L`uomo che ritorna dalla Breccia del Muro non sarà mai lo stesso

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L`uomo che ritorna dalla Breccia del Muro non sarà mai lo stesso
L’uomo che ritorna dalla Breccia del Muro non sarà mai lo stesso dell’uomo che era andato:sarà
più saggio ma meno presuntuoso, più felice, ma meno soddisfatto di sé. Più umile nel riconoscere
la sua ignoranza, eppure meglio attrezzato per capire il rapporto tra parole e cose.
(Aldous Huxley)
E’ passato più di un mese da quando siamo tornati dal nostro viaggio-Breccia. E’ passato più di un
mese in cui a poco a poco si sono ripresi i ritmi quotidiani. Finalmente oggi ho deciso di scrivere
qualcosa, la mia coscienza non potrà farmi sentire in colpa se non rileggo le lezioni di oggi.
Scrivo perché dopo lezioni di bilancio e statistica, dopo le ore di lezione nelle aule afose
dell’Università, e nei treni pieni e un po’ sporchini (non me ne voglia Michele), stasera c’è stato un
bel tramonto, proprio bello, anche se abito a Bernareggio, anche se una bella gru o un bel
capannone non possono mancare nello skyline padano brianzolo. Anzi questo tramonto, che mi
sono fermato a guardare, era quasi addolcito dalla gru, più umano. E dal “tramonto più gru”, sono
tornato alla Terra Santa coi pensieri e col cuore.
In fondo quei momenti splendidi non se ne sono mai andati dalla mente. Quei momenti così
diversi tra loro, ma tenuti insieme tutti da uno stesso denominatore, quei momenti che avresti
voluto proseguissero molto più a lungo. Dall’aereo Small Planet, ai “cinque belli Capitelli”, alle
burle di Ale Sala che spacciava la mia spazzola per scovolino pulisci WC, ai giri la sera, alle buie vie
di Betlemme e, poi, ai momenti più seri: i silenzi, bellissimi, ancor più belli perché condivisi, il
deserto, il tramonto, la riflessione in mezzo al lago, il vento così bello, così magicamente
avvolgente e trascinante del monte Tabor e di quello delle Beatitudini. Tutto questo rimane.
Rimane perché personalmente questo viaggio è stato per me una breccia, una breccia nei tanti
muri che mi rendo conto di avere, quei muri grigi, non come quello palestinese coi suoi murales,
quei muri verso persone che sento diverse da me, muri verso certe emozioni, considerate troppo
forti, esperienze troppo coinvolgenti, muri verso relazioni considerate troppo avvolgenti e muri
anche verso me stesso e verso la fede, quella fede che professo ogni domenica, quella fede che si
tenta anche di trasmettere ai ragazzi.
Tutti questi muri, che altro non sono che paure, timori che sento di portarmi avanti fin
dall’infanzia, qualche breccia l’hanno subita grazie a quella settimana. Per tanti motivi, poco
razionali, ma fantasticamente sensibili.
Perché un pellegrinaggio intenso, comunitario come quello che abbiamo vissuto, pur essendo
fatto con la nostra comunità, i nostri amici, è davvero Altro rispetto al solito, perché è un sentirsi
fisicamente accanto agli altri e a quell’Altro, che ha dato la vita per me e per noi.
Mi rendo conto in metropolitana, in treno, camminando per le vie, nella mia università, nei locali
la sera e nei tanti altri luoghi che frequento, che senza vivere davvero con un po’ di serenità i
rapporti con gli Altri e quell’altro che si chiama Gesù, davvero felice non riesco ad esserlo. Non
perché mi manchi qualcosa, anzi quando entro in università, o in metropolitana e vedo tutti,
compreso me, che seguono la propria linea retta, senza guardarsi troppo in giro, mi viene da
pensare che tutti siano realizzati, ognuno col proprio scopo ben prefissato. Poi però guardi un
sorriso, senti un abbraccio, condividi un silenzio, o perfino una preghiera, ripensi al Deserto e
capisci che quei troppi che vanno in linea retta hanno tanti muri, troppi. Molto meglio le linee
curve, sghembe e pasticciate: ho sempre odiato il disegno tecnico.
Allora se cominci a curvarti e a girarti verso gli altri, se mi volto anche alla Terra Santa, a quel senso
forte di comunità, allora mi accorgo che c’è una differenza abissale. Ti giri verso il tuo compagno
di banco che nemmeno conosci, dopo che hai fatto un anno di università con lui, scopri (come mi è
successo ieri) che viene da un paesino del Gennargentu, è in affitto a Milano da solo, con pochi
conoscenti ,ed è indietro con gli appunti perché gli è morta la nonna ed è dovuto tornare a Sassari
e ha una voglia matta di parlare con qualcuno, perfino con me che certo non sono super
espansivo. E cambia tutto.
Cominci a conoscere quella ragazza, carina sì, ok, però troppo timida, pochi ci parlano, non è di
tante parole, c’è di meglio in giro; in aula (non vedi che quelle bionde), in Locomotiva o altrove,
perché proprio lei? E lentamente ci parli e scopri che è fantastico.
Cambia tutto.
E poi la fede: e anche lì cambia la prospettiva. Già una bella svegliata me l’aveva data il mio vicino
di banco del liceo, per cinque anni: amico, grande amico, che prima di iniziare l’università, mentre
pensavo fosse in dubbio tra lettere e filosofia, mi dice che dopo una settimana sarebbe entrato in
seminario. Ed è felice, tanto. Mi manca il rapporto quotidiano con lui, le confidenze sulle boiate
dei sabato sera negli ultimi anni di superiori (ne ho fatte, non poche, anche), gli sfottò ai prof,
però penso a lui e lo vedo felice. E dopo la Terra Santa capisco ancora di più la sua scelta. Perché
anche io non posso restare indifferente a quel Gesù, dopo che ho visto fisicamente il Deserto dove
è stato tentato, il lago di Galilea, il Santo Sepolcro e il monte delle Beatitudini. Anche se c’è il prete
più palloso della diocesi a messa, non posso più essere un inerte uditore, vedere la messa come il
pre-pranzo; Quello è morto per me, l’unico in assoluto, ed è pure risorto e quando mi sforzo di
pensarci sento come il vento caldo della Terra Santa. Quel vento continua ad avvolgermi a casa, in
famiglia,nei miei rapporti, a volte belli tormentati, con mia mamma e mio papà.
Ma alla fine sento che il nostro Dio è come un abbraccio da dietro, un po’ a sorpresa, che ti viene
dato, stringe, ti meraviglia e stupisce, ti costringe a girarti indietro, verso di Lui, e poi ti volti
nuovamente avanti, allora senti che Lui comunque c’è , anche se lo dimentico per gran parte delle
mie giornate, e guarda il mondo accanto a Te, i tuoi casini, le ragazze, la metropolitana, le birre e i
mastrini di Bilancio e i teppisti preadolescenti, (cielo e gru?) E ti dice di non fermarti. Ti rende più
felice ma anche un pochino “meno soddisfatto di te”, ti dice di buttarti e abbattere i muri o
quantomeno colorarli.
Spero di non aver sproloquiato troppo, forse andrei ancora avanti, ma sarei troppo fumoso.
Ho cercato di essere sincero, tutto qui. Prima di rileggere statistica e di andare a nanna allego, una
poesia persiana del 1100, un po’ lunga e prosaica in realtà, che però mi piace, non poco.
Oh tu goccia d’acqua, tu che hai desiderato il luogo
Supremo,
dell’Oceano Primordiale, hai fatto esperienza del Vento?
Se scegli di risalire dal fondo dell’Oceano
Allora perverrai alla perfezione.
Quando sarai emerso dal mare in superficie
Sarai diventato la perla dorata della conchiglia.
Tu che non hai ancora intrapreso il viaggio, non sei affatto
Diventato perla;
tu che sei cenere, come potrai essere brace?
Tu hai compiuto il viaggio dell’Oceano in principio:
senza il viaggio come potrebbe la goccia diventare perla?
La goccia di pioggia ha innanzitutto viaggiato,
e ha costellato di gioielli gli orizzonti del pelago.
Se una perla restasse sepolta nel mare,
la perla sarebbe simile a un granello di polvere.
Ma se una perla riesce a uscire dal mare,
eccola con i suoi riflessi dorati alla superficie dell’acqua.
Quando la foglia del gelso ha abbandonato il suo legamento,
allora riappare seta e raso.
Se il viaggio non avesse tale finalità,
le costellazioni avrebbero un istante di riposo.
Se il viaggio non avesse una tale funzione,
la luna nuova al termine del suo periplo non sarebbe mai piena.
Oh tu, amico gentile, non andartene così in fretta
Sfuggi per un attimo al recinto dei quattro umori.
Prendi il volo per un istante verso il luogo dello spazio abolito,
il lamakan (non luogo);
evadi per un istante dal pianeta, affrancati dal tempo.
FARID AL-DIN ATTAR