la crisi. del libano
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Giugno 1976 970. Libano 1 LA CRISI . DEL LIBANO di GIANPAOLO SALVINI Tra la sostanziale indifferenza delle grandi potenze si sta consumando da pil't. di un anno la tragedia del Libano. Quattordici mesi di sanguinosa guerra civile in un territorio che di guerre, in passato, ne ha conosciute moltissime, ma forse mai così violente, hanno già provocato disastri il cui bilancio è terrificante: circa 25.000 morti e oltre 79.000 feriti (esclusi i palestinesi e i militari dell'esercito regolare) su una popolazione di poco più di 2 milioni e mezzo di abitanti, una .flori(la economia praticamente distrutta, e soprattutto una convi. ven za sociale pacifica tra gruppi diversi, che sembrava di esempio al nostro mondo agitato, forse irrimediabilmente compromes.~a. Il sangue sparso nel Li. bano difficilmente può essere imputato a ww parte sola, o ad un'unica causa, interna o internazionale. Forse anche per questo, non potendosi cioè facilmente strumentalizzare gli avvenimenti a favore di una parte, o di un'ideologia, se ne parla relativamente poco. Ciò non toglie che siano in molti ad avere la loro parte di colpa in questa guerra fratricida. Il Libano, infatti, pur non essendo rimasto coinvolto direttamente in alcuni conflitti (come quello arabo-israeliano), ha finito per essere una cassa di risonanza di tutte le forze politiche che lo attorniano o che hanno interessi nel Medio Oriente, e delle tensioni tra loro esistenti. 1. Le comunità etnico-religiose del Libano: retrospettiva storica e realtà attuale. Il Libano è da secoli un luogo di rifugio. A questa sua caratteristica deve alcuni dei suoi tratti più tipici, che possono aiutare anche a capirne la situazione attuale. Colonizzato dai Fenici, poi romanizzato, nel 395 il Libano passò sotto la dominazione bizantina sino alla sua conquista da parte dell'Islam nel sec. VII. A quell'epoca, comunque, il Libano era già divenuto il rifugio di ogni sorta di eterodossi, di aderenti cioè a forme religiose in disaccordo con quelle ufficiali. La struttura geografica del Paese, piuttosto chiusa, dominata dalla catena del Monte Libano, che coi suoi 3.000 metri di altezza e la sua abbondanza di acque costituisce un'ecce- l '' ' -389- zione in quella regione, favorì certamente questa vocazione del Libano ad essere zona di rifugio (l). l. Tra le prime comunità cristiane stabilitesi in territorio libanese ci furono quelle nestoriane e giacobite, che raggruppano oggi solo qual· che migliaio di seguaci. Assai più consistente fu invece la comunità maronita che nel sec. VII cominciò ad insediarsi sulle montagne e nelle vallate della parte settentrionale della catena del Libano da dove non venne più sloggiata. I maroniti costituiscono anche oggi la più importante comunità libanese, valutata in circa 600.000 persone, e considerata il 29% della popolazione (2) . Fedeli al Concilio di Calcedonia giunsero nel Paese per sfuggire alle persecuzioni dei monofisiti e si mantennero sempre nell'ortodossia. Ancora oggi essi sono tutti in comunione con Roma , pur conservando una certa autonomia (il loro patriarca è eletto dai vescovi maroniti e successivamente confermato dal papa) e una propria liturgia bilingue, siriaca e araba. 2. Verso la metà del sec. X apparvero in Libano i drusi, che costituivano una setta esoterica musulmana e come tali venivano perseguitati dai musulmani ortodossi (i cosiddett i sunniti). I drusi, espulsi p erciò dalla Siria e dall'Egitto, vennero a stabilirsi nel sud del Libano, dove si trovano tuttora. La comunità drusa (valutata oggi in 140.000 persone), insieme a quella m aronita, determinò il destino socio-politico del Paese sino a lla fine del secolo scorso (3). La componente cristiana, già nettamente maggioritaria con i m aroniti, venne consolidando la sua prevalenza numerica con l'afflusso lento, ma continuo, di a ltri cristiani provenienti specia lmente dalla Siria e appartenenti a varie Chiese orientali, ai quali si aggiunser o più tardi i cattolici latini (arrivati specialmente con i Franchi partecipanti alle crociate), i protestanti, i siriani cattolici e ortodossi, i caldei, i nestoriani, ecc. Oggi si contano circa 200.000 greci-ortodossi e 200.000 greci-cattolici di r ito orientale. (l) Il Libano copre una superficie di 10.400 kmq . (all'Incirca pari a quella delle Marche o degli Abruzzi) e conta una popolazione di circa 2.600.000 abitanti. Cfr. alla voce Ltban de «La Grande Encyclopédie Larousse )), Parigi 1974, vol. 12•, X.P., La géographte, pp. 7109 ss. ; P.R. e J .S., L ' htst otre du Ltban, pp. 7113 ss. (2) I dati non sono mai ufflclal1, poichè l'ultimo censimento pare sia stato fatto nel 1932. Nel Libano vivono comunque circa 17 comunità diverse. Le cifre da noi riportate sono spesso contestate da ognuna delle parti, ma In ogni caso nessuno studioso sembra attribuire una netta maggioranza a uno del gruppi, a meno di aggiungere al musulmani t 300/ 400.000 siriani (85% musulmanl) e i 400.000 palestinesl circa (per 1'85% musulmanl) che vivono o lavorano nel Paese. Pare comunque che in seguito alla maggiore prolit!cltà delle famiglie musulmane e alla costante emigrazione del cristiani, la proporzione si sia spostata a favore del musulmani. La comunità più numerosa sarebbe oggi quella dei musulmanl scilti. (3) Cfr. J.-P. ALJ!M, Le Ltban, Presses Universltaires de France, Parigi 1963, passirn, e J .·B. LIVIO, Un potnt de rencontre: le Proche-Ortent, In cc Cholslr )), febbraio 1976, pp. 3 ss. -390- 970. Giugno 1976 Libano 2 'I drusi comunque, benchè in minoranza, furono determinanti nella storia libanese. Il Libano conobbe una vera epopea, nel sec. XVII, grazie appunto all'emiro (druso) Fakr al-Din II, il quale per oltre trenta anni difese contro i turchi l'autonomia del Libano che potè così compiere la sua prima esperienza politica unitaria. Benchè i trionfi militari non fossero destinati a ripetersi in seguito, le lotte da lui guidate consacrarono di fatto l'autonomia libanese e mostrarono agli arabi anche la debolezza dell'impero ottomano (4). 3. L'abbandono della tradizionale politica di tolleranza religiosa portò nel sec. XIX a w1a persecuzione dei drusi, che si rivoltarono allora con l'aiuto dei turchi, allarmati dal forte nazionalismo libanese. Nel 1860 si ebbero così numerosi massacri di cristiani che causarono circa 20.000 vittime. L'ordine venne ristabilito dalle potenze europee, che delegarono la Francia a intervenire. Le truppe francesi del gen. Beaufort d'Hautpoul obbligarono nel 1861 i turchi a concedere l'autonomia amministrativa al « Monte Libano ». Benchè si trattasse solo di un << miniLibano», privo delle pianure costiere e dei porti di Saida e Beirut, esso riuscì a salvare l'ideale nazionale sino alla prima guerra mondiale. 4. Durante tutto il secolo scorso il Libano, arabo e cristiano, divenne simbolo della resistenza dei Paesi arabi contro il dominio turco e offrì quindi motivi per divenire luogo di rifugio anche di patrioti arabi musulmani ortodossi. La presenza dei sunniti (che formano la grande maggioranza dell'Islam mondiale) in Libano dat a da quest'epoca. La loro comunità conta oggi circa 500.000 membri e viene ufficialmente considerata la più nwnerosa comunità musulmana del Paese. In realtà sembra oggi ch e la più numerosa sia ormai la comunità degli sciiti valutati in poco più di 500.000 (ma che rappresentano un ramo secondario dell'Islam mondiale, di cui costituiscono non più del 10%), presente da secoli nel Libano. Sono assai più poveri dei sunniti e questo spiega anche i minori legami con i maroniti (assai più abbienti, in media), che contano invece numerosi sostenitori tra i sunniti. 5. Dopo l'inizio della prima guerra mondiale, i turchi, appoggiati dai tedeschi, tornarono nel Paese, dove processarono e giustiziarono molti patrioti arabi, sia cristiani che musulmani. Negli anni successivi si rifugiarono nel Libano prima numerosi armeni (oggi valutati in circa 180.000) sfuggiti alle persecuzioni e ai massacri organizzati dai turchi e, pochi anni dopo, anche molti curdi cacciati a loro volta dalla Turchia negli anni '30, dopo la loro rivolta, che vennero cosi a ritrovarsi accanto agli armeni che essi stessi avevano contribuito a massacrare pochi anni prima. (4) Cfr. P .R. e J. S., L'htstoire du Ltban, clt., pp. 7114 s. -391- 6. Con la liberazione di quasi tutto il mondo arabo dal dominio turco alla fine della prima guerra mondiale, anche il Libano se ne emancipò, ma venne sottoposto a mandato francese, insieme alla Siria, "sinchè non fosse stato in grado di autogovernarsi>>. La Francia diede al Libano uno Statuto, e ne ampliò il territorio, riportandolo ai confini del tempo di Fakr al-Din (il cosiddetto «Grande Libano»), includendovi i porti e la vallata cerealicola della Bekaa, in modo che il Paese disponesse di risorse economiche sufficienti per svilupparsi. Nel 1926 il Libano divenne ufficialmente una repubblica, pur rimanendo sotto mandato. A causa della seconda guerra mondiale, l'indipendenza completa, accordata dai francesi nel 1941, divenne operante solo a partire dal 1943. Ma solamente nel 1946 le truppe straniere abbandonarono definitivamente il Paese. Il legame con la Francia comunque, dal punto di vista culturale, commerciale, ecc. rimase notevole e anche attualmente la Francia è certamente il Paese occidentale più presente e più interessato alle vicende libanesi (5). 7. Per completare il quadro delle comunità presenti in Libano converrà m enzionare quella degli ebrei (oggi circa 5.000), che sinora erano sempre stati difesi contro ogni persecuzione dall'esercito libanese e dai loro amici cristiani e drusi. Il loro numero comunque diminuisce costantemente a causa dell'esodo a cui li spinge l'inquietudine per le ultime vicende mediorientali. Benchè le comunità confessionali veramente importanti siano sei, la presenza di tutte le altre contribuisce in modo significativo a fare del Libano un mosaico di confessioni religiose. 8. Converrà aggiungere, per dare un quadro più completo della popolazione libanese, che, dalla metà del secolo scorso in poi, il Libano ha alimentato una forte diaspora nel mondo. Oggi vivono fuori del Libano oltre un milione di libanesi, sparsi un po' dovunque, ma particolarmente negli Stati Uniti (400.000 circa), in Brasile (350.000), nell'Africa nera, in Venezuela (6) . La loro diffusione ha avuto una importanza notevole dal punto di vista economico anche per il Paese di origine, sia per le rimesse degli emigrati sia perchè i loro capitali hanno costituito il punto di partenza per uno straordinario sviluppo finanziario. Beirut in particolare era divenuta negli ultimi anni un centro finanziario e bancario di primo ordine, favorita dalla sua posizione, dall'indipendenza politica e dalla larga apertura internazionale di cui il Libano aveva sempre dato prova. (5) Cfr. F. GABRIELI, Il mondo arabo nell'ultimo cinquantennio, in PH. K. Htrri, Storia degli arabi, La Nuova Italia, Firenze 1966, appendice, pp. 872 ss. Cfr. anche l 'appello del 27 marzo 1976 di mons. Etchegaray, presidente della Conferenza episcopale francese, In « La Documentatlon Cathollque », 18 aprile 1976, p. 366. (6) Cfr. E . SAFA, L'émtgratton ltbanatse, L.G.D.J., 1961. -392- Giugno 1976 970. Libano 3 L'improvvisa r icchezza che il petrolio ha apportato agli arabi sembrava trovare in Beirut la sede più idonea com e struttura bancaria di so· stegno. L'esistenza poi di un porto franco, nonchè una legislazione favo· revole, avevano finito per fare del Libano la «Svizzera del Medio Oriente>>, anche come luogo di rifugio di capitali e di evasori fiscali, oltre che come naturale luogo di incontro tra l'Occidente e tutto il retroterra arabo. 2. Le strutture politiche libanesi. Lo S tato libanese nella sua attuale configu razione è nato da un «patto nazionale» del 1943 che rappresenta un com promesso, non scritto, stipulato alla vigilia dell'indipendenza tra le varie comunità. I maroniti rinunciavano alla secolare protezione francese, accettavano il volto « arabo >> del Libano e il suo ingresso nella Lega Araba, in cambio della presidenza della Repubblica, del comando dell'esercito e della maggioranza alla Camera in ragione di 6 a S. Privilegi, questi, giustificati a q uel tempo dal fatto che i maroniti erano non solo la maggioranza, ma anche la parte più evoluta della popolazione. Per tener conto della pluralità di comunità esistenti nel Libano venne creato un originale sistema politico, noto come « confessiona· lismo », secondo il quale una opportuna ripartizion e dei posti dell'amministrazione pubblica fra tutte le comunità avrebbe dovuto assicurare l'unità del Paese e un con senso nazionale {7). Così, com e si è detto, per consuetudine (non per una esplicita disposizione della Costituzione) il presidente della Repubblica è un maronita, il presidente del Consiglio dei ministri è un sunnita e il presi· dente della Camera è uno sciita. I mandati parlamentari e i ministeri sono ripartiti tra tutte le comunità in base alla loro consistenza numerica, calcolata però sui dati ufficiali desunti da rilevazioni ormai contestate che stabiliscono una m aggior anza cristiana del 53% e una minoranza musulmana del 45%. Un nuovo cen simento darebbe oggi risultati probabilmente differenti, ma forse per timore di vedere compromesso un fragile equilibrio, si è preferito non effettuare nuovi com puti esatti, suscitando così ovvi scontenti (8) . Il capo dello Stato ha di fatto numerosi poteri (tra cui quello di revoca re i ministri ), che lo mettono in grado di controlla re l'esecutivo; dispone dell'iniziativa legislativa; può promulgare senza l'assenso del parlamento i progetti di legge ritenuti ur genti, o sui quali la Camera non si sia pronunciatél entro 40 giorni; può sciogliere la Cam era. Questa ultima viene eletta ogni quattro anni a suffragio universale e potrebbe (7) Cfr. F. TANA, Con{esstonaltsmo ln crlst nel Libano, In <<Relazioni Internazionali >>, 5 luglio 1975, pp. 664 s. (8) Cfr. anche nota 2. -393- teoricamente anche contrastare il governo, ma data la costante mancanza di una coerente maggioranza, difficilmente è in grado di bilanciare effettivamente il potere del presidente della Repubblica (9). 3. La questione palestinese e il Libano. Come si è visto, il Libano è sempre stato una terra di rifugio, ma la fedeltà a questa sua vocazione ospitale ha negli ultimi anni contribuito a mettere in crisi la sua stessa compagine statale. Con la costituzione di Israele alle sue frontiere meridionali, infatti, il Libano ha visto affluire all'interno dei propri confini un elevato numero di profughi palestinesi, valutati oggi in circa 400.000, dei quali il 15% cristiani. I loro campi, sit uati nel sud del Paese, sono stati spesso bersaglio delle incursioni di rappresaglia israeliane che intendevano colpire le basi di partenza dei commandos palestinesi. Molti palestinesi si sono perciò spostati più a nord, alla periferia delle città e in partico· !are di Beirut, portando con sè anche le proprie inquietudini e rivendicazioni. Questa massa di diseredati, che tutti vogliono difendere, ma che nessuno degli Stati arabi fratelli sembra disposto a sistemare a proprie spese ( 10), ha finito per compromettere gravemente l'equilibrio nazionale libanese. In base agli accordi del Cairo, sottoscritti nel 1969 sotto il patrocinio del presidente Nasser, ai palestinesi è stato concesso uno << status » giuridico, con un atto che da a lcuni è stato definito la sentenza di morte dello Stato libanese (11), tanto più che i palestinesi si sono sempre rivolti ai musulmani come interlocutori, e non al Libano in quanto tale. Ne seguì una crisi ministeriale durata circa nove mesi, di cui l'attuale primo ministro Karame porta probabilmente la maggiore responsabilità. Ad un attento osservatore non sfugge tuttavia che il Libano è probabilmente rimasto l'unico Stato nel quale i palestinesi abbiano an· cora una certa libertà di azione che ovviamente cercano di difendere con ogni mezzo. In Giordania infatti, nel settembre 1970, le artiglierie dell'esercito di re Hussein si incaricarono di ridurre al silenzio i palestinesi che costituivano ormai uno Stato nello Stato. In Siria i palestinesi sono sempre stati r igidamente controllati e mantenuti ad opportuna distanza da Damasco e dagli altri centri vitali del Paese. Il recente (9) Cfr. J. S ., Un régtme polttique origina!: le contessionaltsme, in cc La Grande Encyclopédte Larousse >>, Parigi 1974, vol. 12<', p. 7116. Cfr. anche Freeze tor a Hot War, In cc Tlme », 12 aprile 1976, pp. 12 ss. 00) Su questo problema cfr. A. MACCHI, Il problema palesttnese, in cc Aggiorna· menti Sociali», (marzo) 1971, pp. 169 ss., rubr. 971, e la bibliografia in esso citata. (11) Cfr. J. GENNAOUI, Qui a assassiné le Liban?, In cc Projet », maggio 1976, p. 590 . Cfr. anche M. CouVE DE MuRviLLE, La crtse ltbanatse et l'évolutlon du Proche·Orient, In cc Polltlque étrangère », n. 2, 1976, pp. 98 s. -394- Giugno 1976 970. Libano 4 viaggio di Hussein a Damasco e il riavvicinamento dei due governi possono essere significativi anche di questa comune politica nei confronti dei palestinesi, che da anni affluiscono in Libano anche provenendo da Siria e Giordania. Il Libano si è trovato a dover accogliere sul proprio territorio una percentuale di palestinesi assai elevata nei confronti della propria popolazione. Se si aggiunge a questo che i palestinesi sono lungi dall'es· sere uniti, si comprende facilmente quante tensioni supplementari ne siano scaturite. Non è chiaro infatti se i palestinesi intendano liberare tutta la Palestina per farne (come vorrebbe Arafat) uno Stato democratico e laico in cui far convivere ebrei, arabi e palestinesi, oppure se intenda no costituire un mini-Stato esclusivamente palestinese (12), che consentirebbe loro di ritrovare una patria e un'identità, oppure trasformare profondamente tutto il mondo arabo per farne una compagine socialista in grado di superare gli attuali nazionalismi dei diversi Stati arabi. Per i palestinesi si tratta di giocare nel Libano una carta importante, col rischio di vedersi privati dell'ultimo spazio in cui possono organizzarsi liberamente, di perdere l'appoggio siriano e di scardinare irrimediabilmente l'equilibrio dello Stato che li ospita. Pensare che il loro problema possa venire risolto all'interno del Libano è certo una illusione, ma il sistema politico internazionale si è finora dimostrato del tutto incapace di risolvere in un modo accettabile il problema delle principali vittime del conflitto arabo·israeliano, appunto quello dei palestinesi. 4. Le cause del conflitto. Dopo queste sommarie indicazioni sulla storia e sulla struttura politica libanese, tentiamo ora una sintesi delle principali cause dell'attuale conflitto. Alcune, di origine remota e più complessa, si intravvedono già dagli elementi storico-politici indicati. Le diverse comunità principali che compongono il Libano si richiamano alla comune origine araba (l'arabo è la lingua materna di tutti, eccettuati forse gli armeni) e sinora non avevano mai ceduto a tentazioni confessionali. Nel corso dei secoli gli arabi musulmani del Libano non hanno mai voluto identificarsi con i musulmani stranieri, come turchi, egiziani, ecc. Così anche i cristiani, pure identificandosi con il loro essere arabi, hanno sempre saputo distinguere, di fronte ai tentativi di discriminazione religiosa, tra le loro rivendicazioni nazionali (che condividevano con i cittadini musulmani) e la loro fede cristiana (13). (12} Cfr. J. GENNAOUI, ctt., p. 590. (13} Cfr. J. AucAGNE, Pour qut sonne le glas, In « Chol5lr ,,, gennaio 1976, pp. 12 55. -395- l. Ma quando si vuoi parlare di "consenso» nazionale, si incontra subito una prima notevole difficoltà. Vi è chi sostiene che « ad essere esatti non c'è consenso nazionale in Libano [ ... ]. Ciò che lo sostituisce è la coscienza (non espressa) che non c'è consenso fondamentale» (14 ). Il consenso sarebbe quindi fondato su una negazione. Da qui scaturirebbero una debolezza congenita dello Stato, lotte di classe che assumono aspetti confessionali, ecc. In Europa gli Stati nazionali, dopo alcuni secoli di esperienze, si sono ormai affermati, con molti vantaggi e svantaggi. Nel Medio Oriente sino a non molto tempo fa sembrava ancora possibile l'ideale di Stato-comunità, che trovava nel Libano il suo migliore esemplare. Ma ultimamente anche nel mondo arabo si sono sempre più affermati gli Stati-nazione. Inevitabilmente quindi anche la concezione su cui il Libano sembrava riposare è entrata in crisi. Questo nuovo contesto storico h a fatto emergere tutte le contraddizioni latenti in uno Stato come quello libanese, ch e sembrava averle sinora sufficientemente assorbite. 2. L'indifferenza con cui il mondo occidentale assiste alla tragedia libanese viene normalmente giustificata con l'affermazione che si tratterebbe " solo » di una guerra civile; ma, in realtà, in questa guerra si mescolano una serie di fattori tutt'altro che esclusivamente libanesi. Più che su visioni strettamente confessionali, lo scontro è anzitutto sulla diversa concezione dello Stato che cristiani e musulmani hanno (e solo in questo senso anche la religione influisce indubbiamente sul conflitto). Una mancata soluzione di questo problema influirebbe certamente anche sui 14 milioni di cristiani che vivono in territori in maggioranza islamici e che sinora guardavano al Libano come a un esem· pio di armoniosa convivenza (15). « Per i cristiani la nazione è il Libano, nazione aperta a tutti, compresi i musulmani, frutto della lotta secolare dei maroniti per sfuggire allo statuto disastroso dei cristiani nel mondo musulmano. Lo Stato deve anzitutto proteggere questa nazione libanese. L'appartenenza al mondo arabo - ammessa dagli uni, solo tollerata dagli altri - non deve in nessun caso mettere in pericolo la nazione libanese, la sua so· vranità, la sua indipendenza " (16). Se la nazione libanese, bene supremo, fosse messa in pericolo, i maroniti sarebbero disposti a qualunque sacrificio, anche a tollerare una vera anarchia politico-economica nel Paese. Tutto ciò ha evidentemente contribuito a creare un "potere ma(14) O. CARRE, « P:!ix ,, égypttenne, crise ltbanaise et cohésion arabe, In « Projet n, maggio 1976, p. 585. (15) Cfr. J.-B. Lrvro, Vtvre avec l 'lslam, In « Cholslr n, febbraio 1976, pp. 2 s. {16) J . AuCAGNE, Pour qut sonne le glas, clt., pp. 12 s. Cfr. anche J. GENNAOUI, Qut a assassiné le Ltban?, ctt., pp. 589 ss. -396- C!l_u~no 197--'6'----- - - - - - - - - - 970. Libano 5 ronita » diffidente nei confronti deli'Islam. I musulmani tendono invece a non concepire uno Stato che non sia islamico. Benchè un vero Stato islamico oggi in realtà non esista (il Pakistan ha tentato invano per trent'anni di diventarlo, prima di crollare ), alcuni Stati (Marocco, Arabia Saudita) si denominano effettivamente tali, ma, mentre un autentico islamismo dovrebbe rifiutare ogni sentimento nazionale particolarista, quest'ultimo viene invece largamente difeso da ogni Stato arabo esistente. In Libano, paradossalmente, molti musulmani si richiamano invece proprio a questo sentimento universale tipico deli'Islam p er contrapporlo alla concezione che dello Stato professano i maroniti. Per i musulmani, nonostante una certa crisi della nazione araba, si tratta poi di aderire senza ambiguità alla causa araba (identificata oggi con il conflitto dei palestinesi contro Israele). L'aver salvato il Libano dalle guerre contro Israele è stato perciò per i maroniti (ma anche per molti sunniti} un «exploit», per i musulmani un tradimento. Le pesanti rappresaglie israeliane contro i palestinesi stanziati in territorio libanese e direttamente contro il Libano (in un'incursione s ull'aeroporto internazionale di. Beirut i commandos israeliani distrussero quasi tutta la flotta aerea civile libanese) hanno solo contribuito ad esasperare maggiormente i musulmani, mostrando loro la sterilità della politica del proprio governo. Per i musulmani è l'essere arabi che più conta, per i cristiani l'essere aperti anche al mondo esterno, dove per << mondo esterno » si intende soprattutto l'Occidente. 3. Lo Stato libanese non ha mai modificato sostanzialmente le proprie istituzioni dal momento dell'indipendenza (1943), e tutti sono oggi concordi nel riconoscere che sarebbe ora di procedere a dei cambiamenti, in particolare a una « deconfessionalizzazione >>i ma ci si scontra sul modo di intendere quest'ultima. I cristiani sono disposti ad accettare questa laicizzazione purchè sia totale, cioè si estenda ad ogni aspetto della vita Jibanese, non solo alle strutture politiche. I musulmani invece vorrebbero limitare la laicizzazione alla vita politica (assegnando cioè le cariche pubbliche senza tener conto della religione cui si appartiene), e mantenere il confessionalismo sul piano della vita civile, almeno all'interno della comunità musulmana; essi cioè non sono affatto disposti ad abbandonare la legge coranica per quanto riguarda ad es. matrimoni ed eredità (17). Si tratta di un atteggiamento tipico della mentalità islamica; infatti, in tutti i Paesi musulmani l'Islam si dimostra assai tollerante verso le minoranze, ma questa tolleranza ha dei (17) Cfr. J. AUCACNE, ctt., pp. 18 s., e J.-B. LIVIO, Il est plus facile d'étre tolérant que toléré, in « Choisir »,gennaio 1976, p. 21. Cfr. anche R. CHAMUSSY, Llban: la mise à mort?, In << Etudes », marzo 1976, p. 344. -397- limiti: ad es. in nessuno Stato islamico una donna musulmana può sposare un cristiano, neppure nei Paesi socialisti come l 'Algeria o la Siria. Inoltre, in fatto di eredità, vale la legge coranica anche per i non musulmani, per cui ad es. le donne ereditano sempre meno di un uomo, ecc. E' ovvio quindi che la rivendicazione di una specie di Stato islamico all'interno dello Stato libanese sia stata accolta dai cristiani come una autentica provocazione, temendo essi di venire progressivamente assorbiti come in altri Stati arabi. 4. Il conflitto è perciò solo assai indirettamente confessionale, come del resto tutti i capi delle varie confessioni religiose, cominciando dal patriarca maronita Koraiche, hanno tenuto a dichiarare, prodigandosi per impedire che il conflitto degenerasse in scontro religioso (18). Le loro dichiarazioni sottolineano anche il nodo della giustizia sociale all'interno del Paese, dove esistono fasce di popolazione in parte emarginate o insoddisfatte. Stridente è il contrasto tra Beirut e altre zone del Paese, tra i quartieri ricchi e il popolo delle bidonvilles; arretrato è pure in alcune zone il regime della proprietà fondiaria; il liberismo economico ha accumulato sacche di miseria che spesso finiscono per essere individuate con intere comunità religiose. L'afflusso dei palestinesi, i più poveri e i più sradicati di tutti, ha finito per esasperare queste difficoltà interne, contribuendo in larga misura a farle esplodere. L'obsoleto sistema istituzionale, che avvantaggia anche sul piano sociale la componente cristiana, ormai probabilmente minoritaria, non solo non è stato in grado di evitare che la crisi degenerasse in guerra aperta, ma ha contribuito anzi ad acutizzarla. S. Risultato di questi contrasti profondi e dello spostamento costante dei delicati equilibri sui quali si reggeva il Paese, è stata la scomparsa del governo centrale, che avrebbe dovuto assicurare la coesione del Paese. Già logorato da fatti di corruzione e di malgoverno verificatisi negli ultimi anni, esso è andato progressivamente perdendo significato. Da mesi, ormai, più nessuno governa nel Libano. In q uesto senso, prima ancora di denunciare ingerenze straniere, gli stessi libanesi dovrebbero riconoscersi una buona parte delle responsabilità. Il Presidente Soleiman Frangié, maronita, si è spesso comportato come un capo-clan e ha finito per essere additato come uno dei principali ostacoli a lla pacificazione del Paese. La sua sostituzione, avvenuta nel maggio 1976 mediante l'elezione di Elias Sarkis, è stata molto laboriosa, ma finora non ha portato affatto la sospirata pace. Il (18) Cfr. La leçon des événements - Premtère lettre pastorale de S.B. An totn ePterre Khoratche, In «La Documentatlon Catholique ,, 18 aprile 1976, pp. 357 ss. Sulla posizione del capi religiosi cfr. anche M. GaESLERI, Ltbano: l'Ideologia della patrta, in tt Il Regno - Attualità ,, n . 4, 1976, pp. 71 ss. -398- Giugno 1976 970. Libano 6 Presidente eletto non è ancora succeduto a Frangié; del resto, nello stato di ingovernabilità totale del Paese, la cosa non ha rilevanza. 5. La guerra civile. l. Occasione per lo scoppio della guerra civile è stato anzitutto, nel febbraio 1975, un conflitto sorto per la concessione da parte del governo di un permesso di pesca a una società industrializzata nella regione di Saida, concessione che causò una rivolta dei pescatori locali sostenuti dai palestinesi. La dura r epressione governativa causò delle vittime e la città di Saida si sottrasse a l controllo governativo. Inoltre, il 14 aprile uno dei l eader maroniti, Pierre Gemayel, durante la cerimonia di inaugurazione di una chiesa alla periferia di Beirut si trovò coinvolto in una sparatoria causata da gli occupanti di alcune auto non identificate. Due membri del su o servizio d'ordine rimaser o uccisi. Quando sopraggiunse un camion di feddayn, inviati per provocazione, i 22 uomini che trasportava vennero u ccisi, secondo i palestinesi dai falangisti, secon do questi ultimi da provocatori . Da allora gli episodi della guerra civile si sono moltiplicati in un crescendo mostruoso: le liste dei morti si allungano paurosamente, si lotta senza esclusione di colpi. Centinaia di persone sono state sequestrate ed eliminate (per identificare i <<nemici >> basta la carta di identità, ch e in Libano porta indicata la confessione religiosa cui si appartiene). A Beirut si è combattuto casa per casa. Sono state profanate chiese cattoliche e moschee. Un camion carico di volumi del Corano è stato ostentatamente distr utto. Intere comunità di villaggi isolati sono st ate m assacrate dai combattenti delle fazioni opposte e il solco di odio e di risentimento è andato sempre più approfondendosi, tanto da sembrare ormai incolmabile. Ognuna delle parti si è sforzata di documentare le atrocità comm esse dall'altra, ma, come sempre, quando ci si impegna in una guerra spietata, il resto è solo un'ovvia , quanto tragica conseguenza. Fa parte delle assurde regole del gioco che si è scelto e in cui tutti si trovano coinvolti. 2. L'esercito, non molto numeroso (16.000 uomini), ma assai ben e quipaggiato, è un altro esempio delle contraddizioni Iibanesi. Composto in maggioranza da musulmani (60%), conta però una m aggioranza di ufficiali maroniti (60%) . Le proposte di impiegare l'esercito per sedare la guerra civile hanno sempre su scitato nei musulmani il timore che esso prendesse partito per i cristiani, come è avvenuto effettivamente quando il presidente Frangié , n el gennaio 1976, contro il parere del primo ministro (musulmano) Karame, si risolse ad impiegarlo. Il risultato è stato così la paralisi completa dell'esercito, considerato l'ultimo organismo << unitario >> del Libano, mentre ciascuno dei contendenti pre-399- feriva fidarsi assai più delle proprie milizie (cui accenneremo successivamente). Un ufficiale musulmano, il luogotenente Khatib, riuscì nei pnm1 mesi di quest'anno a organizzare un movimento di rivolta nell'esercito, una parte del quale disertò schierandosi con i palestinesi. Chiese poi la deconfessionalizzazione dell'esercito e un deciso impegno contro Israele. A questa scissione, che coinvolse alcune migliaia di soldati, seguì 1'11 marzo un colpo di Stato del gen. Aziz el Ahdab, un musulmano con ottime amicizie tra i cristiani, che si autonominò governatore provvisorio del Libano e pretese, senza riuscirvi, le dimissioni di Frangié. Il suo obiettivo era quello di rimediare al vuoto di potere creatosi, e di bloccare un 'avanzala eccessiva delle sinistre, per cercare di dar vita a un governo di unione nazionale. In questo intento il colpo di Stato è fallito e ha creato solo nuova confusione, non riuscendo a presentarsi come espressione di una terza forza in grado di superare le divisioni esistenti, ormai troppo profonde (19). 3. Dare un'idea delle forze che si combattono non è compito facile, date le contraddizioni che esistono in ciascuno dei due fronti. a) In campo cristiano ci sono anzitutto i « kataeb » (o «falangisti»), guidati da Pierre Gemayel. La traduzione italiana corrente« falangisti » ha una connotazione di estrema destra, ma il termine originario arabo è più neutro, da un punto di vista sociale. Sono stati definiti una «democrazia cristiana di tipo autoritario >> (20). Nate durante il mandato francese come forza indipendentista, le « falangi >> si riarmarono come milizia nel 1958 per contrastare le organizzazioni filonasseriane che volevano integrare il Libano nel movimento panarabo ispirato dal Presidente egiziano. I « kataeb >> hanno poi continuato ad armarsi sino a raggiungere il livello attuale di dotazione, comprendente armi pesanti in grado di controbilanciare quelle dei fedayin. Favorevoli a uno Stato forte e professanti un grande rispetto per le diverse confessioni religiose, pongono in primo piano l'attaccamento al Libano come Stato sovrano, anche se all'interno del mondo arabo. Richiamano volentieri le posizioni avanzate da essi assunte in materia sociale. Le accuse contro di essi sono dirette non tanto contro il loro programma, quanto contro il loro atteggiamento e il loro stile, definito sommariamente << fascista>>. Le loro notevoli capacità organizzative e l'inquadramento militare hanno però indubbiamente contribuito a minare quella sovranità nazionale a l cui servizio dichiarano di combattere. Sempre in campo cristiano, occorre ricordare poi la <<Lega maronita" e il << Fronte dei guardiani del cedro "• una formazione, questa ultima, assai combattiva, promossa dai monaci maroniti e che compren(19) Cfr. F. TANA, Caos nel Libano dopo il «golpe n, In <<Relazioni Internazlona· li n, 20 marzo 1976, p. 270. (20) J. AucAGNE, ctt., p. 13. Cfr. anche P. RoNDOT, Vtvre ensemble au Liban?, In << Intormatlons Cathollques Internatlonales n, 1° febbraio 1976, pp. 11 ss. -400- Glugno1_9_7_6_ _ _ _ _ __ _ _ _ _ _ __ _ __ _9_ 70.:.. _L _ Ib_a_n~_ 7 de medici, avvocati e altri professionisti. Nazionalisti intransigenti, indignati contro la corruzione dilagante, i membri del << Fronte » sono anzitutto dei combattenti con tendenze di estrema destra. Molto analogo ai « kataeb » viene considerato il <<Partito Nazionale Liberale » dell'ex-Presidente della Repubblica e attuale ministro degli interni Camille Chamoun, che ha assunto posizioni assai conservatrici e che dispone di una propria milizia. Nelle sue file militano anche molti musulmani. In tutto, i cristiano-libanesi dovrebbero disporre di circa 40.000 uomini armati, dei quali solo una minoranza combatte a Beirut. b) In campo musulmano le formazioni sono molto più composite. Vi è il «Partito Socialista Progressista », guidato da Kamal Jumblatt, un druso signore feudale, che professa un idealismo sociale sincretistico che si richiama a Tolstoi e Gandhi, e che si è rivelato assai intransigente nelle sue posizioni politiche. Si hanno poi il «Partito Popolare Sociale», il «Partito Democratico» e il «Blocco Nazionale» con capi maroniti e sunniti. Infine il « Partito Comunista Liberale » nelle cui file militano sia musulmani che cristiani. Vi sono poi molte altre organizzazioni che si richiamano all'ideologia nasseriana, in particolare il « Movimento dei Nasseriani Indipendenti Murabitun ». Nell'intrico di questa serie di partiti e di movimenti non sono soltanto gli europei a smarrirsi, ma gli stessi musulmani, che, a livello di masse popolari, hanno finito spesso per aderire a gruppi che si richiamano piuttosto a singoli leader prestigiosi, sovente di tipo feudale, come il << Movimento dei diseredati », che fa capo all'imano sciit~ Moussa Sadr. Gli sciiti sono, come si è detto, i più poveri tra i libanesi, e, situati nel sud del Paese, hanno vissuto a lungo accanto ai palestinesi dei campi profughi e ne hanno condiviso spesso le prove. Tra i palestinesi dell'OLP, il gruppo « Al Fatah » di Y. Arafat è centrista moderato, il « Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina » di G. Habash è pro-sovietico, il « Fronte Democratico e Popolare di Liberazione della Palestina >> è fi locinese, la << Saika » come pure l'« Esercito di Liberazione Palestinese » sono controllati dal partito Baas siriano, ecc. Coloro che si oppongono a ogni soluzione politica con I sraele hanno costituito il « Fronte del Rifiuto », animato· dai palestinesi più estremisti, in buona parte cristiani. c) In pratica si sono costituiti grosso modo due fronti che riuni· scono solamente le formazioni più attive di tutte quelle indicate sopra. Dal lato cristiano sono soprattutto i « kataeb » a formare l'ossatura del fronte, mentre, dal la to musulmano, sono principalmente coloro che si richiamano al << Fronte del Rifiuto ». Ma è arduo applicare sbrigativamente agli schieramenti libanesi le formule occidentali parlando di « destra cristiana » e di << forze progressiste » identificate con i musulmani. Non sono pochi infatti i musulmani, e non soltanto tra la classe -401- abbiente, che appoggiano la << destra "• mentre parecchi tra le file musulmane sono cristiani. 6. Gli Interventi esterni. Nonostante l'indifferenza mostrata da tanti Paesi, è chiaro che l'atteggiamento estero influisce in modo determinante sul caso libanese. Il Paese più interessato è ovviamente la Siria. Non sono pochi, del resto, anche in Libano (tra i musulmani e i greci-ortodossi) a sognare la « grande Siria » , che comprenderebbe anche il Libano e la cui realizzazione in passato venne sempre ostacolata dalla Francia. La Siria ha sempre accettato malvolentieri l'indipendenza del Libano (21), con cui non ha mai voluto stabilire rapporti diplomatici. La posizione siriana è comunque piuttosto ambigua. Il governo di Assad era assai vicino a Frangié da un lato, ma anche in grado di dialogare con i « musulmani progressisti >>, dall'altro. Più volte le sue truppe sono entrate in Libano per imporre una tregua prima che il crollo della situazione provocasse un intervento israeliano. Le truppe regolari siriane hanno poi spesso ripassato i confini, ma non così l'Esercito di Liberazione Palestinese (ALP) controllato da Damasco. La Siria mira a mantenere un certo controllo sul Libano, ma è anche preoccupata di assicurare la stabilità del Paese, la cui spartizione causerebbe gravi problemi anche ad essa. Il secondo interessato a quanto avviene nello Stato vicino è Israele, che ha gravi responsabilità nella genesi della guerra civile. Israele si atteggia ora a protettore dei maroniti del Libano meridionale, ma avrebbe certo visto con favore il Paese indebolito o addirittura diviso in staterelli confessionali che avrebbero potuto giustificare anche l'esistenza dello Stato, ugualmente confessionale, di Israele. Gli Stati Uniti, che già nel 1958, su invito dell'allora Presidente Chamoun, erano intervenuti militarmente nel Libano, si sono limitati a dichiarazioni (di cui si è fatto portavoce H. Kissinger) contrarie ad ogni intervento straniero in Libano. La preoccupazione americana predominante sembra ora quella di risolvere il problema di Israele, ma è chiaro che gli Stati Uniti si preoccupano di seguire da vicino le vicende libanesi. La Francia, che, come si è detto, è particolarmente interessata al Libano, considerato <<Paese amico>>, si è mossa a più riprese. n suo Presidente, V. Giscard d'Estaing, ha recentemente proposto addirittura l'invio di un corpo di spedizione francese per assicurare la pace. Il fatto che la proposta sia stata effettuata durante la sua visita negli Stati (21) crr. G. S. FRANKEL, La pax slrtana tn Ltbano, In <<Mondo Economico>>, 7 febbraio 1976, pp. 30 ss. -402- Glugno_!9~7~6______________________________________ 9_70_.__L_I_b_an_o___8 Uniti ha indotto a interpretare tale gesto come frutto di un accordo con gli americani. La reazione del mondo arabo è stata perciò unanime nel rifiutarla come un affronto alla sovranità libanese e al mondo arabo in genere (22) . L'Unione Sovietica è rimasta in disparte, nonostante la sua dichiarata simpatia per i palestinesi e la Siria, e non sembra disposta ad intervenire direttamente. Ugualmente assente è rimasta la Comunità Economica E uropea, mostrando così di non avere una vera linea politica per il Medio Orient e. Gli altri Paesi arabi mostrano simpatie più o meno scoperte per i musulmani, ma hanno venduto armi, o ne hanno favorito il transito, per ambedu e le parti in lotta. L'Arabia Saudita in particolare sembra rifornisca anche i maroniti, pur di evitare il pericolo comunista in un Paese arabo (23). 7. l tentativi di pace. I tentativi interni di risolvere il problema libanese sono stati diretti anzitutto ad assicu rare il cessate il fuoco. Dall'inizio del conflitto sino al maggio 1976 sono stat e stipulate oltre 30 tregue, ciascuna delle quali si è dimostrata più fragile dell'altra. Le autorità religiose si sono preoccupate a più riprese di creare le condizioni necessarie per un dialogo costruttivo tra le parti in conflitto, in particolare sottolineando l'infondatezza della qualifica di «confessionale» data al conflitto. I documenti da essi pubblicati e più ancora le numerose iniziative concrete testimoniano la preoccupazione di trovare le soluzioni autentiche soprattutto mediante l'instaurazione di una autentica giustizia sociale e la soluzione del problema palestin ese. I diversi capi religiosi sono rimasti costantemente in contatto tra loro; l'università cattolica St. Joseph (e specialmente il suo Istituto di cultura orientale) ha servito a lungo come punto di incontro. Nel 1975 sono giunti a Beirut tre mediatori la cui azione è stata di notevole significato: il ministro siriano degli affari esteri, Abdel-Hamid Khaddam (settembre), il card. Paolo Bertoli, inviato da Paolo VI (novembre) e Maurice Couve de Murville, ex-Presidente della Repubblica francese e inviato del Presidente Giscard d'Estaing (fine novembre) . Nessuna delle tre m ediazioni valse a riportare la pace. Solamente la (22} Cfr. M. TATU, Ltban: des troupes trançatses pour consolider un cessez-le-feu?, In « Le Monde ••· 23-24 maggio 1976, pp. l e 3. Cfr. nelle edizioni de llo stesso quotidiano dei giorni seguenti le reazioni estere alla proposta francese. (23} Cfr. F. TANA, La tragedia del Libano, In "Relazioni Internazionali n, 24 gennaio 1976, pp. 63 s. Cfr. anche J. J. DoNOHUE, The Lebanon That Was Is No More, In cc America n, 10 gennaio 1976, pp. 12 ss. -403- Siria riuscì ad imporre una tregua parzialmente rispettata, dimostrando così che il Libano si stava trasformando sostanzialmente in un protettorato siriano. Ma quello siriano è ormai più che un semplice tentativo di mediazione. Va infine notato che si è mosso pure il segretario deli'ONU, Kurt Waldheim, ma senza visibili risultati. 8. Quale futuro? Evidentemente, mentre è tuttora in corso una spietata guerra civile, è ben difficile parlare di prospettive. E' chiaro che gli avvenimenti sono sfuggiti di mano ai Jibanesi. D'altra parte la cosa più angosciosa è che non si vede a chi possa servire la continuazione della guerra: certo non al Libano, nè alla Siria, nè ai palestinesi. Più volte si è parlato di spartizione del Paese tra le varie confessioni, magari creando nel sud (nella zona di Tiro?) un mini-Stato palestinese. Ma che senso e che vitalità avrebbe uno staterello cristianomaronita di circa 600.000 abitanti? A questa spartizione si oppongono i maroniti come pure alcuni sovrani arabi, i quali hanno dichiarato che uno Stato cristiano-maronita sarebbe considerato un corpo estraneo dagli altri Stati arabi, alla stregua di Israele. Di fatto il Paese è già diviso in aree ben delimitate, anche se incastrate l'una nell'altra, con una vera frontiera tra l'una e l'altra, ma sono in molti a sperare ancora che questa situazione sia solo provvisoria. In caso di spartizione, Israele e Siria quasi certamente cercherebbero di modificare i propri confini, invadendo tratti di territorio libanese. Sembra ben difficile, comunque, che il Libano possa continuare anche in futuro a mantenere quella posizione unica tra le nazioni che lo rendeva tanto invidiato dagli altri. Il Libano, tra l'altro, era anche il solo Paese arabo in cui la stampa e la vita culturale fossero sostanzialmente libere. Se il Paese rimarrà unito, sarà indubbiamente necessario procedere a modifiche costituzionali relative ai meccanismi politici del potere, alla concessione della cittadinanza (cosa che interesserebbe soprattutto i siriani e i palestinesi residenti in Libano), e a numerosi altri punti delicati sui quali l'accordo è ancora tutto da creare. Difficilmente il Libano potrà salvarsi senza un intervento esterno, almeno per quanto oggi si può giudicare. Ma chi si assumerà la responsabilità di tale intervento? E chi ne avrà la forza? L'opera più urgente nell'immediato sarebbe quella di far comprendere ai due fronti contendenti che non può esserci «un» vincitore, ma solo due vincit0ri o due sconfitti. Qualunque parte schiacciasse l'altra, ci sarebbe in ogni caso un unico vero sconfitto, il Libano. -404-