le coperture assicurative corpi della nautica da diporto nel mercato

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le coperture assicurative corpi della nautica da diporto nel mercato
CLAUDIO PERRELLA – LUCA FLORENZANO
LE COPERTURE ASSICURATIVE
CORPI DELLA NAUTICA DA DIPORTO
NEL MERCATO ITALIANO ED INGLESE
NELLA PRASSI E NELLA GIURISPRUDENZA
Estratto della Rivista
Fasc. II – 2008
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Le coperture assicurative corpi della nautica da diporto nel mercato italiano ed inglese
LE COPERTURE ASSICURATIVE CORPI DELLA NAUTICA DA DIPORTO
NEL MERCATO ITALIANO ED INGLESE NELLA PRASSI E
NELLA GIURISPRUDENZA
CLAUDIO PERRELLA* – LUCA FLORENZANO**
SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Raffronto tra le tipologie di copertura del mercato italiano e del
mercato inglese. – 3. Ambito spaziale e temporale di copertura delle polizze. – 4. Uso esclusivo a fini diportistici. – L’individuazione del rischi coperti: coperture “all risks” e coperture
fondate su “named perils”. – 6. Clausole di esclusione della copertura e rischi esclusi. – 7. Valore dell’imbarcazione ed importo assicurato. – 8. Conseguenze di ritardi ed omissioni da parte dell’assicurato. – 9. Individuazione del soggetto assicurato e “clausola di vincolo”. – 10.
Azione di rivalsa.
1.
Introduzione
La nautica e la cantieristica da diporto costituiscono senza dubbio uno dei settori di punta dell’economia italiana, che ha visto una crescita di oltre il 20% negli ultimi 5 anni. Il nostro paese annovera alcuni tra i cantieri costruttori più rinomati del
mondo, e nelle imbarcazioni da diporto il made in Italy continua ad essere fortemente ambito dal mercato internazionale, e si caratterizza come uno dei settori più
attivi dell’intero comparto marittimo italiano.
Si stima che l’impatto economico complessivo della cantieristica da diporto sia
di circa 2,4 miliardi di euro annui, e che il settore occupi non meno di 24.000 addetti, oltre all’indotto rappresentato dai servizi offerti al turismo nautico.
Il numero di coloro che acquistano unità da diporto è in costante aumento, e
sebbene l’Italia sia ancora lontana, come numero di praticanti, da altri paesi europei
di forte e consolidata tradizione, i proprietari di imbarcazioni da diporto nel nostro
paese hanno raggiunto un numero ragguardevole (alcune stime indicano un parco
complessivo di circa un milione di imbarcazioni, di cui 500.000 registrate) con una
crescita costante nell’ultimo decennio.
Il “diporto nautico” ovvero “la navigazione in acque interne e marittime a scopi ricreativi e senza scopo di lucro” è oggi disciplinato dal Decreto legislativo n. 171
del 18 luglio 2005, “Codice della nautica da diporto”, nel quale all’art. 3 sono indicate e suddivise le diverse unità secondo il seguente schema:
* Avvocato in Bologna.
** Funzionario Gruppo Fondiaria - SAI.
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a) unità da diporto: si intende ogni costruzione di qualunque tipo e con qualunque mezzo di propulsione destinata alla navigazione da diporto;
b) nave da diporto: si intende ogni unità con scafo di lunghezza superiore a ventiquattro metri, misurata secondo le norme armonizzate EN/ISO/DIS 8666 per la
misurazione dei natanti e delle imbarcazioni da diporto;
c) imbarcazione da diporto: si intende ogni unità con scafo di lunghezza superiore a dieci metri e fino a ventiquattro metri, misurata secondo le norme armonizzate di cui alla lettera b);
d) natante da diporto: si intende ogni unità da diporto a remi, o con scafo di
lunghezza pari o inferiore a dieci metri, misurata secondo le norme armonizzate di
cui alla lettera b) (i natanti sono esclusi dall’obbligo di iscrizione nei registri ma possono iscriversi in modo volontario).
Il naviglio da diporto italiano iscritto ai registri nel 2006 era di circa 94.000
unità (con larga prevalenza delle unità a motore, con l’83% del totale). Le navi da
diporto sono la categoria che ha avuto il più significativo incremento insieme alle imbarcazioni a vela, mentre è in leggera flessione il segmento delle imbarcazioni a motore.
Ricade nell’ambito del “diporto nautico” anche l’impiego commerciale delle
unità da diporto, ed in particolare il noleggio e la locazione, cui il legislatore ha voluto prestare particolare attenzione nel Codice della nautica da diporto e nella regolamentazione dei titoli di professionali per il personale imbarcato sulle imbarcazioni e navi da diporto impiegate in attività di noleggio, sulle navi destinate esclusivamente al noleggio per finalità turistiche.
Non va dimenticato l’obbligo della patente nautica per condurre imbarcazioni
e natanti da diporto oltre le 6 miglia ovvero per qualsiasi mezzo propulso da un motore, installato a bordo, con una potenza superiore a 40,8 cavalli o 30 Kw o comunque con una cilindrata superiore a 750 cc (se motore a 2 tempi) o 1.000 cc (se motore a 4 tempi) fuoribordo o 1.300 cc (se 4 tempi entrobordo) o 2.000 cc (se diesel)1.
Il vantaggioso accesso al credito offerto dalle società di leasing italiane specializzate nella nautica da diporto, offerto grazie ad una normativa fiscale di sgravi sull’IVA proporzionati all’uso nazionale e/o internazionale dell’unità, ha avuto poi un
effetto positivo sulla domanda anche da parte di privati che un tempo non avevano
interesse ad accedere a questo genere di finanziamento; le società di leasing dal canto loro hanno richiesto (doverosamente) di tutelare il bene acquistato attraverso
un’adeguata copertura assicurativa contro i danni.
In questo contesto la copertura assicurativa “corpi” delle imbarcazioni da diporto rappresenta pertanto un mercato di sicuro interesse per gli assicuratori, e so-
1
Le patenti nautiche per il diporto sono suddivise in due categorie quella per le imbarcazioni ed i natanti suddivise per distanza ovvero entro le 12 miglia o senza limite/ restrizioni e per
tipologia di unità ovvero motore o motore e vela e quelle per la navi da diporto.
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no numerose le compagnie che hanno elaborato propri testi e formulari di polizza.
La necessità di una specializzazione è peraltro particolarmente avvertita alla luce del
fatto che il valore delle imbarcazioni è aumentato in modo esponenziale negli anni,
al punto che accade ormai frequentemente che imbarcazioni da diporto (è il caso in
particolare dei cd. superyachts) abbiano valori largamente superiori rispetto a quello delle navi commerciali.
Il mercato assicurativo nel settore del diporto nautico è dunque ricco, in rapida crescita ed evoluzione, e caratterizzato da una notevole varietà di offerte e strumenti contrattuali.
Il dato iniziale dal quale è necessario partire per un inquadramento di natura sistematica delle coperture in esame è costituito dalla considerazione che le coperture corpi delle imbarcazioni da diporto rientrano nel novero delle assicurazioni marittime, in quanto esse hanno ad oggetto la copertura dei rischi della navigazione,
sebbene esse siano di regola estese anche alla copertura di rischi diversi e non strettamente connessi alla navigazione, soprattutto per le fasi (che possono essere estese
nel tempo) di ricovero delle imbarcazioni a terra.
Da tale premessa consegue l’applicabilità alle coperture in esame delle disposizioni del codice della navigazione in materia di assicurazioni marittime.
L’esame dei principali formulari diffusi sul mercato italiano permette del resto
di cogliere in modo agevole l’esistenza di costanti richiami alla disciplina del codice
della navigazione.
Basti pensare ad esempio alla deroga contenuta nei formulari tradizionalmente
adottati nel settore alla disciplina dell’art. 515 cod. nav. relativo alla cosiddetta “polizza stimata”, o ancora alla disciplina per la sostituzione di parti o oggetti danneggiati, che esclude dall’indennizzo dovuto all’assicurato la differenza tra il valore nuovo e quello delle parti o oggetti rimpiazzati (il cd. vecchio per il nuovo), ricalcando
in modo puntuale la disciplina delineata all’art. 535 del codice della navigazione.
Ancora, un elemento che attesta lo stretto collegamento esistente tra l’assicurazione delle imbarcazioni da diporto e la disciplina contenuta nel codice della navigazione è il riferimento presente nei formulari alla colpa nautica del conducente e
del comandante dell’unità da diporto, contenuto nelle clausole di esclusione di copertura unitamente al riferimento alla condotta dolosa o gravemente colposa dell’assicurato.
Naturalmente l’intero complesso delle disposizioni rinvenibili nei formulari addottati dal mercato italiano va combinato con la disciplina del codice civile, ed infatti le condizioni generali di polizza ed i formulari adottati dalle compagnie italiane
di regola fanno tutti riferimento alle disposizioni contenute nel codice civile in materia di assicurazione.
2.
Raffronto tra le tipologie di copertura del mercato italiano e del mercato inglese
Le coperture tradizionalmente adottate nel mercato assicurativo italiano possono distinguersi in due gruppi:
a) le coperture che richiamano in modo più o meno integrale il formulario del-
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le Institute Yacht Clauses (1.11.85), predisposte dall’Institute of London Underwriters,
b) le polizze elaborate con specifico riferimento al mercato interno, che costituiscono per molti aspetti una rielaborazione delle Institute Yacht Clauses, ma presentano tuttavia alcuni elementi peculiari e distintivi. I modelli di riferimento sono i
due formulari ANADI del 1992 e la successiva edizione del 1995, ed il formulario
ANIA ed. 19972, che costituiscono i testi base su cui sono state poi ricalcate e modellate le polizze predisposte ed adottate dalle singole compagnie.
Il formulario delle Institute Yacht Clauses è di estrema diffusione, e sono numerosi i formulari che fanno riferimento alla copertura assicurativa delineata nelle
IYC: si veda ad esempio la previsione contenuta nella clausola 16 “Insurance and
Charterers’ Liability” del formulario di charter agreement della Mediterranean Yacht
Brokers Association, ed ancora la previsione contenuta alla clausola 15 “Insurance”
contenuta nel formulario Time-Charter Agreement for pleasure vessel Isyba-Ytime ed.
2005 redatto dalla Isyba Italian Ship & Yacht Brokers Association che recita “the
Owner shall insure and keep the vessel insured for her agreed fixed full value throughout the charter period with first class insurers against all customary risk for a
vessel of her size and type on cover no less than is provided under Institute Yacht
Clauses 1.11.85 or other recognized terms extended to provide permission to charter and to cover third party liability”.
L’analisi della giurisprudenza inglese permette poi di cogliere agevolmente l’assoluta frequenza del ricorso alle condizioni delle IYC (nelle edizioni succedutesi negli anni): accade infatti di regola che nell’ambito di contratti di noleggio o locazione
di imbarcazioni ad uso diportistico le parti contemplino gli obblighi di copertura assicurativa posti a carico di una di esse adottando quale parametro la disciplina delle
IYC, con previsioni del tipo “insurance conditions to be as declared but not wider
than the Institute Yacht Clauses”3.
I modelli di copertura sopra richiamati presentano numerosi punti di contatto,
ma anche significative differenze, e l’adozione dei formulari elaborati dal mercato
assicurativo inglese può determinare alcuni delicati problemi di inquadramento ed
interpretazione con riguardo all’individuazione della legge applicabile ed alle conseguenze nascenti da tale applicazione.
Le IYC contengono infatti un esplicito richiamo alla legge inglese, stabilendo
che il rapporto contrattuale “is subject to English Law and Practice”.
Gli effetti nascenti da un simile richiamo ad una legge straniera contenuto nei
formulari di assicurazione, ed i dubbi interpretativi nascenti dall’applicazione combinata di testi assoggettati a diverse leggi regolatrici, si sono palesati in effetti da tem-
2
Adottato a seguito dell’autoscioglimento dell’ANADI, avvenuto il 31 dicembre 1996.
Per una fattispecie che ha visto il ricorso ad una simile pattuizione si veda Inversiones Manria S.A. v. Sphere Drake Insurance Co. Plc. (“The Dora”) [1989] 1 Lloyd’s Rep. 69.
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po nella prassi assicurativa, alla luce dell’utilizzazione sempre più frequente (sia nell’ambito dell’assicurazione corpi che in quello dell’assicurazione merci) di clausolari stranieri, e l’evoluzione delle polizze merci e corpi adottate dal mercato italiano
nell’ultimo ventennio manifesta in modo tangibile la consapevolezza degli operatori della delicatezza delle problematiche nascenti da una simile applicazione congiunta.
La polizza merci nella sua edizione del 1933 non conteneva invero alcuna disposizione che contemplasse tale eventualità, limitandosi a richiamare la disciplina
del codice civile e delle leggi complementari, e parimenti privi di richiami sul punto
erano i formulari corpi. Il testo della Polizza Merci 1983 ha introdotto una prima novità, chiarendo che l’assicurazione era prestata in base alle condizioni generali del
formulario integrate “agli effetti della delimitazione e della durata della copertura e
fermo restando l’applicazione della legge italiana”, dalle clausole richiamate nel
frontespizio: la polizza dunque, pur essendo priva di una previsione specifica con riguardo all’individuazione della legge regolatrice del contratto, affermava a chiare
lettere l’applicazione della legge italiana, richiamando (ma solo con riguardo alla delimitazione e la durata della copertura) i formulari stranieri.
Tale soluzione non risolveva il problema della individuazione della legge applicabile ai clausolari stranieri, e tale omissione era foriera di dubbi interpretativi particolarmente forti alla luce del fatto che i testi delle Institute Cargo Clauses a seguito della riforma del 1982 contenevano un esplicito richiamo alla “English Law and
Practice”.
Il problema è stato parzialmente risolto con il formulario di polizza corpi Camogli del 1988, il cui articolo 1 così recita: “l’assicurazione è prestata alle condizioni delle allegate clausole dell’Institute of London Underwriters, indicato l’articolo 1
delle condizioni particolari, nelle quali le espressioni “for use only with the new marine policy form” e “this insurance is subject to English Law and Practice” riportata sul frontespizio s’intendono cancellate”.
Il successivo articolo 2 recita poi: “Il presente contratto è regolato dalla legge
italiana. Le clausole inglesi allegate alla presente polizza dovranno tuttavia essere interpretate ed applicate così come sono interpretate ed applicate in Inghilterra”.
Si è dunque fatto ricorso non solo ai criteri interpretativi, bensì anche ai criteri
applicativi utilizzati dalla giurisprudenza inglese.
La Polizza Merci del 1998 ha rappresentato un’ulteriore evoluzione, in quanto
il formulario chiarisce al suo articolo 1 (con impostazione ripresa nel successivo formulario del 2006) che in caso di adozione di formulari stranieri questi prevalgono
sulle condizioni generali, fermo restando quanto disposto dall’art. 13, dove si prevede che il contratto è regolato dalla legge italiana, ma qualora la garanzia venga prestata in base a formulari stranieri, la legge applicabile a questi ultimi sarà quella in
vigore nel paese straniero al quale detti formulari si riferiscono, al tempo della stipulazione del contratto.
Può darsi dunque il caso che la polizza di assicurazione incorpori le IYC in aggiunta a condizioni generali di assicurazione che richiamano invece la legge italiana:
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qualora ciò accada, fermo il principio che il solo fatto che venga impiegato un formulario inglese non implica necessariamente che le parti abbiano inteso derogare alla legge italiana4 (ed evidenziato che è probabilmente impossibile interpretare ed applicare correttamente alcune pattuizioni delle IYC se non alla luce dei principi elaborati in common law), va rilevato che l’applicazione ed interpretazione combinata
dei formulari può dare adito a qualche incertezza.
Basti pensare al diverso peso che possono avere eventuali reticenze o omissioni da parte dell’assicurato nell’indicazione degli elementi di fatto esistenti al momento della stipulazione del contratto di assicurazione, che per la legge italiana danno adito alle azioni di cui agli articoli 1892 e 1893 cod. civ., e che per il diritto inglese sono sanzionate in modo particolarmente severo, e determinano la insanabile nullità del contratto di assicurazione. Ancora, può rivelarsi non facile interpretare alla
luce dei canoni ermeneutici elaborati nella giurisprudenza e nella prassi del nostro
paese previsioni contenute nei formulari inglesi che assurgono al rango di “promissory warranties”, la violazione delle quali determina la decadenza dell’assicurato da
ogni diritto al conseguimento dell’indennizzo.
Un esempio emblematico del rigore con cui vengono interpretate simili pattuizioni dalla giurisprudenza inglese nell’ambito delle polizze in esame è offerto dal recente caso “The Milasan”5 nel quale il Giudice Aikens ha analizzato in modo estremamente meticoloso gli effetti di una pattuizione che recitava “Warranted professional skippers and crew in charge at all times”.
L’assicurata aveva riconosciuto che la pattuizione costituisse una “promissory
warranty”, e che dunque essa avesse garantito il ricorso di una precisa circostanza di
fatto sia al momento della stipulazione del contratto sia in seguito, nel corso di tutta la durata dello stesso, ma aveva negato che potesse attribuirsi un’interpretazione
particolarmente vincolante all’uso del plurale “skippers”, poiché era di fatto impossibile che vi fossero due skippers professionisti costantemente a bordo, ed era parimenti impossibile il costante impiego di entrambi gli skippers e dell’equipaggio.
La Commercial Court ha accettato il rilievo dell’assicurata che il riferimento al
plurale “skippers” era stato verosimilmente adottato poiché le parti avevano ammesso la possibilità che lo skipper mutasse durante il periodo di copertura, ma ha
sottolineato che la formulazione della clausola fosse nel senso di richiedere la pre-
4
Giurisprudenza e dottrina italiane sono, come noto, concordi nell’escludere che il semplice richiamo ad un formulario straniero attesti di per sé la volontà dei contraenti di derogare alla
legge italiana. In dottrina si vedano RIGHETTI, Trattato di diritto marittimo, III, Milano 1994 pag.
1165 e seguenti; FERRARINI, Le assicurazioni marittime, pag. 27 e seg.; CARBONE, Legge regolatrice
del contratto di assicurazione e rinvio ai formulari inglesi, in questa Rivista, 1984 pag. 700. In giurisprudenza Lodo arbitrale 11 marzo 1982, Soc. comp. Generale navigaz. c. Assicuraz. Generali, in
questa Rivista, 1982, 276 con nota di BOGLIONE.
5
Brownsville Holdings Ltd. v. Adamjee Insurance Co Ltd. (“The Milasan”) [2000] 2 Lloyds
Rep. 458 e seg.
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senza di almeno uno skipper professionista e di un equipaggio che si prendessero cura dell’imbarcazione costantemente, e non in modo saltuario (the whole time, as opposed to intermittently or at intervals) e che inoltre il rispetto della warranty prevista
in polizza imponeva la presenza congiunta del personale di bordo (“all these requirements of the warranty are cumulative, and must all be complied with”).
Sulla scorta di tale premessa la Court ha concluso che non fosse stato garantito
il rispetto della warranty pattuita, e che all’assicurata fosse pertanto preclusa ogni richiesta di indennizzo.
La complessità delle questioni interpretative che possono scaturire dall’applicazione combinata dei diversi formulari è stata poi di recente ben rappresentata in
un caso deciso dal Tribunale di Milano6, nel quale sono stati valutati gli effetti, sotto il profilo dell’estensione della copertura, della coesistenza nella polizza delle Condizioni Generali di copertura adottate dal mercato italiano e del richiamo alle IYC,
ed in in particolare alla cd. Due Diligence Proviso di cui alla clausola 9.2 della Institute Yacth Clauses.
La Corte (in una fattispecie relativa a rottura dell’albero causata da un improprio metodo di fissaggio) ha ritenuto che il riferimento contenuto nelle CG di polizza al “dolo o la colpa grave dell’assicurato e delle persone delle quali egli deve rispondere a norma di legge” (oltre – chiaramente – a non potersi riferire ad eventuali
negligenze del costruttore o del produttore) fosse di fatto superato dal richiamo alla clausola 9 delle YIC, che estende la copertura alle ipotesi di vizi occulti dello scafo
o dei motori, alla rottura di albero ed all’incendio di caldaie, a condizione che non
siano determinate da “want of due diligence by the Assured, Owners or Managers”.
Il ragionamento seguito dal Tribunale non è in verità troppo convincente, in
quanto la clausola sopra richiamata esclude la copertura in caso di difetto di due diligence, espressione che implica un grado di negligenza che in realtà sembra inferiore rispetto al dolo o la colpa grave cui fanno riferimento le Condizioni Generali delle polizze italiane.
3.
Ambito spaziale e temporale di copertura delle polizze
Alcune significative differenze sono ravvisabili con riguardo all’ambito spaziale e temporale di copertura dei due gruppi di formulari.
Le IYC, al loro art. 2, prevedono che la copertura opera sia per il periodo di armamento (while in commission) che per il periodo di disarmo (while laid up out of
commission): tali periodi vengono di regola indicati in polizza, e previamente concordati con gli assicuratori.
Qualora l’imbarcazione venga posta in navigazione durante il periodo di disarmo senza preavviso agli assicuratori la garanzia non è in alcun modo operante. Qua-
6
Trib. Milano 26 maggio 2005, Blue Star S.r.l. c. Lloyd’s Rappresentanza per l’Italia del
Lloyd’s di Londra, in questa Rivista, 2007, 212, con nota di FABRO.
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lora invece l’assicurato comunichi tempestivamente che l’imbarcazione è destinata a
navigare al di fuori del periodo indicato in polizza scatta una copertura assicurativa
peculiare, espressa con la formulazione di cui all’art. 4 delle IYC che prevede che la
imbarcazione sia “held covered on terms to be agreed provided previous notice be
given to the underwriters”.
Per effetto di tale pattuizione dunque l’assicuratore accetta in via preventiva
che la copertura permane pur in presenza di mutate condizioni, e vi è di fatto un obbligo di negoziare in buona fede posto a carico dell’assicuratore; tuttavia, l’assicurato non ha diritto di conseguire la copertura di rischi che l’assicuratore non avrebbe
assunto, qualora le mutate circostanze gli fossero state preventivamente rappresentate.
Diverso è il meccanismo previsto nella polizza ANADI ed. 95 e nelle polizze
adottate dalle compagnie italiane, poiché in queste si prevede che qualora l’assicurazione venga stipulata nella forma di garanzia A (ossia la copertura più ampia, che
viene nella prassi definita come all risks) e l’unità da diporto navighi in un periodo
diverso da quello convenuto per la navigazione l’assicurazione resta operante nei più
ristretti limiti della garanzia B.
In alcuni formulari è poi rinvenibile uno schema leggermente diverso. Si veda
ad esempio il formulario dei Lloyds Yacht Cover 1/4/2000, dove alla clausola 4 si
prevede: “Durante il periodo previsto in contratto per la giacenza l’imbarcazione
dovrà restare in disarmo secondo i precedenti termini. In caso di riarmo e navigazione al di fuori dei termini previsti nel contratto l’imbarcazione sarà considerata
ugualmente assicurata, ma solo per la perdita totale”. Per l’ipotesi dunque che l’imbarcazione prenda il mare anche durante il periodo di disarmo viene prevista una
copertura limitata alla sola perdita totale, e non anche ai danni parziali (cui si estende invece la garanzia B della polizza ANADI 95 e delle polizze adottate dal mercato
italiano).
4.
Uso esclusivo a fini diportistici
Una condizione di copertura di regola prevista nella polizze del settore è costituita dalla circostanza che l’imbarcazione “sia usata esclusivamente per la navigazione da diporto dalla quale esuli il fine di lucro”, con la conseguenza che qualora
l’imbarcazione sia destinata ad essere impiegata in virtù di contratto di noleggio o
locazione occorre pattuire in modo espresso un’estensione della copertura.
Una previsione analoga è contenuta nelle Institute Yacht Clauses, nelle quali la
clausola 3.2 recita “warranted to be used only for private pleasure purposes and not
for hire charter or reward, unless specially agreed by the underwriters”.
7
Cass. 23 luglio 1997, n. 6876, Navale Adriatica c. Serenissima, in questa Rivista, 1999, 340,
con nota di DUCA.
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L’esclusione in esame ha dato vita ad alcuni contenziosi, e la posizione adottata sul punto dalla giurisprudenza italiana sembra essere ispirata ad un certo rigore.
La fattispecie è stata in particolare esaminata in tempi recenti dalla Cassazione7
in un caso in cui per effetto della previsione contenuta nelle condizioni generali di
polizza la copertura non era operante per le ipotesi di impiego dell’imbarcazione per
“gare, regate (anche se non ufficiali) relative prove, a fine di lucro, locazione o noleggio e comunque per ogni caso ne sia fatto un uso diverso da quello di diporto”.
La Suprema Corte (confermando la sentenza di secondo grado) ha escluso la
sussistenza di copertura, facendo leva sulla destinazione “istituzionale” a fini di lucro dell’imbarcazione (poiché essa era armata da società che intendeva utilizzarla
usualmente a fini lucrativi), e su di un elemento di natura sostanzialmente indiziaria,
poiché l’affondamento si era verificato nel corso di una traversata con a bordo il comandante ed un altro membro dell’equipaggio per il trasferimento da Corfù al Pireo, dove l’imbarcazione avrebbe dovuto essere messa a disposizione dell’armatore.
Ispirata allo stesso rigore (per una fattispecie relativa alla perdita totale di un
peschereccio, ma con una pattuizione dal tenore analogo a quelle in esame) è stata
la Corte d’ Appello Palermo8 che ha chiarito che “costituisce violazione della clausola del contratto di assicurazione di una nave da pesca, che prevede l’uso esclusivo
della nave per la pesca, il trasporto di passeggeri e macchinari, con conseguente decadenza dal diritto alla indennità assicurativa”.
Le esclusioni di copertura assicurativa per i casi di utilizzo dell’imbarcazione in
regate o per usi diversi dal puro diporto evidentemente si spiegano alla luce della
maggiore probabilità di danneggiamento tra le imbarcazioni in regata, o della maggiore rischiosità dell’impiego nell’ambito di un noleggio, poiché in tal caso l’equipaggio è di regola costituito da soggetti privi di esperienza, in cui il rischio di danni
o perdite (frequente è in particolare l’eventualità di incendi) diventa sensibilmente
maggiore.
I principali problemi nascenti dall’applicazione di tale esclusione (evidentemente per l’eventualità che le parti non abbiano espressamente pattuito una deroga)
ricorrono nel caso in cui l’imbarcazione venga utilizzata in modo “promiscuo”, ossia sia per la navigazione per diporto, sia per la navigazione a fini di lucro.
Va rilevato al riguardo che l’uso diportistico sembra in effetti configurabile anche nell’ipotesi della presenza a bordo di un equipaggio alle dipendenze dell’armatore, poiché essa è preordinata al godimento dell’imbarcazione da parte del proprietario-armatore, realizzando un diporto che è stato definito “mediato”9, e che
non sembra di per sé tale da determinare l’esclusione di copertura.
8
App. Palermo 23 luglio 1998, Generali c. Oceanpesca, in questa Rivista, 1999, 1193, con
nota di NOBILE.
9
Così DUCA, Navigazione da diporto ed impiego commerciale di una imbarcazione: brevi riflessioni su una clausola di inoperatività della copertura assicurativa per uso diverso dal diporto, nota
a Cass., Sez. III, 23 luglio 1997, n. 6876, Navale Adriatica c. Serenissima, cit.
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5. L’individuazione del rischi coperti: coperture “all risks” e coperture fondate su “named perils”
Una delle aree in cui la differenza di impostazione e di concezione tra le polizze che ricalcano le IYC e quelle adottate dal mercato italiano è particolarmente forte è senza dubbio quella dell’estensione della copertura e del meccanismo adottato
per la individuazione dei rischi assicurati. Sotto questo profilo, i testi di polizza impiegati nel mercato italiano presentano infatti una copertura più estesa, ed implicano oneri probatori a carico dell’assicurato di minor peso e complessità.
La copertura offerta dai testi predisposti dal mercato assicurativo italiano fa riferimento in effetti alla generalità dei rischi, prevedendo (nella garanzia massima,
contrassegnata dalla lettera A nella polizza ANADI) che “la garanzia copre in seguito a qualsiasi avvenimento la perdita totale e l’abbandono”; pari estensione è prevista (per le ipotesi di perdita parziale) ai danni allo scafo ed altre parti dell’unità da
diporto che non consistano in danni all’apparato motore ed all’impianto elettrico, i
danni alle vele ed alle parti pneumatiche dei mezzi pneumatici.
La garanzia B parimenti copre la perdita totale e l’abbandono a seguito di qualsiasi avvenimento, ma limita la copertura ai danni parziali solo se conseguenti a incendio, esplosione, scoppio, fulmine, furto, rapina e pirateria. Più limitata è infine la
copertura offerta con la garanzia C che prevede l’esclusione per i casi di perdita totale ed abbandono qualora derivanti da furto, rapina o pirateria10.
Le coperture inglesi, seguendo l’impostazione classica delle coperture assicurative corpi elaborate dal mercato inglese, che costituiscono uno degli elementi distintivi delle Institute Time Clauses Hulls (ITCH), fanno invece riferimento ai “perils of the sea rivers lakes or other navigable waters”, ed adottano il principio dei cosiddetti “named perils”, in base al quale sono assicurati non già tutti i rischi della navigazione, bensì solo quelli esplicitamente ed espressamente menzionati ed elencati
nella polizza, nascenti in modo diretto e “fisiologico” dalla navigazione marittima,
con esclusione di “ordinary wear and tear”, ossia dell’usura naturalmente derivante
dall’impiego della imbarcazione.
Tale complesso di rischi non include dunque quelli che vengono tradizionalmente inclusi nel novero dei perils on the sea, che pur verificandosi nel corso della
navigazione non sono strettamente e direttamente correlati alla navigazione stessa.
La copertura sulla base di named perils corrisponde come detto allo schema
delle ITCH impiegate per l’assicurazione delle navi ad uso commerciale, sebbene
10
Le tipologie di copertura individuate nella polizza ANADI erano caratterizzate dalle lettere A, B e C, e tale ripartizione è tuttora presente in numerosi dei formulari del settore. In alcuni
casi le diverse estensioni di copertura vengono contraddistinte con diverse definizioni (ad esempio
nella polizza Generali Valore Yacht vengono indicate come Maestrale Libeccio e Grecale, mentre
nel clausolario Aurora Assicurazioni i tre livelli di copertura sono definiti Platinum, Gold e Silver)
ma sempre seguendo tuttavia lo schema della polizza ANADI e della polizza ANIA 97.
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nelle YIC sia rinvenibile una (non trascurabile) differenza in relazione ai rischi di
esplosione e furto, per i quali l’estensione viene subordinata alla condizione che non
sia configurabile un difetto di due diligence da parte dell’assicurato, del proprietario
o del manager dell’imbarcazione.
Tale impostazione è evidentemente giustificata dalla circostanza che per le imbarcazioni da diporto i rischi di esplosione e furto sono senza dubbio maggiori rispetto alle navi commerciali, e molto spesso favoriti o determinati da condotte scarsamente diligenti da parte di coloro che hanno la disponibilità della imbarcazione.
La differenza di impostazione tra i testi adottati dal mercato italiano e quelli invece di impiegati nel mercato assicurativo internazionale e ricalcati sulle IYC emerge
con particolare evidenza in relazione agli oneri probatori posti a carico delle parti.
Come noto, grava tradizionalmente sull’assicurato l’onere di provare il ricorso
di un rischio coperto, e dunque l’operatività della garanzia.
Ebbene, se si ipotizza l’affondamento di una imbarcazione in condizioni meteomarine ottimali o comunque non tali da spiegare a prima vista un evento di tale portata, secondo il sistema dell’universalità dei rischi adottato dal mercato italiano ricorre un sinistro coperto, poiché configurabile come naufragio, ed in ogni caso riconducibile al complesso di eventi sottesi dalla definizione “accidente della navigazione” (a meno che l’assicuratore non provi che la causa dell’affondamento è riconducibile ad un evento per il quale è esclusa la copertura). Nel sistema inglese invece
il naufragio non costituisce di per sé un rischio coperto, con la conseguenza che grava sull’assicurato la prova che la causa dell’affondamento è riconducibile ad uno dei
pericoli nominati.
La tipologia della copertura assicurativa offerta con le Institute Yacht Clauses è
stato oggetto di valutazione particolarmente dettagliata e puntuale nel recente caso
“The Milasan”11 che ha avuto ad oggetto l’affondamento dello yacht Milasan a 25
miglia a largo di Capo Spartivento, nel corso di un viaggio dal Pireo a Porto Cervo
in Sardegna dove avrebbe dovuto accogliere a bordo l’armatore e la sua famiglia per
una crociera.
La Corte ha rigettato la richiesta di indennizzo, in base al rilievo che l’assicurata non avesse soddisfatto gli oneri probatori posti a suo carico, non avendo in particolare fornito prova adeguata che l’affondamento fosse conseguenza di un pericolo
coperto, ed ha corroborato la propria decisione avendo rilevato, a seguito di un’attività istruttoria estremamente lunga (e presumibilmente molto dispendiosa) l’esistenza di indizi gravi e concordanti nel senso che l’imbarcazione fosse stata affondata in modo fraudolento per poter reclamare l’indennizzo assicurativo.
La Corte ha analizzato i rischi coperti dalle Institute Yacht Clauses, delineati alla clausola 9, ed ha analizzato la tesi avanzata dall’assicurata, che aveva sostenuto che
la formulazione delle IYC, realizzando una copertura in relazione a “an uninterrup-
11
Brownsville Holdings Ltd. v. Adamjee Insurance Co Ltd. (“The Milasan”) [2000] 2 Lloyds
Rep., 458 e seg.
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IL DIRITTO MARITTIMO
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ted continuum of potential causes (not providing cover for mere ordinary wear and
tear”) fosse di fatto assimilabile ad una copertura all risks, con la conseguenza che
l’assicurato non dovesse fornire la prova del singolo rischio verificatosi nella fattispecie, ma che gli oneri probatori si limitassero a provare “that the loss was fortuitous and on a balance of probabilities the loss fell somewhere within the continuum of
the cover”.
La Corte ha rigettato la tesi, partendo dal rilievo che la polizza non desse luogo ad una copertura all risks, e che alla luce della clausola 9 delle IYC “there is no
specific wording in this policy terms that enable an assured to evade the task of identifying which particular insured peril caused the loss suffered”12 ed ha concluso che nel
caso sottopostole incombesse sull’assicurato l’onere di provare che la perdita fosse
in una relazione di causa proxima con uno o più dei rischi indicati nella polizza.
La Corte (confermando l’orientamento già espresso nel noto precedente “The
Popi M”13) ha poi respinto l’ulteriore argomento sollevato dall’assicurata, fondato
sulla presunta ricorrenza di una presunzione suscettibile di prova contraria (a rebuttable presumption) del ricorso di una perdita by perils of the sea allorquando una
nave in condizioni di navigabilità venga persa in circostanze non spiegate e non spiegabili con le avverse condizioni meteomarine, escludendo di poter ravvisare nel caso di specie una simile presunzione in mancanza di elementi tali da ritenere assolto
l’onere probatorio iniziale posto a carico dell’assicurata.
Il meccanismo della copertura basata su named perils, e gli oneri probatori da
questi nascenti, sono stati oggetto di attenzione specifica da parte dei giudici italiani in
un contenzioso molto noto, relativo all’affondamento della nave “Capo Falcone”.
Con la sentenza di primo grado il Tribunale di Genova14 ha illustrato il meccanismo di copertura racchiuso nelle Institute Time Clauses Hulls (ITCH), evidenziando che esse si fondano sul sistema dei rischi tipici e nominati, che comporta – in
deroga al sistema configurato dall’art. 521 cod. nav. (caratterizzato dalla universalità
del rischio “accidente della navigazione”) e diversamente dalle coperture all risks –
che sia l’assicurato a dover fornire la prova della ricomprensione del sinistro nell’ambito dei rischi coperti. In particolare, ad avviso della Corte, chi invochi un peril
of the sea a fondamento della richiesta di indennizzo per una perdita o un danno deve dimostrare il nesso di causalità (come applicato nel mercato inglese e secondo le
regole proprie del diritto inglese) fra il sinistro e tale rischio, con la conseguenza che
i danni e le perdite derivanti da causa ignota o non provata (unascertained cause) restano a carico dell’assicurato.
12
Il punto è stato analizzato (in relazione ad una polizza merci) nel caso Shell Petroleum Co
Ltd. vs. Gibbs (“The Salem”) [1981] 2 Lloyds Rep, 316, nel quale il giudice Mustill ha chiarito che
“if the assured wishes to have a seamless cover insuring against all forms of fortuitous losses in transit, he can obtain it by insuring on the terms of the Institut Cargo Clauses (all risks)”.
13
House of Lords 23 aprile 1985, Popi M, in questa Rivista, 1986,169, con nota di BOGLIONE.
14
Trib. Genova 28 ottobre 1989, Sarda Armatoriale Punta Falcone c. Levante Assicurazioni,
in questa Rivista, 1990, 395.
DOTTRINA
377
Le coperture assicurative corpi della nautica da diporto nel mercato italiano ed inglese
Nello stesso senso sono state la successiva decisione d’appello, e la sentenza della Cassazione che ha concluso il lungo contenzioso15, che hanno ribadito che nel caso in esame (in cui la copertura assicurativa era stata offerta con il richiamo alle ITCH, ma limitatamente alle condizioni “franco avaria particolare salvo i casi di incendio, incaglio, urto e sommersione”) il semplice fatto che si fosse verificata la sommersione della nave non costituiva un rischio coperto, poiché la previsione di polizza, limitando la copertura alle avarie particolari derivanti dai cd. “grandi rischi”, aveva preso in considerazione i casi di incendio, incaglio urto e sommersione non come
rischi coperti, ma come semplici conseguenze di una situazione pregiudizievole della nave, suscettibili di dar vita al diritto al risarcimento solo in quanto siano conseguenti a rischi coperti.
6.
Clausole di esclusione della copertura e rischi esclusi
Chiarita la sostanziale differenza di impostazione esistente (con riguardo alla
estensione di copertura assicurativa) tra le polizze adottate dal mercato italiano e le
IYC, è opportuno dedicare un esame ravvicinato ad alcune delle pattuizioni che limitano e circoscrivono la copertura ed individuano i “rischi esclusi”.
6.1. Difetto di copertura per dolo o colpa grave
Le polizze italiane prevedono (di regola alla clausola 11 delle CG) che sono
esclusi dall’assicurazione i danni derivanti da “colpa grave del contraente, dell’assicurato o di qualunque persona alla quale è affidata l’unità di diporto a qualsiasi titolo”.
La clausola prosegue stabilendo che “tuttavia se uno degli stessi è anche conducente o comandante dell’unità di diporto, la società risponde limitatamente alla
colpa nautica del medesimo (art. 524 cod. nav.)”.
La fattispecie del dolo o della colpa grave viene contemplata anche nelle IYC,
sebbene con una impostazione diversa: in particolare, nella clausola 9, che individua
i perils coperti, dopo una prima elencazione (che contempla i perils of the seas), vengono incluse alcune tipologie di rischi – tra le quali esplosioni e furti – purchè non
derivanti da “want of due diligence of the Assured, Owners or Managers”.
La disposizione prosegue inoltre includendo nella copertura l’eventualità di
“malicious acts”.
La pattuizione contenuta nei formulari italiani costituisce un’applicazione (ma
con alcune deroghe) dei principi di cui all’art. 1900 cod. civ. (che come noto stabilisce che “l’assicuratore non è obbligato per i sinistri cagionati da dolo o colpa grave
del contraente, dell’assicurato o del beneficiario, salvo patto contrario per i casi di
colpa grave”) e dell’art. 524 cod. nav., che prevede che nelle assicurazioni marittime
15
Cass., Sez. I, 10 maggio 1995, n. 5123, Sarda Armatoriale Punta Falcone c. Levante Assicurazioni, in Giust. civ., 1995, I, 2033, con nota di GRIGOLI.
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IL DIRITTO MARITTIMO
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l’assicuratore risponde se il sinistro dipende in tutto o in parte da colpa del comandante o degli altri componenti dell’equipaggio, purché vi sia rimasto estraneo l’assicurato. La norma precisa inoltre che se l’assicurato è anche comandante della nave
l’assicuratore risponde limitatamente alle colpa nautica del medesimo.
Sebbene la clausola sia di regola inserita solo nelle condizioni generali di polizza, e non venga sottoposta a specifico richiamo ed approvazione ex art. 1341 cod.
civ., la validità e l’efficacia di una simile pattuizione sembrano quantomeno dubbie
qualora essa non sia accompagnata da espressa sottoscrizione ed approvazione da
parte dell’assicurato, in quanto laddove la previsione esclude la copertura per l’ipotesi di colpa grave del conducente o del comandante essa sembra contemplare una
deroga sia alla disciplina di cui all’art. 1900 cod. civ. (che prevede la sussistenza dell’obbligo dell’assicuratore per il sinistro cagionato da dolo o colpa grave delle persone del fatto delle quali l’assicurato deve rispondere) sia della disciplina dell’art. 524
cod. nav. (che fa cenno esclusivamente alla colpa del comandante, con disposizione
che tra l’altro viene tradizionalmente interpretata nel senso di escludere dalla copertura solo i sinistri cagionati da dolo del Comandante o dell’equipaggio).
La disposizione dunque implica una limitazione della responsabilità dell’assicuratore delineata ex lege, e sembra pertanto richiedere (a pena di nullità ed inefficacia) la specifica approvazione dell’assicurato per iscritto a norma dell’art. 1341
cod. civ.
Il punto è affermato da tempo dalla giurisprudenza della Suprema Corte16 che
(soprattutto in fattispecie relative a polizze di assicurazione contro i danni da furto e
rapina) ha ribadito che la clausola che escluda la garanzia per i fatti derivati da dolo
o colpa grave dei dipendenti dell’assicurato comporta una limitazione della responsabilità dell’assicuratore, in quanto deroga alla previsione dell’art. 1900, secondo
comma, cod. civ. e pertanto, ove predisposta dall’assicuratore medesimo, richiede a
pena di nullità la specifica approvazione per iscritto a norma dell’art. 1341 cod. civ.
Quanto all’onere della prova in merito al ricorso di un’ipotesi di colpa grave da
parte del conducente o del comandante che determini l’esclusione della copertura,
esso grava sull’assicuratore, ed è di non semplice assolvimento, soprattutto tenendo
conto del fatto che per la condotta del comandante il patto di polizza prevede la responsabilità dell’assicuratore per la colpa nautica (definizione con la quale vengono
tradizionalmente definite le responsabilità del comandante commesse nell’espletamento delle funzioni proprie al comando della nave), restando dunque fuori dall’ambito di applicazione della previsione l’ipotesi della cd. colpa commerciale, che
include casi di negligenza del comandante che ineriscono all’impiego della imbarcazione sotto il profilo commerciale.
16
Cass. 8 giugno 1988, n. 3890, Conte c. L’Abeille, in Mass. Foro it., 1988; Cass. 18 ottobre
1990, n. 10170, Sovar c. Ausonia Assicurazioni, in Giust. civ., 1991, I, 932 e in Giur. it., 1991, I, 1,
936. Per una pronuncia nel senso della vessatorietà della pattuizione che escluda l’indennizzabilità
del sinistro anche per il caso di colpa lieve dell’assicurato si veda invece Cass. 11 maggio 1990, n.
4041 Tirrena Assicurazioni c. Natali.
DOTTRINA
379
Le coperture assicurative corpi della nautica da diporto nel mercato italiano ed inglese
Se (talora peraltro con rilevanti incertezze) è possibile distinguere con una certa approssimazione le ipotesi di colpa nautica e di colpa commerciale, nel senso che
la prima si distingue dalla seconda in dipendenza del fatto che l’azione dannosa ricada sull’amministrazione della nave o sulla custodia e conservazione del carico17 più
problematica sembra la distinzione nell’ambito dell’impiego di una imbarcazione da
diporto impiegata senza scopo di lucro.
Va aggiunto che tradizionalmente la “colpa grave” è connotata da elementi di
forte negligenza, trascuratezza e faciloneria18; allo stesso tempo la giurisprudenza19
ha ritenuto che nella colpa lieve dell’assicurato rientri l’inosservanza della diligenza
del buon padre di famiglia, implicitamente affermando che la colpa grave è configurabile in ipotesi di particolare gravità, che esulano da obblighi “standard” di diligenza.
Una fattispecie peculiare di applicazione della pattuizione in esame è stata analizzata in tempi recenti dalla Corte di Appello di Cagliari20, in un caso in cui l’imbarcazione assicurata è stata sottratta in modo fraudolento da persone che avevano
concluso un contratto di noleggio, fornendo generalità, atti e documenti di identità
e di abilitazione al comando all’imbarcazione che erano risultati falsi.
La richiesta di indennizzo è stata respinta dagli assicuratori, che hanno dedotto sia il comportamento gravemente negligente dell’assicurato-noleggiante (che aveva omesso di annotare sul registro le generalità e gli estremi della patente nautica del
noleggiatore) sia l’esistenza di una fattispecie integrante l’esclusione di cui all’art. 11
delle condizioni generali di polizza, ricorrendo un’ipotesi di dolo delle persone alle
quali era stata affidata l’imbarcazione.
La Corte d’Appello (integralmente riformando la decisione di primo grado) ha
respinto la domanda di risarcimento, sul presupposto che la previsione dell’esclusione legata al dolo “di qualunque persona a cui è affidata l’unità da diporto” fosse
estensibile ad ogni ipotesi di dolo del noleggiatore indipendentemente dalla validità
o meno del titolo giuridico dell’affidamento.
L’assicurata aveva eccepito infatti che l’esclusione della garanzia presupponesse l’esistenza di un titolo giuridico valido, ossia di un contratto di noleggio, mentre
la consegna del bene sarebbe stata assimilabile nel caso di specie ad una consegna
subita per effetto di violenza o minaccia. La Corte ha ritenuto tuttavia di non poter
17
App. Genova 17 novembre 1990, Milano c. Soc. Italco, in Nuova giur. civ., 1992, I, 126, con
nota di GHISIGLIERI; in questa Rivista, 1991, 1027, con nota di FRONDONI, ed in Riv. dir. int. priv. e
proc., 1992, 92.
18
Ad esempio la Cass. 8 aprile 1981, n. 2005, Papini c. L’Abeille, cit. ha ravvisato un’ipotesi
di colpa grave nella condotta del contraente consistente nel guidare la macchina su cui viaggiava
l’assicurato a velocità eccessiva, senza osservare la distanza di sicurezza, e senza essere munito di
patente di guida in quanto minorenne.
19
Così Cass. 11 maggio 1990, n. 4041, Tirrena c. Natali, cit.
20
App. Cagliari 25 settembre 2002, Nuova Tirrena S.p.a. c. Green Sea Yachting S.r.l., in questa Rivista, 2004, 1014.
380
IL DIRITTO MARITTIMO
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condividere tale equiparazione, poiché in tale ultimo caso l’eventuale perdita o danneggiamento sarebbe stata collegata ad un reato perpetrato da un terzo, e non potrebbe pertanto in alcun modo ravvisarsi la fattispecie dell’affidamento a qualsiasi titolo.
La Corte ha pertanto fatto leva sul tenore letterale della clausola, trovando conferma nelle proprie valutazioni dalla circostanza che la clausola esclude la garanzia
anche per i danni dipendenti dal comportamento doloso del familiare del contraente o dell’assicurato (con i quali di regola non interviene un affidamento dell’imbarcazione in base ad un titolo specifico) ed operando una distinzione tra l’evento “furto” commesso dal terzo che si appropria dell’imbarcazione, e l’eventualità del furto
posto in essere dal soggetto che, con intenzioni fraudolente, stipula un contratto di
noleggio, e per tale motivo cessa di avere la qualità di terzo.
Sotto questo profilo la decisione si rivela innegabilmente severa, e forse fondata
su di una forzatura, poiché in presenza in polizza di una pattuizione che estendeva la
copertura al furto sembra in effetti irragionevole distinguere il furto commesso da un
terzo a seconda che esso avesse o meno un rapporto contrattuale con l’assicurato.
Quanto alla estensione della copertura offerta dalle IYC, è interessante notare
che nel caso “The Milasan” sopra analizzato la Corte ha rigettato il reclamo rilevando (tra l’altro) che gli elementi acquisiti deponevano nel senso che vi fosse stato
l’affondamento doloso commesso dal Comandante e da uno dei membri dell’equipaggio con la complicità del proprietario-assicurato, aggiungendo peraltro (e suggerendo che l’esito del procedimento avrebbe potuto essere diverso) che i reclamanti
non avevano chiesto di conseguire l’indennizzo sul presupposto che ricorresse un
caso di baratteria, che sarebbe stato un insured peril ai sensi della clausola 9.2.1.3
delle IYC21.
6.2. Mancata adozione di misure antifurto
Con riguardo alle misure preventive del furto, esse sono contemplate nei formulari italiani all’art. 11 che sancisce l’esclusione di copertura in relazione alla “insufficienza delle misure e/o dei sistemi di ormeggio, di ancoraggio e di protezione
dell’unità da diporto stessa e/o del battello di servizio durante la loro giacenza, sia
temporanea, sia stagionale in acqua o a terra”.
La disposizione aggiunge poi (alla lettera l) che “la garanzia non vale quando in
caso di furto gli oggetti assicurati non stabilmente fissati all’unità da diporto non siano protetti da adeguato congegno antifurto, ovvero non siano riposti in locali chiusi ed il furto sia stato commesso senza effrazione o scasso dei mezzi di chiusura o del
congegno antifurto”.
Mentre la prima esclusione pertanto è di carattere sostanzialmente generico, e
21
Brownsville Holdings Ltd. v. Adamjee Insurance Co Ltd. (“The Milasan”) [2000] 2 Lloyds
Rep., 458 e seg.
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Le coperture assicurative corpi della nautica da diporto nel mercato italiano ed inglese
si limita a menzionare la insufficienza delle misure e/o dei sistemi di ormeggio ancoraggio e protezione, la seconda è in qualche misura più circostanziata.
Per tali esclusioni i dubbi di validità ed efficacia legati al rispetto della previsione di cui all’articolo 1341 cod. civ. sembrano avere meno spazio.
In tal caso, infatti, a meno che la pattuizione non venga formulata in modo tale da porre a carico dell’assicurato oneri probatori particolarmente complessi o disagevoli, determinando di fatto un’inversione dell’onere probatorio circa l’assenza
di cause di esclusione della garanzia22, o comunque una deroga all’impegno preso
dall’assicuratore con il contratto23, costituisce principio ormai consolidato che le
pattuizioni che non riducono o limitano l’ambito di copertura predeterminato ex lege, ma si limitano semplicemente a porre le condizioni per l’operatività della copertura e l’assunzione del rischio da parte dell’assicuratore, non possono essere in alcun
modo qualificate come clausole vessatorie.
La Suprema Corte ha in particolare da tempo chiarito che le clausole di un contratto di assicurazione contro il furto subordinanti la garanzia assicurativa all’adozione di speciali dispositivi di sicurezza o all’osservanza di oneri diversi non realizzano una limitazione della responsabilità dell’assicuratore, ma individuano e delimitano l’oggetto del contratto ed il rischio dell’assicuratore stesso, e che l’adozione di
tali misure si configura come elemento costitutivo del diritto all’indennizzo, con la
conseguenza che è pertanto onere dell’assicurato fornire la relativa prova24.
Qualora tale prova non venga offerta deriva la perdita del diritto al conseguimento dell’indennizzo, ed in relazione al profilo in esame la posizione della giurisprudenza italiana è attestata su posizioni di particolare severità, avendo a più riprese chiarito che l’adozione di particolari misure va considerata come condizione
essenziale di efficacia del contratto, con la conseguenza che il giudice non può sindacare la loro concreta idoneità a evitare l’evento dannoso, e la loro inosservanza
22
Cfr. App. Roma 8 giugno 2000, Abbatini c. Milano Assicurazioni, in Diritto ed economia
delle assicuraz., 2001, 866, in una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto nulla la clausola di una polizza contro i furti in un negozio che poneva a carico dell’assicurato l’onere di provare di non avere lasciato aperti i mezzi di chiusura del locale.
23
Così Cass., Sez. I, 21 ottobre 1994, n. 8643, Intercontinentale Assicuraz. c. Coramelli, in
Arch. circolaz., 1995, 529 che ha ravvisato la vessatorietà nel patto di polizza che esclude la sussistenza della copertura sulla base della mancanza di iniziativa dell’assicurato di impossibile o particolarmente difficile attuazione (nella specie, con riferimento a polizza contro i furti di veicolo, e per
l’ipotesi di sosta nel corso del tragitto stradale, l’assicurato era tenuto sia ad impiegare misure di sicurezza che a svolgere attività di vigilanza).
24
Cass., Sez. III, 27 luglio 2001, n. 10290, Rusca c. Sai assicuraz., in Dir. ed economia assicuraz., 2001, 1137; Cass. 30 dicembre 1991, n. 14011, D’Errico c. Assicuraz. Generali, in Dir. ed economia assicuraz., 1992, 680; Cass. 14 luglio 1989, n. 3318, Firs It. Assicuraz. c. Pumpo, in Foro it.
Mass.; Cass. 8 gennaio 1987, n. 17, Lloyd internaz. assicuraz. c. Maj, in Foro it. Mass.; Cass. 17 dicembre 1981, n. 6680 Frigerio c. Comp. Genova assicuraz., in Arch. civ., 1982, 625.; Cass. 19 giugno
1980 n. 3905, Fabbris c. Riunione Adriatica Sicurtà, in Giust. civ., 1981, I, 855.
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IL DIRITTO MARITTIMO
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non fa sorgere l’obbligo dell’assicuratore di corrispondere l’indennizzo anche qualora l’evento si verifichi indipendentemente da tale inosservanza25.
Tale difetto di copertura assicurativa, ad avviso della Suprema Corte, ricorre
non già per la violazione dell’obbligo di salvataggio di cui all’art. 1914 cod. civ., bensì perché non si è realizzato l’oggetto stesso del contratto di assicurazione26.
6.3. Esclusione per le ipotesi di alluvione ed inondazione
Le Condizioni Generali delle polizze italiane escludono di regola i rischi di l’alluvione e/o inondazione (oltre a quelli, fortunatamente meno frequenti, di terremoti ed eruzioni vulcaniche).
Si tratta di un’esclusione che può dare origine a contenziosi in relazione a sinistri causati da inondazioni che determinano la rottura degli ormeggi, ed il conseguente naufragio dell’imbarcazione: tale evento ricorre con una certa frequenza,
poiché spesso le imbarcazioni sono ormeggiate alla foce di fiumi che per effetto di
alluvioni rompono gli argini, e determinano la conseguente rottura degli ormeggi.
Accade poi con una certa frequenza che a seguito del naufragio le imbarcazioni da
diporto subiscano furti e sottrazioni, che sono evidentemente in diretta correlazione con il rischio escluso.
La garanzia per i danni parziali da furto viene di regola subordinata, come sopra visto, all’adozione di adeguate misure antifurto, nonché alla circostanza che il
furto abbia una precisa dinamica (ossia implichi l’effrazione o lo scasso di mezzi di
chiusura).
In molti casi è evidente che il saccheggio sofferto dall’imbarcazione viene reso
possibile dallo stato di abbandono in cui essa versa successivamente all’arenamento,
e che questo è conseguenza diretta ed immediata dell’alluvione. I danni da furto
dunque sono resi possibili dall’assenza di misure preventive, che – seppur esistenti
precedentemente all’alluvione – sono poi di fatto poste nel nulla dal naufragio.
In tal caso la sussistenza della copertura è seriamente discutibile.
Una tale conclusione pare avvalorata anche alla luce del disposto di cui all’art.
522 cod. nav., in materia di aggravamento dei rischi della navigazione, che prevede
un principio (forse) applicabile in via analogica alla fattispecie in esame. La disposizione stabilisce infatti che l’assicuratore non risponde qualora il rischio venga trasformato o aggravato in modo tale che, se il nuovo stato di cose fosse esistito e fosse
25
App. Milano 16 aprile 1993, FATA c. Moda Punto Blu, in Dir. ed economia assicuraz., 1993,
541. Nello stesso senso Trib. Modena 20 Marzo 1980, Ghidoni c. SAI, in Assicuraz., 1980, II, 2, 204
con nota di ANTINOZZI, dove la Corte ha evidenziato che “qualora anche una sola apertura manchi
del mezzo di protezione prescritto nella polizza la garanzia assicurativa non opera, perché l’evento
dannoso si inquadra in un rischio diverso da quello assicurato, ed è giuridicamente irrilevante che
l’introduzione del ladro e la asportazione siano avvenute attraverso altra via”.
26
Così Cass. 13 novembre 1987, n. 8352, Puccianti c. Norditalia Assicurazioni, in Mass., Foro. it., 1987.
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Le coperture assicurative corpi della nautica da diporto nel mercato italiano ed inglese
stato conosciuto al momento della conclusione del contratto, l’assicuratore non
avrebbe dato il suo consenso, o non l’avrebbe dato alle medesime condizioni.
La disposizione sopra richiamata contempla, al suo primo comma, l’eventualità
dell’aggravamento del rischio dovuto a fatto dell’assicurato; ai sensi del secondo comma dell’articolo 522 cod. nav. l’aggravamento del rischio che non dipenda dall’assicurato non comporta invece un esonero dell’assicuratore ma solo nell’ipotesi in cui l’aggravamento “dipende da un evento per il quale l’assicuratore medesimo risponde”.
La fattispecie in esame presuppone invero un aggravamento del rischio, per effetto della mancanza delle misure di sicurezza e prevenzione del furto connesse a –
e derivante da – un evento non coperto, quale per l’appunto l’alluvione e/o l’inondazione.
6.4. Innavigabilità e vizi occulti
Le polizze italiane prevedono tutte l’esclusione di copertura in caso di innavigabilità dell’unità da diporto, deficiente manutenzione, usura.
Tale impostazione è applicazione del principio in base al quale anche nelle coperture all risks la “innavigabilità” della nave si configura come criterio di delimitazione del rischio assunto dall’assicuratore, e come condizione di inoperatività della
copertura27.
Va rilevato peraltro che alcune polizze28 contengono una pattuizione specifica
per l’eventualità che sia assicurata un’imbarcazione di età superiore ad un determinato numero di anni, prevedendo in tal caso la necessità di una perizia fatta da un
perito di gradimento della compagnia anteriormente alla decorrenza della polizza.
Tale pattuizione può recitare ad esempio: “Per imbarcazioni di età superiore a
9 anni l’assicurazione è valida a condizione che sia stata presentata alla Società una
perizia effettuata anteriormente alla decorrenza della polizza da un perito navale di
gradimento della società. Tale perizia dovrà attestare lo stato dell’imbarcazione e la
sua navigabilità. La validità della perizia sarà di 4 anni salvo che nel frattempo si siano verificati sinistri o si siano effettuati lavori di manutenzione straordinaria”.
Una simile previsione può avere ricadute significative con riguardo all’esclusione in esame, poiché la presenza di una perizia che attesta la navigabilità della imbarcazione può costituire infatti un primo elemento presuntivo a favore dell’assicurato circa la navigabilità dell’imbarcazione al momento del sinistro.
Va evidenziato tuttavia che poiché la perizia è destinata ad avere validità estesa
nel tempo essa sicuramente non prova da sola che l’imbarcazione sia sempre stata tenuta in uno stato di perfetta manutenzione.
La giurisprudenza italiana in più occasioni ha valutato il rilievo probatorio del
27
Si veda Trib. Genova 19 settembre 1989, Seagull Shipping Co. c. La Levante Assicurazioni,
in questa Rivista, 1991, 397.
28
Ad esempio la polizza Navale Ed. 2000.
384
IL DIRITTO MARITTIMO
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certificato di classe con riguardo alla navigabilità delle navi ad uso commerciale (con
principi che sembrano applicabili in via analogica alle ipotesi in esame), chiarendo
che la presenza di un certificato di classe attestante la navigabilità della nave non è
un elemento decisivo, e può essere superato attraverso elementi di prova contraria.
Così la Corte d’Appello di Genova29 ha chiarito che la presunzione di inadempimento, da parte dell’assicurato, dell’obbligo di approntare la nave in stato di navigabilità, non può essere superata, ma solo controbilanciata dal certificato di visita
del RINA relativo alle soddisfacenti condizioni della nave, posto che esso (ai sensi
dell’art. 168 cod. nav.) non ha un valore decisivo, stante la possibilità di prova (anche presuntiva) contraria. Nello stesso senso è una più recente decisione della Corte d’Appello di Palermo30, che ha sostenuto che nel contratto di assicurazione di nave contro i rischi della navigazione incombe all’assicurato l’obbligo di approntare la
nave in stato di navigabilità sia alla partenza che in ciascuno degli scali intermedi del
viaggio, ponendosi l’eventuale condizione di innavigabilità determinata da colpa
dell’assicurato come criterio di delimitazione del rischio assunto dall’assicuratore.
Piuttosto peculiare è poi la disciplina contenuta nelle IYC in relazione alla
eventualità di vizi occulti, ossia difetti che sfuggano ad un controllo eseguito da soggetto sufficientemente avvertito che esamini l’imbarcazione adoperando la normale
diligenza31.
L’articolo 9.2.2.1. delle Institute Yacht Clauses prevede la copertura dei danni
causati da vizi occulti, escludendo tuttavia “costs and expense of replacing or repairing
the defective part, broken shaft or burst boiler.”
Vengono dunque distinti i costi necessari per l’eliminazione del vizio latente,
che non vengono ammessi in liquidazione, rispetto a quelli per la riparazione del
danno, che sono invece coperti dalla polizza.
In sostanza, dunque, il vizio occulto non viene considerato di per sé, ma solo in
quanto esso sia produttivo di un danno, poiché la copertura assicurativa non si
estende alla riparazione del vizio (ossia alla rimozione, sostituzione o riparazione
della parte viziata), ma solo al danno derivante dalla manifestazione dello stesso.
7.
Valore dell’imbarcazione ed importo assicurato
Come noto, il codice della navigazione, all’art. 515, stabilisce che “nel silenzio
delle parti la dichiarazione del valore della nave contenuta nella polizza equivale a
29
App. Genova 31 gennaio 1992, Sarda Armatoriale Punta Falcone c. La Levante Assicurazioni, in questa Rivista, 1992, 445.
30
App. Palermo 23 luglio 1998, Generali c. Oceanpesca, in questa Rivista, 1999, 1193, con
nota di NOBILE.
31
La definizione di latent defect è rinvenibile per esempio nel caso Brown v. Nitrate Producers SS Co., [1937] Lloyds Rep. 188, dove la Corte ha chiarito che per “latent defect” si intende “a
defect which could not be discovered on such an examination as a reasonably careful skilled man
would make”.
DOTTRINA
385
Le coperture assicurative corpi della nautica da diporto nel mercato italiano ed inglese
stima”, contemplando un meccanismo in base al quale in mancanza di patto contrario il valore indicato in polizza diviene incontrovertibile anche qualora al momento
del sinistro il valore commerciale della imbarcazione sia sensibilmente inferiore (e
l’assicuratore possa provarlo).
Si tratta di un meccanismo che determina una palese deroga ai principi generali dettati dal codice civile all’articolo 1908, che stabilisce che nell’accertare il danno non si possa attribuire alle cose perite o danneggiate un valore superiore a quello che avevano al tempo del sinistro, precisando che il valore delle cose assicurate
può venire stabilito al tempo della conclusione del contratto mediante stima accettata per iscritto dalle parti, e che tuttavia non equivale a stima la dichiarazione di valore delle cose assicurate contenuta nella polizza o in altri documenti.
Con la cd. “polizza stimata” viene dunque realizzata una rilevante deroga al
principio indennitario che è alla base del contratto di assicurazione.
Le polizze di assicurazione italiane contengono invece di regola la previsione
che il valore indicato in polizza non equivale a stima (sebbene in alcuni contratti si
operi una distinzione prevedendosi che i valori dichiarati in polizza dal contraente
equivalgono a stima per le unità di età non superiore a 2 anni – ed in tal caso gli indennizzi vengono liquidati senza applicazione di eventuali proporzionali e/o scoperti per degrado d’uso – mentre per le imbarcazioni di età superiore a due anni la
polizza è stimata “solamente se i valori assicurati saranno accertati da un perito nominato dagli assicuratori, con costo di perizia a carico del contraente”).
Per effetto di tale impostazione potrà accadere pertanto che il valore assicurato venga contestato in sede di accertamento del sinistro, e venga ridotto commisurandolo al valore effettivo commerciale dell’imbarcazione, con la conseguente applicazione della regola prevista all’art. 1909 cod. civ. (ossia la nullità del contratto in
caso di valore difforme e presenza di dolo dell’assicurato, ed effetto fino alla concorrenza del valore – e concorrente diritto dell’assicurato ad una proporzionale riduzione del premio in caso di difformità – in difetto di dolo).
Ulteriore applicazione del principio secondo cui il valore dichiarato non corrisponde a stima è rinvenibile nella disciplina per i danni parziali, per i quali le CG dei
formulari italiani prevedono che l’indennità è soggetta alla regola proporzionale prevista nell’art. 1907 del codice civile nel caso in cui la somma assicurata sia inferiore
al valore commerciale dell’unità da diporto al momento del sinistro.
Nelle IYC trova invece applicazione la disciplina tratteggiata nella Section 27
(1) del Marine Insurance Act 1906, che prevede che la polizza possa essere “valued
or unvalued”, precisando che “a valued policy is a policy which specifies the agreed
value of the subject matter insured” ed in tal caso “the value fixed by the parties is
conclusive of the insurable value of the subject matter”.
La “unvalued policy” viene invece definita alla successiva Section 28 come “the
policy which does not specify the value of the subject matter insured, but subject to
the limit of the sum insured, leaves the insurable value to be subsequently ascertained.”
I criteri distintivi tra “valued” ed “unvalued” sono stati in tempi piuttosto re-
386
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centi tratteggiati proprio in un caso di assicurazione di imbarcazione da diporto nel
caso Kyzuna32, nel quale la Corte ha chiarito che il ricorso di una valued policy non
implica necessariamente l’uso di espressioni quali “agreed value” or “valued at” purchè il contesto delle intese tra le parti renda chiaro che il valore indicato dall’assicurato è stato concordato ed accettato dall’assicuratore.
Per converso, l’uso dell’espressione “sum insured” indica di regola l’importo assicurato, e non concordato tra le parti: come chiarito dal Giudice Thomas J, “far
from meaning the value has been agreed, this ordinarily means the sum is the ceiling
of recovery”33.
8.
Conseguenze di ritardi ed omissioni da parte dell’assicurato
Un punto che merita una breve analisi è quello relativo alle conseguenze di
eventuali ritardi nei quali incorra l’assicurato, in relazione agli adempimenti previsti
nelle CG delle polizze italiane (di regola all’art. 12) dove si contemplano termini
piuttosto ristretti per la segnalazione dei sinistri, oltre all’adozione di misure rientranti nell’obbligo di salvataggio ex articolo 1914 cod. civ., o ancora volte a preservare e tutelare l’azione di rivalsa dell’assicuratore.
Accade infatti molto spesso che le segnalazioni di sinistro avvengano con ritardo, e senza il rispetto del termine previsto in polizza.
In tal caso, deve di regola escludersi che sia ravvisabile una vera e propria decadenza dell’assicurato, in quanto (laddove non sia ravvisabile un comportamento
doloso) è previsto esclusivamente (ai sensi dell’articolo 1915 cod. civ., 2º comma) la
riduzione dell’indennizzo in proporzione ai danni che l’assicuratore subisce per effetto del ritardo34.
9.
Individuazione del soggetto assicurato e “clausola di vincolo”
Una fattispecie che ricorre con frequenza, e spesso è foriera di contenziosi, è
quella della polizza stipulata dal conduttore che abbia la disponibilità dell’imbarcazione per effetto di un contratto di leasing.
Sono numerosi infatti gli istituti di leasing che hanno creato strumenti per fi-
32
Kyzuna Investments Ltd. v. Ocean Marine Mutual Insurance Assoc (Europe), (2000), 1
Lloyds Rep 505.
33
Nella successiva decisione resa nel caso Quorum AS v. Schramm, (2002), 1 Lloyd’s Rep 249,
Thomas J. ha poi chiarito che il principio elaborato per il caso Kyzuna trova applicazione per la totalità delle assicurazioni corpi.
34
Cfr. Trib. Milano 24 ottobre 1996, Pasta Italia c. Assitalia, in Diritto ed economia delle assicuraz., 1997, 725, che ha stabilito che “alla clausola contrattuale che esige dall’assicurato-contraente di dare immediato avviso di sinistro all’assicuratore, deve applicarsi la norma dell’art. 1915
cod. civ., 2º comma, per cui in caso di ritardata denuncia, non dovuta a comportamento doloso,
non può essere dichiarata la totale decadenza dal diritto all’indennizzo, ma solo l’eventuale riduzione dell’indennizzo.
DOTTRINA
387
Le coperture assicurative corpi della nautica da diporto nel mercato italiano ed inglese
nanziare l’acquisto di imbarcazioni già realizzate o in fase di allestimento; in questo
ultimo caso vengono di regola anticipate le somme richieste dal cantiere nautico ad
ogni stato di avanzamento lavori, e l’acquirente inizia a versare i canoni di locazione
finanziaria solo dal momento della consegna della imbarcazione.
In tal caso possono sorgere problemi di individuazione del soggetto assicurato e
legittimato ad agire per il conseguimento dell’indennizzo, soprattutto in presenza di
pattuizioni (spesso inserite nei contratti di locazione finanziaria) che prevedono che
l’utilizzatore “a salvaguardia di ogni suo interesse, anche se in comune con il concedente, dovrà in proprio e a sue spese e cura prendere e coltivare ogni opportuna iniziativa, anche in sede processuale, perché siano tempestivamente tutelati nei confronti di qualsiasi terzo ragioni e diritti aventi ad oggetto il bene, o occasionati nel loro nascere dalla sua utilizzazione, né potrà chiedere che vi provveda il concedente”.
Il problema viene spesso risolto attraverso la pattuizione di una clausola o appendice “di vincolo”, che attribuisce al finanziatore della somma utilizzata per l’acquisto del bene assicurato il diritto di soddisfarsi, nel caso di perdita del bene, sull’eventuale indennità dovuta dall’assicuratore.
In tal caso, secondo un orientamento giurisprudenziale, si crea un collegamento tra il contratto di assicurazione ed il contratto di finanziamento, in forza del quale il finanziatore non assume la qualità di assicurato (giacché a suo favore non è stipulata la polizza), ma può pretendere di percepire l’indennizzo in luogo dell’utilizzatore-contraente assicurato35, ed il pagamento dell’indennizzo al finanziatore da
parte dell’assicuratore produce l’effetto di ridurre il credito del finanziatore nei confronti dell’utilizzatore, che resta dunque obbligato solo per l’eccedenza36.
Sono numerose poi le decisioni che hanno riconosciuto una legittimazione attiva esclusiva in capo all’istituto finanziatore37, al punto che questo ha l’onere di attivarsi, nei confronti della compagnia assicuratrice, per ottenere l’indennizzo assicurativo che il conduttore non può chiedere direttamente, e qualora faccia prescrivere
il diritto all’indennizzo, impedendo al conduttore di compensare il suo debito nei
confronti della concedente con il suo credito all’indennizzo assicurativo, non potrà
richiedere al conduttore la parte di credito corrispondente a tale indennizzo, trattandosi di danno che avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.
Nell’ambito delle assicurazioni marittime un orientamento ormai abbastanza
risalente ha attribuito legittimazione esclusiva al creditore ipotecario per agire nei
confronti dell’assicuratore “sino alla concorrenza del valore economico del proprio
diritto” (ossia fino alla concorrenza del proprio credito) in presenza in polizza di assicurazione di una clausola di vincolo dell’indennità assicurativa che preveda che il
35
Cass. 26 ottobre 2004, n. 20743, Food Music c. Sara, in Mass. Foro it., 2004.
Cass. 21 giugno 1995, n. 7021, Nazzaro c. Compass assicuraz. in Giust. civ., 1996, I, 2697,
con nota di CONTINO.
37
App. Milano 27 febbraio 2001, Mercantile leasing c. Fin One, in Nuova giur. civ., 2001, I,
604, con nota di CHINDEMI.
36
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pagamento dell’indennità debba essere esclusivamente eseguito dal creditore ipotecario (o deve comunque essere da questo autorizzato)38.
Una pronuncia più recente ha stabilito invece che la previsione in un contratto
di mutuo della cessione da parte del mutuatario delle assicurazioni relative alla nave
sulla quale il mutuatario ha concesso ipoteca in favore del mutuante (con la previsione che le indennità diverse da quelle per perdita totale possono essere pagate al
mutuatario fino a quando egli non sia inadempiente agli obblighi nascenti dal contratto di mutuo) realizza una garanzia, e dunque non fa venir meno la veste di assicurato del mutuatario, e non lo priva della legittimazione ad agire nei confronti degli assicuratori39.
Infine la Cassazione (confermando sul punto la decisione di secondo grado della Corte d’appello di Genova40) ha ammesso che nell’assicurazione corpo e macchina contro i rischi della navigazione l’interesse assicurato possa essere, oltre a quello
del proprietario della nave, anche quello concorrente del conduttore (in deroga al
principio generale secondo cui la legittimazione alla stipula del contratto va riconosciuta, in via esclusiva, al proprietario ovvero al titolare di un diritto reale sul bene)
qualora il rischio ed il pericolo della cosa assicurata siano pattiziamente posti a carico del locatario, con conseguente insorgere di un interesse giuridicamente qualificato all’assicurazione per la perdita del bene.
La legittimazione in capo al conduttore ad agire per il conseguimento dell’indennizzo assicurativo può poi configurarsi qualora il conduttore agisca in qualità di
contraente di polizza, e si munisca ex art. 1891 secondo comma cod. civ. del consenso dell’assicurato-concedente.
In tal caso, evidentemente, va valutata da parte dell’assicuratore l’effettiva esistenza di tale consenso, accertando in particolare se esso abbia la natura e la forma richiesta dalla legge, in quanto il versamento dell’indennizzo in favore del contraente, in
mancanza di un effettivo consenso dell’assicurato, espone al rischio che quest’ultimo
chieda la liquidazione del danno esercitando un diritto mai abbandonato o ceduto41.
Quanto al valore dell’unità da diporto di proprietà di una società di leasing, in
caso di perdita totale del bene esso va diminuito nella misura equivalente all’intero
38
Trib. Genova 4 settembre 1987, Phryne Shipping Co. c. Unione Mediterranea Sicurtà, in Assicuraz., 1988, II, 2, 78, con nota di FERRARINI.
39
Trib. Napoli 17 luglio 1998, Ritamar c. La Fondiaria, in questa Rivista, 2000, 1411, con nota di BOGLIONE.
40
Cass. 6 novembre 2002, n. 15552, Siat c. Soc. Tiozzo Mare, in Giust. civ., 2003, I, 1845;
App. Genova 25 gennaio 1999, Tiozzo Mare c. Siat, in questa Rivista, 2000, 870.
41
La giurisprudenza (così Cass. 7 dicembre 1995, n. 12593) ha di regola affermato che è sufficiente che tale consenso sia univocamente manifestato: “ciò, se esclude sia sufficiente un consenso implicito o solo presupposto, non si traduce, comunque, nella necessità che esso sia incorporato in una dichiarazione che lo specifichi formalmente, potendo risultare che da comportamenti ulteriori e diversi che lo esplicitino, attestandone direttamente l’esistenza ancorché senza l’impiego
di formule sacramentali”.
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ammontare dell’IVA (attualmente al 20%) sui canoni residui, in forza della possibilità offerta alle società di leasing di dedurre l’IVA ai sensi dell’art. 46 della Legge
342/2000, che (modificando la disciplina sulla territorialità dell’IVA) stabilisce che i
corrispettivi derivanti da contratti di locazione finanziaria di mezzi di trasporto non
devono essere assoggettati ad IVA se i mezzi stessi sono utilizzati al di fuori dell’Unione Europea.
La circolare n. 207/E del 2000 ha poi stabilito che il corrispettivo dovuto deve
essere assoggettato ad IVA solo per la quota di corrispettivo legata all’utilizzo dell’imbarcazione in ambito comunitario, pertanto la disciplina esistente permette alle
società di leasing italiane di assoggettare ad IVA i canoni di leasing solo in proporzione all’utilizzo delle imbarcazioni da diporto entro le acque territoriali comunitarie (è stata infatti emanata una disposizione amministrativa che ha determinato forfetariamente le percentuali di presunto utilizzo delle imbarcazioni da diporto fuori
dalle acque territoriali in base alla propulsione – motore o vela – ed alla lunghezza).
10. Azione di rivalsa
Resta da esaminare brevemente la disciplina contenuta nelle polizze di assicurazione in punto di rinuncia alla rivalsa, che può essere limitata al conducente, o
estesa anche al comandante. Tale rinuncia può essere poi ulteriormente estesa (per
effetto dei patti speciali), nei confronti del cantiere o del rimessaggio, ma viene in tal
caso di regola limitata ai danni da incendio, e solo per l’eventualità che lo stesso abbia luogo durante la giacenza, lavori di ordinaria manutenzione o rimessaggio.
Viene pertanto lasciata aperta la possibilità di esperire rivalsa (evidentemente
per le ipotesi in cui la copertura sia estesa ai casi di noleggio o locazione) nei confronti del noleggiatore/conduttore.
In tal caso l’assicuratore surrogatosi nella posizione dell’assicurato beneficia di
un regime probatorio favorevole, posto che per giurisprudenza ormai consolidata
grava sul conduttore l’onere di provare, in caso di distruzione del bene locato, la circostanza che il danno è riconducibile a causa a lui non imputabile, restando responsabile per l’eventualità che la causa della perdita o del deterioramento della cosa locata resti sconosciuta.
Parimenti possibile resta l’azione di rivalsa in relazione ai danni verificatisi nell’ambito di un contratto di ormeggio, che viene tradizionalmente qualificato come
contratto atipico al quale viene estesa la disciplina del contratto di deposito.
Va rilevato al riguardo che secondo una orientamento giurisprudenziale (che
tuttavia pare minoritario) l’obbligo di vigilanza e custodia è insito nel contratto di
ormeggio, con la conseguenza che il danneggiato non è tenuto a provare l’esistenza
di una pattuizione ad hoc avente ad oggetto la custodia42.
42
App. Trieste 28 luglio 1999, Tonegutti e Az. Autonom c. Soggiorno Turismo Lignano Sabbiadoro, in Dir. trasp., 2000, 885, che ha statuito che “Il contratto di ormeggio ha ormai assunto una
390
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La giurisprudenza prevalente sembra però orientata a ritenere che un obbligo
di custodia sussista soltanto se espressamente pattuito, sul presupposto che il contratto di ormeggio presenta un contenuto minimo essenziale consistente nella messa a disposizione ed utilizzazione delle strutture portuali, con conseguente assegnazione di un delimitato e protetto spazio acqueo, cui può affiancarsi (se pattuita) la
custodia del natante e/o quella delle cose in esso contenute.
L’onere della prova dell’esistenza di un obbligo di custodia grava pertanto sul
titolare del posto barca (e dunque sull’assicuratore surrogatosi nella sua posizione)43; peraltro, in caso di ormeggio con obbligo di custodia, qualora ricorra l’avaria,
il deterioramento o distruzione della imbarcazione il concessionario dell’ormeggio
non si libera della responsabilità derivante dalla consegna del bene provando di avere usato nella custodia della res la diligenza del buon padre di famiglia prescritta dall’art. 1768 cod. civ., ma deve provare che l’inadempimento sia derivato da causa a lui
non imputabile.
Resta da rilevare che la Suprema Corte44 ha ritenuto che allorché il contratto di
ormeggio sia esteso alla custodia del natante, con la conseguente assimilabilità al deposito, la consegna ed i conseguenti obblighi di custodia non restano limitati al natante, ma si estendono, salvo patto contrario, a tutti quei beni ed oggetti che, pur
mantenendo una loro autonomia, siano destinati in modo durevole al suo servizio ed
ornamento, costituendone pertinenza, ed in particolare alle attrezzature obbligatorie in forza di legge, di regolamento o di altri atti amministrativi.
sua giuridica individualità, che porta a far convivere nella sua disciplina norme confluenti da tipi
legali differenti. Così, oltre alla principale prestazione di fornire uno specchio acqueo per l’ormeggio di un’unità da diporto, è coessenziale al sinallagma funzionale quella che impegna a garantire
la vigilanza e la sicurezza dell’approdo. Tale obbligo di custodia connota il contratto nella sua unitaria funzione economico-sociale, superando la tradizionale distinzione fra ormeggio-deposito e ormeggio-locazione.”
43
Cass. 1 giugno 2004, n. 10484, Soc. Darsena Fontanelle c. Adilardi D’Aquino, in questa Rivista, 2006, 498 con nota di C. TUO e in Dir. e giust., 2004, fasc. 39, 20, con nota di ROSSETTI, in una
fattispecie in cui una violenta mareggiata aveva danneggiato la struttura portuale e le unità in essa
ospitate; nello stesso senso Cass. 2 agosto 2000, n. 10118, Soc. Cala dei Genovesi c. Comp. Assicuraz. Genova, in questa Rivista, 2001, 1431 e Cass. 21 ottobre 1994, n. 8657 Soc. Detroit c. Soc. Iniziative Nautiche, in Giust. civ., 1994, I, 3059, con nota di GRIGOLI.
44
Cass. 21 ottobre 1994, n. 8657, cit.