Odilia Piscedda sull`Unione Sarda 2

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Odilia Piscedda sull`Unione Sarda 2
CULTURA
L'UNIONE SARDA
GIOVEDÌ 20 MARZO 2003
37
Mostre. A Prato le fotografie dell’artista cagliaritana
Odilia e le seduzioni
in bianco e nero
A
Prato, Palazzo Novellucci, prestigiosa
sede storica del Consiglio Provinciale, è
visitabile fino a domenica una
personale di Odilia, artista-fotografa cagliaritana di formazione recente, ma già molto
accreditata nel mondo specialistico del bianco e nero.
Ripetutamente segnalate negli spazi elitari di alcune importanti riviste professionali
del settore, le immagini della
sua Nikon FM2 cominciano a
essere diffuse anche sui circuiti della fruibilità allargata
e non sorprende che, da qualche anno, il nome dell’artista
ricorra con crescente frequenza in ambiti non confinabili nello spazio circoscritto
degli addetti ai lavori.
La mostra si presenta di insolito livello in tutti i suoi momenti, e ha per oggetto dominante e quasi esclusivo il nudo femminile. La forte prevalenza del nudo sembra essere
più coerente al senso generale della proposta e aderisce
meglio, senza dubbio, al progetto di fondo dell’esposizione. Come lascia capire Oltre
lo sguardo - il titolo tematico
che lega questo gruppo di gigantografie -, l’assunto primario della ricerca sta nel bisogno di dare una risposta
non banalizzante al problema
conoscitivo messo in campo
dall’opposizione tra guardare e vedere, e forse lo si potrebbe individuare meglio
nello sforzo compiuto dall’artista per non deprimere come
negatività dialetticamente infrequentabile il momento sensuale di un guardare tutto immerso e coinvolto. Di fatto, se
il vedere di Odilia aspira a fermare l’aura e a rendere visibile la qualità sfuggente del
bello auratico, è sorprendente che l’approdo finale della
sua ricerca non discenda mai
dalla negazione di ciò che auratico non è ancora, ma nasca
dall’attraversamento contemplativo degli aspetti che appartengono alla sfera della
bellezza corteggiata dai sensi.
Si tratta, nell’insieme, di un
procedere che evoca suggestioni neoplatonizzanti e che
sembra incrociare a più riprese gli antichi sentieri della
gnosi. Di tipo gnostico è, per
esempio, lo sforzo di oltrepassare il visibile in direzione auratica, così come di tipo
neoplatonizzante è il tentativo di rintracciare l’ineffabile
nella fisicità del bello sensibile o di far scaturire il sublime
dalla presenza non allontanabile del qui-ora corporeo.
Tuttavia, non è difficile rendersi conto del fatto che il percorso è anche più complesso
e che a queste considerazioni
andrebbero Intitolare Oltre lo
sguardo una mostra che la
forza delle immagini indurrebbe a collocare sotto il segno del più occhiuto guardare vuol dire costruire un ossimoro e giocare in modo scoperto sulle ambivalenze della
sua pregnanza. Da una parte
vuol dire avvertire il visitatore che il vero significato di ciò
che è oggetto della sua percezione visiva non è dato dalle
condizioni dell’immediatamente visibile, ma da qualcosa che, senza separarsene,
riesce a situarsi al di là di esso. Dall’altra vuol dire ancorare l’oltre dello sguardo a
ciò che lo sguardo immediatamente percepisce e porre
un rapporto ineludibile tra il
piano della bellezza fisica e il
piano della bellezza auratica.
Quasi a sottolineare che, nella forma della sua natura altra l’aura, malgrado l’altezza
che la fa essere inattingibile, è
pur sempre una transcrescenza sublimata del senso. Si
direbbe che, sul filo di una
propensione volta a intrecciare in modo stretto arte e pensiero, il congegno ossimorico
dell’insieme inviti ad abbandonare il piano acritico del
semplice guardare, per entrare con occhi diversi nello
spazio di un tema ritenuto da
sempre spazio elettivo del
guardare voyeristico.
Ma, attenzione. La gnosi
che si sviluppa in queste immagini, non è una gnosi che si
sottragga al gusto dialettico
della vertigine. In realtà, l’obiettivo di Odilia parte dagli
aspetti che il tema del nudo
femminile è solito offrire alle
forme subculturali del consumo feticistico, per inoltrarsi
sui sentieri difficili dell’ulteriorità simbolica, alla ricerca
delle ragioni che riescono a
far diventare bello estetico la
suggestione intensa ma poco
durevole della bellezza fisica.
È evidente che il suo atteggiamento esplorativo ha il sapore della sfida e che l’intenzione di sorprendere il segreto
empirico delle sublimità del
bello non si sottrae all’obbligo
rischioso di confrontarsi in
modo ravvicinato con gli
aspetti del fascino muliebre
che hanno il potere di esercitare seduzione. Su una linea
che va da Marcuse a NormanBrown a Cesarano, Odilia
sembra convinta che solo la
risublimazione auratica dell’eros abbia la possibilità di
promettere la salvezza di una
via d’uscita. Non per nulla,
sotto il segno dell’aura, questi
sentieri sono, qui, quelli della
poesia.
PLACIDO CHERCHI
La fotografa cagliaritana Odilia ritratta a Palazzo Novellucci, davanti ai suoi lavori.
La Galleria d’arte moderna di Bologna rende omaggio con una personale all’artista emiliano
Un labirinto di vetri infranti
“Senza titolo”, le visioni rarefatte di Claudio Parmiggiani
C
Nel labirinto di Claudio Parmiggiani.
Un percorso concepito come unico,
intenso programma iconografico,
una messa in scena formata
da quindici “stazioni”
disposte a raggiera attorno all’opera
catalizzatrice
ento metri quadrati per un labirinto di
vetri infranti, visione rarefatta, strutturata, artificiale che rimanda ad altre visioni, ad altre, attuali apocalissi. Eppure era il
1970 quando Claudio Parmiggiani (classe
1943) concepì questa superba installazione.
Fino al 30 marzo il labirinto Senza titolo costituisce il nucleo silenzioso ma pulsante della
scenografica personale che la Galleria d’arte
moderna di Bologna dedica a uno dei sommi
artisti viventi della città, con la cura di Peter
Weiermair, attuale direttore della Galleria, che
firma anche la bella monografia edita da Silvana Editoriale.
Un percorso concepito come unico, intenso
programma iconografico, quindi come una
messa in scena formata da quindici “stazioni”
(così le definisce Bruno Corà nel saggio d’apertura del catalogo, che ospita anche i contributi critici di Catherine Grenier e Jean-Luc
Nancy) disposte a raggiera attorno all’opera catalizzatrice, datata 1970-2003.
Che vuol dire che da trent’anni Claudio Parmiggiani la contempla, nell’idea e nel gesto deflagrante che si rende necessario su ciascun vetro, mai spettacolare, mai arbitrario, semmai
sofferto, riattualizzato, osato col pensiero alle
odierne ferite.
Ad aprire il percorso delle quindici sale-stazioni è Angelo, già presente alla Biennale di Venezia del ’95: due scarpe incrostate di fango
dentro un’alta teca verticale di plexiglas, contenitore di un’assenza che quelle scarpe povere riportano ad una concretezza tragica e monocroma.
Ma il senso per la pittura di un artista che dice di sentirsi inadeguato e inutile rispetto all’idea di dipingere un quadro (“Mi considero un
pittore che non fa della pittura”), viene fuori in
Psyche, stanza vuota che sfonda il suo soffitto
col volo di decine di farfalle colorate.
Leggerezza, immaterialità, assenza sono an-
che le cifre delle “delocazioni”, sindoni di oggetti o figure lasciate sul muro da un procedimento combustivo. Sono vasetti, affusolati,
panciuti, bottiglie, ampolle, che appaiono come
in un negativo, a comporre un’oggettualità
spettrale che ricorda - e vuole ricordare, quasi
si trattasse di un omaggio – la pregnante influenza dell’amico Giorgio Morandi, la cui lezione Parmiggiani ha metabolizzato e trasformato nella più poetica fra le maniere del concettuale (assieme a quella di Gino De Dominicis).
Ancora nel segno dell’omaggio a maestri antichi, la vanitas composta da un teschio e un pane ed accostata in intimo dialogo al San Gerolamo di Ribera (tela proveniente dal Museo di
Montpellier); così come ad Albrecht Dürer fa
riferimento la sala che ospita il poliedro di marmo nero intitolato Melanconia 1514-2003.
Affinità elettive col passato, dialoghi fra stanze dove la luce è sovrana, riverberata da un
pigmento giallo oro che copre interamente il
pavimento, e stanze nelle quali si è avvolti da
velari neri, o ci si perde a scrutare nella gamma di neri e grigi ottenuti da ceneri di differenti
legni, mentre una corteccia cava e bruciata si
erge sola, fantasma di un bosco che non c’è più
(Il bosco guarda e ascolta).
Fino a qualche settimana fa, a ribadire l’attenzione verso l’opera di Claudio Parmiggiani,
erano anche due installazioni contemporaneamente proposte, con la cura di Lea Vergine,
nella chiesa dei Santi Agata e Carlo e nella Sinagoga di Reggio Emilia: rispettivamente una
grande croce bizantina, composta sul pavimento della navata centrale e formata da novantatré contenitori di pigmenti colorati e di
polveri, come incenso, caffè, cannella, paprica,
papavero; e una sorta di barca a vela nera, in
omaggio all’arca ebraica e a tutte le sinagoghe
della terra.
Dal museo d’Arte Contemporanea di Calasetta alla Galleria G28 di Cagliari
Si nutrono dei colori del Nepal
le voluttà oniriche di Malla
I
ncontri, sinergie, partecipazioni. Da una collaborazione tra il Civico Museo
d’Arte contemporanea di Calasetta e la Galleria G28 di Cagliari è nata la mostra del pittore nepalese Keshav Malla.
L’idea è quella di poter esportare oltralpe l’opera di alcuni
fra gli artisti più importanti
operanti in Sardegna e trasferire nello spazio di Cagliari il
lavoro di operatori europei,
con un particolare riguardo a
Parigi, capitale dell’arte sperimentale, città in cui Malla
vive ormai dal 1967 e dove ha
conseguito il diploma alla
Scuola Nazionale Superiore di
Belle Arti. Voluttà oniriche è
il titolo di questa personale
(sino al 28 marzo) in cui ai ri-
cordi della terra d’origine
l’autore attinge da istanze linguistiche diverse, che traduce in una fabulazione piena di
misteriose risonanze. Questo
suo raccontare si lascia sedurre dai solari colori nepalesi, dai continui riferimenti alle tessiture del mondo artigianale e dal paesaggio alluso
più che descritto attraverso
macchie, tratteggi, piccoli tocchi di pennello. Figlio dei paesaggi e della cultura del Nepal, questo artista descrive
frammenti di mondi reali e
in modo libero e spontaneo
rievoca verdi pianure, distese lagunari, larghi estuari,
profondità marine, colline
dalle cime ondulate. Lo fa con
grande naturalezza astraen-
do dalla realtà immagini fantastiche e rapide, con una pittura di gesto che esplode in
improvvise deflagrazioni cromatiche e in una fluidità di
forme sempre circoscritta all’interno della geometria dello spazio. Geometria che è un
mezzo per organizzare ma
non limitare un fare più lirico
che formale, una scrittura di
pura effusione connotata dai
ricordi, dalla memoria. Così
tra segni e fondo c’è un continuo interscambio, un ritmo
perenne, che transita dinamicamente da un punto all’altro.
Anche l’impressione di caos
negli sfondi carichi di mistero,
nelle tessiture screziate è ingannevole: tutto risponde a
un equilibrio (formale, spa-
ziale e cromatico) che è dettato da un principio ordinatore. Infatti – scrive lo storico
dell’arte Fernand Fournier –
in questi quadri «si vuole raggiungere una verità fuori del
tempo della storia; ricercarla
negli arcani dello spirito ha
senso nella misura in cui lo
spirito è, nel suo sfondo, della stessa natura del tutto, o se
si vuole, che il tutto è spirito.
La dimensione spirituale di
questa pittura non solleva alcun dubbio: lo dice chiaramente la volontà deliberante
del pittore, di aprire lo spazio
all’infinito sino alla vertigine,
imprimendo una plasticità
propria all’evocazione di un
dinamismo cosmico».
MARIA DOLORES PICCIAU
Keshav Malla, Acrilico su tela. 2001.
RAFFAELLA VENTURI
MOSTRE/1
Al Lazzaretto
MOSTRE/2
A Parma
Se Icaro
Il Medioevo
vola
europeo
su Cagliari di Le Goff
Nel centenario della storia
dell’aeroplano (risale al
dicembre 1903 il primo
decollo di un aereo a motore
ad opera dei fratelli Wright),
il Centro Culturale Lazzaretto di Cagliari, in collaborazione con l’Aeroclub di
Cagliari organizza “Icalaris”,
una interessante mostra
dedicata al mondo dell’aviazione.
L’esposizione, curata dall’Associazione Artificio e
sponsorizzata dalla SOGAER
di Cagliari, si inserisce nel
quadro delle manifestazioni
promosse dall’assessorato
comunale alla cultura.
Suddivisa in numerose
sezioni (all’inaugurazione
erano presenti l’assessore
Giorgio Pellegrini, che ha
svolto una relazione, e Marcello Spiga, presidente dell’Aeroclub Italia), la mostra
presenta diversi motivi di
interesse: dalla presenza di
alcuni aerei storici, come un
rarissimo Macchi Mazzocchi
MB 308 risalente agli anni
immediatamente successivi
alla seconda guerra mondiale e un Oscar Partenavia
P64 ad ala alta, ad un simulatore di volo nel quale i
visitatori potranno sperimentare in prima persona
l’emozione di pilotare un
velivolo. Ricco il materiale
esposto: da una collezione di
modelli, ad un esposizione
di fotografie aeronautiche di
alta qualità, ad apparecchi
radio, fra cui quello in dotazione nel Boeing B29 (quello
delle bombe su Hiroshima e
Nagasaki). Fino al 2 giugno
dal martedì alla domenica:
9.30/13 16/19.30
Capolavori d’ arte ma
anche oggetti della vita quotidiana, manoscritti, sigilli,
arazzi, candelabri, miniature, opere di diversa natura
e provenienza, sono stati
scelti dallo studioso per “Il
medioevo europeo di
Jacques Le Goff”, mostra
che sarà inaugurata a
Parma il 27 settembre dal
presidente della Commissione europea Romano Prodi.
Il palazzo della Pilotta ospiterà la sintesi della ricerca
di uno dei più importanti
studiosi del Medioevo come
Le Goff, in una esposizione
che racchiuderà l’ essenza
stessa dell’ Europa, le sue
origini, i tratti comuni delle
nazioni che la compongono,
i passaggi storici che ne
hanno caratterizzato la
nascita, lo sviluppo, la
presa di coscienza dell’ unitarietà attraverso il filo conduttore del Cristianesimo.
«Fin dalle sue origini l’
Europa - ha scritto Le Goff dimostra che l’ unità può
nascere dalla diversità delle
nazioni: nazioni europee e
unità europea sono legate».
E attorno agli oggetti
saranno allestite gigantografie di monumenti e
spazi, delle cattedrali
gotiche, di chiostri romanici, di palazzi comunali,
edifici e chiese scelti in parti
diverse del continente,
spesso lontanissime tra
loro, eppure caratterizzati
da aspetti sorprendentemente comuni, come un
portale, un bassorilievo, la
figura di un santo o di un
angelo. La mostra resterà
aperta fino al 31 gennaio.