Da Quinlan ad Englaro
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Da Quinlan ad Englaro
Da Quinlan ad Englaro VIAGGIO ALLE RADICI DELLO STATO COSTITUZIONALE Avv. Stefano Rossi Università degli Studi di Bergamo IN RE QUINLAN [355 A.2d 647 (N.J.), cert. denied, 429 U.S. 922 (1976]. La ventiduenne Karen Quinlan, dopo avere subito due crisi respiratorie consecutive, aveva cessato definitivamente la propria funzione polmonare ed era caduta in coma. Ciò costrinse il personale medico dell’ospedale del New Jersey ad impiegare il respiratore artificiale per mantenerla in vita, e a prendere atto che la ragazza non si sarebbe mai più riavuta dalle gravissime lesioni cerebrali subite, rimanendo per il resto della sua vita in stato vegetativo permanente. Il padre di Karen Quinlan reputò rispondente all’interesse della figlia l’interruzione dei trattamenti di sostegno vitale. Di fronte al rifiuto dei medici, Mr. Quinlan si rivolse alla Chancery Court del New Jersey perché lo nominasse legale rappresentante della figlia e emanasse un ordine di cessazione delle terapie di sostegno vitale somministrate alla figlia. Il rigetto dell’istanza da parte della Chancery Court diede vita ad una serie di ricorsi giurisdizionali, finché il caso non venne incardinato presso la Corte Suprema del New Jersey. Nell’accogliere il ricorso di Mr. Quinlan, la Corte Suprema del New Jersey stabilì che: 1) il right to privacy (ricostruito sulla base del V emendamento) comprende il diritto di rifiutare l’erogazione dei trattamenti vitali, e, conseguentemente, di determinare la cessazione della propria esistenza, quando questa non sia più rispondente a standard minimi di qualità della vita e quando per il malato non vi siano più prospettive di ritornare ad uno stato cosciente; 2) nell’ipotesi in cui il paziente non si trovi in condizione di esprimere il proprio consenso, le decisioni di fine vita, nel contesto dei trattamenti di sostentamento vitale, possono essere assunte anche dal suo legale rappresentante Negli Stati Uniti la configurazione della pretesa all’interruzione dei trattamenti di sostegno vitale costituì, in un primo tempo, la risultante del diritto all’intangibilità della propria sfera corporea e del diritto alla privacy, proclamato dalla Corte Suprema degli Stati Uniti nel caso Union Pacific Railway v. Botsford (1891) Il giudice Cardozo, nel caso Schloerdoff v. Society of N.Y. Hosp (1914), ne precisò meglio i contorni, identificando tale posizione con «il diritto di ogni essere umano adulto e sano di mente di stabilire il destino del proprio corpo, cosicché un chirurgo che effettui un intervento senza il consenso del paziente sarà obbligato nei confronti di quest’ultimo al risarcimento dei danni». Ancora si possono ricordare Griswold v. Connecticut (1965) sull’ incostituzionalità del divieto dell’uso di preservativi e Roe v. Wade (1973) sul diritto alle scelte procreative. Poiché Karen Quinlan era incapace di esercitare il suo diritto, la Corte fece ricorso al concetto di substituted judgement (giudizio sostitutivo) in base al quale il sostituto, qualora i desideri dell’incapace non fossero stati chiaramente espressi, adotta come linea di orientamento il sistema di valori di ordine filosofico, etico e religioso del paziente. Considerato che generalmente sono i familiari a conoscere meglio il paziente, fu stabilito che il sostituto dovesse essere un membro della famiglia. La Corte, in assenza di legislazione in materia, si assunse anche la responsabilità di determinare la procedura. Fu deciso che quando la famiglia e il sanitario addetto fossero concordi, ottenuta l’attestazione di una commissione ospedaliera, composta da almeno due medici scelti tra quelli che normalmente non assistono il paziente, circa la mancanza di alcuna ragionevole possibilità che il paziente possa tornare in stato di coscienza, il trattamento di mantenimento poteva essere sospeso. Nel caso In re Conroy [98 N.J. 321, 486 A.2d 1209 (1985)], la Corte Suprema del New Jersey stabilì che il potere di agire nell’interesse del soggetto incapace sussista solamente in presenza di una “clear evidence” della volontà del malato. In assenza di una tale prova, è necessario che vi sia qualche altra prova attendibile che il soggetto avrebbe rifiutato l’erogazione dei trattamenti e che la prosecuzione dei trattamenti avrebbe sopravanzato i benefici. In assenza anche di tali elementi, l’interruzione dei trattamenti di sostentamento vitale avrebbe potuto essere disposta in base ad una valutazione obiettiva del dolore e della sofferenza dei trattamenti. IN RE CRUZAN V. DIRECTOR MISSOURI DEPARTMENT OF HEALTH [U.S., 110 S. Ct. 2841, 111 L. Ed. 2d 224 (1990)] Dopo essere stata coinvolta in un incidente stradale, Nancy Cruzan era caduta in stato vegetativo permanente, con conseguente necessità di essere sottoposta a dei trattamenti di sostentamento vitale. La donna non aveva predisposto direttive anticipate. Di fronte alla ferma opposizione del personale medico, i familiari di Nancy intentarono una causa dinnanzi alla Superior Court del Missouri perché questa emettesse un ordine di interruzione dei trattamenti La Corte Suprema del Missouri, in data 16 novembre 1988, stabilì che la corretta soluzione del caso andava risolta in virtù della dottrina dell’informed consent (e non sulla sola privacy) che esige prove serie del fatto che un soggetto non avrebbe voluto essere curato in certe condizioni. In tali termini la semplice dichiarazione fatta ad un familiare «di non voler sopravvivere come un vegetale», non sarebbe stata sufficiente a provare la reale intenzione del paziente. Il caso venne incardinato presso la Corte Suprema degli Stati Uniti, essendo stata contestata la legittimità costituzionale della legislazione dello Stato del Missouri in materia di testamento biologico, che esigeva una “clearing and convincing evidence” (letteralmente, una prova chiara e convincente) a riprova dei proponimenti del paziente, ormai divenuto incapace di deliberare da sè la scelta, laddove, nel caso in questione, le dichiarazioni lasciate da Nancy Cruzan erano del tutto informali, al di fuori di ogni ufficialità. I genitori Cruzan prospettano la questione alla Corte suprema federale in questi termini: a) un paziente non perde il suo diritto a decidere sui trattamenti medici sulla propria persona per il solo fatto di essere in uno stato di incapacità; b) se non ha lasciato direttive anticipate, si deve fare riferimento ai desideri manifestati in precedenza, anche se in modo indiretto, oppure, in mancanza anche di questi, si deve riconoscere ai familiari stretti il potere di far valere il diritto a non subire trattamenti sanitari non desiderati. La Corte Suprema, nella propria sentenza, non si richiama al right to privacy, ma alla più tradizionale nozione di integrità fisica (bodily integrity) ricavata dal XIV emendamento, in virtù del quale un individuo non può essere privato della sua vita e della sua libertà senza un due process of law. Si afferma che il consenso informato (informed consent) ne costituisce il riflesso nel campo dei trattamenti sanitari: di qui il diritto del paziente non solo di consentire ma anche di non consentire, e cioè di rifiutare i trattamenti (right to be let alone). La Costituzione «riconosce a una persona capace il diritto protetto costituzionalmente di rifiutare l’idratazione e la nutrizione, anche se lifesaving», ma si tratta di una decisione profondamente personale, che non può essere rimessa – se non con precise garanzie – a soggetti diversi dai diretti interessati (surrogate decisionmaker). Di fronte all’eventuale intervento di surrogate decisionmakers, lo Stato ha perciò il potere di prevenire possibili abusi chiedendo un elevato standard di prova: la volontà che viene riferita come volontà espressa in passato deve essere effettivamente quella dell’interessato, accertata sulla base di solide prove. La sentenza fa delle affermazioni importanti per il futuro dibattito dottrinale e giurisprudenziale: a) considera la nutrizione e l’idratazione come trattamenti sanitari, e non come mezzi per il mantenimento della vita. «Nutrizione e idratazione artificiali si possono senza dubbio qualificare come trattamento medico. La tecnica adoperata su Nancy Cruzan - alimentazione attraverso intubazione gastrica – implica infatti l’impianto chirurgico di un tubo nello stomaco con un incisione della parete addominale. L’intubazione può provocare un’ostruzione intestinale, un’erosione o perforazione della parete dello stomaco o causare la percolazione del contenuto dello stomaco nella cavità intestinale (…)» b) afferma il diritto di un paziente capace (competent) di rifiutare i trattamenti anche se di sostegno vitale. c) a proposito dei living will e delle advance directives, la Corte sulla base del presupposto della piena legittimità delle leggi che ne riconoscono l’utilizzo e la validità, lamenta, in un certo senso, il mancato utilizzo di tali documenti nella vicenda in questione. In seguito alla decisione della Corte Suprema nel caso Cruzan, nei singoli Stati si è, comunque, optato, sia a livello di legislazione, che di elaborazione giurisprudenziale, per il mantenimento delle procedure previste per l’esercizio sostitutivo del diritto di rifiutare le cure, come è dimostrato, fra l’altro, dalla nota vicenda giudiziaria che ha visto come protagonista Terri Schiavo. Punto di partenza comune dell’approccio al problema giuridico dell’ autodeterminazione terapeutica dei pazienti incoscienti è l’ammissione della possibilità per il paziente di esprimere la sua volontà attraverso un rappresentante. Dall’analisi comparata delle pronunce analizzate si può trarre il seguente schema: * se il paziente ha precedentemente formalmente dichiarato per iscritto (living will) il proprio volere il decisore surrogato è nuncius della sua volontà espressa; * se il paziente ha precedentemente manifestato in vario modo (con affermazioni orali e/o dichiarazioni scritte informali) il proprio volere, il decisore surrogato è rappresentante della sua volontà tacita [In re Conroy – In re Cruzan]; * se il paziente non ha precedentemente manifestato il proprio volere, il decisore surrogato può ricostruire ed esprimere la sua volontà presunta attraverso un substitudet judgement basato sul complessivo sistema di vita e valori del paziente [In re Quinlan- In re Jobes] IN RE SCHIAVO ex rel. SCHINDLER v. SCHIAVO La legge della Florida, in cui risiedeva Terri Schiavo, permetteva di sospendere i trattamenti di sostentamento vitale dei soggetti incapaci di esprimere le proprie decisioni di fine vita, e privi di un testamento biologico, nell’ipotesi in cui fosse stato possibile fornire prove chiare e convincenti che ciò corrispondesse alla loro presunta volontà. Il marito di Terri Schiavo, in seguito a dei gravi dissidi con i familiari della moglie, apertamente ostili ad un’eventuale interruzione delle terapie di sostentamento vitale, adì la Corte della Florida per ottenere un provvedimento che disponesse la rimozione dei canali per la nutrizione artificiale. Nell’accogliere la domanda di Mr. Schiavo, i giudici di primo grado si basarono in gran parte sulla sua testimonianza, relativa a pregresse conversazioni intrattenute con la moglie sul tema delle decisioni di fine vita, per addivenire alla prova chiara e convincente della presunta volontà del malato, richiesta dalla legge della Florida ai fini dell’interruzione dei trattamenti Ai genitori di Terri Schiavo non restò, allora, altra via che quella di inoltrare al Governatore della Florida del tempo, Jeb Bush, una petizione per rendere, in qualche modo, inefficace l’ordine di interruzione dei trattamenti emanato dalla Corte. Il Governatore fece approvare in tempi rapidissimi dal Parlamento della Florida una legge speciale con la quale venne conferito al Governatore il potere di sospendere l’esecutività degli ordini di interruzione dei trattamenti emessi dalle Corti statali; poteri di cui, in effetti, si avvalse pochi giorni dopo che il personale medico aveva interrotto i trattamenti che mantenevano in vita Terri Schiavo. La costituzionalità della legge speciale venne, quindi, vittoriosamente contestata dal marito presso la corte di primo grado della Florida che annullò il provvedimento emanato dal Governatore. Il Congresso degli Stati Uniti emanò, su pressione del Presidente, una normativa ad hoc per consentire alla Corte Federale del Distretto della Florida di riesaminare le decisioni delle corti statali divenute definitive. La sez. 3 della legge, in particolare, muniva a sua volta la Corte Federale Distrettuale del potere di emanare ingiunzioni per disporre la riattivazione dei provvedimenti di sostentamento vitale. Approfittando della legge del Congresso, i genitori di Terri Schiavo fecero istanza presso la Corte Federale Distrettuale per ottenere la tutela di cui alla sez. 3, che però fu respinta in quanto i genitori non avevano la ragionevole probabilità di risultare vittoriosi nel merito. Quest’ultima pronuncia chiuse il tormentato percorso giudiziario. Inoltre la Corte federale distrettuale [Schiavo ex rel. Schindler v. Schiavo, 22 Marzo 2005] ritenne legittima la nomina di un proxy, in assenza di direttive anticipate esecutive, che diventa “health care surrogate”, notando inoltre come: a) Poche volte in casi simili si era riscontrato un così alto livello di difesa processuale (ben sei appelli) b) Vi era una netta differenza tra il rifiuto di cure di un soggetto cosciente e la scelta presa per una persona incapace. In questo caso lo Stato deve prevedere il rispetto di una rigorosa procedura. c) La legge vieta gli atti del governo che limitano la libertà di coscienza religiosa («La scelta va concessa a ciascun individuo, poiché diversi sono gli ideali di vita, e quindi diverse le modalità nelle quali strutturare anche gli ultimi momenti della propria esistenza. Anche il rispetto della libertà religiosa, oltre a quello dell’autonomia, comporta che lo Stato non deve imporre alcuna visione uniforme e generale per il tramite di una legge sovrana» – R. Dworkin, Il dominio della vita. Aborto, eutanasia e libertà individuale, Edizioni di Comunità, 1994) La magistratura come funzione antimaggioritaria «La Corte è consapevole della gravità delle conseguenze derivanti dal rigettare la richiesta di ingiunzione. Seppure sotto queste difficoltà e le straordinarie circostanze e malgrado l’interesse espresso dal Congresso sul benessere di Teresa Schiavo, questa Corte è costretta da applicare la legge prima di tutto». Il caso di Terry Schiavo rappresenta il tentativo di realizzare un’osmosi tra i diversi orientamenti giurisprudenziali: infatti l’interruzione del sostegno artificiale, ottenuta dal tutore - una volta tenuto conto della volontà di Terry Schiavo così come processualmente ricostruita, dell’accertamento delle sue condizioni irreversibili e della inclusione di nutrizione e idratazione artificiali nel novero dei trattamenti sanitari - risulta complessivamente coerente con gli standard di prova e i principi costituzionali affermati nei casi precedenti. Airedale NHS Trust v. Bland 19 febbraio 1993 v Stato vegetativo permanente, viene alimentato con cibi liquidi mediante una pompa che, attraverso la gola e il torace giunge fino allo stomaco v Allo svuotamento della vescica si provvede mediante catetere, con relativo trattamento di antibiotici. v Movimenti riflessi della gola gli provocano vomito e bava v Le braccia sono saldamente strette sul petto e le gambe appaiono contorte in modo innaturale Sostenne il Giudice Butler Sloss Il buio e l’oblio, discesi sul suo corpo allo stadio di Hillsborough, non lo lasceranno più. Il corpo è vivo, eppure egli non ha vita nel senso in cui si può dire abbia vita un essere umano, anche il più gravemente handicappato, ma cosciente. Le considerazioni concernenti la qualità della vita presente e futura vanno poste sull’altro piatto della bilancia, rispetto a quello del principio generale di sacralità e di inviolabilità della vita. In questo caso, le condizioni in cui versava l’esistenza di Bland superano l’imperativo astratto di preservare la vita, in base al principio del best interest (ossia il miglior interesse in senso oggettivo del paziente). IL CASO ITALIANO Se già l’art. 13 della Costituzione elenca tassativamente i casi e le condizioni per la restrizione della libertà personale, il secondo comma dell’art. 32 pare chiarissimo nell’affermare come «[n]essuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge». In mancanza di una normativa che disponga l’obbligatorietà dei trattamenti di sostegno vitale, riguardando le leggi esistenti i trattamenti sanitari obbligatori nel campo della salute mentale e quel che rimane delle cd. vaccinazioni obbligatorie, è quindi una precisa disposizione della Costituzione che impedisce di imporre o mantenere un trattamento sanitario contro la volontà della persona cui il trattamento è diretto. CASO ENGLARO -‐ Cass. civ., sez. I, 16 ottobre 2007, n. 21748 Esprimendo «una scelta di valore nel modo di concepire il rapporto tra medico e paziente, nel senso che detto rapporto appare fondato prima sui diritti del paziente e sulla sua libertà di autodeterminazione terapeutica che sui doveri del medico», tale principio è considerato costituire «di norma, legittimazione e fondamento del trattamento sanitario: senza il consenso informato l’intervento del medico è sicuramente illecito, anche quando è nell’interesse del paziente; la pratica del consenso libero e informato rappresenta una forma di rispetto per la libertà dell’individuo e un mezzo per il perseguimento dei suoi migliori interessi» Tale principio, quindi, viene ricostruito dalla Corte di Cassazione in termini generali come dato collegato alla dignità del malato e vincolante la legittimità e la liceità dell’intervento medico; dato costituzionale basato su un’interpretazione sistematica che congiunge l’art. 2, che tutela i «diritti fondamentali della persona umana, della sua identità e dignità», l’art. 13, che qualifica inviolabile la libertà personale «nella quale “è postulata la sfera di esplicazione del potere della persona di disporre del proprio corpo” (Corte cost., sent. n. 471/1990)» e l’art. 32 che prevede per i trattamenti sanitari obbligatori una riserva di legge «qualificata dal necessario rispetto della persona umana» Nell’ambito delle scelte terapeutiche, è uno dei principi fondamentali della Costituzione italiana, quello personalistico, a condurre a respingere l’imposizione di una definizione (scelta a maggioranza?) di cosa sia dignitoso e di cosa non lo sia che sia valida in tutto e per tutti, e a riconoscere il paziente nel suo rapporto dialettico con l’operatore sanitario quale centro attorno a cui coagulare scelte che possono anche portare al rifiuto di trattamenti vitali. Confermando l’espansione della salute «in relazione alla percezione che ciascuno ha di sé» e richiamandone la tutela del risvolto negativo («il diritto di perdere la salute, di ammalarsi, di non curarsi, di vivere le fasi finali della propria esistenza secondo canoni di dignità umana propri dell’interessato, finanche di lasciarsi morire») la Corte può quindi giungere ad escludere che, nell’ambito di cui si tratta, «il diritto alla autodeterminazione terapeutica del paziente incontri un limite allorché da esso consegua il sacrificio del bene della vita» La struttura logica del ragionamento può essere articolata in una sequenza di tre passaggi: Ø esistenza del diritto al rifiuto delle cure Ø possibilità per il soggetto capace di esercitare tale diritto liberamente Ø tutela della dignità e dei diritti dell’incapace considerato persona in senso pieno Ø possibilità per il soggetto incapace di vedere rispettata la sua volontà tramite le dichiarazioni anticipate (Cass. civ., 15 settembre 2008, n. 23676; Cass. civ., sez. I, 20 dicembre 2012, n. 23707) ovvero attraverso lo strumento del substituted judgement ovvero attraverso la ricostruzione della sua volontà. Nonostante la salute sia diritto personalissimo, ciò non esclude che le scelte in merito possano essere «presunte», ricostruite e rappresentante, con l’attenzione a che «l’estremo gesto di rispetto dell’autonomia del malato in stato vegetativo permanente» venga presa «non “al posto” dell’incapace né “per” l’incapace, ma “con” l’incapace» (punto 7.3). In tale ambito, si esclude che possa configurarsi per il singolo medico un obbligo di interrompere il trattamento vitale e si pone in capo al giudice il compito di controllare la legittimità della scelta nell’interesse del paziente. Con queste cautele, si permette che anche il soggetto incapace possa essere considerato «persona in senso pieno» e non «persona ridotta» dall’impossibilità di essere rispettata nei suoi diritti. Bibliografia minima S. 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