CRAB, LA CRISI INFINITA
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CRAB, LA CRISI INFINITA
Orizzonti GIUGNO 2 0 1 6 marsicani Periodico di attualità, cronaca, cultura, a cura dell’Associazione “Osvaldo Costanzi” Autorizzazione Tribunale di Avezzano - Registro stampa1/2016 del 12/01/2016 LA POLITICA IMBELLE Q uello del Crab di Avezzano può essere considerato un caso di scuola, il perfetto esempio di come la mala pianta della politica -quella deteriore- possa di fatto affossare la realtà di una struttura vocata a svolgere un ruolo cruciale nel processo di cooperazione tra ricerca e industria. Non saremo certamente noi a decantare le virtù di quell’antipolitica oggi di gran moda ma capace soprattutto di demolire, molto meno, invece, di costruire e proporre soluzioni fattibili. E’ un fatto, però, che quella politica che chiameremo invece ‘istituzionale’ (in primis rappresentata dalla Regione) ha finito, con le sue colpevoli latitanze, con il prosciugare le potenzialità di un organismo che si ritrova oggi a fare i conti con le tante promesse non mantenute, con le inadempienze di chi ha di fatto negato lo sviluppo di un settore vitale come quello della ricerca. Ma una politica che voglia riguadagnare il credito perduto dovrebbe essere in grado di offrire un autentico segnale di responsabilità agli uomini e alle donne del Crab. Perché il tempo dei proclami e delle parate elettoralistiche -soprattutto in questa nostra Marsica già drammaticamente depauperata- è ormai finito, tramontato… Direttore: Maurizio Cichetti - Anno I - Giugno 2016 CRAB, LA CRISI INFINITA “Siamo i primi ricercatori del mondo ad essere finiti in cassa integrazione”. E’ un misto di amarezza, disillusione e disincanto quello che traspare dalle parole dei dipendenti del Crab di Avezzano, ricercatori e tecnici di quella che avrebbe dovuto essere -e che comunque è stata per alcuni anni- il fiore all’occhiello, in ambito regionale, della ricerca applicata alla biotecnologia, ma che naviga ormai da mesi nelle acque limacciose di una crisi senza fine, con il personale senza stipendi e soprattutto senza una reale, credibile prospettiva per il futuro. Visitare così l’imponente struttura di via Pertini, alle porte di Avezzano, guidati negli attrezzati laboratori e nelle sale spaziose da uomini e donne di altissima specializzazione, che alle sorti del Consorzio hanno legato un pezzo importante della loro vita professionale, significa toccare con mano i guasti, le negligenze provocati da una politica miope e capace solo di sfornare -magari nell’approssimarsi di una tornata elettorale- stucchevoli dichiarazioni di intenti, a cui fa puntualmente seguito il vuoto decisionale ed una sostanziale fuga dalle responsabilità. Nato all’inizio degli anni ’80 come Consorzio a totale controllo pubblico e che vedeva la partecipazione, oltre che di Regione, Provincia e Comune, anche dell’Università dell’Aquila e della Comunità Montana, il Crab si è segnalato per la realizzazione di innovativi progetti riguardanti lo sviluppo di biotecnologie per l’alimentazione, per l’agroindustria e per l’ambiente, collaborando con enti e strutture e avendo l’obiettivo primario di incentivare la cooperazione tra ricerca e industria. Un lavoro portato avanti con competenza, utilizzando gli attrezzati laboratori di Ingegneria di processo, biochimico e microbiologico, in un’opera a tutto campo che ha pure contribuito -di concerto con l’università- alla formazione sul campo di circa 50 giovani tecnici e ricercatori, che hanno così potuto acquisire una cultura tecnico-scientifica di altissimo livello. Poi la penuria di finanziamenti, la sempre maggiore difficoltà ad accedere ai finanziamenti, l’immobilismo di una governance politica, un profondo stato di crisi che ha portato ad uno stato di liquidazione e di sostanziale blocco dell’attività. “Il fatto è che siamo tenuti a fare ricerca, una ricerca che deve poi essere diffusa, rispondendo solo a bandi pubblici -ci dice Marisa Terreri, responsabile analisi-, ma la contrazione che c’è stata dal 2010 ad oggi e soprattutto la mancanza di una legge di riordino ci ha di fatto paralizzato”. Una politica, insomma, che spicca per la sua assenza. “Uno stato di cose ci dice Adriano Mucci, responsabile impianti- che trova la sua origine nel fatto che si continua a considerare la ricerca come spesa e non come investimento, dimenticando che qui si fa ricerca di base e di sviluppo, e che soprattutto i risultati hanno una importante ricaduta sul territorio”. Una situazione difficile, insomma, nonostante le continue sollecitazioni e gli allarmi troppo spesso inascoltati. “Qui c’è un capitale umano –afferma Rocco Imparato, Rsu all’interno del Crab- di alto valore, che mostra una grande capacità sinergica. Vorremmo che tutti quelli pronti a giudicare con superficialità la nostra situazione, e magari pronti a indicare soluzioni anacronistiche, visitassero la struttura e valutassero quello che facciamo e quelle che sono le potenzialità di questa struttura”. Il paradosso, insomma, è appunto quello di un gruppo di lavoro costretto a segnare il passo e che però deve mantenere alta ed adeguata la funzionalità delle apparecchiature e delle strutture. “Negli ultimi cinque anni siamo stati noi -conclude Mucci- a provvedere alle spese di ammodernamento di tutte le apparecchiature, con 350.000 euro ricavate dai progetti attuati. Mi viene da fare –conclude Mucci- un’amara constatazione. A mio figlio che va a scuola, mi verrebbe da dire che ha poco senso impegnarsi…” Già, proprio una amara constatazione. (m.c.) 1 CELANO Le riflessioni dell’assessore Eliana Morgante Una sfida per il cambiamento “Cultura e istruzione fattori di libertà” In una Celano che sembra voler riservare alle espressioni artistico-culturali e associative un ruolo essenziale per il suo futuro, quello dell’Assessorato alla Cultura è certamente un osservatorio privilegiato, per una sorta di sguardo d’insieme. Abbiamo così rivolto alcune domande alla professoressa Eliana Morgante. Quali i punti qualificanti delle deleghe ricevute? Le deleghe affidatemi, l’Istruzione e la Cultura, sono entrambe delicate, perché caratterizzate da una rilevanza esterna che coinvolge i cosiddetti “beni immateriali”. In effetti, i cittadini possono valutare oggettivamente e con facilità la costruzione di una strada o una qualsiasi opera strutturale; mentre la creazione di una tensione verso l’espansione di sistemi di senso delle persone e delle comunità richiede tempo, pazienza e tanto studio perché se ne possano percepire i frutti. Ciò però non mi scoraggia e anzi rappresenta una sfida entusiasmante che sto affrontando con convinzione e con senso di responsabilità. Sono convinta che l’Istruzione e la cultura siano i fattori cardine per la sostanziale libertà delle persone; la conoscenza ed il sapere, infatti, consentono agli individui di disporre delle competenze e degli strumenti necessari ad aprire nuovi campi di opportunità, compreso quelli economici ed occupazionali. E’ questo l’obiettivo di fondo della mia azione amministrativa, ampiamente condivisa con i miei colleghi, ossia realizzare un processo di cambiamento che vede la cultura come mezzo efficace, atto a prospettare una diversa idea di benessere, basata cioè su principi di sostenibilità e di responsabilità sociale ed in grado di ristabilire un nuovo e più virtuoso equilibrio tra economia, società ed ambiente. In tal senso, credo sia stato avviato un nuovo percorso politico nel quale le materie delle due deleghe di cui sono titolare assumono una nuova e assoluta centralità, proprio perché calate nei reali bisogni della città. Come valutare il proliferare di associazioni culturali a Celano? E quali le problematiche relative alla ‘gestione’, in generale, delle diverse realtà culturali? Nell’ultimo anno, ossia dall’insediamento dell’attuale Amministrazione, a Celano sono nate numerose associazioni culturali i cui membri appartengono alle varie fasce d’età. E’ un fenomeno che, a mio giudizio, ha una chiave di lettura inequivocabile: si vuole dare un contributo significativo perché Celano esca da una sorta di apatia. Questo almeno ho potuto cogliere nei colloqui sinora avuti con le singole organizzazioni. Ed è questo sicuramente lo spirito che anima l’Amministrazione Comunale. Bisogna però fare insieme uno sforzo ulteriore ed avere il coraggio di puntare sulla cultura; è fondamentale investire per un nuovo modello di sviluppo che tuteli i beni comuni, il nostro territorio e le persone che lo vivono. Una scelta tanto più rilevante oggi, di fronte ad una crisi economica e sociale di dimensioni planetarie e con caratteristiche inedite. Bisogna condividere la convinzione che la recessione economica possa davvero rappresentare anche una grande opportunità per la realizzazione di un profondo cambiamento paradigmatico. Dunque, la mia valutazione è assolutamente positiva ed è estesa anche alle di associazioni già consolidate nel tempo, animate dallo stesso spirito di collaborazione, a prescindere dalla collocazione politica dei singoli membri. Penso siano maturi i tempi per coordinare queste bellissime realtà, facendo in modo che si costruisca una rete efficace, veramente a servizio della città. A tal fine, farò presto pervenire ai Presidenti l’invito ad un incontro finalizzato a riflettere sulla possibilità di entrare a far parte della Consulta, come previsto dal Regolamento Comunale, e a condividere con l’Amministrazione i criteri basilari dell’associazionismo culturale. Ritengo fondamentale che una corretta governance della res publica, anche in questo settore, debba sapere prendere delle scelte, a volte difficili, ma capaci di definire linee guida per una tutela del bene pubblico che siano chiare, ma soprattutto partecipate col territorio e trasparenti. Per questo, credo sia importante affrontare preliminarmente il tema dell’ autoreferenzialità che ho potuto registrare in più occasioni di incontro; come pure dell’ approccio all’Ente Comune in funzione e a supporto di un processo che possa portare alla costruzione di una progettazione globale partecipata. Gestione e prospettive dell’Auditorium. E altri problemi strutturali... L’Auditorium “Enrico Fermi” è una risorsa inestimabile per la città. Attualmente rappresenta la location di ogni manifestazione, aperta alle scuole, alle associazioni e a quanti intendono promuovere la creatività intellettuale nelle sue varie forme. Se però penso alla vocazione naturale dell’edificio, al motivo per il quale l’allora Amministrazione Piccone volle realizzare, non senza una certa lungimiranza, un’opera di tale fattura, non posso sottacere il desiderio programmatico di realizzare una scuola civica di musica e di recitazione. Da tempo ho avviato uno studio di fattibilità del progetto e sono giunta alla conclusione che esso è in linea con i valori e l’idea di bene comune che l’Amministrazione ha fatto propri. Tutti sappiamo che Celano è patria di illustri musicisti e che ha dato i natali a compositori di inestimabile pregio, primo fra tutti Giuseppe Corsi; ma è importante sottolineare che oggi essa è vivaio di piccoli e grandi cultori. A Celano, la musica strumentale non è limitata alle occasioni di svago come feste, balli e cerimonie pubbliche, ma è passione diffusa, densa di una sorta di sacralità. Basti considerare le numerose associazioni attuamente esistenti e le due bande. Da qualche anno si va affermando poi anche un crescente interesse per la recitazione, soprattutto tra gli adolescenti. Dunque, l’esigenza formativa è molto forte e va intercettata. A tal fine, posso anticipare che il progetto è in fase avanzata di predisposizione. Naturalmente, avvierò a breve un confronto con i maestri di strumento operanti nella città. Quanto ai problemi strutturali, sono consapevole della necessità di intervenire in due direzioni: mettere in sicurezza alcuni spazi esterni sia perché sono spesso oggetto di sfregio, direi di oltraggio, da parte di teppisti, sia perché sono stati effettivamente verificati alcuni punti di debolezza che vanno assolutamente sanati. Anche in questo versante è in programma un intervento fattivo. L’estate celanese: anticipazioni, programmi. Abbiamo già raccolto e stiamo raccogliendo le varie proposte degli artisti, delle associazioni e delle organizzazioni. Per garantire la trasparenza, come previsto dalla norma, verrà portata avanti una proposta di deliberazione per l’adozione di un Regolamento predisposto allo scopo di disciplinare la materia. Certamente, i programmi terranno conto di alcuni punti chiave: il coinvolgimento delle varie fasce d’età, quindi l’utenza destinataria dell’iniziativa; il grado con cui l’attività svolta persegue interessi di carattere generale; gli obiettivi che si intende perseguire con iniziative che condividano lo spirito del programma culturale dell’Amministrazione comunale; la continuità di iniziative precedentemente realizzate con successo. Posso anticipare comunque, che l’Amministrazione promuoverà la Settimana della cultura da tenersi nel Castello Piccolomini, sede di una prestigiosa mostra su Tommaso da Celano che sarà inaugurata a fine luglio. Sta partendo il progetto “Tommaso e Francesco in cammino” che ha richiesto un lungo lavoro di coordinamento e di organizzazione amministrativa, per il quale si è reso necessario lo slittamento dei tempi d’inizio. Ad esso sarà abbinata una serie di iniziative importanti. E’ stato poi istituzionalizzato il Premio “Giuseppe Corsi”. Al di là dei singoli appuntamenti , ci tengo molto a sottolineare che uno spazio rilevante, nel rispetto dei criteri prefissati, si darà alla cosiddetta cultura popolare, cioè a quelle manifestazioni che faranno della cultura strumento autentico di inclusione sociale. a cura di Maurizio Cichetti IL PERSONAGGIO Osvaldo Costanzi Nato a Celano il 6 novembre 1902, da una famiglia di modeste condizioni economiche. Autodidatta, fece quasi tutto da sé. Conseguì l’abilitazione magistrale, insegnando quindi nelle scuole elementari. Conseguì la licenza liceale, laureandosi in Lettere. Al “Cotugno” dell’Aquila insegnò Italiano e latino. Si trasferì a Roma dove, al Liceo “Margherita di Savoia”, insegnò Italiano e Storia. Morì a Roma il 29 giugno 1956 a soli 54 anni. Poeta, scrittore, critico letterario, Osvaldo Costanzi esordì giovanissimo nel mondo poetico con una raccolta di sonetti, “Momenti dell’anima”. In quest’opera, come in altri suoi scritti (“Comunismo e Cristianesimo”, “Introduzione allo studio della Storia”, “Il Carmen Saeculare”, “Canti, voci e fascino nella poesia di Giacomo Leopardi”, “Il pensiero religioso di Vittorio Alfieri”, “Il suicidio nel pensiero di Giacomo Leopardi” ed altri scritti ancora) si rivela un integrale mosaico artistico e poetico del pensiero di Osvaldo Costanzi e si evidenzia l’idea che la poesia non possa essere disgiunta da un fine morale. Nella “Nota” finale della sua opera di “Momenti dell’anima”, il poeta Costanzi scrive: “Chiamo uomo libero non soltanto quello che vive in terra libera, ma colui che conserva il proprio animo, puro dalle turpi passioni, forte e capace di non diventare schiavo dell’oro quando per conquistarlo si richiedesse un’azione vile che ridonderebbe a danno della patria e del prossimo”. Purtroppo questo “urlo” di umanità e di libertà lanciato dal Costanzi oggi è superato dalla filosofia dell’apparire che domina sull’essere e dall’edonismo reaganiano che rappresenta una sorta di “legge della giungla” non solo economica in cui non c’è spazio per la solidarietà sociale e per rapporti umani e di libertà. Raffaele Rosati Silone, il ‘caso’ non è chiuso Sull’autore di “Fontamara” si infittiscono le interpretazioni contrastanti QUEL GIORNO DEL ‘72... L’avventura di un uomo solo Una figura tormentata Un convegno ad Avezzano Molto merito deve essere attribuito a coloro che, incessantemente, Silone, un ‘caso’ che non è mai stato chiuso. Ormai, a quasi quarant’anni dalla morte (avvenuta nel 1978), sull’opera e più ancora sulla figura dell’autore pescinese continuano ad addensarsi analisi, interpretazioni, ricostruzioni più o meno attendibili o -in molti casialquanto avventurose. Intorno alla complessa esperienza umana ed artistica di Silone, capace già in vita di calamitare su di sé un disprezzo a volte nemmeno dissimulato da parte di alcuni, insieme però a convinta ammirazione, da parte di altri, per scelte coraggiose e che minavano il conformismo dell’epoca, intorno alla sua figura -si diceva- si è dato spazio alle più svariate categorie interpretative, da quelle che chiamano in causa il rapporto di Silone con la storia del suo tempo, con le ambiguità e le contraddizioni che ne hanno scandito il percorso (il Silone informatore della polizia fascista, secondo le ormai note ricostruzioni degli storici Biocca e Canali) financo a quelle (è il caso de “Il fenicottero rosa”, l’ultima fatica letteraria dello scrittore di origine celanese Renzo Paris) che vanno a scandagliare le scelte e i comportamenti di un giovane Silone sotto una prospettiva psicoanalitica, con ‘riflessi’ che andrebbero a interessare la stessa sessualità dell’autore di “Fontamara”. E c’è chi prende in esame (lo ricordiamo in questa stessa pagina) la figura dello scrittore dal versante astrologico, con notazioni di un qualche interesse e curiosità. Ce ne è abbastanza, insomma, per considerare non affatto chiuso il caso di un intellettuale che, attraverso la sua opera e le sue scelte di vita, ha rappresentato una sorta di ‘unicum’ nel panorama, pur così variegato, del nostro Novecento. Del resto proprio le risentite reazioni di tanti studiosi e critici che, da diverse angolature, hanno inteso invece ribadire -in un dibattito che va avanti ormai da decenni- la sostanziale integrità morale dell’uomo e dell’intellettuale, dimostrano come non sia passata inosservata la lezione che Silone (al di là di studi e analisi interpretative che dovranno essere ancora perfezionati) ci ha lasciato, pagando, in termini di isolamento e di incomprensione, un prezzo molto alto per le sue scelte di libertà mc E le stelle dicono... Una curiosa interpretazione dell’ autore pescinese Scrivere di astrologia, per il pensiero comune, è istintivamente associato agli imbonitori della creduloneria popolare. Eppure lo stesso Isaac Newton, uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi, non disdegnava l’astrologia, anzi la praticava. Quando uno dei suoi amici gli chiese come mai credesse in una simile robaccia, gli rispose: “Signore, io ho studiato questa materia. Voi no!”Allo stesso modo Carl Jung studiò approfonditamente l’astrologia, legandola alla sua teoria sui tipi psicologici. E ancora Keplero, Galileo, Leonardo da Vinci e tantissimi altri... L’astrologia non è una scienza, né vuole sostituirsi all’astronomia. E’ un gioco, maledettamente “serio”. La decisione di occuparmi sotto questa prospettiva di Silone -dopo aver esaminato, attraverso le mie competenze astrologiche, migliaia di oroscopi individuali nell’arco di trentanni- nasce dalla mia esperienza di Vice presidente del Centro studi Ignazio Silone negli anni 2006-2008 e dall’interesse verso lo scrittore mio compaesano. Prendo le mosse da un convegno di qualche anno fa, a Pescina, sulle tradizioni popolari abruzzesi e, in particolare, sul folklore abruzzese nelle opere di Silone. Cerco di sintetizzare una parte dell’intervento che ebbi modo di fare in quella occasione, ricordando che è solo intraprendono iniziative tese a ricordare Romolo Liberale e le sue molteplici attività: dirigente politico, sindacalista, pubblico amministratore ma, soprattutto, poeta. Egli si è sempre battuto per affermare i valori della pace, della libertà e della democrazia in genere: un altro principio dal quale amava non distaccarsi era rappresentato dalla verità. Ed è proprio per onorarne la memoria che giova ricordare un episodio che nulla vuole togliere a ciò che il personaggio ha rappresentato e tuttora rappresenta: nessuno si scandalizzi, quindi, se ora raccontiamo qualcosa del rapporto Silone-Liberale che, sono trascorsi ormai 44 anni, molti hanno dimenticato. Tanti anni or sono, se un dirigente o semplice iscritto del PCI avesse presentato le sue dimissioni dal partito, queste sarebbero state sistematicamente respinte e qualche giorno dopo sarebbe stato espulso perché considerato traditore della causa dei lavoratori. Da ricordare che l’illustre scrittore pescinese, dopo l’uscita dal PCI che ne decretò la morte civile, si presentò alle elezioni politiche nelle liste del PSDI e Pescina non lo riconobbe come suo figlio tanto da riversargli appena una manciata di voti. Nel 1972, Marco Conti, assessore alla Cultura del Comune di Avezzano, organizzò nell’aula consiliare un convegno alla presenza di Ignazio Silone: al termine di un acceso dibattito, Liberale apostrofò duramente lo scrittore, gli rivolse frasi ed epiteti poco gratificanti riguardanti il suo passato politico. Dopo alcuni anni, però, Romolo tornò sui suoi passi, fu folgorato come San Paolo sulla strada di Damasco e si convertì alla causa dell’autore di Fontamara: nei partiti di sinistra, l’autocritica (non quella estorta sotto tortura durante le purghe staliniane) è stata sempre di casa! Ripensare e modificare le proprie opinioni non è segno di debolezza ma sicuro indice di maturità intellettuale. È necessario rammentare che negli ultimi anni Liberale fu alfiere e sostenitore di Silone: fu membro del Premio Internazionale (promosso dalla Regione Abruzzo ed intitolato al romanziere) che ogni anno, onora l’illustre corregionale, noto e famoso in tutto il mondo, le cui opere sono state tradotte in cinquanta lingue. Giovanbattista Pitoni una premessa di un discorso più ampio. Il mondo del folklore è lo specchio di vita quotidiana ritratta nell’animo di Silone. Un mondo che osservava da fanciullo ma che conosceva attraverso il racconto della madre che lo portava con sè nella stanza dove c’erano altre donne che tessevano. Trascorreva con esse giorni interi e mentre filavano ne ascoltava racconti e leggende, di favole allegoriche con morale, storie di vita d’Abruzzo. Dunque, Silone nasceva il 1 maggio del 1900, ore 2,00 di martedi. Un detto popolare, in tema di superstizioni e credenze abruzzesi, raccolto dallo studioso Gennaro Finamore, recita: chi nasce di martedi è rissoso. Infatti è il giorno di Marte, dio della guerra, della violenza, della facile ira. La simbologia del pianeta ha origini lontanissime nel passato, resistita nel tempo, ma con essa possiamo divertirci nello scoprire un aspetto del carattere del nostro scrittore attraverso una pratica ritenuta magia allo stesso modo di eresia: l’Astrologia. Ebbene Silone, nel suo tema natale, ha marte in domicilio congiunto a mercurio in ariete. Cosa significa? Marte, l’azione dirompente, mercurio l’intelligenza viva in segno di fuoco che scotta, risultato: personalità dai riflessi rapidi, lucidità notevole, sempre leggermente aggressiva, polemica, poco incline a cedere. Forte carica nervosa. Efficacia espressiva notevole, intuito e capacità di analizzare, desiderio di avere la meglio e di avere l’ultima parola, temperamento indipendente e che rifiuta il conformismo… Mauro Parisse 3 IDEE DIsTrATTO, DunQuE frAGILE! La difficile ricerca di un senso La cultura dello sballo… il vivere di eccessi, il bisogno di emozioni effimere ma forti, anzi fortissime, perché? Considerando poi che il paradosso più grande in tutto ciò è che probabilmente lo si fa per sentirsi vivi e liberi, ma poi il risultato è lo stare male, il diventare schiavi di una dipendenza e, nel peggiore dei casi la morte stessa, questo modus vivendi risulta essere davvero assurdo. Eppure è all’ordine del giorno tra i più giovani e i fatti di cronaca di questi ultimi tempi spesso hanno portato di nuovo alla ribalta la grave problematica. L’emergenza educativa torna a manifestarsi in maniera eclatante, interpellando la coscienza di chi si sente almeno un minimo responsabile della cura delle nuove generazioni. E così il declino culturale e sociale di questa contemporaneità assume i tratti di una tragedia, che però a quanto pare, non provoca reazioni adeguate soprattutto in coloro che probabilmente hanno generato tale sfacelo, abdicando al loro ruolo di adulti, genitori, educatori, politici… esempi di vita quotidiana, purtroppo, non vissuta nella virtù e nell’autorevolezza. Spesso sentiamo dire mini e lo organizzi in maniera armonica. Di questa condizione esistenziale sono ad esempio metafora i ritratti di Francis Bacon. Il soggetto umano risulta essere sformato, con una silhouette indefinita, una persona dunque che potremmo definire distratta; ed è distratto colui che si ignora perché vive “fuori di sé” fuori del suo centro o del suo cuore, non curante della sua interiorità. Così la perdita del centro della propria esistenza porta come conseguenza inevitabile, o meglio rappresenta in sé stessa, lo smarrimento del senso della vita. Soggetti così distratti rischiano di essere superficiali, in quanto incapaci di profondità e stabilità… ma soprattutto rischiano di non-essere quello che devono essere, ovvero autenticamente umani (incapaci come sono di relazioni e comunicazione), soggetti caratterizzati da uno sguardo deformante la realtà vera dell’esistenza che, invece di vivere in profondità e in equilibrio, vivono sfiorando la vita stessa, gli altri e le cose, dunque: persone fragili. Alessandro Franceschini P E R SO N E Un uomo da ricordare Idilio Gigli e Ortucchio In un piccolo paese nascono a volte uomini illustri che godono di grande rinomanza nazionale e/o mondiale per qualità personali o atti insigni, più spesso uomini popolari, uomini cioè molto noti tra il popolo e che ne godono la stima per il loro modo di vivere quotidiano tra la comunità. Tale è stato Idilio Gigli, da poco scomparso, la cui figura, generosa e disponibile, era sempre presente in ogni iniziativa popolare. Per questo resterà per sempre nella memoria degli ortucchiesi. Già da giovane, aveva respirato una atmosfera di apertura positiva verso l’ospite, l’amico, il prossimo. Era stato un antesignano delle nuove correnti musicali che, finita la guerra, venivano dagli Stati Uniti. Con un gruppo di dilettanti di successo, animava serate danzanti, veglioni, feste paesane. A cavallo degli anni ’80, fu eletto consigliere comunale, dimostrando sempre equilibrio e serietà. In quello stesso periodo fu tra gli iniziatori, nel Fucino, delle colture delle insalate, della carota e del finocchio, prodotti che ben presto ebbero successo nei mercati ortofrutticoli di tutta Italia. Oltre ad essere stato, tra le altre cose, Presidente del Centro Anziani di Ortucchio, costituì, insieme a pochi altri volenterosi, il Coro Folkloristico di Ortucchio “Acqua Zolfa”, che prese parte con successo a numerose tournee. Ma l’idea più ambiziosa era quella di costituire una “Banda Città di Ortucchio”. L’idea divenne realtà nel 2003. Da allora, Idilio Gigli ha dedicato tutto se stesso a questa creatura, in un alternarsi di sconforti e soddisfazioni, successi e scoramenti, riuscendo a garantire la sopravvivenza della banda. Alla sua morte, lo scorso settembre all’età di 75 anni, migliaia di persone lo hanno onorato. Il Concerto di Natale, tradizionale appuntamento della Banda Città di Ortucchio, si è tenuto come sempre. Il figlio Fabio ha infatti raccolto, come un’eredità, il testimone dal padre. Ma adesso, non va lasciato solo… Orante D’Agostino che i ragazzi di oggi sono distratti! Ecco il problema a mio avviso. Ma attenzione, non si tratta di una distrazione così come po- Immagine: francis Bacon, Portrait of Getrebbe essere intesa dal senso comune. Si orge Dyer Talking, 1966 – collezione pritratta di qualcosa di molto più profondo, di vata ontologico ed esistenziale, che merita un approfondimento. L’uomo d’oggi, risulta essere mancante di un centro che lo deter4 essi conservano vivacità e genuinità, hanno capacità comunicative nella famiglia, nel paese, nell’ambiente che la lingua nazionale non ha mai avuto, anche perché essa è stata creata a tavolino e tra il popolo ha conosciuto diffusione assai lentamente e faticosamente. Se ad un popolo si toglie il dialetto lo si priva della storia più vera, in sostanza della sua profonda identità. Ma più vero ci sembra quanto afferma Buttitta: “Non sono stato io a Un autorevole intervento su un temo sempre dibattuto scegliere il dialetto…il dialetto l’imparai da mia madre, me lo trasmetteva ioran, uno dei massimi saggisti del XX secolo, in uno scritto apparso allattandomi”. Cioè il dialetto non è una lingua, è qualcosa di più: un idensu un quotidiano italiano, esprimeva questo folgorante “flash”: “Non tikit tecnico-spirituale, un modo di vivere e di pensare, storia che si attuasi abita un paese, si abita una lingua”, riassumendo così in una for- lizza nella collettività. Perché il dialetto è natura e non artificio. mula che contiene una verità quasi matematica, una idea che ognuno di Alberto Consiglio nella sua bella antologia di “Poeti napoletani” ricorda noi si porta dentro un po’ confusamente e che non ha la capacità di rivelarla nell’introduzione che nell’ultimo decennio del regime fascista Mussolini aveva bandito una sorta di crociata contro i dialetti, facendo sciogliere nucon tanta assolutezza e tanto splendore. Annotano gli storici che i Greci sentivano di essere uniti tra loro soprattutto merose associazioni regionali, facendo escludere dalle terze pagine dei quando entravano in rapporto con gli stranieri. Dispersi per tutto il bacino giornali qualsiasi scritto sull’arte dialettale e che, non potendo sopprimere del Mediterraneo, continuavano a sentirsi uniti soprattutto grazie al lin- compagnie teatrali come quelle di Govi, Musco, De Filippo, Baseggio ed guaggio. I “barbari” per i Greci, erano tutti gli altri popoli, che non usavano altri, aveva imposto l’obbligo di tradurre i titoli dei lavori del teatro dialettale in italiano. Sciocchezze. Perché, tra l’altro, dare il bando ai dialetti, sila loro lingua. Allora si potrebbe quasi concludere che i Greci non andavano nella Magna gnificava e significa ancora precludere lo studio di tutto un mondo di Grecia o altrove alla ricerca di una nuova patria. Ci andavano per altri mo- tradizioni, cultura, costumi, vita genuina, bellezza ed arte, senza il quale l’Italia non starebbe in piedi, perché senza radici. Perché il dialetto è lo strutivi. La patria se la portavano dentro con la propria lingua. Il preambolo vuole introdurre qualche considerazione sulla “vexata quae- mento che meglio esprime sentimenti, valori, speranze, con cui ripercorrere a ritroso i sentieri della memoria resi sempre più oscuri dalla stio” del rapporto tra l’italiano e il dialetto. C’è una dichiarazione di Gesualdo Bufalino che sembra porre il problema globalizzazione che contraddistingue la nostra epoca. E’ importante conocon grande equilibrio: “E’ sacrosanto conservare la propria identità regio- scere l’italiano come strumento di comunicazione nazionale, ma la diversità nale…ma nello stesso tempo occorre ricordare che l’italiano è il linguaggio socio-culturale fra le diverse comunità italiane, espressa dai dialetti, è una che ci unisce, attraverso il quale ci riconosciamo italiani. Certo la media- ricchezza che va mantenuta, difesa, valorizzata e divulgata. zione va trovata facendo in modo che gli idiomi regionali non siano annac- Ecco perché in questa “vexata quaestio” occorre misura. quati nel generico italiese televisivo. Ma non bisogna esaltare il dialetto fino al punto da considerarlo sostitutivo della lingua nazionale”. Mario Di Berardino Riconosciuti che i diritti della lingua nazionale sono molti di più di quelli del dialetto, occorre aggiungere che i dialetti specialmente nei luoghi ove A proposito del dialetto La dignità della lingua che parliamo C LA STORIA SOTTO CASA arricchito da affreschi che ricordano il prosciugamento del Lago Fucino, con immagini dei lavori di ingegneria idraulica, della inaugurazione dell’Emissario e dello stesso Principe Alessandro Torlonia. Un “pezzo” di storia è rappresen- “AVEZZAn’EurOPA” In VIsITA AL PArCO TOrLOnIA tato poi dallo Chalet, impropriamente conosciuto come “Casino di Caccia”, Una bella iniziativa della Associazione Culturale “Avezzan’Europa” ha portato una costruzione di forma ottagonale, in legno, di stile liberty realizzata quasi un numeroso gruppo di Soci – guidati dal Presidente Brizio Montinaro - a com- cento anni fa. La volta è affrescata con artistici disegni portati a rinnovato splendore dall’artista marsicano piere un percorso di particolare interesse storico. Parliamo di quell’area conosciuta come “Parco Torlonia” e che comprende (oltre alla sede degli Uffici ex-ARSSA) il Palazzo del Principe, lo Chalet del Principe, la ghiacciaia del Principe. Tutto, cioè, parla di “ lui”, un uomo che qui, in questo Parco, forse non ha mai messo piede, lasciando comunque tracce della sua esistenza e della sua impor- tanza (ma non del suo affetto) per Avezzano e gli Avezzanesi. L’occasione peraltro è stata utile e interes- sante e ha consentito di ripercorrere alcune tappe fondamentali del “peso” che ha avuto per la Marsica la storia di Casa Torlonia. Gli amici di “Avezzan’Europa” hanno avuto Elzeviro PASSERELLA DI SUPERSTAR... N E L L’ A S S O C I A Z I O N E E ti pareva! Il primo è sempre lui, Felipe, il miglior fico del bigoncio, tutto in ghingheri, lesto, con una girata di cul, a provvedere a tutto. Manco fosse l’anima del mondo! A ruota, novelli Dioscuri, i due Sergei, tenendosi a braccetto. L’uno, con gli occhi sognanti, appena socchiusi, quasi in preda all’estasi suprema. L’altro, gli occhi quasi li spalanca, furbi e vispi, come la vispa Teresa, e si guarda intorno, spargendo sorrisi qua e là, beato tra la gente. Castore il primo, Polluce il secondo. Poi arriva, quatto quatto, don Pascal l’enciclopedico. Che sapere! Che memoria! L’incipit è adagio adagio, ma spiccato il volo non c’è caso di fermarlo. Tirarlo per la giacca? Rien à faire. Fare altro? Idem. L’ispirazione non lo molla punto e riportarlo a terra son pasticci. Per ultimo (si fa per dire), monsieur le President. Miracolo in terra, quasi gongola e scodinzola, ch’era follia sperar. Il gelo ch’aveva dentro si scioglie a piano a piano e il cuore si va scaldando al sol…dell’avvenire. Lucio Quinzio la fortuna di essere accompagnati da Sergio Pasquale Di Fabio negli anni Settanta. All’interno oggetti e arnesi della cosiddetta civiltà contadina in- sieme a giornali e pubblicazioni d’epoca. Lo Chalet è stato finalmente restaurato da pochi mesi. La visita di Avezzan’Europa prevedeva anche l’ingresso alla “Ghiacciaia” del Principe, un am- biente scavato nel terreno del Parco, sotto una piccola altura e che veniva utilizzato per tenere “al fresco” cibi e bevande. Pur- troppo all’ultimo momento non s’è trovata la chiave per accedere all’interno e i visitatori si son do- vuti accontentare di ammirare la Iacoboni, appassionato studioso e cultore delle vicende storiche che hanno ghiacciaia dall’esterno. Infine un piacevole buffet, predisposto dalla signore intervenute alla passeglegato il nostro territorio al Casato dei Torlonia. Vicende che sono state ricostruite e illustrate dallo stesso Iacoboni con rife- giata, ha concluso una visita che è risultata particolarmente interessante e sicuramente meritevole di ulteriori approfondimenti storici. rimenti e notizie dettagliate e perfino inedite. Pima tappa il Palazzo distrutto dal terremoto del 1915, ricostruito quasi fe- F.F. delmente nel 1920. All’interno un paio di sale hanno un aspetto dignitoso, 5 Questa città da capire Le trasformazioni di Avezzano nelle riflessioni dell’Architetto Pantaleo Peppe Pantaleo è un uomo che cammina. Lo fa per le strade della sua dal prosciugamento del Fucino fino ai giorni nostri e molto alla bassa quacittà, quella città che osserva non con l’occhio distratto del passante, ma con lo sguardo di chi a quella città è legato senza esibizionismi, conoscendone nel profondo caratteri, cambiamenti, evoluzione, cogliendo il modo in cui la gente che la abita utilizza, nel tempo, le strade, gli spazi… Sessantun anni portati con la stessa levità di quando ne aveva venti di meno, Pantaleo -laureato in Architettura alla Sapienza- lavora nell’editoria come grafico, illustratore, editor. Ha alle spalle ben 29 pubblicazioni, di cui 19 su Avezzano, il resto di tipo artistico. Ha fatto mostre, 6 personali ed una ventina di collettive, mentre per dieci anni ha curato il blog. lità dei materiali impiegati per costruire l’identità stessa. Che te ne fai dei «valorosi Marsi»? Vai invece sul velluto con Castello Piccolomini, Tommaso da Celano e i Santi Martiri. (Avezzano a suo tempo rinunciò alla ricostruzione o al restauro di Castello Orsini). Non solo, c’è la tendenza a distruggere in maniera sistematica le testimonianze del passato. Cito il fatto più clamoroso. È comprensibile, ma fino a un certo punto, l’interruzione su via C. Corradini della strada che collegava il Comune ad Alba Fucens operata durante la ricostruzione post-terremoto – si trattava di una sorta di cordone ombelicale e insieme del cardo; via Albense è scomparsa dalla toponomastica da qualche anno. C’è stato mai – e di che genere – un rapporto tra questa città e il Fucino? Lo sfruttamento del bacino lacustre è stato un’attività marginale se paragonata all’agricoltura e alla pastorizia; il rapporto tra lago e comuni ripuari è dipeso solo dai grossi proprietari terrieri che si sono succeduti. Per dirne una: Avezzano non aveva diritto di pesca a differenza di Luco dei Marsi (Colonna), di Celano, Ortucchio e San Benedetto dei Marsi (Cesarini). A livello urbanistico manca da noi qualsiasi riferimento al Fucino – a differenza di Luco dei Marsi –, resta una via intitolata a sant’Andrea. Sono giunte la mano d’opera specializzata e i «quadri» oltre agli operai, durante il prosciugamento; lo stesso Torlonia ha voluto costruire un suo palazzo proprio ad Avezzano e in quel momento è partito lo sviluppo del terziario… Qual è, camminando oggi per Avezzano, l’aspetto che in qualche modo ti colpisce di più? Vado in giro quando gli altri cenano in questo periodo. Mi rendo conto di com’è impiegato il patrimonio edilizio per via delle luci accese. Il centro è meno compatto, solido e vivo che di giorno. Sembra di camminare in un paese con una catastrofe (bombardamento, alluvione, terremoto, pestilenza) recente alle spalle e che stenti a riprendersi. Le trasformazioni di questa città negli ultimi trent’anni... Avezzano è cresciuta lentamente, in modo continuo negli ultimi novant’anni. Il Quadrilatero era incompleto negli anni Sessanta ma alcuni compaesani hanno preso a trasferirsi verso Scalzagallo per risparmiarsi la vita condominiale. I venditori di piazza del Mercato hanno preferito abbandonare quel luogo per stare al coperto, nello stesso periodo. Trent’anni fa ci siamo accorti della periferia nella zona nord, della sua mancanza di servizi, negozi e spazi sociali; il flusso dal Quadrilatero si è spostato anche verso Antrosano e San Pelino. L’ultimo decennio ha registrato l’allontanamento dal centro di negozi, laboratori artigiani e studi professionali: hanno seguito i residenti, i clienti in fondo. Sta divenendo una sorta di grossa ciambella. In maniera forse banale e semplicistica, si è spesso parlato di Avezzano come una sorta di città, di agglomerato senz’anima e senza storia. Fino a che punto è vero? Avezzano ha una storia che i residenti ignorano in generale; manca un popolo e un’identità, più che altro. Ciò si deve in parte alla forte immigrazione UN S E R V I Z I O C H E V A L E Avezzano e Celano (e poi la Marsica). Che interazione oggi corre tra queste realtà? Le celebrazioni del Centenario hanno mostrato plasticamente la situazione locale negli ultimi lustri: ciascun paese ha tirato dritto, è andato per proprio conto. Toccava al capoluogo imporre la propria leadership, nel senso: avanzare una proposta vantaggiosa per tutti i paesi del comprensorio – il terremoto del 1915 ha investito un’area più vasta dello stesso. Ciò non è successo per i campanilismi e per la mancanza di volontà o per l’incapacità da parte dei compaesani che amministrano. La Marsica appartiene al bacino LiriGarigliano e Volturno: siamo abruzzesi sui generis e nuove divisioni sono perniciose perché c’indeboliscono ulteriormente nei rapporti con la Regione. Un esempio da imitare: Muntagninjazz (Introdacqua) coinvolge una decina di paesi tra la Valle Peligna e quella del Sagittario. mc GLI OROLOGI DELLA STAZIONE Quello nella Misericordia Entro il 30 giugno tutti coloro che (tra i giovani dai 18 ai 28 anni compiuti) vogliono svolgere Servizio Civile possono rivolgersi alla Fraternità di Misericordia di Celano (Piazza Santa Maria 1 – tel. 0863-792279) dove, oltre alle informazioni in merito, è a disposizione il progetto: “Impiego di volontari in Servizio Civile in Italia”. Le attività previste per le quali i volontari ammessi (n. 8 posti disponibili) verranno ad operare riguardano: sostegno delle opere di assistenza domiciliare per anziani e disabili; trasporto anziani e disabili verso luoghi ricreativi, centri culturali e successivo ritorno al proprio domicilio; trasporto anziani e disabili verso strutture sanitarie e trasporto socio-sanitario di tipo ordinario ovvero d’emergenza. Quello del Servizio Civile è un’iniziativa del Ministero della Difesa che esaminerà le domande pervenute ed ammetterà i candidati, i quali, verranno decentrati in servizio nei luoghi richiesti e fino al numero consentito dal budget previsto Su cinque orologi, alla stazione ferroviaria di Avezzano, quattro sono fermi. A chi tocca rimetterli in moto? Alla stazione ferroviaria di Avezzano ci sono cinque orologi, ciascuno con una sua ora.Sul marciapiede che dà su Piazza Matteotti , c’è una palina con due orologi: davanti sono le 17,45, dietro, invece, sono le 17, 47. Poco male, si dirà: il fatto è che su tutte e due i lati gli orologi sono fermi. Mentre in Italia il tempo passa, su quella palina no, il tempo si è fermato. Entriamo in stazione: alla biglietteria, in alto, sopra lo sportello per i viaggiatori, c’è un grande moderno orologio digitale Che ora è, che ora fa? Nessuna: quell’orologio segna le zero virgola zero zero: è mezzanotte! Da sempre e chissà per quanti anni ancora. Ma non è finita: andiamo verso i binari. Ci sono due orologi, uno solo segna l’ora giusta, l’altro no. C’è infatti quello sponsorizzato da una Banca che è fermo, da anni, e nessuno se ne preoccupa. Né la Banca che forse paga un canone per quell’impianto, né le Ferrovie, che dovrebbero dare un servizio corretto e preciso, né il Comune di Avezzano che, come primo biglietto da visita a chi arriva da noi dà un messaggio forte e chiaro: qui è tutto fermo. Peppino Marsone 6 Il prestigioso premio “Corsi” a Giuseppe Iacobucci FIATO ALLE TROMBE! A nemmeno 25 anni ha un curriculum che pochi, alla sua età, possono esibire. Una febbrile attività concertistica, una collaborazione con alcune delle più prestigiose istituzioni sinfoniche e cameristiche, unanimi riconoscimenti per un talento artistico cristallino. Proprio a lui, al celanese Giuseppe Iacobucci, prima tromba dell’Orchestra Giovanile Italiana, è stato quest’anno assegnato il premio Corsi, il riconoscimento istituito da qualche anno dall’omonima associazione corale e che intende per l’appunto premiare un musicista locale che si è particolarmente distinto per la sua attività. Un premio quanto mai meritato, per un artista che a vent’anni si è diplomato con il massimo dei voti presso il conservatorio Casella di L’Aquila, perfezionandosi, poi, presso l’Accademia di Santa Cecilia. Nell’omonimo conservatorio romano ha conseguito il diploma accademico di secondo livello in Didattica della Musica. E poi –come si diceva- l’intensissima attività orchestrale, che ha visto Iacobucci partecipare a molte tournee in Italia e all’estero, suonando, fra l’altro, anche alla Concerthouse di Berlino. Svariate anche le collaborazioni con diverse istituzioni sinfoniche e cameristiche, come l’orchestra giovanile abruzzese, l’orchestra internazionale d’Italia, l’orchestra sinfonica abruzzese, l’Accademia nazionale di Santa Cecilia, l’orchestra Sinfonica di Roma, l’orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari. Oltre ad aver poi eseguito da solista, ad appena 20 anni, il Concerto in mib di Haydn con l’orchestra “I musici di Parma”, è risultato idoneo ai concorsi per flicorno soprano presso la Banda Musicale della Marina Militare. Unitamente ad una intensa attività cameristica, suona in qualità di primo flicorno contralto con l’Italian Brass Band, con cui ha vinto, l’anno scorso, l’European Championship a Friburgo. Ha suonato diretto da nomi di assoluto prestigio, da Riccardo Muti a Fabio Lusi, da Whayne Marshall a Donato Renzetti, da Alberto Veronesi a Stanislav Kochanovsky. COME ERAVAMO di Raffaele Rosati Qualche giorno fa, rovistando nel mio archivio, lo sguardo si è fermato su un libro dalla copertina colore bianco- azzurra dal titolo “Celano 50 anni di calcio”, di Raffaele Rosati e Fulvio D’Amore, stampato nel 1987. Quanto tempo è passato dalla pubblicazione! Incuriosito, ho cominciato a sfogliare quelle pagine zeppe di ricordi. Ogni pagina del libro testimonia la storia del calcio celanese. Un amarcord emozionante e toccante che racconta la storia di una “Cenerentola dalle scarpette chiodate”. In “Celano 50 anni di calcio” si riportano alla vita eventi, sentimenti e situazioni che erano celate non solo nella mente, ma anche in fondo al cuore dei veri sportivi. Quello che maggiormente mi ha colpito nello sfogliare il libro è stato il titolo di una pagina: “Cuore e Batticuore Bianco – Azzurro “ e , di “spalla”, la foto del presidente onorario e medico della Cliternum, Dott. Michele Carusi., il “medico dei poveri”. Al dottor Michele Carusi va attribuito, tra i tanti, anche il merito di aver “scritto” una importante pagina della storia calcistica celanese. La storia del calcio celanese è una storia fantastica, a tratti burrascosa, romantica, piena anche di immagini fuggevoli, allegre e spensierate di tutta la città. Ricostruire il passato di un club, non solo calcistico, significa ricomporre un mosaico di una città piena di ricordi, di avvenimenti, di modi di vivere e di essere. Le memorie della vecchia Cliternum , poi diventata Olimpia Celano, e quel modo di vivere le passioni rischiano di essere buttate nel cestino delle cose inutili. Quel modo di fare sport, quel sentire collettivo, quel collante sociale sta lasciando il posto ad una generale indifferenza istituzionale, alla logica dei consensi e dei Patrocini, lasciando nell’indifferenza, appunto, questa seconda consecutiva retrocessione della squadra di calcio cittadina, con il rischio di non essere presente nemmeno ai nastri di partenza del prossimo campionato di Promozione, dopo i favolosi anni della C2 che videro protagonisti prima il patron Ermanno Piccone e quindi il compianto figlio Fabio Piccone che hanno voluto e saputo spostare in alto la traiettoria della gloriosa storia del calcio celanese, spazio simbolico e irrinunciabile dell’immaginario collettivo di Celano. Il dottore di tutti Don Michele e la sua passione sportiva Michele Carusi’ uomo e medico di particolari doti umanitarie e sociali, legò il suo nome alla squadra castellana negli anni Quaranta e Cinquanta. Entrò nella tradizione calcistica celanese, impegnandosi come medico sociale e come Presidente dell’A.S. Cliternum. Dal suo nobile animo sgorgava una generosità immensa destinata a lasciare, dopo la sua dipartita, una scia di commossi ricordi. La sua attività fu sempre contraddistinta da disinteresse per ogni fonte di guadagno e, come sportivo, contribuiva oltre che professionalmente anche economicamente per fare grande la Celano Calcio. Se lo slogan “Nato con la Cliternum e per la Cliternum” si potesse applicare al dotto Michele Carusi, il merito di aver scritto una pagina della storia calcistica celanese, spetterebbe anche a lui. Don Michele, quindi, ha sempre rappresentato nelle storia della società sportiva un luminoso punto di riferimento. Anche avanti negli anni fu sempre presente in tutte le manifestazioni con la sua fedele macchina fotografica per fissare i momenti salienti della squadra castellana. Tratto da “Celano 50 anni di calcio” di raffaele rosati e fulvio D’Amore 7 ‘L'umanità’ negli animali C’era una volta il gioco... C harles Darwin (in stracci, e gli fa festa, scodin- Jennifer Holland, zolando. A vederlo, l'eroe, Mondadori 2011) di- commosso, si asciuga con la ceva che gli animali non solo mano una lacrima furtiva. provano affetto, ma deside- Davvero toccante: prova evi- rano essere amati. E' vero: anche loro hanno un cuore e un'anima. Da ragazzo mi è capitato di vedere un puledrino piangere la- dente di affetto reciproco. • la capretta (Virgilio, Ecl. I, 13-15) appena figliata, che non vuole seguire il gregge e crime copiose con il musetto lasciare i suoi nati soli e in- poggiato sopra la testa della difesi. Ma trascinata via a madre, appena stramazzata forza, dal pastore in fuga, al suolo, dopo violente coli- alla fine è costretta ad ab- che addominali. Piangeva bandonarli sul nudo sasso. per l'affetto che gli veniva Tempi duri, quei tempi!. La meno. A vederlo, mi si violenza dei veterani, affa- spezzò mati di terra, non rispar- il cuore: orfano anche lui! Non lo dimenticherò mai. Anni dopo, mi è capitato anche di assistere, in campagna, all'agonia di un mio miava nessuno, né uomini, né animali. E il pastore, in tutto quel trambusto, cerca di salvare il salvabile. Ha il vecchio cane, pastore abruz- cuore in pena anche lui, zese di oltre vent'anni, che come la capretta, ma, nella tra gli spasimi della morte, fretta, non può prendere con intervenuta di lì a poco, sé i due caprettini, speranza quasi chiedeva aiuto, dispe- del gregge, ratamente. La sua agonia usano i pastori, anche ai no- non differiva molto da quella stri giorni, in casi simili. di un essere umano. Anche A scuola, i nostri professori allora mi si spezzò il cuore. In letteratura: • il cane Argo (Omero, Odissea, XVII, 350-397), che ormai vecchio e abbandonato dalla servitù su un ...Le nostre case non erano ricolme di giocattoli. I bambini giocavano all’aperto dalla mattina alla sera durante la bella stagione. Le strade e le piazzette erano gli spazi dove si giocava a pallone, a campana, a nascondino. Non i palloni di cuoio o di gomma, ma palle fatte di stracci e carta. Quando qualche fortunato riceveva in regalo un pallone di cuoio con tanto di camera d’aria, si apriva dinanzi a noi uno scenario di gioia e di preoccupazioni: di gioia perché finalmente si poteva calciare un pallone vero, di preoccupazione perché quell’oggetto tanto amato rovinava le scarpe. Alla sera, quando si tornava a casa, la prima cosa da fare era di strofinare la punta delle scarpe con la fuliggine, onde nascondere le tracce evidenti delle pallonate agli occhi attenti della mamma. Le femminucce giocavano con le bambole, anch’esse fatte di stracci, e tutt’insieme si giocava a campana durante il giorno e a nascondino dopo il tramonto. Altro giocattolo molto usato dai maschietti era il “ruzzico”. Il cerchione della ruota della bicicletta privo di raggi e asse centrale. Una bacchetta liscia e fine sospingeva il “ruzzico” sulla strada piena di sassi e di pietre. Con quel mezzo si andava a svolgere le commissioni che ci venivano ordinate dai grandi: al tabaccaio, al negozio alimentari, alla fontana per attingere acqua! Nella fantasia dei ragazzi quell’oggetto rappresentava un mezzo di locomozione importante! E mentre si correva appresso al “ruzzico”, non si sentiva la fatica ed il fastidio di dover sempre obbedire a qualcuno. Proprio la carenza di giocattoli spingeva la fantasia e la creatività dei ragazzi a produrre con le proprie mani quanto poteva essere utile per giocare. Il filo di ferro si trovava in abbondanza sulle strade: era la materia prima per fabbricare biciclette, macchinine, carretti con cavalli, ecc. In quelle costruzioni tanto belle e ben fatte veniva espresso l’estro artistico, la creatività, la voglia di trasformare la staticità delle condizioni sociali, e non solo, di quella generazione... Da “Il mio medioevo”, di nazzareno fidanza come pure ci dicevano che nelle ,Bucoliche, Virgilio umanizzava gli animali e noi studenti dài a ripeterlo come pappagalli. Non è vero! Gli animali mucchio di letame, ranto- erano già umani e lo sono lante e pieno di zecche, al tuttora e sempre. suo approssimarsi, riconoLucio Quinzio sce Ulisse, anche se vestito di 1969 Un cammino solitario mi innalza sul monte dove, avvolto di silenzio, mi specchio nell’universo Alei Vivens La redazione: Gianni Cantelmi Vero Fazio Nazzareno Fidanza Sergio Iacoboni Nazzareno Mascitti Filippo Rosati Nella Celano degli anni ‘50 Per comunicare con la redazione l’indirizzo di posta elettronica è il seguente [email protected] Stampato presso Tipografia Master Print Avezzano Un legame sempre più saldo Rinnovato il “patto” con Castelpoto Nel segno della tradizione e della venerazione ed attaccamento ai Santi protettori. Con tale spirito anche quest’anno una folta delegazione di celanesi ha partecipato a Castelpoto (Bn) alle solenni cerimonie di festeggiamento in onore dei Santi Simplicio Costanzo e Vittoriano, che nella cittadina campana vengono celebrati nei giorni 13, 14 e 15 maggio. La delegazione del comune di Celano composta dal Presidente del Comitato Santissimi Martiri 2016 Vittorio Angeloni, dal Priore della Confraternita di San Francesco Fernando Guerra e dall’assessore comunale Ezio Ciciotti era composta da una sessantina di fedeli ed ha rinnovato in tal modo il “patto di amicizia” tra Celano e la cittadina campana. Il rapporto di interscambio culturale, e soprattutto nell’occasione dei festeggiamenti in onore dei Santi Martiri, tra la Città di Celano e il Comune di Castelpoto è stato avviato già da qualche anno. I primi contatti erano in corso già da alcuni anni grazie all’ impegno della Confraternita di San Francesco che già effettuava questi scambi di carattere religioso con la Città di Castepoto. Tali rapporti furono ufficializzati nel 2007, durante il primo mandato dell’amministrazione Piccone e sono stati ripetuti anche negli anni 8 successivi. Come tiene a ricordare lo stesso assessore Ciciotti (all’epoca Presidente del consiglio comunale), tra i promotori della lodevole iniziativa non va dimenticato l’impegno profuso dall’allora assessore comunale Dott. Francesco Tirabassi, scomparso prematuramente l’anno scorso e dai Componenti della Confraternita di San Francesco che per primi avevano iniziato tale gemellaggio religioso. Una consuetudine che ormai si ripete ogni anno perché grande è la venerazione che i Santi Martiri godono anche a Castelpoto. Per rinsaldare questo forte legame con il comune campano ogni anno molti abitanti di Celano vanno in visita a Castelpoto il 14 maggio, mentre i castelpotani contraccambiano la visita a Celano il 26 di agosto (in questa data infatti vengono celebrati nel comune marsicano per ricordare il momento della decapitazione). Nel piccolo paese sannita-longobardo, invece, vengono festeggiati il 14 maggio perché il paese fu liberato dalla peste per intercessione di San Costanzo. A Castelpoto si conserva un pezzo grande della costola di San Costanzo incastonato nel petto del simulacro del Santo martire. La redazione