CRAB, LA CRISI INFINITA

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CRAB, LA CRISI INFINITA
Orizzonti
GIUGNO
2 0 1 6
marsicani
Periodico di attualità, cronaca, cultura, a cura dell’Associazione “Osvaldo Costanzi” Autorizzazione Tribunale di Avezzano - Registro stampa1/2016 del 12/01/2016
LA POLITICA IMBELLE
Q
uello del Crab di Avezzano può essere
considerato un caso di scuola, il perfetto esempio di come la mala pianta
della politica -quella deteriore- possa di fatto affossare la realtà di una struttura vocata a svolgere un ruolo cruciale nel processo di
cooperazione tra ricerca e industria.
Non saremo certamente noi a decantare le virtù
di quell’antipolitica oggi di gran moda ma capace soprattutto di demolire, molto meno, invece, di costruire e proporre soluzioni fattibili.
E’ un fatto, però, che quella politica che chiameremo invece ‘istituzionale’ (in primis rappresentata dalla Regione) ha finito, con le sue colpevoli
latitanze, con il prosciugare le potenzialità di un
organismo che si ritrova oggi a fare i conti con
le tante promesse non mantenute, con le inadempienze di chi ha di fatto negato lo sviluppo
di un settore vitale come quello della ricerca.
Ma una politica che voglia riguadagnare il credito perduto dovrebbe essere in grado di offrire
un autentico segnale di responsabilità agli uomini e alle donne del Crab. Perché il tempo dei
proclami e delle parate elettoralistiche -soprattutto in questa nostra Marsica già drammaticamente depauperata- è ormai finito,
tramontato…
Direttore: Maurizio Cichetti - Anno I - Giugno 2016
CRAB, LA CRISI INFINITA
“Siamo i primi ricercatori del mondo ad
essere finiti in cassa
integrazione”. E’ un
misto di amarezza,
disillusione e disincanto quello che
traspare dalle parole dei dipendenti
del Crab di Avezzano, ricercatori e
tecnici di quella che
avrebbe dovuto essere -e che comunque è stata per
alcuni anni- il fiore
all’occhiello, in ambito regionale, della
ricerca applicata
alla biotecnologia,
ma che naviga
ormai da mesi nelle
acque limacciose di
una crisi senza fine,
con il personale
senza stipendi e soprattutto senza una
reale, credibile prospettiva per il futuro.
Visitare così l’imponente struttura
di via Pertini, alle
porte di Avezzano,
guidati negli attrezzati laboratori e
nelle sale spaziose
da uomini e donne
di altissima specializzazione, che alle
sorti del Consorzio
hanno legato un
pezzo importante della loro vita professionale, significa toccare con mano i guasti,
le negligenze provocati da una politica miope e capace solo di sfornare -magari
nell’approssimarsi di una tornata elettorale- stucchevoli dichiarazioni di intenti,
a cui fa puntualmente seguito il vuoto decisionale ed una sostanziale fuga dalle responsabilità.
Nato all’inizio degli anni ’80 come Consorzio a totale controllo pubblico e che vedeva la partecipazione, oltre che di Regione, Provincia e Comune, anche dell’Università dell’Aquila e della Comunità Montana, il Crab si è segnalato per la
realizzazione di innovativi progetti riguardanti lo sviluppo di biotecnologie per
l’alimentazione, per l’agroindustria e per l’ambiente, collaborando con enti e strutture e avendo l’obiettivo primario di incentivare la cooperazione tra ricerca e industria. Un lavoro portato avanti con competenza, utilizzando gli attrezzati
laboratori di Ingegneria di processo, biochimico e microbiologico, in un’opera a
tutto campo che ha pure contribuito -di concerto con l’università- alla formazione
sul campo di circa 50 giovani
tecnici e ricercatori, che hanno
così potuto acquisire una cultura tecnico-scientifica di altissimo livello. Poi la penuria di
finanziamenti, la sempre maggiore difficoltà ad accedere ai finanziamenti, l’immobilismo di
una governance politica, un
profondo stato di crisi che ha
portato ad uno stato di liquidazione e di sostanziale blocco
dell’attività. “Il fatto è che siamo
tenuti a fare ricerca, una ricerca
che deve poi essere diffusa, rispondendo solo a bandi pubblici
-ci dice Marisa Terreri, responsabile analisi-, ma la contrazione che c’è stata dal
2010 ad oggi e soprattutto la mancanza di una legge di riordino ci ha di fatto paralizzato”. Una politica, insomma, che spicca per la sua assenza. “Uno stato di cose ci dice Adriano Mucci, responsabile impianti- che trova la sua origine nel fatto che
si continua a considerare la ricerca come spesa e non come investimento, dimenticando che qui si fa ricerca di base e di sviluppo, e che soprattutto i risultati hanno
una importante ricaduta sul territorio”. Una situazione difficile, insomma, nonostante le continue sollecitazioni e gli allarmi troppo spesso inascoltati. “Qui c’è un
capitale umano –afferma Rocco Imparato, Rsu all’interno del Crab- di alto valore,
che mostra una grande capacità sinergica. Vorremmo che tutti quelli pronti a giudicare con superficialità la nostra situazione, e magari pronti a indicare soluzioni anacronistiche, visitassero la struttura e valutassero quello che facciamo e quelle che
sono le potenzialità di questa struttura”. Il paradosso, insomma, è appunto quello
di un gruppo di lavoro costretto a segnare il passo e che però deve mantenere alta
ed adeguata la funzionalità delle apparecchiature e delle strutture. “Negli ultimi
cinque anni siamo stati noi -conclude Mucci- a provvedere alle spese di ammodernamento di tutte le apparecchiature, con 350.000 euro ricavate dai progetti attuati.
Mi viene da fare –conclude Mucci- un’amara constatazione. A mio figlio che va a
scuola, mi verrebbe da dire che ha poco senso impegnarsi…” Già, proprio una amara
constatazione.
(m.c.)
1
CELANO
Le riflessioni dell’assessore Eliana Morgante
Una sfida per il cambiamento
“Cultura e istruzione fattori di libertà”
In una Celano che sembra voler riservare alle espressioni
artistico-culturali e associative un ruolo essenziale per il
suo futuro, quello dell’Assessorato alla Cultura è
certamente un osservatorio privilegiato, per una sorta di
sguardo d’insieme. Abbiamo così rivolto alcune
domande alla professoressa Eliana Morgante.
Quali
i punti qualificanti delle deleghe ricevute?
Le deleghe affidatemi, l’Istruzione e la Cultura, sono
entrambe delicate, perché caratterizzate da una
rilevanza esterna che coinvolge i cosiddetti “beni
immateriali”. In effetti, i cittadini possono valutare
oggettivamente e con facilità la costruzione di una strada
o una qualsiasi opera strutturale; mentre la creazione di
una tensione verso l’espansione di sistemi di senso delle
persone e delle comunità richiede tempo, pazienza e
tanto studio perché se ne possano percepire i frutti. Ciò
però non mi scoraggia e anzi rappresenta una sfida
entusiasmante che sto affrontando con convinzione e
con senso di responsabilità. Sono convinta che
l’Istruzione e la cultura siano i fattori cardine per la
sostanziale libertà delle persone; la conoscenza ed il
sapere, infatti, consentono agli individui di disporre delle
competenze e degli strumenti necessari ad aprire nuovi
campi di opportunità, compreso quelli economici ed
occupazionali. E’ questo l’obiettivo di fondo della mia
azione amministrativa, ampiamente condivisa con i miei
colleghi, ossia realizzare un processo di cambiamento
che vede la cultura come mezzo efficace, atto a
prospettare una diversa idea di benessere, basata cioè
su principi di sostenibilità e di responsabilità sociale ed
in grado di ristabilire un nuovo e più virtuoso equilibrio
tra economia, società ed ambiente. In tal senso, credo
sia stato avviato un nuovo percorso politico nel quale le
materie delle due deleghe di cui sono titolare assumono
una nuova e assoluta centralità, proprio perché calate
nei reali bisogni della città.
Come valutare il proliferare di associazioni culturali a
Celano? E quali le problematiche relative alla
‘gestione’, in generale, delle diverse realtà culturali?
Nell’ultimo anno, ossia dall’insediamento dell’attuale
Amministrazione, a Celano sono nate numerose
associazioni culturali i cui membri appartengono alle
varie fasce d’età. E’ un fenomeno che, a mio giudizio, ha
una chiave di lettura inequivocabile: si vuole dare un
contributo significativo perché Celano esca da una sorta
di apatia. Questo almeno ho potuto cogliere nei colloqui
sinora avuti con le singole organizzazioni. Ed è questo
sicuramente lo spirito che anima l’Amministrazione
Comunale. Bisogna però fare insieme uno sforzo
ulteriore ed avere il coraggio di puntare sulla cultura; è
fondamentale investire per un nuovo modello di sviluppo
che tuteli i beni comuni, il nostro territorio e le persone
che lo vivono. Una scelta tanto più rilevante oggi, di
fronte ad una crisi economica e sociale di dimensioni
planetarie e con caratteristiche inedite. Bisogna
condividere la convinzione che la recessione economica
possa davvero rappresentare anche una grande
opportunità per la realizzazione di un profondo
cambiamento paradigmatico. Dunque, la mia
valutazione è assolutamente positiva ed è estesa anche
alle di associazioni già consolidate nel tempo, animate
dallo stesso spirito di collaborazione, a prescindere dalla
collocazione politica dei singoli membri. Penso siano
maturi i tempi per coordinare queste bellissime realtà,
facendo in modo che si costruisca una rete efficace,
veramente a servizio della città. A tal fine, farò presto
pervenire ai Presidenti l’invito ad un incontro finalizzato
a riflettere sulla possibilità di entrare a far parte della
Consulta, come previsto dal Regolamento Comunale, e
a condividere con l’Amministrazione i criteri basilari
dell’associazionismo culturale. Ritengo fondamentale
che una corretta governance della res publica, anche in
questo settore, debba sapere prendere delle scelte, a
volte difficili, ma capaci di definire linee guida per una
tutela del bene pubblico che siano chiare, ma soprattutto
partecipate col territorio e trasparenti. Per questo, credo
sia importante affrontare preliminarmente il tema dell’
autoreferenzialità che ho potuto registrare in più
occasioni di incontro; come pure dell’ approccio all’Ente
Comune in funzione e a supporto di un processo che
possa portare alla costruzione di una progettazione
globale partecipata.
Gestione e prospettive dell’Auditorium. E altri
problemi strutturali...
L’Auditorium “Enrico Fermi” è una risorsa inestimabile
per la città. Attualmente rappresenta la location di ogni
manifestazione, aperta alle scuole, alle associazioni e a
quanti intendono promuovere la creatività intellettuale
nelle sue varie forme. Se però penso alla vocazione
naturale dell’edificio, al motivo per il quale l’allora
Amministrazione Piccone volle realizzare, non senza una
certa lungimiranza, un’opera di tale fattura, non posso
sottacere il desiderio programmatico di realizzare una
scuola civica di musica e di recitazione. Da tempo ho
avviato uno studio di fattibilità del progetto e sono giunta
alla conclusione che esso è in linea con i valori e l’idea
di bene comune che l’Amministrazione ha fatto propri.
Tutti sappiamo che Celano è patria di illustri musicisti e
che ha dato i natali a compositori di inestimabile pregio,
primo fra tutti Giuseppe Corsi; ma è importante
sottolineare che oggi essa è vivaio di piccoli e grandi
cultori. A Celano, la musica strumentale non è limitata
alle occasioni di svago come feste, balli e cerimonie
pubbliche, ma è passione diffusa, densa di una sorta di
sacralità. Basti considerare le numerose associazioni
attuamente esistenti e le due bande. Da qualche anno
si va affermando poi anche un crescente interesse per
la recitazione, soprattutto tra gli adolescenti. Dunque,
l’esigenza formativa è molto forte e va intercettata. A tal
fine, posso anticipare che il progetto è in fase avanzata
di predisposizione. Naturalmente, avvierò a breve un
confronto con i maestri di strumento operanti nella città.
Quanto ai problemi strutturali, sono consapevole della
necessità di intervenire in due direzioni: mettere in
sicurezza alcuni spazi esterni sia perché sono spesso
oggetto di sfregio, direi di oltraggio, da parte di teppisti,
sia perché sono stati effettivamente verificati alcuni
punti di debolezza che vanno assolutamente sanati.
Anche in questo versante è in programma un intervento
fattivo.
L’estate celanese: anticipazioni, programmi.
Abbiamo già raccolto e stiamo raccogliendo le varie
proposte degli artisti, delle associazioni e delle
organizzazioni. Per garantire la trasparenza, come
previsto dalla norma, verrà portata avanti una proposta
di deliberazione per l’adozione di un Regolamento
predisposto allo scopo di disciplinare la materia.
Certamente, i programmi terranno conto di alcuni punti
chiave: il coinvolgimento delle varie fasce d’età, quindi
l’utenza destinataria dell’iniziativa; il grado con cui
l’attività svolta persegue interessi di carattere generale;
gli obiettivi che si intende perseguire con iniziative che
condividano lo spirito del programma culturale
dell’Amministrazione comunale; la continuità di iniziative
precedentemente realizzate con successo. Posso
anticipare
comunque,
che
l’Amministrazione
promuoverà la Settimana della cultura da tenersi nel
Castello Piccolomini, sede di una prestigiosa mostra su
Tommaso da Celano che sarà inaugurata a fine luglio. Sta
partendo il progetto “Tommaso e Francesco in
cammino” che ha richiesto un lungo lavoro di
coordinamento e di organizzazione amministrativa, per
il quale si è reso necessario lo slittamento dei tempi
d’inizio. Ad esso sarà abbinata una serie di iniziative
importanti. E’ stato poi istituzionalizzato il Premio
“Giuseppe Corsi”. Al di là dei singoli appuntamenti , ci
tengo molto a sottolineare che uno spazio rilevante, nel
rispetto dei criteri prefissati, si darà alla cosiddetta
cultura popolare, cioè a quelle manifestazioni che
faranno della cultura strumento autentico di inclusione
sociale.
a cura di Maurizio Cichetti
IL PERSONAGGIO
Osvaldo Costanzi
Nato a Celano il 6 novembre 1902, da una famiglia
di modeste condizioni economiche. Autodidatta,
fece quasi tutto da sé. Conseguì l’abilitazione magistrale, insegnando quindi nelle scuole elementari.
Conseguì la licenza liceale, laureandosi in Lettere.
Al “Cotugno” dell’Aquila insegnò Italiano e latino. Si
trasferì a Roma dove, al Liceo “Margherita di Savoia”, insegnò Italiano e Storia. Morì a Roma il 29
giugno 1956 a soli 54 anni. Poeta, scrittore, critico
letterario, Osvaldo Costanzi esordì giovanissimo nel
mondo poetico con una raccolta di sonetti, “Momenti dell’anima”. In quest’opera, come in altri suoi
scritti (“Comunismo e Cristianesimo”, “Introduzione
allo studio della Storia”, “Il Carmen Saeculare”,
“Canti, voci e fascino nella poesia di Giacomo Leopardi”, “Il pensiero religioso di Vittorio Alfieri”, “Il suicidio nel pensiero di Giacomo Leopardi” ed altri
scritti ancora) si rivela un integrale mosaico artistico
e poetico del pensiero di Osvaldo Costanzi e si evidenzia l’idea che la poesia non possa essere disgiunta da un fine morale. Nella “Nota” finale della
sua opera di “Momenti dell’anima”, il poeta Costanzi
scrive: “Chiamo uomo libero non soltanto quello che
vive in terra libera, ma colui che conserva il proprio
animo, puro dalle turpi passioni, forte e capace di
non diventare schiavo dell’oro quando per conquistarlo si richiedesse un’azione vile che ridonderebbe
a danno della patria e del prossimo”. Purtroppo
questo “urlo” di umanità e di libertà lanciato dal Costanzi oggi è superato dalla filosofia dell’apparire
che domina sull’essere e dall’edonismo reaganiano
che rappresenta una sorta di “legge della giungla”
non solo economica in cui non c’è spazio per la solidarietà sociale e per rapporti umani e di libertà.
Raffaele Rosati
Silone, il ‘caso’ non è chiuso
Sull’autore di “Fontamara” si infittiscono le interpretazioni contrastanti
QUEL GIORNO DEL ‘72...
L’avventura di un uomo solo
Una figura tormentata
Un convegno ad Avezzano
Molto merito deve essere attribuito a coloro che, incessantemente,
Silone, un ‘caso’ che non è mai stato
chiuso. Ormai, a quasi quarant’anni
dalla morte (avvenuta nel 1978), sull’opera e più ancora sulla figura dell’autore pescinese continuano ad addensarsi
analisi, interpretazioni, ricostruzioni
più o meno attendibili o -in molti casialquanto avventurose. Intorno alla complessa esperienza umana ed artistica di
Silone, capace già in vita di calamitare
su di sé un disprezzo a volte nemmeno
dissimulato da parte di alcuni, insieme
però a convinta ammirazione, da parte
di altri, per scelte coraggiose e che minavano il conformismo dell’epoca, intorno
alla sua figura -si diceva- si è dato spazio alle più svariate categorie interpretative,
da quelle che chiamano in causa il rapporto di Silone con la storia del suo tempo,
con le ambiguità e le contraddizioni che ne hanno scandito il percorso (il Silone
informatore della polizia fascista, secondo le ormai note ricostruzioni degli storici
Biocca e Canali) financo a quelle (è il caso de “Il fenicottero rosa”, l’ultima fatica
letteraria dello scrittore di origine celanese Renzo Paris) che vanno a scandagliare
le scelte e i comportamenti di un giovane Silone sotto una prospettiva psicoanalitica, con ‘riflessi’ che andrebbero a interessare la stessa sessualità dell’autore di
“Fontamara”. E c’è chi prende in esame (lo ricordiamo in questa stessa pagina) la
figura dello scrittore dal versante astrologico, con notazioni di un qualche interesse
e curiosità.
Ce ne è abbastanza, insomma, per considerare non affatto chiuso il caso di un intellettuale che, attraverso la sua opera e le sue scelte di vita, ha rappresentato una
sorta di ‘unicum’ nel panorama, pur così variegato, del nostro Novecento. Del resto
proprio le risentite reazioni di tanti studiosi e critici che, da diverse angolature,
hanno inteso invece ribadire -in un dibattito che va avanti ormai da decenni- la
sostanziale integrità morale dell’uomo e dell’intellettuale, dimostrano come non sia
passata inosservata la lezione che Silone (al di là di studi e analisi interpretative
che dovranno essere ancora perfezionati) ci ha lasciato, pagando, in termini di isolamento e di incomprensione, un prezzo molto alto per le sue scelte di libertà
mc
E le stelle dicono...
Una curiosa interpretazione dell’ autore pescinese
Scrivere di astrologia, per il pensiero comune, è istintivamente associato
agli imbonitori della creduloneria popolare. Eppure lo stesso Isaac Newton,
uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi, non disdegnava l’astrologia,
anzi la praticava. Quando uno dei suoi amici gli chiese come mai credesse
in una simile robaccia, gli rispose: “Signore, io ho studiato questa materia.
Voi no!”Allo stesso modo Carl Jung studiò approfonditamente l’astrologia,
legandola alla sua teoria sui tipi psicologici. E ancora Keplero, Galileo, Leonardo da Vinci e tantissimi altri...
L’astrologia non è una scienza, né vuole sostituirsi all’astronomia. E’ un
gioco, maledettamente “serio”.
La decisione di occuparmi sotto questa prospettiva di Silone -dopo aver esaminato, attraverso le mie competenze astrologiche, migliaia di oroscopi individuali nell’arco di trentanni- nasce dalla mia esperienza di Vice presidente
del Centro studi Ignazio Silone negli anni 2006-2008 e dall’interesse verso
lo scrittore mio compaesano. Prendo le mosse da un convegno di qualche
anno fa, a Pescina, sulle tradizioni popolari abruzzesi e, in particolare, sul
folklore abruzzese nelle opere di Silone. Cerco di sintetizzare una parte dell’intervento che ebbi modo di fare in quella occasione, ricordando che è solo
intraprendono iniziative tese a ricordare Romolo Liberale e le sue
molteplici attività: dirigente politico, sindacalista, pubblico amministratore ma, soprattutto, poeta.
Egli si è sempre battuto per affermare i valori della pace, della libertà
e della democrazia in genere: un altro principio dal quale amava non
distaccarsi era rappresentato dalla verità.
Ed è proprio per onorarne la memoria che giova ricordare un episodio che nulla vuole togliere a ciò che il personaggio ha rappresentato
e tuttora rappresenta: nessuno si scandalizzi, quindi, se ora raccontiamo qualcosa del rapporto Silone-Liberale che, sono trascorsi
ormai 44 anni, molti hanno dimenticato.
Tanti anni or sono, se un dirigente o semplice iscritto del PCI avesse
presentato le sue dimissioni dal partito, queste sarebbero state sistematicamente respinte e qualche giorno dopo sarebbe stato espulso
perché considerato traditore della causa dei lavoratori.
Da ricordare che l’illustre scrittore pescinese, dopo l’uscita dal PCI
che ne decretò la morte civile, si presentò alle elezioni politiche nelle
liste del PSDI e Pescina non lo riconobbe come suo figlio tanto da
riversargli appena una manciata di voti.
Nel 1972, Marco Conti, assessore alla Cultura del Comune di Avezzano, organizzò nell’aula consiliare un convegno alla presenza di
Ignazio Silone: al termine di un acceso dibattito, Liberale apostrofò
duramente lo scrittore, gli rivolse frasi ed epiteti poco gratificanti riguardanti il suo passato politico.
Dopo alcuni anni, però, Romolo tornò sui suoi passi, fu folgorato
come San Paolo sulla strada di Damasco e si convertì alla causa dell’autore di Fontamara: nei partiti di sinistra, l’autocritica (non quella
estorta sotto tortura durante le purghe staliniane) è stata sempre di
casa!
Ripensare e modificare le proprie opinioni non è segno di debolezza
ma sicuro indice di maturità intellettuale.
È necessario rammentare che negli ultimi anni Liberale fu alfiere e
sostenitore di Silone: fu membro del Premio Internazionale (promosso dalla Regione Abruzzo ed intitolato al romanziere) che ogni
anno, onora l’illustre corregionale, noto e famoso in tutto il mondo,
le cui opere sono state tradotte in cinquanta lingue.
Giovanbattista Pitoni
una premessa di un discorso più ampio.
Il mondo del folklore è lo specchio di vita quotidiana ritratta nell’animo di
Silone. Un mondo che osservava da fanciullo ma che conosceva attraverso
il racconto della madre che lo portava con sè nella stanza dove c’erano altre
donne che tessevano. Trascorreva con esse giorni interi e mentre filavano ne
ascoltava racconti e leggende, di favole allegoriche con morale, storie di vita
d’Abruzzo. Dunque, Silone nasceva il 1 maggio del 1900, ore 2,00 di martedi.
Un detto popolare, in tema di superstizioni e credenze abruzzesi, raccolto
dallo studioso Gennaro Finamore, recita: chi nasce di martedi è rissoso. Infatti è il giorno di Marte, dio della guerra, della violenza, della facile ira. La
simbologia del pianeta ha origini lontanissime nel passato, resistita nel
tempo, ma con essa possiamo divertirci nello scoprire un aspetto del carattere del nostro scrittore attraverso una pratica ritenuta magia allo stesso
modo di eresia: l’Astrologia. Ebbene Silone, nel suo tema natale, ha marte
in domicilio congiunto a mercurio in ariete. Cosa significa? Marte, l’azione
dirompente, mercurio l’intelligenza viva in segno di fuoco che scotta, risultato: personalità dai riflessi rapidi, lucidità notevole, sempre leggermente aggressiva, polemica, poco incline a cedere. Forte carica nervosa. Efficacia
espressiva notevole, intuito e capacità di analizzare, desiderio di avere la
meglio e di avere l’ultima parola, temperamento indipendente e che rifiuta
il conformismo…
Mauro Parisse
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IDEE
DIsTrATTO, DunQuE frAGILE!
La difficile ricerca di un senso
La cultura dello sballo… il vivere di eccessi,
il bisogno di emozioni effimere ma forti,
anzi fortissime, perché? Considerando poi
che il paradosso più grande in tutto ciò è
che probabilmente lo si fa per sentirsi vivi e
liberi, ma poi il risultato è lo stare male, il
diventare schiavi di una dipendenza e, nel
peggiore dei casi la morte stessa, questo
modus vivendi risulta essere davvero assurdo. Eppure è all’ordine del giorno tra i
più giovani e i fatti di cronaca di questi ultimi tempi spesso hanno portato di nuovo
alla ribalta la grave problematica. L’emergenza educativa torna a manifestarsi in maniera eclatante, interpellando la coscienza
di chi si sente almeno un minimo responsabile della cura delle nuove generazioni. E
così il declino culturale e sociale di questa
contemporaneità assume i tratti di una tragedia, che però a quanto pare, non provoca
reazioni adeguate soprattutto in coloro che
probabilmente hanno generato tale sfacelo,
abdicando al loro ruolo di adulti, genitori,
educatori, politici… esempi di vita quotidiana, purtroppo, non vissuta nella virtù e
nell’autorevolezza. Spesso sentiamo dire
mini e lo organizzi in maniera armonica. Di
questa condizione esistenziale sono ad
esempio metafora i ritratti di Francis Bacon.
Il soggetto umano risulta essere sformato,
con una silhouette indefinita, una persona
dunque che potremmo definire distratta;
ed è distratto colui che si ignora perché vive
“fuori di sé” fuori del suo centro o del suo
cuore, non curante della sua interiorità.
Così la perdita del centro della propria esistenza porta come conseguenza inevitabile,
o meglio rappresenta in sé stessa, lo smarrimento del senso della vita. Soggetti così
distratti rischiano di essere superficiali, in
quanto incapaci di profondità e stabilità…
ma soprattutto rischiano di non-essere
quello che devono essere, ovvero autenticamente umani (incapaci come sono di relazioni e comunicazione), soggetti
caratterizzati da uno sguardo deformante la
realtà vera dell’esistenza che, invece di vivere in profondità e in equilibrio, vivono
sfiorando la vita stessa, gli altri e le cose,
dunque: persone fragili.
Alessandro Franceschini
P E R SO N E
Un uomo da ricordare
Idilio Gigli e Ortucchio
In un piccolo paese nascono a volte uomini illustri che godono di grande rinomanza nazionale e/o mondiale per
qualità personali o atti insigni, più spesso uomini popolari,
uomini cioè molto noti tra il popolo e che ne godono la
stima per il loro modo di vivere quotidiano tra la comunità. Tale è stato Idilio Gigli, da poco scomparso, la cui figura, generosa e disponibile, era sempre presente in ogni
iniziativa popolare. Per questo resterà per sempre nella
memoria degli ortucchiesi.
Già da giovane, aveva respirato una atmosfera di apertura
positiva verso l’ospite, l’amico, il prossimo. Era stato un
antesignano delle nuove correnti musicali che, finita la
guerra, venivano dagli Stati Uniti. Con un gruppo di dilettanti di successo, animava serate danzanti, veglioni, feste
paesane.
A cavallo degli anni ’80, fu eletto consigliere comunale, dimostrando sempre equilibrio e serietà. In quello stesso
periodo fu tra gli iniziatori, nel Fucino, delle colture delle
insalate, della carota e del finocchio, prodotti che ben presto ebbero successo nei mercati ortofrutticoli di tutta Italia. Oltre ad essere stato, tra le altre cose, Presidente del
Centro Anziani di Ortucchio, costituì, insieme a pochi altri
volenterosi, il Coro Folkloristico di Ortucchio “Acqua Zolfa”,
che prese parte con successo a numerose tournee. Ma
l’idea più ambiziosa era quella di costituire una “Banda
Città di Ortucchio”. L’idea divenne realtà nel 2003. Da allora, Idilio Gigli ha dedicato tutto se stesso a questa creatura, in un alternarsi di sconforti e soddisfazioni, successi
e scoramenti, riuscendo a garantire la sopravvivenza della
banda. Alla sua morte, lo scorso settembre all’età di 75
anni, migliaia di persone lo hanno onorato. Il Concerto di
Natale, tradizionale appuntamento della Banda Città di
Ortucchio, si è tenuto come sempre. Il figlio Fabio ha infatti raccolto, come un’eredità, il testimone dal padre. Ma
adesso, non va lasciato solo…
Orante D’Agostino
che i ragazzi di oggi sono distratti! Ecco il
problema a mio avviso. Ma attenzione, non
si tratta di una distrazione così come po- Immagine: francis Bacon, Portrait of Getrebbe essere intesa dal senso comune. Si orge Dyer Talking, 1966 – collezione pritratta di qualcosa di molto più profondo, di
vata
ontologico ed esistenziale, che merita un
approfondimento. L’uomo d’oggi, risulta essere mancante di un centro che lo deter4
essi conservano vivacità e genuinità, hanno capacità comunicative nella famiglia, nel paese, nell’ambiente che la lingua nazionale non ha mai avuto,
anche perché essa è stata creata a tavolino e tra il popolo ha conosciuto
diffusione assai lentamente e faticosamente. Se ad un popolo si toglie il
dialetto lo si priva della storia più vera, in sostanza della sua profonda identità. Ma più vero ci sembra quanto afferma Buttitta: “Non sono stato io a
Un autorevole intervento su un temo sempre dibattuto
scegliere il dialetto…il dialetto l’imparai da mia madre, me lo trasmetteva
ioran, uno dei massimi saggisti del XX secolo, in uno scritto apparso allattandomi”. Cioè il dialetto non è una lingua, è qualcosa di più: un idensu un quotidiano italiano, esprimeva questo folgorante “flash”: “Non tikit tecnico-spirituale, un modo di vivere e di pensare, storia che si attuasi abita un paese, si abita una lingua”, riassumendo così in una for- lizza nella collettività. Perché il dialetto è natura e non artificio.
mula che contiene una verità quasi matematica, una idea che ognuno di Alberto Consiglio nella sua bella antologia di “Poeti napoletani” ricorda
noi si porta dentro un po’ confusamente e che non ha la capacità di rivelarla nell’introduzione che nell’ultimo decennio del regime fascista Mussolini
aveva bandito una sorta di crociata contro i dialetti, facendo sciogliere nucon tanta assolutezza e tanto splendore.
Annotano gli storici che i Greci sentivano di essere uniti tra loro soprattutto merose associazioni regionali, facendo escludere dalle terze pagine dei
quando entravano in rapporto con gli stranieri. Dispersi per tutto il bacino giornali qualsiasi scritto sull’arte dialettale e che, non potendo sopprimere
del Mediterraneo, continuavano a sentirsi uniti soprattutto grazie al lin- compagnie teatrali come quelle di Govi, Musco, De Filippo, Baseggio ed
guaggio. I “barbari” per i Greci, erano tutti gli altri popoli, che non usavano altri, aveva imposto l’obbligo di tradurre i titoli dei lavori del teatro dialettale in italiano. Sciocchezze. Perché, tra l’altro, dare il bando ai dialetti, sila loro lingua.
Allora si potrebbe quasi concludere che i Greci non andavano nella Magna gnificava e significa ancora precludere lo studio di tutto un mondo di
Grecia o altrove alla ricerca di una nuova patria. Ci andavano per altri mo- tradizioni, cultura, costumi, vita genuina, bellezza ed arte, senza il quale
l’Italia non starebbe in piedi, perché senza radici. Perché il dialetto è lo strutivi. La patria se la portavano dentro con la propria lingua.
Il preambolo vuole introdurre qualche considerazione sulla “vexata quae- mento che meglio esprime sentimenti, valori, speranze, con cui ripercorrere a ritroso i sentieri della memoria resi sempre più oscuri dalla
stio” del rapporto tra l’italiano e il dialetto.
C’è una dichiarazione di Gesualdo Bufalino che sembra porre il problema globalizzazione che contraddistingue la nostra epoca. E’ importante conocon grande equilibrio: “E’ sacrosanto conservare la propria identità regio- scere l’italiano come strumento di comunicazione nazionale, ma la diversità
nale…ma nello stesso tempo occorre ricordare che l’italiano è il linguaggio socio-culturale fra le diverse comunità italiane, espressa dai dialetti, è una
che ci unisce, attraverso il quale ci riconosciamo italiani. Certo la media- ricchezza che va mantenuta, difesa, valorizzata e divulgata.
zione va trovata facendo in modo che gli idiomi regionali non siano annac- Ecco perché in questa “vexata quaestio” occorre misura.
quati nel generico italiese televisivo. Ma non bisogna esaltare il dialetto
fino al punto da considerarlo sostitutivo della lingua nazionale”.
Mario Di Berardino
Riconosciuti che i diritti della lingua nazionale sono molti di più di quelli
del dialetto, occorre aggiungere che i dialetti specialmente nei luoghi ove
A proposito del dialetto
La dignità della lingua che parliamo
C
LA STORIA SOTTO CASA
arricchito da affreschi che ricordano il prosciugamento del Lago Fucino, con
immagini dei lavori di ingegneria idraulica, della inaugurazione dell’Emissario
e dello stesso Principe Alessandro Torlonia. Un “pezzo” di storia è rappresen-
“AVEZZAn’EurOPA” In VIsITA AL PArCO TOrLOnIA
tato poi dallo Chalet, impropriamente conosciuto come “Casino di Caccia”,
Una bella iniziativa della Associazione Culturale “Avezzan’Europa” ha portato una costruzione di forma ottagonale, in legno, di stile liberty realizzata quasi
un numeroso gruppo di Soci – guidati dal Presidente Brizio Montinaro - a com- cento anni fa. La volta è affrescata con artistici disegni portati a rinnovato
splendore dall’artista marsicano
piere un percorso di particolare interesse
storico.
Parliamo di quell’area conosciuta come
“Parco Torlonia” e che comprende (oltre
alla sede degli Uffici ex-ARSSA) il Palazzo del
Principe, lo Chalet del Principe, la ghiacciaia
del Principe. Tutto, cioè, parla di “ lui”, un
uomo che qui, in questo Parco, forse non ha
mai messo piede, lasciando comunque
tracce della sua esistenza e della sua impor-
tanza (ma non del suo affetto) per Avezzano
e gli Avezzanesi.
L’occasione peraltro è stata utile e interes-
sante e ha consentito di ripercorrere alcune
tappe fondamentali del “peso” che ha
avuto per la Marsica la storia di Casa Torlonia.
Gli amici di “Avezzan’Europa” hanno avuto
Elzeviro
PASSERELLA DI SUPERSTAR...
N E L L’ A S S O C I A Z I O N E
E
ti pareva! Il primo è sempre lui, Felipe, il miglior fico del bigoncio,
tutto in ghingheri, lesto, con una girata di cul, a provvedere a tutto.
Manco fosse l’anima del mondo! A ruota, novelli Dioscuri, i due Sergei,
tenendosi a braccetto. L’uno, con gli occhi sognanti, appena socchiusi,
quasi in preda all’estasi suprema. L’altro, gli occhi quasi li spalanca,
furbi e vispi, come la vispa Teresa, e si guarda intorno, spargendo sorrisi qua e là, beato tra la gente. Castore il primo, Polluce il secondo.
Poi arriva, quatto quatto, don Pascal l’enciclopedico. Che sapere! Che
memoria! L’incipit è adagio adagio, ma spiccato il volo non c’è caso di
fermarlo. Tirarlo per la giacca? Rien à faire. Fare altro? Idem. L’ispirazione non lo molla punto e riportarlo a terra son pasticci. Per ultimo (si
fa per dire), monsieur le President. Miracolo in terra, quasi gongola e
scodinzola, ch’era follia sperar. Il gelo ch’aveva dentro si scioglie a
piano a piano e il cuore si va scaldando al sol…dell’avvenire.
Lucio Quinzio
la fortuna di essere accompagnati da Sergio
Pasquale Di Fabio negli anni Settanta.
All’interno oggetti e arnesi della
cosiddetta civiltà contadina in-
sieme a giornali e pubblicazioni
d’epoca. Lo Chalet è stato finalmente restaurato da pochi mesi.
La visita di Avezzan’Europa prevedeva anche l’ingresso alla
“Ghiacciaia” del Principe, un am-
biente scavato nel terreno del
Parco, sotto una piccola altura e
che veniva utilizzato per tenere
“al fresco” cibi e bevande. Pur-
troppo all’ultimo momento non
s’è trovata la chiave per accedere
all’interno e i visitatori si son do-
vuti accontentare di ammirare la
Iacoboni, appassionato studioso e cultore delle vicende storiche che hanno ghiacciaia dall’esterno.
Infine un piacevole buffet, predisposto dalla signore intervenute alla passeglegato il nostro territorio al Casato dei Torlonia.
Vicende che sono state ricostruite e illustrate dallo stesso Iacoboni con rife- giata, ha concluso una visita che è risultata particolarmente interessante e sicuramente meritevole di ulteriori approfondimenti storici.
rimenti e notizie dettagliate e perfino inedite.
Pima tappa il Palazzo distrutto dal terremoto del 1915, ricostruito quasi fe-
F.F.
delmente nel 1920. All’interno un paio di sale hanno un aspetto dignitoso,
5
Questa città da capire
Le trasformazioni di Avezzano nelle riflessioni dell’Architetto Pantaleo
Peppe Pantaleo è un uomo che cammina. Lo fa per le strade della sua dal prosciugamento del Fucino fino ai giorni nostri e molto alla bassa quacittà, quella città che osserva non con l’occhio distratto del passante, ma con
lo sguardo di chi a quella città è legato senza esibizionismi, conoscendone nel
profondo caratteri, cambiamenti, evoluzione, cogliendo il modo in cui la gente
che la abita utilizza, nel tempo, le strade, gli spazi…
Sessantun anni portati con la stessa levità di quando ne aveva venti di meno,
Pantaleo -laureato in Architettura alla Sapienza- lavora nell’editoria come grafico, illustratore, editor. Ha alle spalle ben 29 pubblicazioni, di cui 19 su Avezzano, il resto di tipo artistico. Ha fatto mostre, 6 personali ed una ventina di
collettive, mentre per dieci anni ha curato il blog.
lità dei materiali impiegati per costruire l’identità stessa. Che te ne fai dei
«valorosi Marsi»? Vai invece sul velluto con Castello Piccolomini, Tommaso
da Celano e i Santi Martiri. (Avezzano a suo tempo rinunciò alla ricostruzione o al restauro di Castello Orsini). Non solo, c’è la tendenza a distruggere in maniera sistematica le testimonianze del passato. Cito il fatto più
clamoroso. È comprensibile, ma fino a un certo punto, l’interruzione su via
C. Corradini della strada che collegava il Comune ad Alba Fucens operata
durante la ricostruzione post-terremoto – si trattava di una sorta di cordone
ombelicale e insieme del cardo; via Albense è scomparsa dalla toponomastica da qualche anno.
C’è stato mai – e di che genere – un rapporto tra
questa città e il Fucino?
Lo sfruttamento del bacino lacustre è stato un’attività marginale se paragonata all’agricoltura e
alla pastorizia; il rapporto tra lago e comuni ripuari è dipeso solo dai grossi proprietari terrieri
che si sono succeduti. Per dirne una: Avezzano
non aveva diritto di pesca a differenza di Luco dei
Marsi (Colonna), di Celano, Ortucchio e San Benedetto dei Marsi (Cesarini). A livello urbanistico
manca da noi qualsiasi riferimento al Fucino – a
differenza di Luco dei Marsi –, resta una via intitolata a sant’Andrea. Sono giunte la mano d’opera
specializzata e i «quadri» oltre agli operai, durante il prosciugamento; lo stesso Torlonia ha voluto costruire un suo palazzo proprio ad Avezzano
e in quel momento è partito lo sviluppo del terziario…
Qual è, camminando oggi per Avezzano,
l’aspetto che in qualche modo ti colpisce di
più?
Vado in giro quando gli altri cenano in questo periodo. Mi rendo conto di com’è impiegato il patrimonio edilizio per via delle luci accese. Il
centro è meno compatto, solido e vivo che di
giorno. Sembra di camminare in un paese con
una catastrofe (bombardamento, alluvione, terremoto, pestilenza) recente alle spalle e che stenti
a riprendersi.
Le trasformazioni di questa città negli ultimi
trent’anni...
Avezzano è cresciuta lentamente, in modo continuo negli ultimi novant’anni. Il Quadrilatero era
incompleto negli anni Sessanta ma alcuni compaesani hanno preso a trasferirsi verso Scalzagallo per risparmiarsi la vita condominiale. I venditori di piazza del
Mercato hanno preferito abbandonare quel luogo per stare al coperto, nello
stesso periodo. Trent’anni fa ci siamo accorti della periferia nella zona nord,
della sua mancanza di servizi, negozi e spazi sociali; il flusso dal Quadrilatero si è spostato anche verso Antrosano e San Pelino. L’ultimo decennio
ha registrato l’allontanamento dal centro di negozi, laboratori artigiani e
studi professionali: hanno seguito i residenti, i clienti in fondo. Sta divenendo una sorta di grossa ciambella.
In maniera forse banale e semplicistica, si è spesso parlato di Avezzano
come una sorta di città, di agglomerato senz’anima e senza storia. Fino
a che punto è vero?
Avezzano ha una storia che i residenti ignorano in generale; manca un popolo e un’identità, più che altro. Ciò si deve in parte alla forte immigrazione
UN S E R V I Z I O C H E V A L E
Avezzano e Celano (e poi la Marsica). Che interazione oggi corre tra queste realtà?
Le celebrazioni del Centenario hanno mostrato plasticamente la situazione
locale negli ultimi lustri: ciascun paese ha tirato dritto, è andato per proprio
conto. Toccava al capoluogo imporre la propria leadership, nel senso: avanzare una proposta vantaggiosa per tutti i paesi del comprensorio – il terremoto del 1915 ha investito un’area più vasta dello stesso. Ciò non è successo
per i campanilismi e per la mancanza di volontà o per l’incapacità da parte
dei compaesani che amministrano. La Marsica appartiene al bacino LiriGarigliano e Volturno: siamo abruzzesi sui generis e nuove divisioni sono
perniciose perché c’indeboliscono ulteriormente nei rapporti con la Regione. Un esempio da imitare: Muntagninjazz (Introdacqua) coinvolge una
decina di paesi tra la Valle Peligna e quella del Sagittario.
mc
GLI OROLOGI DELLA STAZIONE
Quello nella Misericordia
Entro il 30 giugno tutti coloro che (tra i giovani dai
18 ai 28 anni compiuti) vogliono svolgere Servizio Civile possono rivolgersi alla Fraternità di Misericordia
di Celano (Piazza Santa Maria 1 – tel. 0863-792279)
dove, oltre alle informazioni in merito, è a disposizione il progetto: “Impiego di volontari in Servizio Civile in Italia”. Le attività previste per le quali i volontari
ammessi (n. 8 posti disponibili) verranno ad operare
riguardano: sostegno delle
opere di assistenza domiciliare per anziani e disabili;
trasporto anziani e disabili
verso luoghi ricreativi, centri culturali e successivo ritorno al proprio domicilio;
trasporto anziani e disabili verso strutture sanitarie e
trasporto socio-sanitario di tipo ordinario ovvero
d’emergenza. Quello del Servizio Civile è un’iniziativa del Ministero della Difesa che esaminerà le domande pervenute ed ammetterà i candidati, i quali,
verranno decentrati in servizio nei luoghi richiesti e
fino al numero consentito dal budget previsto
Su cinque orologi, alla stazione ferroviaria di Avezzano, quattro sono fermi. A chi tocca rimetterli in
moto?
Alla stazione ferroviaria di Avezzano ci sono cinque orologi, ciascuno con una sua ora.Sul marciapiede che dà
su Piazza Matteotti , c’è una palina con due orologi: davanti sono le 17,45, dietro, invece, sono le 17, 47. Poco
male, si dirà: il fatto è che su tutte e due i lati gli orologi
sono fermi. Mentre in Italia il tempo passa, su quella palina no, il tempo si è fermato.
Entriamo in stazione: alla biglietteria, in alto, sopra lo sportello per i viaggiatori, c’è un
grande moderno orologio digitale Che ora è, che ora fa? Nessuna: quell’orologio segna
le zero virgola zero zero: è mezzanotte! Da sempre e chissà per quanti anni ancora.
Ma non è finita: andiamo verso i binari. Ci sono due orologi, uno solo segna l’ora giusta,
l’altro no. C’è infatti quello sponsorizzato da una Banca che è fermo, da anni, e nessuno
se ne preoccupa. Né la Banca che forse paga un canone per quell’impianto, né le Ferrovie, che dovrebbero dare un servizio corretto e preciso, né il Comune di Avezzano che,
come primo biglietto da visita a chi arriva da noi dà un messaggio forte e chiaro: qui è
tutto fermo.
Peppino Marsone
6
Il prestigioso premio “Corsi”
a Giuseppe Iacobucci
FIATO
ALLE TROMBE!
A
nemmeno 25 anni ha un curriculum che pochi,
alla sua età, possono esibire. Una febbrile attività
concertistica, una collaborazione con alcune
delle più prestigiose istituzioni sinfoniche e cameristiche,
unanimi riconoscimenti per un talento artistico cristallino.
Proprio a lui, al celanese Giuseppe Iacobucci, prima
tromba dell’Orchestra Giovanile Italiana, è stato quest’anno assegnato il premio Corsi, il riconoscimento istituito da qualche anno dall’omonima associazione corale
e che intende per l’appunto premiare un musicista locale
che si è particolarmente distinto per la sua attività. Un
premio quanto mai meritato, per un artista che a vent’anni si è diplomato con il massimo dei voti presso il
conservatorio Casella di L’Aquila, perfezionandosi, poi,
presso l’Accademia di Santa Cecilia. Nell’omonimo conservatorio romano ha conseguito il diploma accademico
di secondo livello in Didattica della Musica. E poi –come
si diceva- l’intensissima attività orchestrale, che ha visto
Iacobucci partecipare a molte tournee in Italia e all’estero, suonando, fra l’altro, anche alla Concerthouse
di Berlino. Svariate anche le collaborazioni con diverse
istituzioni sinfoniche e cameristiche, come l’orchestra
giovanile abruzzese, l’orchestra internazionale d’Italia,
l’orchestra sinfonica abruzzese, l’Accademia nazionale
di Santa Cecilia, l’orchestra Sinfonica di Roma, l’orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari. Oltre ad aver poi eseguito da solista, ad appena 20 anni, il Concerto in mib
di Haydn con l’orchestra “I musici di Parma”, è risultato
idoneo ai concorsi per flicorno soprano presso la Banda
Musicale della Marina Militare. Unitamente ad una intensa attività cameristica, suona in qualità di primo flicorno contralto con l’Italian Brass Band, con cui ha vinto,
l’anno scorso, l’European Championship a Friburgo. Ha
suonato diretto da nomi di assoluto prestigio, da Riccardo Muti a Fabio Lusi, da Whayne Marshall a Donato
Renzetti, da Alberto Veronesi a Stanislav Kochanovsky.
COME ERAVAMO
di Raffaele Rosati
Qualche giorno fa, rovistando nel mio archivio, lo sguardo si è fermato su un libro dalla copertina colore bianco- azzurra dal titolo “Celano 50 anni di calcio”, di Raffaele Rosati e Fulvio
D’Amore, stampato nel 1987. Quanto tempo è passato dalla pubblicazione! Incuriosito, ho
cominciato a sfogliare quelle pagine zeppe di ricordi. Ogni pagina del libro testimonia la
storia del calcio celanese. Un amarcord emozionante e toccante che racconta la storia di
una “Cenerentola dalle scarpette chiodate”. In “Celano 50 anni di calcio” si riportano alla
vita eventi, sentimenti e situazioni che erano celate non solo nella mente, ma anche in
fondo al cuore dei veri sportivi. Quello che maggiormente mi ha colpito nello sfogliare il
libro è stato il titolo di una pagina: “Cuore e Batticuore Bianco – Azzurro “ e , di “spalla”, la
foto del presidente onorario e medico della Cliternum, Dott. Michele Carusi., il “medico
dei poveri”. Al dottor Michele Carusi va attribuito, tra i tanti, anche il merito di aver “scritto”
una importante pagina della storia calcistica celanese. La storia del calcio celanese è una
storia fantastica, a tratti burrascosa, romantica, piena anche di immagini fuggevoli, allegre
e spensierate di tutta la città. Ricostruire il passato di un club, non solo calcistico, significa
ricomporre un mosaico di una città piena di ricordi, di avvenimenti, di modi di vivere e di
essere. Le memorie della vecchia Cliternum , poi diventata Olimpia Celano, e quel modo di
vivere le passioni rischiano di essere buttate nel cestino delle cose inutili. Quel modo di fare
sport, quel sentire collettivo, quel collante sociale sta lasciando il posto ad una generale indifferenza istituzionale, alla logica dei consensi e dei Patrocini, lasciando nell’indifferenza,
appunto, questa seconda consecutiva retrocessione della squadra di calcio cittadina, con il
rischio di non essere presente nemmeno ai nastri di partenza del prossimo campionato di
Promozione, dopo i favolosi anni della C2 che videro protagonisti prima il patron Ermanno
Piccone e quindi il compianto figlio Fabio Piccone che hanno voluto e saputo spostare in
alto la traiettoria della gloriosa storia del calcio celanese, spazio simbolico e irrinunciabile
dell’immaginario collettivo di Celano.
Il dottore di tutti
Don Michele e la sua passione sportiva
Michele Carusi’ uomo e medico di particolari doti umanitarie
e sociali, legò il suo nome alla squadra castellana negli anni
Quaranta e Cinquanta. Entrò nella tradizione calcistica celanese, impegnandosi come medico sociale e come Presidente
dell’A.S. Cliternum. Dal suo nobile animo sgorgava una generosità immensa destinata a lasciare, dopo la sua dipartita, una
scia di commossi ricordi. La sua attività fu sempre contraddistinta da disinteresse per ogni fonte di guadagno e, come sportivo, contribuiva oltre che professionalmente anche
economicamente per fare grande la Celano Calcio. Se lo slogan
“Nato con la Cliternum e per la Cliternum” si potesse applicare
al dotto Michele Carusi, il merito di aver scritto una pagina della storia calcistica celanese, spetterebbe anche a lui. Don Michele, quindi, ha sempre rappresentato nelle storia della società
sportiva un luminoso punto di riferimento. Anche avanti negli anni fu sempre presente in tutte
le manifestazioni con la sua fedele macchina fotografica per fissare i momenti salienti della
squadra castellana.
Tratto da “Celano 50 anni di calcio” di raffaele rosati e fulvio D’Amore
7
‘L'umanità’ negli animali C’era una volta il gioco...
C
harles Darwin (in
stracci, e gli fa festa, scodin-
Jennifer
Holland,
zolando. A vederlo, l'eroe,
Mondadori 2011) di-
commosso, si asciuga con la
ceva che gli animali non solo
mano una lacrima furtiva.
provano affetto, ma deside-
Davvero toccante: prova evi-
rano essere amati.
E' vero: anche loro hanno un
cuore e un'anima. Da ragazzo mi è capitato di vedere
un puledrino piangere la-
dente di affetto reciproco.
• la capretta (Virgilio, Ecl. I,
13-15) appena figliata, che
non vuole seguire il gregge e
crime copiose con il musetto
lasciare i suoi nati soli e in-
poggiato sopra la testa della
difesi. Ma trascinata via a
madre, appena stramazzata
forza, dal pastore in fuga,
al suolo, dopo violente coli-
alla fine è costretta ad ab-
che addominali. Piangeva
bandonarli sul nudo sasso.
per l'affetto che gli veniva
Tempi duri, quei tempi!. La
meno. A vederlo, mi si
violenza dei veterani, affa-
spezzò
mati di terra, non rispar-
il
cuore:
orfano
anche lui! Non lo dimenticherò mai.
Anni dopo, mi è capitato
anche di assistere, in campagna, all'agonia di un mio
miava nessuno, né uomini,
né animali. E il pastore, in
tutto quel trambusto, cerca
di salvare il salvabile. Ha il
vecchio cane, pastore abruz-
cuore in pena anche lui,
zese di oltre vent'anni, che
come la capretta, ma, nella
tra gli spasimi della morte,
fretta, non può prendere con
intervenuta di lì a poco,
sé i due caprettini, speranza
quasi chiedeva aiuto, dispe-
del gregge,
ratamente. La sua agonia
usano i pastori, anche ai no-
non differiva molto da quella
stri giorni, in casi simili.
di un essere umano. Anche
A scuola, i nostri professori
allora mi si spezzò il cuore.
In letteratura:
• il cane Argo (Omero, Odissea, XVII, 350-397), che
ormai vecchio e abbandonato dalla servitù su un
...Le nostre case non erano ricolme di giocattoli. I bambini giocavano all’aperto dalla
mattina alla sera durante la bella stagione. Le strade e le piazzette erano gli spazi dove
si giocava a pallone, a campana, a nascondino. Non i palloni di cuoio o di gomma, ma
palle fatte di stracci e carta. Quando qualche fortunato riceveva in regalo un pallone di
cuoio con tanto di camera d’aria, si apriva dinanzi a noi uno scenario di gioia e di preoccupazioni: di gioia perché finalmente si poteva calciare un pallone vero, di preoccupazione perché quell’oggetto tanto amato rovinava le scarpe. Alla sera, quando si tornava
a casa, la prima cosa da fare era di strofinare la punta delle scarpe con la fuliggine, onde
nascondere le tracce evidenti delle pallonate agli occhi attenti della mamma. Le femminucce giocavano con le bambole, anch’esse fatte di stracci, e tutt’insieme si giocava a
campana durante il giorno e a nascondino dopo il tramonto. Altro giocattolo molto usato
dai maschietti era il “ruzzico”. Il cerchione della ruota della bicicletta privo di raggi e asse
centrale. Una bacchetta liscia e fine sospingeva il “ruzzico” sulla strada piena di sassi e
di pietre. Con quel mezzo si andava a svolgere le commissioni che ci venivano ordinate
dai grandi: al tabaccaio, al negozio alimentari, alla fontana per attingere acqua! Nella
fantasia dei ragazzi quell’oggetto rappresentava un mezzo di locomozione importante! E
mentre si correva appresso al “ruzzico”, non si sentiva la fatica ed il fastidio di dover sempre obbedire a qualcuno. Proprio la carenza di giocattoli spingeva la fantasia e la creatività
dei ragazzi a produrre con le proprie mani quanto poteva essere utile per giocare. Il filo
di ferro si trovava in abbondanza sulle strade: era la materia prima per fabbricare biciclette, macchinine, carretti con cavalli, ecc. In quelle costruzioni tanto belle e ben fatte
veniva espresso l’estro artistico, la creatività, la voglia di trasformare la staticità delle
condizioni sociali, e non solo, di quella generazione...
Da “Il mio medioevo”, di nazzareno fidanza
come pure
ci dicevano che nelle ,Bucoliche, Virgilio umanizzava
gli animali e noi studenti dài
a ripeterlo come pappagalli.
Non è vero! Gli animali
mucchio di letame, ranto-
erano già umani e lo sono
lante e pieno di zecche, al
tuttora e sempre.
suo approssimarsi, riconoLucio Quinzio
sce Ulisse, anche se vestito di
1969
Un cammino solitario
mi innalza sul monte
dove, avvolto di silenzio,
mi specchio nell’universo
Alei Vivens
La redazione:
Gianni Cantelmi
Vero Fazio
Nazzareno Fidanza
Sergio Iacoboni
Nazzareno Mascitti
Filippo Rosati
Nella Celano degli anni ‘50
Per comunicare con la redazione l’indirizzo di posta elettronica è il seguente
[email protected]
Stampato presso
Tipografia Master Print Avezzano
Un legame sempre più saldo
Rinnovato il “patto” con Castelpoto
Nel segno della tradizione e della venerazione ed attaccamento ai Santi
protettori. Con tale spirito anche
quest’anno una folta delegazione di
celanesi ha partecipato a Castelpoto
(Bn) alle solenni cerimonie di festeggiamento in onore dei Santi Simplicio
Costanzo e Vittoriano, che nella cittadina campana vengono celebrati nei
giorni 13, 14 e 15 maggio. La delegazione del comune di Celano composta
dal Presidente del Comitato Santissimi
Martiri 2016 Vittorio Angeloni, dal
Priore della Confraternita di San Francesco Fernando Guerra e dall’assessore comunale Ezio Ciciotti era
composta da una sessantina di fedeli
ed ha rinnovato in tal modo il “patto di
amicizia” tra Celano e la cittadina campana. Il rapporto di interscambio culturale, e soprattutto nell’occasione dei
festeggiamenti in onore dei Santi Martiri, tra la Città di Celano e il Comune
di Castelpoto è stato avviato già da
qualche anno. I primi contatti erano in
corso già da alcuni anni grazie all’ impegno della Confraternita di San Francesco che già effettuava questi scambi
di carattere religioso con la Città di Castepoto. Tali rapporti furono ufficializzati nel 2007, durante il primo
mandato dell’amministrazione Piccone
e sono stati ripetuti anche negli anni
8
successivi. Come tiene a ricordare lo
stesso assessore Ciciotti (all’epoca
Presidente del consiglio comunale),
tra i promotori della lodevole iniziativa
non va dimenticato l’impegno profuso
dall’allora assessore comunale Dott.
Francesco Tirabassi, scomparso prematuramente l’anno scorso e dai
Componenti della Confraternita di San
Francesco che per primi avevano iniziato tale gemellaggio religioso. Una
consuetudine che ormai si ripete ogni
anno perché grande è la venerazione
che i Santi Martiri godono anche a Castelpoto. Per rinsaldare questo forte legame con il comune campano ogni
anno molti abitanti di Celano vanno in
visita a Castelpoto il 14 maggio, mentre i castelpotani contraccambiano la
visita a Celano il 26 di agosto (in questa data infatti vengono celebrati nel
comune marsicano per ricordare il momento della decapitazione). Nel piccolo
paese
sannita-longobardo,
invece, vengono festeggiati il 14 maggio perché il paese fu liberato dalla
peste per intercessione di San Costanzo. A Castelpoto si conserva un
pezzo grande della costola di San Costanzo incastonato nel petto del simulacro del Santo martire.
La redazione