla quaestio, anzi, banalmente, non vi sarebbe che da sottolinearne il carattere fisiologicamente democratico. In qualche caso alla parola viene attribuito un valore taumaturgico, palingenetico e quindi ideologico. Bisogna cambiare e rivoltare tutto. Oltre che una jattura è una sciocchezza. Storicamente, in Europa e nel mondo, qualcosa del genere è già avvenuta. Tutti ricordano i drammi e le tragedie che nel secolo "breve", per dirla con Hobsbawn, ne sono derivate. Gli estremismi ed i radicalismi, vanamente colorati, nelle più consolidate democrazie riescono ad essere metabolizzati e controllati negli effetti più devastanti. In questo senso fanno meno danni ma non cambiano assolutamente nulla, producono anzi immobilismo e stagnazione. Per dirla con W. I. Lenin, autore ormai non più politicamente corretto, è puro infantilismo. Altre volte cambiamento è inteso come sinonimo di riformismo cioè mutamento per aggiustamenti graduali, basato sul metodo empirico della conoscenza e della sperimentazione. Così definita la locuzione non è completa ossia non è ancora "una politica", piuttosto un metodo. Perché lo diventi, ha bisogno di un forte quadro di riferimento aggiuntivo, come si dice oggi, "valoriale". Occorre, in altri termini, aggettivare il vocabolo (riformismo cattolico, riformismo laico, riformismo liberale, Direttore di Biblos e della biblioteca comunale "G. Schirò" di Piana degli Albanesi. 7 riformismo socialista ecc...) per cavarne identità, natura del pensiero e quindi finalità, obbiettivi e soluzioni. Il contesto istituzionale e l'opinione pubblica sono i luoghi dove il confronto si svolge e lo scontro fisiologicamente si compensa. Non è ancora noto un metodo meno imperfetto di gestione politica delle moderne e complesse società democratiche. ***** In una comunità piuttosto piccola, come Piana degli Albanesi, la salvaguardia e lo sviluppo del patrimonio culturale possono costituire un ulteriore terreno privilegiato in cui un certo grado di condivisione non è soltanto possibile ma anche desiderabile. Ciò non significa affatto che i modi di affrontare questa problematica debbano essere indistinti e omologati. Significa semplicemente che se tutti concordano sul fatto che l'identità, in senso ampio, di questa comunità sia un bene e possa diventare una risorsa, quanto a questo risultato può condurre deve essere trasversalmente condiviso e sostenuto. In un passato, non molto lontano, un simile fenomeno, in vicende ed iniziative importanti, è stato possibile e fruttuoso. Oggi, comunque la si pensi o la si giri, non hanno più motivo di esistere, su questo tema, conflitti aprioristici fra diverse espressioni culturali, politiche o religiose. Sussistono tutte le condizioni, come molte altre volte su Biblos è stato ribadito, per ragionare in termini di "comunità". Sopravvivono, ed è un bene, molti altri motivi di confronto e di divisione, anche duri, su cui comunque non è d'uopo in questo "luogo" indagare. Se ciò non avverrà, con conseguenze facilmente immaginabili, non sarà colpa del "fato" ma di gruppi dirigenti (politici, intellettuali, religiosi ecc...) inadeguati che sulla contrapposizione cercano, nel migliore dei casi, visibilità e profìtti politici o culturali, nel peggiore o in qualche caso, "affari". Sarebbe auspicabile ed opportuno che nella comunità, almeno nelle sue articolazioni più consapevoli, si aprisse un dibattito serio sulle cui forme, ove l'idea riscontrasse interesse, questo spazio si rende fin d'ora pienamente e totalmente disponibile. LETTERATURA CÌAF.TANO GKHHINO: Komtdia Hyjnore. Kèngae trt'té GAETANO GERBINO Divina Commedia. Canto terzo Hyhet ketej ne vendei me te glembur hyhi't ketej tt kit ngiì sos hjidhia hyhet ketej ka vuan tu/a e dhembur. Kryetarin tim e tundi drejtesia: piishteti i perendise bijti mita. e larla dìtur: dhe dasburui, Knrre perpar.t meje u krìjua gj'é e perjetìhne, e u perjete jet gilado shprest, ju fi hyni, u shua. Kéta vjershe c,é mblején si re zes mbi k u t m i n te njèi derje pashé shkruar; Dhe u: "Kéndes, k u p r i m i n ngc ia qes". 12 E mua ai i urte njize LI pruar: "Duhet ké'tu te léhet cdo drueti; dhe c.do ndyshìm kctu ka r'jet léshuar. 15 3 6 9 Na jerdhem ku te thashé e te ku ti ka shohésh ^jinden e dhembur c,é zbori te miré't te ku mendja gjen dhrosi. Dhe pas (,'e Joren timc ai me mori me be' te hyja tek ata perzime, aqe i lum se frike e dre me nxori. Ketu shèrtimc, re klara e v a j t i m e n' ajrin pa yje rende aqe gjekojè'n, se ne fillim shkaptuan lotet cime. Te fole e gluhe te keqa me drerojen, /.ere te hjidhur, fjalé t'idhenuam, rekime e gtahme e tinguj duarsh kumbojén tek ai qiell gjithmonè i mjegulluam ashru si rè'ra ben kur lart e h j e d h u r ka monostrofi ^' ushtin i terbuam. lì u ka frika gjithe isha i perdredhur IH 21 24 27 30 "(^e gjegjem, mjeshtri jim?" thashe atè'herè Per ce kjo luzme e shemur isht ngalledhur?" Dhe m'u pé'rgjegj ai: "Aqe té mjere ndodhen ata ^è kur klené" né jeté rruan njé gjellé pa turp e pa ndere. Jane pérzier rne tufen e shkreté t'éngjéjvet qé té Xotit s'klene armiq as besimtare, pò klene per vece. Qielli i perze si g)é (,'e pò félliq, 33 36 39 Per me si va nella città dolente, per me si va nell'etterno dolore. (>tr me s> ra tra la perduta gente. Giustizia mosse il mio alto fattore: fecemì la divina fwteslale, la somma sapienza e 7 primo amore. Dinanzi a mt> non fuor cose create se non etterne, e io etterno duro. Inveiate ogni speranza, voi ch'entrate. Queste parole di colore oscuro vid'io scritte al sommo d'una porta; perch'io: "Maestro, il senso lor m'è duro". Ed elli a me come persona accorta: "Qui si convien lasciare ogni sospetto; ogni viltà convien che qui sia morta. Noi siam venuti al loco ov'ìo t'ho detto che tu vedrai le genti dolorose c'hanno perduto il ben dell'intelletto". E poi che la sua mano alla mia pose con lieto volto, ond'io mi confortai, mi mise dentro alle segrete cose. Quivi sospiri, pianti e alti guai risonavan per l'aere sanza stelle, per ch'io al cominciar ne lagrimai. Diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore, accenti d'ira, voci alte e fioche, e suon di man con elle facevano un tumulto, il qual s'aggira sempre in quell'aura san/.a tempo tinta, come la rena quando turbo spira. E io ch'avea d'orror la testa cinta, dissi: "Maestro, che è quel ch'io odo? e che gent'è che par nel duo! si vinta?" Ed elli a me: "Questo misero modo tengon l'anime ttiste di coloro che visser sanza infamia e sanza lodo. Mischiate sono a quel cattivo coro dell! angeli che non furon ribelli né tur fedeli a Dio, ma per sé foro. Cacciani! i cieli per non esser men belli, as ì do pisa e humbét te shkretira, se s'kish t'ì kishén hìr ara te liq". Dhe u: "Poet, pérgè kèto mizira dhe c/i ben te vajtojèn aqè rèndè?" Fra u pérgjegj: "Te thom pa té véshtira. Atyre sprènxa e mortjes ng'i jep èndè, e gjella e tyre e ulèt isht aqè se gdo fat tjetér dejèn pò ne mènd. Per ata embèt jeta t'jet ngè le e urrejen mèshira dh'e drejta: vèrre' e shko, e mos i flasjèm me". Dhe u njè flamur pashè, kur verrejta, gè pa pushuar dukej se kèrcej e tundej me lèvizje fort té shpejta; dhe prapa asaj njè rradhè e glatè i vej me gjinde sa ngè kisha u ndèlgim se mortja mènd kish prurè kaq kétej. Si te ndonjerit pata pra kujtim, pashè dhe njoha shpirtin e atij gè bè per frike te madhin mohim. Dhe ngè mènoi sa mènd té me vij se te te liqvet ish godha e rrazbisur ka Perèndia e ka armiqtè e tij. Kèta, gè gjallè klenè si spovisur, ishèn té xheshur e mizat i zèjèn e ka grerat gjithmone té qèndrisur. Me rréke gjaku plot fixhèn i léjèn gè te kèmbèt me loté ish i pètzyer dhe krimbat njè péshttim sipér i bè'jèn. E kur me syun kìsha kaperzyer, gjinde pashè u ku lumi ì glatè shkon; "Mjeshtér — u prora prane per té pyer lemè té di kush janè, e gè zakonè i ben té ken té shkojèn aqè mali, me sa kjo dritè e dobè't me lejon". Dhe mua ai: "Shèrbiset ka t'i shpall kur do qèndrojèm na hapet atje ku t'Akerontit isht i shkreti zall". Ashtu per turp me syté ulur né dhe, me dre se gjé té shrrémbér thoshja u, atéherè te flisja s'pata ngè. Dhe shi' se me njè lundèr vjen kètu tuke uluritur neve fort njè burrè plak, me kripté té bardhe: "Vaj mbi ju! Té keq, ju dritén s'do t'e shihni kurré: t'ju qell te tjetrì zall kemi kuvend ku isht tètim e vapè e qiell i murre. E ti, g'i gjallè, ndodhe te ky vend, 42 45 48 51 54 57 60 63 66 72 75 78 81 84 87 10 né lo profondo inferno li riceve, ch'alcuna gloria i rei avrebber d'elli". E io: "Maestro, che è tanto greve a lor, che lamentar li fa sì forte?" Rispuose: "Dicerolti molto breve. Questi non hanno speranza di morte, e la loro cieca vita è tanto bassa, che 'nvidiosi son d'ogni altra sorte. Fama di lor il mondo esser non lassa; misericordia e giustizia li sdegna: non ragioniam di lor, ma guarda e passa' E io, che riguardai, vidi una insegna che girando correva tanto ratta che d'ogni posa mi parca indegna; e dietro le venia sì lunga tratta di gente, ch'io non averci creduto che morte tanta n'avesse disfatta. Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto, vidi e conobbi l'ombra di colui che fece per viltà il gran rifiuto. Incontanente intesi e certo fui che questa era la setta de' cattivi, a Dio spiacenti ed a' nemici sui. Questi sciaurati, che mai non fur vivi erano ignudi e stimolati molto da mosconi e da vespe ch'eran ivi. Elle rigavan lor dì sangue il volto, che, mischiato di lagrime, ai lor piedi da fastidiosi vermi era ricolto. E poi ch'a riguardare oltre mi diedi, vidi genti alla riva d'un gran fiume; per ch'io dissi: "Maestro, or mi concedi ch'i' sappia quali sono, e qual costume le fa di trapassar parer si pronte, com'io discerno per lo fioco lume". Ed elli a me: "Le cose ti fìer conte quando noi fermerem li nostri passi sulla trista riviera d'Acheronte". Allor con li occhi vergognosi e bassi, temendo no 'I mio dir li fosse grave, infìno al fiume del parlar mi trassi. Ed ecco verso noi venir per nave un vecchio, bianco per antico pelo, gridando: "Guai a voi, anime prave! Non isperate mai veder Io ciclo: i' vegno per menarvi all'altra riva nelle tenebre etterne, in caldo e 'n gelo. E tu che se' costi', anima viva, reshtu ka 't.i c.é frymè me ngè kanè". Kur pa se u te veja s'kisha menci me tha: "Ka tjerè dhrome, ka tjerè ane ka vish né breg, kétu ngé ka kalosh; me njè dru me te le ka shkosli rubatane". Poeti i tha: "Karonti, mos gulshosh: duhet késhtu atje ku e fuqi c,e isht thelimé, e me te mos kèrkosh". Fra lundértarit te pellgut te zi c_e rreth syvet kish flaké si kéroré rénga iu tret mbi te leshtat volli. Po ata shpirtra, xheshur e pa forè, sì te zé'rit té egér gjegjén ndiné, u drodhén e u zbardhén pò si zbore: mallkojén Perèndiné dhe gjirinè, njeriun, e ku, e kur leu ajo fare c,é té farés sé tyre dha fìtiné. Frane u rrézuan bashké e, tuke klaré, te zalli i keq té gjithè vane xarré ku rrine ata gè s'klené besimtatè. Karonti djalli, syté i ka si zjarr e, me njè sheng, te ana e tij i shpie; rrah me lopaté ata ka lodhja marre. Sikur te vjeshti fleta e zverdhur bite siper trollit shtronet shpagri i vdekur té gjethit c,e ka pema dega shtie, ashtu edhe c'Adhamit farà e mekur te zalli njera ptapa tjetrés hjidhet, si niset zoga thitrjen per té ndjekur. Ajo késhtu te vaia e zeshkè kridhet, e kur ankora atej nge kané zbritur edhe kè'tej njè godhé e re pèrmbjidhet. "Biri jim" tha kéndesi jim i ndritur, "kush vdes pa pasur hir ka Peréndia ka gjithe anèt ky vend i ka kéllitur: lumin té shkonjè e merr anangasia, dhe ndé'rron trémbésinè né déshiré, pse isht ngaré me shpur ka drejtèsia. Nge shkon kurré kétu njè shpirt i mire; pò ne per tij Karonti pò gèrhiséj, C.é vje' me rare ti nani di mire". Jashtira e vrèrét, kur sosi te fliséj, u drodh shumé e me drenè c.è me shkundi ende dérsinj pse di sa me skotisèj. Fort botén e pèrlotur era tundi, e Ilamparisi njè shkreptimé e kuqe c.e pushtetin e ndjenjavet me mundi. 90 93 96 99 102 105 108 1 11 114 117 120 123 126 129 132 135 11 partiti da cocesti che son morti". Ma poi che vide ch'io non mi partiva, disse: "Per altra via, per altri porti vetrai a piaggia, non qui, pet passare; pili lieve legno convien che ti porti". E '1 duca a lui: "Karon, non ti crucciare: vuoisi cosi colà dove si puote ciò che sì vuole, e più non dimandare". Quinci fuor quete le lanose gote al nocchier della livida palude, che 'ntorno alii occhi avea di fiamme rote. Ma quell'anime, ch'eran lasse e nude, cangiar colore e dibattano i denti, ratto che 'nteser le parole crude: bestemmiavano Dio e lor parenti, l'umana spe/ie e '1 luogo e '1 tempo e '1 seme dì lor semenza e di lor nascimenti. Poi si ritrassen tutte quante inseme, forte piangendo, alla riva malvagia ch'attende ciascun uom che Dio non teme. Caron dimenio, con occhi di bragia, loro accennando, tutti li raccoglie; batte col remo qualunque s'adagia. Come d'autunno si levan le foglie l'una appresso dell'altra, fin che '1 ramo vede alla terra tutte le sue spoglie, similmente il mal seme d'Adamo gittansi di quel lito ad una ad una, per cenni come augel per suo richiamo. Cosi sen vanno su per l'onda bruna, e avanti che sien di là discese, anche di qua nuova schiera s'auna. "Figliuol mìo" disse '1 maestro cortese, "quelli che muoion nell'ira di Dio rutti convegnon qui d'ogni paese: e pronti sono a trapassar lo rio, che la divina giustizia li sprona, si che la tema si volve in disio. Quinci non passa mai anima bona; e però, se Caron di te si lagna, ben puoi sapere ormai che '1 suo dir sona". Finito questo, la buia campagna tremò si forte, che dello spavento la mente di sudore ancor mi bagna. La terra lagrirnosa diede vento, che balenò una luce vermiglia la quale mi vinse ciascun sentimento. LETTERATURA ^ GAETANO GERBINO: Tulipani i madh GAETANO GERBINO Tulipani i madh Tato rrij i kurkullosur, si ndodhej shumè bere, brénda strofullit gè" prindrat kishen gèrmuar ne te zénét e dimbrit. Pak qéro me pare patén te lèshojén te vjetrin tue rrjedhur kur njé nuselale u kish kèllitur brénda gavérés se ngushté dhe menjehere kish vrare e ngrè'ne te tre véllezérit e Tatot. Ai ish njé mi i vogél, i majméth e njé skajè i pertoshem i gili, gè kur familja jiséj te shpia e re, ca se ish trémbsar, ca per kujdesin e tepè'rt té prindravet, shkoj njé pjesè té madhe té qéroit tue ngréné e tue fléjtur brénda galetés. Rrallè diléj ndo metér jashté, té prirej pranè pameta me vrap posa gjegjej danxé njé shtrush té vogél. E kur diléj, ish vetém té kérkoj ndo léndé rare ka liset. Strofuili i ri ish nje ubrih mjafté i sigurt pèrgé gjéndej mbi njé rahj ka i gili i jati dhe e jéma ménd ruajén gjithé fushén pérreth. Porsanith, tek ajo perjashté, ngé dukej té ishen shumè' ka ata armiq té tmerrshmé gè i kishen shkatarruar gjysmén e familjes, ditét e tija shkojén edhe ndutu té qeta. Po jarruri hera gè gjella e familjes papritut u trazua. (^e kur kish zéné fili té egjélloj tata dhe mé'ma e Tatot dukeshin shumè té trembur: diljén e hyjén ka strofulli sa té vérrejen qieilin e mjegulluam e nga heré gè mbjidheshin dreja e tyre vej tue rritur. Galeta kish kléné stisur me vjersh e kujdes dhe ménd duroj edhe shirat me té forte pò ajo gè ish e jarréj ish, si pandehjén ata, gjagjé me e rènde. Gjithé menatén ngé bene tjetér veg se té vérréjén, té shpresojén, té dridheshin e té parkalesjén. Tato ngé ndélgoj pérge, pò mendoi se ngé ménd vazhdoj té rrij i qeté, késhtu zuri fili té dridhej me fort se prindrat dhe té pértéritéj shpejt gjithé parkalesité gè" kish mésuar ngjera me até sahat té gjellès sé tij. Edhe mite kané éngjéllin gè i ruan, dhe ai i Tatot tek ajo dite kle thérritur shumè heré: "EngjélH gè me ruan té parkales, i vogèl jam e mos me le té vdes, té taks se ka té jem gjithmonè i mire, harenè e paqen neve mos na nxir". Po té parat pika zunè fili té bijèn. Me njé lémsh te luga e zèmbrès mèma e tata u vèrrejtén te syté, pranè me njé shèng té syvet iu qasèn Tatot dhe e shtyjtèn jashté vérés sé strofullit. Kur 12 LETTERATURA GAETANO CÌI-RBINQ-. Tulipani i madh klenè te tre mbi crollin e lagét dhifìsén lisin ku, pak llarghu, kishè'n vendosur te rrézoneshin kur te kishen jardhur furturét e medha. Ndèrkaq vej tue rare me fort. Po qéro kishen: megjithèse dheu ngé jarréj te thichéj me gjithe shiun gè bij dhe bajtat béjén te humbej Tato ngjera te gjysma e kurmit, jarruné te rrezat e pemes me lehtèsi. Tre mite u kishen ndotur e bere ngjyrè botje, qimja e tyre ìsh e lagèt rreth syvet te shkathét. Tato ish i lodhet e i lipsej fryma, pò gjej fuqiné t'i lutej éngjéllit-ruajtés: Engjélli. ..auf ..gè me ruan...fuh, mos. ..he. ..me. ..le te vdes.. .auf. ..auf... Megjithèse ndodheshin danxé lisit, tata e mema ishèn me te trembur se me pare dhe vérreheshin va/hdimisht me émbèlsi e me dre. Mema zuri fili te klaj ndèr krahèt e te shoqit. Kur Tatot i shpetuan lote pafre - Engj...nghééè.. .Ili ... h i i i . . . hiii... mos... i i ì i h . . . meé'ee... - prindrat e pè'shtollen me kurmet e tyre tue i dhènè nge e té ngrohtè. Ata kishen frike se lisi ish, èj, e vetmja sprenxe shpetimi ^e kishen, pò mend benej edhe vend vdekje, porsanith shume kafsha ne nje ndodhje si kjo kerkojén strehe te liset e, per shumé ka kéta, mite jane kapshore ndutu te shijshme. Prandaj méndesia te beheshin dreké te dhelpravet, té nuselalevet ose té ma^evet, i shcij né ankth té madh. Késhtu, pastaj Ve' u ngushulluan njeri me tjetrin, zuné fili té hipjén shpejt kucerin e lisit: kémbét e tyre ishén me té shpejta mbi kroqullén se mbi dheun gjithe bajta. Tata zglodhi njé degé shumé té latte ku té rrijén e prisjén té soséj shiu dhe njeri prapa tjecrit, tue mbajtur gjìthmoné Taton ne mes, Ì jarruné. Tato ahtariséj aqé fort se ngé ish i mire té shqìptoj parkalesìné e vet, dhe ménd e pértéritej vetém me mend tue shkoqur vjershet me shértime ritmik. Ishén té zmardhur pò llarghu ka ujét ^é péshtroj rrézat e lisit dhe rridhéj me térbim. Mosgjé dukeshin, pérpara atij pérroi forgjémor, pikat e trasha yé i bijén te kurrizi. Rrijén késhtu, pa fole, tue pritur té serposéj ajo shtrengaté. Tato, hereheré, vérrcj i meruam lendét gè vireshin ka degét, jo ndutu per uriné gè i zmoljén pò per mallin e strofullit ku ngjera ca qero me pare shtronej i lum tue i griré per dite té téra. Dhe vetém kjo ndjenH LETTERATURA GAETANO GERBINO: Tulipani i madh jè i dukej aqe e ankshme se shèmbej gjithè. E te shémburit e tij ish kèshtu te fort se mè'ma e llavèj me sytè pèt t'i urdhétuat cè mos bèj ttuguj gè ménd i tregojè'n praniné e tyre shtazavet armike. Po pak me vonè gjithé dretè e prindravet ki' te zbèloneshin te verteta. Ndonse jicéj e kurrusur, me hapin e felinèvet me té shkathté, njè mage e egér gè kish gjetur ubrih mbi njé degé té aferme, shkundur ka era edhe ajo, bè traguli e dha kèshtu shengun e pranisè sé vet. Po gjahtorja e tmeroshme ngé u kujdes shumè té kish klenè pare ka mite. Llojasi: — Nani ngé kanè ku té vene. U ndodhem kètu, ku dega lehet nga trungu, e kapshorezét time ngé kanè me shpètim. Kanè vetém té zgledhjén ndèr dhémbét tim e ujét te tèrbuar poshté. Tato, pra, i dukej aqe i shijshém se ngè ruhej me té mos gorromisej ka dega. Mèma kle e para gè pa magen dhe gè ndèlgoi rrezikun. Shturi njé thirmè, mbytur te gryka ka déshpèrimi. Tata u pruar e pa magen e egér afer. Edhe Tato, megjithése ngè kish pare kurré njè mage té egér ndèlgoi se ngè ki' t'ish njè pérpjekje e gèzuame. Tata ish ai me danxè trungut e zuri fili té vej prapa prapa tue shtyjtur Taton e te shoqen drejt dubés sé degés. Edhe mèma, ndèrsa kérkoj te mbaj Taton, vej prapa ku dega bènej me e hollè e me e dobèt. Ndérkaq, maga vij perpara dhe me barrèn e saj béj te valèzoj dega kèshtu fort se tre mite mbaheshin me skondamé. Me shumè se njè heré Tato ish e bij poshté pò e jéma kish jarrèné té e zèj per bishti o per nji krahu. Ndodheshin ku dega ish aqe e hollè se me barrèn e tyre u kish klindur ndaj dheut, o me mire, drejt ujeravet te tèrbuara. Edhe mages i vij fort té mbahej pò nani i duhej vetèm té nglaj njè krah, té nxirèj thonjté e ehjur e te grepte, e te zèj njé e njé ata tre mi té vegjij. Tata e mèma u vérrejtèn e, né njé shertim, thané me sytè fjalèt me té bukura gè kishen pérshpèritur te momentet me té èmbèl té gjellés sé tyre, u zunè per nji krahu, me tjetrin rrémbyen Taton, mbyllén sytè e u lane te bijèn te ujèt. Kèshtu si humbi Tato zbori krahèt e prindravet gè e mbajèn, per shkak té valèvet té fotta gè i ndajtèn e i pérsollèn nganjèri drejt fatit té vet. Si ra te ujèt Tato pa gjithqish te zeza dhe, thithur ka lumi, u 14 LETTERATURA ^ _____ GAETANO GERBINO: Tulipani i madh pruar e rrotulloi shumè bere. Hereherè kriséj ka rrymi e jarréj té mirre] frymè pò ngè ménd bèj pa pire ujè burine. Ndiej skur kish pèrcjellé tek ata pak minute me ujè se sa kish pire te gjithe gjella e tij — gloh... kauf... kauf... giù... gee... Kushedi ku kishin vatur e sosur mèma e tata, kushedi né rrijen mbi ujèt, kushedi ne mènd mirrjèn frymè - giù... giù... giù... — kushedi... Tato luftoi me gjithè vetèhen te qèndroj me gojèn jashtè atij lumi pò, jarruri hera gè iu duk se gjithè ruqitè vejèn tue iu lypsur, ngè mènd te mirre] me frymè, mendimet e tij bèneshin me te trazuam, e dal'e dalè zuri té i lèshohej te rrjedhurit te ujèravet: prané, gjithnjibashku, sa zuri té ndiej se kurmi Ì tij bènej Ì lehtè, skurse ish pa barre, dhe, ndèvonè, ngè riejti me gjè. Gjithè ankthi, dreja, té lodhtèt u kishèn tretur. Gjithqish pèrreth dukeshin té fjella, edhe qielli, e tek ai qiell i kalthèr shkèlqej dielli i ditèvet me te bukura té paraverés. Njé fushè e gjelbèr ndehej pèrpara dhe, né fund, shume pemè me shumè, shumè léndè. Tato, gjithnjibashku ndiejti té vaktét brénda gjirit e te barku, mènd mirréj frymè pa pire ujè e zuri fili te rridhèj tek ajo fushè tue u drejtuar shpejt te pylja danxè. Si jarruri ndér pemèt pa, i harepsur, se trolli ish gjithè njè tryesè e shtruar me gjithè té ngrènèt me té mire: arra, lèndè, miladhe, rare ka degét gè ishèn aqè té nglakuara se taksjén te lèjèn té bijén burine. Zuri té grij, té Qaj, te dèrtipéj ata koqe me farat me té shijshme £è kish ngrènè kurré. U ngèli kèshtu shumè se kèmbét ngè i ngisjen me te dheu, aqè i madh iu kish bére barku. Tato ish i citur dhe i gézuam. Ndèrsa sodisèj té vjeturìt e drekès pantagruelike gjegji ndina £è vijèn ka pylja, pò ngè u trémb. Si vej tue i gjegjur me danxé dalloi zère. E mori kureshtja e priti sa té qaseshin banorét e fshehtè té pyles. £è llarghu perseksi njè luzmé pikash té bardha £é jecjén drejt atij. Kur u qasèn me shumè, ndélgoi, me shumè c,udi, se ishèn mi té vegjij, krejt te nglashmé me até, ve<; se ishèn gjithè té bardhé, nji te bardhi té pastér e té ndritshèm. Tato ngè kish pare kurrè mi te bardhé e u mahnit. Kur ata klené danxè, e rrethuan dhe e vuné né mes. Ahierna mite e bard15 LETTERATURA ^ _^___ ___ CÌAF.TANO GERBINO: Tulipani i matili he me te vegjij, tue dhifìsur Taton, zunè fili té qeshjén per fytyrén e tij té jashtézakonshme: qimja ngjyré hiri gjithé e fryjtur e barku i madh Ì madh e béjén sa té i gliséj me shumé njl mei se nji min. Sa gjithnjibashku ka qarku dolli njé mi i bardh plak, me plaku i gjithéve, iu qas Tatot, mori e Ì tha: — mire se jerdhe rider ne, Tato! Gjithé té tjerét mi té vegjij vazhduan té karcején e té luajén né qark tue kénduar njé kéngé per nder te Tatot: Qarku, qarku rrumbullak, Tato gjithé me shìun u lag, vat'e humbi te njé lume, zémbra i béj bum bum bum bum. Po nani mos ket me dre, se ka zénjé njé gjellé e re, e ka shohénj se njé dite, ka trazhgonjé me gjithé hajdhité. Me njé sinjall té dores miu plak ndérpreu konn dhe tha késhtu: — Mere Tato, gjithé na dime até c,é pat' té pésoje. Po nani jarrure te njé vend i bukur ku ngé ka trémbesh fare: je te fantajeta e mivet te ku gjithé jané te buté e mosnjeri ménd té té bénje té lig. Ndè'kaq, ka qarku kishen dalé té tjere mi té bardhé; tre té vegjij e njé zonjé mi. Me shumé qaseshin, me shumé fytyra e tyre Tatot i dukej e njohur. — ...pò... pò ju j i n i . . . ti je mémaaaaaaaa... e ataaaa... ataaaa... véllezérit tim!!!! — bértiti Tato. Té gjithé u shtrénguan pérreth atij dhe e pérqafuan. Tato ish késhtu Ì gézuam se ngé dij ke kish pérqafoj me pare dhe zémbra e tij ish aqé plot me hare se dukej se ish e i shpérthej. — I vogli jim — pérshpériti méma e bardhé - more njé dre té madhe, pò, si je sheh, méma e véllezérit tate jané gjithmoné me tyj. Sa ti e dishiron me zémbrén ata ngé ka té léne kurré. — Oh méme — tha Tato — pér^é tata ngé e me ne? E thérresjém e rrimé pameta gjithé bashké? — Tata ngé ménd si nani — vazhdoi e jéma — ai té pret sa té té béj té njohésh njetér vend té bukur, me gjithé se me i rrézikshém se ky. Gjegjém, Tato, njé dite té gjithé ka bénemi mi té bardhé, e ka rrimé gjithmoné bashké, pò per si nani ti je njé mi i vogél ngjyré hiri e ka njohésh shumé shérbise: ke njohur c,e jané dhémbja, frika, uria, tétimi e gazi. Po ka njohésh shérbesin me té véshtiré se gjithé. — E £Ìli isht shérbesi me Ì véshtiré, mo'? - pyejti Tato. 16 LETTERATURA GAETANO GLKHINO: Tulipamj^ madh — Isht ai £e ndihet kur ke njohur me pare hjidhinè te zémbra dhe déshpèrimin — ÌLI pérgjegj e jéma — isht te vakrèt te zjarrit te nata e zmardhur, isht lénda c.è te ngroh barkun kur ke u r i . . . — .. .isht mèma ^e me pérgézon kur dridhem? — ndèrpreu Tato. — Ej, edhe ajo. Isht edhe tata ^e te thote se je sherbesi me i t'émbèl dhe me i ^muar te jeta. Dhe me shumè se gjithè, isht njè fembéré'z e hjeshme, te duash mire, e me te c.ilèn ka ndash gèzimet e dhèmbjet dhe ka bèsh shume te noké'rr c,e ka shohèsh te rriten: me njè fjalé, Tato, isht hareja. Ménd e kesh, ne do, pò rua) se hareja ngé njihet menjehere. Ka ndélgosh se isht e jarrènè e ngé ka t'i prierésh krahét. Ka t'e lesh te hynj abrènda teje e te rritet, e prané gjithnjibashku do té shpérthenj. Tue fjantaksur nje shpè'rthim te vè'rtet Tato zgardhélloi sytè i trémbur e u sii tu njè hap prapa. - Jo, Tato — tha mema e bardhè — nge ka trembesh, se isht nje shpè'rthim Ì t'émbèl. Gabimi ^è bèhet shume herè isht ai té trè'mbemi te jcmi té harepsur e te shtyhemi njè hap prapa, si bere ti nani. Hareja mènd ndihet vetèm né njihen helmet. Ketu na jemi te lume. Tato, ngé na lypset gjè. Po ti ke té rrosh, e te rrosh vje' me rare ^è te thashé. Gjella e gjagje me shume se fantajeta. Gjella nge isht qetmi e bekuame: isht éndcrra e haresé ^è mènd bènet e vèrtetè. - E gjithe benen té harepsur? — Per rat te keq jo, Tato: pak i bènen, e te kèta njè pjesè e madhe i qéndron per pak qéro. — E pér^è? — pyejti Tato i dishpélqyem. — Pér<;é shume veté harené ngé dine t'e kérkojén, shume té tjeré nge dine t'e njohjen, dhe shume ngé jané té mire t'e béjén te ndurisénj. — E si bénet té mènd e ndurisénj? — Nge ka soset kurre te èndérrihet! — tha mema me njè gaz te buzét. — Ahierna ka flèmè gjithmoné?! — klithi Tato i ndèrdyshèm. — Jo, duhet té éndérrijém kur jemi zgjuar, me syté té zbyllém, vetèm e me ata c,è na rriné pérkrahu e ^é duam mire - shpjegoi e jéma - e kjo isht shérbétira jonè ké'tu, te fantajeta e miver: ajo té bèjém, té stisjèm éndèrrat me té bukura e fantastìke, pò edhe ata LETTERATURA GAETANO GERBINO: Tulipani i madh me te jashtézakonshme, t'i adhjasjèm mire mire e t'i dèrgojém poshté, te jeta e ftetè te mivet ngjyré hìrì si ti, t'i béjém te hyjén abrénda atyre sa te èndèrrijè'n kur ngé e pandehjèn, papritur. - Késhtu vje 1 me rare se ng'e ndelgojém se isht e jarrènè njè endè'rr e...? - Èj, kurdoherè: ndersa ha, ndèrsa lua, ndèrsa je ben shèrbetirèn tende e, edhe kur flé... Té thènèt gè tha kèto? mèma i ndejti doren Tatot e i foli kè'shtu: — Eja Tato, nani verni se te dè'ftonj fabrikèn e èndérravet. Zune fili te jecjèn dhe Tato ish gjithé marre ka dishirimi te shihè'j fabrikèn. Shkuan pylen e jecèn per ca qèro ngjera kur pemèt u ralluan e drita vej tue u bere me e forte. Si dollèn ka pylja Tatot iu zbè'lua pèrpara syshit vendi me i ngjyem dhe me i shkèlqyem gè ménd kish fjantaksur kurrè: njè fushè pèshtruar ka mijèra e mijèra tulipane te verdhè, te kuq, té bardhe, ngjyré nerènxje... Tato qéndroi me gojè té hapet e, kur ndèlgoi se ménd i dilèj zeri, tha: «Mo1, sa lule té bukura!». - Kjo isht fusha e fantatulipanévet, Tato... - shtolli mèma. E ndersa Tato vèrrej até fushè té famasme, syu i ra mbi njè tulipan te verdhè, té glate té glatè, té madh, aqé té larté se kèrora ngisèj fantamjegullat ne qiell. - E ajo gè sheh atje larté — vazhdoi mèma - kèrora e fantatulipanit me fletèt e verdha, isht fabrika e èndérravet. Verni Tato! Nani té ftonj si benen èndèrrat e mivet ngjyré hiri. Zbritén pra tek ajo fushè e madhe gjithé tulipane e u drejtuan ndaj lules sé glate gè pèrmban fabrikèn e èndérravet. Tato dukej skur ngè ndiej té lodhtèt té té jecurit e dej rridhej me shpejté te jarrèj sa me njize te fantatulipani. Ish aqé i pèrqéndruar e i vendosur se ngè vuri re se kish jardhur e u ndodhur nèn lulen e madhe. - Shih, Tato, jarrumè! — tha mèma. Tato vérrejti pèrpara e Ì ra te syté ai kèrcill i glatè i glacé e Ì gjelber: sa t'e vérrej gjithé Tato u ndodh me hunden larté dhe, tutje, te duba, pèrseksi té verdhén e fletèvet. Te fìxha e tij shprehja famasmje i la vendin gudisé kur pa te hapej te kèmba e fantakallirit njè derè e madhe ka e gila dollèn dy mi té bardhe veshur me breké e xhilek. Ishén shèrbétorèt e fantashencorit gè qell te fabrika e èndérravet. 18 LETTERATURA GAETANO GI-RBINO: Tulipani i madh - Ju lutem te hipij — thané mite e bardhe - njatér pese sekonde hipemi pameta! - Pese sek...!!?!? - Uoooooomm... e Tato shpejt, zuri te jèmén per nji krahu dhe e holqi me vet brènda fantashencorit. Atéheré njeri mi i bardhe, ai gè kujdesej per te hipurit, shtypi njè fantasumbé e zunè fili te hipeshin. — Mo', e ndutu bukur! — tha Tato i magjepsur. — Prit, Tato, se te me mirét ka vinjé! Brènda fantashencorit, ndèrkaq, ndiheshén ndinat e fjalèt e kèngès sé fabrikès te ènderravet. U hipèn e u hipèn ngjera kur ashencori qèndroi. - Jarrumè! — tha min i bardhè — Zbresjèm! E kur hapi derèn, Tato u gjénd brènda kerorès e te madhit tulipan té verdhé. — Eja Tato — tha mema e bardhe — vem'e shohjém tulimité gè shèrbejen. Mèma atéheré Ì beri shèng Tatot té e ndiqèj e bashkè u drejtuan ka njè tufè mish té bardhe gè lèvizeshin rreth gjagjé c.é ngè jarréhej te dallohej per luzmén e tulimivet gè vazhdimisht dìljèn e hyjén me vrap. Kur klenè me danxè méndèn té shihjén prapa nji tryesje pérshtruar me burine e lépushévet, njé mi té bardhe, dhe té trashé, me njè mustaq té glaté. Ky ish shumè i zéné té i ndaj tulimivet ato karté gè pa urdhér, dhe né grumbuj me lartési té ndryshme, ndodheshin mbi tryesén. Kur njé tulimi rrérnbej nje lèpushé, mirréj e jikéj menjéherè ka tufa. - Kush isht ai mi i madh prapa tryesés, mo'? - pyejti Tato. - Isht tulimjeshtri i fabrikès sé ènderravet. Mbi tryesén e tij jarréjén gjithé dishirimet dhe èndértat ka jeta e tèré. Per nganjerin ai llojas proxhektin e éndèrres gè i pèrputhet, adhjas urdhurimet e ia jep shérbètorévet gè tue rrjedhur vene te fabrika sa t'i stisjèn. Keta, kur kané stisur éndérrén, ia japjén tulimivet gè e stolisjen mire mire edhe e peshtielljen me njè karté té bukur, e kur dhurata ìsht gatuar, ia shkojèn tulimivet gè e dergojèn. Keta kètu e marrjén dhe e kumbisjèn mbi njé fletè tulipani gè, tue ndjekur udhén e rrimet té ènderravet e té dishirimevet, vet'e gjen nje mi ngjyré hiri te jeta... Ndérsa méma i shtillèj Tatot kèto shérbise, i ndérpreu tulimjeshtri: — Oh, oh, kemi gjinde! Prìni njé thérrime kopij — i tha tulimivet shérbètoreve gè shtyjén té qaseshin te tryesa — falerni kètij vèllauthi ngjyré hiri, té majmèth e té hjeshèm. 19 LETTERATURA GAETANO GERMINO: Tulipani i matili Tato, per tutp, u bé i kuq i kuq te fìxha si mareshtè, kur pa, dhifisur mbi ate vet, gjithé syté e tulimivet shetbétoreve c,é menjèhere qé'ndruan e, pa fole, u prorén té e vértején. SÌ té thone, i voglì jim? — vazhdoi mjeshtri. — T... Ta...Ta.. .Ta. ..Ta... — belbi Tatot ndérsa kérkoj té shqiptoj embrin e vet. — Ah, Tatatatà, c_é ember i bukur! — tha mjeshtti me entusiazém té vrapuar, matré si nga heré ka anangasia e proxhetevet. Tato kétkoi té ndteqéj, pò e jéma me nje gaz i beri shéng té mos fliséj, té mos i béj te zbiréj ndutu qéro tulimjeshtrit. — E ^é kemi Tatatatà, ngé paté dhuratén tende, éndérren tènde? — pyejti mjeshtri pa ndè'fpteré té ndajturit e lepushevet. — Jo, — ndérpreu méma, tuke i fole dalé e dalé te veshi mjeshtrit - kjo isht njera ka éndérrat e tija. - Ah, mire, mire, - atéheré vazhdoni té bariturit tuaj. Té falem, Tatatatà! — mbylli mjeshtri i qetésuar. Ndérsa tulimìté shérbétoré zéjén fili pameta té shtyjén rreth tryesés sé tulimjeshtrit, Tato dhe e jéma zuné dhromin dhe jecén ngjera kur jarrune perpara derés sé madhe ka e ^ila hyhej brénda fabrikés e c,é dalé e dalé u hap perpara atyre. Tato béri ndonjé hap perpara e, si shkoi derén, iu haraps perpara syshit vendi me i famasém e me i pabesueshém gè kish pare kurré, me mijéra mi té bardhe £é shérbején. Ish ushtria e tulimivet, shérbétorévet té fabrikés, c_è stisjén éndérrat, e prané ishén ata ^e i péshtilljén me kartén, ata £e i lidhjén me njé shkoké, ata gè i vujén mbi njé fletè tulipani per dérgimin. Ishén ndajtur né shumé tufa, sipas éndérrés £é kish adhjasjén. Hyrén te fabrika e madhe dhe aqe e forte ish mizira e serrevet, sopatavet, daravet, zdrugéve e tjeré veglevc se ngé jarrején te gjegjeshin fjaler e vera. Po mbi té gjitha Tato qéndroi me gojé té hapét kur, té ngréjturit ^é ngréjti hundén larté, pa qincléra, mijéra, milìoncra fletè tulipani gè, nglakuar me dhuratat e tyre, fluturojen né qiell e diljén ka kérora e fantatullpanit skurse ishin floqet e nji zborje alla shtrèmbra, Késhtu si diljén ka kérora e madhe fletét zéjén nganjera udhén e rrimèt té vet, si njé bisht yllczi magjik gè ia siile j mivet ngjyré hiri te jeta. 211 LETTERATURA CiAF.TANO (il-KBINO: Tulipani i madh Tato tundej i harepsur ne mes tulimivet shérbétoré ndersa mèma e bardhé i shtillèj shérbiset me te guditshme gè shihej: Jshen disa éndèrra si puthje té glata te glata, tjerè me forme puthje te vogèl dhe te embèl, disa si pérgézime, o si lèndè te mé'dha, shumè si bukur copé udhosi dhe pranè shumé te tjere, me te shumtat se gjithè, si bukur mi ngjyré hiri. Kur méma pa gudinè e Tatot ne te vèrrejturit shume endèrra me fbrmé'n e mivet ngjyre hiri, i tha: — gjithe mite ngjyrè hiri si ti, ne disa momente te gjelles se tyre, dishirojen te pèrpjekjè'n nje fembérèz te dashurojen e ka e gila te jen dashuruar dhe kèshtu ato, te èndèrrat e tyre, shohjén nje mashkullth me té gilin do vunè sipè'r nje familje e do béjén shume té vegjij. Kjo isht njera ka éndérrat me té lypura e edhe njera ka me té bukurat, se isht pajt késaj éndérrje gè gjella pértéritet, Tato. Nje dite edhe ti ka bésh kété éndérr e, né ke fat, ka bénet e vértcté. Marre ka gjithe famasmét e vendit e ka fjalèt e sé jémés Tato ngé vuri re se, tue vanir prapa prapa me hundèn per né qiell, ndersa vérrej fletét tulipani gè fluturojen, prapa atij ndodhej nje fletè gatuar té ish dèrguar, pengoi e i ra abrénda me kémbét latte. Gjithnjibashku tulimité e péshtollén, e stolisén, Ì vuné shkokén, zuné fletén dhe e lane té fi LI turo j. Tulimité shérbétoré ngé ndélguan menjéheré até gè ish e strekséj, ndersa mèma e bardile qèndroj e qete e ngè clukej se dej bèj gjè. Nje tulimi shérbétoré, kur ndélgoi até gè ish e ndodhej , ZLiri fili té lurij: — Jooooo! Kjo ish urdhurata e nje fembrigelje ngjyre hin gè i thonè Frufrù. Kishèm gauiar èndèrrèn e saj... nje bukur kopil ngjyre hiri si ajo... m end e priret... ménci e priret prapa! Tulimjeshtri ka té'rbonet shume. Mjerèt na! Ka na vunè te fshijém te dheu. Thèrrinie, qéndronie!! Si i thonè ati) té huaii? Mema e bardhè, fare e tramaksur, me nje gaz u pérgjegj: — Kluhet Tato, e isht edhe ai nje bukur mi ngjyre hiri. Atéherè tulimiu shèrbètor luriti: - Tatoooo, zbrit poshté, ajo isht endèrra e Frufrusé... Tatooo... Tatoooooo... Tatoooooooooo! Tato menjéheré ndiejti nje tètim té madh te gjithe kurmi, kish gjithe qimen e lagèt, e kèmbèt i mèshojén aqè se ngè mènd i tundéj fare. Ahtarisèj e rèkoj, e ngè kish zbyllur syté kur u ndie thèrritur: —Tatooo... Tatooooo... Tatooooooooo! 21 LETTERATURA GAETANO GERBINO: Tulipani i madh lu duk se gjagjé ish e e ngisé'j te njé krah dhe e shkundéj, shkèlqosi me pare njé sy, pra tjetrin e pa njé fìxhé té njohur: ish tata <^é kerkoj té e zgjoj e té i fliséj e, ndérkaq, e shtréngoj me krahét sa té i jipéj ca te ngrohté me kurmin. Ndo ore me pare Tato kish kléne shtyjtur ka ujét te tèrbuar mbi zallin e lumit £é u kish bére me shiun e madh e atje kish qéndruar i zalisur ngjera kur e pa Ì jati, q'é kish jarréné té zéj njé degé £é virej mbi pérroin. - Tato, i vogli jim, shkoi, ngé e me gjé — tha tatamiu — furtura sosi, nani je mire. Po Tato ngé ia béj té fliséj: — Uhm... aurgh... gnerf... - Tato, ngreu, jec! Jam u, tata jyt, - vazhdoi i jati. - Oh, ta'... auf... qé kle? Rashé .. .auf ... ka fleta, thomse? U ngé .. .hee .. .dej1 e béja, vura kémben ligé e... auf... pra me dérguan si njé flok zborje ^é... hipet te vendi té bienj ka qielli... sbuffi... pò méma qeshej e... ngé trémbej, atéheré u... ndélgova se ngé ish gjé té ligé. Shpresonj té mos zémbérohet tuiimjeshtri pér^é u ngé... — Mos kij dre Tato, è'ndérrijte e te éndérrat ngé bénet mékaté — e qetesoi i jati. - E pér^é méma qéndroi atje? — pyejti Tato me njé sherétim. - Pér^é kle thérritur té té ndihénj té bénesh njé mi i mire, té realizosh éndérrat tote, e njé dite ka jemi gjithé bashké sa té béjém té éndérrijén gjithé ata ^é duam mire. - Kur ka jemi gjithé mi té bardhé? - È j , i vogli jim...mi té bardhé. Dha u kish ngrysur mbi are dite té keqe. I jati ndihu Taton té ngréhej e bashké kérkuan njé vend me té termé ku té prisjén té dihej. Kur u di, gjetèn gjagje té hajén e prané u vuné té kérkojén njé vend té mire per té bére njé strofull té ri. Té gjeturit <;é e gjetèn, bène njé bukur vére te dheu: tata drejtoi shérbétiret ndersa Tato, me thelimé té madhe pò pa urdhér, lodhej e ngosej me kémbét tue hjedhur boté $é shumé heré vej e i soséj ngrah té jatit. Me dy dite strofulli kle stisur e dy mite méndén té préheshin té qeté. Ky strofull ku jisjén pas shiut té madh ish i mire, pò jo i bukur si ai £é kish kléné stisur bashké me memén. Tato nga menate nxiréj kokén jashté galetés, vérrehej pérreth mos ishén rreziqe e prané kriséj mbi dheun té vej e kerkoj té ngréné. Vendi i tij ish, edhe 22 LETTERATURA GAETANO GERBINU: Tulipani i madh kètu, njè lis, pèrposh te gilit gjèndeshìn shumè lèndè. Njè dite, ndèrsa ì qasej pemè's se madhe, Tato pa gè lé'vizej ndèr fletè't e verdha e dushqet rare ka degét, gjagjè gè i glisèj nji miu si ai. Nje skajè i mbrijtur per kè'te prani te padashur jarruri danxè lisit e ndé'lgoi se ai i huaj ish nje fembèr, e vogel, shumè e hjeshme dhe e gjallèt, gè tundej e shkundej tue kè'rkuar ndo lènde te grij. Pa thènè nje fjalè u vu edhe ai te ké'rkoj te ngrene. Per nje bukur copè nge u pèrseksen fare e bene skurse tjetri nge jiséj, ngjera kur pane te dy nje lèndè te madhe e iu sulèn me fore. E rrembyen njera ka nje ané, jetri ka jetra ane e qèndruan te vèrreheshin me syun e lig. — Nje mashkull me vjersh nge e éndérrin té Ì vjedhènj nje lèndè nji fembrje! — klithi ajo pa u trèmbur. Tato, me pare, porsanith nge kish fole kurrè me nje fembèr kèshtu té hjeshme, i mneruar, nge dij gè kish thoshèj, pranè u kujtua se ndodheshin te dheu Ì tij e, Ì vendosur, iu pèrgjegj: — Njè vajzè me mèsim nge hyn pa thelimè te dheu e nji tjetèr miu! — U nge pashè shkruar gjakun se kjo pemè isht e... e... e... edhe embrin tènd nge e njoh - tha e vogla gè, me shumè vèrrej Taton me i dukej skur e kish njohur ca qèro me pare atè fytyre. - Embri jim isht Tato, jes me tatèn tim e strofulli jynè ndodhet pak tutje. E ti, te ku rri? SÌ te thonè? — pyejti Tato. — Edhe strofulli jim isht kètu danxè. U e familja jime jerdhèm e rrijtèm kètu pas shiut te madh. Embri jim isht Frufrù! — Frufrù? — pèrtèriti i bindur Tato, tue u munduar te kujtoj ku kish gjegjur atè embèr. — Ej, Frufrù. Te duker nje embèr i jashtèzakonshèm? — pyejti Frufrù, tue menduar se Tato u kish guditur per embrin e saj. —Jo, jo, u ndèlgonj skurse e kam gjegjur ndo herè — u pèrgjegj Tato. — E mua me duket se tyj te kam pare gjakun! — shtoi Frufrù. Vazhduan te flisjen e kèrkuan te ndèlgojèn ku, e si, u kishèn njohur. Shkuan kèshtu te parèt momente mbrije e u bène miq. Me qèroin Tato e Frufrù u pèrpoqèn shumè herè dhe pra u bène nje gift ku rregjèroj dashuria. Njè bukur dite vendosèn té lidhjèn gjellèt e tyre per gjithmonè e bène strofullin e vet ku rruan e trazhguan e patèn shumè té nokèrr ngjyré hiri. 23 STORIA G. CASARRUBEA: Ancora su Forrdl.i | . . . ( Da recenti notizie di stampa abbiamo appreso che finalmente sono stati aperti gli archivi della CI A relativi ai primi anni del secondo dopoguerra, dai quali sono venuti a disposizione degli storici e degli studiosi copiosi, importanti e dirompenti documenti che riguardano, fra l'altro, le vicende storiche dell'Italia dell'immediato dopoguerra nelle quali la Strage di Portella della Ginestra riveste ancora un ruolo centrale per quello che in questi decenni ha rappresentato e per quello che di nuovo può ancora rappresentare in termini di ricostruzione storica e politica come Giuseppe Casarrubea nella lettera-scheda sottoriportata fa intravedere (PM), Caro Pietro, ti faccio avere, in allegato, l'organigramma di una ipotesi, fondata su documenti, di quello che poteva essere lo scenario nel quale maturò la strage di Portella della Ginestra. A distanza di 55 anni da quel luttuoso evento che cambiò i destini della nostra Repubblica, pare doveroso non chiudere il capitolo dello stragismo di quegli anni, restando fossilizzati nelle gabbie delle tesi iniziali fornite dalle fonti ufficiali. Ecco dunque una pista che non fu seguita e che, come tu sai, non è ragionevale scartare in via pregiudiziale. Che le ipotesi, formulate sulla base di documenti, possano alla fine apparire infondate, è normale; ma è anomalo scartarle in partenza. Restano, comunque, inconfutabili Ì se-guenti dati: 1. Dopo lo sbarco alleato in Sicilia (1943) i ser-vizi segreti americani cominciarono a patteggiare con gli americani e con i fascisti, ex repubblichini di Salò, offrendo loro l'impunità, in cambio di "operazioni da effettuare sul medio e lungo periodo"; 2. Nel primo semestre del '47 risulta documentata la presenza in Sicilia di Luky Luciano. Il suo arrivo e la sua partenza sono straordinariamente coincidenti con la preparazione e la conclusione delle stragi (gennaio-22 giugno dello stesso anno). È doveroso avanzare l'ipotesi, supportata dal forte indizio della presenza del boss italoamericano, che questi abbia fatto fare alle mafie locali, ancora troppo legate a una visione localistica del controllo violento del territorio, quel "salto di qualità" che doveva condurre le piccole mafie ad diventare la "grande" mafia: Cosa Nostra, appunro. Portella rappresenta infatti il momento della legittimazione della mafia nel sistema di potere nazionale. 24 STORIA G. CASARRUBEA: Ancora su Portella [...] COUNTER INTELLIGENCE CORPS (C.I.C.) (emanazione dell'Office of Strategie Services- Oss) Via Sicilia, 59 ROMA ORGANIGRAMMA (CAPITANO JAMES ANGLÌTQN- USA] SOGGETTI RR. CC. RESPONSABILI Maresciallo Saverio Laccisaglia Battaglione 808 controspionaggio Maggiore Renzo Bonivento del Regio Esercito Italiano u Marina Italiana Capitano Pietro Fazio Capitano Carlo Resio Mafia Lucky Luciano FUNZIONI Attività di controspionaggio in Italia e collegamento tra RR.CC. e C.I.C. Attività di controspionaggio in Italia e collegamento tra E.I. e C.I.C. Responsabile per la Sicilia (PA) Attività di controspionaggio in Italia e collegamento tra Marina e C.I.C. Coordinamento mafie locali (maggio -giugno STORIA G. CASARRUBEA: Ancora su Forcella {...] Agenti Oss in Sicilia Fascisti di Salò 1947) Mìke Stern Controllo su Giuliano Victor Barrett - George Zappala Monitoraggio delle attività del comunismo in Sicilia Polvani (ex federale di Firenze e Propaganda fascista e resistenza al responsabile a Palermo dei comunismo in Sicilia neofascisti di Salò- probabile ispiratore occulto del Fronte Antibolscevico a Palermo) tr Pino e Carlo Romualdi Decima Mas Comandante]. V. Borghese £ Capitano Nino Buttazzoni Collegamento tra Polvani e i fascisti de centro-Nord Italia Organizzazione paramilitare contro il comunismo in Italia clandestina Collegamento tra Angleton e Borghese Organizzazione effettiva dei commandos paramilitari a fini sfragistici Connessione col Fronte Antibolscevico STORIA G. CASARRUBEA: Ancora su Portella (...) Monarchici e massoni Tommaso Leone Marchesane Principe Alliata di Montereale Giacomo Cusumano Geloso Giulia Mantenga Alliata di Ganci principessa di Montereale (appartenente all'Ovra di Palermo) Impedire il processo delle riforme sul piano politico. Individuare e proteggere gruppi operativi utilizzabili a tale scopo 11 Ispettorato Generale di Pubblica Ettore Messana Sicurezza in Sicilia Assicurare la copertura sul depistiggio delle indagini da parte della polizia giudiziaria STORIA _^ ___ SOKOL DEDJA: L'emigrazione albanese [...] SOKOL DEDJA L'emigrazione albanese in Italia nel tardo Medioevo come problema storiografico" Per giustificare scientificamente il fenomeno dell'emigrazione albanese verso l'Italia a seguito della quale si formò la diaspora delle colonie ancora oggi presenti nel sud, si è sempre ricorso al "mito storico", infatti l'esodo di molti albanesi fu solitamente visto come conseguenza dell'invasione turca e delle rappresaglie contro le popolazioni albanesi di fede cristiana, che con fermezza avevano resistito in armi all'occupante, sotto la guida di Skanderbeg. Le motivazioni politico-religiose di tale esodo le troviamo nella tradizione orale degli arbére-she ed hanno anche influenzato la storiografìa albanese fino a metà del secolo XX. Le prime notizie sull'emigrazione albanese nell'Italia meridionale le attingiamo dagli storici italiani del secolo XVI' i quali scrivevano quando in Italia c'era una grande sensibilità per il crollo dell'impero bizantino con la preoccupante espansione dell'impero ottomano che in quel momento era pure un rischio per l'Italia meridionale. Gli italiani del XVI sec. collocano la fuga degli espatriati nel quadro dell'invasione dei Balcani da parte degli Osmanli. Quando gli storici dell'Italia meridionale trattano il tema dell'espansione ottomana, interpretano senza alcun dubbio le preoccupazioni della monarchia napoletana nei loro scritti. Parlando di guerre ed eserciti, si coglie un altro aspetto dell'emigrazione albanese: il mercenarismo. Paolo Giovio ricorda gli albanesi che militavano nelle compagnie di Carlo V come "capitani di cavalli albanesi"2, si tratta di cavalieri che si segnalavano per la loro rapidità e grandezza menzionati pure dal Fontano nel "De Bello Neapolitano"3. Anche nel XVII sec. Filadelfio Mugno parla di " ... famiglie d'antica nobiltà ... della Grecia regione ..., le quali non potendo soffrire il giogo dei • L'arriccio è tratto da: STUDIME HISTORIKE, Tirana, nn. 1-2 (2001), pp. 7-21. La traduzione è di Giuseppe Schifò di Modica. 1 T. FAZELLO, De rebus stenla, Panormi, 1550. Dee. I, Lib. I: P. GIOVIO, Historiarum sui temporis Tomusprima* (secundm), Venetiis, 1553, 1554, libri 26 e 29. 2 P GIOVIO, op. eh., Lib. 26. } G. G. FONTANO, De bello napolitano, Napoli, 1509, lib. IL 28 STORIA SoKOL DEI")]A: L'emigrazione albanese [...} tiranni e la barbara servitù ... in Italia, in Sicilia ed in altre Provintie e Regni del dominio del re cattolico si ricoverarono"1. Le opere dei secoli XVIII e XIX sono scritte da autori arbèreshe i quali considerano i loro progenitori come indomiti combattenti della Croce, costretti ad evacuare la madrepatria dopo l'occupazione ottomana dei loro territori. Nella storiografìa si accreditò così l'interpretazione politicoreligiosa e militare dell'emigrazione albanese\a metà del secolo XX in una del storiche del francese Braudel la spiegazione tradizionale cominciò a essere messa in discussione. La nota tesi di Braudel sulla interdipendenza della vita sociale con i fattori ambientali orientò il suo interesse anche verso le migrazioni dalle zone montane come fatto inevitabile' 1 . Le montagne, secondo Braudel, sono frequentemente sovrapopolate rispetto alle loro capacità produttive. Il sovrapopolamento con facilità supera il limite, pertanto il sovraccarico umano va scaricato sulla pianura 7 . Il caso albanese per Braudel è caratteristico della diaspora con provenienza montanara degna dì uno studio più approfondito. Secondo lo storico francese gli albanesi lasciano i monti prevalentemente come soldati, infatti in generale la forma più diffusa di traslocazione dai monti è quella dell'arruolamento militare. I monti sono quasi tutti "cantoni svizzeri"". A parte Ì suggerimenti di Braudel c'è da tener conto anche di altro. Le migrazioni in generale sono studiate sotto il profilo della storiografìa degli ultimi decenni come la storia demografica, il rapporto della popolazione con il territorio, ecc. Nelle acquisizioni più recenti della storiografia il ruolo principale lo ha giocato la scuola francese degli Annuii. È nata lì la storia demografica, specialmente in un articolo di ' F. MUGNOS, Teatro genealn^ifii delle famiglie minii, intitolate, feudatarie di Sicilia, Palermo, 16^"), voi. l i , p. 201. 1 Anche un'opera classica sulla diaspora albanese rome L. VON THALLOCSY, Die Albanische Diaipora, in ILLYRISCHE-ALBANISCHE FORSHUNGEN, M U N C H E N , 1916, per gli italo-albanesi si basa sulle opere degli autori arbereshe sopracitati. " V. BRALID1ÌL, L.< Mediterranei' et It monde mediterranee» a l'époque de l'hi/i/i/ie lì, Paris, 1 U82 (traduzione italiana, Torino, 1986, p. 35). ' IVI. p. 26. • IV], p. 3V STORIA SOKOL DEDJA: L'emigrazione albanese [...] Meuvret che approfondisce il concetto di "crisi di sussistenza" che è alla base delle monografìe collaterali del gruppo degli Annali degli anni '60. Sono il modello della storiografìa europea. Questo modello lo seguirono gli autori che si occuparono delle regioni meridionali in "Storia del Mezzogiorno"10. Essi inseriscono l'occupazione albanese nel quadro demografico dell'Italia meridionale senza metterne in discussione le certezze tradizionali. Ma in Francia, in linea con le tesi di Braudel, si elaborò il concetto di zona esportatrice che si configura come luogo che fornisce uomini. Contado e zone di montagna in difficoltà economiche diventano facilmente "regioni di migrazione" preferenziale nei confronti di alcune "regioni di accoglienza"11. Per la spiegazione di questo fenomeno, il determinismo geografico di Braudel si intreccia con la ricerca delle cause economico-sociali delle migrazioni. Come nota lo studioso italiano Comba, la nozione braudeliana di sovrapopolamento è relativa perché il rapporto tra le risorse naturali e i bisogni umani è legato al modello sociale di sfruttamento delle risorse naturali ed alle tecniche di controllo dell'ambiente, dunque allo sviluppo economico-socìale delle zone12. Per gli arbè'reshè, Sergio Anselmi le ragioni dell'emigrazione albanese e balcanica nell'insieme le ricerca nella profonda crisi economica dei Balcani. Tale crisi era cominciata da tempo e dipendeva da una struttura sociale ingessata, da una tipologia del territorio poco produttivo e da un clima di anarchia e di conflitti alla fine del medioevo. Anselmi non si spinge oltre nella trattazione delle ragioni economiche collegate all'emigrazione albanese. Per spiegare in modo convincente sul piano economico-sociale questo fenomeno bisognerebbe avere un quadro documentato della situazione economico-sociale dei Balcani del tempo che ci manca. Il successo degli studi in proposito, come osserva Cirkovic, è ostacolato dalla '> Pvputatton, 1946. 10 AA. VV, Stona del Mezzogiorno, diretta da G. Calasse e R. Romeo, voli. VI e VI], 11 POUSSOU, Introducimi a l'elude de* migratimi anatri ntì, in DEMOGRAFIE HISTORIQUE, a cura di Marnilo e Charboneau. 12 R. COMBA, Emigrare ne! Medio evo. Aspetti socio-economici della mobilità geografica nei sete, XI-XVI m STRUTTURE FAMILIARI, EPIDEMIE, EMIGRAZIONI NELL'ITALIA MERIDIONALE, a cura di R. Comba, C,. Piccinini, G. Finto, Napoli, 1984, pp. 45-74. 30 STORIA SOKOL DEDJA: L'emigrazione albanese [...] nota penuria di fonti storiche sulla storia medievale dei Balcani13. Non solo questo: la nostra penisola è un territorio ancora poco esplorato dalla storia economica anche se il paradigma marxiano in tanti luoghi si è imposto nella storiografìa degli ultimi decenni. Comunque sia gli storici di questa zona riconoscono quasi concordemente che il periodo antecedente l'invasione ottomana è una fase di crisi economica e di inaudito sfruttamento feudale. Dal sec. XIII fino al XV, secondo Cirkovic, i Balcani conobbero il frazionamento più estremo della loro storia. Non a caso lo sviluppo economico ha spazi assai angusti14. L'oppressione feudale diventò così aspra che Braudel ha definito l'occupazione ottomana la liberazione dei "poveri diavoli" con chiaro riferimento ai contadini balcanici15. Quanto vessatorio fosse diventato il prelievo feudale in Albania in questo periodo, lo dimostra il consistente volume di grano che si vendeva ai commercianti veneri e ragusani16 dai feudatari di un paese che non ne era certamente un grande produttore. Ma la classe feudale era in condizione di vendere agli estranei il superfluo che si accumulava con la quota che ricevevano dai cittadini per quanto esiguo fosse il raccolto. L'esportazione di frumento fu possibile proprio a causa della radicalizzazione del feudalesimo. Come ha chiarito il bizantinologo francese Alain Ducellier, matura il secolare processo di crisi della piccola proprietà contadina ed il rafforzamento del latifondismo17. I latifondisti costituiscono una casta formata dall'unione dei grandi proprietari terrieri e dai funzionari. Scomparve la piccola proprierà dei contadini-soldati che aveva caratterizzato per secoli l'impero bizantino e che ne era stata la forza. La concessione delle rerre come ricompensa per il servizio militare, pronoia (allodio), acquista con il tempo la forma della signoria in occidente. Con l'allodio ai funzionari si concede pure il dirirto di una ricompensa per il servizio di esazione delle tasse in sostituzione dello stato. 11 £lRKOVl£, Sviluppo e arretratezza nella penisola Balcanica, in SVILUPPO E ARRETRATEZZA IN EUROPA E FUORI, Firenze, 1983. 14 IBIDEM 15 F. BRAUDEL, op. at., p. 698. "' B. HRABAK, Exportation des céréales de l'Albanie au XIV et XV sièc/es, m STUDIA ALBANICA, 1968, n. 2, pp. l i l e segg.. '' A. DUCELLIER, Bysanceet le mondeartodaxe, Paris, 1986 {traduzione italiana, Torino, p. 179. 31 STORIA SOKOL DEDJA: L'emigrazione albanese [...] Ciò facilitò la possibilità di espropriazione dei più deboli. Dalla fine del sec. XIV non ci fu più differenza tra proprietà e signoria e, cosa più importante, ai grandi proprietari fu concesso il diritto di prelazione. Il processo di concentrazione feudaria in particolare, provocò traumi sociali in una zona prevalentemente montana come l'Albania dove avevano resistito a lungo le strutture sociali primitive modellate sul sistema dei contadini autogestiti (koria). Come ha osservato Castellan, fino a quel punto il villaggio era una comunità che rispondeva collettivamente allo stato nel pagamento delle tasse e che si autogovernava con un organo collegiale (Consiglio) e un capo. Le assemblee regolavano la vita della comunità e risolvevano i conflitti secondo i canoni ereditati dalla tradizione orale, limitando all'indispensabile le interferenze dei funzionar! bizantini18. Nei secoli XIV e XV, con l'espansione del latifondo, la disgregazione di questo sistema di clan provocò ciò che Ducellier chiama "nomadismo albanese"19 Intere bande, ordinariamente appartenenti alle vecchie strutture tribali, si danno al passo. Dalla Macedonia arrivano in Tessaglia nell'anno 1315 20 . Altri gruppi si dirigono verso l'Italia e l'Acarnania. Questi territori greci sono interessati da un calo demografico tale che i governi locali erano in competizione tra loro nello sforzo di attirare i coloni albanesi, necessari non solo nei lavori agricoli ma anche nella difesa del territorio. Le incursioni ottomane si verifìcano proprio in quel periodo. Venezia li chiama nei suoi possedimenti greci di Corone e Modone. Così anche i despoti della Morea. Furono gli Albanesi a sostenere ÌI peso della difesa di Corone e dopo la resa lasciarono la cittadella rifugiandosi in Italia. In alcune regioni, come l'Argolide, gli albanesi nel 1461, secondo i censimenti ottomani, sono più del 30 % della popolazione21. Il pesante prelievo feudale che con gli espropri è responsabile di G. CASTELLAN, Hhtairt des Balkatu (XIV-XX sièdes), Paris, 1991 (trad. it.. Lecce, 1999, P- 150). 19 A. DUCELLIER, op, cit,, p. 392. 2 U Ivi: K. JIRECEK, Appunti sull'Albania, trad. da Geschichte der Serben, Gothe, 1911 in ARCHIVIO DELL'ISTITUTO DI STORIA, A IH 118, pp. 24-25; L. VON THALLOCZY. K. JIRECEK, Shqiperia m tekaluaren, trad. da Illirysche-albanische Forschungen, Munchen, 1916, in ARCHIVIO DELL'ISTITUTO DI STORIA, A I 189, p- 1321 A. DUCELLIER, op. cit., p. 392. 18 32 STORIA SOKOL DLDJA: L'emigrazione albanese [...] questo "nomadismo" si inasprisce inevitabilmente durante la resistenza sotto la guida di Skanderbeg contro gli invasori ottomani. Non vi è dubbio che nella circostanza la lotta eroica degli albanesi abbia avuto il carattere di un movimento popolare e nazionale. Ma è anche vero che le gravose imposizioni feudali per coprire le spese belliche sono documentate tanto dal crescente volume di grano esportato in quegli annÌ-' J quanto da 11'espandersi dell'emigrazione. Questa era la congiuntura economico-sociale nel tempo dei flussi migratori più intensi verso l'Italia. Ma la regione continentale dei Balcani è zona "espottatrice di persone" nel "lungo periodo". Ciò richiede spiegazioni sul piano strutturale da ricercare nell'immobilità del mondo agricolo bizantino di cui parla Ducellier". Il vecchio sistema di sfruttamento del suolo ha fatto sì che i bizantini si trovassero in una posizione più arretrata rispetto a quella degli occidentali. Tale arretratezza si manifesta nella rotazione agraria biennale, nelle tecnologie tradizionali, nella inveterata ripetizione delle stesse colture e nel ritardo a intraprendere lo sfruttamento di nuove terre come si fece in occidente con l'aumento della popolazione. Ducellier attribuisce l'immobilismo atavico alla mentalità conservatrice dei contadini e a una natalità inferiote ai livelli demografici dell'Occidente. L'arretratezza del sistema agricolo trasformava ogni flessione demografica in un progressivo avanzamento delle paludi e in epidemie malariche. Anche Braudel, che è tanto attento alle situazioni tipiche della montagna, non trascura le restanti zone povere sotto i 500 metri e, citando l'Albania in particolare, ricorda che esse nella stagione delle piogge si trasformano in laghi e fango-'1, provocando infestazioni malariche. Le fonti venete menzionano la malaria nelle pianure albanesi già dall'anno 1390J\e le epidemie probabilmente sono state un forte impulso all'emigrazione. Nel ragionevole collegamento con i fatti economico-sociali delle migrazioni, la storiografìa degli ultimi tempi tende a sottovalutare la tesi dell'espatrio a causa dell'invasione ottomana. Per " B. HRABAT, „/>. di.. " A. DUCELLIER, op, ut. pp. ! 1-44. 24 F. BRAUDEL, «/>. <//., pp. 15 e 49. 11 A. DUCELLII-R, op. ,it., ibidem. 33 STORIA SOKOL DEDJA: L'emigrazione albanese [...] Sergio Anselmi questa lettura è stata la condivisione acritica di una "verità" così scontata da non richiedere una verifica perché si fondava su una filosofìa esemplificata: turchi = terra bruciata-''. Anselmi sa che l'occupazione ottomana concorre a spiegare gli espatri della seconda metà del XV sec. ma per il periodo precedente le cause scatenanti sono da ricercare nei fatti economici. Infatti, se si è creduto in un nesso automatico tra l'invasione ottomana e l'emigrazione albanese, la colpa è del limitato interesse al riguardo sui grandi esodi di fine XV sec. che coincisero parzialmente con la resistenza in armi di Skanderbeg. Oggi la penisola balcanica è definita "regione esportatrice di persone" a lungo termine e si è ampliato l'arco temporale degli studi. H. Bresc ha studiato gli atti che interessano gli Albanesi presenti nella città come braccianti, trasferitisi in Sicilia motu proprio e presto integrati nella società isolana2". Questi rogiti attestano che gli Albanesi già nei primi due decenni del XV sec. sono ormai integrati. Bresc ritiene che siano arrivati alla fine del XIV sec. forse venduti come schiavi1*. Anche l'italiana Visceglia, parlando delle immigrazioni in Puglia, spazia oltre il sec. XV e parla di un primo flusso nel 1272, di altri due successivi nel 1 327 e nel 1396 fino agli esodi del XV sec/J In tutto il tempo considerato, come vuole Anselmi, anche l'invasione ottomana aiuta a spiegare la ruga dai balcani nella seconda metà del XV sec.'" e a risolvere i problemi. Le cose si complicano quando leggiamo gli scritti di Braudel e di altri ancora sull'invasione ottomana dei Balcani. L'occupazione ottomana per tutta la realtà rurale dei Balcani fu veramente una "liberazione dei poveri diavoli''^ 1 perché ciò li affrancò dai grandi latifondisti, padroni indiscussi nelle loro terre mentre gli spani osmanì che li sostituirono inizialmente richiesero solo tasse in denaro, non corvè'1. -'• S. ANSELMI, Schiaravi e Alhamù neH'agrinlti/rn marchigiana, in RIVISTA DI STORIA DELL'AGRICOLTURA, 1976, p. 5. J I H. BRESC, Poar um hittuire Ja Albanau m Sicilie, in A R C H I V I O STORICO PER LA SICILIA ORIENTALE, LXVIII, 1972, pp. 257 e segg.. '"IVI, [,. 232. '" A. M. VISCEGLIA, Terra J'Otranta. Dagli Angioini all'Unità, in STORIA DEL MEZ/OGIORNO, VII, PP. 331-468. " : S. ANSELMI,^. .//.. p. v " F. B R A U D E L , op. eit.. p. 69S. !- IBIDEM 34 STORIA SOKOL DELÌJA: L'emigrazione albanese [ . . . ] Questa nuova classe dominante sotto il vigile controllo delle autorità statali, non potendo appropriarsi delle modeste risorse dei contadini, se vuole arricchire, non ha che da scegliere l'alternativa della guerra". Anche per Preto l'occupante ottomano è "nemico della nobiltà"'', teso a sradicare con l'eliminazione fisica la vecchia classe dirigente dei tenitori occupati. Qui la gente da secoli, oppressa dai feudatari locali, guarda con indulgenza i nuovi padroni che li liberano da un giogo insopportabile. Dalle opere degli storici veneti di questo periodo, Preto ricava, nei confronti dei Turchi, un quadro di distacco da parte delle popolazioni che vivevano nei possedimenti della Serenissima. Ciò nella maggior parte dei casi si trasforma in collaborazione e in vero tradimento. Preto ne cerca le ragioni nell'odio convinto contro i veneti, accusati di razzia dei beni bizantini. Se aggiungiamo a tanto i conflitti religiosi con i cattolici e la politica di sostegno alla nobiltà contro i contadini, praticata da Venezia, è così spiegata la convinzione ben enucleata nell'aforisma di Santa Sofìa dopo il concilio di Firenze: "il turbante dei Turchi è preferibile al mitra dei Latini". Si perviene così al ribaltamento dell'immagine di un gran numero di Albanesi e Balcanici in generale che, spinti dall'oppressione degli infedeli, cercano l'abbraccio dei fratelli cristiani oltre il mare. Ma fu veramente un miglioramento l'invasione ottomana per i contadini balcanici? Gli Ottomani imposero la pax tunica che pose fine a un lungo periodo di guerre stravolgenti e ciò indubbiamente causò povertà economica. Per quanto riguarda l'organizzazione economico-sociale, la storiografia degli ultimi anni tende a sottolineare la continuità. Lo storico turco Inalcìk trova una stretta relazione tra il feudo e il timar"'. Anche i vecchi feudatari, per propiziarsi i nuovi vassalli, ne salvaguardano le prerogative. Così, come sottolinea Ducellier, l'odio popolare e i tentativi di insurrezione non evidenziano l'avversione per il nuovo regime, ma la noncuranza per la salvaguardia delle vecchie strutture che erano insopportabili già prima dell'occupazione ottomana. Nel diario del veneto Stefano Magno"' del " IVI, p. 760. M P. PRETO. Vttttzta e i Turchi, Firenze, 1975, iap. Ili, parte IV. 11 H. INALCÌK. The ottoman empire. Thè classica! age. 1.ÌOO-1600, Londmi, 1973, p. 107. l" K. N. SATHAS, DW amenti inediti [>onr servir a l'hhtoìre du moyen agc, Pans, 1H88, voi. VI. STORIA SOKOL DEDJA: L'emigrazione albanese (...] 1480 i fuoriusciti albanesi operano contemporaneamente nei possedimenti turchi come in quelli Veneti: "scorrendo el paese a danni de' Turchi et etiam de' Veneziani". Il non facile problema da risolvere di un tema epocale nella storia dei Balcani, del tema relativo al suo sviluppo economico-sociale alla vigilia dell'occupazione ottomana e della ripercussione sul suo sviluppo, ha destato l'interesse degli storici di questa regione sulla diaspora della popolazione balcanica in quel tempo. Sfortunatamente questo interesse non ha ancora approfondito la conoscenza di questo fenomeno. L'emigrazione dai Balcani è semplicemente servita come materiale per tesi anche contrapposte l'una all'altra. Chi ha difeso la tesi della crisi economico-sociale, dell'asprezza dello sfruttamento feudale, ha ravvisato nelle emigrazioni una prova delle misere condizioni di queste popolazioni alle soglie dell'invasione ottomana. Tale invasione fu favorita dalla diffìcile vita in campagna e fu un miglioramento di quella situazione. Gli storici balcanici nell'insieme considerano l'invasione ottomana come un avvenimento traumatico e tragico nella storia della regione, responsabile dell'odierna arretratezza nei confronti della restante parte dell'Europa. I turchi ottomani hanno ostacolato uno sviluppo storico che fino allora, con tutte le difficoltà, procedeva con il passo dell'altra parte del continente. Secondo questa tesi gli occupatori non solo s'imposero con sconvolgimenti e terrore ma sottomisero anche i contadini della regione, parte dei quali fino ad allora erano liberi, al duro sistema del limar. L'occupazione ottomana impedì anche uno sviluppo embrionale dell'artigianato e del commercio". Anche la fuga dalla penisola è vista come dimostrazione di questo appesanti mento della situazione generale. Al contrario come abbiamo visto, chi ha posto l'accento sulla continuità, ha cercato nell'emigrazione un riscontro a questa tesi. Bisogna concludere che si fugge dalla povertà e non dai turchi ottomani? Il terrore praticato dagli ottomani è inventato? Alla domanda se la sottomissione ad una potenza islamica costituiva un problema culturale o religioso per la popolazione ortodossa dei Balcani, Ducellier risponde negativamente. » A. &\JDA,GjergjKaitrioti&nt>okattif, in STUDIME PER EPOKEN E SKENDERBEUT, Tirane, 1989, II, p. 21; Historia e Sbqiperise, 1959. 36 STORIA ___^__ ^^ SOKUL DfcpjA: L'emigrazione albanese [...] Dopo la capitolazione di Costantìnopoli, il patriarca accettò l'investitura del sultano come i suoi predecessori la ricevevano dall'imperatore bizantino. Affinchè la sua autorità spirituale su tutti gli ortodossi fosse riconosciuta dal potere temporale, il patriarca si faceva garante della loro obbedienza al Sultano. Sull'orizzonte dunque nihìl sub sole novi. Ciò spiega, secondo Ducellier, che non ci sono stati trasferimenti di ortodossi dai Balcani. Egli opina che i profughi in Italia provenissero dai possedimenti veneri e genovesi e che fossero cattolico-romani o uniati o costretti a emigrare per l'onerosa imposizione fiscale del Sultano. Le tasse e non la guerra santa in nome della fede li hanno spinti a insorgere disperatamente così che dopo l'insuccesso, non rimaneva loro che la fuga oltre Adriatico1". Ducellier non nega che vivessero in un clima di terrore, infatti i dati sui genocidi e le rappresaglie li giudica gonfiati da quelli che ricevettero il maggior danno dall'occupazione ottomana: gli intellettuali. Molti di loro erano sostenitori dell'unione religiosa con Roma, come unica possibilità di salvezza per l'Impero bizantino. Il documento più importante che descrive gli albanesi giunti in Italia come incalzati dalla repressione degli invasori è una lettera del papa Paolo II (1461-1471) indirizzata a Filippo, duca di Borgogna39, nella quale si dice: [...] Multi albanesi sono stati uccisi, altri sono sottoposti a un regime di estrema povertà. Sono cadute in possesso dei turchi ottomani le fortificazioni che nel passato ci hanno difeso frenandone l'impeto. Le coste italiane dell'Adriatico che sono più vicine al ciclone tremano per la paura. Ovunque regna il panico, il lutto, la morte, la schiavitù. È penoso vedere le navi dei fuggitivi dirigersi verso i porti italiani e povere famiglie, ormai senza patria, ferme sui litorali che piangono alzando le mani al ciclo. Certamente il papa è parte in causa, politicamente e ideologicamente condizionato. Della tradizione orale arbereshe ha pure dubitato Patrizia Resta in un suo studio antropologico'10. Se '* A. DUCELLIER, op. ut., p. 392. '" La lettera hi pubblicata per Li prima volta in P. P. RODOTÀ, Dell'origine, progresso r •.lutti presente del rito greco in Italia, L. I l i , Roma, 176^. p, W. "' P. RESTA, Parente/a e identità etnica. Consanguineità e scambi matrimoniali in una comunità tttilv-albanese, Milano, 1991. 37 STORIA SOKQlj^F-DJA: L'emigrazione albanese [...) la fuga dal terrore ottomano non è solo frutto della tradizione orale degli arbè'reshè, è ipotizzabile che sia nata nel 1471? In quell'anno un gruppo di albanesi firmava Ì capitoli" con i quali sì concedeva loro il villaggio di San Demetrio con l'esplicita ammissione «quod propter infelicem victoriam turcarum expoliati et exules sunt a patriis mansionibus» 42 . Ma le tradizioni non si consolidano in tempi brevi. E interessante il caso degli albanesi di Palazzo Adriano in Sicilia, per i quali abbiamo tre capitoli che sono, nell'ordine, del 1482, del 1501, del 1 507 e una riconferma dell'ultimo capitolo nel 1554'\ primi tre docume nel capitolo del 1554 si parla di «graeci albanenses ab eorum patria a crudelibus Turcis invasa expulsi»". Tale spiegazione viene fuori dunque dopo mezzo secolo di esilio. È facile arguire che siamo in presenza di un fatto nuovo nelle pieghe dell'oralità. È un dato storico documentato che l'avanzamento dei turchi ottomani abbia provocato esodi dalle zone interne verso quelle costiere e da lì frequentemente verso l'Italia. Spremic, per fare un esempio, ha studiato i documenti ragusani che provano la circostanza. A Ragusa, nel 1464, gli sfollati delle zone interne erano così numerosi che le autorità cominciarono a trasportarli nell'Italia meridionale a proprie spese. Alla fine del XV sec., il conte di Selenico comunicò a Venezia che tra il popolo regnava il panico e che molti abitanti volevano trasferirsi nelle Marche e in Puglia. A Ragusa nel 1465 tutti sapevano che gli esuli erano «fugientes a Turchis»15. Si sa inoltre che i turchi ottomani incontrarono una strenua resistenza negli albanesi guidati da Skanderbeg. Si è certamente combattuta una guerra per preservare i privilegi feudali ma non dimentichiamo i rischi corsi dalla " I capitoli frani) contratri fra il feudatario proprietario e gruppi di albanesi, ai quali veniva concesso un villaggio. Sono i documenti più importanti per lo studio della storia degli Arbéreshe. '- Capitoli pubblicaci in G. TCXICI - F. PUTITO, Gti Albanesi ir, Calabria, in ARCHIVIO STORICO DF.I.LA C A L A M U I A , 1914, p. 241 e *-gg. - l Capitoli pubblicati in Ci. LA MANTIA, / capitoli delle calùmi: greco-albanesi di Sici/ia dei secoli XV ,- XVI, Palermo, ] 90-1 " I V I , p. 7. 4" SPRL'MIC, La migrazione di Slavi in Italia meridionale e ni Si-iilia alla fine dd Medio Evo. in A t t i del VII Convegno degli storici i t a l i a n i e iugoslavi, Lubiana, 1978. STORIA SUKUL DEDJA: L'emigrazione albanese {....] nobiltà schierata in armi e dai suoi sostenitori: l'eliminazione fìsica. Almeno per i nobili alleati di Skanderbeg e per i loro capi occorre parlare di emigrazione politica. In una lettera di Giovanni d'Aragona, redi Sicilia (1458-1479), si diceche un gruppo di nobili, parenti di Skanderbeg, che avevano combattuto contro i Turchi ottomani con i loro coloni, chiedeva di avere asilo nel suo regno: ... nobiles Albani, seu Epirotae strenui contra turcos et clanssimi Ducis Georgi Castriota Scandcrbeg et Epiri Principis ac ciusclcm consanguinei, aliique nobiles Albanenses, qui in nostrum regnum Siciliae transeuntes cum nonnulla ailoniis illic abitare pretendimi ... "' Ovviamente la spiegazione di tutto il fenomeno migratorio è complesso, infatti ci sono ragioni diverse per gruppi sociali diversi. Quando si parla di fuga dall'invasore ottomano evidentemente bisogna limitare il discorso solo a una fascia della classe feudale e al loro seguito. Questi ultimi non erano pochi se si tiene presente che dopo tanti anni di guerra continuarono a essere registrati espatri consistenti. Il Regno di Napoli era un approdo naturale per lo sbarco, non solo per la sua posizione geografica, quanto per i noti legami che aveva la monarchia con i capi albanesi in guerra contro i turchi. Che l'accoglienza nel regno di Napoli fosse una conseguenza logica di queste relazioni lo dimostra una lettera poco conosciuta di Alfonso d'Aragona del 1452. Già da quell'anno era prevista questa possibilità. Alfonso scrisse al principe di Taranto Giovanni Antonio del Balzo Orsini: Crediamo site informato como li turchi fano continuamente guerra ali populi e chnstiani de Albania li quali nui e per opera de la carità per la fede che tenemo per la quale sostenermi la dieta guerra e perché molti deli baroni della so' venuti qua e racomandatosi e datosi a nui e per molti altri boni respecti li havirno molto cari e tenirnoli hommi tucti nostri e però che li turchi sono molto più possenti che loro, vi pregamo, incarricamo e comandamo che se caso fosse che li prefati chnstiam de Albania o alcuni de loro cachyati dali turchi recorressero a Leche o Brindisi o altre terre vestre, quelli faczati benignamente receptare. E fatili providere per loro denari a compiente preczo de tucte quelle cose che haverano bisogno e de questo ne farite servizio molto accepto 1 '. '"Documento pii libi icato per la prima volta in V. DORSA, Sugli A Uhi nei i. Ricerche e pt-Hìieri. Trani, 1847, pp. 75-76. ''J. MAZZOLENI, Codice Chigi. Un registro della Cancelleria di Aljunw I d'Aragona. n- ili Nttfali. per g/i anni 1451-1453, Napoli, 1-465, pp. 2-11-242. 39 STORIA SOKOL DEDJA: L'emigrazione albanese [...] Dopo la morte di Skanderbeg il re Ferrante si dispose a ricevere la vedova e l'erede del principe albanese. Con una lettera del 1468 mandò Girolamo di Carvigno in Albania con l'incarico di porgere loro le proprie condoglianze. Inoltre ... perché ad nui per loro misso proprio haveno notificato che vorriano venire in quisto nostro regno pregandoce li volessemo provedere ad alcuno navìglio per possere passare: pertanto li esponente che la loro venuta ad nui sera molto piacere48. I discendenti di Skanderbeg, come molti altri nobili albanesi, si integrarono nell'aristocrazia locale49. Nell'ampia cornice delle migrazioni albanesi ha rilevanza non secondaria il mercenarismo come forma di espatrio militare. Sono molti i documenti sulla presenza in Italia di mercenari albanesi al soldo di vari principati italiani: a Venezia i famosi stratioti50, a Milano nella cui cattedrale c'è il monumento sepolcrale di «Alexio de la Tarcheta de Albania» capitano di Francesco Sforza, a Urbino'1. Sul regno di Napoli sono interessanti alcuni documenti non visionati da chi ha trattato il problema. In una lettera di Alfonso d'Aragona del 1451 si ordina di lasciare libero transito nel regno e di sostenere nei suoi bisogni un albanese al suo servizio chiamato Vicinus Albanenses: ... cum Vicinus Albanenses familiari set fidelis noster ... prò plerisque nostris agendis ad nonnullis mundi partes Jmpresentiarum se conferre habet et de inde ad nostrum citerius Regnum Siciliae redire. Conclude la lettera con il desiderio che ... dictum vicinum in huiusmodi suo accessu cum equis, famìliaribus rebusque salubriter et absque aliqua passuum et quarumque cabellarum solutìone proficisci". I registri dei pagamenti del tesoro del Regno di Napoli53 riportano le paghe di molti mercenari albanesi. F. TRINCHERÀ, Codice Aragonese o sia lettere regie, ordinamenti et altri atti governativi de' sovrani di Napoli, Napoli, 1886-1874, I, p. 440. 48 4<>C{r. I. ZAMBUTI, Le lotte delpopolo albanese contro l'occupazione ottomana negli anni 1479-1492, in BOLLETTINO DELLE SCIENZE SOCIALI, 1956, n. 1, pp. 76-94; IDEM, La rivolta albanese al tempo della spedizione di Carlo Vili nel 1494-95, in IVI, 1957, n. 2, pp. 111-120. 10 Cfr. K. N. SATHAS, Documenti inedits pour servir a l'bistoiredu moyen age, Paris, 1888 VII. 51 P. P. RODOTÀ, of>. cit., p. 31. '; F. TRINCHERÀ, op. cit., I, p. 301. » Cfr. AA.VV, Fonti aragonesi, X, Napoli, 1979 e XI, Napoli, 1981. 40 STORIA SOKOL DEDJA: L'emigrazione albanese [...] Un esempio tra i tanti: nel registro del tesoro per l'Abruzzo del 1468 è segnato «il pagamento fatto alla gente d'arme»: un tale lorio Albanese che impegna in battaglia quattro cavalli, un tale Nicolao Albanese per sei cavalli, un Luca Albanese per cinque cavalli etc.M Qual è la consistenza nell'Italia meridionale di questi soldati rispetto al resto degli arbè'reshè? Non è possibile stabilire se i mercenari già ricordati provengano dall'Albania o vivano ormai in Italia. Mario Del Treppo è convinto che i soldati di una "compagnia di ventura" da lui studiata, con nazionalità slava, greca o albanese, vivano già nell'Italia meridionale". Le milizie del capitano albanese Reta, con le quali inizia ufficialmente la diaspora delle colonie albanesi in Calabria e in Sicilia, provengono tutte dall'Albania senza alcun dubbio. Ciò ha riscontro in un diploma del 1448, scoperto da Rodotà, con il quale il re di Napoli concedeva al Rera il governo della Calabria56. Ma la veridicità di questo documento è dubbia a giudicare da uno studio minuzioso di Domenico Zangari". Problematico è anche il nesso tra i primi insediamenti albanesi e la nota spedizione di Skanderbeg nell'Italia meridionale. Niente ci attesta che i soldati di Skanderbeg si siano fermati nei suoi feudi in Puglia, come hanno sostenuto, senza prove documentali, gli scrittori arbè'reshè del XIX secolo. Una lettera dell'ambasciatore milanese del 1462 dice che Skanderbeg era partito per l'Albania ma il suo seguito era rimasto in Italia™. Chi ci assicura che si stabilirono lì per sempre? Al contrario inoppugnabili fonti documentano che la fondazione dei paesi arbè'reshè di Civita e Belvedere di Spinello in Calabria è legata al capitano Giorgio Asan Paleologo. Una lettera regale pubblicata dallo Zangari™ assegna a questo militare il feudo di Civita H ivi, xi, pp. 221-222. " M. DEL TREPPO, Gli aspetti organizzativi, economici e sociali di una compagnia di ventura italiana, in RIVISTA STORICA ITALIANA, 1973, p. 264. 16 P. P. RODOTÀ, op. cit., p. 52. v D. ZANGARI, Le colonie italo-albanesi di Calabria. Storia e demografia. Secoli XV-XIX, Napoli, 1940, pp. 19 e segg. ™ Lettera pubblicata in F, FALL, / rapporti italo-albanesi intorno alla metà del XV secolo, Napoli, 1966. V 'D. ZANGARI, op. ut., p. 90. 41 STORIA SOKOLJJEDJA: L'emigra/ione albanese {•••! come ricompensa per i servigi militari resi al re. Negli anni 14711472 egli pagò la cassa feudale per Belvedere. Civita fu ereditata dal figlio Giorgio Raimondo come si evince da un documento pubblicato dal Trincherà che contiene una petizione indirizzata al re della città di Cassano per la restituzione di alcuni territori usurpati da ... Ramundo figliolo di mìsser Giorgio Greco al quale è stato concesso per dieta Maiestà uno casale nominato Civita''". Belvedere invece passò a Tommaso Paleologo Asan, fratello di Giorgio, che non è improbabile che sia "Thomas Asanius Paleologus", la cui stele funeraria si trova nella chiesa napoletana di San Giovanni Maggiore e dove si legge: senatorii vir ordinis a Bisancio // cuìus maiores regum ad fi ni tate clari Triballis // ac Corinthis dominati sunt // eversa a Turcis patria, puer ad reges neap. Aragoneos // deductus ( . . . ) // eor. Ad estrema terrarum dum vixere non deseruit //(.. ,)MDXXIII [persona del rango senatoriale di Bisanzio, i cui progenitori per la parentela con il re hanno governato su Tribal e Corinto, dopo l'invasione della patria da parte dei Turchi, ancora infante, lo affidarono alla corte dei re aragonesi di Napoli e, per tutta la vita, li seguì ovunque] Questi Paleologhi dunque provenivano dalla Morea dove c'erano numerose colonie arbèreshe. GÌ sono pertanto indizi che autorizzano ad ipotizzare che le famiglie albanesi presenti nei paesi appena ricordati le abbiano guidate proprio loro. CÌ sono altri casi come quest'ultimo. Il paese di San Marzano in Puglia fu popolato da albanesi nel 1530 quando lo acquistò il capitano Demetrio Capuzzimato. Visceglia afferma che fu proprio lui a condurre lì la parentela albanese61. Tale origine è documentata anche per un altro centro della Puglia: San Martino. Il re Ferdinando nel 1597 lo concesse a Lazzaro Mathes con l'impegno che lo popolasse con suoi connazionali62. Gli abitanti di questi paesi enino forse coloni-soldati che componevano le squadre dei sopracitati capitani? Non lo possiamo sapere con certezza, ma Del Treppo precisa che la parentela, i clienti, i vassalli costituivano l'ambito sociale nel quale si faceva il reclutamento delle milizie per le campagne italiane64. Inoltre ""F. T R I N C H E R À , <>/>. di.. Ili, p. 40. 01 A- M. VISCEGLIA, op. di., p. }49. a C. PRIMALDO, Gli Albanesi in Terra d'Qtnmt», m JAPIGIA, X n. s., 1939. pp. 321 e segg.. &1 M. DHL TREPPO, of. di., p. 270. STORIA SOK.OL DfcDJA: L'emigrazione albanese [...] molti scrittori ci descrivono gli albanesi d'Italia come gente incline alle armi. In verità le notizie certe circa la loro inclinazione a belligerare sono poche. I documenti parlano più frequentemente di bande di ladri formate da italo-albanesi. Il fenomeno del banditismo ha precise radici economicosociali. Esso è in relazione con fatti che vanno dai contrasti con gli indigeni alle difficoltà che riscontarono gli albanesi nel nuovo contesto economico-sociale e culturale. Patrizia Resta osserva che da una mappa degli insediamenti arbereshe è facile notare che essi si rifugiarono in zone montane, isolate e improduttive. La studiosa italiana crede che la condizione di inferiorità abbia spinto gli albanesi a isolarsi culturalmente. In verità la resistenza all'assimilazione fu possibile solo nelle zone montane mentre gli albanesi del Molise, delle Marche e della Puglia si integrarono più facilmente. Come sostiene Anselmi64 furono rapidamente assimilati gli albanesi dell'Italia centro-orientale per effetto dei rapporti produttivi che in agricoltura erano quelli della mezzadria per cui gli albanesi furono a stretto contatto con gli altri. Ciò non si verifìcò nell'Italia meridionale dove interi paesi si ripopolarono dopo essere stati abbandonati dagli albanesi o furono da questi ricostruiti ex novo mediante l'affitto delle terre o come coloni parziali dei latifondisti. Ecco in breve i documenti dove sono descritte le difficoltà incontrare dagli emigrati nel loro processo di integrazione nel contesto sociale italiano. Nel 1492 gli abitanti di Acri in Calabria si lamentano con il re Alfonso II d'Aragona dicendo che gli albanesi della zona non soggetti all'autorità della città, sono continuamente dediti al crimine, alle ruberie, ere/'5. I rapporti conflittuali con i feudatari, tenuto conto della naturale propensione alla violenza e al combattimento da parte degli albanesi, sono evidenti nei provvedimenti regali, richiesti energicamente dai baroni in parlamento nel 1506 per obbligare gli albanesi a vivere in luoghi murati e per vietare loro l'uso delle armi fuori dagli spazi abitati. Misure poco efficaci tanto che i baroni ripresentarono quelle richieste anche in un Parlamento del 1508r>(S. MS. ANSELMI, 0/7, cit., CAPALBO, Di alcune colonie albanesi nella Calabria Cifra, in ARCHIVIO STORICO DELLA CALABRIA, VI, 1918, p. 281. "fi Documenti pubblicati in TAJANI, Le istorie albanesi, Cosenza, 1969, pp. 19-20. M 43 STORIA SOKOL_DEDJA: L'emigrazione albanese {...] Analoghe sono le richieste rivolte dalla città di Cosenza al luogotenente della Calabria nel 150967Anche negli Statuti di Ancona, tra la fine del XV e l'inizio del XVI sec., troviamo espressioni di scredito verso gli albanesi. Un esempio: "natio Albanensium ad effundendum humanum sanguinem nimis prona68 (gli albanesi assai inclini alla lotta cruenta)". Anselmi in ciò vede la rivalità tra gli albanesi giunti per ultimi in Italia e gli altri balcanici69. La presenza degli albanesi in Italia diventa consistente dalla metà del XV sec. Sono emigrati per ultimi e pertanto il loro inserimento è diffìcile. Come si vede il problema dell'emigrazione albanese in Italia nel tardo medioevo non è di facile soluzione. Non si può cercare una sola motivazione ma bisogna vederla nella sua complessità come tessitura di concause. Sono almeno tre le motivazioni ad espatriare: la pesante situazione economico-sociale, l'oppressione da parte degli invasori, il mercenarismo. Ovviamente il problema dell'emigrazione albanese è ancora aperto. 47 IVI, p. 20. ^Cfi.G. VINTO, La politica demografica delle città, in COMBA ET MAI, Strutture familiari epidemie, emigrazioni nell'Italia medìoevale, Napoli, 1984, pp. 36-42. W S. ANSELMI, Schiavimi ...,op. ctt., pp. 12-13. 44 STORIA ZEF SHIRÒ: Mons. Paolo Schiro ZEF ScHiRò1 Mons. Paolo Schiro {...} Paolo Schiro nacque a Piana degli Albanesi il 25.11.1866. {...]. Dopo aver frequentato le scuole elementari del suo paese natio, studiò nel Seminario albanese di Palermo, di cui fu uno dei più bravi alunni, come ce lo testimoniano i numerosi attestati di profìtto di cui siamo in possesso e specialmente nelle lettere latine e greche. Ebbe compagni di scuola il poeta Giuseppe Schiro e il di lui fratello Giovanni con i quali condivise il grande amore per la lingua albanese e per le tradizioni avite. In quel sacro tempio della cultura nazionale e religiosa albanese essi appresero ad amare l'Albania e a lavorare per la sua indipendenza. Già da studente egli, sull'esempio di Demetrio Camarda, di cui mostrò sempre grande ammirazione, si diede allo studio della lingua albanese, come ci mostrano numerosi quaderni e scritti della sua prima età. È da ricordare che al tempo in cui Paolo Schiro era giovane studente, il Camarda era notissimo agli albanesi e agli studiosi, infatti egli morì nel 1882 quando Paolo Schiro era sedicenne. Consacrato sacerdote nella cattedrale di S. Demetrio rs.5.1892, per le sue doti e per la sua preparazione, dopo una breve parentesi di permanenza a Piana, fu chiamato ad insegnare lettere greche prima nel Seminario di Trivento e poi in quello di Bitonto (Bari). Ivi si distinse per le sue virtù morali e per la sua dottrina, tanto che l'I 1.2.1904 vi ricevette, dalla Santa Sede, la nomina a Vescovo degli albanesi di Sicilia e il 20 marzo dello stesso anno fu consacrato a Bìtonto alla presenza di una numerosa rappresentanza di italo-albanesi e di albanesi d'Albania. Tra i molti rappresentanti delle colonie vi era anche il poeta G. Schiro. La sua consacrazione a vescovo fu salutata dagli Albanesi di Sicilia come un avvenimento storico e tale lo fu se si considerano le condizioni pietose di abbandono in cui si erano ridotte le colonie albanesi di Sicilia. 1 Fratello del più noto papas Gjergji Schiro e per molti anni docente di chimica nei licei di Tirana in Albania. 45 STORIA ZEF SHIRÒ: Mons. Paolo Schifò A Mezzojuso da tempo non si parlava più l'albanese, a Palazzo Adriano pochissimi lo parlavano ancora e nelle altre colonie ne era scomparso l'uso nelle chiese dove tutte le pratiche religiose extra liturgiche si facevano in italiano o addirittura in dialetto siciliano. I preti si vergognavano di andare vestiti diversamente dai latini e non portavano più neanche il calimafìo perché non fossero riconosciuti quali preti albanesi. L'amore e l'attaccamento alla lingua, alle tradizioni avite, ai costumi nazionali in alcune colonie era scomparso e nella stessa Piana era fortemente in declino, anche se sacerdoti come papas Damiano Carnesi e papas Giuseppe Musacchia cercavano di arginare il totale sfaldamento della colonia più grande della Sicilia che era stata sempre la capitale morale dei siculo-albanesi. Ma le speranze dei migliori di Piana e di quanti avevano ancora a cuore il sacro patrimonio, lasciatoci in retaggio dai nostri avi, erano riposte nel nuovo vescovo di Sicilia ed egli non li deluse. Il giornale "Flamuri i Shqipèris" del 15 aprile 1904 scriveva: Tutti gli albanesi della Sicilia e tutti gli stranieri che lo conoscono, lo amano e lo venetano, sono oltremodo lieti che la $. Sede l'abbia scelto, fra gli altri sacerdoti, quale vescovo e quale rettore del Seminario nazionale di Palermo. Come rettore di dettd Seminario per più di venti anni istillò — come dice il Petrotta - nell'animo dei giovani studenti siculo-albanesi un forte amore alla lingua e alle avite tradizioni non per vano fanatismo, ma per un cosciente apostolato a favore della rigenerazione morale politica e religiosa del popolo albanese. E di questo stuolo dei suoi discepoli possiamo, primo fra tutti, annoverare il citato dotto albanologo prof. G. Petrotta e tanti altri sacerdoti e professionisti di Piana e delle altre colonie che da lui impararono la lingua albanese, che egli con tanto amore e tanta tenacia aveva portato di nuovo tra le mura del Seminario e delle chiese di Piana. Infatti egli riuscì a ripristinare l'uso della lingua albanese nelle chiese e fu dietro il suo luminoso esempio che il Petrotta, il Fetta e numerosi altri ancora continuarono il suo apostolato religioso e patriottico. Fu lui che pubblicò a sue spese, dal 1912 al 1915, il "Fiala e T'in'Zoti" che per il primo anno fu scritto interamente da lui fino a quando non ebbe qualche collaboratore quale fu il Gaetano Petrotta. 46 STORIA Zin: Si URO: Mons. Paolo Schifò Egli fondò in Seminario, a sue spese, una tipografìa albanese che non solo stampò il "Fiala e T'in'Zoti", ma numerose altre piccole pubblicazioni albanesi, in gran parte religiose che come il "Fiala e T'in'Zoti" egli faceva distribuire gratuitamente nelle chiese delle colonie. Il "Fiala e T'in'Zoti" non fu soltanto un giornaletto religioso della domenica, ma anche e soprattutto una scuola e un focolare di patriottismo di cui fecero parte numerosi giovani. Il "Fiala e T'in'Zoti" fu una palestra di studio e una fucina di entusiasti italo-albanesi. Le chiese delle colonie albanesi di Sicilia risuonarono di nuovo dei dolci accenti del nostro idioma. Il "Fiala e T'in'Zoti", pur nella sua modestia, attirò l'attenzione e dei patrioti e degli studiosi di tutto il mondo. I più grandi albanologi del tempo furono i primi ad accoglierne con grande interesse scientifico la pubblicazione, così Norbert Jokl, così il Geitle, così il Guys Holger Pedersen, che tanto tenevano a non perderne neanche un numero. Fu proprio a causa della pubblicazione del "Fiala e T'in'Zoti" che egli ebbe una intensa corrispondenza con gli studiosi e con i patrioti albanesi di quel tempo, Kristo Luarasi, Lumo Skendo, Lef Nosi, don Shtjefen Gje^ovi, Gjergj Fishta, Lazèr Mjeda e tanti e tanti altri che ne ammirarono la dottrina e il patriottismo. Paolo Schifò non fu soltanto un apostolo, fu anche un grande albanologo che ci lasciò importantissimi lavori linguistici ancora inediti. Egli è noto soprattutto per aver scoperto e studiato profondamente il più antico libro stampato in albanese, il Messale di don Gjon Buzuku del 1555. Infatti egli fu il vero scopritore del Buzuku di cui gli studiosi e la stampa albanese fino al 1909 non conoscevano l'esistenza. Fu appunto dietro le sue ricerche che gli studiosi seppero la storia del suo ritrovamento da parte di mons. D. Giovanni Battista Cassasi, albanese di Giaceva ed arcivescovo di Scopia nel 1740 e della comunicazione che questi ne fece al Padre Giorgio Guzzetta. Dietro queste notizie lo Schirò fu [...] a ritrovarlo nella biblioteca vaticana tra i libri non catalogati e subito con grande gioia ne diede l'annunzio a tutti gli albanesi nel mondo a mezzo della stampa. Il primo a riceverne la notizia e a pubblicarla fu il 47 STORIA ZEF SHIRÒ: Mons. Paolo Schifò "Dielli" (anno II, n. 51) del 18.3.1910 sotto il titolo II più antico scrittore albanese conosciuto scrive quanto segue: Nel n. 41 di DIELLI dicevo (è Faik Knnica che scrive) che il primo scrittore albanese conosciuto è PASQYRA E REFIMIT (Speculum confessionis) di Pietro Budi, stampato nel 1621 a Roma. Un esemplare di questo libro si trova nella biblioteca Mazarino dì Parigi, e sono il prÌ-mo che l'ho scoperto come scrivevo in "Albania", da tempo, perché prima di me gli albanologi credevano che il più antico libro albanese fosse il vocabolario latino-epirotìco di Franco Bardhi (Roma 1635). Con gioia profonda e indicibile, ho ricevuto una lettera di S.E. mons. Paolo Schirò, vescovo titolare di Benda, rettore del Seminario albanese di Palermo. L'illustre patriota mi dimostra l'errore che facevo dicendo che il libro più antico conosciuto nella lingua nostra uscì nel 1621. S.E. conosce invece libri molto più antichi e ci porta fino qui il giornale riporta la lettera dello Schirò che parla appunto del ritrovamento del Messale del Buzuku e della esistenza della Dottrina di Luca Matranga. Ho voluto ricordare quanto sopra per ben chiarire che se è vero che il Cassasi ne comunicò privatamente il ritrovamento del Messale presso la Propaganda Fide al nostro Padre Giorgio Guzzetta, rimane sempre allo Schirò il merito grande di averlo scoperto fra i libri sconosciuti della Biblioteca vaticana dietro la lieve traccia della comunicazione del Cassasi che risaliva al 1740 cioè a 269 anni prima. Rimane quindi mons. Paolo Schirò il vero scopritore del Messale del Buzuku, come ne fu il suo più grande studioso, come diremo. Tutti i giornali del tempo ne annunziarono la scoperta come il Tamari del 30 giugno 1910, Liria del 19 giugno 1910 ed altri ancora. Il prof. G. Schirò nel discorso accademico tenuto nel 1918 e riportato dall'annuario dell'Istituto Orientale di Napoli (19171918) dice: La fortuna ben meritata di ritrovare a Roma il libro di cui trattasi, l'ha avuto l'attuale vescovo degli albanesi di Sicilia, mons. D. Paolo Schirò, cultore appassionato della lingua dei padri. Di questo importantissimo documento linguistico il grande albanologo lasciò uno studio profondissimo intitolato "I testi biblici in lingua albanese di dom. Gjon Buzuku, messi in ordine, con traduzione letterale italiana e note". Questo manoscritto è, a giu- STORIA _____ Zh> SHIRÒ: Mons. Paolo Schirò dizio di quanti studiosi ne hanno preso visione, un importantissimo contributo allo studio della lingua albanese. In questo studio, maturato da varie decine di anni di lavoro, l'autore ci presenta nella sua interpretazione fonetica il parlare del Buzuku, cioè l'albanese del 1555 e al lettore il vecchio codice è presentato come un libro contemporaneo di cui può gustare le espressioni di quel vetusto albanese del XVI secolo. Quello che poi ispira profonda ammirazione è che il libro, nelle sue vaste e ricche note, è sviscerato in tutte le sue forme e messo in paragone dei testi antichi che l'autore conosceva in maniera veramente minuziosa. Basta leggere una sola pagina di queste note per rendersi conto della grande importanza dello studio dello Schirò. Molti problemi di fonologia, di morfologia e di sintassi ne sono talmente illuminati che soltanto la costanza certosina e la perizia magistrale di Paolo Schirò potevano risolvere. Lo studio della lingua albanese con questa opera riceverà senza dubbio un nuovo grande impulso. Un noto studioso albanese, Aleksander Xhuvani, ebbe a dirmi, dopo aver dato uno sguardo al manoscritto: Nessun albanese come nessuno straniero studiò mai la nostra lingua così profondamente e minuziosamente e con così grande amore e costanza. Mustafa Kruja poco tempo prima di morire mi scriveva testualmente: II lavoro fatto dal compianto vostro zio, mons. Paolo Schirò, con l'opera sul Buzuku, portandolo prima alla luce e poi studiandolo, è uno di quei lavori per i quali non vi può essere compenso. Il suo nome rimarrà scolpito nella mente di quanti si occuperanno di letteratura e di filologia albanese [...] Questa è l'opera sua più importante, ma di lui rimane molto importante anche una grammatica incompiuta, in cui sono profuse a grandi mani le sue profonde conoscenze degli antichi autori. Ultimo lavoro per ordine di tempo non per importanza fu la traduzione della liturgia di San Giovanni Crisostomo che egli scrisse nella piena maturità dei suoi anni, e con la grande esperienza e dottrina che aveva acquistato in tanti anni di studio della lingua albanese. Egli che pur conosceva la liturgia in uso presso 49 STORIA ZEF SHIHÒ: Mons. Paolo Sdì irò la chiesa autocefala albanese e le altre traduzioni precedenti, non la trovava adatta al suo compito soprattutto per le colonie albanesi d'Italia. Egli volle creare qualche cosa eli più elevato e di più degno della liturgia, qualche cosa che si avvicinasse ancor più alla dolcezza espressiva della lingua usata dal Crisostomo. Con questo intento egli tradusse la liturgia con la scienza di un dotto e con il fervore di un santo. Prendendo come sfondo linguistico albanese delle colonie (essendo questo l'albanese più arcaico e che egli conosceva alla perfezione) e facendo tesoro della conoscenza profonda del Buzuku, del Budi, del Bogdani e del Matranga, riuscì a creare una lìngua aurea degna dello scopo a cui era destinata. In questo breve lavoro infatti noi troviamo usata una lingua albanese, nobile per la sua vetustà arcaica e spoglia da quegli inutili e superflui barbarismi di cui è infiorata talvolta la nostra migliore prosa. Possiamo ben dire che in questo libro noi troviamo la lingua dei nostri padri tornare viva in bocca dello Schirò, che la sa plasmare e adattare mirabilmente agli elevati concetti della liturgia. Leggere questa prosa pervasa da mistica poesia religiosa è veramente un godimento spirituale. I nostri papas più vecchi che lo hanno avuto grande maestro ricordano quando a passeggio la sera rileggeva loro questo lavoro che chiuse come una preghiera le fatiche di un dotto e di un giusto. Perché Paolo Schirò non fu soltanto un dotto, egli fu soprattutto un grande uomo di carattere. Egli non piegò mai la schiena ai ricchi e ai potenti per averne le grazie e i favori deflettendo dai suoi principi. Fu un precursore delle moderne correnti democratiche e così si spiega la sua amicizia con i fondatori di queste correnti e il grande rispetto che questi ne avevano. A questi principi egli fu sempre fedele anche quando ciò gli fu di nocumento personale ed infatti negli ultimi anni rimase solo con i suoi libri e con Ì suoi studi di albanese a lui tanto cari. La morte lo colse il 12settembre 1941 nella sua diletta Piana che può andare orgogliosa di avere dato i natali a uno dei più grandi italo-albanesi. DOCUMENTI MATTEO MANDALA: L'Albansk Samling della Biblioteca Reale di Copenaghen MATTEO MANDALA' MAlbansk Samling della Biblioteca Reale di Copenaghen Numerosi e, talora, poco noti sono i fondi archivistici che custodiscono le preziose "reliquie" del patrimonio culturale degli Albanesi di Sicilia. Uno di questi è l'Albansk Samling della Biblioteca Reale di Copenaghen, costituito grazie alla incessante attività di ricerca di Giuseppe Gangale, uno studioso di origini calabresi, che dedicò gran parte della sua vita allo studio delle comunità arbè'reshe. In seguito alla programmazione delle iniziative previste nell'ambito del progetto Brinjat, elaborato dal comitato tecnicoscientifico di cui fanno parte i Sindaci e i loro delegati dei cinque Comuni albanesi di Sicilia (Piana degli Albanesi, Contessa Entellina, Palazzo Adriano, Santa Cristina Gela, Mezzojuso), la Cattedra di lingua e letteratura albanese della Facoltà di Scienze della Formazione e i rappresentanti l'Assessore alle politiche sociali della Provincia Regionale di Palermo, si è ritenuto di procedere ad una ricognizione preliminare del materiale custodito presso l'Albansk Samling allo scopo di predisporne l'eventuale riproduzione e, qualora si rendesse opportuno, di avviare una rigorosa e graduale pubblicazione. Questo lavoro preparatorio è stato eseguito e i risultati, direi brillanti, vengono di seguito illustrati sommariamente, in attesa che un'imminente pubblicazione specifica possa ospitarli per esteso. Il periodo di soggiorno e di studio a Copenaghen, pur breve, è stato il concreto risultato di una intesa culturale e scientifica fra i diversi enti che partecipano attivamente alla realizzazione del progetto, e rappresenta, senza ombra di dubbio, un valido modello che è già stato replicato da altre realtà minoritarie (albanofone e non). La precisazione non è superflua giacché, dopo la generale (e giustificata) euforia suscitata dall'approvazione della legge di tutela della minoranze linguistiche, è parso indispensabile agli 1 Professure ordinario e titolare della Cattedra di Lingua e letteratura albanese presso la Facoltà di Scienze della formazione dell'Università di Palermo. 51 DOCUMENTI _ MATTEO MANDALA: L'Albansk Samling della Biblioteca Reale di Copenaghen enti e alle istituzioni, (Comuni, Università, Provincia e, auspicabilmente, Regione) più vicini alle realtà territoriali, predisporre interventi senza troppo contare sugli aiuti nazionali. È di pochi giorni fa, infatti, la notizia della bocciatura ingiustificata del progetto Rrenjat tona, presentata dal consorzio formato dagli Istituti comprensivi di Contessa Entellina — capofila - Palazzo Adriano e Piana degli Albanesi - Santa Cristina Gela. Tale atto è stato consumato da un comitato tecnico nazionale evidentemente troppo sbilanciato a favore delle minoranze del nord Italia — la friulana in particolare —, le stesse che hanno goduto della maggior parte dei finanzia-menti. Per l'anno scolastico 2002-2003 gli alunni arbèreshè di Sicilia e di Calabria non potranno seguire i corsi di albanese se non interverranno gli EELL. Giuseppe Gangale iniziò la raccolta dei manoscritti e delle opere a stampa italo-albanesi verso la fine degli anni '50 del Novecento, incoraggiato dai glottologi danesi Holger Pedersen e Louis Hjemslev e sostenuto finanziariamente dalla Biblioteca Reale e dall'Istituto di Glottologia dell'Università di Copenaghen. La ricerca si dispiegò in quattro "viaggi" (rejse) compiuti negli anni 1956-58, 1968, 1969, 1971. A tutt'oggi soltanto del primo è stato possibile ricostruire le fasi e di ognuna individuare il materiale reperito in Calabria e in Sicilia grazie ad una relazione, presentata da Gangale e controfirmata da Hjemslev, consultabile nel Dipartimento dei manoscritti, dov'è materialmente custodito l'Albansk Samling. Tra il 1956 e il 1958 Gangale recuperò e acquisì i seguenti materiali manoscritti: Viaggi Materiali manoscritti Periodo Rejse I Maggio 1956 Macchina albanese Rejse II 2.12.1956 4.1.1957 De Rada Rejse III 4.4.1957 store dele af G. Dara's 52 DOCUMENTI MATTEO MANDALA: L'Albamk Samling della Biblioteca Reale di Copenaghen 16.5.1957 originalmanuskript til dìgtet "Baia" 1) s. 1-14; 2) bl. 1-18 (undragen bl. 6); 3) bl. 1-35 + brev fra G. Darà 4.2.1903; 4)bl. 1-15 Rejse IV 3.9.1957 26.9.1957 Rejse V 22.12.1957 14.1.1958 Rejse VI Rejse VII Rejse Vili 24.4.1958 11.5.1958 5.8.1958 12.8.1958 23.12.1958 14.1.1959 RejselX Som. 1959 ReiseX 2.1.1960 17.1.1960 mappe 1-5: Hàndskrifter k0bt i Palermo og hidr0rende fra den albanske laerde Dimitri Camarda (1821-1882) mappe 1-3: texter i Hora dialekt; mappe 4: Dimitri Camardas grammatik; mappe 5: Afskrifr af begyndelsen af Ketta's ordbog; mappe 7-10: Bidhera Opingari; Hàndskrifter k0bt i Palermo i Palazzo Adriano Hàndskrifter erhvervet i Palazzo Adriano (Sicilien) og i Palermo. Ghetta, Darà, Schirò Darà fundet II: Hàndskrifter hi-dr0rende fra Ndriz Darà og hans famìlie. Tuz Kjara: Hàndskrifter hidr0rende fra Tuz Kjara en neve af Ndriz Data. Ghetta Cristina Gentile-Mandalà, Crispi Glaviano (Sul monte delle rose) , A questo primo gruppo di manoscritti, se ne aggiunsero i molti altri che Gangale acquistò dalle famiglie degli eredi oppure da coloro che, avendo libero accesso alle biblioteche pubbliche locali, si impossessarono dei materiali lasciati incustoditi, cedendoli per poche lire al caparbio studioso calabro-danese: grande fu il suo merito giacché una fine ancora meno esaltante avrebbe duramente condannato all'oblio quei preziosi documenti se non fosse occorsa la straordinaria fama di cui essi godevano nelle lontane e fredde terre dello Yutland e se non fosse stata scongiurata la sciagurata indifferenza che li circondava nelle loro terre natìe! Gangale, Pedersen e Hjemslev sono stati degli autentici benefattori del patrimonio culturale arberesh e di ciò gli arbereshe devono essere eternamente riconoscenti. DOCUMENTI MATTEO MANDALA: L'Albansk Samling della Biblioteca Reale di Copenaghen Sarebbe lungo riportare, in questa sede, un elenco completo dei materiali reperiti da Gangale. Suddividendoli per paese d'appartenenza, di seguito se ne offre un saggio per illustrare l'importanza dell'Albansk Samling: - Palazzo Cariano: quasi tutte le opere manoscritte della famiglia Darà (Gabriele senior, Andrea, Gabriele junior): lezioni manoscritte di alcune famose canzoni, oggi divenute patrimonio orale anonimo (la variante del Lazzaro di Gabriele senior, la versione cogli abbozzi e le prove di penna del notissimo canto Si te pash e para nere, finora considerata anonima e composta dal menzionato Gabriele senior), le diverse redazioni di un dizionario italianoalbanese elaborate prima da Andrea e poi proseguite da Gabriele junior, le menzionate redazione della celeberrima opera epico-lirica di Gabriele junior L'ultimo canto di Baia, gli epistolari, i cenni storici sulle costumanze di Palazzo Addano, le opere manoscritte e alcuni acquarelli di Francesco Crispi Glaviano, il dizionario della signora Bidera Opingari, alcune pagine manoscritte di mons. Giuseppe Crispi, documenti notarili e vari altri manoscritti che necessitano ancora uno studio e una catalogazione. - Mezzojuso: pochi ma importantissimi i documenti del papas Nicolo Figlia, del quale Gangale riuscì a riprodurre fotostaticamente il Codice chieutino, oggi conservato anche nella Biblioteca dell'Area Umanistica dell'Università della Calabria (BAU). - Contessa Entellina: è certamente la parte più cospicua del fondo. Conserva un gran numero di manoscritti di Nicolo Ghetta, alcuni già noti (le varie redazioni del Tesoro di notizie su de' Macedoni che in ho già potuto descrivere nell'Introduzione alla edizione del manoscritto - conservato nella Biblioteca Regionale di Palermo, il frammento di grammatica, il ponderoso Lessico italiano e macedone, le opere fìlosofìche - l'ontologia e la metafìsica -, le opere esoteriche dedicate all'interpretazione degli oracoli sibillini e della Kabala, parte dell'epistolario, alcune composizioni poetiche in greco, latino, italiano e albanese), altre del tutto sconosciute alla comunità scientifica giacché, come si dirà oltre, Gangale non riuscì a studiare e catalogare. Degni di menzione sono 54 DOCUMENTI MATTEO MANDALA: L'Alhansk Samling della Biblioteca Reale di Copenaghen quei manoscritti con i testi sacri in albanese e greco (inni, traduzioni della liturgia, composizioni poetiche, raccolte di proverbi, espressioni fraseologiche tipiche dell'Albania settentrionale, ecc.) che certamente attireranno l'attenzione di quanti si occupano di storia della lingua e della cultura albanesi. Infine sono da ricordare alcuni scritti di carattere storico relativo alla controversia fra i due riti in Contessa scoppiata subito dopo l'emanazione della bolla pontifìcia Etsi pastoralis di Benedetto XIV. - Piana degli Albanesi: Cospicuo è anche la parte del fondo proveniente da Piana: un gran numero di documenti apparteneva ai fratelli Camarda, soprattutto ai papàs Demetrio — il celebre glottologo — e Giuseppe. Del primo sono stati rinvenuti i saggi ancora oggi inediti e sconosciuti, tra i quali la recensione, giunta in varie redazioni abbozzate, dell'opera folcloristica di Girolamo De Rada — Rapsodie di un poema nazionale albanese del 1866 -, la grammatica dell'albanese, parte dell'epistolario familiare, ecc.). Del secondo sono state rinvenute le versioni manoscritte della traduzione nella parlata di Piana del Vangelo di San Matteo, pubblicato a Londra dalla Società Biblica della capitale inglese. Numerosissimi i documenti del XVIII secolo, tra i quali quelli di Nicolo Brancate, alcuni aurografì, già noti perché una loro riproduzione fotostatica si conserva nella BAU, del XIX secolo (i canti di Carlo Dolce, dei quali ho eseguito una edizione critica apparsa nei Quaderni di Bìblos), e soprattutto quelli del mons. Paolo Schirò, il celebre albanologo che diede un serio e fecondo impuls o — a partire dai primi del Novecento — ad una disciplina poco coltivata nell'ambito dell'albanologia internazionale: la filologia. Olrre alla riproduzione integrale del M.e$hari di Buzuku, sono stati rinvenuti in fogli sciolti le riproduzioni delle più antiche composizioni arbereshe che costituiscono un contributo eccezionale per la ricostruzione dei meccanismi di diffusione di una cultura letteraria "alta" divenuta nel tempo patrimonio anonimo e popolare: gli stessi canti oggi si eseguono nelle nostre Chiese, anche se ignoti rimangono ai più i nomi degli autori, il periodo di composizione e, soprattutto, le ragioni ultime di questa singolare e fecondissima produzione letteraria. DOCUMENTI _MATTEO MANDALA^ L'Albansk Sam/ìng detla Biblioteca Reale di Copenaghen Sarebbe davvero dispendioso continuare l'elenco o anche la semplice menzione dei documenti. La difficoltà riguarda anche lo stato attuale dcìYAlbansk Samling. Nel corso degli anni 70, Gangale tentò di dare un ordinamento al materiale secondo un criterio storico, disponendoli cioè secondo l'ordine di acquisizione in sezioni denominate "Theca" e apponendo un numero progressivo arabo ai singoli fascicoli e, quando il caso, una successiva numerazione alle buste (di volta in volta una numerazione araba oppure le lettere dell'alfabeto). Un primo parziale resoconto dei materiali così ordinati apparve a firma di Gangale nel 1973 col titolo Verzeichnis zur zlbaniscben Handscbriftensammlung Kopenhagen ZusammengestelItvon G. T. Gangale, Crotone und Kopenhagen (5.11.1973); un più ampio resoconto e una più articolata descrizione sono contenuti nei Kommentare zur zlbaniscben Handscbriftensammlung Kopenhagen (5.XI.1973), di cui esistono due copie dattiloscritte, l'una conservata nella BAU, dove esiste un secondo fondo di materiali, l'altro presso la DKB. Gangale riuscì a costituire sei sezioni che ospitarono gran parte dei manoscritti. La morte improvvisa gli impedì tuttavia di completare l'ordinamento e, soprattutto, la descrizione di quei materiali che, tolti in prestito da Pedersen e da Hjemslev, oggi si trovano nei rispettivi archivi personali, anch'essi successivamente confluiti nel Dipartimento dei Manoscritti della DKB. Allo stato attuale VAlbamk Samling presenta due tipi di limiti: a) la mancanza di un ordinamento archivistico più funzionale (descrizione fìsica dei mss.; raggruppamento per aree, autori e periodi; attribuzione dei mss.; descrizione di almeno 105 pezzi che Gangale intendeva includere nella Theca VII); b) la descrizione di almeno 105 pezzi archivistici che Gangale intendeva includere nella Theca VII, ma che ancora oggi risultano non classificati e quindi ufficialmente "sconosciuti". Un apposito documento, redatto dopo il breve soggiorno danese e consultarle presso la Cattedra di Lingua e Letteratura Albanese della Facoltà di Scienze della Formazione, contiene un resoconto dettagliato della consistenza, della qualità e del tipo di mss. siculo-albanesi. 56 DOCUMENTI MATTEO MANDALA: I-'Albansk Sam/ing della Biblioteca Reale di Copenaghen In esso si noterà l'assenza di riferimenti ad alcuni mss., attualmente non disponibili perché in restauro. Nei cinque giorni di lavoro, anche grazie alla collaborazione assicurata dalla struttura dipartimentale danese e alla intelligente operosità della giovane studiosa Paola Guzzetta, si è potuto soltanto prendere visione dei materiali e predisporre il menzionato inventario: tali e tanti erano infatti i documenti, spesso fogli sciolti e in molti casi raggnippati in modo confuso, che la semplice individuazione della loro origine e paternità, nonché dei contenuti, richiedeva un tempo tanto lungo da sconsigliare ogni ulteriore approfondimento. Anche se i due citati lavori di Gangale, costantemente tenuti in consultazione, e il lavoro preparatorio preliminarmente effettuato nella settimana precedente la partenza per Copenaghen, si sono rivelati utili, l'indagine non si è potuta estendere a tutti i materiali (in particolare a quelli non ancora "ufficialmente" schedati). Durante la permanenza a Copenaghen sono stati avviati contatti con la direzione del Dipartimento dei Manoscritti. Nel corso dei colloqui con il direttore, il dr. Ivan Bosserup, sono state disegnate alcune ipotesi di collaborazione. In particolare è stata sostenuta l'idea di completare la catalogazione di quei documenti ancora oggi non studiati, di organizzare successivamente una esposizione in Sicilia dei manoscritti danesi, di pubblicare un catalogo dei medesimi, di creare un'apposita "finestra" sul sito ufficiale della DKB dedicata al fondo Albansk Samling. La realizzazione di questa ipotesi sarà oggetto della seconda fase prevista dal progetto Brinjat: si tratta del viaggio che compirà una delegazione formata dai rappresentanti delle cinque comunità albanesi di Sicilia e della Provincia Regionale di Palermo. Ad esse è affidata il delicato compito di avviare rapporti di scambio culturale e di partenariato con la DKB. Dal successo di questa improrogabile e indispensabile "missione", dipenderà l'occasione unica e irripetibile della comunità arbè'reshe di porer ammirare le sue preziose "reliquie". 57 DOCUMENTI Nell'ambito della ormai consolidata collaborazione fra biblioteca comunale G. Schirò e cattedrale di S. Demetrio in Piana degli Albanesi è stato possibile riordinarne e inventariarne l'archivio storico. L'inventario è stata opera di Giuseppina D. Schirò, dipendente presso il comune di Piana degli Albanesi in dotazione alla biblioteca. Il documento, che qui pubblichiamo, proviene da quell'Archivio, e riporta un verbale di consegna in custodia di libri da parte del sindaco di Piana Luigi Fetta all'arciprete Giorgio Dorangricchia. Il lavoro pregevole della Schirò e il documento, non particolarmente importante in sé, documentano un momento di collaborazione fra Enti e Istituzioni che se pure diversi, uno laico e l'altra religiosa, amministrano beni della comunità. Tale forma di collaborazione ha consentito dì ottimizzare le risorse a disposizione incrementando le opportunità di valorizzazione del patrimonio culturale della comunità di Piana. Costituisce, in altre parole, un modello che merita di essere reiterato su scala più ampia mettendo assieme le esigenze di chi detiene gran parte dei beni culturali (VEparchia) e chi le risorse umane per valorizzarli e renderli fruibili nella prospettiva, auspicabilmente comune, di contribuire all'avanzamento spirituale, culturale e sociale dei cittadini. Avere custodito e tramandato i beni è stato un merito storico senza pari, ma ormai, sussistendo tutte le condizioni per passare ad iniziative di valorizzazione e fruizione, non è più sufficiente. Sono maturi i tempi, riteniamo, perché si possa e si debba ragionare in termini di "comunità" e non di "parti" più o meno separate, titolari semplicemente di "competenze" diverse. Chi ha la responsabilità di dirigere sembra avere capito. Ove così non fosse, grave sarebbe la responsabilità dei gruppi dirigenti ed evidente la loro incapacità di comprendere lo spirito dei tempi con palese dimostrazione di inadeguatezza rispetto al compito che la comunità ha loro assegnato. Porrne più avanzate di collaborazione inevitabilmente produrranno ulteriori opportunità per Piana. Questo richiede il tempo presente, questo auspicano gli spiriti più aperti e le intelligenze più avvertite della comunità. DOCUMENTI Regnando Sua Maestà Umberto Primo per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d'Italia. L'anno milleottocentonovantotto il giorno cinque del mese di marzo nella residenza municipale di Piana dei Greci. Innanzi a noi, Giovanni Costantini segretario comunale, si sono personalmete costituiti: il sig. Luigi Fetta, sindaco rappresentante il Comune di Piana dei Greci nel cui interesse interviene al presente contratto, ed il sac. Giorgio Dorangricchia, figlio di Matteo, nato e domiciliato in Piana dei Greci nella sua qualità di Arciprete di detto Comune, e colla presenza dei testimoni sotto-scritti, a noi noti, nati e domiciliati in Piana dei Greci ed aventi le qualità volute dalla legge. Si premette che con deliberazione in data nove gennaio 1898 (resa esecutoria dalla N. Prefettura lì 10 febbraio 1898, div. 2° sez. 1° n. 3598) il Consiglio comunale di Piana dei Greci deliberava di [...} la spesa degli scaffali fatti dal sig. Valentino Francesco nella Matrice Chiesa per depositarne Ì libri ritirati dall'archivio comunale, sito in questo comune nell'ex convento dei Filippini e concessi all'Arciprete dal [ • • • ] con deliberazione del giorno 6 febbraio 1891 n.l 1 (resa esecutoria dalla N. Prefettura il 2 marzo 1897 div 2° sez. 1° n. 254) e nel contempo dava incarico al sindaco pria che si eseguisse il pagamento di detti scaffali, dì stipulare un atto d'obbligo coll'Arciprete, dal quale risultasse che gli scaffali e i libri descritti in apposito elenco e depositati nella Madre Chiesa, fossero di proprietà del Comune. In esecuzione della predetta deliberazione il sig. Luigi Petta col nome, in virtù del presente atto [...] custodia provvisoria al Sac Dorangricchia col nome, Ì libri già ritirati dall'archivio del Comu-ne, un tempo appartenenti all'oratorio dei santi padri di rito greco ed altre corporazioni religiose, e descritto nell'apposito elenco e nel complessivo numero di volumi settecentoventicinque, 725, dando obbligo al medesimo di curarne la conservazione, di esibirli agli studiosi su richiesta, e di consegnarli all'Amministrazione del Comune, insieme agli scaffali ogni qualvolta gli saranno domandati per mezzo di atto da rìlasciarglisi dal messo comunale. Le spese del trasporto di detti scaffali e libri saranno a carico del Comune. Il Sac. Giorgio Dorangricchia, nella qualità sopra spiegata, 59 DOCUMENTI dichiara di avere ricevuto i libri di cui sopra nel complessivo numero di settecentoventicinque volumi (725), giusta descrizione fatta nell'apposito elenco. Un esemplare di detto elenco è stato depositato nella Segreteria Comunale firmato dallo stesso Dorangricchia Giorgio, dal Sindaco Luigi Fetta e dal Segretario del Comune sig. Costantini Giovanni in ogni foglio debitamente bollato col timbro del Comune. Il prelodato sac. Dorangricchia si obbliga conservare detti libri provvisoriamente nei locali della Madre Chiesa, di esibirli agli studiosi e di riconsegnarli, lui at i suoi successori, al comune, ogni qualvolta gli verrranno richiesti insieme agli scaffali. Il presente atto scritto {...]. Letto e confermato, viene sottoscritto dai comparenti testimoni e da noi Segretario comunale, Luigi Fetta, sindaco, sac. Giorgio Dorangricchia, arciprete di Piana dei Greci. Bennici Salvatore Pasquale, teste, Michele Matranga, teste. [.-.] È copia conforme all'originale rilasciato a richiesta dal sac. Giorgio Dorangricchia, Arciprete di Piana. 60 LINGUISTICA ANGELINA CUSENZA: Diaspora nelia diaspora [...] ANGELINA CUSENZA* Diaspora nella diaspora: sulla parlata degli arbereshè italo-americani Nello studio dei meccanismi di vitalità di un sistema linguistico, una speciale cartina di tornasole è data dall'analisi della lingua in situazione di diaspora. Il parlante, in questa condizione, è esposto ad una duplice e contraddittoria spinta: quella che lo sospinge alla fedeltà e alla conservazione del patrimonio (etnico, linguistico, culturale) ereditato e l'altra che, su pressione dì esigenze esistenziali di inserimento e di progresso sociale, esige l'assimilazione ai valori e ai comportamenti della società ospite. Questo status porta l'emigrato a rimanere in mezzo al guado mentre le correnti capricciose degli avvenimenti lo spingono vicino ora ad una riva ora all'altra. È la psicologia del non appartenere, dell'essere in mezzo, del sentirsi scissi. La lingua di ogni giorno documenta questo ondeggiare di posizioni; "code-switching" e "code-mixing" disegnano l'incrociarsi delle istanze linguistiche e psicologiche di questa identità ricreata. L'indagine qui riportata riguarda un caso di "diaspora nella diaspora": la lingua degli arbèreshe italo-americani. Il materiale linguistico di base è stato ricavato da interviste effettuate negli anni 1987-88 negli Stati Uniti d'America, a Los Angeles e a Sacramento, al fine di potere fare un confronto tra la lingua dell'etnia, in questo caso l'arbéresh di Piana degli Albanesi, e la lingua della diaspora. Le interviste distinguono net-tamente la I e la II generazione di emigrati, evidenziandone la diversità di atteggiamenti e di competenza linguistica. Il termine "diaspora" indica una dispersione anonima e implica che qualcuno sia andato disperso. In realtà il termine greco significa "disseminare" ed etimologicamente è, quindi, qualcosa di diverso. La dispersione è effetto della disseminazione, però disseminare è qualcosa di meno negativo di quanto non lo "ANGELINA CUSENZA, Diaspora nella diaspora. Sulla parlata degli arbereshè'italo-americani. Introduzione, tesi di laurea, A.A. 19H8/89, relatore A. Di Sparti. 61 LINGUISTICA _____ ANGELINA CUSEN/A: Diaspora nella diaspora [...] sia l'essere disperso. È un segno del futuro. È interessante, comunque, vedere che cosa succede quando una parte di un tessuto sociale umano si stacca e viene trapiantato altrove. Gli emigrati considerati per le interviste appartengono ai flussi, dei primi anni del novecento, degli anni '50 del medesimo secolo e alcuni addirittura sono emigrati di seconda generazione, e nella conservazione dell'arbèresh costituiscono tre varianti problematiche diverse. Una lingua e una cultura, poi, si conservano meglio se la famiglia di provenienza è endogamica cioè se padre e madre provengono dalla stessa area geografica anche se l'identità etnica, oggi, tende a diventare orgoglio di sangue e di provenienza, non più di cultura. In ogni caso il ruolo dei genitori, nella formazione individuale, anche linguistica e culturale, rimane predominante. Nel caso di una famiglia esogamica, invece, le peculiarità tendono ad essere smarrite così come è stato riscontrato negli emigrati della seconda e terza generazione e come risulta con evidenza dall'analisi dei testi analizzati. Le donne delle prime interviste (77 e 80 anni) hanno conservato un arbèresh più integro di quello attuale di Piana degli Albanesi) e, in quanto arberesh di oltre trentanni fa, lo si presuppone "più puro" ossia meno attraversato da condizionamenti esterni. Paradossalmente, quindi, se si volesse studiare l'arberesh di Piana di quel periodo potrebbe essere utile intervistare le vecchiette emigrate in America o in altre parti. Questi emigrati in America, non colti, hanno avuto un onere di comunicazione molto complicato, avendo dovuto imparare l'americano per sopravvivere e non avendo potuto appoggiarsi a nessuna comunità omologa ma soltanto al nucleo etnico più vicino all'interno del quale hanno cercato di sposarsi con altre persone della stessa dell'etnia di appartenenza. Ma, nel momento in cui hanno dovuto appoggiarsi ad un gruppo etnico più forte, quello italo-americano, è ovvio che è stato ancora più arduo mantenere le sottigliezze di una quarta lingua, di una quarta cultura diverse in quanto non si trattava di varianti dialettali, ma di varianti linguistiche. Da ciò è scaturito il rifiuto e l'abbandono, da parte delle generazioni successive, che in quella situazione non miravano tanto a conservare la lingua e la cultura arbereshe quanto dei valori, LINGUISTICA ANGELINA CUSKN/A: Diaspora nella diaspora [...) in un "revival etnico" che faceva affiorare la "proudness", il senso di "orgoglio", di "identità" e di appartenenza, se non proprio culturale, almeno etnica. Un fenomeno positivo, in questo ambito, sono stati i "clubs" in quanto, anche se Ì soci non parlano più tutti l'arberesh, costituiscono comunque un punto di riferimento dove gli atteggiamenti comuni tendono a conservarsi mantenendo maggiormente il contatto fra gli appartenenti all'etnia, nonostante la perdita dei contatti con la comunità di origine. In linguistica esiste un codice "noi" che è aggregativo e un codice "loro" che è di separazione. In questo caso prevale un codice "noi" di aggregazione che non si realizza sulla lingua e nemmeno sulla cultura, ma soltanto su questa "appartenenza" e su qualche valore, come la famiglia e la cucina. Resiste un attaccamento, tipicamente etnico, per delle cose che non sono più cose, ma appigli fondamentali di valori cioè punte di identità residua. L'identità (questo gli antropologi l'avevano compreso prima dei linguisti) così passa, anche e soprattutto, attraverso il cibo, cioè la conservazione di determinati prodotti alimentari e di determinate tecniche di preparazione degli stessi. Non è soltanto un fatto esterno, una procedura, ma una sottolineatura di comunanza e di una fedeltà alle radici che in questo caso agganciano la lingua. Sono tracce mnemoniche lente di un "posto" che col tempo diventa metafora e si sublima in un forte senso di orgoglio. I valori culturali possono scomparire ma il senso della "proudness", che lega all'etnia, resiste e la frequentazione del club irrobustisce questa resistenza conferendo gratificazione, senso di protezione e in qualche modo continuità anche se questo senso dì appartenenza etnica, tuttavìa, ha bisogno di essere alimentato da continui contatti e scambi intergenerazionali. [ • • • ] TRADIZIONI LAURA STASSI: L'abito tradizionale di Piana degli Albanesi gruppo, che teme di perdere la propria identità. Il costume è quindi un elemento che si risolve tutto nelle sue funzioni simboliche è come tale non è necessario che sia indossato tutti i giorni, ma è sufficiente usarlo anche per tempi ristretti in spazi ristretti. Le donne albanesi indossano il costume, in tutte le sue varianti, il giorno delle loro nozze, il giorno di Pasqua, il venerdì santo, ed in occasione di altre cerimonie festive7. Generalmente il costume si lasciava in eredità alle fìglie e solo in mancanza di esse si donava alla sposa del figlio. Nella maggior parte dei casi, anticamente, essendo l'abbigliamento connesso con la persona veniva seppellito con la defunta. In seguito, i movimenti migratori, la maggior flessibilità e ricettività degli uomini nei confronti del mondo esterno hanno determinato la quasi totale scomparsa degli abiti tradizionali. Non è così per le donne che lo indossano comunque sempre con orgoglio mettendone in risalto la ricchezza decorativa, anche se hanno smesso di filare e di tessere i tessuti determinando così in parte la rarità dei costumi. La storia di essi è strettamente connessa a quella dei tessili e dei tessuti8, alla lavorazione delle materie prime, a una geografìa della produzione e degli scambi. La seta, tessuto privilegiato dai costumi albanesi, impiegò vari secoli per giungere dalla Cina al Mediterraneo. Fu, infatti, Giustiniano che, dopo varie vicende, introdusse a Bisanzio il baco da seta, il gelso bianco, il dipanamento dei bozzoli, la tessitura della seta. Bisogna comunque precisare che già nel XV secolo la seta era presente in Sicilia e in Andalusia da circa quattrocento anni 9 . Bernardy riferendosi al costume albanese osserva ha una derivazione e una datazione precisa, appartiene al mondo albanese rifugiatosi in Italia in seguirò alle oppressioni turche, alla fine del secolo XV e il principio del XVI secolo e conserva il suo ' G. PITRÈ, La famiglia, la casa, la vita del popolo siciliano: costumi delle donne, Palermo, 1913A. BUTTITTA, La cultura figurativa popolare in Sicilia, Palermo, 1961. *F. BRAUDEL, <>/>.«>., p. 80. 8 66 TRADIZIONI LAURA STASSI: L'abito tradizionale di Piana degli Albanesi carattere, orientale nelle forme e nei colori della camicia, del corpetto e del copricapo"1". Ed infatti in Albania fino al XIV il costume ha subito l'influsso orientale e bizantino e soltanto successivamente quello occidentale. L'influsso orientale nel costume arbresh è espresso nel drappeggio più ampio, nelle maniche lunghe ed ampie, nell'arricchimento delle stoffe, con l'utilizzo della seta e dei splendidi ricami d'oro e d'argento, e soprattutto nella policromia dei tessuti: scarlatto, violetto, azzurro, verde. A partire dal XV secolo si cominciarono a sentire i primi influssi occidentali che convissero con tessuti e motivi orientali: fra questi la seta, originaria dalla Cina, ma presente in tutti i Balcani, con una gamma di colori, come Ìl rosso lampone, che davano al tessuto un effetto satinato". La ricchezza dei tessuti venne aumentata dai ricami in oro ed argento. Questo il costume di Piana degli Albanesi, rimasto sostanzialmente identico nei secoli. L'artigianato domestico, che a lungo ha coperto una gran produzione del vestiario femminile, ha indubbiamente concorso allo sviluppo del gusto personale. Questo contributo individuale 1 -, anche se condizionato dall'imitazione, costituisce uno degli aspetti più interessanti del costume inteso come creazione estetica collettiva in quanto la caratterizza nei suoi due momenti contraddittori: la tendenza all'uniformità di base e la tendenza all'innovazione. Le attività lavorative connesse direttamente al costume e alle varie specialità (sarti, ricamatori, ecc.) costituiscono fattori molto importanti nella storia del costume. Se da un lato queste attività si confondono con il lavoro domestico, dall'altro sfiorano la creazione artistica" ed allo stesso tempo, da un punto di vista economico-sociale, costituiscono il tramite tra i produttori di stoffa, e altri materiali, e i consumatori. Tutte le operazioni connesse alla tessitura e filatura comportano l'impiego di manodopera '" A. BERNARDY, Tracce bizantine nel costume popolare italiano, in LARES, Roma, a.VII,1936,p-184. 11 F. DI MICELI, L'abito tradizionale siculo-albanese nella cultura europea, in ATTI del XIII Congresso Internazionale di Studi Albanesi, Palermo, 1989. '- R. CORSO. Sopra i motti-i ornamentali dei tessuti popolari italiani, in IDEM, Studi di tradizioni popolari, Poz/uoli,1956. 11 S. SALOMONE - MARINO, Costumi ed usanze dei contadini di Sicilia. Palermo, 1879. 67 TRADIZIONI LAURA STASSI: L'abito tradizionale di Piana degli Albanesi esclusivamente femminile. Tutto ciò rientrava nella suddivisione del lavoro sia nella società che all'interno del nucleo familiare. L'apprendimento da parte delle donne delle tecniche connesse con i vari momenti di questa attività doveva iniziare sin dall'infanzia, attraverso una serie di passaggi successivi dai più semplici ai più complessi, di modo che alla fine dell'adolescenza la ragazza fosse già in possesso di un bagaglio tecnologico sufficiente a consentirle di provvedere in prima persona alla prepara-zìone del corredo necessario al momento del matrimonio. Ma il fatto che l'apprendimento delle tecniche tessili avvenisse in ambiente domestico e fosse finalizzato all'autosufficienza familiare non deve far pensare che tutte le fasi di lavorazione e il consumo stesso avvenissero all'interno e quindi in assenza di processi di specializzazione. È infatti storicamente documentata la presenza di una scuola di ricamo presso il Collegio di Maria di Piana degli Albanesi, dove alcune suore, specialiste nel ricamare l'oro, confezionavano il tradizionale abito. Oggi solo una suora continua il ricamo in oro ma solo per paramenti sacri. DESCRIZIONE E TECNICA II costume di Piana1"4 mostra i tratti che risalgono al periodo bizantino facendo uso di stoffe irrigidite da fili d'oro, utilizzando sete, broccati tessuti o ricamati a rabeschi, a foglie, a fiori, a profili zoomorfi, a linee sinuose intrecciate. Al periodo rinascimentale si deve invece la ricchezza nelle pieghe del costume, la vita stretta, sebbene bisognerà attendere il XVII secolo per avere una gonna non più irrigidita, ma morbidamente ampia. Il colore rosso della gonna è chiaramente legato ad un simbolismo cromatico che riporta tale colore come simbolo coniugale 15 . La camicia, invece, dalle lunghe e ampie maniche, richiama certamente il periodo islamico. La camicia a maniche lunghe era l'indumento tradizionale dei popoli islamici. Agli inizi del XVII, il colletto fatto di merletti, non più inamidato, diventa larghissimo " A. BUTTITTA, up. àt. p. SO. >- R. LEVI-PISET/KY, /w multar tians l'bahilltment italie», in ACTES tlu 1 Om«rès International d'Histoire du Costume, Venezia, 1955. TRADIZIONI LAURA STASSI: L'abito tradizionale di Piana degli Albanesi e ricade morbidamente sulle spalle e sulle ampie maniche. Il costume si completa con una serie di oggetti che sottolineano il simbolo del matrimonio. Al potere magico dei nodi si affidano le donne albanesi il giorno delle nozze. Esse usano indossare sulle maniche ben dodici fiocchi, shkoka, di colore verde e ricamata i oro, che simboleggiano il legame tra i futuri sposi"'. Il tredicesimo fiocco a quattro petali, shkoka te barku, viene posto in corrispondenza della cintura a simboleggiare la maternità. Il principale ornamento del costume albanese è sicuramente la cintura, hrezi. È significativo che nello scambio di doni durante il fidanzamento, il hrezi faceva parte di questo rituale e ad esso erano legate una serie di connotazioni economiche, sociali oltre che cerimoniali: il brezì si usava donarlo alla sposa alcuni giorni prima delle nozze in occasione dell'esposizione della dote, o comunque durante le feste solenni. Il brezì ha un origine votiva: veniva donato dal fidanzato alla futura sposa per favorirne la fecondità. Questo uso, legato al rito magico della vestizione nuziale, non appartiene solo al mondo albanese'1. D'altra parte tutti gli oggetti e ornamenti a forma di cerchio che entrano a far parte della vestizione hanno funzione dichiaratamente magico protettiva. Al costume albanese sono strettamente legati i gioielli, poiché questi nelle loro molteplici espressioni, lo integrano e completano nei suoi elementi decorativi. I gioielli sono stati associati con accorta euritmia al costume dandogli ricchezza e allo stesso tempo imprimendo all'oreficeria un impronta albanese, che probabilmente albanese non è: i gioielli, come i merletti, appartengono ad una categoria di produzione di facile scambio tra popoli diversi. Alcuni elementi di questi gioielli fanno pensare come centro di produzione a Palermo o Messina dove nel '600 e nel '700 vi era grande fermento nel campo dell'oreficeria'*, ma ciò ovviamente non esclude la presenza di orafi di origine albanese, che abbiano continuato la loro produzione nell'isola. In Sicilia molto diffuso era l'anello cosiddetto "giardinetto", "'G. COCCHI ARA, La t'ita e l'arte M popolo \icilianu nel Muwi Pitré. Palermo, 19-58, p. 78. " IVI, p. 48. '" M. ACCASCINA, Oreficeria di Sicilia, Palermo, 1974. 69 TRADIZIONI LAURA STASSI: L'abito tradizionale di Piana degli Albanesi in oro, traforato e inciso, con.la parte centrale formata da motivi di rami e foglie che incastonano pietre in pasta vitrea di vari colori. Questo tipo di anello era già presente nel XVIII secolo ed era un gioiello molto in voga presso le classi nobili spagnole. Gli anelli, nell'ambito dell'oreficeria popolare sono forse la classe di oggetti in cui l'elemento cromatico, determinato dalle pietre, è maggiormente presente. Questo non solo per l'arricchimento del gioiello, ma anche perché corrisponde ad un esigenza che sottende l'uso di certi colori considerati apotropaici ed espressione di una condizione di passaggio dell'individuo. Le collane più usate sono quelle composte da una cordicella o da un nastro di velluto dove veniva infilato un pendente. Questo tipo di collana si affermò tra il '700 e l'SOO ed ebbe grande diffusione. Generalmente il pendente è composto da più elementi e termina con una croce. La croce, simbolo arcaico, nella cultura tradizionale acquista valore apotropaico. 70 TRADIZIONI GIUSEPPE SCHIRÒ ni MODICA: Qapclja e Drangoic GIUSEPPE SCHIRÒ DI MONICA (^apelja e Drangoit E vanto della mia famiglia paterna aver goduto il possesso di due dei siti più suggestivi del territorio di Piana degli Albanesi: (^apdia e Drangoit e Fusha e Zonjavet. (^apelja e Drangoit sorgeva sul crinale roccioso che separa lo Sheshi dalla Brinja all'altezza dell'attuale distributore di benzina ed in prossimità delle case popolari erette dove una volta c'era una. cava di pietra. Là si può notare benissimo la ferita profonda arrecata al crinale, nel cui punto più basso, sino alla metà degli anni ottanta, c'era in funzione un distributore di benzina agricola. (^apelja e Drangoit sorgeva su quel basamento roccioso che si nota a sinistra guardando in direzione della Sclizza. Si trattava di una serie di massi irregolari, ma piatti, dì vario spessore e di varie dimensioni; sovrapposti, come per gioco, da quelli più ampi via via a quelli più piccoli, sennonché l'ignoto giocatore si era forse dimenticato di uno dei pezzi più grossi e lo collocò perciò in cima a tutto in precario equilibrio, sospeso quasi fra cielo e terra, appoggiato ad un masso enormemente più piccolo. Per i geologi lo strano gruppo scultoreo era frutto dell'erosione, che aveva asportato tutta la terra circostante, su cui il masso, in e-re remote, quando si è formata questa parte della Sicilia, era rotolato prima di posarsi colà. Con il termine (^apelja nella lingua arbereshe si indica una pietra cilindrica poco spessa con cui si svolgeva un gioco, simile a quello delle bocce, in cui si aggiudicava il punto chi più si accostava alla pietra più piccola. Non di rado nel passato si giocava a soldi ed in questo caso le monete nascoste dietro la piastra di pietra più piccola, venivano vinte dal giocatore che riusciva a coprirle con la propria piastra lanciata da una distanza convenuta. Oggi queste piastre di pietra sono state sostituite da piastre di plastica perfettamente lisce e circolari, ma nessuno quasi vi gioca più. 71 TRADIZIONI GIUSEPPE SC.HIRÒ DI MODICA: fopelja e Drangoit II macigno accese la fervida fantasia dei primi albanesi che si stanziarono alle falde dello Sheshi e (^ape/ja e Drangoit divenne "C^apelja" di un gigante, forse un ciclopc o il diavolo (Drangoi) in persona. Lanciando con estrema maestria la piastra, il formidabile giocatore era riuscito a piazzarlo con precisione sulla piastra più piccola e là fu lasciata in bilico tra lo Sheshi e la Brìnja. Il masso costituiva una seria minaccia per l'abitato e, forse per scongiurare tale pericolo incombente, a poche decine di metri di distanza, sulla stessa cresta rocciosa, fu eretta da quei primi albanesi la cappella dedicata a S. Michele Arcangelo, notoriamente vincitore del demonio nell'epica battaglia, che vide contrapporsi le schiere angeliche fedeli a Dio e quelle che avevano seguito la rivolta di Lucifero. Sempre seguendo la logica del gioco si immaginò che sotto quei massi si nascondesse un tesoro di monete d'oro, ma siccome la rimozione sarebbe riuscita, non solo diffìcile, ma anche fatale, a chi l'avesse tentata, inumani sciagure erano assicurate. La transizione dalla società agropastorale del passato alla moderna società industriale e terziaria, segui il declino di queste credenze e agli inizi degli anni settanta (^apelja e Drangoit fu abbattuto con l'impiego di un potente Caterpillar. Grosse funi d'acciaio si spezzarono quasi a smentire l'apparente instabilità, che era stata confermata negli anni cinquanta, quando ai suoi piedi venivano fatte brillare potenti mine. Alla fine cadde con un poderoso tonfo: non rotolò, non distrusse niente, non provocò sciagure, ma nemmeno regalò tesori ai nuovi irriverenti e sacrileghi possessori. SÌ spensero miti e leggende, rimase solo tanta amarezza nel cuore di coloro che di miti e leggende sono cultori e di quei ragazzi, ormai adulti, che fra quelle rocce avevano trascorso la fanciullezza tra timori reverenziali ed ardite scalate. 72 TRADIZIONI GIUSEPPINA DEMF.TRA SCIIIRÒ: II Carnevale di una volta GIUSEPPINA DEMETRA SCHIRÒ Kalivari: passato, presente, futuro (?) di una tradizione Zuri Kalivari e sosi lu kifari' II Carnevale di Piana si colloca, in un periodo dell'anno di varia durata, tra la Teofania (6 gennaio) e il mercoledì delle Ceneri. Cade dunque in inverno e Ì vari circoli, ai lati del corso Kastriota e nella Piazza Grande, in questo periodo si trasformano in sale da ballo. Ogni giovedì, sabato e domenica sera, donne accuratamente mascherate, e quindi irriconoscibili, vanno in giro per le strade in brigate chiassose e impertinenti, entrando e uscendo dalle improvvisate balere, dove, con una singolare inversione di ruoli, soltanto loro possono invitare al ballo. È la celebrazione di un rito trasgressivo, nel quale la donna a volto coperto, in un gioco qualche volta anche greve e crudele, può finalmente sbeffeggiare il maschio rimasto a volto scoperto e quindi vulnerabile. Questo "potere" è anche legato a regole, spesso disattese, al cui rispetto presiedono burbere donne più anziane alla guida del gruppo: posture di ballo rigide, come ad esempio il gomito (burruli) distanziatore; inviti limitati alla cerchia parentale (gjeria) o al vicinato (gjitonia)\o divieto di invitare o scherzare con i forestieri (litinjet) e con i notabili locali (bujaret). Ma non manca certo chi contravviene furtivamente alle regole (fèl'énat). Ai balli tradizionali in famiglia, ormai lontana rimembranza, invece, l'uomo aveva accesso solo se si accompagnava a sorelle o cugine (kasistra)2 per non poter poi menar vanto d'aver ballato con le altrui donne. Durante il Carnevale, una volta, si innalzava l'albero della cuccagna (ntìrìé), liscio e cosparso di grasso, su cui ci si arrampicava per afferrare i premi, per lo più di natura alimentare, posti in cima (un agnello, un pezzo di formaggio, salsiccia ecc.). 1 Trad.: Inizia Carnevale e finiste il da fare. Esempio di mistilinguismo nella parlata di Piana degli Albanesi. 2 Attrezzo costituito da un corto manico in legno e da u-na estremità metallica a forma triangolare che i contadini portavano sempre con sé appeso alla cintola per pulire la zappa, l'aratro o gli scarponi. 73 TRADIZIONI GiUSEPPINA DEMETRA SCHIRÒ: II Carnevale di una volta Un altro gioco consisteva nel fissare in parallelo due pali collegati fra loro con una corda sulla quale venivano appese pignatte di terracotta (poc.et) contenenti "sorprese": carbone, acqua, sigarette, caramelle, un topolino ecc. Le pignatte dovevano essere rotte, a turno, da una persona bendata che le doveva colpire con un bastone rivelando così il suo contenuto che a volte comprendeva anche escrementi'. Kè'ngari, poi, è lo scherzo dissacratore. La parola è verosimilmente di provenienza etimologica siciliana. Càntaru è infatti il pitale, il cantero. La dimensione fecale in questa festa sembra avere una grossa importanza e non a caso il proverbio più ricorrente è l'aiscrologico Kalivari papuri papuri merr nje cunk ti e vu te tajuri4. Lo scherzo di carnevale instaura una dimensione trasgressiva di alterazione della "normalità" che al grido di k'èngari viene prontamente ripristinata: chi avesse subito uno scherzo doveva accettarlo. Guai a offendersi! Un motto carnevalesco assimila al maiale chi si offende. Tra i detti carnevaleschi ricordiamo Kalìvari te divertirej sbiti kalin (Carnevale per divertirsi ha venduto il cavallo) cioè il mezzo (prima nei matrimoni portato in dote dall'uomo) di sopravvivenza più importante che lo avrebbe aiutato nel lavoro dei campi ( dite parammdje). A conclusione del Carnevale, una volta, un fantoccio antropomorfo dì paglia, veniva portato in corteo e dopo tre giri nella Piazza Grande, impiccato ai "Tre lampioni'"1 e dato al rogo, intonando i doverosi lamenti funebri (vajtimet) inframmezzati dal ritornello: Sosi Kalìvari e na zuri u kìfari('. Il personaggio burlesco, che si mette pubblicamente a morte, non è che il discendente dell'antico re dei Saturnali. Più volte infatti è stata rilevata una diretta continuità storica fra i Saturnali e il Carnevale cristiano, almeno nell'Europa a maggiore impronta neolatina. Si ringrazia per questa informazione Giuseppe Sthirò Di Modica. Trai!.; "Carnevale Ira saggi e matti, prendi una Mira e te la impilili i", 5 Impianto luminoso posto al centro della pia/za. '' Trad.: "Finiste Carnevale e ricomincia il da}are". 1 4 TRADIZIONI GIUSHPPINA DEMF.TRA Sanno: II Carnevale di una volta Carnevale muore e non rinasce dalle sue ceneri. La rinascita significherebbe solo disordine, l'esatto contrario di quello che è l'auspicio della festa: il caos, rivelando la sua faccia genesica dovrà sparire come tale dando luogo ad un cosmos nuovo nell'eterna concezione circolare del tempo7. Nelle Chiese si tenevano le Quarantore o Ore sante di esposizione del SS. Sacramento, in riparazione dei peccati (oggi solo per una durata di sei giorni presso le seguenti chiese: S, Giorgio Megalomartire, M. SS. Odigitria, nel periodo che parte dalla domenica di Carnevale fino a quella dei Latticini, lunedì e martedì grasso). L'ultimo lunedì di Carnevale, tuttora, si preparano e si consumano dolci a forma sferica o schiacciata, di pasta lievitata, fritta e zuccherata detti loshka e petulla (frittelle). Il dolce legato per antonomasia al Carnevale è il cannolo. Già Cicerone descrive un dolce simile al cannolo «tubus farinarius, cinicissimo edulio ex lacte factus»*. Un poeta sacerdote palermitano nel 1635 ne cantava le lodi «beddi canno/a di carnilìvari, megghiu vmcunì a lu munnu un ci n'è». Pitrè definiva "corona del pranzo carnei-aiesco". Così come lo consumiamo è frutto dell'elaborazione della cucina baronale borbonica ed è ormai diventato un dolce da gustare in ogni occasione9. " GIUSEPPE MARTORANA, Carnevale: angoscia, trasgressione, cosmogonia, Istituto di Storia Antica dell'Università di Palermo, Palermo, 1996. 8 Trad.: "tuho farinaceo fatili di latte per un dolctwmo mangiare". * II tannolo di Piana, per l'esclusività della sua ricetta e per le sue dimensioni, è diventato famoso nel mondo. La cialda, composta da farina, aceto, strutto, sale e miele, è riempita con ricotta, dal fresco houquet dei pascoli montani, prodotta secondo i metodi tradizionali, zuccherata, passata a setaccio e scheggiata con cioccolato fondente. 75 DIRITTO DDL 499 del 16 ottobre 2002 Xlll Legislatura Modifiche ed integrazioni alle legge regionale 9-10.1998, n. 26 sulla tutela delle minoranze linguistiche nella Regione siciliana 1 RELAZIONE DEI DEPUTATI PROPONENTI Onorevoli colleghi, il disegno di legge che sottoponiamo al vostro esame si propone il fine di completare il percorso legislativo per la tutela delle minoranze linguistiche presenti nella nostra Regione, iniziato con la legge n. 26 del 1998. L'iniziativa è frutto di una consultazione tra tutte le comunità locali interessate, sindaci, comitati cittadini, insegnanti ed Eparchia di Piana degli albanesi. Come ricorderete la legge n. 26 del 1998, varata da quest'Assemblea, prima della legge dello Stato, è stata in gran parte impugnata dal Commissario dello Stato il quale riteneva che, ai sensi dell'articolo 6 delia Costituzione, spettasse allo Stato e non alla Regione approvare disposizioni di tutela delle minoranze linguistiche. La Corte costituzionale, essendo stata la suddetta legge promulgata parzialmente, seguendo una giurisprudenza ormai consolidata, ha dichiarato, con sentenza n. 456 del 14-23 dicembre 1999, cessata la materia del contendere senza esaminare i motivi del ricorso. Il 15 dicembre 1999 è, finalmente, intervenuta la legge statale n. 482 che ha disciplinato la materia in maniera organica, individuando le minoranze linguistiche ammesse a tutela e gli interventi di competenza delle Regioni. In particolare per quanto riguarda le Regioni a Statuto speciale, il legislatore statale ha stabilito che, in mancanza di norme di tutela, fino all'entrata in vigore delle norme di attuazione dello Statuto, si applicheranno le disposizioni di cui alla legge n. 482 del 1999La suddetta legge, inoltre, stabilisce all'articolo 3 le modalità di individuazione degli ambiti territoriali in cui le minoranze linguistiche insistono, individuazione che deve essere effettuata con deliberazione del consìglio provinciale competente per territorio. 1 Iniziativa parlamentare a firma dei deputati di Alleanza na/innale; I/Formica Santi, Incardina Carmelo, Infutna Giuseppe, loppolo Giovanni, Tncoli Marzio, Virzì Gioacchino. 76 DIRITTO _^___ DDL 499 del 16 ottobre 20Q2 XIII Legislatura Sulla base della normativa richiamata l'unica minoranza linguistica ammessa a tutela, presente nella Regione siciliana, è quella albanese; ed è a quest'ultima che si rivolge il presente disegno di legge. SÌ evidenzia che in attuazione della notma nazionale, con deliberazione adottata dal consiglio della provincia regionale di Palermo, in data 20 ottobre 2000, sono stati individuati gli ambiti territoriali dei comuni di Contessa Entellina, Mezzojuso, Palazzo Adriano, Piana degli Albanesi e Santa Cristina Gela. Questa individuazione risolve il problema della delimitazione territoriale dell'ambito di applicazione della legge regionale n. 26 del 1998, rimasta inattuata a seguito dell'impugnativa dell'articolo 2 da parte del Commissario dello Stato. Tale delimitazione non è tuttavia preclusiva né nei confronti di altri comuni con presenza albanofbna (basti pensare al comune di Palermo dove forse risiede il maggior numero di albanofoni, né nei confronti delle altre minoranze linguistiche presenti in Sicilia che, se venissero ammesse a tutela dallo Stato, potrebbero usufruire della normativa regionale attraverso il meccanismo di cui all'articolo 2. Non si è ritenuto opportuno reintrodurre specificatamente nell'atto che sì sottopone alla vostra attenzione, tutte le norme di tutela previste dalla legge regionale n. 26 del 1998, poiché tali fattispecie sono state dettagliatamente disciplinate dalla legge n. 482 del 1999. Si è preferito invece, con l'articolo 1 del presente disegno di legge, richiamare, perché non possano sorgere equivoci di sorta, la normativa nazionale, specificando che essa si applica nel territorio della Regione siciliana. Gli articoli 3 e 4 disciplinano il funzionamento dell'Istituto per la tutela delle tradizioni linguistiche e culturali delle popolazioni arbè'reshe della Sicilia (IRCA), armonizzando l'articolo 13 della legge regionale n. 26 del 1998 con la nuova disciplina prevista dall'articolo 16 della legge n. 482 del 1999. Si prevede inoltre una disciplina intermedia in attesa della definizione degli adempimenti per il funzionamento dell'IRCA-Sicilia. 77 DIRITTO DDL 499 del 16 ottobre 2002 XIII Legislatura L'articolo 5 rende conforme l'articolo 10 della legge regionale n. 26 del 1998 alla delimitazione territoriale della nuova normativa. L'articolo 6 interviene in materia di pubblica istruzione, rapportando gli indici di riferimento per l'ottenimento dell'autonomia scolastica alle realtà effettivamente esistenti nei comuni con presenza di minoranze linguistiche. L'articolo 7 prevede la concessione di contributi a favore delle Università siciliane che attivino corsi di lingua albanese. L'articolo 8 si propone il fine di evitare duplicazioni di interventi tra le iniziative che devono essere attuate in proprio dall'Amministrazione regionale e quelle che, in virtù del presente disegno di legge, spettano all'IRCA-Sicilia. Onorevoli colleghi, gli interventi proposti sono estremamente necessari per attuare la legge regionale n. 26 del 1998, i cui fondi non potrebbero altrimenti essere spesi. Sarebbe, inoltre, inammissibile che alle minoranze linguistiche siciliane, ora che è intervenuto anche il legislatore statale, venisse a mancare il sostegno del legislatore regionale che già in passato, in va-rie occasioni, ha dimostrato grande sensibilità nei loro confronti. Si chiede pertanto una rapida approvazione del presente disegno di legge per evitare il rischio delk perdita di un patrimonio culturale che non riguarda soltanto le comunità di origine albanese, ma tutta la Sicilia. # ** DISEGNO DI LEGGE DI INIZIATIVA PARLAMENTARE Articolo i 1. Nell'ambito della Regione siciliana, in materia di tutela delle minoranze linguistiche, si applicano le disposizioni contenute nella legge 15 dicembre 1999, n. 482, "Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche" nonché le altre leggi statali e regionali vigenti. Articolo 2 1. Le disposizioni di cui alla legge regionale 9 ottobre 1998, n. 26, si applicano alle minoranze linguistiche tutelate ai sensi dell'articolo 2 e negli ambiti territoriali individuati ai sensi dell'articolo 3 della legge 15 dicembre 1999, n. 482. 7H DIRITTO __ DDL 499 del 16 ottobre 2002 X11I Legislatura Articolo 3 1. L'articolol3 della legge regionale 9 ottobre 1998, n. 26 è sostituito dal seguente: "Articolo 13 - 1. Ai sensi dell'articolo 16 della legge 15 dicembre 1999, n. 482, è istituito, con sede in Palermo, un istituto regionale di diritto pubblico per la tutela delle tradizioni linguistiche e culturali delle popolazioni arbereshe (italo-albanesi) di Sicilia denominato ISTITUTO REGIONALE DI CULTURA ARBERESHE SICILIA (IRCA-Sicilia). 2. Nell'ambito della tutela e della valorizzazione del patrimonio storico, linguistico, culturale, documentario e bibliografico arberesh, l'IRCA-Sicilia svolge, promuove e sostiene: attività di studio, ricerca, documentazione; conservazione di beni archivistici e bibliografici; attività editoriali; promozione culturale; formazione per i docenti; manifestazioni culturali, folcloristìche, religiose ed artistiche organizzate nei comuni di cui all'articolo 2; le attività di associazioni, centri culturali, Università ed enti religiosi che operano per la tutela della lingua e delle tradizioni; attività di organi di stampa ed emittenti radiotelevisive a carattere privato che utilizzino la lingua albanese; lo sviluppo dei rapporti culturali con le comunità ed i paesi albanofoni europei ed extraeuropei; attività di monitoraggio sulle minoranze linguistiche presenti in Sicilia mediante l'istituzione di un apposito Osservatorio regionale; quant'altro necessario per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio storico, linguistico e culturale della minoranza arbéreshe. 3. Le finalità, le attività ed il funzionamento dell'IRCASicilia sono regolati da uno statuto predisposto, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, dall'Assessore regionale per i beni culturali ed ambientali e per la pubblica istruzione sentiti Ì sindad dei comuni di cui all'articolo 2. Tale statuto è approvato con decreto del Presidente della Regione ed entrerà in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale della Regione siciliana. 4. L'IRCA-Sicilia ha un proprio consiglio di amministrazione. Lo statuto deve prevedere la presenza in tale organo di un rappresentante dì ciascuno dei comuni inclusi negli ambiti territoriali di cui all'articolo 2, di un rappresentante dell'Eparchia di ATTUALITÀ Progetto Brinjat... e due Progetto Brinjat ... e due Sulla scorta della prima analoga esperienza1, ormai in fase ultima di conclusione, la Provincia regionale di Palermo e i comuni di Contessa Entellina, Mezzoiuso, Palazzo Adriano, Piana degli Albanesi e Santa Cristina Gela, con il supporto scientifico dell'Università di Palermo, hanno voluto reiterare il progetto "Brinjat", ritenendolo unanimemente un "esperimento" risultato fruttuoso ed efficace. "Brinjat", quindi, si è soprattutto imposto come modello di collaborazione istituzionale fra diversi Enti rivelandosi, sia in termini di "prodotti" sia in termini di rapporti fra comunità tout court uno strumento utile con ulteriori possibilità di sviluppo. La Provincia, per esempio, pensa di utilizzare ed estendere, in diverse realtà del suo territorio e in ambiti piuttosto articolati, questo prototipo istituzionale che ormai trova ampio riscontro anche in altri strumenti di collaborazione sovracomunale in linea con la riforma federale dello stato e il principio della sussidiaretà. Se le peculiarità culturali, poi, sono da considerare una risorsa sulla quale è possibile costruire, oltre che identità, anche ipotesi di sviluppo socio-economico, bisogna su questa risorsa investire e ottimizzare gli interventi. Le potenzialità di "Brinjat" rispondono, in qualche misura, a questa esigenza e si fondano soprattutto sulla possibilità, ormai molto concreta, di creare un circuito delle comunità arbereshe della provincia di Palermo e poi fra queste e le omologhe comunità delle altre province e delle altre regioni d'Italia. Non bisogna avere paura del futuro se il futuro, correttamente inteso e affrontato, riserva visibilità e sviluppo. Nessuno pensi di poterne rimanere fuori in base a valutazoni o calcoli di campanile, sarebbe sciocco e letale. Per le comunità arbereshe, oltre agli ambiti di collaborazione sovracomunale ormai noti (Patti territoriali, Pit, Prusst, Por, ATO e quant'altro) vi è un ambito di collaborazione naturale, esclusivo e privilegiato che bisogna mettere a frutto. V. BiWos, nn. 21-22 H2 ATTUALITÀ Progetto Brmjat... e due Nei comportamenti delle Amministrazioni locali interessate si registra lodevolmente in questa materia, anche se con accentuazioni diverse, sostanziale identità di vedute e continuità. SÌ veda ora più nel dettaglio come e cosa dovrà essere realizzato nel cosiddetto "Brinjat 2". Gli Enti partecipanti hanno concorso a definire il progetto, poi assunto come proprio dalla Provincia regionale, ponendo parte delle spese previste a carico dei propri bilanci. I rapporti fra gli Enti sono regolati mediante convenzione. Il luogo operativo è il Comitato, rappresentativo in modo paritario di tutti EELL, che assume, mediante appositi verbali, le decisioni che, così formalizzate vengono affidate per la loro realizzazione, nelle forme e procedure di legge, al comune capofila, in questo caso il comune di Piana degli Albanesi. A progetto realizzato e concluso, il comune capofila invierà agli Enti partecipanti il rendiconto dettagliato dell'attività e delle spese. Finora il meccanismo ha funzionato unanimemente grazie alle forti dosi di misura e buon senso profusi dai rappresentanti degli Enti nel Comitato. Per una ampia conoscenza delle attività progettate nel Brinjat 2 si riferisce in questo spazio del verbale della prima seduta del Comitato^ presieduta dall'Assessore provinciale Liboria Di Baudo con la presenza di Dario Falzone, presidente del Consiglio provinciale e di Matteo Mandala dell'Università di Palermo. •' II Comitato tecnico-organizzativo di cui all'art. 4 della Convenzione risulta così composto: PROVINCIA REGIONALE DI PALERMO: Liboria dì Baudo, assessore e presidente del Comitato, Caterina Vegna, dirigente dell'assessorato; COMUNE DI CONTESSA ENTELLINA: Pietro Cuccia, sindaco, Domenita Cuccia, componente; COMUNE DI MEZZOIUSO: Piero Di Mano e Antonino Perniciaro, componenti; COMUNE DI PALAZZO ADRIANO: Giuseppe Aleni, sindaco; COMUNE DI PIANA DEGLI ALBANESI: Pietro Gazzetta, assessote, Giwanni Pecoraro, componente; COMUNE DI S. CRISTINA GELA: Giuwppt Cangiatosi, sindaco, Luna Loffredo, componente; SEGRETARIO DEL COMITATO: Pietro Manali, 8} ATTUALITÀ _____^__ Progetto Brinjat... e due Adempiute le operazioni legate all'insediamento del Comitato è intervenuto Dario Falzone, presidente del Consiglio provinciale, che si è complimentato con le comunità albanesi e i loro rappresentanti per la realizzazione del progetto Brinjat I . Domenico Cuccia ha informato, poi, sulla presentazione all'Assemblea Regionale Siciliana del disegno di legge n. 499 "Modifiche ed integrazioni alla L. 26/1978 sulla tutela delle minoranze linguistiche nella regione Sicilia", a firma dei deputati Formica, Incartona, Inforna, loppo/o, Trico/i, Virzì, sollecitando i sindaci delle comunità ad assumere opportune iniziative di sostegno. Il sindaco di Piana degli Albanesi, Gaetano Caramanno, ha informato circa l'avvenuto finanziamento di un progetto di multimedialità (progetto "Alba") affidato per la realizzazione al comune di Piana degli Albanesi. Successivamente il Comitato passa a fare il punto conclusivo del progetto Brinjat 1 e in proposito ritiene che debba essere posta in atto una iniziativa per la presentazione al pubblico del CD rom sugli Arbé'reshé di Sicilia e rinvia alla riunione successiva modalità e tempi di attuazione dell'iniziativa. Prende, allora, la parola Matteo Mandala, titolare della Cattedra di lingua e letteratura albanese presso la Facoltà di Scienze della formazione presso l'Università di Palermo e direttore scientifico del progetto, e riferisce sullo stato di realizzazione delle pubblicazioni ormai molto prossime alla stampa. Il Comitato prende visione delle finalità e delle iniziative previste nel progetto Brinjat 2 e formula, in base alle disponibilità previste, la seguente programmazione che, sulla scorta delle reali necessità future, potrà, ai sensi dell'art. 9 della convenzione, subire in futuro delle variazioni: INIZIATIVA VIAGGI: Copenaghen, Albania, Toscana CONVEGNO STORICO PUBBLICAZIONI VARIE (Atti Congr. ìnt.le Studi Albanesi, Atti convegno storico, Divina liturgia in lingua albanese] CONVENZIONE PER SITO WEB DIREZIONE SCIENTIFICA SPESE ORGANIZZATIVE 84 ATTUALITÀ Progetto Brinjat... e due II Comitato, al fine di attivare le iniziative, si adopererà a sollecitare gli Enti sottoscrittori a che trasferiscano al comune capofila le risorse finanziarie rispettivamente previste a proprio carico e stabilisce di iniziare le attività dal trasferimento a Copenaghen di una delegazione composta da due unità per ogni Comune e integrata da due unità dell'Università di Palermo che dovranno eseguire delle ricerche archivistiche e bibliografìche presso la biblioteca reale al fine di recuperare importanti materiali di interesse albanologico. Il viaggio si svolgerà in due tempi prevedendo prima, entro dicembre e. a., per priorità di studio il trasferimento delle due unità dell'Università di Palermo e poi il viaggio di rappresentanza della delegazione. Il viaggio invece nella Repubblica d'Albania viene fissato per il mese di gennaio 2003 con l'impegno di assumere al più presto le informazioni conducenti alla individuazione dei costi. ATTUALITÀ Progetto Alba II progetto "Alba" La comunità arbèreshe, assieme alle altre minoranze linguistiche storiche d'Italia, dispone finalmente di uno strumento legislativo di tutela: la legge 482/99La recente approvazione della norma nonché l'avvio delle fasi attuative non consente, al momento, una compiuta valutazione dei suoi effetti. Tuttavia appare sufficientemente chiaro che l'attenzione legislativa si sia rivolta prevalentemente sugli aspetti più prettamente culturali e linguistici evidenziando ulteriormente, ove ve ne fosse bisogno, la necessità di un coordinamento e di un ampliamento degli spazi di intervento nella direzione di una ottimizzazione delle risorse e di una più incisiva valorizzazione delle comunità anche in altri ambiti. L'Amministrazione comunale di Piana degli Albanesi (PA) ritiene di avere colto tale "insufficienza" e per colmarla ha elaborato il progetto "Alba". Il progetto vuole muovere da un momento di forte conoscenza, dialogo e confronto fra le comunità, si propone gli obbiettivi e le strategie seguenti: valorizzare l'identità e le peculiarità delle comunità; realizzare una rete di relazioni permanenti; estendere e replicare esperienze innovative in ambiti vari (scolastico, culturale, sociale, turistico, produttivo ecc...); creare una sede di coordinamento, controllo, marketing e promozione degli eventi di rilievo (culturali, religiosi, turistici, musicali e folkloristici ecc...). Le azioni essenziali per il raggiungimento di queste finalità sono: creazione di un ufficio stampa; realizzazione di un "magazine tv"; creazione sito internet interattivo; copertura radio-televisiva; organizzazione di eventi annuali con il coinvolgimento di tutte le comunità. "Alba", inoltre, è un progetto di multimedialità che si pone l'ambizioso obiettivo di creare condizioni di autosostenibilità economico-fìnanziaria tali da consentire al network, dopo la fase di partenza, di sopravvivere in qualità di centro propulsore, organizzatore e coordinatore. 86 ATTUALITÀ Progetto Alba E un'iniziativa, mai tentata prima, che intende reìnterpretare, in una dimensione tecnologica innovativa, appartenenze e legami antichi. Il progetto ha avuto il sostegno finanziario, del Ministero degli Affari Regionali ed è stato presentato in Piana degli Albanesi, presso l'Istituto SS. Salvatore (Sclizza) il 24.11.2002 con la partecipazione del ministro Enrico La Loggia del scn. Renato Schifanì, di Dario Falzone, presidente del Consiglio della Provincia regionale di Palermo, del prof Francesco Altimari dell'Università della Calabria, dei sindaci delle comunità albanesi della Sicilia, di una folta delegazione di rappresentanti dei comuni albanesi delle altre regioni d'Italia e di numerose altre istituzioni civili e religiose. (P. M.) **** IL PROGETTO "ALBA" PROLOGO L'intento principale è di realizzare un "pacchetto media" che riesca ad identificare e collegare tra loro ed ottimizzare all'esterno le Comunità di italo-albanesi presenti nel territorio nazionale (circa 100.000 abitanti in 41 comuni, 9 frazioni di 7 regioni centro-meridionali). AZIONI AZIONE AZIONE AZIONE AZIONE AZIONE AZIONE 1 2 3 4 5 6 UFFICIO STAMPA MAGAZINE TV TARGET AREA ALBANESE: RADIO E TV SITO INTERNET INTERATTIVO RADUNI ANNUALI TURISMO, CULTURA, COMMERCIO, RILANCIO LINGUA E TRADIZIONI AZIONE 1. UFFICIO STAMPA L'ufficio stampa (redattori, pubblicisti, segreteria di edizione), sarà il cervello dell'operazione e soprattutto farà da filtro e collegamento tra le comunità e gli studi di produzione del magazine, del sito interattivo e degli eventi. 87 ATTUALITÀ _____^_ Progetto Alba Con largo anticipo avvierà le necessarie procedure per la realizzazione di ciascuna puntata (contatti, sinergie, appuntamenti con partecipazioni utili all'ottimizzazione ecc...) e fornirà agli studi incaricati mixage audiovisivi e comunicati stampa per le news. La segreteria di edizione, che comprende il delegato di produzione (unico membro dell'ufficio stampa a seguito della troupe televisiva), si occuperà della logistica. AZIONE 2. MAGAZINE TV Un programma televisivo ad edizione mensile, della durata media di 20', distribuito nelle più autorevoli e riconosciute tv locali 1 , in orari privilegiati, a copertura dell'intera area delle comunità albanesi d'Italia. Un contenitore di rubriche a temi, dove è possibile trovare: la "situazione locale", le attività collegate alle problematiche del tempo libero, delle tradizioni religiose e popolari, la let-tera al direttore, le tematiche giovanili in rapporto all'identità arbereshe, l'artigianato, gli itinerari turistici etc. Non mancherà la rubrica di interesse comune, come le news del mese (appuntamenti significativi che stanno per verifìcarsi o che si sono appena svolti; novità coinvolgenti le varie comunità; curiosità arbereshe di carattere generale). In ogni puntata sarà protagonista una comunità arbereshe. Per presentare tutte le comunità sono previste in un triennio 36 puntate in quanto le comunità più piccole, per ovvie ragioni, saranno accorpate ad altre. Tutti i passaggi saranno filtrati e coordinati dall'ufficio stampa unico per tutte le edizioni. Le news mensili daranno corpo alla versione snella dell'edizione radiofonica che, come nel caso del magazine tv, sarà distribuita attraverso le principali radio private delle zone servite per garantire una copertura totale del bacino d'utenza. 1 CAMPANIA: Irpinia Tv; MOLISE: Telemolise; BASILICATA: Tele Day; CALABRIA: Tele-spazio, Tele-viva; ABRU/7O: Tele Abruzzo; PUGLIA: Telefonia; SICILIA: Tgs, Trm, Telefonica. 8S ATTUALITÀ Progetto Alba AZIONE 3. SITO INTERNET Principale particolarità di questo sito/portale, oltre rimpaginazione grafica e i contenuti abituali, sarà la interattività cioè la possibilità da parte di ogni fruitore di interagire con l'ufficio stampa, che, a sua volta, gtazie al contatto bidirezionale con il centro multimediale mixage audiovisivi, renderà pubblica, quasi in tempo reale, ogni richiesta posta dai visitatori. Altra importante peculiarità del sito sarà quella di porsi come contenitore/archivio video di tutte le puntate, che così potranno essere consultate in qualsiasi momento e in maniera analitica, vale a dire sia con la visione delle intere puntate, sia scegliendo volta per volta l'argomento preferito. AZIONE 4. EVENTI Saranno grandi occasioni a tema create per riunire ampie rappresentanze di tutte le comunità. Se ne prevedono almeno due durante il corso di ogni anno. L'evento inaugurativo di carattere istituzionale si chiamerà PROGETTO ALBA e sarà il primo momento di aggregazione dei rappresentanti delle istituzioni arbereshe, che darà voce e vita al comune sentimento di appartenenza sul quale dovrà costruirsi un proprio, universale mezzo di comunicazione e conoscenza che tenda a mettere in rete una cultura finora frazionata in un "territorio" mediaticamente riunìfìcato e raccolto attorno ad ALBA, la nuova capitale virtuale degli Arberehe. ATTUALITÀ G. SCHIRÒ DI MODICA: Alcune novità G. SCHIRÒ DI MODICA Prossima la pubblicazione di un vocabolario della parlata arbè'reshe dì Piana Alcune novità Presentato il progetto "Alba" e il nuovo sito web del comune È imminente la pubblicazione nelle collane di BIBLOS di un vocabolario della parlata di Piana. Ne sono autori, a diverso titolo, Gaetano Gerbino e Giuseppe Schifò di Modica. Il dizionario comprende un corpus di oltre 2500 lemmi attinti in larga parte dalla tradizione scritta e in misura minore dalla tradizione orale, tuttora viva e feconda. È il frutto di un lavoro di ricerca lungo e paziente le cui coordinate metodologiche saranno oggetto di un prossimo approfondimento. Questa iniziativa editoriale completa un kit per la scuola prodotto sotto gli auspici della biblioteca comunale "G. Schirò" e costituito da: Udhetimi, Udhetimi paralei, Udhaembare. II primo è sostanzialmente una crestomazia di testi vari per il primo livello di alfabetizzazione in arberesh, il secondo una guida per i docenti, il terzo una grammatica in senso proprio. Tutte e tre le pubblicazioni, nate grazie a progetti comunitari, sono l'esito della collaborazione inedita di noti esperti che operano nei vari livelli dell'istruzione pubblica (dall'università alla scuola elementari). Mancava un vocabolario per completare il coordinato in quanto quelli attualmente in commercio, dal preziosissimo Fjalor di E. Giordano al recente Lessico di P. Scutari', ancorati al particolarismo delle realtà locali, non sono facili da compulsare proprio per le limitate competenze linguistiche dei destinatati. Stesso discorso vale per lo shqip. Di ogni lemma viene proposto il paradigma utile per la declinazione e la coniugazione, i sinonimi (anche traslati) e una copiosa fraseologia. Uno dei pregi maggiori del lavoro è quello di essere stato pensato e scritto secondo norme ortografìche e grammaticali ormai largamente condivise. 1 Ne citiamo qualcun altro: C. B. MASSOLINI - U. BUTTAFAVA, Vocabolario albanese-italiano, Firenze, 1979; F. LUKA - Z. SIMON1, Fjalor ttalisht-shqip, Tirana, 1986; M. BRUNETTI - D. GAGLIARDI (a cura di), Fjalor italìsht - shqip, Cosenza, 1985. 90 ATTUALITÀ ^ G. SCHIRÒ DI MODICA: Alcune novità Di questo strumento hanno bisogno le scuole di ogni ordine e grado specialmente dopo l'approvazione della L. 482/99 che finalmente garantisce alle minoranze linguistiche storiche d'Italia i mezzi normativi, se non quelli finanziari, necessari a porre in essere strumenti e presìdi alla tutela e allo sviluppo delle identità culturali e linguistiche minoritarie. Dal medesimo contesto normativo promana il cosiddetto progetto "Alba", recentemente presentato dall'Amministrazione comunale e di cui si riferisce anche in altra parte di Biblos. Il progetto pare volere coniugare ambiziosamente, come è ovvio, promozione culturale e sviluppo economico e non è secondario segnalare che mai in passato tante risorse, al momento soltanto annunciate, sono state assegnate agli arbereshe. In rapida sintesi "Alba", in una proiezione triennale, dovrebbe produrre formai radiofonici e televisivi sulle comunità arbereshe d'Italia da convogliare successivamente su un portale informatico che, ulteriormente arricchito di altri strumenti, dovrebbe creare un circuito virtuoso di scambi e quindi di sviluppo. L'idea, ma soprattutto il modo in cui è stata proposta è, se non originale, sicuramente brillante, ma contiene un limite: presenta una non sufficiente conoscenza delle "cose arbereshe" e dei loro protagonisti. Calare dall'alto, come è successo con "Alba", un progetto ambizioso, quanto generico, su tutti gli arbereshé, è sul piano del metodo, ma soprattutto del risultato, un'operazione destinata a sicuro fallimento oppure, nel migliore dei casi, costituirà l'ennesimo contributo allo spreco. Chi sa anche poco degli arbereshe sa almeno che sono divisi in circa centomila repubbliche (una per ogni italo-albanese) con le quali, per potere collaborare, bisogna attivare innanzitutto regolari relazioni diplomatiche altrimenti, se convocate d'imperio, aldilà del merito, si ritengono occupate manu militari e inevitabilmente oppongono rifiuto se non chiusura. Gli arbereshe, per quanto modesti e umili, non amano gli abiti preconfezionati prediligono ancora quelli di sartoria anche se di stoffa non pregiai i ss i ma. 91 ATTUALITÀ G. SCHIRÒ Di MODICA: Alcune novità Emblematicamente nel logo del progetto l'aquila, pur non essendo acefala, ha perduto una delle due teste e anche un'ala depotenziando così la sua capacità di volo alle quote abituali (alte). Non basta evidentemente affidarsi a presunti guru della comunicazione, che nulla sanno delle comunità italoalbanesi, pet mettere assieme un "prodotto" che, al momento, nella sua concezione è zeppo solo di slogan, luoghi comuni e qualche furbizia. Se si vogliono comunque recuperare ad "Alba" risultar! apprezzabili, bisogna correggere il tiro e ripartire dal basso ritessendo una tela che parta dalle comunità, dal sistema delle loro rappresentanze culturali e istituzionali, dagli operatori di vario genere dei quali occorre sentire opinioni ed esigenze. Dopo, soltanto dopo, potrà sorgere "Alba" e diventare giorno luminoso. E stato da poco tempo presentato alla comunità di Piana il sito comunale della nuova era. Gli autori hanno rivoltato il precedente rispetro al quale, onestamente non era molto diffìcile fare meglio. Qualcuno ritiene, nella vecchia diatriba fra contenuto e forma, che in un sito web, la sua architettura, se pure non originalissima, sia decisiva nella convinzione che per "vendere" sia importante sempre e comunque quello che appare. Questa impostazione, per evidente sottovalutazione del fenomeno, legittimerebbe, indipendentemente da criteri metodologici improntati al massimo del rigore scientifico e della correttezza, l'uso spregiudicato e improprio dei contenuti che non sono funghi spontanei a disposizione del primo che passa ma il risultato di anni di lavoro altrui che pretende e merita se non riconoscimento almeno rispetto. Nonostante tutto, il nuovo WWW, che presenta singolari analogie grafiche con un altro sito che ha operato in Piana negli ultimi mesi, pur lavorando sui medesimi contenuti del sito comunale che l'ha preceduto riesce, a parte qualche comprensibile errore orrografìco sull'arbèresh, a offrire di più in termini di fun-zionalità, servìzi e gradevolezza grafica. 92 ATTUALITÀ GIOVANNI PECORARO: Festa e flamurit GIOVANNI PECORARO Festa e Flamurit Celebrata a Piana degli Albanesi "La Festa della Bandiera" Ptesso l'Auditorium "Portella della Ginestra" a Piana degli Albanesi, giovedì 28 novembre 2002, è stata commemorata e festeggiata la "Festa della Bandiera". È il secondo anno che la Caritas diocesana l'ha voluta promuovere e organizzare. L'anno scorso si è svolta per la prima volta piuttosto in sordina, ma quest'anno, visto il precedente successo di partecipazione, si è voluto coinvolgere il Comune che ha concesso il suo contributo e il suo patrocinio. "Festa e Flamurit" (cosi viene chiamata in Albania) ricorda il giorno della proclamazione dell'indipendenza albanese dall'Impero Ottomano nella città di Valona dove il 28 novembre 1912, appunto, sì tenne un convegno nazionale e dove Ismail Qemal, uno degli artefici dell'indipendenza, aveva fatto sventolare la bandiera albanese. Da allora quel giorno è diventata festa nazionale sino ai giorni nostri. In Sicilia, tra gli italo-albanesi, è stata sempre celebrata la ricorrenza, specialmente dall'Istituto di Studi Albanesi che l'ha sempre fatta coincidere con un convegno di studi a Palermo. La Caritas diocesana ha voluto ricordare la Festa soprattutto perché a Piana vive ed opera da alcuni anni una numerosa comunità di sbqipetari ormai integrata. L'intento della Caritas è di rendere questo gruppo visibile, di sollecitarlo ad incontrarsi e ad incontrare la comunità arbereshe di Piana. Lo strumento potrebbe essere un'associazione che possa interagire con le istituzioni civili e aprire un dialogo anche culturale con gli arbereshe ai quali sarebbe utile riscoprire le loro radici e la storia del paese da cui provengono. L'apertura dei festeggiamenti è stata caratterizzata dalle prolusioni affidate, l'anno scorso al prof. Thoma Rrushi, ormai da anni residente a Piana, e quest'anno allo scrittore Zef Skirò-Di Maxho il quale ha voluto ricordare la visita a Piana, agli inizi del 93 ATTUALITÀ GIOVANNI PECORARO: Festa e flamurit secolo scorso, di Ismail Qemal e Xhafer Brezhdani, facendo così scoprire come anche nel passato gli italo-albanesi guardassero con forte interesse e con viva partecipazione alle sorti del paese delle aquile. L'auspicio della Caritas è che la celebrazione della Festa della Bandiera non rimanga solo una semplice occasione commemorativa ma abbia dei risvolti futuri di crescita per gli shqipètari e gli arbèreshe nella salvaguardia della loro identità culturale. ATTUALITÀ ROSA MARIA Di NOTO: Ritorno in Albania ROSA MARIA Di NOTO1 Ricorno in Albania Era l'I 1 marzo del 1991. Prima di allora la mia conoscenza dell'Albania era molto limitata. Sapevo che esisteva come repubblica, che era situata nell'Europa sud-orientale, che era il più piccolo Stato dei Balcani, che il suo territorio era costituito soprattutto da zone montagnose e poco da terreni fertili e zone costiere, ma da tanti laghi, sapevo che la maggior parte della popolazione era costituita da musulmani e, a seguire, da ortodossi e da pochi cattolici, appena il 10% della popolazione. Era assolutamente inesistente in me l'idea di approfondirne la conoscenza. Invece l ' i l marzo del 1991 ho dovuto, per forza maggiore, farlo perché, catapultata al campo profughi di Buonfornello, ho fatto conoscenza della realtà del popolo albanese in una delle peggiori situazioni della sua storia. Ebbi l'incarico dalla mia USI, per ordine dell'Assessorato regionale della Sanità, di coordinare il servizio sociale del campo. Ho dovuto fare i conti con una realtà che non conoscevo, con mentalità e modi di fare che non mi appartenevano; ho fatto fatica ad entrare in sintonia con il loro modo di fare e soprattutto di pensare. Era importante farlo, e soprattutto urgente, e ci ho provato. Nei loro credi, nei loro principi, nelle loro consuetudini, avevano bisogno di certezze, e loro soprattutto avevano bisogno di sapere che comunque qualcuno li stesse ad ascoltare ed avesse almeno una qualche percezione dei loro tantissimi bisogni. Quello che è arrivato nel '91 al campo profughi di Bonfornello era un popolo eterogeneo. C'era di tutto: dagli ergastolani ruggiti dalle prigioni, ai giovani studenti, da professionisti a donne di strada, da intere famiglie d'operai agli uomini della Sekurimi, il servizio segreto albanese, tutti affamati. Dopo tre giorni di traversata in mare, si gettavano a 1 Funzionarla della Provincia regionale di Palermo e componente della delegazione istituzionale, recatasi in visita in Albania dell'8 al 12 marzo 2003. nell'ambito delle attività del progetto "Brinjat". Oltre a rappresentanti della Provincia, la delegazione comprendeva rappresentanti dei comuni arbereshe della provincia di Palermo e dell'Università degli studi di Palermo. 95 ATTUALITÀ ^ ROSA MARIA Di NOTO: Ritomo in Albania capofitto sui piatti alla mensa. Abbiamo avuto due rivolte al campo; siamo riusciti con fatica a sedarle entrambe. Non è stato semplice, i fomentatori erano forse anche interni. Abbiamo avuto minorenni sequestrate in roulotte, siamo riusciti a liberarle e a mandarle via dal campo affidandole a famiglie in grado di garantirne l'istruzione, l'educazione e soprattutto un clima sereno di crescita familiare. Affollavano la Messa celebrata da don Santino nel tendone del campo; loro, la maggior parte mussulmani, cantavano i canti cattolici. Affidammo i bambini ad alcune famiglie o Istituti, gli adolescenti alla Comunità Cerasela di Petralia Soprana di Padre La Placa; molti si sono convcrtiti e battezzati. Erano circa 5.000 persone, fuggite dall'Albania caoticamente, con navi e barconi. Molti uomini per lo più giovani, donne e bambini, tanti di questi arrivati in Italia casualmente, spìnti dalla voglia di evadere, coinvolti e trascinati dalla folla. L'Italia, un miraggio, ma per molti un passaggio obbligato per raggiungere la Francia, la Germania, il Belgio, l'Inghilterra, e ancora meglio la "Merica". Il desiderio irrazionale di una realizzazione personale nel lavoro, la voglia della conquista di un posto al sole più volte negata, il desiderio di dare ognuno ai propri cari stabilità, certezze ma senza sapere come fare, come agire, senza più una guida, tutti sbandati. Un popolo con tanta voglia di libertà, concetto in quel momento tanto confuso con l'anarchia, e inconsapevole del vero significato della " Libertà". Tutto ciò perché incapaci di un impegno, di uno sforzo personale, propri di gente abituata da sempre a ricevere tutto dall'alto, vitto, casa, lavoro, istruzione, ordini dallo Stato, dal Capo. E se c'era una fatica, un lavoro, anche pesante da fare, demandarlo alle donne. Loro, i maschi, avevano fatto sempre guerre, rivoluzioni, erano stati da sempre coi Turchi, con gli Italiani, coi comunisti, servi, gendarmi, soldati, guardiani, contrabbandieri, sudditi, mai cittadini liberi. Un piccolo popolo con tanta storia alle spalle, e tanto orgoglio, un popolo segnato dalle tante guerre, da rivoluzioni ma anche dalla voglia di riemergere, con un eroe nazionale che 96 ATTUALITÀ ROSA M A R I A Di NOTO: Ritorno in Albania li rappresenta tutti e da cui tutti si sentono con orgoglio rappresentati, "Gjergj Kastrioti Skanderbeg", sulle cui gesta continuano a rimuginare nostalgicamente come se ancora oggi Skanderbeg fosse qui a proteggerli e a guidarli nei percorsi da intraprendere. È un paese strano l'Albania. A distanza di 12 anni sono tornata tra gli Albanesi, ma nella loro patria con una delegazione della Provincia regionale di Palermo. Mi aspettavo di trovare una realtà diversa da quella raccontatami allora; poco è cambiato. La voglia di andare avanti c'è; si sente dai discorsi fatti dai Ministri e dai vari funzionar! che abbiamo incontrato. Il coraggio di affrontare il cambiamento, di lasciare da parte l'isolamento, di mettersi in gioco con gli altri Stati dell'Unione Europea è palpabile, ma è necessario appoggiarli in questo percorso, aiutarli a non ripetere errori già fatti da altri, sostenerli ed incoraggiarli, con la nostra esperienza, tanto noi questa realtà l'abbiamo già vissuta 50 anni fa. Ed allora, se li aiutiamo, possono farcela anche loro. Mi ha infastidito trovare lungo il percorso dall'aereoporto Rinas di Tirana, a Tirana centro, tanto sporco e spazzatura ai margini della strada, le donne al lavoro nei campi sotto il controllo dei loro uomini a braccia conserte. Ho provato impressione nel vedere che alcuni dei tanti bunker, i più grandi, quelli che riuscivano a contenere 20 soldati di Henver Hoxha, sono diventate civili abitazioni. Domenica 9 marzo siamo andati a visitare il museo, intitolato a Skanderbeg, a Kruja. Lungo il percorso (1 ora e 30 minuti da Tirana) abbiamo attraversato parecchi villaggi, abbiamo incontrato la gente del luogo, sorrisi senza denti e spenti, visi incartapccoriti dal sole e dal freddo, abbiamo visto lo sfrecciare continuo di macchine di grossa cilindrata, i nuovi ricchi, Ì vecchi poverissimi ed Ì bambini lungo il selciato polveroso, con in mostra la scarsa mercanzia da vendere: pasta, acqua, sigarette, fazzoletti di carta. Il sindaco di Tirana quando ci ha incontrati due giorni dopo è stato molto chiaro; ha chiesto alberi, tanti alberi grandi, alti almeno come gli albanesi (metri 1,60) per la sua Tirana ma soprattutto per un popolo, quello albanese, dal cuore grande, tanto da sentirsi cinesi, in un paese di appena 28.750 Kmq. 97 ATTUALITÀ ROSA MARIA Di NOTO: Brinjat ROSA MARIA Di NOTO Brinjat Potrebbe essere il nome commerciale di un qualsiasi prodotto straniero esposto al supermercato. Inizialmente ho cercato di capire da sola cosa potesse significare, avvalendomi delle mie molto relative conoscenze dì lìngua arbereshe, ma non mi è tornato in mente qualcosa che potesse aiutarmi. Ho allora chiesto a Pietro Cuccia, sindaco di Contessa Entellina, compagno di viaggio nel progetto Brinjat. E lui mi ha spiegato: è un termine albanese, diffìcilmente traducibile in lingua italiana.Indicativamente significa "promontorio, collina", qualcosa che da terra si elèva verso l'alto come a cercare di raggiungere l'altro, forse il Divino, come un'evoluzione dalle piccole cose del quotidiano verso qualcosa più grande, più importante, più vero cui forse tutti aspiriamo. Brznjat, intanto per me, rappresenta, nel concreto un progetto voluto dalla Provincia Regionale di Palermo, e in particolare dalla Direzione Politiche Sociali dell'Ente. Il progetto, in parte già attuato, prevede l'affìancamenro della Provincia e dei cinque Comuni di origine albanese ad un Paese in via di sviluppo e con tanta voglia di emergere, quale l'Albania, per una serie di interventi di sostegno, di crescita comune, di tante cose da condurre insieme, con la finalità di permettere anche a questa piccola Repubblica di entrare a far parte, a fronte alta, dell'Unione Europea. Le cose già fatte? La donazione da parte della Facoltà di Medicina dell'Università di Palermo di 300 testi universitari, tradotti nella loro madre lingua, gli incontri istituzionali a Tirana con il Primo Ministro Fatos Nano, con il Ministri degli Esteri, della Cultura, della Pubblica Istruzione, con il Rettore dell'Università, con il Presidente dell'Accademia delle Scienze, con un Dirigente della Camera di Commercio, ma anche con l'Ambasciatore della Repubblica Albanese in Italia e l'Ambasciatore della Repubblica Italiana in Albania. 98 ATTUALITÀ ROSA MARIA Di NOTO: Brinjat E poi ancora, recentissimo, in occasione del XXIX Congresso internazionale di Studi Albanesi "Giergj Kastriota Skanderbeg", organizzato dal prof. Matteo Mandala che ha avuto luogo presso la sede della Fondazione Withaker di Villa Malfìtano a Palermo, il 2 aprile scorso, l'incontro del Presidente della Repubblica d'Albania, Alfred Moisiu, accompagnato dal Ministro per l'Integrazione in Europa, Sokol Nako, e da una rappresentanza del Rettorato e della Facoltà di Medicina dell'Università di Tirana con le autorità siciliane e i Sindaci dei cinque comuni arbèreshe della Provincia di Palermo. Al congresso, presieduto da Patrizia Lendinara, preside della Facoltà di Scienze della Formazione di Palermo, sono intervenuti il Aurelio Elio Cardinale, preside della Facoltà di Medicina di Palermo, Kristo Panos, preside della Facoltà di Medicina di Tirana, Aurei Plasari, Karen Bikoku e Ali Replatari, docenti della Facoltà di Scienze della Formazione di Tirana. Contemporaneamente è stato siglato un protocollo d'intesa fra le due Facoltà di Medicina (Palermo e Tirana). Il protocollo prevede che la facoltà siciliana, con l'aiuto dei cinque comuni di etnia arbèreshe della provincia di Palermo, diano l'opportunità agli studenti albanesi di approfondire gli studi di radiodiagnostica, cardiologia, cardiochirurgia, utilizzando anche internet per la didattica. Il presidente della Repubblica d'Albania ha riferito che il giorno prima, aveva incontrato il vicepresidente del Consiglio dei Ministri, on. G. Fini al quale ha detto che l'Italia rappresenta per il popolo albanese non solo il migliore avvocato difensore ma anche il miglior ponte possibile di comunicazione con l'Europa, aggiungendo che ha avuto modo di costatare che "gli italiani conoscono meglio di chiunque altro gli albanesi, e ciò significa, per il popolo albanese, una protezione preziosa, da non perdere nel percorso intrapreso di crescita e di adeguamento agli Stati dell'Unione Europea". Molte cose uniscono l'Italia e in particolare la Provincia di Palermo al popolo albanese. Cinquecento anni fa i primi nuclei arbèreshe, fuggendo dall'Albania invasa dagli Ottomani, sono arrivati in Sicilia costituendo la prima colonia a Contessa Entellina. Sono ritornati negli yy ATTUALITÀ ROSA MARIA Di NOTO: Brinjat anni '90, hanno portato con loro la disperazione dell'ultima dittatura che, per reazione, li ha resi ostili a qualsiasi regola. Ma adesso le cose stanno cambiando. A ciò ha contribuito l'aiuto dello Stato italiano, di alcuni comuni e regioni italiani della costa adriatica, vicini di casa, ma anche qualche altro Stato europeo. Molte le aspettative del presidente Moisiu dall'incontro con le comunità arbereshe siciliane, con il sindaco di Palermo, Diego Cammarata, con l'assessore delegato della Provìncia, Nicola Vernuccio, e col presidente della Regione Sicilia Salvatore Cuffaro. Ciò che da buone speranze di riuscita in questo percorso, tutto in salita, ha affermato il presidente della Repubblica albanese è il costatare che ben 8000 sono gli studenti shqipetari che frequentano le università italiane, che almeno un milione di emigrati albanesi, le cui rimesse vengono poi reinvestite in Albania, hanno trovato lavoro in Italia, che già alcuni imprenditori italiani e siciliani hanno iniziato ad investire in Albania, e si è augurato che altri imprenditori siciliani ne seguano la scia. Il Presidente albanese ha esaltato la fulgida figura di Giergj Kastriota Skanderbeg per la sua memorabile e strenua lotta in difesa dell'Albania e che ritorna ancora oggi ad emergere in mezzo a quel popolo. Kastriota per il popolo albanese, che discende dagli antichi Illiri e che nei secoli ha subito tante dominazioni e che ha dovuto affrontare tante lotte, rappresenta la coscienza, la bandiera, l'esempio perché ha difeso strenuamente l'identità nazionale albanese, ma, ciò facendo, anche quella degli altri popoli europei, trasmettendo alle sue genti, generazione dopo generazione, l'orgoglio di essere persone ognuno con un'identità ben definita, e anche oggi, rappresenta il modello, l'ideale essenziale da copiare per Ì nuovi, giovani albanesi. 100 RECENSIONI A. N. BERIÌ.HA: Importante opera della nostra tradizione letteraria ANTON NIKE BERISHA Importante opera della nostra tradizione letteraria 1 Fino alla seconda metà del XIX secolo, dopo 400 anni di dominazione ottomana, non si può ancora parlare di una vera attività letteraria albanese. Intatti l'importante tradizione letteraria e culturale avviata da Buzuku, proseguita con Matranga, Budi, Bardhi, Bogdani, Variboba ed altri, non solo era stata interrotta, ma aveva cessato di essere parte della vita culturale e spirituale del paese. La opprimente dominazione ottomana, tra le più arretrate che abbia conosciuto la storia d'Europa, non permetteva, né l'apertura di scuole, né la conoscenza della tradizione letteraria e culturale albanese. In queste condizioni, erano pochi coloro che sapevano leggere e scrivere l'albanese. Tra questi vi erano i preti cattolici, i quali, scolarizzati fuori dal loro paese, tentavano di rivitalizzare la vita letteraria, culturale e spirituale. Ricordia-mo qui Pjeter Zarishì, Ndue Bytyci e Leonardo De Martino. Costoro, anche per le condizioni estremamente diffìcili in cui si viveva e si operava allora, sono i primi conosciuti fino ad oggi, che in Albania intorno al 1860 iniziarono a scrivere in lingua albanese le loro opere letterarie, attraverso le quali esprìmevano i sentimenti personali e davano voce ai diversi aspetti della vita e della natura, della Fede e del destino. Si può dire che con essi ricomincia la tradizione letteraria albanese. In tale ambito assume un ruolo importante Leonardo DÌ Martino, arberesh di Greci, in Campania, che visse come missionario in Albania del Nord per 40 anni. P. Leonardo aveva imparato bene la lingua albanese che si parlava al Nord, quindi scrisse le sue poesìe in ghego e non in arheresb che era la sua madrelingua. Scrisse una parte dei suoi versi anche 1 A. N. Ber i stia è docente di lingua e letteratura albanese presso l'Università della Calabria. L'opera è: PADRE LEONARDO DE MARTINO, Harpa arbnare (L'arpa at/wwe). putsit, traslitterazione di Anton Nike Berisha e intimiti/i une di Ernest Kuliqi, "Shpresn" & 'Taik Konka", Prìstina, 2002. L.i traduzione dalla lingua albanese è di Gaetano Gcrbino, 101 RECENSIONI A. N, BERISHA: Importante opera della nostra tradizione letteraria in italiano che era la lingua ufficiale del suo paese di origine. I dati di cui siamo a conoscenza sulla vita di questo pastore di anime e scrittore, testimoniano che P. Leonardo, a partire dal 1868, scrisse versi in lingua albanese e li pubblicò, insieme agli scritti italiani, a Venezia nel 1881 nell'opera L'arpa a"un italo-albanese. Proprio la raccolta di poesie contenute ne L'arpa d'un italoalbanese costituiscono il volume Harpa arbnore pubblicato Io scorso anno. Le poesie sono traslitterate da Anton Nike Berisha, mentre l'introduzione è di Ernest Koliqi. Nel volume sono raccolte poesie composte dal poeta fino al 1881 nella parte intitolata Parte albanese. L'importanza di P. Leonardo nella letteratura albanese deriva dal fatto di essere uno dei primi poeti a scrivere versi in albanese in territorio albanese negli anni '60 del XIX secolo, ma anche dall'avere introdotto nelle sue opere elementi appartenenti alla lingua arbèreshe che, come dice a ragione il Koliqi, «è rimasta ovunque pura, semplice, armoniosa e forte" e "dall'aver dato dignità letteraria per la prima volta alla spontaneità delle espressioni popolari». La grande padronanza con la quale De Martino usava per le sue opere la lingua originale che si manteneva ancora pura in Albania settentrionale, soprattutto nelle zone di montagna, non solo ha dato un grande valore alla sua poesia, ma ha aperto alla successiva produzione letteraria albanese una strada che verrà percorsa ed arricchita da altri scrittori, soprattutto dai francescani. La conoscenza della lingua e l'atteggiamento verso di essa sono testimoniati anche dai versi del sonetto che egli dedicò a d. Anton Sak Bytyci: la difesa della lingua sottintende la difesa della patria. Vorremmo, ma non possiamo, la lìngua albanese derelitta far rinascere con lo spìrito: così, come il forte che strappa l'agnello dalla bocca del lupo che l'aveva catturata e addentata, dovremmo riconquistare la nostra Patria tanto oppressa! Con lingua poetica e raffinata, con versi composti con dedizione, il nostro poeta canta Dio e la luce e la gioia che vengono dalla sua grazia: 102 RECENSIONI A. N. BERISHA: Importante opera della nostra tradizione letteraria Gioirò, o Signore, dell'amore infinito che hai per me; Gioirò. Creatore, della dolcezza cantando con spirito ardente. (Il desiderio del Paradiso) Tali tematiche sono riproposte anche nel componimento dedicato agli otto giovani albanesi che partono per l'Italia per divenire seguaci dì S. Francesco d'Assisi, dove si esprime la grande gioia del poeta per questo avvenimento. Il loro invìo in Italia per i compatrioti oppressi dal giogo turco era una speranza di cambiamento e di rinascita dì una nuova vita culturale e spirituale. Il poeta dice che questo avvenimento è stato opera dello stesso Dio Ma questi) dì in mente impresso terrà sempre l'albanese, che da Dio è staff) scritto per essi il destino De Martino, insieme ai due poeti già menzionati, Zarishi e Bytyc.i, è anche il creatore del sonetto albanese. Egli utilizzò inoltre diverse forme poetiche e metriche, sia quando prese spunto dalla nostra ricca tradizione poetica orale, sia quando le mutuò dalla tradizione letteraria italiana o da altre letterature. Un altro motivo rende importante l'opera del De Martino scrittore: egli è stato tra i primi autori che in terra albanese (il primo al di là dell'Adriatico fu Francesco Antonio Santori) abbia scritto in albanese opere teatrali, tra le quali La notte di Natale, rappresentata a Scutari fin dal 1880 e compresa nella parte finale del volume Harpa arbnore. Padre Leonardo fu anche il precursore nel campo delle traduzioni letterarie. Per questa sua attività Ernest Koliqi afferma: "Fu tra Ì primi che in lingua albanese affrontò con risultati eccellenti diffìcili traduzioni dagli autori italiani più famosi. Nei versi patriottici come in quelli con soggetto religioso utilizzò un lessico ricco. Per primo introdusse nella nostra poesia i metri italiani più complessi. La sua produzione fu grande e agile": KH RECENSIONI A. N. BERISHA: Importante opera della nostra tradizione letteraria // grande giorno finalmente è giunto, e viene tra noi pien di gioia e d'allegrìa; II Signore ti porge la sua mano, scende dal ciclo il Verbo e appare sulla terra. La parte più consistente delle poesie di De Martino scritte in lingua albanese è di tema religioso. In esse il poeta con un albanese ricco espresse i propri sentimenti verso l'Onnipotente, verso Cristo, la Madonna ed i Santi. Furono proprio la sua abilità nel comporre i suoi versi e la lingua che egli usò che spinsero Anton Bytyc,i a dedicare un sonetto al poeta arbé'resh e ad intitolarlo Novello usignolo: a te gli Albanesi devono rendere onore. Tale apprezzamento derivava dalla fama che De Martino aveva conquistato in diversi centri albanesi importanti come Scutari, Prizren, Pezh. (^far zàni a kyrie qi n'Troshan tuj nisun LI hap ne Shkoder, Perzeren e mbm'ni Deri n'Pej t'eger, e ne zemer m'bini Me mekam t'ambel t'fjalve n'kang ujdisun?! De Martino apparteneva alla scuola letteraria francescana, la quale, come è noto, ha conferito una straordinaria dimensione artistica alia letteratura albanese con opere create con una lingua ed una fraseologia prese dalle parlate delle zone montane. Questa particolarità della lingua del De Martino si osserva soprattutto nella poesia umoristica Canzone comica, dedicata a don Stefano Mazrek, in occasione del suo onomastico (il 26 dicembre del 1868). Su questo genere poetico del De Martino lo scrittore Koliqi scrive che la sua originalità si ritrova soprattutto nei versi comici: «Qui il movimento del verso, le parole, le espressioni sono quelle tradizionali del popolo, ma utilizzati con maestria e padronanza. La burla non valica mai i confini del buon gusto. Il poeta non rifugge dall'uso delle parole turche, soprattutto dì quelle che si sono radicate da secoli nella lingua: la loro sostituzione con parole albanesi rare, toglie vigore alla comicità e al tono familiare dello stile. Più tardi il Fishta in un verso famoso affermò: 'Ka'j fjale tur^e bàn lazem!». Dunque, vi è un altro elemento che conferisce a questa poesia un valore particolare: «Lo 104 RECENSIONI A. N. BERISHA: Importante opera della nostra tracU/ionc letteraria spirito del tutto albanese sia del verso sia delle espressioni è disciplinato dal metro. Tradizionalmente il poeta albanese usa l'ottonario sia in strofe uniche che quadruple. Qui le strofe hanno tre ottonati in rima baciata in analogia con l'inno religioso Stabat Mater dolorosa (E. Koliqi)». L'importanza del lavoro di De Martino si estende anche ad altri campi della vita albanese, soprattutto nell'attività di pedagogo che svolse nei confronti del poeta nazionale Fishta. Nell'opera "// maestro arberesb e il discepolo albanese: Padre Leonardo Dt Martino e Padre Giorgio Fishta" Rosolino Petrotta dice tra l'altro che Fishta «{...] in giovane età, con gli insegnamenti ticevuti da un grande missionario e patriota italo-albanese, maturò l'amore per la Patria e la fedeltà alla Chiesa cattolica e all'Ordine di S. Francesco» e che «Padre Giorgio Fishta, in gioventù, fu attirato dall'Ordine Francescano grazie a Padre Leonardo De Martino: questi fu per il Fishta il primo padre spirituale, insegnante ed educatore». Ma De Martino assunse un ruolo ben più importante per Fishta «[...} guidò il suo allievo nei primi passi del suo cammino poetico che lo avrebbe poi portato a diventare il Poeta nazionale d'Albania [...} (Shejzai, numero commemorativo, nn. 11-12, 1961, pp. 494-495)». E il grande Fishta, che con le sue opere diede una svolta straordinaria alla letteratura albanese, non dimenticò il suo maestro. Ciò è testimoniato dalle parole di Rosolino Petrotta che scrive «Quando Fishta, come segretario della delegazione albanese alla Conferenza di pace, nel 1920, andò a Parigi, attraversando l'Italia, volle recarsi al convento francescano di Sarno e per l'ultima volta andò a baciare la mano al venerabile Vecchio, prima che questi morisse: davvero toccante l'incontro tra il grande maestro ed Ìl grande allievo!» (Shejzat, cit, p. 495). La raccolta di poesie Harpa arbnore di Leonardo De Martino, pubblicata a Pristina, non ci rivela soltanto un nostro importante poeta, ma ci da anche la consapevolezza che Ì valori della nostra tradizione letteraria fanno parte della nostra vita culturale e spirituale. RECENSIONI SERGIO PILUTTERI: Piana degli Albanesi: Comunità in cambiamento SERGIO PILLITTERII Piana degli Albanesi: Comunità in cambiamento Riflessioni su una ricerca sociologica tra storia e rappresentazione sociale. Al termine di un lavoro di lettura sociologica della realtà di Piana, è importante dedicare qualche riflessione ai risultati e proporre alcune valutazioni utili all'apertura di un dibattito sulla qualità della vita nella comunità. Il lavoro, condotto sulla base di validi strumenti di ricerca scientifica e su affermate teorie della sociologia empirica, ha inteso fornire una possibile chiave di lettura della realtà odierna di Piana che, in qualche modo, possa servire principalmente a quanti ne fanno parte, e ancor di più alle istituzioni, prese in esame nella ricerca, affinchè possano meglio considerare, e se del caso, riconsiderare le proprie strategie d'intervento sociale e culturale. Capita spesso, infatti, di non accorgersi abbastanza di quanto sia in trasformazione tutto ciò che ci gira attorno, di come e in che misura si verifìchi una perdita di vecchi e comuni punti di riferimento valoriali nonché un cambiamento dei ruoli e del "peso" delle istituzioni locali. È insita nella natura umana e nei suoi processi conoscitivi la ricerca di risposte che riescano a spiegare e a giustificare il proprio punto di vista sulla realtà. Da questo processo, a volte non palesemente espresso, muove una delle teorie più affascinanti della sociologia strutturale e della conoscenza, secondo cui il mondo della vita quotidiana è un mondo che viene costruito dall'uomo comune nella «condotta soggettivamente significativa della sua vita»J , e soprattutto un mondo che prende origine dal pensiero e dall'azione dell'uomo che grazie a questi mantiene la propria realtà. Il senso comune che così si costruisce, prendendo spunto da una realtà già data per scontata come realtà in sé e già ordinata, è il frutto anche di una serie di interpretazionì che egli stesso si da come attore sociale della comunità in cui vive1. Dottore in Scienze dell'Educazione e autore della resi di laureu (da cui è stato ricavato questo contributo) Piana deglt Albanesi: anali.il dì una comunità tr« storia e rappr^entazìone miate, AA. 2001-2002, Cattedra di sociologia dell'educazione, Facoltà di Scien/e della Formazione dell'Università di Palermo. •' BERGER P. I.., LUCKMANN 'I'., l^i realtà come coìtruziom wiiitv. II Mulino, Bologna, 1 1969, p- 34. 1 IBIDEM 106 RECENSIONI Si-Kijio PiuJ'iTERl: Piana degli Albanesi: Comunità in cambiamento Piana, si sa, è una comunità del tutto particolare che durante i secoli ha saputo mantenere la propria identità, la propria lingua e un proprio modo di interagire con i processi di modernizzazione. Se si prova a studiare in maniera approfondita anche Ì vari passaggi delle sue diverse componenti sociali, nel contesto dell'evoluzione storicosociale della comunità, si scopre che il fenomeno si è sviluppato autonomamente rispetto ai paesi vicini e alle altre colonie italo-albanesi. Gli eventi che in qualche modo, nel bene e nel male, hanno attraversato questo paese, hanno contribuito sostanzialmente a rafforzare l'idea e il valore dell'identità. La diversità di pensieri, di ruoli, di operati, ha evidenziato in maniera obiettiva l'azione di ogni singola articolazione del tessuto sociale, facendone emergere l'importanza e il ruolo da esse assunto nell'arco di cinquecento anni di storia, ma anche la maniera con cui le vecchie e le nuove generazioni le riportano nelle proprie rappresentazioni sociali. Le istituzioni prese in esame (famiglia, chiesa, comune e scuola) rappresentano, secondo le impostazioni metodologiche della ricerca, dei validi punti di partenza dai quali analizzare il sistema sociale che ha garantito il processo di mantenimento e di salvaguardia degli aspetti che rendono Piana, una minoranza etnica linguistica di origine albanese. Quando si parla di identità arbèreshe si dovrebbe intendere il complesso processo non solo dei prerequisiti che la rendono tale, e cioè la lingua, la cultura, il rito greco-bizantino, gli usi e i costumi, bensì anche il processo della memoria che ha consegnato e che consegna, giorno dopo giorno, nelle mani di tutta la comunità, questo valore perché venga mantenuto, salvaguardato e opportunamente valorizzato. Intervistando "i vecchi e i giovani" della comunità di Piana, nonché gli operatori nelle istituzioni che hanno un ruolo chiave per l'avvenire dell'identità arbèreshe, si sono poste, in conclusione e al di là dei contenuti della ricerca, diverse questioni fondamentali che meritano ulteriori approfondimenti impossibili ìn questa sede: quale identità le nuove generazioni si ritrovano a portare avanti? In che modo le istituzioni intendono efficacemente intervenire perché le coscienze delle nuove generazioni possano essere "educate" al rispetto e alla valorizzazione della propria identità? 107 RECENSIONI PIETRO MANALI: Piana degli Albanesi e il suo territorio PIETRO MANALI Le risorse del territorio ovvero il "sistema" culturale arberesh Pubblicato importante studio di Rosalba Catalano Nell'ambito della collana Studi e testi albanesi diretta da Matteo Mandala, professore ordinario di lingua e letteratura albanese presso la Facoltà di Scienze della formazione dell'Università di Palermo, e sostenuta finanziariamente dalla Provincia regionale di Palermo sull'onda dei risultati dei progetti BRINJAT1, è stato pubblicato nel maggio 2003 il volume di Rosalba Catalano2 Piana degli Albanesi e il suo territorio. Fonti documentarie e progetti di sviluppo per i tipi della casa editrice palermitana A. C. Mirror. La ricerca, in una veste tipografica elegante e gradevole, è stata presentata il 31 maggio 2003 presso l'aula consigliare del Comune di Piana degli Albanesi con l'intervento di Matteo Mandala, Dario Falzone, già presidente del Consiglio provinciale di Palermo e attuale vicesindaco del comune di Palermo, Gaetano Caramanno, sindaco di Piana, e i proff. Girolamo Cusimano e Vincenzo Guarrasi che dirigono la Cattedra di Geografìa del Dipartimento di Beni culturali dell'Università di Palermo. Il lavoro, come scrive in una delle prefazioni Mandala, "è una rielaborazione parziale della tesi di laurea Geografia e sistemi locali: la cultura arbereshe in Sicilia [...] e riguarda il capitolo relativo alla comunità di Piana degli Albanesi". I capitoli relativi alle altre comunità albanesi della provincia di Palermo (Contessa Entellina, Mezzoiuso, Palazzo Adriano e Santa Cristina Gela) saranno oggetto di altrettante prossime pubblicazioni della stessa autrice. Dario Falzone ha ribadito e confermato il suo sostegno alle comunità arbereshe che, attraverso le realizzazioni di Brinjat e questa testimonianza di Rosalba Catalano, offrono non solo alla provincia di Palermo, ma anche alla Sicilia intera un alto profilo culturale che ne arricchisce ulteriormente il variegato e ricco Ai progetti BRINJAT ampio spazio è dedicato in questo numero di BIBLOS. Giovane e valente rìcercatrice di Piana degli Albanesi che collabora con la Cattedra di Geografìa del Dipartimento di Beni culturali dell'Università di Palermo. 1 2 108 RECENSIONI PIETRO MANALI: Piana degli Albanesi e il suo territorio panorama socio-culturale. Il suo apprezzamento è andato anche alla loro capacità di mettere in campo una forte progettualità le cui linee sono ulteriormente approfondite da questo studio. Girolamo Cusimano ha sottolineato, come fatto straordinario rispetto a quanto in simili casi avviene, che la Catalano ha vissuto e svolto la ricerca come momento di conosceva "dall'interno" della realtà indagata e come omaggio alla propria comunità cui è legata da un forte legame di appartenenza. Vincenzo Guarrasi si è soffermato, invece, su un altro aspetto di carattere più generale ma altrettanto decisivo. Davanti alla globalizzazione, ormai affermatasi anche come fatto di omologazione, non rimane che l'opposizione intelligente e dinamica delle culture locali. In questo senso la scommessa sul lavoro della Catalano può considerarsi una scommessa vinta. Gaetano Caramanno ha colto invece l'importanza dello stustudio e delle sue proposte nell'ambito degli strumenti di negoziazione programmata che tendono a favorire la diffusione della cultura d'impresa e del gusto dell'intrapresa fondate sulla fiducia nelle proprie risorse di cui quelle culturali sono fondanti. A queste considerazioni, pur autorevoli, intendiamo aggiungere le nostre. Conosciamo da molto tempo la Catalano e ne abbiamo apprezzato, fin dall'età più giovane, intelligenza, capacità, voglia. E una risorsa della nostra comunità. La sua ricerca non ha un'importanza solitamente storico-culturale è qualcosa di diverso in quanto individua, dal punto di vista del geografo, le risorse del territorio e le ricompone organicamente come fatto di conoscenza secondo un metodo attraverso il quale "il sistema culturale arbè'resh" può essere posto alla base di un progetto dì sviluppo nel contesto degli attuali strumenti normativi di tutela e di programmazione negoziata. È il cuore dei problemi con cui nel passato, anche recente, hanno fatto i conti schiere di operatori finora con risultati non definitivi solo perché i loro sforzi erano prematuri rispetto alla disponibilità di strumenti preliminari che invece lo sono, anche per loro merito, in questa fase storica. 109 RECENSIONI PIETRO MANALI: Piana degli Albanesi e il suo territorio Termini come "sistema culturale locale", o come "circuito", sono stati alla base delle riflessioni di quanti hanno posto in essere "ìl modello Brinjat" cioè un "sistema" istituzionale di collaborazione fra gli Enti locali delle comunità arbèreshe, l'Università di Palermo e l'Eparchia di Piana degli Albanesi con un forte coinvolgimento delle Istituzioni scolastiche e del sistema dell'associazionismo locale per la valorizzazione del patrimonio culturale in chiave di risorsa per lo sviluppo. Quando si tratta di cultura la collaborazione è relativamente facile e quindi in quel contesto è ampiamente riuscita. Il prossimo traguardo riguarda la circuitazione delle risorse turistiche. Un primo passo è stato fatto quest'anno in occasione della Pasqua arbèreshe per la prima volta "pensata" come evento delle comunità italo-albanesi di Palermo e della sua provincia. Lo stesso portale informatico Brinjat, in fase di allestimento, servirà a veicolare, assieme ad altri strumenti in fase di definizione, informazione, cultura, promozione e quant'altro occorra per meglio far conoscere ad un pubblico potenzialmente vastissimo queste realtà e le loro risorse culturali, turistiche, produttive. Un apposito convegno, previsto per la fine dell'estate di quest'anno, servirà a definire meglio spazi e metodi d'intervento e a mettere in luce quanto in sede di programmazione negoziata è stato fatto e quanto è possibile ancora cantierare per raggiungere traguardi futuri che dovranno riguardare l'ottimizzazione delle risorse produttive in un'ottica di sistema o dì circuito che dir si voglia. In tutti i casi a prevalere deve essere la visione sovracomunale e sovraterritoriale. Come si può facilmente registrare, la proposta culturale della Catalano, validamente e scientificamente assistita dai proff. Cusimano e Guardasi, arriva al momento giusto e cioè quando le comunità, in tutte le loro articolazioni, sembrano pronte a superare un lungo periodo di gestazione per passare a un altrettanto lungo e proficuo periodi di utili e conducenti realizzazioni che per obbiettivo primario devono avere la valorizzazione delle risorse culturali, lo sviluppo economico e l'occupazione. L'Università di Palermo, e in particolare le Cattedre di lingua e letteratura albanese, è stata spesso vivaio di intelligenze arbèreshe no RECENSIONI PIETRO MANALI: Piana degli Albanesi e il suo territorio che si sono impegnate nello studio e nella valorizzazione delle nostre peculiarità, accompagnate in questo sforzo anche dalle strutture culturali locali: eparchia, biblioteche, musei, associazionismo vario e diffuso. Raramente, però, è accaduto che questi tentativi, frequentemente tradottisi risultati pregevoli, abbiano trovato riconoscimenti in termini di prospettiva lavorativa determinando in definitiva frustrazione ed allontanamento. Ebbene, solo ciò di cui siamo andati discorrendo finora può invertire questa tendenza ed evitare che le migliori intelligenze locali vadano ad arricchire altri "territori" con ulteriore depauperamento e decadimento dei nostri territori. ni r onduli) ip ,is.mi |.iu .>II'dl[]!>]S ip OllUI.] I QUADERNI DI BIBLOS AUTORE E TITOLO COLLANA N. Società e Istituzioni 1/1 A.A.V.V. // sasso di Barbato Letteratura 2/1 M. Mandala Le poesie inedite di Carlo Dolce Storia 3/1 M. Mandala Sviluppi demografici a Piana degli Albanesi Letteratura 4/2 A. N. Berisha Tre saggi sull'opera di Giuseppe Schirò Teatro 5/1 G. Schifò Di Maggio Ha molti fiori la ginestra Società e Istituzioni 6/2 A.A.V.V. Le scuole dell'obbligo per la salvaguardia e la promozione della cultura arbereshe Letteratura 7/3 A. N. Berisha Dove antico dolore Storia 8/2 G. Schirò Cenni sulla origine delle colonie albanesi in Sicilia Società e Istituzioni 9/3 G. Damiani // diritto delle minoranze Guide e manuali 10/1 P. Manali (a cura di) Piana degli Albanesi - fiora e Arberesh'evet Storia 11/3 P. Manali (a cura di) G. Costantini, Studi Storici Guide e manuali 12/2 Guide e manuali 1 3/3 G. Schirò Di Modica Udhetimi paralel Letteratura 14/4 G. Schirò Di Modica Vjershe A.A.V.V. Skanderbeg .ÌOOO