la crisi. del libano

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la crisi. del libano
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LA CRISI . DEL LIBANO
di GIANPAOLO SALVINI
Tra la sostanziale indifferenza delle grandi potenze si sta consumando da
pil't. di un anno la tragedia del Libano. Quattordici mesi di sanguinosa guerra
civile in un territorio che di guerre, in passato, ne ha conosciute moltissime,
ma forse mai così violente, hanno già provocato disastri il cui bilancio è terrificante: circa 25.000 morti e oltre 79.000 feriti (esclusi i palestinesi e i militari
dell'esercito regolare) su una popolazione di poco più di 2 milioni e mezzo di
abitanti, una .flori(la economia praticamente distrutta, e soprattutto una convi.
ven za sociale pacifica tra gruppi diversi, che sembrava di esempio al nostro
mondo agitato, forse irrimediabilmente compromes.~a. Il sangue sparso nel Li.
bano difficilmente può essere imputato a ww parte sola, o ad un'unica causa,
interna o internazionale. Forse anche per questo, non potendosi cioè facilmente
strumentalizzare gli avvenimenti a favore di una parte, o di un'ideologia, se ne
parla relativamente poco. Ciò non toglie che siano in molti ad avere la loro
parte di colpa in questa guerra fratricida. Il Libano, infatti, pur non essendo
rimasto coinvolto direttamente in alcuni conflitti (come quello arabo-israeliano),
ha finito per essere una cassa di risonanza di tutte le forze politiche che lo
attorniano o che hanno interessi nel Medio Oriente, e delle tensioni tra loro
esistenti.
1. Le comunità etnico-religiose del Libano: retrospettiva storica e realtà attuale.
Il Libano è da secoli un luogo di rifugio. A questa sua caratteristica
deve alcuni dei suoi tratti più tipici, che possono aiutare anche a
capirne la situazione attuale.
Colonizzato dai Fenici, poi romanizzato, nel 395 il Libano passò
sotto la dominazione bizantina sino alla sua conquista da parte dell'Islam nel sec. VII. A quell'epoca, comunque, il Libano era già divenuto
il rifugio di ogni sorta di eterodossi, di aderenti cioè a forme religiose
in disaccordo con quelle ufficiali. La struttura geografica del Paese,
piuttosto chiusa, dominata dalla catena del Monte Libano, che coi suoi
3.000 metri di altezza e la sua abbondanza di acque costituisce un'ecce-
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zione in quella regione, favorì certamente questa vocazione del Libano
ad essere zona di rifugio (l).
l. Tra le prime comunità cristiane stabilitesi in territorio libanese
ci furono quelle nestoriane e giacobite, che raggruppano oggi solo qual·
che migliaio di seguaci.
Assai più consistente fu invece la comunità maronita che nel sec.
VII cominciò ad insediarsi sulle montagne e nelle vallate della parte
settentrionale della catena del Libano da dove non venne più sloggiata.
I maroniti costituiscono anche oggi la più importante comunità libanese, valutata in circa 600.000 persone, e considerata il 29% della popolazione (2) . Fedeli al Concilio di Calcedonia giunsero nel Paese per sfuggire alle persecuzioni dei monofisiti e si mantennero sempre nell'ortodossia. Ancora oggi essi sono tutti in comunione con Roma , pur conservando una certa autonomia (il loro patriarca è eletto dai vescovi
maroniti e successivamente confermato dal papa) e una propria liturgia
bilingue, siriaca e araba.
2. Verso la metà del sec. X apparvero in Libano i drusi, che costituivano una setta esoterica musulmana e come tali venivano perseguitati dai musulmani ortodossi (i cosiddett i sunniti). I drusi, espulsi p erciò dalla Siria e dall'Egitto, vennero a stabilirsi nel sud del Libano,
dove si trovano tuttora. La comunità drusa (valutata oggi in 140.000
persone), insieme a quella m aronita, determinò il destino socio-politico
del Paese sino a lla fine del secolo scorso (3).
La componente cristiana, già nettamente maggioritaria con i m aroniti, venne consolidando la sua prevalenza numerica con l'afflusso
lento, ma continuo, di a ltri cristiani provenienti specia lmente dalla
Siria e appartenenti a varie Chiese orientali, ai quali si aggiunser o più
tardi i cattolici latini (arrivati specialmente con i Franchi partecipanti
alle crociate), i protestanti, i siriani cattolici e ortodossi, i caldei, i
nestoriani, ecc. Oggi si contano circa 200.000 greci-ortodossi e 200.000
greci-cattolici di r ito orientale.
(l) Il Libano copre una superficie di 10.400 kmq . (all'Incirca pari a quella delle
Marche o degli Abruzzi) e conta una popolazione di circa 2.600.000 abitanti. Cfr. alla
voce Ltban de «La Grande Encyclopédie Larousse )), Parigi 1974, vol. 12•, X.P., La
géographte, pp. 7109 ss. ; P.R. e J .S., L ' htst otre du Ltban, pp. 7113 ss.
(2) I dati non sono mai ufflclal1, poichè l'ultimo censimento pare sia stato fatto
nel 1932. Nel Libano vivono comunque circa 17 comunità diverse. Le cifre da noi
riportate sono spesso contestate da ognuna delle parti, ma In ogni caso nessuno
studioso sembra attribuire una netta maggioranza a uno del gruppi, a meno di aggiungere al musulmani t 300/ 400.000 siriani (85% musulmanl) e i 400.000 palestinesl
circa (per 1'85% musulmanl) che vivono o lavorano nel Paese. Pare comunque che in
seguito alla maggiore prolit!cltà delle famiglie musulmane e alla costante emigrazione
del cristiani, la proporzione si sia spostata a favore del musulmani. La comunità
più numerosa sarebbe oggi quella dei musulmanl scilti.
(3) Cfr. J.-P. ALJ!M, Le Ltban, Presses Universltaires de France, Parigi 1963, passirn, e J .·B. LIVIO, Un potnt de rencontre: le Proche-Ortent, In cc Cholslr )), febbraio
1976, pp. 3 ss.
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'I drusi comunque, benchè in minoranza, furono determinanti nella
storia libanese. Il Libano conobbe una vera epopea, nel sec. XVII, grazie appunto all'emiro (druso) Fakr al-Din II, il quale per oltre trenta
anni difese contro i turchi l'autonomia del Libano che potè così compiere la sua prima esperienza politica unitaria. Benchè i trionfi militari
non fossero destinati a ripetersi in seguito, le lotte da lui guidate consacrarono di fatto l'autonomia libanese e mostrarono agli arabi anche
la debolezza dell'impero ottomano (4).
3. L'abbandono della tradizionale politica di tolleranza religiosa
portò nel sec. XIX a w1a persecuzione dei drusi, che si rivoltarono allora con l'aiuto dei turchi, allarmati dal forte nazionalismo libanese.
Nel 1860 si ebbero così numerosi massacri di cristiani che causarono
circa 20.000 vittime. L'ordine venne ristabilito dalle potenze europee, che
delegarono la Francia a intervenire. Le truppe francesi del gen. Beaufort
d'Hautpoul obbligarono nel 1861 i turchi a concedere l'autonomia amministrativa al « Monte Libano ». Benchè si trattasse solo di un << miniLibano», privo delle pianure costiere e dei porti di Saida e Beirut, esso
riuscì a salvare l'ideale nazionale sino alla prima guerra mondiale.
4. Durante tutto il secolo scorso il Libano, arabo e cristiano, divenne
simbolo della resistenza dei Paesi arabi contro il dominio turco e offrì
quindi motivi per divenire luogo di rifugio anche di patrioti arabi musulmani ortodossi. La presenza dei sunniti (che formano la grande maggioranza dell'Islam mondiale) in Libano dat a da quest'epoca. La loro
comunità conta oggi circa 500.000 membri e viene ufficialmente considerata la più nwnerosa comunità musulmana del Paese. In realtà sembra oggi ch e la più numerosa sia ormai la comunità degli sciiti valutati in poco più di 500.000 (ma che rappresentano un ramo secondario
dell'Islam mondiale, di cui costituiscono non più del 10%), presente da
secoli nel Libano. Sono assai più poveri dei sunniti e questo spiega
anche i minori legami con i maroniti (assai più abbienti, in media), che
contano invece numerosi sostenitori tra i sunniti.
5. Dopo l'inizio della prima guerra mondiale, i turchi, appoggiati
dai tedeschi, tornarono nel Paese, dove processarono e giustiziarono
molti patrioti arabi, sia cristiani che musulmani. Negli anni successivi
si rifugiarono nel Libano prima numerosi armeni (oggi valutati in circa
180.000) sfuggiti alle persecuzioni e ai massacri organizzati dai turchi e,
pochi anni dopo, anche molti curdi cacciati a loro volta dalla Turchia
negli anni '30, dopo la loro rivolta, che vennero cosi a ritrovarsi accanto
agli armeni che essi stessi avevano contribuito a massacrare pochi
anni prima.
(4) Cfr. P .R. e J. S., L'htstoire du Ltban, clt., pp. 7114 s.
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6. Con la liberazione di quasi tutto il mondo arabo dal dominio
turco alla fine della prima guerra mondiale, anche il Libano se ne
emancipò, ma venne sottoposto a mandato francese, insieme alla Siria,
"sinchè non fosse stato in grado di autogovernarsi>>. La Francia diede
al Libano uno Statuto, e ne ampliò il territorio, riportandolo ai confini
del tempo di Fakr al-Din (il cosiddetto «Grande Libano»), includendovi
i porti e la vallata cerealicola della Bekaa, in modo che il Paese disponesse di risorse economiche sufficienti per svilupparsi. Nel 1926 il
Libano divenne ufficialmente una repubblica, pur rimanendo sotto
mandato. A causa della seconda guerra mondiale, l'indipendenza completa, accordata dai francesi nel 1941, divenne operante solo a partire
dal 1943. Ma solamente nel 1946 le truppe straniere abbandonarono definitivamente il Paese. Il legame con la Francia comunque, dal punto
di vista culturale, commerciale, ecc. rimase notevole e anche attualmente la Francia è certamente il Paese occidentale più presente e più
interessato alle vicende libanesi (5).
7. Per completare il quadro delle comunità presenti in Libano converrà m enzionare quella degli ebrei (oggi circa 5.000), che sinora erano
sempre stati difesi contro ogni persecuzione dall'esercito libanese e dai
loro amici cristiani e drusi. Il loro numero comunque diminuisce costantemente a causa dell'esodo a cui li spinge l'inquietudine per le ultime vicende mediorientali.
Benchè le comunità confessionali veramente importanti siano sei,
la presenza di tutte le altre contribuisce in modo significativo a fare
del Libano un mosaico di confessioni religiose.
8. Converrà aggiungere, per dare un quadro più completo della
popolazione libanese, che, dalla metà del secolo scorso in poi, il Libano
ha alimentato una forte diaspora nel mondo. Oggi vivono fuori del
Libano oltre un milione di libanesi, sparsi un po' dovunque, ma particolarmente negli Stati Uniti (400.000 circa), in Brasile (350.000), nell'Africa nera, in Venezuela (6) .
La loro diffusione ha avuto una importanza notevole dal punto di
vista economico anche per il Paese di origine, sia per le rimesse degli
emigrati sia perchè i loro capitali hanno costituito il punto di partenza
per uno straordinario sviluppo finanziario. Beirut in particolare era divenuta negli ultimi anni un centro finanziario e bancario di primo
ordine, favorita dalla sua posizione, dall'indipendenza politica e dalla
larga apertura internazionale di cui il Libano aveva sempre dato prova.
(5) Cfr. F. GABRIELI, Il mondo arabo nell'ultimo cinquantennio, in PH. K. Htrri,
Storia degli arabi, La Nuova Italia, Firenze 1966, appendice, pp. 872 ss. Cfr. anche
l 'appello del 27 marzo 1976 di mons. Etchegaray, presidente della Conferenza episcopale francese, In « La Documentatlon Cathollque », 18 aprile 1976, p. 366.
(6) Cfr. E . SAFA, L'émtgratton ltbanatse, L.G.D.J., 1961.
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L'improvvisa r icchezza che il petrolio ha apportato agli arabi sembrava
trovare in Beirut la sede più idonea com e struttura bancaria di so·
stegno. L'esistenza poi di un porto franco, nonchè una legislazione favo·
revole, avevano finito per fare del Libano la «Svizzera del Medio
Oriente>>, anche come luogo di rifugio di capitali e di evasori fiscali,
oltre che come naturale luogo di incontro tra l'Occidente e tutto il
retroterra arabo.
2. Le strutture politiche libanesi.
Lo S tato libanese nella sua attuale configu razione è nato da un
«patto nazionale» del 1943 che rappresenta un com promesso, non scritto, stipulato alla vigilia dell'indipendenza tra le varie comunità. I maroniti rinunciavano alla secolare protezione francese, accettavano il volto « arabo >> del Libano e il suo ingresso nella Lega Araba, in cambio
della presidenza della Repubblica, del comando dell'esercito e della maggioranza alla Camera in ragione di 6 a S. Privilegi, questi, giustificati a
q uel tempo dal fatto che i maroniti erano non solo la maggioranza, ma
anche la parte più evoluta della popolazione.
Per tener conto della pluralità di comunità esistenti nel Libano
venne creato un originale sistema politico, noto come « confessiona·
lismo », secondo il quale una opportuna ripartizion e dei posti dell'amministrazione pubblica fra tutte le comunità avrebbe dovuto assicurare l'unità del Paese e un con senso nazionale {7).
Così, com e si è detto, per consuetudine (non per una esplicita disposizione della Costituzione) il presidente della Repubblica è un maronita, il presidente del Consiglio dei ministri è un sunnita e il presi·
dente della Camera è uno sciita. I mandati parlamentari e i ministeri
sono ripartiti tra tutte le comunità in base alla loro consistenza numerica, calcolata però sui dati ufficiali desunti da rilevazioni ormai contestate che stabiliscono una m aggior anza cristiana del 53% e una minoranza musulmana del 45%. Un nuovo cen simento darebbe oggi risultati
probabilmente differenti, ma forse per timore di vedere compromesso
un fragile equilibrio, si è preferito non effettuare nuovi com puti esatti,
suscitando così ovvi scontenti (8) .
Il capo dello Stato ha di fatto numerosi poteri (tra cui quello di
revoca re i ministri ), che lo mettono in grado di controlla re l'esecutivo;
dispone dell'iniziativa legislativa; può promulgare senza l'assenso del
parlamento i progetti di legge ritenuti ur genti, o sui quali la Camera
non si sia pronunciatél entro 40 giorni; può sciogliere la Cam era. Questa
ultima viene eletta ogni quattro anni a suffragio universale e potrebbe
(7) Cfr. F. TANA, Con{esstonaltsmo ln crlst nel Libano, In <<Relazioni Internazionali >>, 5 luglio 1975, pp. 664 s.
(8) Cfr. anche nota 2.
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teoricamente anche contrastare il governo, ma data la costante mancanza di una coerente maggioranza, difficilmente è in grado di bilanciare effettivamente il potere del presidente della Repubblica (9).
3. La questione palestinese e il Libano.
Come si è visto, il Libano è sempre stato una terra di rifugio, ma
la fedeltà a questa sua vocazione ospitale ha negli ultimi anni contribuito a mettere in crisi la sua stessa compagine statale.
Con la costituzione di Israele alle sue frontiere meridionali, infatti,
il Libano ha visto affluire all'interno dei propri confini un elevato numero di profughi palestinesi, valutati oggi in circa 400.000, dei quali
il 15% cristiani. I loro campi, sit uati nel sud del Paese, sono stati spesso
bersaglio delle incursioni di rappresaglia israeliane che intendevano
colpire le basi di partenza dei commandos palestinesi. Molti palestinesi
si sono perciò spostati più a nord, alla periferia delle città e in partico·
!are di Beirut, portando con sè anche le proprie inquietudini e rivendicazioni.
Questa massa di diseredati, che tutti vogliono difendere, ma che
nessuno degli Stati arabi fratelli sembra disposto a sistemare a proprie
spese ( 10), ha finito per compromettere gravemente l'equilibrio nazionale libanese. In base agli accordi del Cairo, sottoscritti nel 1969 sotto il
patrocinio del presidente Nasser, ai palestinesi è stato concesso uno
<< status » giuridico, con un atto che da a lcuni è stato definito la sentenza di morte dello Stato libanese (11), tanto più che i palestinesi si
sono sempre rivolti ai musulmani come interlocutori, e non al Libano
in quanto tale.
Ne seguì una crisi ministeriale durata circa nove mesi, di cui l'attuale primo ministro Karame porta probabilmente la maggiore responsabilità. Ad un attento osservatore non sfugge tuttavia che il Libano è
probabilmente rimasto l'unico Stato nel quale i palestinesi abbiano an·
cora una certa libertà di azione che ovviamente cercano di difendere
con ogni mezzo. In Giordania infatti, nel settembre 1970, le artiglierie
dell'esercito di re Hussein si incaricarono di ridurre al silenzio i palestinesi che costituivano ormai uno Stato nello Stato. In Siria i palestinesi sono sempre stati r igidamente controllati e mantenuti ad opportuna distanza da Damasco e dagli altri centri vitali del Paese. Il recente
(9) Cfr. J. S ., Un régtme polttique origina!: le contessionaltsme, in cc La Grande
Encyclopédte Larousse >>, Parigi 1974, vol. 12<', p. 7116. Cfr. anche Freeze tor a Hot
War, In cc Tlme », 12 aprile 1976, pp. 12 ss.
00) Su questo problema cfr. A. MACCHI, Il problema palesttnese, in cc Aggiorna·
menti Sociali», (marzo) 1971, pp. 169 ss., rubr. 971, e la bibliografia in esso citata.
(11) Cfr. J. GENNAOUI, Qui a assassiné le Liban?, In cc Projet », maggio 1976, p. 590 .
Cfr. anche M. CouVE DE MuRviLLE, La crtse ltbanatse et l'évolutlon du Proche·Orient,
In cc Polltlque étrangère », n. 2, 1976, pp. 98 s.
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viaggio di Hussein a Damasco e il riavvicinamento dei due governi possono essere significativi anche di questa comune politica nei confronti
dei palestinesi, che da anni affluiscono in Libano anche provenendo da
Siria e Giordania.
Il Libano si è trovato a dover accogliere sul proprio territorio una
percentuale di palestinesi assai elevata nei confronti della propria popolazione. Se si aggiunge a questo che i palestinesi sono lungi dall'es·
sere uniti, si comprende facilmente quante tensioni supplementari ne
siano scaturite. Non è chiaro infatti se i palestinesi intendano liberare
tutta la Palestina per farne (come vorrebbe Arafat) uno Stato democratico e laico in cui far convivere ebrei, arabi e palestinesi, oppure se
intenda no costituire un mini-Stato esclusivamente palestinese (12), che
consentirebbe loro di ritrovare una patria e un'identità, oppure trasformare profondamente tutto il mondo arabo per farne una compagine socialista in grado di superare gli attuali nazionalismi dei diversi
Stati arabi.
Per i palestinesi si tratta di giocare nel Libano una carta importante, col rischio di vedersi privati dell'ultimo spazio in cui possono
organizzarsi liberamente, di perdere l'appoggio siriano e di scardinare
irrimediabilmente l'equilibrio dello Stato che li ospita. Pensare che il
loro problema possa venire risolto all'interno del Libano è certo una
illusione, ma il sistema politico internazionale si è finora dimostrato
del tutto incapace di risolvere in un modo accettabile il problema delle
principali vittime del conflitto arabo·israeliano, appunto quello dei
palestinesi.
4. Le cause del conflitto.
Dopo queste sommarie indicazioni sulla storia e sulla struttura politica libanese, tentiamo ora una sintesi delle principali cause dell'attuale conflitto. Alcune, di origine remota e più complessa, si intravvedono già dagli elementi storico-politici indicati.
Le diverse comunità principali che compongono il Libano si richiamano alla comune origine araba (l'arabo è la lingua materna di tutti,
eccettuati forse gli armeni) e sinora non avevano mai ceduto a tentazioni confessionali. Nel corso dei secoli gli arabi musulmani del Libano
non hanno mai voluto identificarsi con i musulmani stranieri, come
turchi, egiziani, ecc. Così anche i cristiani, pure identificandosi con il
loro essere arabi, hanno sempre saputo distinguere, di fronte ai tentativi di discriminazione religiosa, tra le loro rivendicazioni nazionali (che
condividevano con i cittadini musulmani) e la loro fede cristiana (13).
(12} Cfr. J. GENNAOUI, ctt., p. 590.
(13} Cfr. J. AucAGNE, Pour qut sonne le glas, In « Chol5lr ,,, gennaio 1976, pp. 12 55.
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l. Ma quando si vuoi parlare di "consenso» nazionale, si incontra
subito una prima notevole difficoltà. Vi è chi sostiene che « ad essere
esatti non c'è consenso nazionale in Libano [ ... ]. Ciò che lo sostituisce
è la coscienza (non espressa) che non c'è consenso fondamentale» (14 ).
Il consenso sarebbe quindi fondato su una negazione. Da qui scaturirebbero una debolezza congenita dello Stato, lotte di classe che assumono aspetti confessionali, ecc.
In Europa gli Stati nazionali, dopo alcuni secoli di esperienze, si
sono ormai affermati, con molti vantaggi e svantaggi. Nel Medio Oriente sino a non molto tempo fa sembrava ancora possibile l'ideale di
Stato-comunità, che trovava nel Libano il suo migliore esemplare. Ma
ultimamente anche nel mondo arabo si sono sempre più affermati gli
Stati-nazione. Inevitabilmente quindi anche la concezione su cui il
Libano sembrava riposare è entrata in crisi.
Questo nuovo contesto storico h a fatto emergere tutte le contraddizioni latenti in uno Stato come quello libanese, ch e sembrava averle
sinora sufficientemente assorbite.
2. L'indifferenza con cui il mondo occidentale assiste alla tragedia
libanese viene normalmente giustificata con l'affermazione che si tratterebbe " solo » di una guerra civile; ma, in realtà, in questa guerra si
mescolano una serie di fattori tutt'altro che esclusivamente libanesi.
Più che su visioni strettamente confessionali, lo scontro è anzitutto
sulla diversa concezione dello Stato che cristiani e musulmani hanno
(e solo in questo senso anche la religione influisce indubbiamente sul
conflitto). Una mancata soluzione di questo problema influirebbe certamente anche sui 14 milioni di cristiani che vivono in territori in maggioranza islamici e che sinora guardavano al Libano come a un esem·
pio di armoniosa convivenza (15).
« Per i cristiani la nazione è il Libano, nazione aperta a tutti, compresi i musulmani, frutto della lotta secolare dei maroniti per sfuggire
allo statuto disastroso dei cristiani nel mondo musulmano. Lo Stato
deve anzitutto proteggere questa nazione libanese. L'appartenenza al
mondo arabo - ammessa dagli uni, solo tollerata dagli altri - non
deve in nessun caso mettere in pericolo la nazione libanese, la sua so·
vranità, la sua indipendenza " (16). Se la nazione libanese, bene supremo, fosse messa in pericolo, i maroniti sarebbero disposti a qualunque
sacrificio, anche a tollerare una vera anarchia politico-economica nel
Paese. Tutto ciò ha evidentemente contribuito a creare un "potere ma(14) O. CARRE, « P:!ix ,, égypttenne, crise ltbanaise et cohésion arabe, In « Projet n,
maggio 1976, p. 585.
(15) Cfr. J.-B. Lrvro, Vtvre avec l 'lslam, In « Cholslr n, febbraio 1976, pp. 2 s.
{16) J . AuCAGNE, Pour qut sonne le glas, clt., pp. 12 s. Cfr. anche J. GENNAOUI,
Qut a assassiné le Ltban?, ctt., pp. 589 ss.
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ronita » diffidente nei confronti deli'Islam.
I musulmani tendono invece a non concepire uno Stato che non sia
islamico. Benchè un vero Stato islamico oggi in realtà non esista (il
Pakistan ha tentato invano per trent'anni di diventarlo, prima di crollare ), alcuni Stati (Marocco, Arabia Saudita) si denominano effettivamente tali, ma, mentre un autentico islamismo dovrebbe rifiutare ogni
sentimento nazionale particolarista, quest'ultimo viene invece largamente difeso da ogni Stato arabo esistente. In Libano, paradossalmente,
molti musulmani si richiamano invece proprio a questo sentimento universale tipico deli'Islam p er contrapporlo alla concezione che dello Stato
professano i maroniti.
Per i musulmani, nonostante una certa crisi della nazione araba, si
tratta poi di aderire senza ambiguità alla causa araba (identificata oggi
con il conflitto dei palestinesi contro Israele). L'aver salvato il Libano
dalle guerre contro Israele è stato perciò per i maroniti (ma anche per
molti sunniti} un «exploit», per i musulmani un tradimento. Le pesanti
rappresaglie israeliane contro i palestinesi stanziati in territorio libanese e direttamente contro il Libano (in un'incursione s ull'aeroporto
internazionale di. Beirut i commandos israeliani distrussero quasi tutta
la flotta aerea civile libanese) hanno solo contribuito ad esasperare
maggiormente i musulmani, mostrando loro la sterilità della politica
del proprio governo.
Per i musulmani è l'essere arabi che più conta, per i cristiani l'essere aperti anche al mondo esterno, dove per << mondo esterno » si
intende soprattutto l'Occidente.
3. Lo Stato libanese non ha mai modificato sostanzialmente le proprie istituzioni dal momento dell'indipendenza (1943), e tutti sono oggi
concordi nel riconoscere che sarebbe ora di procedere a dei cambiamenti, in particolare a una « deconfessionalizzazione >>i ma ci si scontra
sul modo di intendere quest'ultima. I cristiani sono disposti ad accettare questa laicizzazione purchè sia totale, cioè si estenda ad ogni aspetto della vita Jibanese, non solo alle strutture politiche. I musulmani invece vorrebbero limitare la laicizzazione alla vita politica (assegnando
cioè le cariche pubbliche senza tener conto della religione cui si appartiene), e mantenere il confessionalismo sul piano della vita civile, almeno all'interno della comunità musulmana; essi cioè non sono affatto
disposti ad abbandonare la legge coranica per quanto riguarda ad es.
matrimoni ed eredità (17). Si tratta di un atteggiamento tipico della
mentalità islamica; infatti, in tutti i Paesi musulmani l'Islam si dimostra assai tollerante verso le minoranze, ma questa tolleranza ha dei
(17) Cfr. J. AUCACNE, ctt., pp. 18 s., e J.-B. LIVIO, Il est plus facile d'étre tolérant
que toléré, in « Choisir »,gennaio 1976, p. 21. Cfr. anche R. CHAMUSSY, Llban: la mise
à mort?, In << Etudes », marzo 1976, p. 344.
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limiti: ad es. in nessuno Stato islamico una donna musulmana può
sposare un cristiano, neppure nei Paesi socialisti come l 'Algeria o la
Siria. Inoltre, in fatto di eredità, vale la legge coranica anche per i
non musulmani, per cui ad es. le donne ereditano sempre meno di un
uomo, ecc. E' ovvio quindi che la rivendicazione di una specie di Stato
islamico all'interno dello Stato libanese sia stata accolta dai cristiani
come una autentica provocazione, temendo essi di venire progressivamente assorbiti come in altri Stati arabi.
4. Il conflitto è perciò solo assai indirettamente confessionale, come
del resto tutti i capi delle varie confessioni religiose, cominciando dal
patriarca maronita Koraiche, hanno tenuto a dichiarare, prodigandosi
per impedire che il conflitto degenerasse in scontro religioso (18).
Le loro dichiarazioni sottolineano anche il nodo della giustizia sociale all'interno del Paese, dove esistono fasce di popolazione in parte
emarginate o insoddisfatte. Stridente è il contrasto tra Beirut e altre
zone del Paese, tra i quartieri ricchi e il popolo delle bidonvilles; arretrato è pure in alcune zone il regime della proprietà fondiaria; il liberismo economico ha accumulato sacche di miseria che spesso finiscono
per essere individuate con intere comunità religiose.
L'afflusso dei palestinesi, i più poveri e i più sradicati di tutti,
ha finito per esasperare queste difficoltà interne, contribuendo in larga
misura a farle esplodere.
L'obsoleto sistema istituzionale, che avvantaggia anche sul piano
sociale la componente cristiana, ormai probabilmente minoritaria, non
solo non è stato in grado di evitare che la crisi degenerasse in guerra
aperta, ma ha contribuito anzi ad acutizzarla.
S. Risultato di questi contrasti profondi e dello spostamento costante dei delicati equilibri sui quali si reggeva il Paese, è stata la scomparsa del governo centrale, che avrebbe dovuto assicurare la coesione
del Paese. Già logorato da fatti di corruzione e di malgoverno verificatisi negli ultimi anni, esso è andato progressivamente perdendo significato. Da mesi, ormai, più nessuno governa nel Libano.
In q uesto senso, prima ancora di denunciare ingerenze straniere,
gli stessi libanesi dovrebbero riconoscersi una buona parte delle responsabilità. Il Presidente Soleiman Frangié, maronita, si è spesso comportato come un capo-clan e ha finito per essere additato come uno dei
principali ostacoli a lla pacificazione del Paese. La sua sostituzione, avvenuta nel maggio 1976 mediante l'elezione di Elias Sarkis, è stata molto laboriosa, ma finora non ha portato affatto la sospirata pace. Il
(18) Cfr. La leçon des événements - Premtère lettre pastorale de S.B. An totn ePterre Khoratche, In «La Documentatlon Catholique ,, 18 aprile 1976, pp. 357 ss.
Sulla posizione del capi religiosi cfr. anche M. GaESLERI, Ltbano: l'Ideologia della
patrta, in tt Il Regno - Attualità ,, n . 4, 1976, pp. 71 ss.
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Presidente eletto non è ancora succeduto a Frangié; del resto, nello
stato di ingovernabilità totale del Paese, la cosa non ha rilevanza.
5. La guerra civile.
l. Occasione per lo scoppio della guerra civile è stato anzitutto, nel
febbraio 1975, un conflitto sorto per la concessione da parte del governo di un permesso di pesca a una società industrializzata nella regione di Saida, concessione che causò una rivolta dei pescatori locali
sostenuti dai palestinesi. La dura r epressione governativa causò delle
vittime e la città di Saida si sottrasse a l controllo governativo.
Inoltre, il 14 aprile uno dei l eader maroniti, Pierre Gemayel, durante la
cerimonia di inaugurazione di una chiesa alla periferia di Beirut si trovò coinvolto in una sparatoria causata da gli occupanti di alcune auto non identificate.
Due membri del su o servizio d'ordine rimaser o uccisi. Quando sopraggiunse
un camion di feddayn, inviati per provocazione, i 22 uomini che trasportava
vennero u ccisi, secondo i palestinesi dai falangisti, secon do questi ultimi da
provocatori .
Da allora gli episodi della guerra civile si sono moltiplicati in un
crescendo mostruoso: le liste dei morti si allungano paurosamente, si
lotta senza esclusione di colpi. Centinaia di persone sono state sequestrate ed eliminate (per identificare i <<nemici >> basta la carta di identità, ch e in Libano porta indicata la confessione religiosa cui si appartiene). A Beirut si è combattuto casa per casa. Sono state profanate chiese cattoliche e moschee. Un camion carico di volumi del Corano è stato ostentatamente distr utto. Intere comunità di villaggi isolati sono st ate m assacrate dai combattenti delle fazioni opposte e il
solco di odio e di risentimento è andato sempre più approfondendosi,
tanto da sembrare ormai incolmabile. Ognuna delle parti si è sforzata
di documentare le atrocità comm esse dall'altra, ma, come sempre, quando ci si impegna in una guerra spietata, il resto è solo un'ovvia , quanto
tragica conseguenza. Fa parte delle assurde regole del gioco che si è
scelto e in cui tutti si trovano coinvolti.
2. L'esercito, non molto numeroso (16.000 uomini), ma assai ben
e quipaggiato, è un altro esempio delle contraddizioni Iibanesi. Composto in maggioranza da musulmani (60%), conta però una m aggioranza
di ufficiali maroniti (60%) . Le proposte di impiegare l'esercito per sedare la guerra civile hanno sempre su scitato nei musulmani il timore che
esso prendesse partito per i cristiani, come è avvenuto effettivamente
quando il presidente Frangié , n el gennaio 1976, contro il parere del
primo ministro (musulmano) Karame, si risolse ad impiegarlo. Il risultato è stato così la paralisi completa dell'esercito, considerato l'ultimo
organismo << unitario >> del Libano, mentre ciascuno dei contendenti pre-399-
feriva fidarsi assai più delle proprie milizie (cui accenneremo successivamente).
Un ufficiale musulmano, il luogotenente Khatib, riuscì nei pnm1 mesi di
quest'anno a organizzare un movimento di rivolta nell'esercito, una parte del
quale disertò schierandosi con i palestinesi. Chiese poi la deconfessionalizzazione
dell'esercito e un deciso impegno contro Israele. A questa scissione, che coinvolse alcune migliaia di soldati, seguì 1'11 marzo un colpo di Stato del gen. Aziz
el Ahdab, un musulmano con ottime amicizie tra i cristiani, che si autonominò
governatore provvisorio del Libano e pretese, senza riuscirvi, le dimissioni di
Frangié. Il suo obiettivo era quello di rimediare al vuoto di potere creatosi,
e di bloccare un 'avanzala eccessiva delle sinistre, per cercare di dar vita a un
governo di unione nazionale. In questo intento il colpo di Stato è fallito e ha
creato solo nuova confusione, non riuscendo a presentarsi come espressione di
una terza forza in grado di superare le divisioni esistenti, ormai troppo profonde (19).
3. Dare un'idea delle forze che si combattono non è compito facile,
date le contraddizioni che esistono in ciascuno dei due fronti.
a) In campo cristiano ci sono anzitutto i « kataeb » (o «falangisti»), guidati da Pierre Gemayel. La traduzione italiana corrente« falangisti » ha una connotazione di estrema destra, ma il termine originario
arabo è più neutro, da un punto di vista sociale. Sono stati definiti una
«democrazia cristiana di tipo autoritario >> (20). Nate durante il mandato francese come forza indipendentista, le « falangi >> si riarmarono
come milizia nel 1958 per contrastare le organizzazioni filonasseriane
che volevano integrare il Libano nel movimento panarabo ispirato dal
Presidente egiziano. I « kataeb >> hanno poi continuato ad armarsi sino
a raggiungere il livello attuale di dotazione, comprendente armi pesanti
in grado di controbilanciare quelle dei fedayin. Favorevoli a uno Stato
forte e professanti un grande rispetto per le diverse confessioni religiose, pongono in primo piano l'attaccamento al Libano come Stato
sovrano, anche se all'interno del mondo arabo. Richiamano volentieri
le posizioni avanzate da essi assunte in materia sociale. Le accuse
contro di essi sono dirette non tanto contro il loro programma, quanto
contro il loro atteggiamento e il loro stile, definito sommariamente
<< fascista>>. Le loro notevoli capacità organizzative e l'inquadramento
militare hanno però indubbiamente contribuito a minare quella sovranità nazionale a l cui servizio dichiarano di combattere.
Sempre in campo cristiano, occorre ricordare poi la <<Lega maronita" e il << Fronte dei guardiani del cedro "• una formazione, questa
ultima, assai combattiva, promossa dai monaci maroniti e che compren(19) Cfr. F. TANA, Caos nel Libano dopo il «golpe n, In <<Relazioni Internazlona·
li n, 20 marzo 1976, p. 270.
(20) J. AucAGNE, ctt., p. 13. Cfr. anche P. RoNDOT, Vtvre ensemble au Liban?, In
<< Intormatlons Cathollques Internatlonales n, 1° febbraio 1976, pp. 11 ss.
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de medici, avvocati e altri professionisti. Nazionalisti intransigenti, indignati contro la corruzione dilagante, i membri del << Fronte » sono
anzitutto dei combattenti con tendenze di estrema destra. Molto analogo ai « kataeb » viene considerato il <<Partito Nazionale Liberale »
dell'ex-Presidente della Repubblica e attuale ministro degli interni Camille Chamoun, che ha assunto posizioni assai conservatrici e che dispone di una propria milizia. Nelle sue file militano anche molti
musulmani.
In tutto, i cristiano-libanesi dovrebbero disporre di circa 40.000 uomini armati, dei quali solo una minoranza combatte a Beirut.
b) In campo musulmano le formazioni sono molto più composite.
Vi è il «Partito Socialista Progressista », guidato da Kamal Jumblatt,
un druso signore feudale, che professa un idealismo sociale sincretistico
che si richiama a Tolstoi e Gandhi, e che si è rivelato assai intransigente nelle sue posizioni politiche.
Si hanno poi il «Partito Popolare Sociale», il «Partito Democratico» e il «Blocco Nazionale» con capi maroniti e sunniti. Infine il
« Partito Comunista Liberale » nelle cui file militano sia musulmani che
cristiani.
Vi sono poi molte altre organizzazioni che si richiamano all'ideologia nasseriana, in particolare il « Movimento dei Nasseriani Indipendenti Murabitun ».
Nell'intrico di questa serie di partiti e di movimenti non sono soltanto gli
europei a smarrirsi, ma gli stessi musulmani, che, a livello di masse popolari,
hanno finito spesso per aderire a gruppi che si richiamano piuttosto a singoli
leader prestigiosi, sovente di tipo feudale, come il << Movimento dei diseredati »,
che fa capo all'imano sciit~ Moussa Sadr. Gli sciiti sono, come si è detto, i più
poveri tra i libanesi, e, situati nel sud del Paese, hanno vissuto a lungo accanto
ai palestinesi dei campi profughi e ne hanno condiviso spesso le prove.
Tra i palestinesi dell'OLP, il gruppo « Al Fatah » di Y. Arafat è centrista
moderato, il « Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina » di G. Habash è pro-sovietico, il « Fronte Democratico e Popolare di Liberazione della
Palestina >> è fi locinese, la << Saika » come pure l'« Esercito di Liberazione Palestinese » sono controllati dal partito Baas siriano, ecc. Coloro che si oppongono
a ogni soluzione politica con I sraele hanno costituito il « Fronte del Rifiuto »,
animato· dai palestinesi più estremisti, in buona parte cristiani.
c) In pratica si sono costituiti grosso modo due fronti che riuni·
scono solamente le formazioni più attive di tutte quelle indicate sopra.
Dal lato cristiano sono soprattutto i « kataeb » a formare l'ossatura del
fronte, mentre, dal la to musulmano, sono principalmente coloro che si
richiamano al << Fronte del Rifiuto ». Ma è arduo applicare sbrigativamente agli schieramenti libanesi le formule occidentali parlando di
« destra cristiana » e di << forze progressiste » identificate con i musulmani. Non sono pochi infatti i musulmani, e non soltanto tra la classe
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abbiente, che appoggiano la << destra "• mentre parecchi tra le file musulmane sono cristiani.
6. Gli Interventi esterni.
Nonostante l'indifferenza mostrata da tanti Paesi, è chiaro che l'atteggiamento estero influisce in modo determinante sul caso libanese.
Il Paese più interessato è ovviamente la Siria. Non sono pochi, del resto, anche in Libano (tra i musulmani e i greci-ortodossi) a sognare la
« grande Siria » , che comprenderebbe anche il Libano e la cui realizzazione in passato venne sempre ostacolata dalla Francia. La Siria ha
sempre accettato malvolentieri l'indipendenza del Libano (21), con cui
non ha mai voluto stabilire rapporti diplomatici.
La posizione siriana è comunque piuttosto ambigua. Il governo di
Assad era assai vicino a Frangié da un lato, ma anche in grado di dialogare con i « musulmani progressisti >>, dall'altro. Più volte le sue truppe
sono entrate in Libano per imporre una tregua prima che il crollo della
situazione provocasse un intervento israeliano. Le truppe regolari siriane hanno poi spesso ripassato i confini, ma non così l'Esercito di
Liberazione Palestinese (ALP) controllato da Damasco. La Siria mira
a mantenere un certo controllo sul Libano, ma è anche preoccupata
di assicurare la stabilità del Paese, la cui spartizione causerebbe gravi
problemi anche ad essa.
Il secondo interessato a quanto avviene nello Stato vicino è Israele,
che ha gravi responsabilità nella genesi della guerra civile. Israele si
atteggia ora a protettore dei maroniti del Libano meridionale, ma avrebbe certo visto con favore il Paese indebolito o addirittura diviso in
staterelli confessionali che avrebbero potuto giustificare anche l'esistenza dello Stato, ugualmente confessionale, di Israele.
Gli Stati Uniti, che già nel 1958, su invito dell'allora Presidente Chamoun, erano intervenuti militarmente nel Libano, si sono limitati a
dichiarazioni (di cui si è fatto portavoce H. Kissinger) contrarie ad
ogni intervento straniero in Libano. La preoccupazione americana predominante sembra ora quella di risolvere il problema di Israele, ma è
chiaro che gli Stati Uniti si preoccupano di seguire da vicino le vicende
libanesi.
La Francia, che, come si è detto, è particolarmente interessata al
Libano, considerato <<Paese amico>>, si è mossa a più riprese. n suo
Presidente, V. Giscard d'Estaing, ha recentemente proposto addirittura
l'invio di un corpo di spedizione francese per assicurare la pace. Il fatto
che la proposta sia stata effettuata durante la sua visita negli Stati
(21) crr. G. S. FRANKEL, La pax slrtana tn Ltbano, In <<Mondo Economico>>, 7
febbraio 1976, pp. 30 ss.
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Uniti ha indotto a interpretare tale gesto come frutto di un accordo
con gli americani. La reazione del mondo arabo è stata perciò unanime
nel rifiutarla come un affronto alla sovranità libanese e al mondo arabo
in genere (22) .
L'Unione Sovietica è rimasta in disparte, nonostante la sua dichiarata simpatia per i palestinesi e la Siria, e non sembra disposta ad
intervenire direttamente.
Ugualmente assente è rimasta la Comunità Economica E uropea, mostrando così di non avere una vera linea politica per il Medio Orient e.
Gli altri Paesi arabi mostrano simpatie più o meno scoperte per i
musulmani, ma hanno venduto armi, o ne hanno favorito il transito,
per ambedu e le parti in lotta. L'Arabia Saudita in particolare sembra
rifornisca anche i maroniti, pur di evitare il pericolo comunista in un
Paese arabo (23).
7. l tentativi di pace.
I tentativi interni di risolvere il problema libanese sono stati diretti
anzitutto ad assicu rare il cessate il fuoco. Dall'inizio del conflitto sino
al maggio 1976 sono stat e stipulate oltre 30 tregue, ciascuna delle quali
si è dimostrata più fragile dell'altra.
Le autorità religiose si sono preoccupate a più riprese di creare
le condizioni necessarie per un dialogo costruttivo tra le parti in conflitto, in particolare sottolineando l'infondatezza della qualifica di «confessionale» data al conflitto. I documenti da essi pubblicati e più ancora le numerose iniziative concrete testimoniano la preoccupazione di
trovare le soluzioni autentiche soprattutto mediante l'instaurazione di
una autentica giustizia sociale e la soluzione del problema palestin ese.
I diversi capi religiosi sono rimasti costantemente in contatto tra loro;
l'università cattolica St. Joseph (e specialmente il suo Istituto di cultura orientale) ha servito a lungo come punto di incontro.
Nel 1975 sono giunti a Beirut tre mediatori la cui azione è stata di
notevole significato: il ministro siriano degli affari esteri, Abdel-Hamid
Khaddam (settembre), il card. Paolo Bertoli, inviato da Paolo VI (novembre) e Maurice Couve de Murville, ex-Presidente della Repubblica
francese e inviato del Presidente Giscard d'Estaing (fine novembre) .
Nessuna delle tre m ediazioni valse a riportare la pace. Solamente la
(22} Cfr. M. TATU, Ltban: des troupes trançatses pour consolider un cessez-le-feu?,
In « Le Monde ••· 23-24 maggio 1976, pp. l e 3. Cfr. nelle edizioni de llo stesso quotidiano dei giorni seguenti le reazioni estere alla proposta francese.
(23} Cfr. F. TANA, La tragedia del Libano, In "Relazioni Internazionali n, 24 gennaio 1976, pp. 63 s. Cfr. anche J. J. DoNOHUE, The Lebanon That Was Is No More,
In cc America n, 10 gennaio 1976, pp. 12 ss.
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Siria riuscì ad imporre una tregua parzialmente rispettata, dimostrando
così che il Libano si stava trasformando sostanzialmente in un protettorato siriano. Ma quello siriano è ormai più che un semplice tentativo
di mediazione.
Va infine notato che si è mosso pure il segretario deli'ONU, Kurt
Waldheim, ma senza visibili risultati.
8. Quale futuro?
Evidentemente, mentre è tuttora in corso una spietata guerra civile,
è ben difficile parlare di prospettive. E' chiaro che gli avvenimenti sono
sfuggiti di mano ai Jibanesi. D'altra parte la cosa più angosciosa è che
non si vede a chi possa servire la continuazione della guerra: certo non
al Libano, nè alla Siria, nè ai palestinesi.
Più volte si è parlato di spartizione del Paese tra le varie confessioni, magari creando nel sud (nella zona di Tiro?) un mini-Stato palestinese. Ma che senso e che vitalità avrebbe uno staterello cristianomaronita di circa 600.000 abitanti? A questa spartizione si oppongono i
maroniti come pure alcuni sovrani arabi, i quali hanno dichiarato che
uno Stato cristiano-maronita sarebbe considerato un corpo estraneo
dagli altri Stati arabi, alla stregua di Israele. Di fatto il Paese è già
diviso in aree ben delimitate, anche se incastrate l'una nell'altra, con
una vera frontiera tra l'una e l'altra, ma sono in molti a sperare
ancora che questa situazione sia solo provvisoria.
In caso di spartizione, Israele e Siria quasi certamente cercherebbero di modificare i propri confini, invadendo tratti di territorio libanese.
Sembra ben difficile, comunque, che il Libano possa continuare anche in futuro a mantenere quella posizione unica tra le nazioni che lo
rendeva tanto invidiato dagli altri. Il Libano, tra l'altro, era anche il
solo Paese arabo in cui la stampa e la vita culturale fossero sostanzialmente libere.
Se il Paese rimarrà unito, sarà indubbiamente necessario procedere
a modifiche costituzionali relative ai meccanismi politici del potere, alla
concessione della cittadinanza (cosa che interesserebbe soprattutto i
siriani e i palestinesi residenti in Libano), e a numerosi altri punti delicati sui quali l'accordo è ancora tutto da creare.
Difficilmente il Libano potrà salvarsi senza un intervento esterno,
almeno per quanto oggi si può giudicare. Ma chi si assumerà la responsabilità di tale intervento? E chi ne avrà la forza?
L'opera più urgente nell'immediato sarebbe quella di far comprendere ai due fronti contendenti che non può esserci «un» vincitore, ma
solo due vincit0ri o due sconfitti. Qualunque parte schiacciasse l'altra,
ci sarebbe in ogni caso un unico vero sconfitto, il Libano.
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