Terapia manuale e riabilitazione neuro-muscolo-scheletrica
Transcript
Terapia manuale e riabilitazione neuro-muscolo-scheletrica
n. 1 Anno 1 TF maggio 2014 FAsCiColi Di TERAPiA mAnUAlE E FisioTERAPiA nEURomUsColosCHElETRiCA & m n Terapia manuale e riabilitazione neuro-muscolo-scheletrica PRACTICE - TEST REVIEW Test ortopedici e del sistema neuromuscoloscheletrico SPORT PHYSIOTHERAPY Fratture costali da stress nell’atleta Cefalea e dolore cranio-facciale: segni e sintomi dei fattori muscolo-scheletrici 1 REAlizzAzionE A CURA Di COORDINAMENTO: Simone Canali, Silvia Menozzi GRAFICA: Studio Migual INDICE 3 6 9 10 13 INFO CLINICAL indicatori clinici dei meccanismi del dolore muscoloscheletrico “nocicettivo”, “neuropatico periferico” e “centrale”. Un’indagine Delphi sui clinici esperti PRACTICE - TEST sindrome dello stretto toracico Triade Diagnostica il Roos Test e il test di iper-Abduzione PRACTICE - TECNIQUES & EXERCISES Una tecnica di mobilizzazione passiva della colonna dorsale e una tecnica attiva di flessione della colonna dorsale superiore PRACTICE MOTOR CONTROL Rachide cervico-dorsale motor Control PRACTICE KINESIO TAPING Tecnica di correzione linfatica in caso di trauma del rachide cervicale PARTnER 14 25 27 31 33 in CollAboRAzionE Con 34 35 2 REVIEW Cefalea e dolore cranio-facciale: segni e sintomi dei fattori muscolo-scheletrici causali e contribuenti SPORT PHYSIOTHERAPY Fratture costali da stress nell’atleta MEASURES neck Pain and Disability scale – nPDs BIOMEDICAL STATISTICS Descrizione statistica della distribuzione: indici di tendenza centrale e di dispersione GLOSSARY EBM Termini tecnici per meglio studiare e comunicare a livello multidisciplinare ARTICLES FOR FREE Pubblicazioni “free” sulla terapia manuale COGNITIVE REHABILITATION il dolore cronico in fisioterapia: approccio cognitivo INFO CLINICAL a cura di Matteo Bonfanti lo studio della letteratura scientifica è uno degli strumenti principali per assicurare al fisioterapista l’aggiornamento continuo di cui ha bisogno. in questa rubrica riassumeremo in italiano due articoli tratti dalle riviste della letteratura internazionale indicizzata nell’ambito della terapia manuale e della riabilitazione neuro-muscolo-scheletrica, contribuendo così a diffondere l’utilizzo di una pratica clinica basata sulle migliori evidenze scientifiche. Critical Appraisal in “pillole”: sviluppare le capacità di valutazione critica dei dati della ricerca. ABSTRACT Background e scopo dello studio: I criteri clinici attraverso cui i clinici determinano le classificazioni basate sui meccanismi del dolore non sono note. Lo scopo di questo studio era creare una lista di criteri clinici derivata dal consenso di esperti, indicativa di dominanza clinica dei meccanismi di dolore muscoloscheletrico: nocicettivo, centrale e periferico neuropatico. Disegno dello studio: è stata svolta un’indagine Delphi in tre round. Materiali e metodi: sono stati valutati 103 clinici esperti (31 medici specializzati in medicina del dolore, 72 fisioterapisti esperti nei disordini muscolo-scheletrici). In assenza di un test di riferimento diagnostico è stato chiesto il parere degli esperti con un’indagine Delphi svolta via web in tre round. E’ stato posto un limite del livello di consenso ≥80% di accordo tra i clinici per ogni criterio. Conclusione: 12 indicatori clinici di dolore nocicettivo, 14 di dolore periferico neuropatico e 17 di sensibilizzazione centrale hanno raccolto il consenso dei clinici. Queste liste derivate dal consenso di esperti possono essere utili per sotto-classificare i nostri pazienti secondo una classificazione di dolore basata sul meccanismo. Finanziamento: è stato dichiarato nessun conflitto d’interesse indicatori clinici dei meccanismi del dolore muscoloscheletrico “nocicettivo”, “neuropatico periferico” e “centrale”. Un’indagine Delphi sui clinici esperti Una classificazione del dolore basata sul meccanismo sottolinea i processi neurofisiologici che hanno prodotto o mantengono il dolore. L’utilizzo di una tale classificazione può essere interessante per i fisioterapisti per indirizzare il paziente al miglior trattamento effettuabile in base al meccanismo di origine e di mantenimento del dolore. Tuttavia questa è una tesi sostenuta in maniera empirica. In assenza di un gold standard diagnostico per effettuare una valutazione dei meccanismi di produzione del dolore ci possiamo basare su una serie di segni e sintomi riscontrabili dai clinici attraverso l’anamnesi e l’esame fisico per dividere i meccanismi del dolore in: nocicettivo, neuropatico periferico e da sensibilizzazione centrale. Il dolore nocicettivo è riferito in particolare a quei processi patofisiologici associati ad una attivazione dei recettori periferici dei neuroni afferenti primari in seguito ad uno stimolo chimico dannoso (infiammatorio), meccanico (ischemia dei tessuti in seguito a carico o compressione) o termico. Il dolore neuropatico periferico è definito come un dolore causato da una lesione o disfunzione primaria nel sistema nervoso periferico (SNP) e descrive una categoria di dolore meccanico che comprende vari meccanismi patofisiologici che portano una funzionalità e risposta alterata dei nervi come: modificazione nella generazione dell’impulso e ipereccitabilità, sensibilità meccanica chimica e termica. In questo studio è stato usato il termine “dolore centrale” facendo riferimento a stati di dolore muscolo-scheletrico caratterizzati principalmente da “disfunzioni” nel sistema nervoso centrale (SNC), cioè sensibilizzazione centrale / ipereccitabilità (Butler, 2000; Lidbeck, 2002) più che per una lesione distinta del SNC come potrebbe ac- cadere in patologie del SNC come la sclerosi multipla (Boivie, 2006). Lo scopo di questo studio è stato quello di identificare una lista di criteri clinici associati ai tre tipi di dolore in base al consenso di un gruppo di esperti del dolore. E’ stato utilizzato un metodo d’indagine Delphi in tre round basato su internet. L’utilizzo di questo del metodo Delphi è raccomandato quando sono necessari giudizi soggettivi collettivi per risolvere un particolare problema. Hanno preso parte allo studio 103 clinici esperti (31 specialisti in medicina del dolore e 72 fisioterapisti esperti in fisioterapia muscoloscheletrica). Tipicamente la classica indagine Delphi si svolge in tre round di questionari pre-pianificati. Nel primo Round un gruppo definito di “esperti” è stato invitato a suggerire dei criteri clinici soggettivi e la valutazione clinica associati ad ognuna delle tre categorie dei meccanismi del dolore. Nel secondo Round si è chiesto il livello di accordo (su una scala da 1 a 5) da parte degli esperti riguardo a tutti i “criteri soggettivi” e la “valutazione clinica” trovati nella prima fase. Nel terzo è stato chiesto agli esperti di riconsiderare il loro livello di accordo con gli stessi criteri clinici descritti nel secondo round alla luce delle illustrazioni grafiche che mostrano la distribuzione dell’opinione del gruppo per ciascun criterio. I dati furono quindi analizzati di nuovo. Il livello di consenso (> dell’80%) è stato ottenuto da 12 criteri clinici “nocicettivi”(8 soggettivi, 4 valutazioni cliniche), 14 “neuropatico periferico” (8 soggettivi, 5 valutazioni cliniche), 17 da “dolore centrale” (13 soggettivi, 4 valutazioni cliniche). Nelle tre tabelle successive verranno riportati i criteri clinici che hanno ottenuto un buon livello di accordo. 3 INFO CLINICAL 4 Criteri per l’identificazione del dolore nocicettivo Dolore/sintomo associato ad un trauma o ad un processo patologico e proporzionato ad essi (nocicettivo infiammatorio), o ad una disfunzione posturale/di movimento (nocicettivo ischemico). Dolore/sintomo di natura meccanica/anatomica proporzionata ai fattori aggravanti/allevianti. Dolore/sintomo localizzato nell’area della disfunzione/lesione. Dolore/sintomo che si risolve rapidamente o in relazione ai tempi previsti di guarigione dei tessuti o di recupero della patologia. Dolore/sintomo che risponde a semplici farmaci analgesici/FANS. Dolore/sintomo solitamente intermittente e che si acutizza con i movimenti o con la provocazione meccanica; può essere un dolore più costante e fastidioso o pungente a riposo. Dolore/sintomo associato ad altri sintomi di infiammazione (gonfiore, rossore, calore) (nocicettivo infiammatorio). Dolore/sintomo di insorgenza recente. Dolore/sintomo proporzionato ad un pattern di dolore meccanico/anatomico, chiaro e regolare riproducibile con test/movimenti per determinate strutture. Dolore/sintomo localizzato alla palpazione. Assenza di iperalgesia e/o allodinia. Pattern di movimento/posture antalgici. Criteri per l’identificazione del dolore neuropatico periferico Dolore/sintomo descritto in maniera varia come bruciante, lancinante, tagliente, come una scossa. Storia di lesione, patologia o compromissione meccanica dei nervi. Dolore/sintomo associato ad altri segni neurologici (spilli, aghi, formicolio, debolezza). Dolore riferito in un dermatoma o ad una distribuzione cutanea. Dolore/sintomo meno reattivo ai semplici analgesici/FANS e più reattivo a farmaci antiepilettici (Lyrica) e antidepressivi. Dolore con severità ed irritabilità alta. Pattern meccanici di fattori allevianti/aggravanti che si riferiscono ad attività/posture associate a movimenti, carichi o compressioni del tessuto neurale. Dolore/sintomo in associazione con altre disestesie (pesantezza, scosse elettriche...). Presenza di dolori spontanei (indipendenti dallo stimolo) e/o dolore parossistico (improvvisa comparsa e intensificazione del dolore). Provocazione del dolore/sintomo con test di movimento/meccanici (attivi/passivi, neurodinamici) che muovono/caricano/comprimono il tessuto neurale. Dolore/sintomo alla palpazione del tessuto nervoso corrispondente. Segni neurologici positivi (inclusi alterazione dei riflessi, alterazione della sensibilità e della forza muscolare in un dermatoma/miotoma o distribuzione cutanea di un nervo. Postura antalgica dell’arto/parte del corpo affetta. Segni positivi di iperalgesia (primaria o secondaria) e/o allodinia. INFO CLINICAL Criteri per l’identificazione del dolore da sensibilizzazione centrale Pattern di provocazione del dolore/sintomo sproporzionato, non meccanico, imprevedibile in risposta a fattori aggravanti/allevianti multipli/non specifici. Dolore/sintomo che persiste oltre i tempi di guarigione dei tessuti/patologia. Dolore/sintomo sproporzionato rispetto alla natura e all’estensione della lesione o della patologia. Distribuzione del dolore/sintomo diffusa/non anatomica. Storia di interventi falliti (terapeutici/medici/chirurgici). Forte associazione con fattori psicosociali negativi (emozioni negative, scarsa autostima, alterazione della vita sociale/familiare/lavorativa, disaccordo medico). Dolore/sintomo che non risponde ai FANS e/o maggiormente recettivo ai farmaci antiepilettici (Neurontin, Lyrica)/ anti depressivi. Presenza di dolori spontanei (indipendenti dallo stimolo) e/o dolore parossistico (improvvisa comparsa e intensificazione del dolore). Dolore/sintomo associato ad alto livello di impotenza funzionale. Dolore/sintomo maggiormente costante/fisso. Dolore/sintomo notturno/sonno disturbato. Dolore/sintomo in associazione con altre disestesie (pesantezza, scosse elettriche...). Dolore/sintomo ad alta severità e irritabilità (provocato facilmente, e richiede lungo tempo per diminuire). Pattern di provocazione del dolore/sintomo in risposta a movimenti/test meccanici sproporzionato, incoerente, non meccanico/non anatomico. Segni positivi di iperalgesia (primaria o secondaria) e/o allodinia. Area di dolore/sensibilità alla palpazione diffusa/non anatomica. Identificazione positiva di alcuni fattori psicosociali. DISCUSSIONE Dolore nocicettivo I criteri clinici associati al dolore nocicettivo sono quelli in cui è chiara la relazione tra lo stimolo e la risposta in associazione ai fattori di provocazione/attenuazione e test clinici. Inoltre hanno ottenuto consenso due criteri che si basano sul meccanismo neurofisiologico associato sia alla generazione che al trattamento del dolore nocicettivo come il ruolo dei mediatori e modulatori del dolore nocicettivo e del meccanismo di azione dei farmaci antidolorifici. Infine è risultata importante la localizzazione del dolore/disfunzione, le posture antalgiche e l’assenza di iperalgesia e/o allodinia. Dolore neuropatico periferico I criteri che hanno ottenuto consenso per l’identificazione del dolore neuropatico concordano con una serie di scale di valutazione già studiate in letteratura, per l’identificazione di questo tipo di dolore [Leeds Assessment of Neuropathic Symptoms and Signs (LANSS), pain DETECT, ID-Pain, Douleur Neuropathique 4 (DN4) e Neuropatic Pain Questionnaire (NPQ)]. Altri criteri riguardano la distribuzione cutanea/dermatomerica del dolore, provocazione del sintomo/dolore e provocazione/attenuazione di essi tramite test/movimenti che coinvolgono il sistema nervoso periferico. Inoltre i risultati di questi studi hanno dimostrato che esami di supporto (come risonanza magnetica), non sono necessari per determinare il dolore neuropatico periferico. Dolore centrale I criteri per determinare il dolore centrale corrispondono ad alcuni di quelli proposti nella limitata letteratura a riguardo, e sono: diffusa localizzazione del dolore, distorsione della relazione tra stimolo e risposta in seguito ai test e movimenti di provocazione e attenuazione, dolore spontaneo e parossistico e associazione con disturbi emozionali. Altri criteri includono il fallimento di passati interventi, aree di dolore diffuse e non anatomiche e sensibilità alla palpazione. Estratto da: Smart KM, Blake C, Staines A, Doody C. Clinical indicators of ‘nociceptive’, ‘peripheral neuropathic’ and ‘central’ mechanisms of musculoskeletal pain. A Delphi survey of expert clinicians. Man Ther. 2010; 15: 80-87. (Referenze bibliografiche 47). 5 PRACTICE - TEST lo scopo di questa rubrica è quello di presentare i principali test ortopedici e del sistema neuromuscoloscheletrico, descrivendo le linee guida generali per la corretta esecuzione, riportando un certo numero di proprietà tra cui l’affidabilità e l’accuratezza per ciascuno di essi. Verranno proposti test per i diversi distretti corporei distinti in test speciali, di stabilità, di sollecitazione, di riflessi, di sensibilità, di tensionamento neurale, ecc. SINDROME: Una sindrome è un complesso di sintomi che si presentano associati in modo da configurare un quadro morboso caratteristico, che può essere provocato da vari processi patologici. Il termine sindrome deriva dal greco Syndromos - "correre insieme", ad indicare, appunto, il fatto che i sintomi ricorrono contemporaneamente, presentandosi più o meno nello stesso momento senza che se ne conoscano le precise cause di origine. a cura di Montanaro Daniele sindrome dello stretto toracico Triade Diagnostica - il Roos Test e il test di iper-Abduzione La compressione può essere causata da anomalie anatomiche, quali una spessa banda che si estende dal tubercolo della prima costa al processo trasverso di C7, o la presenza di una formazione costale rudimentale. I rami anteriori primari di C8 e di T1 possono venire stirati su questa banda prima o dopo che si uniscano nel tronco inferiore. STRETTO TORACICO: Anatomicamente lo stretto toracico è delimitato anteriormente dallo sterno e dalla clavicola, posteriormente dal corpo vertebrale di D1, e lateralmente dalla prima costa; le strutture che partecipano sono i muscoli succlavio, piccolo pettorale, gli scaleni, il legamento costo-claveare, la vena giugulare interna, il nervo mediano e il processo coracoideo. Il termine “sindrome dello stretto toracico” (in inglese Thoracic Outlet Syndrome - TOS) si riferisce ad un insieme di condizioni risultanti da una compressione delle strutture neurovascolari che percorrono lo stretto toracico dal collo all’ascella. Sia il plesso brachiale che l’arteria succlavia sono particolarmente sensibili alla compressione data la loro vicinanza nello stretto toracico. Il sito più comune di compressione è lo spazio tra la clavicola e la prima costa. Ma altri siti di compressione possono essere: - il triangolo formato dal muscolo scaleno anteriore, il muscolo scaleno medio e il bordo superiore della prima costa; - l’angolo tra il processo coracoideo e l’inserzione del pettorale minore. 6 La compressione può avere anche origine traumatica, causata dalla frattura nel terzo medio della clavicola che può danneggiare la porzione terminale dell’arteria succlavia, la porzione iniziale della vena succlavia e la parte prossimale dei nervi del plesso brachiale. Ed è per questo quadro di possibili cause che si parla di sindrome, poiché molto raramente il paziente soffre di una compressione esclusiva, vascolare o del nervo ed è quindi più corretto parlare di una TOS a predominanza venosa, arteriosa o neurogenica. La sindrome dello stretto toracico è, tra le neuropatie, quella più trascurata e mal diagnosticata non esistendo un test diagnostico comunemente accettato dalla mag- gioranza dei clinici. E’ anche una delle cause più comuni dei fallimenti degli interventi chirurgici eseguiti per un’errata diagnosi di tunnel carpale o cubitale. Una diagnosi precoce ridurrebbe l’incidenza di complicanze. Esistono due macro-classificazioni della TOS: non-complessa e complessa. Entrambe considerano le suddette predominanze, ma mentre la non-complessa è di difficile diagnosi e spesso trascurata per la bassa gravità dei sintomi, la complessa è si di facile diagnosi, ma la predominanza venosa, arteriosa o neurogenica avrà già evidenziato i segni sul paziente: - predominanza neurogenica: atrofia e debolezza dei muscoli della mano; - predominanza arteriosa: sintomi ischemici nelle dita e nella mani, trombosi e/o fenomeni ostruttivi delle arterie degli arti superiori, aneurismi della succlavia, aneurismi cerebrali; - predominanza venosa: trombosi delle vene succlavia/ascellare, sindrome di Paget Von Schroetter. Sintomi comuni nelle tre tipologie sono dolore e parestesie agli arti superiori. Così come dolore alla spalla, al collo, al petto e al viso o mal di testa in zona occipitale, sono spesso sintomi ignorati nel TOS a predominanza neurogenica, sia nella forma complessa che non-complessa. L’ostacolo più comune ad una corretta diagnosi è l’errata credenza che la TOS si presenti solo quando c’è un’atrofia dei muscoli della mano e un test elettrofisiologico-neurale positivo. Un secondo ostacolo è l’errata divisione netta tra forme neurali o vascolari. PRACTICE - TEST Triade diagnostica Consiste nei seguenti segni: 1. debolezza dell’abduzione e adduzione del quinto dito, debolezza della presa a pinza tra pollice e quinto dito; Terapia Manuale In terapia manuale, i test usati per diagnosticare la TOS mirano a restringere lo stretto toracico, al fine di riprodurre i segni o i sintomi di una momentanea compressione neuro-vascolare (intorpidimento, formicolio, dolore, perdita del polso). Il tasso di falsi positivi per tutti i test che mirano a diagnosticare una TOS è relativamente alto. Molti di essi possono testare solo la componente vascolare. Un modo per diminuire la probabilità di un falso positivo è quello di effettuare almeno tre diversi test. La letteratura riporta un tasso di falsi positivo del 12% quando vengono eseguiti due test, ma se ne vengono eseguiti tre o più, il tasso di falso positivo si può ridurre al 2% o meno. Nonostante ciò, Chad E. Cook e Eric J. Hegedus in “Orthopedic physical examination test” riconoscono solo al ROOS TEST e al TEST DI IPER-ABDUZIONE la più alta affidabilità a livello statistico. Roos Test 1. Il paziente viene fatto sedere con le braccia lungo i fianchi. 2. stanchezza e/o parestesie, intorpidimento dell’arto superiore e della mano in elevazione, a volte associato a pallore della mano; 2. Viene chiesto al paziente di abdurre gli arti superiori di 90° e ruotarli esternamente, mantenendo i gomiti flessi a 90° 3. Viene chiesto al paziente di aprire e chiudere rapidamente a pugno le sue mani per un minuto consecutivo. 4. Se durante l’esecuzione dell’apertura e chiusura del pugno si riproducono i sintomi, il test è da considerarsi positivo. 3. sensibilità alla pressione col pollice dell’area sovra-clavicolare, lateralmente al muscolo sternocleidomastoideo che provocherà smorfie di apprensione sul viso del paziente. UTILITY SCORE (SEC. COOK E HEGEDUS): 2 su 3 - una moderata evidenza supporta l’uso di questo test. 7 PRACTICE - TEST Test di Iper-Abduzione 1. Il paziente viene fatto sedere con le braccia lungo i fianchi. L’esaminatore rileva il polso radiale in questa posizione. 2. Viene chiesto al paziente di abdurre gli arti superiori di 90° e ruotarli esternamente, mantenendo i gomiti flessi a 90° e mantenere questa posizione per un minuto. 3. L’esaminatore rileva il polso radiale in questa posizione. 4. Il polso radiale non deve subire cambiamenti in rallentamento o cessare. Viene inoltre chiesto al paziente di riferire eventuali parestesie. 5. Se durante il mantenimento della posizione si rilevano cambiamenti nel polso radiale o il paziente riferisce parestesie, il test è da considerarsi positivo. UTILITY SCORE (SEC. COOK E HEGEDUS): 2 su 3 - una moderata evidenza supporta l’uso di questo test. 8 Bibliografia 1. Sanders RJ, Haug CE, Eds. Thoracic outlet syndrome: a common sequela of neck injuries. Philadelphia: Lippincott; 1991; 71-84. 2. Povlsen B, Belzberg A, Hansson T, Dorsi M. Treatment for thoracic outlet syndrome. Cochrane Database Syst Rev 2010 Jan 20; (1):CD007218. 3. Poblete Silva R. Results of surgery of the thoracic outlet syndrome. Critical point on reoperation. Chilean J Surg 2002 Dec; 54(6):566-572.a 4. Gockel M. Operative treatment of thoracic outlet syndrome in Finland. Ann Chir Gynaecol 1996; 85(1):59-61. 5. Sellke FW, Kelly TR. Thoracic outlet syndrome. Am J Surg 1988; 156:54-57. 6. Lawrence MS, Rossi NP, Tidrik RT. Thoracic outlet compression syndrome. J. Iowa Med Soc 1967 Jun; 62(6):561-66. 7. Tekaya R, Neji O, Mahfoudhi M, Ben Hadj Yahia C, Abdelmoula L, Chaabouni L, Zouari R. Thoracic outlet syndrome. Tunis Med 2001 Nov; 89(11):809-13. 8. Selmonosky CA, Byrd R, Blood C, Blanc JS. Useful triad for diagnosing the cause of chest pain. South Med J 1981; 74:974-949. 9. Selmonosky CA, Poblete Silva R. The diagnosis of thoracic outlet syndrome. Myths and Facts. Chilean J of Surg 2008 June; 60(3):255-261. 10. Novak CB, Mackinnon SE, Patterson GA. Evaluation of patients with thoracic outlet syndrome. J Hand Surg (Am). 1993; 18:292-299. 11. Tolson RD. EMG for thoracic outlet syndrome Hand Clin. 2004; 20:37-42, vi. 12. Knottnerus JA, van Weel C. Muris JW. Evaluation of diagnostic procedure. BMJ. 2002; 324:477480. 13. Brantigan CO, Ross DB. Diagnosis thoracic outlet syndrome. Hand Clinic. 2004 Feb; 20(1):27-36. 14. Sanders RJ, Hammond SC, Rao NS. Thoracic outlet syndrome. A review. The Neurologist 2008 Nov; 14:365-373. 15. Selmonosky CA, Byrd R, Blood C, Blanc JS. Useful triad for diagnosing the cause of chest pain. South Med J. 1981; 74:947-949. 16. Cook, Hegedus. Orhopedic physical examination tests. Pearson 2008 PRACTICE TECNIQUES & EXERCISES a cura di Benigna Alberto - Sansone Grazia la presente rubrica ha lo scopo di porre in evidenza alcune pratiche di trattamento riconosciute dalla letteratura scientifica internazionale e utilizzate nell’ambito della terapia manuale. saranno descritte tecniche riguardanti i diversi distretti corporei, suddivise in attive, passive ed esercizi eseguiti dal paziente. l’esposizione delle tecniche sarà fatta considerando il trattamento come parte integrante del ragionamento clinico del fisioterapista. Nel seguente articolo s’ipotizza un cedimento in flessione del tratto cervicale inferiore nella flessione attiva della colonna toracica superiore con limitazioni di mobilità in flessione del rachide toracico. ESERCIZIO PASSIVO Obiettivo: eliminare le restrizioni di mobilità riscontrate. Posizione iniziale Il paziente si posiziona prono sul lettino, con le braccia lungo i fianchi o con la fronte appoggiata sul dorso delle mani. Il terapista si pone cranialmente al paziente, e appoggia le mani sulle vertebre dorsali che dovrà mobilizzare. Per eseguire la manovra con la cor- ESERCIZIO ATTIVO Posizione iniziale Soggetto seduto, in allineamento neutro della colonna (Figura b). Figura b: Posizione neutra della colonna; la linea rossa, tangente alla cifosi dorsale e la linea gialla, passante per C7, indicano le posizioni di partenza dei due distretti vertebrali. Si chiede al paziente di flettere la colonna toracica superiore fino ai 15° oltre la verticale e mantenendo la cervicale inferiore in posizione neutra. Nella Figura c’è evidente come il soggetto invece di eseguire la flessione dorsale, ceda con la colonna cervicale in flessione. Una tecnica di mobilizzazione passiva della colonna dorsale e una tecnica attiva di flessione della colonna dorsale superiore retta pressione e la giusta direzione, le spalle del terapista dovranno trovarsi al di sopra del tratto da mobilizzare. Tecnica di mobilizzazione La mobilizzazione deve avvenire con il peso del corpo del terapista che trasmette il movimento alle braccia e ai pollici. E’ importante che questo movimento avvenga correttamente per non dissipare energia e per rendere gradevole la mobilizzazione al paziente (Figura a). Il grado di pressione, necessaria per eseguire la mobilizzazione, varia a seconda del SIN (severità, irritabilità, natura). Inoltre bisogna sempre tenere presente che la possibilità di movimento di T1 e T2 è considerevolmente limitata. Figura c: cedimento in flessione del rachide cervicale. Nella foto è evidente che alla richiesta di eseguire una flessione con la colonna dorsale, la stessa mantiene esattamente la stessa inclinazione della Figura b (riga rossa), mentre la flessione viene effettuata completamente dalla colonna cervicale rappresentata dalla linea gialla tratteggiata. Durante l’esercizio di flessione della colonna dorsale è quindi importante osservare che non ci sia cedimento in flessione della colonna cervicale inferiore; prestare attenzione anche a ciò che succede a livello medio e superiore. controllare entrambe le fasi di movimento (flessione e ritorno dalla flessione). Figura a: tecnica di mobilizzazione; le linee rosse indicano la direzione della spinta che deve essere impressa dal corpo dell’operatore e non dalla mani. Una volta recuperata la giusta mobilità articolare del tratto dorsale superiore, la progressione del trattamento prevede esercizi di controllo motorio per evitare il cedimento in flessione della cervicale inferiore. POSOLOGIA: 10-15 RIPETIZIONI 2-3 VOLTE AL GIORNO Facilitazioni: 1. Feedback tattile: - Pollice del terapista sul mento del paziente, l’indice della stessa mano sul manubrio sternale e l’indice dell’altra mano sullo xifoide. Vi deve essere solo un avvicinamento delle dita poste sul manubrio sternale e sullo xifoide, mentre la distanza tra mento e manubrio sternale rimane la stessa. - Schiena del paziente appoggiata alla parete: chiedergli di immaginare di “srotolare” la gabbia toracica dall’appoggio posteriore. - Monitorare la colonna cervicale inferiore ponendovi una mano sopra. - Tape. - Il terapista può facilitare manualmente il movimento corretto. 2. Feedback visivo: il terapista dimostra come si dovranno muovere i segmenti corporei. 9 PRACTICE MOTOR CONTROL Per la cura del paziente e per l’allenamento degli atleti, in una prima fase l’obiettivo principale è quello di superare lo stato patologico e sintomatologico e, in un secondo momento, è quello di ridurre il più possibile il rischio di recidive, aumentando la performance corporea generale. Al fine di ristabilire o mantenere quell’equilibrio necessario a salvaguardare la corretta biomeccanica articolare e funzionale è fondamentale avere un occhio di riguardo per la performance muscolare e neuromuscolare - in termini di forza, estensibilità e soprattutto controllo motorio. Partendo da queste basi, in questa rubrica verranno proposti dei test specifici e degli esercizi per la valutazione e il ripristino del controllo motorio in vari distretti corporei. Quando si parla di controllo motorio riferito a colonna cervicale e toracica non possiamo dimenticare quelle componenti che possono - più o meno - influenzare l'efficienza del sistema neuro muscolare, come ad esempio, nello specifico, disfunzioni della respirazione, del sistema visivo o delle articolazioni temporo-mandibolari (ATM). Dando per scontati i processi che il nostro sistema nervoso centrale coinvolge per ottenere un risultato in termini di controllo a cura di Caratozzolo Bruno Rachide cervico-dorsale motor Control motorio (come la percezione di noi stessi, del compito da eseguire e dell'ambiente, la pianificazione e l'esecuzione motoria e la biomeccanica - Adapted Shumway-Cook and Woollacott 2011), in questo numero verranno proposti dei test e degli esercizi per valutare l'efficienza corporea nel controllare la postura e generare movimenti a livello della colonna cervicale e toracica. È sempre opportuno specificare che l'esecuzione di questi tests e l'eventuale proposta di esercizi deve avere alla base una Test 1 - Estensione della colonna cervicale superiore - Controllo posteriore Obiettivo: Testare la capacità della colonna cervicale di resistere ad una flessione della colonna cervicale superiore, mantenendo la posizione neutra (attivando gli estensori). Esecuzione: Paziente supino, colonna cervicale in posizione neutra; chiedere al paziente di resistere alla flessione passiva della colonna cervicale superiore impressa dal terapista attraverso una presa occipitale. Ideale: Non ci dovrebbe essere nessun movimento della colonna cervicale; si dovrebbe percepire una contrazione palpabile degli estensori sub-occipitali; non dovrebbero esserci co-contrazioni importanti a livello del cingolo scapolare o della mandibola; la respirazione deve rimanere normale. In caso di fallimento del test il paziente può essere istruito a stimolare la contrazione dei muscoli estensori della colonna cervicale superiore, sia in posizione supina, che in posizione seduta. Con le proprie mani può imprimere una forza in flessione a cui deve resistere. È ovviamente opportuno eliminare eventuali pattern scorretti, come ad esempio serrare la mandibola o trattenere il respiro. Un buon esercizio può prevedere una tenuta di 10" per 10-15 ripetizioni 2-3 volte al giorno. 10 stretta correlazione con il quadro clinico del paziente, a cui si è arrivati attraverso un corretto ragionamento clinico. Paradossalmente potremmo trovare positivi alcuni dei prossimi tests senza che ciò abbia alcuna influenza sui sintomi del nostro paziente. Pertanto l'unica pretesa di queste proposte vuole essere quella di fare da spunto e da esempio per l'argomento che viene trattato. PRACTICE MOTOR CONTROL Test 2 - Flessione dalla colonna cervicale superiore e controllo della colonna cervicale inferiore Obiettivo: Testare la capacità di flettere selettivamente la colonna cervicale superiore, mantenendo la colonna cervicale inferiore in posizione neutra. Esecuzione: Paziente seduto, colonna cervicale in posizione neutra; chiedere al paziente di flettere la colonna cervicale superiore, tenendo in posizione neutra la colonna cervicale inferiore. Ideale: Il paziente dovrebbe riuscire ad eseguire il movimento e il ritorno alla posizione di partenza senza sensazione di fatica. La colonna cervicale inferiore non deve muoversi almeno fino ai 20° di flessione della colonna cervicale superiore. Per l'eventuale riabilitazione è opportuno insegnare al paziente la corretta esecuzione del movimento, eliminando eventuali compensi. È necessario tener conto di eventuali restrizione che potrebbero condizionare il risultato del test (legamento nucale, muscoli estensori cervicali, Dura madre, articolazioni). Possono risultare utili delle facilitazioni come scaricare le restrizioni o aumentare la base di appoggio, ad esempio appoggiandosi contro la parete con la colonna toracica. Sono consigliate 10-15 ripetizioni due-tre volte al giorno. Test 3 - Flessione laterale dalla colonna cervicale inferiore Obiettivo: Testare la capacità di flettere lateralmente la colonna cervicale inferiore, mantenendo la colonna cervicale superiore in posizione neutra e senza compensi in estensione, flessione e rotazione. Esecuzione: Paziente seduto; chiedere al paziente di flettere lateralmente il capo; osservare la qualità del movimento e gli eventuali compensi (confrontare sempre il movimento controlaterale). Ideale: Il paziente dovrebbe riuscire ad eseguire il movimento e il ritorno alla posizione di partenza senza compensi e senza sensazione di fatica almeno per l'80% del range passivo. Per l'eventuale riabilitazione è opportuno istruire il paziente sulla corretta esecuzione del movimento, eliminando i compensi riscontrati. Una restrizione dei muscoli lateroflessori controlaterali potrebbe condizionare il risultato del test. Possono risultare utili delle facilitazioni come eseguire il movimento davanti ad uno specchio. Sono consigliate 10-15 ripetizioni due-tre volte al giorno. 11 PRACTICE MOTOR CONTROL Test 4 - Flessione della colonna cervicale inferiore Obiettivo: Testare la capacità di flettere la colonna cervicale inferiore, mantenendo la colonna toracica in posizione neutra. Esecuzione: Paziente seduto, con la colonna in posizione neutra; chiedere al paziente una flessione della colonna cervicale inferiore, cercando di mantenere il resto della colonna in posizione neutra. Ideale: Il paziente dovrebbe essere in grado di eseguire il movimento almeno per i primi 20° della flessione e il ritorno alla posizione di partenza senza compensi e senza sensazione di fatica. Per l'eventuale riabilitazione è opportuno istruire il paziente sulla corretta esecuzione del movimento, eliminando i compensi riscontrati. Il paziente dovrà essere in grado di dissociare senza fatica la colonna cervicale dalla colonna toracica. Sono consigliate 10-15 ripetizioni due-tre volte al giorno. Test 5 - Flessione delle spalle bilaterale Obiettivo: Testare la capacità di mantenere la colonna in posizione neutra durante la flessione bilaterale delle spalle. Esecuzione: Paziente in piedi; chiedere al paziente di flettere entrambe le spalle; osservare se avviene un'estensione della colonna toracica superiore (o della colonna cervicale inferiore) prima dei 160° di flessione. Ideale: Il paziente dovrebbe seguire il movimento e il ritorno alla posizione di partenza senza compensi e senza sensazione di fatica. Per l'eventuale riabilitazione: istruire il paziente sulla corretta esecuzione del movimento. Una facilitazione potrebbe essere quella di eseguire il movimento con la colonna appoggiata ad un muro. Una progressione può invece prevedere l'utilizzo di elastici per contrastare la flessione delle spalle. Può essere eseguito questo test con la flessione di una sola spalla per monitorare eventuali compensi anche in rotazione e inclinazione laterale. 12 PRACTICE KINESIO TAPING l’obiettivo di questa rubrica è di parlare di Kinesio Taping method, inteso come tecnica ideata da Kenzo Kase nel 1973. Progettato per completare e prolungare nel tempo gli effetti del trattamento manuale, negli anni Kinesio Taping è diventato progressivamente uno strumento sempre più importante nella pratica riabilitativa. in questa sezione vengono presentati esempi di applicazioni, studi ed analisi sperimentali riguardanti questa tecnica, al fine di garantire al lettore una conoscenza più approfondita e sempre attuale sull'argomento. Tra le tecniche di applicazione più utilizzate all’interno del Kinesio Taping Method troviamo sicuramente quella linfatica. Grazie alla forma del tape che la caratterizza, alle basse tensioni utilizzate e al meccanismo d’azione che sfrutta, è la tecnica d’elezione in caso di fase acuta della patologia, nel post trauma e, in generale, in tutti i casi in cui il comportamento del dolore è di tipo chimico/irritativo e non propriamente meccanico. L’utilizzo di basse tensioni permette di ottimizzare il ritorno elastico del tape consentendo la formazione di numerose convoluzioni, ovvero zone in cui la pelle e, di conseguenza, i tessuti sottostanti risultano sollevati. Grazie a questo sollevamento aumentano gli spazi interstiziali, migliorano gli scambi di fluidi tra i tessuti, si riducono congestione ed edema, diminuisce la pressione sui meccanocettori e si ottiene una riduzione del dolore. Attraverso gli ancoraggi e la direzione di applicazione del tape i fluidi ematici e flogistici vengono quindi convogliati verso stazioni linfonodali prossimali rispetto alla zona da trattare e/o verso i grandi gruppi muscolari di cui si sfrutta il sistema sanguigno e l’effetto pompa dato dall’alternanza di contrazione e rilasciamento. L’efficacia della tecnica di drenaggio linfatico è comprovata da diversi studi di cui vengono riportati due esempi. Tsai et al. nel 2008 hanno dimostrato, attraverso una ricerca eseguita su 41 pazienti oncologici con linfedema dell’arto superiore monolaterale conseguente a intervento di mastectomia, che l’applicazione di Kinesio Tape ha la stessa efficacia, in termini di quantità di liquido drenato, del bendaggio compressivo tradizionale ma che, a differenza di questo, è meglio tollerato dai pa- a cura di Clerici Claudia Tecnica di correzione linfatica in caso di trauma del rachide cervicale Figura 1 - Applicazione Figura 2 - Particolare delle convoluzioni zienti stessi perché offre un comfort maggiore e permette una qualità di vita migliore (Tsai H, Hung H, Yank J, Huang C, Tsauo J. Could Kinesio tape replace the bandage in decongestive lymphatic therapy for breastcancer-related lymphedema? A pilot study. Support Care Cancer, Springer-Verlag, 8 feb 2009). Uno studio polacco, sempre del 2008, ha preso in considerazione 24 soggetti con edema post-chirurgico in seguito a intervento di allungamento di un arto inferiore con il metodo Ilizarov. L’applicazione di Kinesio Tape nel gruppo di studio ha consentito una diminuzione della circonferenza dell’arto interessato pari a quella ottenuta nei pazienti del gruppo di controllo ai quali è stato invece fornito il trattamento di drenaggio linfatico tradizionale. Nel primo caso però la riduzione dell’edema è stata signifi- cativamente più veloce. (Bialoszewski D, Wozniak W, Zarek S. Clinical efficacy of Kinesiology taping in reducing edema of the lower limbs in patients treated with the Ilizarov Method. Preliminary report. Ortopedia Traumatologia Rehabilitacja 2009; 1(6); Vol. 11, 46-54). Per le applicazioni linfatiche viene utilizzata una peculiare forma di taglio detta Fan o Ventaglio. La si ottiene dividendo una striscia di Kinesio Tape in 4-6 strisce più sottili, dette code, lasciandone intera un’estremità che corrisponderà all’ancoraggio iniziale. Ogni applicazione di correzione linfatica prevede l’utilizzo di almeno due strisce Fan. L’ancoraggio iniziale viene applicato senza tensione in corrispondenza di una stazione linfonodale prossimale rispetto alla zona da drenare o, in assenza di questa, di un grosso gruppo muscolare. Le code dei due ventagli, applicate con una percentuale di tensione minima e con la zona da trattare posta nel massimo allungamento possibile, si incrociano e sovrappongono sopra l’area edematosa a costituire una rete. Nella regione cervico/dorsale questo tipo di applicazione è utilizzata ad esempio in casi di trauma come il colpo di frusta. L’ancoraggio iniziale della prima striscia viene posizionato in corrispondenza dell’angolo superiore del margine mediale della scapola con il paziente in posizione neutra. Successivamente si chiede al paziente di flettere e di ruotare controlateralmente il rachide cervicale e si applicano le code. Lo stesso procedimento viene seguito per l’applicazione della seconda striscia il cui ancoraggio iniziale viene posto a livello dell’angolo supero-mediale della scapola controlaterale (Figura 1). La Figura 2 invece permette di evidenziare la presenza di convoluzioni in corrispondenza della zona congestionata. 13 REVIEW in questa rubrica verranno presentate una serie di revisioni della letteratura nell’ambito della terapia manuale e riabilitazione neuro-muscoloscheletrica. Questi lavori passano attraverso la definizione di un’ipotesi d’interesse (ad es. riguardo ad un intervento terapeutico), un’attenta selezione ed analisi critica della letteratura scientifica internazionale inerente all’argomento della revisione, una discussione con analisi critica approfondita dei risultati ottenuti dagli autori. a cura di Menozzi Silvia Cefalea e dolore cranio-facciale: segni e sintomi dei fattori muscoloscheletrici causali e contribuenti ABSTRACT La cefalea cervicogenica, è definibile genericamente come “quella condizione in cui il dolore origina da una affezione di qualche struttura non specificata del collo”. Questo lavoro di revisione cerca, dopo aver inquadrato le ipotesi patogenetiche, la fisiopatologia e il trattamento di terapia manuale, di fornire al terapista manuale alcuni elementi utili per individuare le fonti, i fattori casuali e quelli contribuenti di questa patologia. La ricerca ha trovato come possibili fonti dei sintomi: il rachide cervicale superiore, l’articolazione temporo-mandibolare, le disfunzioni muscolari e quelle del nervo occipitale. Sono stati rilevati come fattori contribuenti, o condizioni associate al sintomo: la sindrome di T4, il prolasso cervicale, la postura, l’ipermobilità e la regione cervico-scapolo-omerale. Per ognuna di queste evidenze si è cercato poi di elencare le caratteristiche cliniche rilevanti con lo scopo di collezionare una serie di elementi utili alla diagnosi differenziale. Si è proceduto dunque nella rassegna delle procedure di valutazione e dei test utili all’individuazione delle disfunzioni di movimento nel dolore cranio-facciale secondo le prospettive specifiche della terapia manuale. Si è giunti alla conclusione che è importante una raccolta di informazioni analitica che permetta di formulare ipotesi da porre a verifica nell’esame fisico. Questa condizione consente al terapista manuale un’adeguata ed efficace procedura e progressione di valutazione e trattamento. In questo lavoro si è voluto sviluppare il tema della cefalea cervicogenica e dei disturbi cranio facciali secondo due filoni di ricerca. La prima ricerca riguarda le evidenze sull’inquadramento diagnostico della cefalea, le ipotesi patogenetiche ed il trattamento della cefalea di origine cervicale nell’ambito della terapia manuale. La seconda ricerca parte dal presupposto che è necessaria una classificazione che tenga conto di molteplici fattori causali o contribuenti correlate ai sintomi cranio facciali. Si è cercato di creare quindi uno strumento utile al terapista manuale per inquadrare clinicamente la cefalea e definire quali strutture o fattori contribuenti possano influenzare o addirittura provocare la cefalea o i sintomi cranio-facciali. Partendo da un'analisi sulle possibili strutture coinvolte nella comparsa dei sintomi craniofacciali si è proceduto alla ricerca in letteratura dei loro sintomi specifici cercando poi di sviluppare una batteria di test specifici per queste strutture. 14 LA CEFALEA La cefalea cervicogenica, è definibile genericamente come “quella condizione in cui il dolore origina da una affezione di qualche struttura non specificata del collo” (definizione coniata da Sjiastaad nel 1983). Per distinguere i vari quadri di cefalee l’International Headache Society (IHS) nel 1988 ha proposto la classificazione che attualmente viene utilizzata e permette di raggiungere un livello diagnostico abbastanza accurato. In questa classificazione le cefalee vengono distinte in due gruppi: 1) Primarie 2) Secondarie (conseguenza di una patologia organica). La classificazione prevede una struttura stratificata a più livelli: un codice identifica ogni tipo di cefalea, ognuna di queste può avere una diagnosi approfondita contrassegnata da ulteriori codici. Si riconoscono 13 diversi gruppi di cefalee: nei gruppi 1-4 sono comprese le cefalee primarie, nei gruppi 5-11 le forme secondarie, nel gruppo 12 le nevralgie e nel gruppo 13 le cefalee non classificabili. CEFALEA CERVICOGENICA Il termine “cefalea cervicogenica” (CGH) implica un dolore cronico al capo causato da disfunzioni del rachide cervicale superiore che secondo le ricerche scientifiche colpisce il 15-20% dei pazienti con cefalea unilaterale cronica. L'origine dei sintomi riferiti della cefalea cervicogenica è da ricercarsi nelle strutture anatomiche innervate dai primi tre nervi cervicali, come muscoli, legamenti, ossa, dura madre, arterie vertebrali. Esistono tre forme di cefalea cervicale che possono essere isolate o associate tra loro: REVIEW • Forma occipitale; è percepita nella regione occipitale e può irradiare fino al vertice (territorio del rachide posteriore di C2-C3). • Forma occipito-temporo-mascellare; occupa la regione retroauricolare, mastoidea e irradia verso il mascellare inferiore. • Forma sovraorbitaria; la topografia del dolore è abitualmente sovraorbitaria, talvolta occipito-sovraorbitaria e, in qualche caso retroorbitaria. Possono essere descritti, oltre al dolore, altri sintomi associati, quali sensazioni vertiginose (scatenate dalla rotazione del capo, o dall’estensione della testa sul collo), disturbi uditivi (rumori, soffi, ipoacusia), disturbi visivi (sensazione di polvere nell’occhio, fatica visiva), parestesie faringee, lacrimazione e rinorrea (generalmente da una sola narice e un solo occhio). Si descrivono anche i fattori scatenanti: • Posture scorrette, raffreddamento della nuca. • Fattori ginecologici, digestivi, psichici o altro. • Soglia di tolleranza molto bassa. Ipotesi Patogenetiche Fisiopatologia Nella patogenesi della cefalea di origine cervicale molte strutture e patologie possono essere implicate. Il nucleo del nervo trigemino Il nucleo trigeminale è diviso nei principali nuclei sensitivi e spinali, che si estendono a livello di C3-C4. Connessioni tra i nuclei trigemino-cervicali e le prime quattro vertebre cervicali sono il substrato neuro-anatomico per il propagarsi del dolore dall’area cervicale alla testa. Il nucleo caudale contiene due classi di neuroni associati a processi sensoriali: • “Nociceptive Specific” (NS - neuroni nocicettivi specifici) • “Wide Dynamic Range” (WDR - neuroni ad ampio spettro dinamico). Alcuni neuroni “ad ampio spettro dinamico” ricevono solo input da fibre Aβ (A beta) e Aδ (A delta), mentre ad altri arrivano forti input da fibre C; la risposta ad una stimolazione continua nel tempo è un forte incremento di questi neuroni. Normalmente i neuroni ad ampio spettro dinamico non danno segnali di dolore in risposta a uno stimolo tattile non nocivo, ma questo potrebbe succedere se diventano sensibili ed ipereccitabili. La concentrazione nel sangue di CGRP (calcionin gene-related peptide), un marker dell’attivazione trigeminale, aumenta in pazienti con emicrania comune e dopo stimolazione del seno sagittale superiore nei gatti. Stimolando questa zona si rivela coinvolgimento del nucleo caudale a livello del corno posteriore di C2. L’attivazione trigeminale produce il rilascio di sostanze capaci di dare vasodilatazione e attivare l’endotelio vascolare e le piastrine, originando un’infiammazione sterile responsabile del dolore emicranico. Esse sono responsabili anche di una riduzione della soglia di stimolazione dei nocicettori a livello di vasi, muscoli, meningi, cuoio capelluto e della conseguente trasmissione degli impulsi nocicettivi alle stazioni sottocorticali e corticali deputate alla processazione e all’integrazione dell’informazione nocicettiva. Tale eterogenea classe di sostanze sembra agire localmente a livello della parete vasale insieme ad altri mediatori e neurotrasmettitori, che con un meccanismo vasodilatatorio sono in grado di provocare un attacco d’emicrania. La dura madre Una teoria di eziologia data da studi anatomici è l’aderenza dei tessuti suboccipitali (alcuni muscoli e legamenti nucali) alla dura madre nella giunzione cervico-craniale. La dura cranica e la dura cervicale sono innervate, e possono quindi giocare un ruolo importante nella CGH come struttura nocicettiva. Il sistema nervoso autonomo Alcune fonti riportano una terza teoria secondo la quale il sistema nervoso autonomo (SNA), nella sua componente simpatica, sarebbe il responsabile del mantenimento degli stati dolorosi, tra cui quello cranio-facciale. A questo proposito si cita la “sindrome di T4” che provocherebbe sintomi, tra gli altri, di dolore craniale a “casco”. Tuttavia in letteratura non vi sono articoli in merito, lasciando una bassa evidenza a questa teoria. Disfunzioni neuro-muscoloscheletriche: possibili fattori scatenanti della cefalea e del dolore cranio facciale e rassegna delle procedure di valutazione utili all'individuazione delle disfunzioni di movimento nel dolore cranio facciale secondo le prospettive specifiche della terapia manuale. 15 REVIEW Abbiamo voluto cercare una relazione basata sull’evidenza scientifica tra il mal di testa cervicogenico e le strutture che, secondo l’esperienza clinica, le nostre attuali conoscenze ed i lavori precedenti presenti in letteratura, possono essere probabili fonti o fattori contribuenti nella generazione del mal di testa. Individuate le evidenze, abbiamo cercato di elencare le caratteristiche cliniche rilevanti proprie di ciascuna disfunzione, per collezionare una serie di elementi utili alla diagnosi differenziale tra i diversi fattori. a) Disfunzioni del rachide cervicale superiore Problematiche relative ai primi tre segmenti articolari cervicali possono proiettare il dolore a livello cefalico. Lo schema tipico di dolore riferito, nella CGH, include sintomi nella regione suboccipitale, posteriore e posterolaterale alta, area temporale e vertice del capo. Per cercare una correlazione tra il dolore percepito dal paziente e l’eventuale responsabilità dei segmenti articolari, in genere si effettua una valutazione manuale per cercare di riprodurre la cefalea ed identificare una disfunzione compatibile con i sintomi. I pazienti che hanno subito un trauma commotivo e che lamentano ancora, a distanza di tempo, cefalea, hanno prevalentemente sintomi a livello di C1-C2, C2-C3, C0-C1, C3-C4 (in ordine di frequenza), verificabili con una valutazione manuale segmentale. 16 Tipicità dei sintomi Generalmente la cefalea di origine cervicale superiore si presenta omolateralmente, o quanto meno più marcata da un lato. Karel Lewit sostiene che vi è un possibile legame tra cefalea vasomotoria e cefalea cervicale per un fattore di origine riflessa: la disfunzione strutturale presente a livello articolare, infatti, manderebbe input nocicettivi che scatenerebbero una reazione vasomotoria riflessa, poiché il dolore provoca di solito vasocostrizione. Dal momento che la cerniera cervico-occipitale ha un ruolo fondamentale per il mantenimento dell'equilibrio, una sua disfunzione può provocare capogiri e vertigini. I pazienti che riportano questo tipo di disturbo sono generalmente portatori di un blocco a livello di C0-C1 o C1-C2, per i quali Norrè et al (1976) hanno riscontrato un nistagmo cervicale e per i quali la risoluzione del sintomo si ottiene solo dopo il trattamento della disfunzione. Karel Lewit ha individuato diversi tipi di vertigini: • Vertigine classica (sindrome di Ménière): gli attacchi possono durare ore o addirittura giorni. E' un tipo di vertigine rotazionale, si presenta con nausea e vomito, generalmente assieme a ronzio e a disturbi auricolari. Nei casi meno gravi, questi ultimi sono assenti ed il paziente avverte, anziché la sensazione di rotazione, quella di oscillazione (mal di mare). • Vertigine di posizione: vertigine rotazionale, innescata dal cambiamento della posizione della testa nello spazio, assieme al resto del corpo. Il sintomo è intenso, ma di breve durata, ed è accompagnato da nistagmo spontaneo. • Attacchi gravi di breve durata: innescati da alcune posizioni della testa rispetto al tronco. • Gruppo polimorfo di brevi attacchi di vertigine: causati da alcune posizioni della testa rispetto al tronco. Il paziente riferisce di sentirsi spingere o strattonare, in avanti o indietro, o addirittura di cadere. E' la vertigine che più frequentemente è associata a cefalea e per la sua dipendenza diretta con il movimento del collo viene anche definita vertigine cervicale. Il fattore cervicale può comparire in tutti i tipi di vertigine. Procedure di valutazione L’esame fisico del rachide cervicale superiore comprende la valutazione della funzione del sistema articolare, del sistema muscolare, del sistema nervoso; integrati dal controllo neuromotorio. Analizzati globalmente attraverso l’osservazione di atteggiamenti posturali e movimenti attivi, vengono valutate le risposte di ampiezza, schema, controllo e dolore nei movimenti su ciascun piano di movimento. La valutazione del paziente prosegue con test specifici. Allo stato attuale, l’esame manuale sembra essere il più appropriato per determinare la presenza o l’assenza di disfunzioni articolari. La maggior parte degli studi ritrovati in letteratura descrive il test di flessione-rotazione (FRT) nella valutazione del rachide cervicale in caso di cefalea cervicogenica. Il FRT è significativamente utile nella diagnosi differenziale della cefalea e nell'identificazione dei disordini di movimento del segmento C1/2 nei pazienti con cefalea cervicogenica. Concludendo, il test FRT può essere usato con accuratezza e affidabilità anche da esaminatori inesperti e può essere in tal modo un aiuto esauriente nella valutazione diagnostica della cefalea cervicogenica. REVIEW b) Disfunzioni dell'articolazione temporo-mandibolare In letteratura vi sono evidenze circa il coinvolgimento dell’articolazione temporo-mandibolare (ATM). Spesso il dolore temporomandibolare è associato a disturbi cervicali e cefalee. Tipicità dei sintomi La sintomatologia di base è in realtà simile a quella vista per il rachide cervicale superiore, quindi cefalea e disturbi dell'equilibrio, ma si possono verificare anche fenomeni di bruxismo, dolore nella zona dell'orecchio (dovuti all'articolazione temporo-mandibolare), disfagia (dovuta ai trigger point pre- senti nel muscolo digastrico), prominenza del volto. Spesso la difficoltà nel valutare la sintomatologia è differenziare tra una lesione strutturale dell'articolazione e la presenza di trigger points muscolari che possono causare il dolore in questione. Nel primo caso si presentano problemi di male-occlusione (come una chiusura crociata dei denti), mentre nel secondo quest'ultima è normale, ma c'è un aumento dell'attività dei masseteri o una deviazione della cartilagine tiroidea. Se l'origine del problema è la disfunzione muscolare, durante la palpazione dell'articolazione temporo-mandibolare il dolore decresce in seguito al rilassamento muscolare, cosa che difficilmente si verifica nella disfunzione strutturale dell'articolazione. Procedure di valutazione L'approccio iniziale per la valutazione dell'articolazione temporo-mandibolare è sicuramente l'osservazione della postura da seduto e da in piedi del paziente, prendendo in considerazione la posizione di testa, collo, rachide toracico ed arti superiori. Si passa poi all'osservazione dei contorni ossei, delle masse muscolari (ipotrofie o ipertrofie) e delle parti molli del volto e dell'articolazione temporo-mandibolare. Durante l'esame formale del paziente, il terapista può verificare la simmetria facciale mettendo a confronto la linea bipupillare con quella otica e quella occlusale, le quali devono essere parallele. E' importante anche rilevare la presenza di maleocclusione dentaria, ad esempio il morso incrociato, il morso profondo, oppure deviazioni laterali della mandibola. Durante la palpazione l'operatore deve esaminare la temperatura e l'umidità locale, la consistenza e la dolorabilità dei tessuti, la posizione della mandibola e dell'articolazione temporo-mandibolare, la presenza di spasmo muscolare e di alterata sensibilità delle strutture ossee, legamentose e muscolari. Successivamente si passa all'esecuzione dei test articolari e muscolari. Test articolari di movimento • Test di movimento articolare fisiologico attivo e passivo: Il fisioterapista deve valutare la qualità del movimento, quindi se ci sono deviazioni o rumori durante l'apertura e la chiusura della bocca e se si riscontra resistenza al movimento; i gradi di range motorio; la presenza di dolore ed il relativo andamento durante l'escursione articolare; il verificarsi di spasmo muscolare. • Test di movimento articolare fisiologico attivo con overpressure: da effettuarsi nei movimenti di apertura e chiusura, protrusione e retrusione, deviazione laterale. • Test di movimento articolare fisiologico passivo. • Test dei movimenti accessori: in anteroposteriore, in posteroanteriore, mediale trasverso, laterale trasverso, longitudinale cefalico e caudale. Test muscolari • Test di forza muscolare; • Test di controllo muscolare; • Test di lunghezza dei muscoli; • Test muscolare isometrico; • Test di integrità del sistema nervoso; • Test di mobilità del sistema nervoso. I muscoli di maggior interesse per la ricerca dei trigger points durante la valutazione di questa regione sono: • muscolo temporale; • muscolo massetere; • muscolo pterigoideo; • muscolo digastrico. 17 REVIEW c) Disfunzioni muscolari In questo gruppo dobbiamo distinguere problemi originati dalla sofferenza della struttura muscolare (alterazioni della tensione muscolare e il fenomeno dei Trigger Points miofasciali), e quelli causati da un'alterata funzione del controllo neuromuscolare. 18 ALTERAZIONI DELLA TENSIONE MUSCOLARE E PUNTI TRIGGER MIOFASCIALI Nelle cefalee di tipo tensivo si riscontra un’aumentata tensione dei muscoli pericranici che risultano ipersensibili e quindi dolorosi, con dolore diffuso, protratto, sordo e profondo, originato da punti trigger nei muscoli ed irradiato ad altre sedi limitrofe. Il dolore miofasciale riconosce nella sua patogenesi più meccanismi, con presenza di un circolo vizioso “spasmo-dolore-spasmo” e sensibilizzazione nocicettiva periferica e/o centrale. I punti trigger miofasciali sono della zone iper-irritabili all’interno di una bandelletta contratta di un muscolo scheletrico, localizzata nel tessuto muscolare e/o nella fascia. I punti trigger sono attivati direttamente dal sovraccarico acuto, dall’affaticamento da lavoro eccessivo, dal trauma diretto, e dal raffreddamento. Sono attivati invece indirettamente da altri punti trigger, da malattie viscerali, da articolazioni artrosiche e alterazioni emotive. La presenza di trigger points nei muscoli suboccipitali possono provocare una maggiore intensità e frequenza della cefalea rispetto a quelli latenti. Nel mal di testa miotensivo sono coinvolti solo i due retti, la cui atrofia muscolare può spiegare la riduzione di output propriocettivi e la conseguente perpetuazione del dolore. L’atrofia muscolare dei due retti, ma in particolare del piccolo, è associato ad un trig- ger point attivo nelle cefalee mio tensive. Il dolore locale e riferito, evocato da trigger points attivi nel muscolo temporale e le sue caratteristische sensorie, mostrava pattern simili alla abitudinale cefalea dei pazienti. È stato riscontrato che il mal funzionamento dello sternocleidomastoideo, dello scaleno anteriore e dei flessori profondi del collo (lungo del capo e del collo e retto del capo anteriore), è associato al dolore cefalico, al dolore cervicale e all’osteoartrosi cervicale. Il trattamento del mal di testa cervicogenico è stato descritto da diversi clinici e prevede manipolazioni o mobilizzazione articolare, sulla base di studi che attestano che la limitata mobilità delle articolazioni cervicali superiori può creare cefalea. Alcuni studi indicano che lo stretching dei muscoli cervicali anteriori profondi sia efficace nell’aiutare i pazienti con cefalea cervicogenica. Esiste una relazione tra lo sternocleidomastoideo, il dolore unilaterale al collo e il mal di testa. La fatica dei flessori profondi del collo è specifica per un lato in pazienti con dolore al collo monolaterale. Nei traumi in flesso-estensione durante in- cidenti, lo sternocleidomastoideo ed il lungo del collo vengono sollecitati in modo dannoso nel senso dell’estensibilità. Durante le normali sollecitazioni, la maggior parte delle forze tensive si sviluppano in quei tessuti che si trovano più lontani dall’asse neutrale dal lato della convessità e di conseguenza i muscoli cervicali situati più lontano dalla posizione neutra sembrano essere più suscettibili agli urti. Tipicità dei sintomi I disturbi sono alterazione della funzionalità, spasmo, respirazione scorretta. I punti che alla palpazione risultano più dolenti generalmente sono: sulla superficie laterale dell'apofisi spinosa dell'epistrofeo (più frequente a destra), all'altezza dell'arco posteriore dell'atlante (negli estensori brevi), all'altezza dell'apofisi trasversa dell'atlante e nello sterno-cleido-mastoideo. Anche il muscolo temporale può causare un dolore a livello della tempia, da non confondersi con un'arteria temporale dolente. E' necessario verificare la presenza di trigger points in altri muscoli masticatori che possono essere causa di emicrania. Procedure di valutazione Alla palpazione generalmente lo sternocleidomastoideo colpito si presenta più rigido rispetto al controlaterale e di volume ridotto. Testando i flessori del collo antero-laterali (sternocleidomastoideo e scaleno anteriore) partendo dalla maggiore inclinazione possibile della testa e poi ruotando dalla parte opposta si nota una diminuzione di lunghezza dal lato non colpito. Per quanto riguarda i sottooccipitali, così come gli altri muscoli di nostro interesse, va condotto un primo esame palpatorio, in cui, oltre alla temperatura e la sudorazione locale, si rileva l'eventuale alterazione dei tessuti molli (ispessimento, stati di tensione e/o dolorabilità). Successivamente si effettuano i test di forza e di estensibilità muscolare e di ricerca dei trigger point. REVIEW Qui di seguito riportiamo i muscoli i cui trigger point possono provocare dolore a livello cranico. Le immagini sono state tratte da: Dolore Muscolare, diagnosi e terapia – Punti Trigger, Travell JG, Simons DG. 19 REVIEW 20 DISFUNZIONI DEL CONTROLLO NEUROMUSCOLARE E’ dimostrato che nei pazienti con problemi cervicali c’è un’alterazione della sinergia dei muscoli flessori del collo, indipendentemente dal livello interessato e dalla causa che lo determina. L’alterazione della corretta attivazione sinergica dei muscoli flessori cervicali induce, come compenso, un’attivazione dei muscoli flessori superficiali. Tra le possibili cause di alterazione del controllo neuromotorio troviamo l’inibizione causata dal dolore e dai riflessi, che determina un ritardo dell’attivazione del “pool” dei neuroni motori, provocando un’attivazione muscolare inadeguata o ritardata. L’inibizione dei riflessi sembra essere associata a traumi che causano: versamenti articolari, compressioni capsulari o stiramenti legamentosi. Il corretto tempo di attivazione dei muscoli flessori del collo non può essere ripristinato senza trattamenti mirati e specifici. Procedure di valutazione Per valutare la disfunzione del controllo motorio sono già stati descritti eventuali disfunzioni dei flessori profondi del collo (retto anteriore e laterale della testa, lungo della testa e multifido profondo). Il test per gli estensori sotto-occipitali profondi prevede che il paziente, messo in posizione supina, riesca a resistere costantemente ad una leggera spinta in flessione data dal terapista per mantenere la posizione neutra della testa e del collo. Il paziente deve resistere in isometrica per 15 secondi e per 2 ripetizioni senza cedimenti in flessione della cervicale alta, compensi o co-contrazioni. Il test di controllo della traslazione col trapezio superiore prevede che il paziente attivi il muscolo per resistere allo spostamento in glide laterale imposto dal terapista. La contrazione deve essere mantenuta per 15 secondi per 2 ripetizioni, tenendo la posizione neutra senza sostituzioni o rigidità di co-contrazione e senza trattenere il respiro. REVIEW d) Disfunzioni del nervo occipitale Il blocco anestetico si è dimostrato efficace nel ridurre in misura significativa l’uso di antidolorifici, la durata e la frequenza del mal di testa, la nausea e il vomito, la fotofobia, la fonofobia, la diminuzione dell’appetito e la limitazione nelle attività funzionali. Nel 2004 un gruppo di studiosi del Dipartimento di Anatomia del Christian Medical College in India, hanno notato che il percorso anomalo attraverso il trapezio di una radice del piccolo nervo occipitale (che innerva nuca, parte posteriore del cuoio capelluto ed orecchio) potrebbe essere una spiegazione per la cefalea gervicogenica scatenata dai movimenti del collo. Il motivo per cui la scomparsa del dolore di alcuni pazienti con cefalea cervicogenica dopo l’anesteizzazione del nervo grande occipitale sia dovuto al fatto che entrambi i nervi grande e piccolo occipitale siano bloccati contemporaneamente proprio per la loro vicinanza anatomica n questi pazienti. Tipicità dei sintomi La disfunzione del nervo occipitale può essere dovuta ad un meccanismo o fattore che interferisca con il nervo stesso o i suoi rami in qualsiasi punto del decorso. Possiamo quindi individuare cause di tipo: • anatomico (malformazioni del rachide cervicale superiore); • traumatico; • vascolare; • flogistico; • cicatriziale; • degenerativo; • nevralgico (nevralgia di Arnold) ; • neoplastico. Per quanto riguarda la distribuzione del disturbo algico, generalmente si hanno parossismi dolorosi unilaterali o, più raramente, bilaterali, nei territori dei nervi piccolo e grande occipitale con dolore trafittivo che si sviluppa dalla nuca e si irradia nella regione occipitale da un lato del capo fino alla sua sommità. Generalmente si causa la comparsa del dolore palpando la fuoriuscita del nervo all'emergenza cranica nel punto di Arnold, 2 centimetri a lato della protuberanza occipitale (è comunque spesso presente dolorabilità alla pressione sul nervo). Quando la causa del disturbo è un processo infiammatorio si avrà: • Rigidità nucale con andamento variabile nel corso della giornata, • Dolenzia di sottofondo, • Movimento limitato a causa dell'aumento di pressione nei tessuti che interferiscono sull'articolarità. Quando si presenta un quadro nocicettivo ischemico, la sintomatologia tipica è: • dolore più acuto nelle ore serali, • comparsa di dolore con le posture mantenute (ad esempio lavoro al computer), • un immediato alleviamento dei sintomi nel cambiamento di postura o movimento. Se è compromessa la neurodinamica del nervo, il paziente è in grado di mostrare le posizioni o i movimenti “aggravanti” o “allevianti” della testa, del collo e degli arti superiori che modificano il sintomo. Procedure di valutazione L'esame di mobilità neurodinamica per rilevare la presenza di impedimenti meccanici che ostacolino il corretto scorrimento del nervo occipitale prevede lo studio dei movimenti cervicali col paziente posto in diverse posizioni (supina, prona, in decubito laterale, seduta) effettuati aggiungendo le varie componenti dello slump test. Un valido aiuto per vedere la compromissione del nervo in esame è anche la semplice palpazione del decorso sotto-occipitale lungo la rima cranica posteriore. Questa palpazione, oltre ad informazioni circa la dolorabilità e lo stato di tensione locale, nei casi di attacchi di emicrania può dare effetti di sollievo immediato. 21 REVIEW e) Disfunzioni del rachide dorsale E' pensabile inoltre un coinvolgimento del tratto dorsale della colonna, in particolare di T4, in riferimento alla teoria fisiopatologica legata al SNA, seppur in assenza di evidenza scientifica. I sintomi associati comprendono mal di testa vago e diffuso, sensazioni di portare sulla testa un capo troppo pesante o un casco eccessivamente stretto, presenza dolore a livello del collo, deficit della mobilità cervicale a causa del dolore. Quando questi sintomi appaiono si presentano tutti contemporaneamente. Questo porta a pensare che, nonostante sia ormai appurato che la causa della sindrome T4 sia un danno indiretto al sistema nervoso simpatico, potrebbe esserci una relazione con il rachide cervicale per un'alterazione posturale, dal momento che, i soggetti colpiti presentano alterazioni nell'allineamento del rachide, soprattutto protrazione della testa, cifosi dorsale e flessione lombare. Una rigidità cervico-dorso-lombare potrebbe essere così la causa di innesco dei sintomi tipici della sindrome T4, dal momento che il canale midollare nel tratto dorsale è più stretto ed il midollo subisce, soprattutto a livello di T6, diverse forze di trazione durante i movimenti di flessoestensione e quindi rimane molto sensibile ai disturbi di rigidità. La sintomatologia tipica della sindrome T4 comprende parestesie negli arti superiori: può essere interessata solo una parte, come la mano, o tutto l'arto. Generalmente si tratta di parestesie a guanto, senza relazione dei dermatomi delle aree interessate. I sintomi possono essere uni o bilaterali ed in quest'ultimo caso sono di solito simmetrici. Il paziente riferisce un aumento dei sintomi al mattino e durante la parte finale della notte, quindi l'immobilità ed il rallentamento della circolazione sanguigna pare abbiano un'influenza diretta su questi sintomi. Cambiare posizione o scuotere le braccia fa diminuire o scomparire i sintomi ed i pazienti non identificano nessuna attività che inneschi le parestesie. E' tipica una certa rigidità interscapolare e la positività allo slump test. Procedure di valutazione In letteratura non è stata trovata una testistica specifica sulla sindrome T4. Si può procedere con una valutazione classica dell'esame del rachide toracico, prestando particolare attenzione alla tipologia, distribuzione ed andamento del dolore e delle parestesie, ed alla presenza di rigidità articolare. Visto che la sindrome T4 sembra essere dovuta ad un'alterazione del sistema simpatico, alla palpazione sarà utile prestare attenzione alla presenza di sudorazione locale, aumento della temperatura ed alterazioni del colorito cutaneo. Nell'esame della regione dorsale è importante analizzare la postura con cui si presenta il paziente, per avere un'idea sullo stato di mobilità e di alterazione funzionale in cui potrebbe trovarsi col rachide toracico. 22 f) Prolasso cervicale La possibile associazione tra il prolasso discale del rachide cervicale inferiore ed il mal di testa cervicogenico sembra essere stata confermata in uno studio in cui cefalea e dolore al collo miglioravano o sparivano nell’80% dei pazienti in seguito ad intervento chirurgico per rimuovere l’erniazione del nucleo. Sembra comunque che per avere beneficio dall’operazione di discectomia si debbano rispettare precisi criteri di inclusione, ossia ci debba essere un prolasso senza instabilità segmentale che non abbia dato risposta al trattamento conservativo con anestesia locale o discografia provocativa. Procedure di valutazione I test per diagnosticare la presenza di una lesione discale sono: • test di compressione; • test di Spurling; • test di distrazione; • manovra di Valsalva. REVIEW g) Postura Uno studio condotto su ventidue pazienti con cefalea cervicogenica accompagnata da vertigini ha riscontrato che, nella maggior parte di essi, si ritrovava una sensibilità e ed una tensione maggiore dei muscoli paraspinali, un’ipersensibilità delle articolazioni zigo-apofisarie a tutti i livelli cervicali ed un range di movimento uguale o maggiore del previsto. I ricercatori hanno concluso che i pazienti affetti da cefalea cervicogenica accompagnata da vertigini, hanno in comune sostanziali problematiche muscolari e posturali che necessitano di essere risolte per la scomparsa dei sintomi. Sembra che un programma di esercizi attivi che permettano di acquisire un corretto allineamento della regione cervicale, di quella scapolotoracica e di quella lombare abbia risultati considerevoli nel ridurre il numero degli attacchi e migliorare la qualità della vita nei pazienti affetti da cefalea cervicogenica. Si possono comunque presentare due quadri di cefalea dovuta alla postura del collo: 1. Cefalea da postura prolungata in avanti. 2.Cefalea da retroflessione. Nel primo caso sono particolarmente predisposti i pazienti ipermobili, ma soprattutto i soggetti che hanno subito traumi e ai soggetti che lavorano seduti (impiegati e scolari). Nel mal di testa scolastico, dopo un po’ di tempo seduti al tavolo (in ufficio, a scuola, ecc.), si è riscontrato a lungo andare difficoltà nella concentrazione. Nei periodi di vacanza non si manifestano cefalee, le quali possono presentarsi dopo sobbalzi su mezzi di trasporto o dopo aver fatto movimenti che spingano il rachide cervicale in flessione forzata (ad esempio, una capriola). Gutman (1979) sostenne che la cefalea da flessione prolungata fosse dovuta alla stenosi del canale vertebrale a livello di C0C1. Egli dimostrò che la pressione del liquido cerebro-rachidiano e la cefalea aumentavano durante la flessione in avanti. Per questi pazienti è positivo il test di anti- flessione in cui il capo viene portato in massima flessione senza forzare la barriera ed il dolore insorge dopo 10-15 secondi (se fosse immediato farebbe pensare ad un blocco a livello di C0-C1). Generalmente è dolente il margine laterale dell'apofisi spinosa dell'epistrofeo. Nel caso della cefalea da retroflessione, la postura dominante è l'estensione ed è caratterizzata da un forte dolore a livello dell'arco posteriore dell'atlante assieme ad una ipersensibilità delle apofisi spinose inferiori a C2 e all' involuzione dell'arteria vertebrale. Procedure di valutazione Nicola J. Petty e Ann P. Moore nel loro libro "Esame clinico e valutazione neuromuscoloscheletrica” individuano sette principali tipi di sindromi posturali: • Sindrome incrociata superiore (o della spalla): presenza di trapezio, elevatori della scapola e pettorali rigidi combinati a flessori profondi del collo, romboidi e dentato anteriore deboli. Si avrà un'elevazione ed anteriorizzazione delle spalle, rotazione e abduzione delle scapole, anteriorizzazione del capo. • Sindrome crociata inferiore (o pelvica): presenza di muscoli paravertebrali e muscolo ileo-psoas rigidi combinati ad addominali e grande gluteo deboli. Si avranno antiversione del bacino, iperlordosi e leggera flessione delle anche. • Postura cifo-lordotica: presenza di flessori del collo, paravertebrali superiori, obliquo esterno, posteriori della coscia allungati e deboli (i posteriori della coscia possono non essere deboli), associati ad estensori del collo, flessori dell'anca, paravertebrali lombari corti e forti (i paravertebrali possono non essere corti). • Sindrome degli strati: Presenza di stabilizzatori inferiori della scapola, paravertebrali lombosacrali e grande gluteo ipotrofici, associati a paravertebrali cervicali, trapezio superiore, elevatore della scapola, paravertebrali toracolombari, muscoli posteriori della coscia ipertrofici. • Postura a schiena piatta: presenza di flessori dell'anca e muscoli paraspinali allungati e deboli, associati a muscoli posteriori della coscia corti e forti. Si avrà: leggera estensione del rachide cervicale, rachide toracico superiore in flessione, riduzione della lordosi lombare, retroversione del bacino, leggera estensione dell'anca e leggera flessione plantare della tibio-tarsica. • Postura schiena insellata: presenza di flessori dell'anca, obliqui esterni, estensori superiori della schiena, flessori del collo allungati e deboli, associati a muscoli posteriori della coscia, fibre superiori dell'obliquo interno, muscoli paraspinali lombari corti e forti (i paraspinali possono non essere corti). Si osservano: anteriorizzazione del capo, leggera estensione del rachide cervicale, flessione accentuata e spostamento posteriore del tronco superiore, rachide lombare in leggera flessione, retroversione del bacino, iperestensione delle ginocchia. • Postura lateralizzata: si presentano allungati e deboli i muscoli laterali sinistri del tronco, gli abduttori dell'anca destra, gli adduttori dell'anca sinistra, muscolo peroneo lungo e breve di destra, muscolo tibiale posteriore sinistro, flessore lungo delle dita sinistro, tensore della fascia lata destro allungati e deboli (il tensore può non essere debole); mentre si presentano corti e forti i muscoli laterali destri del tronco, abduttori dell'anca sinistra, adduttori dell'anca destra, muscolo peroneo lungo e breve di sinistra, muscolo tibiale posteriore destro, flessore lungo dell'alluce destro, flessore lungo delle dita destro, tensore della fascia lata sinistro (il tensore può non essere debole). Negli individui destrimani si osservano: spalla destra bassa, scapole addotte con depressione della destra, curva toracolombare sinistroconvessa, inclinazione a destra del bacino, adduzione e leggera rotazione esterna dell'anca destra e abduzione dell'anca sinistra con pronazione del piede destro. 23 REVIEW h) Ipermobilità cervicale Secondo uno studio condotto negli USA, l’ipermobilità articolare delle vertebre cervicali sembrerebbe un fattore predisponente per lo sviluppo del mal di testa cervicogenico. i) Regione CervicoScapolo-Omerale Esiste una relazione tra i diversi tipi di mal di testa e la forza o mobilità della regione cervico-scapolo-omerale. Procedure di valutazione Procedure di valutazione Il terapista dovrà valutare i movimenti intervertebrali accessori passivi, che per il rachide cervicale sono: • centrale posteroanteriore, • unilaterale posteroanteriore, • medio trasverso per C1, • trasverso per C2-C4, • unilaterale anteroposteriore, • esame segmentario del movimento fisiologico intervertebrale. Il fisioterapista osserva la postura della colonna sia a paziente seduto, che a paziente in piedi, facendo particolare attenzione all'atteggiamento della testa e del collo, del rachide dorsale e degli arti superiori. L'operatore cerca di correggere passivamente le deviazioni rilevate avvicinando l'allineamento del paziente a quello ideale, per verificare la possibile correlazione con il problema del paziente. Watson e Janda (1994) hanno rilevato che i pazienti soggetti a mal di testa possono presentare una postura a capo anteriorizzato assieme ad una elevazione ed anteriorizzazione delle spalle, una rotazione ed abduzione (winging) delle scapole (sindrome incrociata superiore). Di conseguenza nella valutazione si dovranno andare a testare la forza e l'estensibilità dei muscoli che secondo questo schema sono posti in accorciamento ed in allungamento patologico. Oltre a rilevare la quantità e la qualità del movimento e la sensazione all'endfeel, si deve rilevare l'eventuale presenza di spasmo muscolare e la presenza di dolore assieme alla sua distribuzione ed andamento. Un dolore cranio-facciale può presentarsi come conseguenza di disfunzioni a più livelli o da fonti diverse dal tratto cervicale superiore. Nella pratica clinica si possono incontrare gli stessi sintomi cranio-facciali con diverse tipicità: il terapista manuale dovrebbe quindi indirizzarsi a quelle strutture già dall’esame soggettivo, per poi confermare il loro coinvolgimento attraverso i test dell’esame fisico per poi procedere al trattamento più indicato. Il trattamento della cefalea cervicogenica è molto discusso nella letteratura internazionale con risultati contraddittori circa l'efficacia delle varie tecniche. Dagli studi effettuati sull’efficacia del trattamento si deduce la possibilità di una compresenza di più fattori e quindi come sia necessaria una più raffinata indagine. Partendo da un attento e preciso esame soggettivo, il terapista dovrebbe includere nel successivo esame oggettivo tutta una batteria di test sulle strutture inerenti al problema individuando la possibile fonte dei sintomi e procedendo con le tecniche di trattamento. Relatore: Ft. Massimo Zocchi Tesi di: Ft. Daniela Achini, Ft. Marco Cavaliere Anno Accademico 2007/2008 24 Citazioni bibliografiche: 50. SPORT PHYSIOTHERAPY a cura di Matarozzo Daniele Pini Matteo - Vespasiano Stefano Questa rubrica è dedicata alla descrizione di sindromi, patologie o infortuni in cui possono incorrere gli atleti praticando attività sportiva. Per ogni condizione patologica verranno descritti i fattori di rischio, le più comuni ipotesi di ragionamento clinico per eseguire una accurata diagnosi differenziale, ed i trattamenti suggeriti cercando di favorire la divulgazione delle conoscenze e la pratica clinica basata sulle prove di efficacia. Fratture costali da stress nell’atleta ABSTRACT Contesto. Le fratture da stress sono il risultato del cattivo riassorbimento osseo nella riparazione delle microfratture causate da carichi ripetuti; tipicamente non è riscontrabile una storia di trauma acuto. Gli infortuni da stress sono comuni negli atleti, soprattutto agli arti inferiori. Le coste sono le maggiormente coinvolte tra le ossa che non ricevono carico. Queste fratture possono essere osservate nei golfisti, canoisti, nuotatori, giocatori di baseball, di squash e rematori. Obiettivi e scopo dello studio. Individuare i fattori di rischio, le più comuni ipotesi di ragionamento clinico per eseguire un’accurata diagnosi differenziale, ed i trattamenti suggeriti dalla EvidenceBased Medicine. Fonti dei dati e criteri di eleggibilità. E’ stata condotta una ricerca in PubMed inserendo le parole chiave: rib stress fracture, sport injuries, rib fracture, rowing. Sono stati selezionati gli articoli degli ultimi 10 anni in lingua inglese, metanalisi, RCT, review. Conclusioni. Le fratture da stress a livello delle coste sono una patologia relativamente comune in atleti che praticano quegli sport che vanno a sovraccaricare le strutture muscolo-tendinee che si inseriscono sulla gabbia toracica (rematori, lanciatori di baseball, golfisti). L’eziologia multifattoriale del problema pone alla base del suo management una attenta valutazione delle possibili cause, al fine di andare a correggerle in maniera selettiva ed evitarne le recidive; il recupero in genere è completo e si ottiene in 6-8 settimane, gestendo il graduale rientro al carico in allenamento ed all’attività sportiva. Le fratture da stress sono il risultato del cattivo riassorbimento osseo nella riparazione delle microfratture causate da carichi ripetuti; tipicamente non è riscontrabile una storia di trauma acuto. Gli infortuni da stress sono comuni negli atleti, soprattutto agli arti inferiori. Le coste sono le maggiormente coinvolte tra le ossa che non ricevono carico. Queste fratture possono essere osservate nei golfisti, canoisti, nuotatori, giocatori di baseball, di squash e rematori. Le fratture da stress delle coste sono relativamente comuni in alcuni tipi di atleti. Si caratterizzano per un dolore crescente nella parte laterale del torace e attraverso evidenze tipicamente ottenute con scintigrafia, radiografia e sonografia. La diagnosi è quindi spesso ottenuta da una combinazione di segni clinici e di imaging; la sede più comune della frattura, in base ai dati della letteratura, è nell’angolo postero-laterale. Segni e sintomi I segni tipici riscontrati sono il gonfiore nella zona di lesione ed il dolore costale laterale di intensità variabile, che aumenta con l’inspirazione profonda e durante i cambi di posizione; in alcuni casi questo dolore degenera al punto tale da impedire la prosecuzione dell’attività sportiva. Un atleta con frattura costale da stress non può convivere con il proprio problema e deve necessariamente modificare la sua pratica sportiva. Il dolore inoltre si può irradiare nella distribuzione del nervo intercostale della costa coinvolta. Il clinico all’atto della valutazione dovrebbe considerare anche una diagnosi differenziale di infortunio muscolare, per esempio uno strappo dell’obliquo interno alla sua inserzione sulla faccia inferiore delle ultime quattro coste o sulle cartilagini costali, di uno stiramento legamentoso, dell’asma, di una borsite scapolo-toracica, di ernia toracica e di pleurite. Fattori di rischio Le fratture da stress negli atleti sono il risultato di eccessivi e ripetitivi carichi su ossa normali che non si sono adattate a queste condizioni. Le fratture costali da stress hanno probabilmente un’eziologia multifattoriale, che va dal sesso dell’atleta, alla tecnica di esecuzione del gesto, al tipo di equipaggiamento ed allo stato di allenamento. Una densità ossea troppo ridotta può rappresentare un fattore di rischio. I rematori hanno un’incidenza relativamente alta di fratture da stress alle coste, nei quali sono causate da ripetute remate con la cocontrazione del dentato anteriore e dell’obliquo esterno, che genera un aumento delle forze di taglio sul segmento laterale della costa. Un altro possibile pattern di contrazione lesivo riguarda l’attivazione simultanea del gran dentato e del trapezio. Le più colpite sono quelle tra la quarta e la nona. Nonostante le coste più coinvolte da questo tipo di problema siano quelle tra la quarta e la nona, ci sono molti reports di fratture da stress della prima costa; la contrazione del muscolo scaleno anteriore produce forze di taglio sul solco succlavio, che è il sito più comune per queste fratture. La contrazione eccentrica della muscolatura anteriore del collo nella stabilizzazione della testa e del collo stesso durante il lancio provocano eccessive forze sulla prima costa. Queste problematiche si riscontrano soprattutto in attività sportive overhead, come il baseball, il basket, il tennis o il sollevamento pesi. Altri possibili fattori eziologici sono la mancanza di forza, di flessibilità o di resistenza 25 SPORT PHYSIOTHERAPY Fig. 1a nel dentato anteriore: questo si attiva nell’ultima fase del lancio, e la sua massima attività è nella fase di accelerazione, rimanendo però attivo anche durante la fase di decelerazione. Errori nello stile di allenamento, errori nella tecnica, cambiamenti nel carico di allenamento, variazioni nell’equipaggiamento di allenamento, come ad esempio la tipologia del remo, possono contribuire a questi infortuni. Trattamento L’atleta dovrebbe evitare le attività provocative per 4-6 settimane. Un leggero allenamento cardiovascolare può essere svolto, per evitare il decondizionamento. Appena ci sono dei buoni progressi, possono essere reintrodotte attività specifiche nel programma di allenamento, ma a ridotta intensità; questa può essere gradualmente Bibliografia 1. Daffner RH, Pavlov H. Stress fractures: current concepts. AJR Am J Roentgenol 1992; 159:245-252. 2. Jamard B, Constantin A, Cantagrelin A, Mazieres B, Laroche M. Multiple rib fractures caused by coughing in a young woman without bone loss. Rev Hum Engl Ed 1999;66:237-238. 3. Maffulli N, Pintore E. Stress fracture of the sixth rib in a canoeist. Br J Sports Med 1990; 24: 247-249. 4. Taimela S, Kujala UM, Orava S. Two consecutive rib stress fractures in female competitive swimmer. Clin J Sport Med 1995; 5:254-257. 5. Dragoni S, Giombini A, Di Cesare A, Ripani M, Magliani G. Stress fractures of the rib in elite competitive rowers: a report of nine cases. Skeletal Radiol 2007; 36: 951-954. 6. Secher NH. Physiological and biomechanical aspects of rowing. Implications for training. Sports Med 1993; 15: 24-42. 7. Karlson KA. Rib stress fractures in elite rowers. A case series and proposed mechanism. Am J Sports Med 1998; 26: 516-519. 8. Vinther A, Kanstrup IL, Christiansen E, Aagaard P. 26 Fig. 1b Fig. 1a e Fig. 1b – Allenamento del muscolo gran dentato in posizione di decubito laterale con assistenza da parte del Fisioterapista, in due varianti. Il paziente deve “spingere” l’arto superiore secondo la linea di forza guidata dal Fisioterapista, con una protrazione della scapola ed una conseguente attivazione del muscolo gran dentato. Quando il paziente controllerà a dovere questi movimenti in scarico, si passerà ad un allenamento funzionale in carico (ad esempio, in quadrupedia), o con il supporto di bande elastiche. aumentata, fino ad arrivare al completo carico entro l’ottava settimana. Per prevenire future fratture da stress è consigliato rinforzare il dentato anteriore, sebbene non ci siano RCT per valutare l’efficacia di questo trattamento. Importante è anche rinforzare i muscoli del core e rivalutare il gesto tecnico, oltre che allungare la muscolatura posteriore della parete toracica dove necessario. Negli sport di lancio è necessaria un’attenta analisi del gesto tecnico ed un carico di allenamento progressivo. Exercise-induced rib stress fractures: influence of reduce bone mineral density. Scand J Med Sci 2005; 15: 95-99. 9. Warden SJ, Gutschlag FR, Wajswelner H, Crossley KM. Aetiology of rib stress fractures in rowers. Sports Med 2002; 32: 819-836. 10. Wajswelner H, Bennel K, Story I, Mc Keenan J. Muscle action and stress on the ribs in rowing. Phys Ther Sport 2000;1: 75-84. 11. McGregor AH, Bull AMJ, Byng-Maddick R. A comparison of rowing technique at different stroke rates: a description of sequencing, force production and kinematics. Int J Sports Med 2004; 25: 465-470. 12. Connel DA, Jhamb A, James T. Side strain: a tear of internal oblique muscolature. AJR Am J Roentgenol 2003; 181: 1511-1517. 13. Gupta A, Jamshidi M, Robin JR. Traumatic first rib fractures: is angiography necessary? A review of 73 cases. Cardiovasc Surg 1997; 5: 48-53. 14. Gregory PL, Biswas AC, Batt ME. Musculoskeletal problems of the chest wall in athletes. Sports Med 2002; 32(4): 235-250. 15. Lin Hc, Chou CS, Hsu TC. Stress fractures of the Conclusioni Le fratture da stress a livello delle coste sono una patologia relativamente comune in atleti che praticano quegli sport che vanno a sovraccaricare le strutture muscolotendinee che si inseriscono sulla gabbia toracica (rematori, lanciatori di baseball, golfisti). L’eziologia multifattoriale del problema pone alla base del suo management un’attenta valutazione delle possibili cause, al fine di andare a correggerle in maniera selettiva ed evitarne le recidive; il recupero in genere è completo e si ottiene in 6-8 settimane, gestendo il graduale rientro al carico in allenamento e all’attività sportiva. ribs in amateur golf players. Chung Hua I Hsueh Tsa Chih 1994; 54(1):33-37. 16. Brunker P, Khan K. Stress fracture of the neck of the seventh and eighth ribs: a case report. Clin J Sport Med 1996; 6(3): 204-206. 17. Karlson KA. Rib stress fractures in elite rowers: a case series and proposed mechanism. Am J Sports Med 1998; 26(4): 516-519. 18. Holdend DL, Jackson DW. Stress fractures of the ribs in female rowers. Am J Sports Med 1985; 13(5): 342-348. 19. Lord MJ, Ha KI, Song KS. Stress fractures of the ribs in golfers. Am J Sports Med 1996; 24(1): 118122. 20. Noonan TJ, Sakryd G, Espinoza LM, Packer D. Posterior rib stress fracture in professional baseball pitchers. Am J Sports Med 2007; 35(4): 654-658. 21. Miles JW, Barrett GR. Rib fractures in athletes. Sports Med 1991; 12: 66-69. 22. Sisto DJ, Jobe FW. The operative treatment of scapulothoracic bursitis in professional pitchers. Am J Sports Med 1986; 14: 192-194 a cura di Villa Mattia - Pasquetti Mara MEASURES Questa rubrica si propone di presentare alcune scale di misura utilizzate in ambito riabilitativo per garantire una lettura oggettiva e confrontabile e un’omogenea valutazione qualiquantitativa dei fenomeni osservati. In qualsiasi ambito scientifico risulta di primaria importanza misurare con criteri oggettivi i fenomeni studiati. L’utilizzo di scale, test e misurazioni rappresenta uno strumento fondamentale che consente al fisioterapista di: • identificare e caratterizzare segni e sintomi, alterazioni di funzioni e strutture corporee, limitazioni alle attività, restri- neck Pain and Disability scale - nPDs zioni della partecipazione, conseguenti ad un determinato quadro clinico; • stabilire una diagnosi ed una prognosi funzionali, selezionare l’intervento terapeutico più appropriato e documentare cambiamenti dello stato del paziente; • valutare l’esito dell’intervento (outcome) e quindi garantire appropriatezza e adeguatezza dei tempi di trattamento. Neck Pain and Disability Scale - NPDS Indicazione Disabilità nel dolore cervicale subacuto e cronico Categoria ICF B280, d510, d450, d920, d850, d475, d430, d325 Scala Ordinale Risultati 0-100 0-30= ridotta disabilità 30-70= disabilità intermedia 70-100= elevata disabilità Modalità Autocompilazione Tempo 5 minuti Sviluppato sul modello della Million Visual Analogue Scale, la Neck Pain And Disability Scale (NPDS) rappresenta uno strumento di semplice compilazione, diffusamente utilizzato per la descrizione dei problemi legati al dolore cervicale. Questa scala copre in modo esaustivo tutti gli aspetti sia del dolore, sia dell’influenza che esso ha sull’emotività e sulle attività della vita quotidiana. La modalità di compilazione prevede che i pazienti rispondano ad ogni domanda segnando la propria risposta su una scala visuo-analogica di 10 cm. Buona la coerenza interna in tutti gli item e l’elevata affidabilità test-retest. Buona anche la correlazione con il “Short Form 36” (SF-36). 27 MEASURES 28 MEASURES The Neck Disability Index Indicazione Disabilità in dolore cervicale Categoria ICF b280, d510, d540, d430, d475, d920 Scala Ordinale Il Neck Disability Index è uno strumento semplice, auto-compilabile, largamente utilizzato per valutare la componente di disabilità legata a dolore cervicale. Gli Autori hanno dimostrato un’elevata coerenza interna (0.92). È stata validata in molte lingue, tra cui, recentemente, anche l’italiano. Risultati 0-100 punti 0= non dolore Modalità Autocompilazione Il punteggio totale si ottiene sommando il punteggio delle risposte alle singole sezioni, con un totale massimo di 50 punti. Il valore ottenuto viene moltiplicato per due per avere un risultato espresso in percentuale. Tempo 10 minuti Il punteggio totale va interpretato come segue: 10-28% = disabilità leggera, 30-48% = disabilità moderata, 50-68% = disabilità grave, >72% = completa disabilità. 29 MEASURES 1. Dolore 6. Concentrazione In questo momento non ho dolore In questo momento il dolore è molto leggero In questo momento il dolore è moderato In questo momento il dolore è discreto In questo momento il dolore è grave In questo momento il dolore è il peggiore immaginabile 0 1 2 3 4 5 Posso concentrarmi bene quando voglio, senza difficoltà Posso concentrarmi bene quando voglio, ma con qualche difficoltà Ho qualche difficoltà a concentrarmi quando voglio Ho difficoltà a concentrarmi quando voglio Ho molta difficoltà a concentrarmi quando voglio Non riesco a concentrarmi per niente 0 1 2 3 4 5 2. Cura della persona (lavarsi, vestirsi, ecc.) 7. Lavoro Posso prendermi cura di me stesso normalmente, senza dolore Posso prendermi cura di me stesso normalmente, ma ciò mi provoca dolore Il prendermi cura di me stesso mi causa dolore e lo faccio con lentezza e cautela Ho bisogno di aiuto, anche se faccio da solo la maggior parte della cura della mia persona Ho bisogno di aiuto sempre nella maggior parte della cura della mia persona Non riesco a vestirmi, mi lavo con difficoltà e sto a letto 0 1 2 8. Guidare 4 5 0 1 2 0 1 2 3 4 5 5. Mal di testa Non ho mal di testa Ho lievi mal di testa non frequenti Ho mal di testa moderati ma non frequenti Ho mal di testa moderati e frequenti Ho mal di testa gravi e frequenti Ho sempre mal di testa 30 Posso guidare la mia auto senza dolore al collo Posso guidare la mia auto quanto voglio, con un po’ di dolore al collo Posso guidare la mia auto quanto voglio, con dolore moderato al collo Non posso guidare la mia auto quanto voglio, per dolore moderato al collo Non posso guidare la mia auto quanto voglio, per forte dolore al collo Non posso guidare del tutto 0 1 2 3 4 5 9. Dormire 3 4 5 4. Leggere Posso leggere quanto voglio, senza dolore al collo Posso leggere quanto voglio, con lieve dolore al collo Posso leggere quanto voglio, con moderato dolore al collo Non posso leggere quanto voglio a causa di un dolore moderato al collo Posso difficilmente leggere, per dolore importante al collo Non posso leggere per niente 0 1 2 3 4 5 3 3. Sollevare Posso sollevare carichi pesanti senza dolore Posso sollevare carichi pesanti ma ciò mi causa dolore Evito di sollevare carichi pesanti da terra per il dolore, ma posso farlo se essi sono ad altezze favorevoli, come su un tavolo Evito di sollevare carichi pesanti da terra per il dolore, ma posso farlo con cariche medi o leggeri se sono ad altezze favorevoli Posso sollevare solo pesi leggeri Non posso sollevare alcun peso Posso lavorare quanto voglio Posso lavorare come al solito ma non di più Posso fare quasi tutto il mio lavoro, ma non di più Non posso fare il mio solito lavoro Posso difficilmente fare ogni lavoro Non posso lavorare del tutto 0 1 2 3 4 5 Non ho disturbi nel dormire Il mio sonno è leggermente disturbato (meno di 1 ora sveglio) Il mio sonno è discretamente disturbato (1-2 ore sveglio) Il mio sonno è moderatamente disturbato (2-3 ore sveglio) Il mio sonno è fortemente disturbato (3-5 ore sveglio) Il mio sonno è completamente disturbato (5-7 ore sveglio) 0 1 2 3 4 5 10. Tempo libero Posso svolgere tutte le mie attività del tempo libero, senza alcun dolore Posso svolgere tutte le mie attività del tempo libero, con qualche dolore Posso svolgere la maggior parte, ma non tutte, le mie attività del tempo libero, a causa del dolore al collo Posso svolgere poche delle mie attività del tempo libero, a causa del dolore al collo Posso svolgere con molta difficoltà qualsiasi attività del tempo libero, a causa del dolore al collo Non posso svolgere alcuna attività del tempo libero 0 1 2 3 4 5 BIOMEDICAL STATISTICS in una realtà internazionale che supporta una medicina basata sull’evidenza (Evidence based medicine) la figura di un professionista “esperto” necessita delle conoscenze grazie alle quali saper efficacemente filtrare le informazioni che provengono dall’ampia letteratura disponibile e valutarne la loro qualità. lo scopo di questa rubrica è quello di fornire elementi base “pratici” in materia di epidemiologia e biostatistica, nonché di raccogliere un glossario dettagliato e specifico di terminologia legata a tale ambito. Nella scorsa uscita è stata presentata una possibile rappresentazione grafica di una distribuzione di dati (il box plot) con un forte potere di sintesi. In questa uscita invece proponiamo in toto i principali strumenti che permettono la descrizione statistica di un fenomeno nella sua complessità: INDICI di TENDENZA CENTRALE e INDICI di DISPERSIONE. Gli indici di tendenza centrale o di posizione consentono di sintetizzare attorno a un unico valore rappresentativo l’insieme delle misure. Forniscono dunque l’ordine di grandezza del fenomeno in studio. a cura di Trimboli Lorenzo Descrizione statistica della distribuzione: indici di tendenza centrale e di dispersione Gli indici di tendenza centrale sono: Media: media aritmetica, cioè il totale delle osservazioni diviso il numero delle osservazioni. Moda: valore con maggior frequenza nella distribuzione. Mediana: valore tale per cui la metà delle osservazioni (valori) sarà al di sotto e metà sarà al di sopra di esso. Gli indici di dispersione esprimono la tendenza delle singole osservazioni (misure) di una distribuzione ad allontanarsi dalla tendenza centrale, cioè esprimono la variabilità dei dati. In tal modo la “dispersione” mi dice la bontà o la povertà del mio valore di tendenza centrale quale descrittore della distribuzione. Gli indici di dispersione sono: Campo di variazione: differenza tra valore maggiore e minore della distribuzione. Il limite di tale indice è la troppa sensibilità ai valori estremi e l’utilizzo soltanto in modo generico. Differenza (range) interquartile: differenza tra il terzo (Q3) e il primo quartile (Q1) in cui si suddivide la distribuzione. Il limite di tale indice è il non tener in conto cosa accade all’interno della distribuzione e agli estremi. Deviazione standard (scarto quadratico medio): radice quadrata della varianza, indica di quanto mediamente si scostano dalla media i dati osservati. σ = √σ². Varianza: quadrato della deviazione standard σ² = d / (n-1) Devianza: somma degli scarti della media. d= Σ xi 2 – (Σxi)2/n Coefficiente di variazione: rapporto fra media e deviazione standard. E’ un indicatore di variabilità relativa. σ*= σ / Media Riassumendo con uno schema: Media Aritmetica (Mean): Misura di tendenza centrale di una distribuzione o di un insieme di dati, calcolata sommando tutti i valori di un gruppo di misure e dividendo la somma per il numero dei valori nel gruppo. E’ quel valore che avrebbero tutte le osservazioni se non ci fosse la variabilità (casuale o sistematica), cioè quello che sostituito a ciascun degli n ne fa rimanere costante la somma. E' calcolabile solo per variabili quantitative. 31 SPORT PHYSIOTHERAPY La formula della media aritmetica per n elementi è: Esempio: Valori raccolti: 1, 5, 4, 6, 5, 7, 9, 11 = (1+ 5+ 4+ 6 +5+7+9+11 )/8 = 48/8= 6 Deviazione Standard (Standard Deviation): La deviazione standard o scarto quadratico medio è un indice di dispersione delle misure, vale a dire è una stima della variabilità di una popolazione di dati o di una variabile casuale. La deviazione standard è uno dei modi per esprimere la dispersione dei dati intorno ad un indice di posizione, quale può essere, ad esempio, il valore atteso o una stima del suddetto valore atteso. La deviazione standard ha pertanto la stessa unità di misura dei valori osservati (al contrario della varianza che ha come unità di misura il quadrato dell'unità di misura dei valori di riferimento). Nella pratica si calcola: La formula (2) si applica quando N < 20; per valori superiori, il termine sottrattivo a denominatore diventa trascurabile ed i risultati ottenuti sono coincidenti con quelli forniti dalla formula (1). Esempio: Valori raccolti : 19, 21, 24, 21, 17 Calcoliamo la deviazione standard: valore individuale x 19 21 24 21 17 scarto 19-20.4 = -1.4 21-20.4 = 0.6 24-20.4 = 3.6 21-20.4 = 0.6 17-20.4 = -3.4 scarto quadratico 1.96 0.36 12.96 0.36 11.56 La devianza è 27.20. I gradi di libertà sono N-1, cioè 4. Dividiamo la devianza per 4: 27.2 / 4 = 6.8 e ed estraiamo la radice quadrata = √ 6.8 = 2.61 32 = 102/5=20.4 GLOSSARY EBM a cura di Bandirali Monica Stefania il glossario Ebm è uno strumento che aiuta il professionista a non perdersi nell’universo della terminologia dell’Ebm. nel mare di sigle, acronimi e termini tecnici italiani e inglesi più frequentemente utilizzati nella letteratura scientifica, sceglieremo quelli più utili alla nostra professione, in modo da poter meglio studiare e comunicare a livello multidisciplinare.” APPLICABILITÀ: In riferimento alle scale di misura, l’applicabilità implica che lo strumento abbia le seguenti caratteristiche: deve essere di facile somministrazione, deve descrivere se è richiesto un addestramento specifico, se è auto-somministrabile, quanto tempo richiede per somministrarlo, se ha un costo aggiuntivo, se è previsto un punteggio totale e come interpretarlo, se è facile utilizzarne le informazioni, se è accettata dai pazienti, se è fattibile nella gestione. Esempio: la VAS per la misurazione del dolore (Visual Analogue Scale) risponde alle suddette caratteristiche di applicabilità. APPROPRIATEZZA: è una delle caratteristiche che deve avere una scala di misura. Esempio: il “Frenchay Arm Test” (DeSouza 1980) risulta essere appropriato per la valutazione della forza e dell’agilità dell’arto superiore nel paziente emiplegico. L’appropriatezza inoltre è il grado di corrispondenza dello strumento con le specifiche proposte. Lo strumento deve risultare conforme con le circostanze e le richieste di un particolare progetto di ricerca: pro- Bibliografia 1. Rossi R. (2011) Sopravvivere tra numeri e statistica. [Online] Disponibile a: <www.pillole.org/public/aspnuke/downloads/libri/AB Cstatistica3r.pdf> [Ultimo accesso Luglio 2012]. 2. Glossario per i comitati etici. Regione Siciliana Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale e di Alta Specializzazione Garibaldi – San Luigi-S. Currò – Ascoli Tomaselli Catania. [Online] Disponibile a: <www.unimi.it/cataloghi/comitato_etico/CE_Glossario-per-i-Comitati-Etici.pdf> [Ultimo accesso Luglio 2012]. 3. Glossario dei termini epidemiologici. Buzzetti R, Mastroiacovo P. Le prove di efficacia in pediatria. UTET Periodici, 2000 [Online] Disponibile a: <www.sanita.fvg.it/ars/specializza/progetti/allegati/G Termini tecnici per meglio studiare e comunicare a livello multidisciplinare porzionato allo scopo del progetto, adeguato all’intervento da effettuare e alle caratteristiche dei pazienti. Ad esempio un intervento di artroprotesi di spalla è ritenuto appropriato laddove le procedure di intervento ipotizzate e/o fatte in precedenza hanno dato esito di inefficacia per la salute biopsicosociale del paziente. ABBINAMENTO (MATCHING): In uno studio caso controllo, se i controlli sono scelti in base a particolari caratteristiche affini alle persone individuate come "casi", i casi e i controlli sono detti "abbinati". I ricercatori abbinano le persone secondo le variabili che si considerano importanti per quel determinato studio, ad esempio scegliendo persone nello stesso gruppo d'età e sesso. affidabile deve essere riproducibile e, se riprodotta in diverse condizioni, la misura deve rimanere costante allo stesso modo nel tempo, in questo caso si dice che c’è un’alta affidabilità. Una bassa affidabilità può essere dovuta alla variabilità negli strumenti di misurazione o nell'osservatore (ad esempio durante la somministrazione delle domande di un questionario il fisioterapista utilizza modalità imprecise), oppure ad una instabilità del fenomeno stesso che si sta studiando (ad esempio fenomeno della lombalgia cronica). AFFIDABILITÀ (RELIABILITY): è una delle caratteristiche che deve avere una scala di misura. L’affidabilità è necessaria ma non è sufficiente per stabilire la validità di una variabile, poiché in quest’ultima si richiede validità e accuratezza. La misura lossario%20dei%20termini%20epidemiologici.PDF > [Ultimo accesso Luglio 2012]. 4. Glossario dei termini inglesi (e del loro significato) utilizzati nella medicina basata sulle prove di evidenza (EBM). Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia. Corso integrato di Farmacologia, Tossicologia e Medicina basata sulle Evidenze. [Online] Disponibile a: <http://poli.unime.it/CL/MedicinaChirurgia/glossario_EBM.pdf> [Ultimo accesso Luglio 2012]. 5. Cunico L, dispensa a cura di Saiani L, Brugnolli A, Cavada L, Ambrosi E. U.D.3 Evidence Based Practice, in Corso Metodologia della ricerca e teoria dell’assistenza (A.A. 2011/2012). Università degli Studi di Verona - Facoltà di Medicina e Chirurgia, Laurea In infermieristica. Disponibile online a <www.dspmc.univr.it/documenti/Avviso/all/all15561 4.pdf> [Ultimo accesso Luglio 2012]. 6. Bonaiuti D. Appunti lezioni “I disegni degli studi” “Le scale di misura in riabilitazione”, del Master non universitario GSTM 2010. 7. Glossario EBM. Battaggia A. SIMG, [Online] Disponibile a: <http://www.simg.it/default2.asp?active_page_id=1 060> [Ultimo accesso Luglio 2012]. 8. Journal of Epidemiology and Community Health 2004;58:538-545 - (Traduzione a cura della redazione di EpiCentro) <http://www.epicentro.iss.it/default.asp>. 9. GIMBE (Internet). Gruppo italiano per la medicina basata sulle evidenze. [Online] Disponibile a:<http://www.gimbe.org/index.php> [Ultimo accesso Luglio 2012]. 33 ARTICLES FOR FREE il continuo e crescente sviluppo del volume dell’informazione biomedica unitamente alle nuove strategie di imprenditoria editoriale hanno condotto alcune case editrici alla realizzazione di riviste “open access”. molti non sanno che esiste la possibilità di selezionare e consultare gratuitamente articoli già pubblicati nei maggiori siti di ricerca in ambito medico. Questa rubrica ha lo scopo di selezionare per voi alcune pubblicazioni “free” sulla terapia manuale ed agevolarvi nella consultazione. i temi trattati saranno eterogenei e vi daranno la possibilità di arricchire le vostre conoscenze con i dati della ricerca più recente. Short-term effects of thrust versus nonthrust mobilization/manipulation directed at the thoracic spine in patients with neck pain: a randomized clinical trial. Cleland JA, Glynn P, Whitman JM, Eberhart SL, MacDonald C, Childs JD. Phys Ther. 2007 Apr; 87 (4): 431-40. Epub 2007 Mar 6. PMID: 17341509 [PubMed - indexed for MEDLINE] L’obiettivo di questo studio è quello di paragonare l'efficacia di un trattamento che utilizza delle mobilizzazioni/manipolazione rispetto a un trattamento impostato senza mobilizzazioni/manipolazioni in 60 pazienti tra i 18 e i 60 anni, con un dolore primario di tipo meccanico al collo, suddivisi in 2 gruppi a seguito di un'attenta valutazione iniziale. I risultati ottenuti hanno dimostrato che i soggetti che hanno ricevuto il trattamento che includeva mobilizzazioni e manipolazioni manifestavano una significativa e più rapida riduzione della disabilità, del dolore e punteggi più alti alla GROC (Global Rating of Change) Scale somministrata ai follow-up. 34 Cerebrovascular complications of neck manipulation Paciaroni M, Bogousslavsky J. Eur Neurol. 2009;61(2):112-8. doi: 10.1159/000180314. Epub 2008 Dec 9. Review. PMID: 19065058 [PubMed - indexed for MEDLINE] Vista l'elevata associazione tra manipolazione ed eventi neurologici più complessi (es.stroke) dovuti a dissezioni delle arterie cervicali con questo studio si è voluto identificati e sintetizzati i dati relativi a eventi a cura di Barcellesi Ilaria - Bartoluccio Laura Pubblicazioni “free” sulla terapia manuale cerebrovascolari associati a mobilizzazione cervicale. Sebbene tutto ciò succeda senza che siano stati ancora identificati fattori di rischio correlati risulta importante informare sempre i pazienti dei possibili rischi correlati alla manipolazione e considerare sempre a rischio tutti i pazienti, in particolare quelli di età maggiore di 45 anni o che presentano vertigini, disturbi dell'equilibrio o amnesie. Manual therapy for neck pain: an overview of randomized clinical trials and systematic reviews. Vernon H, Humphreys BK. Eura Medicophys. 2007 Mar;43(1):91-118. PMID: 17369783 [PubMed - indexed for MEDLINE] La terapia manuale applicata al dolore cervicale ha una lunga storia e un incremento di interesse negli ultimi tempi. La base delle conoscenze delle terapie manuali per dolore cervicale è costituita da un gran numero di studi clinici, di revisioni sistematiche e di una serie di linee guida. Questa revisione contiene: informazioni che definiscono e caratterizzano le terapie manuali così come dati sull'epidemiologia del dolore cervicale, recenti revisioni sistematiche sulle terapie manuali applicate al dolore cervicale acuto e cronico, senza colpo di frusta e brevi e originali reviews della prima letteratura sul trattamento delle lesioni da colpo di frusta trattato con terapie manuali seguita dalle più attuali linee guida relative alla terapia manuale per il dolore cervicale. Lo scopo è quello di presentare una panoramica generale del tema con un approccio distintivo sottolineando l'analisi delle variazioni degli indici negli studi clinici. A randomised controlled trial of preventive spinal manipulation with and without a home exercise program for patients with chronic neck pain. Martel J, Dugas C, Dubois JD, Descarreaux M. BMC Musculoskelet Disord. 2011 Feb 8;12:41. doi: 10.1186/1471-2474-12-41. PMID: 21303529 [PubMed - indexed for MEDLINE] Ci sono evidenze scientifiche che ci dicono che un buon programma di esercizi, in combinazione o meno, con la terapia manuale a livello spinale, può portare benefici a pazienti che possiedono dolore cervicale non specifico. Questo studio ha due obiettivi: valutare l’efficacia di un trattamento che si basa sulla terapia manuale rispetto ad un gruppo di non trattamento e valutare l’efficacia della terapia manuale in combinazione ad un programma di esercizi da eseguire a domicilio rispetto ad un gruppo a cui viene applicata solo terapia manuale. Novantotto pazienti con dolore cronico cervicale sono stati coinvolti nello studio che non ha risposto ai quesiti proposti in quanto, i partecipanti del gruppo di trattamento combinato non hanno mostrato risultati significativi per quello che riguarda riduzione del dolore e della disabilita e il miglioramento della funzionalità, evidenziando così la necessità di ulteriori studi a riguardo. COGNITIVE REHABILITATION in questa rubrica approfondiremo l'efficacia dell’approccio terapeutico cognitivo-comportamentale applicato al contesto fisioterapico. il fisioterapista deve affinare le sue competenze “umane”, deve essere un attento osservatore, capace di decodificare e interpretare le strategie di comunicazione, comportamentali e relazionali. Prima Parte Cosa intendiamo quando parliamo di dolore, cos'è il dolore, come lo distinguiamo? Sono domande che raramente ci poniamo quando abbiamo di fronte un paziente con problematiche di questo tipo. Spesso cerchiamo di minimizzare il problema e di non affrontarlo nella sua globalità, nella sua complessità fisica e psicologica; inoltre ci rendiamo conto che abbiamo poca esperienza. Che preparazione abbiamo noi fisioterapisti rispetto al dolore? Cosa abbiamo imparato e come ci comportiamo con il paziente “malato di dolore”? Come agiamo, come organizziamo la nostra terapia? Quando parliamo di dolore è importante differenziare tra dolore acuto e dolore cronico, ed è proprio analizzando quest'ultimo che possiamo capire meglio il suo ruolo nella struttura della personalità dell'individuo “malato”. Cerchiamo di studiare i problemi posti dal dolore cronico, il suo significato, l'insorgenza, il suo mantenimento, eventuali terapie, le modalità espressive del paziente, la comunicazione. Il dolore è un memento mori (locuzione in lingua latina che letteralmente significa “Ricordati che devi morire”), che riporta l'uomo all'essenziale, alla lotta contro la sofferenza. Il dolore cronico è un problema cruciale della medicina moderna; è l'obiettivo del medico trovare una soluzione al dolore, curare le cause; attenzione, dico “cause”, cioè attribuire un significato prima di ridurlo al silenzio. Bibliografia 1. Balint M., (1988) Medico, paziente e malattia. Feltrinelli, Milano. 2. Clark Mins, B, 1989, “Sociological and cultural a cura di Curci Simone il dolore cronico in fisioterapia: approccio cognitivo Esistono diversi approcci al dolore: medico, psicologico, antropologico e sociologico. Nel concetto socio-antropologico il dolore non è un fatto solo fisiologico ma anche un fatto legato all'esistere, quindi l’individuo è visto nella sua globalità. Il dolore informa non solo sulla condizione fisica e morale dell'individuo ma anche sullo stato delle relazioni con gli altri, soprattutto con gli altri, interiorizzati nella parte più profonda di “sé”. Comprendere il senso del proprio dolore è un altro modo di comprendere il senso della propria vita, tutte le società umane integrano il dolore nella visione del mondo, forniscono i mezzi simbolici e pratici per combatterlo, grazie alle particolari medicine che ogni società elabora. L’individuo non ha una relazione costante col proprio dolore, le circostanze lo modulano, se il soggetto è impegnato in altre attività si distrae dal dolore o se ne dimentica, in particolare se la sua attenzione è catturata da un compito imprevisto o da preoccupazioni. Si accentua invece, se non fa altro che pensarci, se si lascia dissolvere nella sua forza lancinante, il significato dato all’avvenimento doloroso influenza il suo stato d’animo. Il dolore all’inizio è un fastidio, l’individuo si aspetta di esserne liberato al più presto ed è per ciò che ricorre all’aiuto di un professionista. L’inefficacia del trattamento ne provoca la sua cronicità. Il malato intraprende la “carriera” di malato se le terapie falliscono continuamente; in questa situazione si crea uno stato di ansia nel paziente che lo proietta aspects of pain” in G.D: Tollison. 3. David Le Breton , “Antropologia del dolore “ Meltemi 2007. 4. Ruth a. Wallace, Alison Wolf, 1999, Teoria sociologia su un cammino tortuoso del tutto imprevisto. Il paziente è alla ricerca di un significato del suo dolore, non accetta sempre che il suo dolore sia catalogato come dolore solo psicologico, perché per lui psicologico significa “ immaginario” e ciò suona come un sospetto sulla sua sincerità. La “relazione terapeutica” appare come “un’illusione condivisa”, perciò il rapporto tra paziente e medico si nutre dell’ostinazione reciproca a rimanere nell’illusione che la medicina può tutto, ci si attiene solamente al registro dell’organicità, cosa che rende ogni altra iniziativa superflua o fuori luogo. Il paziente si perde nei meandri della medicina, guaritori di ogni genere, in cerca di una cura immediata alla ricerca del terapeuta/medico “miracoloso”. L’esperienza dolorosa del paziente spesso intacca anche le sue relazioni familiari, frena le sue attività e lo limita nei suoi progetti. Il paziente non è più lo stesso, è irritabile, può capitare addirittura che si convinca di essere incompreso dalle persone che gli sono accanto, e a questo quadro doloroso si aggiunge la depressione. Il dolore è comunicazione, i pazienti ci chiedono aiuto, vogliono attenzione, il rapporto con il dolore ha caratteristiche più individualiste. Oggigiorno ci si trova in una società trasformata, in cui manca una cultura del dolore e la resistenza al male non è più un criterio di affermazione di sé, di autostima. Allora perché non valorizziamo le nostre conoscenze, le nostre armi interiori e innate, come l’ascolto, la relazione d’aiuto. Pensiamoci cari colleghi! contemporanea, la sociologia del corpo” Il Mulino. 5. Boadella, D., Liss, J. (1986). La psicoterapia del corpo. Astrolabio, Roma 35 QUESTO NUMERO È STATO REALIZZATO IN COLLABORAZIONE CON: QUESTO NUMERO È STATO REALIZZATO DA: Il GSTM è un’associazione, fondata nel 2003 il cui scopo è quello di riunire gli operatori che promuovono lo studio, l’accrescimento e la divulgazione delle conoscenze scientifiche nell’ambito della Terapia Manuale e Riabilitazione Neuromuscoloscheletrica. GSTM è PROVIDER accreditato ECM iscritto all’Albo Nazionale dei Provider. GSTM si dedica all’aggiornamento professionale dei fisioterapisti mediante l’organizzazione di corsi e convegni con docenti di fama nazionale e internazionale. Il GSTM in collaborazione con l’Università Bicocca di Milano, dirige la SCUOLA DI FORMAZIONE SPECIALISTICA IN FISIOTERAPIA ORTOKINETICA. Il Ma.It. Group - Manual Therapy è un’associazione, costituita nel 2005 da fisioterapisti manuali che hanno intrapreso la formazione secondo il Concetto Maitland®. Offre “assistenza post-corso” per i fisioterapisti che desiderino intraprendere tale esperienza formativa e si pone come strumento divulgativo presso la collettività riguardo all’utilità ed all’efficacia della Terapia Manuale e della Fisioterapia per il trattamento dei disordini neuromuscoloscheletrici. L’Associazione è l’unica Ufficialmente riconosciuta dall’IMTA (International Maitland® Teachers Association), l’organismo ufficiale che elabora, controlla e promuove gli standard formativi del Concetto Maitland® in tutto il mondo. L’Associazione Italiana Docenti Kinesio Taping® - Formazione è un’associazione noprofit dedita esclusivamente alla formazione didattica, alla ricerca scientifica e alla divulgazione del Kinesio Taping® Method. È l’unica Associazione ufficialmente riconosciuta dalla Kinesio Taping® Association International (KTAI) ed è la sola a essere autorizzata, in collaborazione con il partner commerciale Ability Group, a organizzare corsi per l’attività formativa. Integra le novità relative al Kinesio Taping® Method con i concetti della terapia manuale, in ambito pediatrico, sportivo, linfatico e neurologico e sviluppa e sostiene ogni percorso di ricerca legato al proprio metodo. www.gstmonline.it www.maitgroup.it www.kinesiotapingitalia-formazione.it Il gruppo OMT Italia risponde all’esigenza avvertita da molti fisioterapisti italiani, formati in terapia manuale secondo il concetto OMT Kaltenborn-Evjenth, di ritrovarsi in un’associazione che possa rappresentare il normale proseguimento della formazione post-corsi. Diversi infatti sono gli obiettivi che si pone: dalla formazione di gruppi di studio, all’organizzazazione di giornate di approfondimento clinico; dalla creazione del sito web (con la pubblicazione dei recapiti dei soci); dall’assistenza post-corso per i colleghi che si avvicinino al mondo della Terapia Manuale (OMT - Othopaedic Manipulative Therapy) all’organizzazione di congressi anche di rilevanza internazionale. Il GSTM, OMT Italia e MA.IT Group sono associazioni aderenti al Programma Nazionale I.O.M.M.P.T. “Italian Orthopaedic Manual & Manipulative Physical Therapist” rivolto ai Fisioterapisti italiani per il riconoscimento del professionista Specializzato in Terapia Manuale e Fisioterapia Muscoloscheletrica mediante il conseguimento della Certificazione di Fisioterapista OrtokineticoTM. www.omtitalia.it 36 www.ortokinetico.it AGLI ISCRITTI DELLA NEWSLETTER LE SEGUENTI AZIENDE RISERVANO IL 5% DI SCONTO SUI LORO PRODOTTI. PER AVERE DIRITTO ALLO SCONTO È NECESSARIO DOCUMENTARE L’AVVENUTA ISCRIZIONE GRATUITA ALLA NEWSLETTER ATTRAVERSO IL SITO WWW.GSTMONLINE.IT Sixtus Italia si occupa della distribuzione diretta alle Società Sportive, ai negozi ed a istituti medici e fisioterapici, di prodotti destinati alla salute ed al benessere fisico. Forte del know-how sviluppato in Italia in oltre 30 anni di attività, ha iniziato la vendita nei mercati esteri dei prodotti a proprio marchio, con un successo crescente a testimonianza della qualità dei prodotti. Mission di Sixtus è quella garantire salute e massimo benessere fisico ai propri clienti tramite la prevenzione e la riabilitazione. www.sixtus.it Edi.Ermes è una casa editrice di Milano, nata quarant'anni fa, specializzata in pubblicazioni medico-scientifiche a vari livelli, dai testi per studenti universitari a quelli per professionisti. Inoltre Edi.Ermes pubblica anche due periodici bimestrali, ll Fisioterapista testata diretta a tutti gli operatori della riabilitazione e Sport&Medicina, rivista specializzata nel campo della medicina dello sport. www.ediermes.it Migliorare igiene, comfort e sicurezza alla persona in bagno e negli ambienti di lavoro è il nostro obiettivo dal 1980. Lo facciamo realizzando prodotti di design, innovativi per funzionalità, pensati per evitare inutili sprechi e con un ottimo rapporto costi/benefici. A tutto questo affianchiamo servizi personalizzati capaci di assistere nel tempo le aziende in ogni loro esigenza. UN BAGNO CON CARTEMANI È UN BAGNO DI IDEE E DI BENESSERE. www.cartemani.it 37 i CoRsi in PRogRAmmA 24 maggio ‘14 Open Day CORSO DATA / LUOGO ECM Open day Scuola specialistica in fiosioterapia ortokinetica 24 maggio Milano DOCENTI: M. VINCENZI, M. ZOCCHI ORGANIZZATO DA: GSTM EDI Academy village 2014 Rimini Wellwness (Quinta edizione) 30 maggio 2 giugno Rimini Fiera CREDITI Evento gratuito Posti limitati http://www.gstmonline.it/corsi/ A NE Academy EDI VILLA 14 GE 20 gio - 2 gi 30 mag 14 ugno 20 4/6 ORGANIZZATO DA: EDI ACADEMY http://www.ediermes.it/ Theraputic application of PILATES for the lumbar spine and pelvis 31 maggio 1/2 giugno Mogliano Veneto (TV) 19 DOCENTI: S. ROSEMBERG ORGANIZZATO DA: MANUALMENTE E GSTM Il rachide lombare 19/22 giugno Milano DOCENTI: M. VINCENZI, R. GARRI ORGANIZZATO DA: GSTM KT4 sport ortopedico 28/29 giugno Milano DOCENTI: S. FRASSINE ORGANIZZATO DA: GSTM Terapia manuale nelle cefalee: un approccio basato sull’evidenza 12/13 luglio Parma DOCENTI: F. DE LA PEGNAS ORGANIZZATO DA: GSTM E ASPGROUP http://www.gstmonline.it/corsi/ 34 http://www.gstmonline.it/corsi/ 18 http://www.gstmonline.it/corsi/ http://www.gstmonline.it/corsi/ 38 14 Richiesti per fisioterapisti