Storia della corazzata italiana

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Storia della corazzata italiana
Storia
della
corazzata italiana
di Massimo Zamorani
D
Nascita, sviluppo e
scomparsa delle navi da
battaglia in Italia
ue sono i tipi di
nave nate, sviluppatesi ed
estintesi in parallelo, che
hanno profondamente
inciso nel costume e nella storia marittima delle
nazioni, una in ambito
militare, l’altra in quello mercantile: la corazzata e il
transatlantico. L’esistenza trionfale di entrambi si è
estesa per circa cento anni a cavallo di due secoli: dalla metà dell’Ottocento alla metà del Novecento.
In quanto alla corazzata, la prima unità degna di
tale termine, poiché propulsa da una macchina a
vapore e protetta da un sistema di lastre d’acciaio, è
stata la francese Gloire, progettata da Stanislas Dupuy de Lòme e varata il 24 novembre 1859. Però l’esordio della specie viene ravvisato nell’epico duello
tra le ironclad sudista Merrimack e nordista Monitor,
avvenuto a Hampton Roads l’8 marzo 1862, durante la Guerra Civile americana, scontro risoltosi con
un nulla di fatto: la corazza ebbe infatti la meglio
sul cannone per entrambe le parti contendenti.
Nel 1875, tredici anni dopo Hampton Roads,
gli equilibri mondiali in fatto di potenza navale
avevano un’unica unità di misura: la corazzata,
anche perché le vedute in fatto di navi di altra e
inferiore categoria erano piuttosto vaghe.
Le “navi da battaglia”
Era inteso che la corazzata, ufficialmente e gene-
ralmente definita “nave
da battaglia”, era l’erede
evidente del vascello,
ma in quanto alle altre
navi della marina velica,
fregate e corvette, non
era ben chiaro quali
avrebbero dovuto essere
le caratteristiche delle unità a propulsione meccanica che ne ereditavano prerogative e impiego.
Per queste ragioni la situazione della potenza
navale mondiale in un momento definito, il
1875, era espressa dall’inventario delle unità corazzate in linea. Naturalmente era l’Inghilterra,
prima potenza navale nel mondo, a disporre del
maggior nerbo di regine del mare: sessanta unità,
ripartite in quattro tipi.
Seguiva la marina francese, con 58 navi tra
quelle definite d’altura e costiere; al terzo posto la
marina dello Zar, con 30 corazzate, poi la Turchia
con 23 e l’Italia con 16, infine l’Impero austroungarico con 12. Da considerare che Lissa è evento
di soli nove anni prima ed era costata alla Regia
Marina la perdita di due unità corazzate.
Non si può valutare il peso di una Marina se
non si tiene conto del potenziale industriale nazionale, raffrontandolo con quello degli altri Paesi: da una significativa tabella presentata da Achille Rastelli (“La corazzata” , edizioni Mursia, Milano, 2006) risulta che nel 1870, la produzione manifatturiera italiana era il 2,4 per cento dell’am-
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In questa interessantissima immagine a lastra ripresa nel marzo del 1862 è immortalata parte dell’equipaggio dell’ironclad unionista
Monitor, dopo il combattimento con l’omologo confederato Merrimack ad Hampton Road; sulla torre dell’artiglieria sono evidenziati i
segni delle cannonate sudiste. In apertura, un disegno tecnico delle corazzate monocalibre classe “Duilio”
montare mondiale, a fronte del 31,8 britannico,
del 23,3 degli Stati Uniti, del 13,2 della Germania
e del 10,3 della Francia.
La prima, grande industria italiana era la genovese Ansaldo, fondata nel 1853, che varò la sua
prima corazzata, la Principe di Carignano, nel 1863,
ma la Regia Marina aveva in precedenza acquisito
due altre unità di analoga categoria: Terribile e Formidabile, costruite nei cantieri francesi. L’industria
nazionale non era in condizione, nei primi decenni successivi alla proclamazione del Regno d’Italia
unitario e indipendente (17 marzo 1861), di produrre navi complete “chiavi in mano”, per usare
una espressione moderna.
Una straordinaria progettualità
A fronte di questa immaturità industriale, esisteva
però una straordinaria progettualità navale, come
prova la sensazionale realizzazione delle gemelle Caio
Duilio ed Enrico Dandolo su progetto di Benedetto
Brin, varate l’una nel 1876 a Castellammare di Stabbia, l’altra due anni dopo nell’arsenale della Spezia.
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Dislocavano 11.000 t, montavano apparati
motori da 7.500 Hp della britannica Perry che
consentivano la velocità di 15 nodi; l’armamento
principale consisteva in quattro cannoni da
450/20 del peso di 100 tonnellate, senza eguali
per calibro e gittata, costruiti dalle acciaierie inglesi Armstrong, mentre le poderose piastre corazzate che raggiungevano al galleggiamento lo spessore di 550 mm erano prodotte dall’azienda siderurgica francese Schneider.
In definitiva, la Marina italiana si trovò a possedere, fatto senza precedenti e senza repliche, le navi più veloci, più protette e più armate al mondo,
grazie alla geniale progettazione nazionale anche
se ottenute con prodotti di industrie straniere.
Fu un evento che fece epoca nel mondo navale,
anche perché la Regia Marina usciva dalla grave
crisi del dopo Lissa e l’entrata in squadra del Dandolo (11 aprile 1882) veniva a coincidere con la firma della Triplice Alleanza (20 maggio 1882) che
portava l’Italia nell’orbita degli imperi germanico
e austroungarico. In quel momento, la disponibili-
to italiano nella rada di Valona,
in Albania, sempre nel 1916.
Nell’intervallo tra i due conflitti mondiali, già si avvertivano
i segni del tramonto della nave
da battaglia, poiché era chiaro,
anche se non a tutti, che in avvenire non ci sarebbe stata guerra
senza l’impiego di aeroplani, in
mare come in terra.
Le unità portaerei venivano
acquisite dalle Marine più potenti e avanzate. Molto si è detto e
scritto sulla rinuncia a questo
mezzo da parte della Regia Marina, che invece entrò in guerra
con una vigorosa linea di sette
Una cartolina illustrata, colorata a mano, risalente agli anni precedenti la Grande
corazzate. Una, la Conte di CaGuerra ci mostra la corazzata Benedetto Brin che, attraverso il canale navigabile entra in
Mar Piccolo, a Taranto, dopo l’apertura del ponte girevole
vour danneggiata nel corso dell’attacco degli aerosiluranti inglesi a Taranto (11 novembre
tà, da parte dell’Italia, di navi al di sopra di quelle
1940) non rientrò più in squadra. La Roma, una
della concorrenza fece dunque scalpore.
delle tre splendide e nuovissime “trentacinquemiIn una relazione dell’ammiragliato britannico
la” (in realtà il dislocamento a pieno carico ragè scritto: “…l’Italia dispone di due navi ultrapotenti:
giunse e superò le 42.000 tonn.), affondata il 9
la Duilio e la Dandolo.” ; la Marine Nationale
settembre 1943, dopo l’accettazione dell’infausto
francese faceva eco: “…l’Italia ha ultimato la Duiarmistizio, a seguito di un attacco aereo tedesco,
lio, che è la più forte macchina da guerra che l’arte
con buona parte dell’equipaggio (oltre mille uonavale abbia creato”. Dal canto suo il senatore stamini caduti) compreso l’ammiraglio Carlo Bergatunitense Bonjiean faceva eco da Washington:
mini, Comandante in Capo la Squadra navale.
“La sola Duilio della Marina italiana potrebbe diLe altre due, Littorio (ribattezzata Italia dopo la
struggere tutta la nostra flotta”.
caduta del governo Mussolini il 26 luglio 1943) e
Fu gloria autentica ma breve, perché il progresso
Vittorio Veneto, entrambe costruite nei cantieri geprocede a marce forzate e alle due regine del mare
novesi Ansaldo, furono demolite a guerra finita,
fecero seguito Italia e Lepanto, poi incominciò la viin ottemperanza al diktat imposto dalle potenze
cenda coloniale, il rafforzamento dell’industria navincitrici.
zionale, e la Prima Guerra Mondiale che vide le corazzate delle
Marine belligeranti sostenere il
ruolo di prime donne.
Mine e sabotaggi
La Regia Marina non impiegò
le sue corazzate in battaglia ma
nondimeno ne perdette tre: la
Benedetto Brin, vittima di sabotaggio all’interno del porto di
Brindisi nel 1915, la Leonardo da
Vinci, anch’essa sabotata all’interno della base navale di Taranto nel 1916, e la Regina Margherita, incappata in un campo mina-
Il recupero della corazzata Leonardo da Vinci, affondata in Mar Piccolo, sempre a
Taranto, per un atto di sabotaggio nel 1916; il quadrante appeso al timone serve a
controllare gli sbandamenti dello scafo
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La triste fine di una storia e di un’epoca: una delle due torri
prodiere del Littorio nell’arsenale di La Spezia, dopo che i
demolitori hanno tagliato le canne dei pezzi di grosso calibro
In questa tavola di Achille Beltrame per la Domenica del
Corriere il disegnatore ha illustrato i palombari al lavoro sul
fondo del porto di Taranto per recuperare il Leonardo da Vinci
La scure del diktat
Delle altre tre rammodernate: Giulio Cesare,
Andrea Doria e Caio Duilio, la prima venne consegnata all’Unione Sovietica in base alle condizioni
coattive del Trattato di Pace, mentre le rimanenti
due furono cedute dagli angloamericani all’Italia,
ma con l’obbligo di disarmarle e demolirle. Una
triste fine per l’orgogliosa stirpe delle regine italiane del mare.
Capitoli integranti della storia della corazzata
come strumento di guerra, ma anche come prodotto di sintesi, si riferiscono alle situazioni delle
industrie che le producevano e agli sviluppi della
tecnologia che ne informava la costruzione. Il che
naturalmente induce a considerare le figure umane di rilievo legate all’evoluzione centenaria delle
fortezze del mare, come, per quanto concerne l’Italia, i grandi geniali progettisti Benedetto Brin e
Umberto Pugliese.
Il tramonto della nave da battaglia, portatrice
delle grandi artiglierie, coincide con l’affermarsi
del mezzo aereo ed è accaduto, nel corso della Seconda Guerra Mondiale, l’imprevedibile: battaglie
navali ingaggiate e risolte, come alle Midway, senza che le formazioni avversarie neppure pervenissero a contatto balistico.
Suggestiva coincidenza, anche la parabola esistenziale del magnifico colosso della marina mercantile: il transatlantico, si è conclusa nel volgere
di un secolo, in parallelo con la corazzata, e questa è un’altra storia affascinante, che ha lasciato
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nostalgia e rimpianto nel veterani del mare.
Una bella tavola pittorica ci mostra il Littorio in navigazione ad alta velocità; sulla prora sono visibili le bande oblique bianche e rosse
per l’identificazione aerea
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