Quando le navi andavano a vela Ciro Paoletti40
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Quando le navi andavano a vela Ciro Paoletti40
LegaNavale.qxp_Lega Navale 23/03/16 16:54 Pagina 40 Quando le navi andavano a vela di Ciro Paoletti T anti si estasiano davanti a quadri e stampe di velieri antichi. Ne sentono il romanticismo, l’aura d’avventura, il fascino… perché non ci hanno mai viaggiato sopra, specie come marinai. E non è che gli ufficiali se la passassero meglio. Puzzolenti, malsane, scomode all’inverosimile, con un vitto pessimo, acqua putrida o salata, turni di lavoro massacranti e igene inesistente… Ma erano sempre le regine dei mari Aria di mare e aria di nave Tutti gli scrittori di marina, medici o no, hanno sempre concordato sul fatto che non vi fosse aria migliore di quella di mare: purissima, generalmente poco umida tranne che nella zona torrida, era generalmente più temperata che a terra, a parità di latitudine. Ma se l’aria marina era pura e asciutta, quella all’interno 40 La spartana sistemazione per il sonno dei marinai, forse non doveva essere la peggiore di tutte, dal momento che, naturalmente in locali adeguati e non tra gli affusti dei cannoni, è stata in uso anche nella Marina Militare fino ai primi Anni ’60 dello scorso secolo; in apertura, marinai britannici pronti alla distribuzione del “grog”, da una stampa della metà del XIX secolo marzo-aprile 2016 della nave era pestilenziale. Fino a quando non iniziò a migliorare a metà Ottocento, la ventilazione, scarsissima, rendeva l’aria all’interno del bastimento, specie nelle parti basse, viziata, umida e calda, un vero attentato alla salute. “De’ gaz pestilenziali, come l’idrogeno sulfurato, l’ammoniaca ecc. prodotti dall’emanazione tanto animali che vegetabili, la respirazione di più centinaia di uomini rinchiusi in un brevissimo spazio, il fetore delle vettovaglie poste in locale privo affatto di ventilazione, e la corruzione delle acque stagnanti nella sentina rendono l’aria interna del vascello la più malsana che si possa.” Da dove venivano i gas pestilenziali? LegaNavale.qxp_Lega Navale 23/03/16 16:54 Pagina 41 La branda intelaiata era di livello leggermente superiore; questa si trova all’interno della Victory, in Inghilterra, e mostra il corredo del suo appartenente, un graduato dei Royal Marines La branda per ufficiali, sempre dalla Victory, era sul tipo di una culla, e quella di Nelson era simile a questa, anche se a vederla non dà l’idea del massimo comfort Bé, in primo luogo dai topi morti. Tutte le navi avevano topi (o ratti, ma per comodità li definiremo tutti topi) e se qualcuno si è mai trovato un topo morto in cantina, sa bene che odore sprigiona. Ebbene, se si pensa a quante migliaia di topi potevano esserci a bordo e a quanti di essi potevano morire nel corso dell’anno, l’aria sicuramente ne risentiva. Aggiungiamoci l’aroma delle loro deiezioni solide e liquide e avremo un profumo indimenticabile. A questa miscela bisogna aggiungere il puzzo dei commestibili che si avariavano regolarmente, quello dell’acqua di sentina, corrotta dal contatto col legno e col catrame, dalle colature d’acqua di mare o di altri liquidi attraverso i ponti, incluso l’olio lubrificante da macchina (che fino alla produzione di massa dei derivati del petrolio era il normalissimo quanto deperibile olio d’oliva) e dall’ossidazione generata dal contatto coi pani di ferro della zavorra e avremo qualcosa che avrebbe fatto invidia a una puzzola. Ultimo tocco, l’odore sprigionato dai corpi male o non lavati di centinaia di uomini dell’equipaggio e dai loro vestiti, altrettanto poco o mal lavati. Chi non ne ha un’idea si ritenga fortunato, chi ce l’ha non ha bisogno di spiegazioni. Certo, ogni mattina l’equipaggio lavava i ponti, con tanta acqua di mare, ripassandoli poi con acqua e sabbia e strofinandoli con delle pietre levigate. Un bellissimo spettacolo di ordine e pulizia, come negarlo? Ma erano pure altre scolature che, se non trovavano subito la via del mare attraverso gli ombrinali, finivano nella sentina. Le innovazioni a partire dagli Anni ’50 dell’Ottocento avevano fatto miracoli per l’aria interna. Era migliorata la ripartizione della stiva, del “covertino”, il copertino (o, alla francese, falso frapponte) e del corridoio rendendo più agevole la circolazione dell’aria. L’adozione delle casse da acqua in lamiera aveva consentito di elevare e spostare verso prora la dispensa, aerandola meglio. L’introduzione delle casse metalliche per il biscotto e i viveri ne aveva ridotto il tasso di marcescenza e di conseguenza il fetore. Infine alcuni cibi della razione erano stati sostituiti da altri, in scatola o meno deperibili, contribuendo così a una diminuzione dei cattivi odori. Più in basso, l’introduzione dei rubinetti da stiva permetteva di far fluire acqua fresca nei canali di sentina, eliminando quella corrotta. L’acqua si scaricava per mezzo delle nuove e più perfezionate pompe e le trombe a vento e i ventilatori (“ventilatoj”) insieme all’introduzione dei portellini nella “covertetta” (l’odierno 2° corridoio o 2ª batteria) che prima ne era priva, consentivano di dare aria e luce a parti che negli antichi vascelli erano abitate, ma buie e a malapena rischiarate da fumosi lumini a olio. Con tutto ciò l’interno d’una nave non era il posto più comodo in cui abitare. marzo-aprile 2016 41 LegaNavale.qxp_Lega Navale 23/03/16 16:54 Pagina 42 Lo spazio abitabile era già molto, perché fino a prima della Rivoluzione Francese, le navi portavano una sola branda per due uomini, perché nell’età della vela metà della ciurma era sempre di guardia, e non c’erano né spazio né tela da sprecare, per cui, fra l’altro, non le si poteva nemmeno lavare e infatti non si lavavano ed erano lerce e puzzolenti da far paura. Ne esistevano tre tipi: l’americana, l’intelaiata e l’inglese. L’intelaiata era riservata ai guardiamarina, ai sottufficiali e agli ammalati e consisteva in un telaio rettangolare di legno, la cui parte centrale era occupata da un pezzo di tela olona su cui si potevano sistemare un materasso e le coperte. La branda inglese, riservata ai soli ufficiali, era simile alla precedente, ma somigliava più a una culla che a una branda vera e propria. La gente invece usava la branda americana, o branda a sacco, definizione, questa, detestata dai puristi. Si chiamava “americana” perché gli spagnoli l’avevano copiata dai caribi, che l’usavano per non farsi mordere dai serpenti e dagli insetti velenosi, e la chiamavano hamacki, per cui era stata introdotta sotto il nome di amaca sulle navi, dalle quali si era poi sparsa in tutte le marinerie. Mentre i francesi l’avevano chiamata hamac e gli inglesi hammock, gli italiani, seguendo, si diceva, Amerigo Vespucci, l’avevano chiamata “branda” dal verbo brandire, che nell’Italiano della fine del Quattrocento significava muoversi (mentre Pascoli quattro secoli dopo l’avrebbe adoperato nel senso sia di tremare che di muoversi in maniera esitante) perché, essendo Esisteva un altro impiego per le brande che, debitamente arrotolate, venivano rizzate in coperta prima del combattimento, fungendo da validi paracolpi alle fucilate dei tiratori nemici accomodati nelle coffe. In sospesa, non staquesto dipinto giapponese vediamo la controplancia della Mikasa, con l’ammiraglio Togo, prima della batva mai ferma e taglia di Tsushima In quest’atmosfera pesante e poco salubre, vivevano ufficiali e marinai e ci stavano anche stretti. Nelle navi, si sa, lo spazio e ridotto; nel passato, prima dell’affermazione del vapore, era ancor più ridotto, per via dei pezzi di rispetto necessari a navigare e, soprattutto, per la gran quantità di marinai necessaria alla manovra. Per citare alcune delle navi più note, la Golden Hind di Francis Drake, era lunga 36 metri (ma solo 31 di scafo) ed aveva una sessantina di uomini d’equipaggio; il Wasa era lungo 69 metri, ma doveva portare 150 marinai e 300 soldati, la Victory, 69 metri tutto incluso, portava 800 uomini, il Re d’Italia, 84 metri, aveva 550 fra ufficiali e marinai. Prendiamo la Victory: ognuno dei tre ponti di batteria, con una superficie non superiore agli 890 metri quadri, dava un metro quadro a testa agli uomini, che però, dividendosi nei tre ponti, potevano usufruire di ben 3 metri quadri per uno. In questo spazio ridotto si ammassavano sia i marinai che i soldati imbarcati, i quali, per dormire, disponevano di brande. Ed 42 marzo-aprile 2016 LegaNavale.qxp_Lega Navale 23/03/16 16:54 Pagina 43 si muoveva secondo le oscillazioni della nave. La branda non in uso restava arrotolata e legata, disposta con le altre nelle impavesate lungo la tolda, perché la ventilazione vi impedisse la generazione di insetti. Quando serviva, cioè a fine guardia o al tramonto, il marinaio la rintracciava grazie al numero dipinto sopra, l’apriva, ne fissava gli estremi alle apposite verghe di La spartana mensa dell’equipaggio, suddivisa per “ranci”, ossia gruppi di marinai e situata sul ponte di ferro messe pabatteria, dove del resto il personale dormiva sulle brande, era uno dei rari luoghi di socializzazione a bordo rallelamente su ciascun baglio cese di solito stavano appena un po’ meglio del ponte e ci si metteva a dormire. dell’equipaggio: il capitano era l’unico ad Sulle navi da guerra della seconda metà delavere una cabina tutta per sé, a poppa, che serl’Ottocento ve ne dovevano essere due per viva a lui da alloggio e a lui e a tutti gli altri da uomo, per poterle lavare frequentemente, nesala nautica, ufficio e sala da pranzo. cessità tanto più sentita da quando, coll’adozione Gli ufficiali di solito avevano una camera in del vapore, era comparso il carbone ad occupare comune tutta per loro, e spesso era l’anticai corridoi, ormai destinati a carbonili. mera della cabina del comandante. Solo nelPer di più il rifornimento di carbone, l’odiato l’Ottocento cominciarono a comparire le “carbonamento” a cui partecipava tutto l’equiprime cabine, moltiplicatesi poi fino ad allogpaggio, non solo sporcava corpo e abiti, ma giare un solo ufficiale superiore o due ufficiali riempiva l’intera nave d’una finissima e onniinferiori, o quattro sottufficiali, mentre l’equipresente polvere nera, che richiedeva un lungo e accurato lavaggio di uomini e cose. paggio continuava a stare in branda nei ponti. L’altro mobile di cui disponevano i marinai, e Rimane un punto: cosa si faceva quando si docomunque non in tutte le Marine, era la taveva sbrigare ciò che nel Medioevo si chiavola, che era decisamente mobile, perché, mava “il mestiere del corpo” e nel Settecento come la branda, non solo era pensile, ma ap“una necessaria occorrenza”? pariva e spariva. Al momento del pasto se ne tiravano fuori i pezzi dagli appositi alloggiaIl viaggio alla toilette menti fra un baglio e l’altro, li si applicavano L’anno di grazia 1741, ai 3 di ottobre, il conte per mezzo di ferri sotto ai bagli delle batterie, Carlo Gozzi, Venturiere nell’Esercito della Sesi avvicinavano degli sgabelli, più o meno di renissima Repubblica di Venezia, in viaggio per fortuna, e si mangiava. Alla fine si smontava Zara al seguito di Sua Eccellenza il Provveditutto e si rimettevano i pezzi nei loro posti. tore Generale Querini sulla galera generalizia Gli ufficiali di prima della Rivoluzione Frandella Repubblica, ebbe un’indispensabile e immarzo-aprile 2016 43 LegaNavale.qxp_Lega Navale 23/03/16 16:54 Pagina 44 mia necessità. Gli chiesi la libertà sulla mia occurenza, guardando mansueto i suoi baffi opportuni, ed egli mi fu clemente lasciandomi oltrepassare. Tra il buio e la premura grande mi calai sullo sperone, tenendomi ben forte ad una corda che penzigliava. Calcai sopra una massa molliccia, che gorgogliò molte volte una voce soffocata, come quella d’un asmatico, la necessità stimolatrice e la tenebrìa non mi lasciarono esaminare quella massa ch’io calpestava. Mi sollevai dal mio peso soperchio, non senza spruzzi marittimi che la galera Ben diversa, anche se non certo estremamente confortevole o lussuosa, era la mensa ufficiali; in corso mandava da’che in genere veniva sistemata nel grande locale poppiero del comandante flutti con della violenza a innaffiarmi. Sollepellente necessità e “il luogo comune per alcune vato e risalito, chiesi alla sentinella che fosse quella indispensabili necessità degli uffiziali soleva essere massa molliccia, che gorgogliò una voce senza aruna panchetta balaustrata sopra all’acqua, vicina ticolazione sotto a’ miei piedi. Mi rispose con al timone della galera. Sperai in quella notte oscusomma freddezza ch’ella era un forzato morto di rissima di potermi ivi sgravare d’una delle soprafebbre maligna, a cui doveva aver calcato il petto; dette necessità. Trovai un ordine tremendo nella ch’egli era stato posto ivi al fresco, sin tanto che voce del timoniere, che nessuno dovesse aver l’ars’approdava nell’Istria per seppellirlo in sul lito.” dire di presentare il deretano a quella panchetta, Sui vascelli la situazione era la stessa: ufficiali perché ella corrispondeva ad una finestrella di a poppa, più che altro perché là erano i loro alsotto della stanza di Sua Eccellenza. Il comando loggi, e gente a prua, sulla cosiddetta “serpe”. mi parve disturbatore, ma ragionevole. Il nome non aveva nulla a che vedere coi serChiesi dove potessi andare, e mi fu risposto che il penti, ma veniva dalla somiglianza che aveva meglio era di calarsi con cautela sullo sperone per con la parte della carrozza su cui sedeva il cocprua della galera. M’avviai veloce, colle brache in chiere e che si chiamava serpa o serpe. mano per la corsia (la passerella centrale che Situata fra il castello di prora e l’estremità del solcava la galera da poppa a prua ed ai lati della tagliamare, al disotto e lateralmente al bomquale, in basso, stavano i banchi dei presso, era “considerato come il posto più ignobile rematori,n.d’A.) verso cotesto sperone per prua, ed della nave, dappoiché vi son collocate le latrine dell’equipaggio.” Nella realtà era forse il posto più ho saliti frettolosamente alcuni gradini, che pulito della nave, perché vi si manteneva “una conducono ad alcuni altri gradini per i quali si dinettezza indefessa per mezzo d’un’apposita tromba, scendeva al da me bramato sperone. Un “chi va là” che attinge l’acqua dal mare” ed era sotto la sorenorme di una sentinella morlacca ivi posta, che veglianza d’un gabbiere o, addirittura, d’un sotmi si presentò col fucile, con un viso tenebroso e tufficiale, chiamato “capo della serpe”. con due baffi spannati, trattenendomi, accrebbe la 44 marzo-aprile 2016 LegaNavale.qxp_Lega Navale 23/03/16 16:54 Pagina 45 E col mare mosso? O molto mosso? In quel caso i marinai avevano a disposizione nei ponti in cui dormivano degli imbuti metallici alla murata, il cui orifizio dava fuori bordo e usavano quelli, a tutto vantaggio della sicurezza personale ma non della salubrità dell’aria circostante. Manca un dettaglio: naturalmente non esisteva riscaldamento a bordo, perciò i viaggi invernali magari nell’Atlantico Settentrionale o nell’Artico erano una vera penitenza, mentre ancora nell’era del vapore la traversata del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano, specie d’estate, anche da passeggeri di prima classe sarebbe stata un inferno, figuriamoci per i marinai. Alimenti Come si è già detto, la conservazione delle vettovaglie era il problema principale. Imbarcarne di buone era un conto, riuscire a conservarle in navigazione un altro. Umidità e parassiti, topi inclusi, pesavano molto. La già citata introduzione delle casse metalliche in cui conservare le vettovaglie e l’introduzione dei cibi in scatola a metà Ottocento migliorò molto le cose rispetto al passato. Qualsiasi marinaio medievale o dell’età barocca avrebbe toccato il cielo con un dito davanti alle razioni del 1860. Senza entrare nei particolari, qui basterà dire che tutti erano d’accordo che il vitto dovesse essere il più nutriente possibile, per consentire al marinaio di superare le intemperie a cui ogni viaggio l’avrebbe sottoposto. Disgrazia voleva che i cibi più energetici fossero spesso deperibili e, in un periodo in cui la refrigerazione ancora non c’era e a malapena si era arrivati all’inscatolamento e al sottovetro e bagnomaria, la scelta cadeva invariabilmente su vettovaglie secche e salate. I medici però si erano accorti da tempo d’una differenza fra la navigazione oceanica e quella mediterranea. La prima, più lunga, vedeva spesso lo scorbuto comparire e decimare gli equipaggi, la seconda invece, per quanto lunga fosse, era per forza di cose intervallata da frequenti soste in porto e lo scorbuto quasi non sapeva cosa fosse; la peste o il colera magari si, ma lo scorbuto no. Per caso, nel XVII secolo, gli inglesi si accorsero di ciò che il resto del mondo, specie mediterraneo, più o meno già sapeva: il consumo di limoni riduceva e alla lunga eliminava lo Un’immagina risalente agli inizi dello scorso secolo che mostra un momento del vitale (per la nave a vapore) ma non mai abbastanza odiato (dall’equipaggio) carbonamento scorbuto. Che quest’ultimo dipendesse da carenze vitaminiche lo si sarebbe scoperto solo dopo secoli e grazie ai progressi della medicina, che scomparisse grazie ai limoni invece era chiaro da tempo, perciò, dopo gli esperimenti sistematici condotti a partire dal 1747 dal medico di marina James Lind, le navi di Sua Maestà Britannica cominciarono a distribuire agli equipaggi succo di limone quotidianamente, mischiandolo spesso alla prevista Anche la “sanità” aveva la sua grande importanza; nella foto, tratta dal film “Master and commander”, il medico di bordo esegue una difficile operazione per coprire con una placchetta d’argento una ferita al cranio. Operazione (nel film) fortunatamente riuscita marzo-aprile 2016 45 LegaNavale.qxp_Lega Navale 23/03/16 16:54 Pagina 46 razione di grog (mezza pinta di rum e un quarto di acqua), riducendo così i casi di malattia e facendo guadagnare ai marinai il soprannome di Limey “limoncini”. La cura di Lind non servì affatto alle marine mediterranee, dove da tempo immemorabile gli equipaggi avevano vegetali ogni settimana. Sulle galere genovesi del Seicento il vitto di tutti includeva legumi e fagioli, minestra di fave quattro volte a settimana e cipolla quotidiana. Le galere di Nostro Signore il Papa e quelle del Serenissimo Granduca di Toscana facevano lo stesso, pur prescindendo dalla quotidianità della cipolla. Idem, nel seguente secolo, per le Reali Navi di Sua Maestà Napoletana e Siciliana (Dio guardi) e per le Regie Navi di Sua Maestà Sarda. In definitiva, un po’ per abitudini tramandatesi nella marineria fin dal tempo dei Fenici, un po’ per variare, alla prima sosta si interrompeva la dieta di viveri secchi e salati, scendendo a terra per carne fresca, pollame, frutta e verdura, o, almeno, per gli ufficiali, con qualche bel pescione pescato da bordo. Che poi questa materia prima fosse mal gestita da cuochi ladri e lestofanti, che la cuocevano fino a spappolarla, con pochi grassi e, spesso, troppo sale, rendendola una sbobba immangiabile, bene, questo è un altro discorso. Dopo la vela La comparsa della propulsione a vapore ridusse gli equipaggi, le costruzioni in ferro e i progressi della propulsione navale, aumentarono gli spazi e diedero ai marinai qualche comodità in più, anche se ci volle tempo. Elettricità, dissalatori e frigoriferi resero la vita più pulita e meno dura, il riscaldamento cominciò a comparire sulle navi e infine, molto dopo, arrivò pure l’aria condizionata, almeno in alcuni ambienti. Un bel salto di qualità, che basta a dare un’idea dell’abisso fra la vita di bordo dell’inizio del XXI Secolo e quella sui velieri del XIX o dei primi del XX. Anche questa era la vita di bordo; marinai colpevoli di alcune infrazioni vengono fustigati sul ponte, legati ad un carabottino rizzato, con ufficiali ed equipaggio a presenziare, ed un plotone di Royal Marines in armi a ricordare la disciplina di sua Maestà e a dissuadere qualsiasi tentazione in chi avrebbe potuto non accettarla 46 marzo-aprile 2016