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Poste Italiane - Spedizione in A. P. DL. 353/2003 (conv in L.27/02/2004 n.46) art.1 comma 1 DCB Torino - Nr. 223 - settembre 2016 - Editore Promit Srl - c.so Racconigi, 150 - 10141 Torino ARCHIVIO P. D’ALESSIO ANNO XXV NUMERO 223 www.paddock.it SETTEMBRE 2016 EURO 3,00 ANNIVERSARI LANCIA FERRARI STORY FORMULA 1 CAMBIAMENTI IN VISTA ENDURANCE LA PORSCHE PUNTA AL BIS S O M M A R I O Anno XXV • numero 223 • Settembre 2016 FORMULA 1 4 IL PUNTO SUL CAMPIONATO Cambiamenti in vista TECNICA 18 BARRA ANTIROLLIO Questa sconosciuta IL PERSONAGGIO 4 22 GUNTHER STEINER L’altoatesino d’America MITI DA CORSA 30 LANCIA FERRARI D50 La Ferrari nata Lancia 18 ENDURANCE 22 40 PORSCHE IN ODORE DI MONDIALE La 919 sulla strada del bis 52 PORSCHE 9R3 Il prototipo che non corse mai MONOMARCA 54 PORSCHE SUPERCUP Giovane ...in Carrera 40 62 RALLY 58 ITALIANO RALLY Sprint a tre ATTUALITA’ 62 Salone dell’Auto di Parigi PADDOCK È ORA DISPONIBILE ANCHE PER PC,TABLET ED IPAD CON NUOVI CONTENUTI INTERATTIVI RAGGIUNGIBILI CON UN CLICK GALLERY PER VISIONARE LE GALLERIE FOTOGRAFICHE DELLE GARE PIU’ IMPORTANTI VIDEO PER VISIONARE I VIDEO PIU’ EMOZIONANTI DELLE GARE INTERNAZIONALI QUESTO ED ALTRO ANCORA LO TROVI SU: www.paddock.it Direzione, Redazione, Amministrazione: C.so Racconigi, 150 10141 Torino PROMIT srl Direttore editoriale: Luciano Canobbio ([email protected]) Telefono: 011.3186916 011.3189232 Fax: 011.3186917 e-mail: [email protected] Concessionaria pubblicità: PROMIT, C.so Racconigi, 150 10141 Torino Tel.: 011.3186916 - 3189232 Fax: 011.3186917 Registrazione Tribunale di Torino n° 4454 del 4/3/1992 Copyright 2016: Promit S.r.l. © Impaginazione: Multilinea Stampa: Artigrafiche Dial - Mondovì Una copia Euro 3,00 Arretrati Euro 4,50 Abbonamento: Euro 30,00 Direttore responsabile: Direttore: Condirettore: Redazione: Collaboratori: Paolo Vinai Bruno Brida ([email protected]) Paolo D’Alessio ([email protected]) Giulio Colombo ([email protected]) Carlo Baffi, Cristiano Barni, Marco Brida, Corrado Bruschi, Massimo Campi, Franco Carmignani, Manrico Martella, Marco Giachi, Eugenio Mosca, Daniele Paglino, Giorgio Stirano Rosberg vince tre gare di fila e riapre il discorso sul mondiale. ma la vera rivoluzione si gioca dietro le quinte, col passaggio di consegne da Bernie Ecclestone al Liberty Group. al Gran Premio di Germania, ultima gara prima della sosta estiva, non sono passati neppure due mesi, eppure quella della ripresa post ferie è una Formula 1 molto diversa. Quasi irriconoscibile. Una Formula 1 che in pista ripropone il solito, stucchevole, spettacolo, con una Mercedes F1 W07 sempre più inavvicinabile, che sembra giocare al gatto col topo, con i suoi rivali; una Ferrari sempre D più in affanno e una Red Bull in netta ripresa. La lotta Rosberg-Hamilton per la conquista del titolo rischia però di essere archiviata come un fatto secondario, il corollario di vicende ben più complesse che si svolgono dietro le quinte. Cambi di assetti societari, giochi di forza, dai risvolti al momento non ipotizzabili, dai quali dipende il futuro della Formula 1. Un futuro al momento più ricco di incognite, che di certezze. 5 Passano le gare ma le Mercedes F1 W07 di Hamilton e Rosberg restano inavvicinabili per tutti e l’unico dubbio sull’esito della stagione riguarda il nome del futuro campione del mondo 2016 6 FORMULA 1 VIA ECCLESTONE ARRIVA LIBERTY MEDIA Il vero argomento del giorno, la notizia boom o, se volete, la notizia shock è stata la vendita del business della Formula 1 dalla CVC, la società che ne detiene i diritti commerciali, alla Liberty Media di John Malone, noto negli ambienti di Wall Street come “il cow boy del cavo”. Per il momento la Liberty Media ha acquisito il 18,7% delle quote, mentre il restante 81,3% passerà di mano nell’aprile del 2017 quando, dopo avere ricevuto l’avvallo della Fia e degli organi di controllo del governo americano, la nuova società entrerà in borsa e verrà quotata a Wall Street. Un’operazione finanziaria dal valore stimato di 8 miliardi di dollari che, come primo effetto, avrà il progressivo disimpegno di Bernie Ecclestone: per sua stessa ammissione Mr. E dovrebbe continuare a mantenere un ruolo centrale per tre anni, prima di ritirarsi definitivamente a vita privata. Rimpiazzato da tale Chase Carey che, nell’arco di un paio di settimane, è passato dal ruolo di vice presidente della Fox, a quello di numero uno, in pectore, della Formula 1. Il debutto di Carey sulla scena mondiale è avvenuto a Singapore, in uno dei Gran Premi più glamour della stagione, dove il nostro, come direbbero a Roma, ha interpretato alla perfezione il ruolo del “piacione”, sufficientemente distaccato e friendly, a dispetto di tratti somatici che si confanno più al cattivo di un film western, che al complesso mondo della Formula 1. Ovviamente Carey non si è lasciando andare a proclami ufficiali, assicurando che farà di tutto per far diventare la Formula 1 uno sport sempre più popolare a livello mondiale. E ci mancherebbe! I suoi proclami, al limite della banalità, sono però destinati a cambiare, probabilmente in maniera radicale, a partire dal 2020 quando, scaduto il Patto della Concordia, attualmente in vigore, si apriranno scenari al momento non ipotizzabili sull’attribuzione dei diritti televisivi, sui nuovi canali web e sullo sviluppo dei cosiddetti “social”. Business che, fino ad ora, erano stati curati direttamente da Bernie Ecclestone, che negli ultimi anni avrà forse commesso qualche errore, ma al quale va riconosciuto il merito di avere trasformato la Formula 1 degli anni ‘60 e ‘70 in quell’evento di portata mondiale che è sotto gli occhi di tutti. Cosa accadrà con persone che di Formula 1 ne sanno poco o niente, con società che agiscono con mentalità imprenditoriale americana, votata alla massimizzazione del profitto? La Dopo qualche gara sottotono, nella fase centrale del mondiale, Nico Rosberg (a destra nel vittorioso Gran Premio d’Italia) ha infilato tre primi posti a Spa-Francorchamps, Monza e Singapore e ora i bookmakers lo danno per favorito nella lotta al titolo. Hamilton (in basso) permettendo, ovviamente. 7 FORMULA 1 Formula 1 sarà ancora quella che conosciamo, migliorata nelle sue attuali criticità, o si trasformerà in un carrozzone stelle-strisce, alla stregua di una Nascar? L’Europa continuerà ad avere un suo ruolo, o i Gran Premi abbandoneranno definitivamente il vecchio continente, alla volta di Usa, Penisola Arabica e Far East. E i costruttori, i team coinvolti nel mondiale, come e con chi si schiereranno? Sposeranno le tesi di Chase Carey o decideranno di mettersi in proprio, come avevano cercato di fare alcuni anni fa con la GPMA (Grand Prix Manufacturers Association)? Mille interrogativi ai quali, per il momento, non si riesce a dare una risposta. L’unica cosa certa è il clima elettrico che si respirava a Singapore dove, ci dicono, Ecclestone non pare avesse quel grande feeling con i suoi nuovi compagni di cordata e da dove, per la cronaca, sono rimbalzate notizie non troppo rassicuranti sul numero uno della Liberty Media, John Malone, definito uno “squalo”, dagli appetiti ancor più insaziabili del duo Ecclestone-Mackenzie. Di sicuro ne vedremo delle belle e non è neppure da escludere qualche clamoroso dietrofront, non fosse altro perché sul passaggio di quote dalla CVC, alla Liberty Media, pende sempre la scure della Comunità Europea, che potrebbe non avallare, se non addirittura respingere, la validità dell’accordo. I motivi potrebbero essere diversi: dal non rispetto delle regole sulla concorrenza, alla creazione dell’ennesimo casus belli sul fronte finanziario tra Europa o Stati Uniti, come quelli che di recente hanno coinvolto la Apple, favorita nel Vecchio Continente da una tassazione troppo agevolata, o l’Airbus, nella controversia con la Boeing. E tutto questo a prescindere dalla “credibilità” dei nuovi o futuri padroni del business Formula 1, sui quali si stanno addensando i primi dubbi, amplificati da un noto settimanale specializzato italiano che, riportando le dichiarazioni di una banca d’affari svizzera (che per il momento vuole rimanere anonima) avrebbe definito la proposta della Liberty Media di “bassa liquidità e bassissima trasparenza”. Auguri! A Singapore Bernie Ecclestone ha fatto gli onori di casa a Chase Carey, suo successore alla guida della Formula 1 (immagine in alto) ma, a dispetto degli atteggiamenti amichevoli, pare che tra i due ci fosse una certa freddezza. A Monza Seb Vettel (sotto) è tornato sul podio, dopo alcune gsare sottotono. 8 PAROLA DI BAFFONE Illazioni a parte, basta leggere qualche dichiarazioni del neo Presidente Chase Carey, per rendersi conto che ci sono numerosi passaggi a dir poco fumosi. Dopo essersi detto certo che, fino al 2026 sono previsti incassi di 9,3 miliardi di dollari, Stagione da buttare per la Scuderia Ferrari? La SF16-H non è mai riuscita a contrastare ed impensierire le Mercedes e ora deve guardarsi le spalle dal perentorio ritorno della Red Bull 9 10 C. BARNI - M. CAMPI - P. D’ALESSIO Dopo la pausa estiva la Formula 1 ha ripreso col solito copione: la Mercedes continua a dettar legge, con la sola variante che la leadersghip è passata da Lewis Hamilton a Nico Rosberg. E gli altri? Devono ancora accontentarsi delle briciole, come Vettel (a sinistra in basso), che a Monza è tornato sul podio, anche se sul gradino più basso. Per fortuna lo show non è solo in pista. 11 Se la lotta per le due prime piazze è ristretta ai piloti della Mercedes, alle spalle di Rosberg ed Hamilton sono in tanti ad ambire al terzo gradino del podio, a partire da Ferrari e Red Bull tra contratti televisivi, accordi con gli sponsor e gli organizzatori, il neo Presidente Casey Carey è convinto della bontà dell’affare Formula 1 per «...la crescente richiesta di trasmettere lo sport in televisione, così come quella degli sponsor e degli inserzionisti interessati a fare parte di uno sport molto attrattivo dal punto di vista demografico». Belle affermazioni di principio, valide per uno che si affaccia per la prima volta su uno scenario fino ad allora conosciuto, ma fino a che punto credibili? Prendiamo ad esempio l’aspetto televisivo della questione. Buona parte della crisi che da qualche anno ha colpito la Formula 1 viene proprio dalla televisione, non come contenuti dell’offerta, di qualità decisamente superiore e più professionale rispetto a quella di un tempo, ma come impatto sul grande pubblico. Non ci sono dubbi sul fatto che la pay tv sia stata un lucroso business per Mr. E, ma il fatto di trasmettere i Gran Premi a pagamento in molte, per non dire tutte, le nazioni storicamente più interessate alla Formula 1, ha fatto letteralmente precipitare l’audience, con cali di ascolto allarmanti. E le cose in futuro potrebbero ulteriormente peggiorare, soprattutto se si seguiranno le regole del mercato americano, che dagli inserzionisti pubblicitari pretende somme da noi impensabili, per essere presenti nel palinsesto di un avvenimento di portata mondiale.Tanto per chiarirci, il costo di uno spot pubblicitario durante le finali della NBA o del Super Bowl da noi è impensabile e se Mr. Carey pensa di poter far cassa in questo modo, sbaglia in partenza. E qui veniamo al 12 FORMULA 1 secondo punto, ancor più dolente: siamo sicuri che questa Formula 1 o una Formula 1 votata ancor di più al guadagno fine a se stesso, sia ancora attrattiva per gli sponsor? Mr. Carey, che è un uomo d’affari, dovrebbe certamente considerare il cosiddetto “costo-contatto”, che è alla base di ogni investimento pubblicitario. Facciamo un esempio: se investi 10 milioni di euro e il tuo messaggio raggiunge 10 milioni di persone, hai un certo costo contatto, ma se la tua platea di potenziali consumatori scende a un milione, il tuo costocontatto è decuplicato. Esattamente quello che è accaduto nella Formula 1 degli ultimi, quando si è passati dalle televisioni generalista, alle pay tv. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti: basta oltrepassare i box dei primi top team (Ferrari, Mercedes, Red Bull, Williams e, in parte, Toro Rosso) per trovare monoposto desolantemente prive di sponsor. Per non parlare del caso McLaren, un team di primissimo piano, che stando agli ultimi rumors, parrebbe addirittura interessare il colosso Apple, ma da almeno tre anni è privo di un main sponsor. Cosa fino a poco tempo fa impensabile, per una compagine storica che nel suo palmarés vanta 12 mondiali piloti, 8 titoli costruttori e 182 Gran Premi vinti! SOCIAL MEDIA COME LE START UP? C’è poi la questione delle nuove tecnologie, del digitale e dei “social media”, che rappresentano una sorta di nuova frontiera per gli investitori Usa. Alla Liberty Media sono convinti di spremere ancora molto dalla Formula 1, ma siamo proprio convinti della validità dei “social media”, dalla possibilità di tornare ai fasti di un tempo, agendo su questi nuovi strumenti di comunicazione di massa? Della possibilità di fidelizzare un pubblico giovane, da anni sempre meno attratto dalla Formula 1? I dubbi esistono e si potrebbe addirittu- 13 FORMULA 1 Ecco come si presenteranno le monoposto di Formula 1, se verrà approvato l’halo, che un po’ tutti i team hanno provato nel corso del 2016. A sinistra la “gabbia protettiva” della McLaren-Honda MP4/31 e della Red Bull RB 12. ra azzardare una similitudine tra social media e start up: da anni ci vengono presentati come la soluzione di tutti i problemi, ma sarà vero? È tanto improbabile che i primi possano fare rivivere i fasti di un tempo, quando la Formula 1 era la regina dell’automobilismo mondiale, quanto le cosiddette start up possano risolvere il problema della disoccupazione. In ambedue i casi si tratta di fenomeni marginali, che affrontano in parte il problema ma, per risolverlo integralmente riteniamo ci vogliano ben altri interventi. Fermo restando che ritornare alla situazione degli anni ‘80 o ‘90 sarà praticamente impossibile, a fronte di un’offerta di forme di intrattenimento e comunicazione infinitamente superiore e di una popolazione giovanile avvezza al mordi e fuggi e poco incline a fidelizzarsi ad singolo argomento. SOCIAL MEDIA COME LE START UP? Per recuperare lo smalto di un tempo, la Formula 1 ha bisogno di un lungo e profondo esame di coscienza, di guardarsi allo specchio, rinunciare a qualche personalismo di troppo e a quell’autoreferenzialità, che ne ha decretato il declino. Detto dei problemi indotti dalle pay tv, come giustamente afferma Flavio Briatore, una delle cause della recente disaffezione è l’estremizzazione dell’aspetto tecnico. La Formula 1 del nuovo millennio, e soprattutto quella delle ultime stagioni, è troppo complessa. Una categoria fatta ad uso e consu- 14 MM. CAMPI Anno di transizione per molti team, McLaren e Renault in testa: Ron Dennis nutre grande fiducia sulle capacità della Honda, mentre la Renault attende le nuove regole 2017 per risalire la china 15 FORMULA 1 mo di un manipolo di ingegneri, poco attrattiva e difficile da comprendere per gli stessi addetti ai lavori, figuriamoci per un telespettatore medio. Un esempio per tutti: la questione gomme. Il fatto di potere scegliere tra più mescole, ma con mesi di anticipo, e l’obbligo di utilizzarne almeno due diverse per ogni gara, ha per caso aumentato la spettacolarità dei Gran Premi? Non ci pare proprio, ma non ha fatto altro che confondere ulteriormente le idee a tutti coloro che erano già entrati in crisi con la comprensione delle regole tecniche delle monoposto ibride e che, a partire dal 2014, di questa Formula 1 ne capiscono sempre meno. Questo sul fronte mediatico. Ma non è che gli appassionati che si recano sui campi gara siano messi meglio: biglietti troppo cari, paddock inaccessibile, gare poco spettacolari e, in molti casi, troppo lunghe. Un po’ tutto il format andrebbe rivisto, guardando alle nuove tecnologie, ma con un occhio alla tradizione, agli anni d’oro della Formula 1, quando le cose funzionavano. Dal punto di vista tecnico sarebbe auspicabile un passo indietro, un ritorno a regole più accessibili e meno costose dell’attuale formula ibrida che, oltretutto non fa altro che scimmiottare le gare di durata. E poi bando a tutte quelle restrizioni che hanno trasformato la categoria in un virtual game per ingegneri: ritorno alla possibilità di provare nel corso dell’anno, al caro vecchio sound dei motori aspirati, al warm up della domenica mattina. Abolizione del contingentamento di motori e trasmissioni e divieto assoluto da parte dei team di occultare le vetture ogni volta che entrano nei box o sulla griglia di partenza. La gente si appassiona agli sport motoristici per l’aspetto tecnico della categoria e le auto le deve vedere, deve capire come sono fatte. Serve sognare. Invece oggi, dai primi della classe, agli ultimi team dello schieramento, tutti fanno a gara a coprire le loro monoposto, come si trattasse di inviolabili segreti militari. Semplicemente ridicolo. Per non parlare del fatto che gli addetti ai lavori (leggi fotografi e giornalisti) sono stati sfrattati dalla corsia box, per far posto al crescente numero di troupe televisive e “inviate” della pit lane che, di anno in anno, aumenta in maniera esponenziale, al pari della loro avvenenza. Segno dei tempi o decadenza? Ai posteri l’ardua sentenza. Una domanda sorge spontanea: se fosse ancora vivo, chissà cosa ne penserebbe un certo Enzo Ferrari. Testo e foto: Paolo D’Alessio 16 Chissà se il cambio ai vertici della Formula 1 restituirà più autonomia ai piloti? I tifosi lo chiedono a gran voce: vogliono i campioni di un tempo, personaggi veri, liberi di esprimersi in pista e con i media. In basso Alonso, a Spa, Raikkonen, Bottas, Sainz, Hamilton e Ricciardo, nell’abitacolo delle rispettive monoposto. 17 BARRA ANTIROLLIO D. PAGLINO QUESTA SCONOSCIUTA 18 TECNICA S ebastian Vettel ha compromesso il suo Gran Premio di Singapore per la rottura della barra antirollio nelle qualifiche che gli ha impedito di ottenere un tempo anche solo dignitoso, relegandolo inesorabilmente nell’ultima fila della griglia. Questo fatto ha solleticato da più parti la “curiosità” nei confronti di questo elemento della sospensione anche per puri retaggi storici perché la barra antirollio è, da sempre, uno degli elementi più importanti su cui intervenire nel corso della messa a punto di ogni vettura di prestazioni corsaiole per definirne le caratteristiche fondamentali di sovrasterzo, sottosterzo e di trazione. Il controllo della rigidezza delle due barre antirollio (anteriore e posteriore) è anche l’unico comando, insieme al controllo della ripartizione di frenata, da sempre presente nell’abitacolo di una F.1 ed è stato sempre usato dai piloti per bilanciare gli effetti della diminuzione di peso e dell’usura degli pneumatici durante la gara. Con questa premessa eccoci qua a parlare di barra antirollio, lasciando per un attimo l’aerodinamica anche se, come vedremo, i due argomenti non sono proprio disgiunti ed il primo entra in gioco quando esce di scena il secondo. La prima cosa da dire è che si parla del comportamento della vettura in curva quando una vettura “normale” tenderebbe a ribaltar- Una barra antirollio di un tempo, quando tutto era facile e le parti meccaniche erano tranquillamente a vista. Si vede l’inconfondibile tubo a “C” incerneriato al centro e collegato con dei braccetti verticali al triangolo inferiore della sospensione. La regolazione era di una facilità spaventosa perché bastava spostare il punto in cui i braccetti verticali si uniscono alla “C” ed il gioco era fatto. si per effetto della forza centrifuga. In una Formula Uno l’ipotesi ribaltamento è scongiurata perché la vettura è così bassa e larga che non riesce a ribaltarsi ma scivola comunque verso l’esterno della curva. E lo scivolamento non è uniforme perché tende a scivolare più l’anteriore (sottosterzo) o più il retrotreno (sovra- L’incidente di cui è stato vittima Vettel a Singapore ha portato alla ribalta una componente poco nota ai più ma fondamentale per la tenuta. Ecco come funziona e come si regola. L’effetto della forza centrifuga che tende a ribaltare la vettura è bilanciato dalla reazione al suolo sulle ruote dei due assi e le ruote dell’asse più rigido sono le più sollecitate, aumenta il trasferimento di carico tra ruota interna e ruota esterna e, in definitiva, la tenuta laterale di quell’asse risulta minore. L’auto è sottosterzante se si tratta dell’asse anteriore o sovrasterzante se si tratta di quello posteriore. MOMENTO “ RIBALTANTE” IN CURVA REAZIONI SULLE RUOTE 19 TECNICA D. PAGLINO - P. D’ALESSIO In una curva lenta o in una chicane è conveniente avere un posteriore morbido per scaricarlo del momento torcente dovuto alla forza centrifuga che va tutto sull’asse anteriore. In questo modo l’asse posteriore (meno rigido) ha poco trasferimento di carico tra ruota interna e ruota esterna e produce la massima tenuta per avere una buona trazione in uscita dalla curva sterzo) a seconda della tenuta delle due coppie di assi, come dire che… “o ci molla prima l’asse anteriore o ci abbandona prima quello posteriore”. Da qui la questione di come controllare questo comportamento perché i piloti sono estremamente sensibili al sovrasterzo o al sottosterzo e si innervosiscono da matti quando la vettura non fa quello che vogliono e si lamentano energicamente con il loro ingegnere di pista. E bisogna accontentarli perché a 300 all’ora ci vanno loro. La tenuta laterale di un pneumatico è legata al carico verticale che agisce sulla ruota e quindi se vogliamo controllare la tenuta laterale dei due assi la strada più diretta è quella di controllare la ripartizione di carico verticale tra anteriore e posteriore: più carico davanti e più tenuta dell’asse anteriore e vettura sovrasterzante oppure più carico dietro e vettura sottosterzante. Basta agire sull’aerodinamica e sulle incidenze delle ali ed il gioco è fatto perché si può facilmente decidere quale delle due ali deve “spingere” di più: quella davanti o quella dietro. Anche l’assetto più o meno picchiato ha lo stesso effetto Una piccola variazione di incidenza di un flap può cambiare il comportamento della vettura in modo significativo in una curva veloce alterando la distribuzione di carico aerodinamico fra anteriore e posteriore della vettura. Nell’immagine sopra la Ferrari SF16-H di Sebastian Vettel aggredisce la veloce curva, che precede il lungo rettilineo di partenza del circuito di Barcellona, nel recente Gran Premio di Spagna del 12016. 20 perché sposta il centro di pressione avanti e indietro. Il problema è che l’aerodinamica a bassa velocità (diciamo sotto 150 km/h, molto indicativamente) fa poco ed allora bisogna trovare un altro sistema, di natura meccanica, per controllare separatamente la tenuta laterale dei due assi. E stiamo arrivando lentamente alla barra antirollio ma prima bisogna dire ancora un paio di cose: la prima è che in una coppia di ruote la tenuta diminuisce se c’è un trasferimento di carico da una ruota all’altra; la seconda è che in curva il trasferimento di carico è dovuto al momento generato dalla forza centrifuga (quello che in casi estremi fa ribaltare la vettura).Quindi, basta decidere chi fa il lavoro maggiore perché quello subirà un maggiore trasferimento di carico fra ruota interna e ruota esterna e, in definitiva, la sua tenuta sarà minore. Per questo ci vengono in aiuto le leggi della statica che dicono che l’asse più rigido al rollio prende più momento torcente quindi subisce un trasferimento di carico maggiore tra ruota interna e ruota esterna e la sua tenuta laterale è inferiore. Ed ecco la barra antirollio che, difatti, definisce la rigidezza al rollio di ciascun asse. Per riassumere: barra più rigida, asse più sollecitato, maggiore trasferimento di carico fra ruota interna e ruota esterna e minore tenuta laterale. Viceversa: barra più flessibile, asse più morbido, minore trasferimento di carico fra le due ruote e maggiore tenuta laterale di quell’asse. Quando il pilota si ferma al box e lamenta eccessivo sovrasterzo o sottosterzo nelle curve lente il suo ingegnere dice ai meccanici di cambiare le barre antirollio e se la stessa lamentela è fatta per le curve veloci dice di agire sull’aerodinamica. Quando si lamenta per tutte e due vuol dire che sono problemi seri e l’ingegnere va a fare un altro lavoro! Una barra più rigida dietro riduce il sottosterzo ed una più morbida lo accentua, ma anche la trazione è influenzata perché in uscita da una curva le ruote di un'asse posteriore più morbido hanno più tenuta e "spingono" di più senza pattinare. Le barre antirollio, almeno quelle più tradizionali, sono anche un meraviglioso esempio di semplicità: una “C” infulcrata Un telaio in curva è sottoposto ad una sollecitazione di torsione. Quando si parla di rigidezza si intende quella delle sole sospensioni che sono gli elementi facilmente controllabili la cui rigidezza è nota con precisione. E’ ovvio che un telaio non sufficientemente rigido alla torsione complica di molto le cose perché aggiunge una variabile non controllata che può invalidare le regolazioni e produrre come risultato una vettura insensibile. Oggi è difficile pensare che ci siano telai non sufficientemente rigidi perché ormai la tecnica del carbonio, consolidata ed a disposizione di tutti, ha risolto in modo definitivo il problema telaio ma in passato, con i vecchi telai in alluminio e la grande apertura dell’abitacolo, era abbastanza frequente avere a che fare con vetture che reagivano poco alle regolazioni perché la flessibilità del telaio mascherava l’effetto delle molle e delle barre. al centro che ruota liberamente quando la vettura abbassa il muso per non interferire con le molle delle sospensioni nel moto di beccheggio (muso in su e giù) e che reagisce a torsione quando la macchina ruota intorno all’asse longitudinale (moto di rollio appunto). In passato era tutto rigorosamente meccanico e per irrigidire la barra si ruotava un piccolo pezzo di metallo che fletteva in modo diverso a seconda di come era orientato, oggi è tutto più complesso e l’elettronica gioca un ruolo fondamentale ma… “sempre al ferro bisogna arrivare” e quando i “pezzi di ferro” si rompono non c’è elettronica che tenga. Testo e disegni: Marco Giachi 21 IL PERSONAGGIO GUNTHER STEINER L’ALTOATESINO P. D’ALESSIO D’AMERICA 22 Nel team Haas, apparentemente tutto a stelle e strisce, c’è molto d’italiano. A cominciare da chi lo dirige. uando il 20 marzo scorso, Romain Grosjean ha tagliato il traguardo al sesto posto sul tracciato di Melbourne, regalando i primi punti iridati alla matricola Haas, s’è avuta la conferma che la scuderia americana non è e non sarà una meteora. Di quelle che ogni tanto entrano nell’orbita del Circus, per scomparire in breve tempo. Un team nato nel 2015 per volere di Q Gene Haas, personaggio noto nel mondo del motorsport americano e cofondatore della scuderia Stewart-Haas Racing, che milita nel campionato Nascar. Un programma ambizioso che parte dagli States, ma in cui c’è parecchia Italia. Dalla collaborazione con la Ferrari, fornitrice dell’unità motrice 061-H, al telaio realizzato dalla Dallara, un’altra eccellenza dell’industria italiana; per arrivare al team principal, Gunther Steiner, che malgrado il nome dal sapore teutonico, è italiano a tutti gli effetti. Altoatesino di Merano, classe 1965 vanta una carriera ed un’esperienza motoristico-sportiva a 360°. Partito dai rally, in cui ha operato a lungo, è successivamente sbarcato in F.1, specializzandosi nella parte gestionale, ristrutturando, o creando scuderie. 23 IL PERSONAGGIO Come nasce la sua passione per il motorsport? «Ammetto che sia strano per un altoatesino essere appassionato di motori, visto che dalle mie parti vanno per la maggiore gli sport invernali, come lo sci e l’hockey. Eppure fin da bambino chiedevo a mio padre di portarmi a vedere le macchine che disputavano le gare in salite come la Bolzano-Mendola e la Trento Bondone. Questa passione s’è un po’ spenta verso i 16-17 anni, per poi ritornare alla grande dopo il servizio militare, al punto di partire alla volta del Belgio per lavorare nei rally». Già, i rally….dapprima con Mazda Europe, poi col Jolly Club, nel WRC con la Subaru della Prodrive e con la Ford. Perché scelse di puntare su questo settore? «Ho iniziato nel mondo dei rally, perché trovai subito lavoro come meccanico. Come detto prima, era difficile per un altoatesino trovare un occupazione nel mondo delle corse automobilistiche. Certo, da bambino seguivo maggiormente la Formula 1. Ero un gran tifoso di Niki Lauda campione. Invece Colin spinse la massimo ed in una curva finì fuori strada e perse il mondiale. Aveva l’istinto del cannibale e voleva dimostrare a tutti il suo valore». Un cannibale come un altro grande campione degli sterrati, Sebastian Loeb? «Sono due piloti diversi di due epoche diverse. Penso che anche Loeb sia un fenomeno, molto preparato tecnicamente. Nella guida contava di più l’uomo ed infatti quando arrivò l’elettronica, McRae non si trovava più a suo agio e gli altri riuscivano a batterlo. Altrimenti con le machine da 500 cavalli e due ruote motrici, non aveva rivali». Intanto nel 1999 la Stewart Grand Prix di F.1 viene acquistata da parte del gruppo Ford, che dà vita alla Jaguar Racing. E per lei inizia l’avventura nel Circus. «Anche questa è una storia curiosa. Quando Lauda prese in mano la Jaguar, iniziò a guardarsi intorno chiedendo chi fosse in grado di dargli una mano nella riorganizzazione della squadra. Qualcuno della Ford gli fece il mio nome, e ricordo ancora quando nel ’76 mi alzai all’alba per seguire il Gran Premio del Giappone in cui Niki si giocava il titolo con Hunt e ci rimasi talmente male per il ritiro che mi misi a piangere. Comunque anche i rally mi appassionavano parecchio; era il tempo dei gruppi B». Cosa ricorda in particolare di quegli anni? «Ho lavorato con grandi personaggi, come Carlos Sainz, Juha Kankkunen e Colin McCrae. Tutti campioni di grande personalità da cui ho imparato molto. A mio avviso il migliore è stato Colin. Un uomo diverso da tutti gli altri e non lo dico perché ora non c’è più. Era uno che dava sempre il massimo. A tal proposito ricordo un’edizione del RAC , quando era in lotta con Richard Burns (Subaru Impreza) per il titolo. Se Burns avesse vinto la gara, a McCrae (Ford Focus) bastava piazzarsi terzo, o quarto per diventare dal momento che ero reduce, con successo, dal programma rally con la Focus. Così ricevetti una telefonata dalla segretaria di Lauda che mi fissò un appuntamento. Fino a quel momento, conoscevo Niki solo attraverso la televisione. Ci incontrammo dapprima a Vienna e andammo a cena. Il giorno dopo mi richiamò e mi disse: “Non so ancora cosa le farò fare, ma lei lavorerà per me”». Dall’esperienza maturata nei rally, cosa portò in F.1? «Ho attinto ben poco, perché le monoposto sono un’altra cosa. Di sicuro anche in un team di F.1 occorre ottenere il meglio da ogni collaboratore ed in questo devo dire che riesco a motivare le persone molto bene. Un aspetto importante per una squadra». Come avvenne la ristrutturazione della ex-Stewart? «Il primo passo fu quello di capire le persone che avevo Una carriera a tutto tondo quella di Gunther Steiner nel mondo del motorsport: dal Mondiale Rally, con la Ford del Martini Racing, alla Formula 1 col Team Jaguar, che sarebbe poi diventato Red Bull, dopo la cessione nel 2004 della compagine inglese a Dietrich Mateschitz. 24 GUNTHER STEINER Gunther Steiner (a destra) ricorda con nostalgia alcuni grandi piloti del passato, come Colin McRae, vincitore a sorpresa del Rally Safari, edizione 1999. Nella foto in basso la Jaguar R5 del 2004, elegante ma veramente poco competitiva. 25 IL PERSONAGGIO Debutto più che positivo del neonato Team Haas nel mondiale di F.12016: le vetture americane, motorizzate Ferrari e progettate nella factory della Dallara, vanno a punto sia in Australia, che nel GP del Bahrain. 26 GUNTHER STEINER intorno. Chi era bravo, chi generoso, chi invece più egoista. Poi dovetti prendere l’iniziativa togliendo le cosiddette mele marce. Infine, dovetti individuare il personale esterno valido ed inserirlo nella struttura. Ritengo che fu fatto un buon lavoro insieme a Lauda, ma poi Niki venne mandato via ed a quel punto decisi che non potevo restare». Per quale ragione il progetto Jaguar non portò i risultati sperati, fino al definitivo abbandono nel 2004? «Il problema principale fu il tempo. I vertici pretendevano risultati immediati. Io iniziai a gennaio e questi pretendevano di avere dei riscontri sin da febbraio. Si aggiunga che costoro avevano poche conoscenze del mondo delle competizioni e questo aumentò ancora di più i problemi. Credevano che dicendo di andare più forte, noi riuscivamo ad accontentarli subito, come se avessimo avuto la bacchetta magica. Invece bisognava creare a monte una struttura che ci avrebbe permesso di migliorare le presta- Ovviamente avevamo l’obiettivo di crescere, ma Mateschitz era consapevole delle tempistiche necessarie. Come detto la struttura era più grande (350 persone ed un budget a disposizione di circa 200 milioni di dollari), i problemi erano più piccoli, ma di più rispetto alla Jaguar. E poi la mentalità era diversa». E dal programma Red Bull, partì poi per gli States…. «L’America ha sempre rappresentato un sogno della mia vita. Così quando Mateschitz mi propose un nuovo incarico nella Nascar,( la Red Bull creò un nuovo team nella Nascar Spirit Cup Series a Mooresville, nella Carolina del Nord) ne parlai a mia moglie, che fu d’accordo. Negli Stati Uniti trovai un mondo diverso, tutto più grande; una sensazione che se non la provi non te ne rendi conto. Al di la del positivo e negativo, l’America è una realtà più vasta. Anche per quanto riguarda lo sport è tutto diverso, c’è meno aggressività, c’è più collaborazione tra i team, c’è zioni. E poi non mancarono delle difficoltà legate all’organizzazione, ognuno voleva dire la sua e mancava coesione». Archiviato il capitolo Jaguar, ne aprì più tardi un altro con la Red Bull… «Lasciata la Jaguar, lavorai un anno nel DTM con la Opel, dopodiché mi chiamò Dietrich Mateschitz, che avevo conosciuto nei rally, il quale mi espresse la sua intenzione di comprare la Jaguar e di dar vita nel 2005 al nuovo programma targato Red Bull ed io accettai». Ci racconta questa esperienza? «Mi ritrovai di fronte ad una struttura, che seppur avevo lasciato anni prima, non era molto cambiata. Iniziai così a ristrutturare la squadra, ma con la differenza che i soldi erano molti di più e quindi era più semplice attuare i cambiamenti. Inoltre i programmi erano molto più realistici. molto rispetto e fair-play. Qui a volte lottiamo per delle situazioni di cui non vale nemmeno la pena». E arriviamo così alla Haas. Cos’ha spinto Gene Haas a sbarcare in una realtà come la F.1, decisamente diversa dalla filosofia del motorismo americano ? «Secondo me il motivo è da ricercare nella natura del signor Haas. Pensiamo al fatto che s’è messo a produrre macchine utensili quando le aziende del settore chiudevano. Lui a volte si muove controcorrente. Haas ha vinto in Nascar, gli piace il motorsport e ha visto nella Formula 1 una nuova sfida. Non essendoci un team americano nel Circus, ha voluto dimostrare che è possibile fare questo». Che riscontro avete dagli Stati Uniti? «Direi medio, potrebbe essere migliore. Penso che il salto di qualità sia possibile quando ci sarà un pilota america- Esaurita una prima parentesi in F.1, su richiesta di Mateschitz, Gunther Steiner sbarca negli Stati Uniti, per occuparsi del neonato Team Red Bull, che partecipa alla Nascar Spitit Cup. Dove conosce Gene Haas, che qualche anno dopo gli affiderà il compito di organizzare il nascituro team di F.1. 27 IL PERSONAGGIO no, o quando la nostra squadra vincerà un Gran Premio. La situazione non è semplice, perché la Formula 1 in America è arrivata ad un punto basso nei confronti delle altre discipline. Se gli appassionati americani ci seguono, il popolo molto meno perché non ci conosce. Inoltre, un’altra difficoltà è rappresentata dal fuso orario. Molti Gran premivengono trasmessi in piena notte ed a seguirli sono solo i grandi appassionati». Torniamo alla Haas. Il progetto è partito da un foglio bianco, mentre Jaguar e Red Bull erano realtà esistenti. C’è differenza nell’organizzare queste due situazioni? «Si, c’è differenza. Se si parte da zero, puoi scegliere il personale che vuoi. Magari hai a che fare con gente con cui non vai molto d’accordo, ma che fa ugualmente un buon lavoro. Ovviamente, partendo dal foglio bianco non hai scuse e c’è molta più pressione. Per quanto mi riguarda, l’ho avvertita poco, perché ho sempre potuto decidere con la mia testa ed in caso di errore sarebbe stata solo colpa mia. Ero e sono conscio di questo aspetto. Nel caso della Haas, come per chiunque debutti in questo Circo, la pressione c’è, però siamo sicuri che grazie ai bravi collaboratori e al lavoro duro svolto sinora, seppur con qualche sbaglio…e chi non li fa? …non stiamo sfigurando. Non riuscirei a perdonarmi di far fare una brutta figura all’immagine del signor Haas, che ha investito tanto in questo progetto». Quali sono i vostri prossimi obiettivi? «Se quest’anno arriveremo ottavi, l’anno prossimo cercheremo di arrivare sesti. Però non dico che se entro tre anni 28 non saremo tra i primi tre avremo fallito. Inoltre non dipende solo da noi, esiste anche una concorrenza che fa passi avanti. Riconosco che per i piccoli team non è facile, ma se torniamo indietro di un anno quando io sostenevo che il nostro obiettivo era quello di andare a punti, molti si mettevano a ridere. La Force India, ad esempio, che è ai nostri livelli, nel 2016 è già andata a podio, per cui dire che fra qualche anno saremo sul podio pure noi, non mi sembra impossibile. Di sicuro, occorre lavorare sodo». Le piace questa Formula1 ? «A mio avviso la trovo interessante. L’unica cosa che disturba un po’ è il dominio assoluto della Mercedes che la gente usa un po’ come scusa per non guardare i Gran Premi. Però quest’anno abbiamo assistito a belle gare, di sicuro i Gran Premi senza emozioni ci saranno sempre, così come certe partite di calcio. Ma rispetto alla stagione passata, sotto il profilo dello spettacolo qualcosa è cambiato. Mi auguro che nel 2017 vi siano miglioramenti dal momento che trovo le nuove monoposto belle e interessanti. E se la lotta per la vittoria aumentasse, gli ascolti crescerebbero e così anche gli spettatori. Si pensi che a Spa, grazie all’effetto Verstappen, c’erano 40 mila olandesi». Nel cassetto ha ancora qualche sogno da realizzare? «Io sto già vivendo il mio sogno, ho una famiglia fantastica, sto bene e faccio un lavoro che mi piace, cosa posso chiedere di più ?». Carlo Baffi Foto: P. D’Alessio - D. Paglino Gli ultimi punti della stagione per il Team Haas sono arrivati nel GP d’Austria, poi è iniziata una lenta involuzione, per una compagine già proiettata sul progetto della vettura destinata alla stagione 2017. In alto a destra Gunther Steiner con Gutierrez, in basso Gene Haas, il “boss”. 28 MITI DA CORSA LA FERRARI D50 NATA LANCIA 30 ANNIVERSARI ell’estate del 1953, dopo le esaltanti vittorie ottenute con le vetture sport, Gianni Lancia ritiene che sia arrivato il momento giusto per debuttare in Formula 1, con una monoposto in grado di contrastare e battere Ferrari e Maserati, le vetture più competitive dell’epoca. A partire da quel momento inizia la storia di quella che, probabilmente, è stata la monoposto da Gran Premio che ha avuto la storia più lunga, originale e complessa in quasi 70 anni di militanza Ferrari in Formula1. Ma andiamo con ordine e ritorniamo a quella estate del 1953, per l’esattezza all’agosto di quell’anno, quando Gianni Lancia affida il compito di progettare la nuova vettura a Vittorio Jano. Il regolamento che entra in vigore nel gennaio 1954 prevede una cilindrata massima del motore di 2500 cc per i motori atmosferici e 750 cc per quelli sovralimentati. Un rapporto di equivalenza troppo penalizzante per questi ultimi, che di fatto obbliga l’ingegner Jano, da sempre sostenitore del motore sovralimentato, a puntare sull’aspirato. In una prima fase, anche per ragioni di carattere economico, la Lancia sviluppa un 6 cilindri a V di 60° e 2471,52 cc, derivato dal tre litri della D20 sport, ma i cavalli sono pochi e la soluzione non soddisfa Jano. Si passa così ad un inedito 8 cilindri a V di 90° di 2485,99cc, progettato da Ettore Zaccone Mina, il “motorista” per eccellenza di casa Lancia. N UN PROGETTO LUNGO E COMPLESSO Nel frattempo l’ingegner Jano lavora a tappe forzate e un mese dopo l’annuncio di Gianni Lancia sono pronti i disegni preliminari della D50, che muove i primi passi sulla pista dell’aeroporto di Caselle il 20 febbraio del 1954. Per vederla impegnata in un Gran Premio bisognerà però attendere parecchio tempo. Per l’esattezza otto mesi. L’originalità del progetto, i contenuti tecnici innovativi, ma soprattutto la sua laboriosa messa a punto, richiedono più tempo del previsto. Tutto si può dire della Lancia da Gran Premio, meno che sia una vettura convenzionale. Impressionano la sua originale conformazione aerodinamica e la grande cura con la quale viene realizzata. Il motore, un 8 cilindri a V di 90° e di 2486 cc, eroga 265 CV a 8200 giri/min, ha doppio albero a camme in testa per ogni bancata, doppia accensione e quattro carburatori Solex. Per avere un baricentro più basso e ridurre la sezione frontale, il V8 della D50 è inclinato di 12° rispetto all’asse di marcia. In questo modo l’albero motore passa alla sinistra del pilota, anziché sotto. Fa inoltre parte integrante della struttura portante e contribuisce ad irrigidirla. La sospensione anteriore è costituita da triangoli sovrapposti di eguali dimensioni, da una piccola balestra trasversale e da Al termine della stagione 1955, dopo il ritiro della Mercedes dal mondiale di Formula 1, Juan Manuel Fangio firma per la Ferrari, con la quale conquisterà il quarto iride della carriera, al volante della D50, nata a Torino nel reparto corse della Scuderia Lancia. L’insolita storia di una monoposto di Formula 1 nata nel ‘53 a Torino, nelle officine della Lancia, e portata al successo nel 1956 da Juan Manuel Fangio, con i colori della Ferrari. Una vettura talmente innovativa che anche la Mercedes avrebbe voluto copiarla, per migliorare la W196. ANNIVERSARI ammortizzatori entrobordo. Sull’asse posteriore c’è invece il consueto ponte De Dion. I freni sono a tamburo, mentre sul piatto della bilancia la Lancia D50 denuncia appena 620 chili, contro i 650 della Ferrari e addirittura i 690 della Mercedes W 196. Un autentico record per le Formula 1dell’epoca. L’elemento più caratterizzante di tutto il progetto è comunque rappresentato dalla sua originale silhouette. I serbatoi carburante sono staccati dal corpo vettura e fissati, tramite appositi supporti, alla carrozzeria. Questa dislocazione consente di mantenere il più possibile il peso all’interno dei due assi e minimizzare le differenze di comportamento del mezzo, col progressivo consumo del carburante e svuotamento dei serbatoi: in quello di destra c’è solo la benzina, mentre a sinistra è anche alloggiato un piccolo radiatore. LA PRIMA GUIDA È ALBERTO ASCARI Se il progetto D50 non passa di certo inosservato, ancora più clamorosa è la scelta dei piloti. Gianni Lancia riesce nell’impresa, ritenuta da molti impossibile, di strappare alla Ferrari il due volte iridato Alberto Ascari. Il campione del mondo del 19752 e del 1953 lascia il Cavallino in cerca di nuovi stimoli, ma a convincerlo e anche un ingaggio ritenuto faraonico per l’epoca: 25 milioni di lire, per il biennio 1954/55! Al suo fianco la neonata Scuderia Lancia ingaggia Gigi Villoresi, altro pilota Ferrari e l’astro nascente dell’automobilismo italiano, Eugenio Castellotti, fortemente voluto da Alberto Ascari. Fatto il team, come detto, la messa a punto della D50 si rivela più laboriosa del previsto e il debutto in una gara titolata, inizialmente previsto per il 20 giugno nel Gran Premio di Francia (dove esordisce la rivoluzionaria Mercedes W196), viene più volte rimandato e slitta di quattro mesi. Fino al 24 ottobre 1954, quando al Gran Premio di Spagna vengono iscritte due D50, per Alberto Ascari e Gigi Villoresi, dopo che, a Monza, nel corso di test privati, Ascari ha fatto segnare un tempo di 1'56”, quasi 3 secondi meglio della “pole” ottenuta dalla Mercedes W196 carenata di Juan Manuel Fangio, nelle qualifiche del Gran Premio d'Italia. Un risultato che fa ben sperare e viene ribadito nel corso delle prove, quando Alberto Ascari fa segnare il miglior tempo in prova e stacca di oltre un secondo la Mercedes W196 di Fangio. Stesso copione nelle fasi iniziali di gara, con una Lancia imprendibile per tutti, Mercedes compresa. Al nono giro, però, quando aveva già accumulato un vantaggio superiore ai 20” sugli inseguitori, il campione del mondo in carica è costretto al ritiro, per un’infiltrazione d’olio nella frizione. Per rivedere la D50 all’opera bisogna così attendere il Gran Premio di Argentina dell’anno successivo. Nel frattempo la monoposto di casa Lancia è stata ulteriormente migliorata, con modifiche al cambio e alla ripartizione dei pesi. Ascari è nuovamente bersagliato da piccoli problemi, che gli impediscono di battersi per le posizioni di vertice. Dopo la vittoria nel Gran Premio del Valentino, gara non valida per il mondiale di Formula 1, il pilota milanese potrebbe rifarsi a Montecarlo. Ma, dopo essere passato in testa alla gara, esce rovinosamente di pista e finisce in mare. Incredibilmente se la cava con un grande spavento e ferite superficiali. Troverà però la morte quattro giorni dopo, a Monza, provando la Ferrari “750” di Castellotti. 32 LANCIA FERRARI D50 Immagini storiche tratte dall’album dei ricordi della Scuderia Lancia: con Ascari alla guida, e sotto lo sguardo attento di Gianni Lancia (a sinistra), la D50 muove i primi passi sulle piste dell’aeroporto torinese di Caselle. Sopra, prima importante vittoria per la monoposto dell’ingegner Jano, il successo di Ascari nel GP del Valentino del 1954. Sotto, la n.30 di Castellotti precede la Mercedes di Moss e la D50 di Ascari a Monaco, nel ‘55. 33 ANNIVERSARI Nel 1956 la Lancia Ferrari D50 si aggiudica cinque delle sette gare in calendario: J. M Fangio è primo in Argentina (in alto), Gran Bretagna e Germania, Peter Collins vince i Gran Premi del Belgio e di Francia. In alto a destra, il passaggio del materiale Lancia alla Scuderia Ferrari. 34 DA TORINO A MARANELLO Sconvolto dalla perdita del suo pilota di punta e afflitto da una situazione economica non proprio florida, Gianni Lancia non sa cosa fare. A Torino si creano due fazioni: una vorrebbe continuare con l’avventura Formula 1, l’altra non vede l'ora di disfarsi di tutto il materiale da corsa e cederlo al migliore offerente.Tra i quali ci sarebbe addirittura la Mercedes Benz, interessata alle tante innovazioni contenute nel progetto D50. Per evitare il passaggio di preziose informazioni tecniche al “nemico” il presidente dell'Automobile Club d'Italia, Filippo Caracciolo, chiede aiuto al genero, l’avvocato Gianni Agnelli: in cambio della cessione di tutto il materiale della squadra corse Lancia alla Ferrari, la Fiat, per i successivi tre anni, assicura un contributo finanziario di 50 milioni di lire all'anno a Maranello. Il 26 luglio 1955, nel cortile della Lancia in Via Caraglio a Torino, avviene il passaggio delle D50 alla Ferrari, alla presenza dall'avv. Domenico Jappelli e di Attilio Pasquarelli, della Lancia, di Mino Amorotti e Luigi Bazzi, in rappresentanza del Cavallino, del dottor Pestelli, plenipotenziartio della Fiat, del progettista Vittorio Jano e del Conte Carlo Biscaretti di Ruffia, vice presidente dell'Automobile Club di Torino. In tutto la Lancia cede alla Ferrari sei D50, e due scocche, in versione normale e carenata, oltre naturalmente molti ricambi e parti meccaniche. Non solo, insieme alle sei Lancia D50, a Maranello arrivano anche i progettisti Jano e Bazzi, il cui compito è quello di rafforzare la struttura tecnica della Ferrari (orfana dell’ingegner Lampredi, padre della 500 F2, in procinto di passare alla Fiat), per contrastare lo strapotere dell’industria automobilistica tedesca, Mercedes in testa. LANCIA FERRARI D50 LA LANCIA D50 CAMBIA FACCIA Ancora una volta però, com’era accaduto nei mesi precedenti, bisogna attendere alcuni mesi perché la Ferrari possa utilizzare le D50. Nel 1955 Maranello iscrive sei vetture al Gran Premio d’Italia: tre Supersqualo 555 F1, affidate a Maglioli, Trintignant e Hawthorn e tre D50, guidate da Farina, Villoresi e Castellotti. Fin dai primi giri in pista si capisce però che il tentativo è destinato a naufragare. Le vetture torinesi, progettate per correre con pneumatici Pirelli, non si adattano infatti alle Englebert, cui la Ferrari è legata da contratto. Le gomme svizzere “dechappano” e il distacco del battistrada innesca pericolosi testa-coda. Per non correre inutili rischi la Scuderia di Maranello decide di ritirare le tre D50, il cui esordio viene così rinviato alla stagione successiva. Nel corso dei mesi invernali la monoposto subisce un profondo processo di “ferrarizzazione”. Con una serie di interventi successivi il serbatoio carburante viene alloggiato nella parte posteriore, alle spalle del pilota. Nelle pance laterali rimangono così solo i piccoli serbatoi supplementari e si ricava lo spazio per il passaggio dei condotti di scarico. I tecnici del Cavallino modificano inoltre la sospensione posteriore, con lo spostamento delle balestre e l’adozione di nuovi ammortizzatori Houdaille, al posto dei Lancia. Anche se queste modifiche vengono eseguite sotto la supervisione di Vittorio Jano, il padre della D50, i piloti dimostrano di non gradire eccessivamente la nuova configurazione. Lo spostamento dei serbatoi carburante, dalle fiancate alle spalle del pi- 35 36 LANCIA FERRARI D50 lota, e un incremento di peso di ben 25 chili, snaturano il comportamento della macchina, così come la dislocazione del motore, che cessa di far parte integrante della struttura portante. Nella pausa invernale anche l’8 cilindri Lancia subisce profonde modifiche, assumendo le caratteristiche di un “superquadro” (76 x 68,5mm) e la potenza del V8 aumenta di una decina di cavalli. CON FANGIO ARRIVA IL MONDIALE Anche se queste modifiche l’hanno in parte snaturata, la Lancia-Ferrari D50 rimane comunque la vettura da battere nel 1956, favorita dal ritiro della Mercedes e dall’ingaggio del tre volte campione del mondo Juan Mauel Fangio, affiancato da Collins, Musso e Castellotti. Un quartetto eccezionale, che si aggiudica cinque delle sette prove in calendario. Fangio è primo in Argentina, Gran Bretagna e Germania, nonché nelle gare non di campionato, che si corrono a Mendoza e Siracusa. Peter Collins vince invece in Belgio e in Francia. L’episodio che incornicia la stagione della Scuderia Ferrari accade però a Monza. Peter Collins, che potrebbe virtualmente aspirare al titolo, con grande senso di sportività ed altruismo, cede la sua macchina a Fangio, quando quest’ultimo è costretto a rallentare per problemi meccanici. «Fangio - si giustificherà in seguito - è il numero uno, un grande campione che non calcherà ancora per molto tempo le scene. Io invece sono giovane e di tempo ne ho». Non sarà così, perché perderà la vita due anni dopo, al Nürburgring, durante la disputa del Gran Premio di Germania del 1958. Al volante della vettura di Collins, Fangio si piazza secondo , alle spalle della Maserati di Moss, e per la quarta volta si laurea campione del mondo. Poi, come un fulmine a ciel sereno, arriva il divorzio con Maranello. Sul perché di questa clamorosa rottura si sono versati fiumi d’inchiostro, ipotizzati mille possibili scenari. Fangio non era d’accordo con Enzo Ferrari, convinto sostenitore della tesi che a vincere erano le sue macchine, non chi le guidava e anche un pilota di medio livello, come Collins, avrebbe potuto conquistare il mondiale. Oltretutto l’inglese poteva essere un eccezionale testimonial per il mercato britannico, mentre quello argentino era chiuso alle importazioni. Per il Drake di Maranello «... Fangio era un grandissimo pilota, afflitto però da una curiosa mania di persecuzione…». Ben difficilmente il rapporto di collaborazione con la Ferrari sarebbe andato oltre il 1956. Opinione condivisa anche dal direttore sportivo dell’epoca, Romolo Tavoni, secondo il quale tra i due non c’era feeling ed Enzo Ferrari non era affatto intenzionato a trattenere Fangio, neppure se il quattro volte campione del mondo avesse corso gratis per il Cavallino! Juan Manuel Fangio (in alto a sinistra) impegnato nel vittorioso Gran Premio di Germania 1956 e, in basso a sinistra, a Monza, dove arriva secondo, utilizzando la vettura gemella di Peter Collins (al centro), dopo che la sua D50 lo appieda. In basso la versione “carenata” della D50. DA LANCIA D50 A FERRARI 801 F1 Via Fangio, la vita agonistica della D50, debitamente modificata, prosegue nel 1957, con la sigla “801 F1” (8 come il numero dei cilindri, mentre 01 si riferisce alla formula di appartenenza della vettura). L’ennesima versione della monoposto, nata a Torino e sviluppata a Maranello, perde completamente la sua identità. I serbatoi laterali vengono integrati all’interno della carrozzeria e la capacità di quello posteriore viene incrementata, per un carico complessivo di 200 litri. 37 38 LANCIA FERRARI D50 Più tondeggiante della D50, la 801 F1 presenta inoltre una nuova presa d’aria anteriore e un diverso andamento della parte frontale. Novità anche sul fronte telaistico e nel disegno delle sospensioni. I cinematismi di base rimangono gli stessi della D50, sull’asse anteriore viene però aggiunta una barra antirollio, mentre su quello posteriore compaiono due puntoni longitudinali. Anche il motore subisce un incremento di potenza: nella versione ‘57 l’otto cilindri a V di 90° eroga 285 CV a 8800 giri/min. Un valore di tutto rispetto, che non consente comunque alla Ferrari di bissare il titolo mondiale del 1956. La stagione inizia nel peggiore dei modi per le rosse, con la scomparsa di Eugenio Castellotti, durante una sessione di prove private sull’autodromo di Modena. E prosegue con prestazioni altalenanti. Anche se i piloti del Cavallino vanno spesso a punti, il 1957 si chiude senza affermazioni per la Scuderia di Maranello. I secondi posti di Musso in Francia e Inghilterra e la piazza d’onore di Hawthorn in Germania, davanti ai compagni di squadra Collins e Musso, sono i migliori risultati ottenuti dalla Ferrari 801 F1. Le rosse hanno irrimediabilmente perso la leadership della categoria. Le nuove regine della Formula 1 sono la Maserati dell’inossidabile Juan Manuel Fangio, che a fine anno conquista il quinto, ed ultimo, titolo mondiale della sua carriera e la Vanwall. Finanziata da Guy Anthony Vanderwell, ricco industriale britannico, nonché ex fornitore di bronzine della Ferrari, la Vanwall passerà alla storia per tre ragioni. Per la sua originalissima conformazione aerodinamica, per l’avere introdotto i freni a disco in Formula 1 e soprattutto per essere stata la prima monoposto inglese a vincere una gara valida per il mondiale. Il Gran Premio di Inghilterra del 1957, che segna l’inizio di quel lungo ed appassionante duello, che per oltre cinquant’anni ha opposto le rosse Ferrari alle monoposto d’oltre Manica. La vita agonistica della Lancia Ferrari D50 prosegue nel 1957: la rossa (foto sopra) perde definitivamente i serbatoi laterali e viene ribattezzata 801 F1. A sinistra in alto Mike 0Hawthorn guida il gruppo al Nürburgring. Paolo D’Alessio 39 ENDURANCE PORSCHE in odore di MONDIALE 40 inque vittorie su sei appuntamenti: è questo il bottino della Porsche nel Mondiale Endurance 2016, con una classifica che la vede sempre più vicina al secondo titolo consecutivo con la sua 919 Hybrid. La squadra tedesca ha dimostrato, al terzo anno nel Wec, di essere quella più strutturata ed affidabile del lotto, battendo proprio sul suo terreno prediletto la rivale Audi. Dopo la vittoria un po’ fortunosa di Le Mans, il ruolino di marcia della squadra tedesca è continuato sicuro, pur senza mai eccellere in velocità rispetto ai diretti avversari, ma confermando le doti di affidabilità e maturità raggiunta, doti indispensabili nelle gare di durata. A luglio, dopo la maratona francese, nell’appuntamento di casa del Nürburgring, la vittoria è andata alla 919 Hybrid n.1, davanti alle due Audi R18 in gara. Timo Bernhard, Mark Webber e Brendon Hartley hanno dovuto battagliare per tutta la gara con i rivali dell’Audi, sempre veloci sin dalle prove e nelle prime fasi di gara. Sul risultato finale hanno influito la durata delle gomme e la gestio- C Anche quest’anno nel Wec domina Porsche, con una strategia più “attendista” dell’anno scorso. Ancora poca affidabilità per le rivali Audi e Toyota. ne dei pit stop, con il momento topico a metà gara quando la 919 Hybrid numero uno è riuscita a conquistare la testa della gara mantenendola fin sotto la bandiera a scacchi. Seconda posizione per la R18 e-tron quattro numero otto di Oliver Jarvis, Lucas di Grassi e Loic Duval, seguita dalla vettura gemella n.7, affidata ad André Lotterer e a Marcel Fassler, senza Tréluyer, assente per infortunio, mentre la Porsche 919 Hybrid numero duedi Neel Jani, Marc Lieb e Romain Dumas finiva quarta per una serie di imprevisti ed errori. Il primo errore è stato di Neel Jani, che nel tentativo di sorpassare Jarvis toccava la Ford n.66, finendo in testacoda e perdendo 13 secondi. Jani poi riprendeva il comando nella terza ora di gara, avvantaggiato da una full course yellow causata dalla perdita di un pezzo della Toyota TS050 Hybrid n.6. A quel punto l’errore toccava a Lieb, incappato in una penalità per un contatto con la Porsche 911 RSR di Al Qubaisi in fase di doppiaggio, con il risultato di scivolare (per poi rimanerci) in quarta posizione. Dietro le vetture tedesche finivano le due Toyota, la TS050 numrero cinque - affidata a Davidson, Buemi e Nakajima - e la numero sei di Sarrazin, Conway, Kobayashi. La seconda vittoria consecutiva per la 919 Hybrid n.1 campione del mondo in carica, di Timo Bernhard, Brendon Hartley e Mark Webber, è arrivata in Messico in una gara in cui tutti i principali protagonisti hanno subìto inconvenienti di varia natura, con la pioggia sul finale che ha condizionato la classifica. La Porsche vincitrice è subito balzata in testa alla gara, per poi rimanere penalizzata da un drive-through per aver oltrepassato la linea della pitlane in occasione di una sosta abortita all'ultimo secondo. È così passata in testa la rivale Audi R18 e-tron quattro n.8 che era partita dalla pole position, ma poco dopo la pioggia è iniziata a cadere sul Circuito Hermanos Rodriguez, con Oliver Jarvis subito finito a muro per la rottura del giunto della ruota anteriore sinistra. Il testimone è preso dalla seconda Audi. Lotterer monta le gomme intermedie ma la corsa verso la vittoria del pilota tedesco è fermata da un problema ai freni con la vettura che tocca le barriere ad un'ora dalla fine della corsa. Anche Bernhard, subentrato alla guida della 919 Hybrid n.1, arriva quasi al contatto con le barriere nella sezione dello stadio a causa delle gomme, ma riesce a tagliare il traguardo al comando, con un minuto di vantaggio sulla Audi R18 e-tron quattro di Lotterer, Tréluyer e Fassler. Sempre poco incisiva la Toyota che però riesce a salire sul gradino più basso del podio con la TS050 Hybrid n.6 di Kamui Kobayashi, Stéphane Sarrazin e Mike Conway, mentre la gemella di Anthony Davidson, Sébastien Buemi e Kazuki Nakajima è costretta alla resa per un 41 ENDURANCE 42 problema al sistema ibrido. La tripletta estiva per la Porsche 919 di HartleyBernhard-Webber arriva ad Austin, l’appuntamento americano d’inizio settembre. Una vittoria sofferta, la più difficile fino a questo punto della stagione con i campioni del mondo 2015 che subiscono le Audi R18 per le prime due ore di gara, ma un incidente tra FasslerLotterer-Treluyer e la Ford GT di Pla, oltre ad un guasto elettrico dell’altra P1 di Ingolstad, ribaltano le sorti della corsa che sembrava saldamente nelle mani della squadra del dottor Ulrrich. AUDI VELOCE, PORSCHE AFFIDABILE, TOYOTA LENTA Nelle ultime tre gare, il dominio prestazionale della Porsche è stato spesso messo in discussione dalla diretta rivale Audi, mentre la Toyota è apparsa in difficoltà a causa di scelte tecniche aerodinamiche che non si sono rivelate performanti costringendo la vettura nipponica ad un ritmo di gara inferiore rispetto alle vetture teutoniche. Audi e Toyota hanno affrontato la stagione 2016 con nuove vetture, proprio per contrastare la Porsche che ha dimostrato di essere la migliore vettura del 2015 da Le Mans in poi. Due scelte con diverse soluzioni tecniche: benzina ed ibrido per i giapponesi, gasolio, ibrido e trazione integrale per la vettura di Ingolstadt che è passata alla classe 6 Megajoule dopo lo scorso anno a 4 Megajoule. Entrambi gli avversari hanno dimostrato di avere doti velocistiche adeguate per combattere contro la Porsche, ma sulla durata e sulla costanza di rendimento bisogna ancor lavorare. Il comportamento in pista della 919 Hybrid in versione 2016 è cambiato rispetto a quello dello scorso campionato con velocità e costanza di rendimento come punti di forza. La squadra di Weissach sa di essere il punto di riferimento del campionato, dopo avere scalzato nel ruolo i cugini di Ingolstadt che, per oltre un decennio, hanno tenuto alto la bandiera tedesca nelle gare di durata. In Porsche si lavora ormai sui dettagli. La 919 Hybrid è una vettura matura, all’apice del suo sviluppo, la squadra ed i piloti hanno preso pienamente coscienza del proprio ruolo di leader, senza dovere cercare la vittoria ad ogni costo, ma giocando sulla costan- Sul fatto che l’Audi R18 (foto sopra) sia la vettura più esasperata del lotto, non ci sono dubbi ma, come sottolinea Wolfgang Ullrich, il grande capo della Casa dei quattro anelli “ ...avremmo potuto vincere almeno tre gare ma per farlo bisogna arrivare in fondo”. E così, salvo eventi al momento non ipotizzabili, per il secondo anno consecutivo, il titolo mondiale dovrebbe andare alla cugina Porsche che, dopo Le Mans, si è imposta anche al Nürburgring, in Messico e a Austin (foto sotto). 43 ENDURANCE Le LMP1 protagoniste della stagione 2016: la Toyota TS050 che, dopo l’exploit mancato di Le Mans non ha più saputo ripetersi ad alti livelli (sopra), l’Audi R18, estrema, ma poco affidabile, e (a destra e in basso) la solita Porsche 919 H, che punta al bis iridato, dopo il successo dello scorso anno. 44 za di prestazioni e sull’esperienza accumulata dopo avere dimostrato una piena maturità con il titolo dello scorso anno e la riconquista della maratona francese. Non c’è più bisogno di dimostrare la propria velocità con tempi mostre in qualifica ed affrontare le gare in modo aggressivo come lo scorso anno: basta giocare sulle strategie di gara, sfruttando le situazioni ed i punti deboli della concorrenza per portare a casa i risultati. AUDI, PROGETTO ESTREMO Il rivale più pericoloso della Porsche viene dallo stesso gruppo, ovvero i cugini dell’Audi. Il Gruppo Volkswagen, nonostante i problemi legati alla crisi internazionale dell’auto e allo scandalo del dieselgate, riesce a mantenere inalterati i due impegni nella massima ca- tegoria dell’Endurance, sia con Porsche sia con Audi. La Casa di Ingolstadt, dopo anni di dominio, è costretta a rincorrere i cugini di Weissach e si è presentata al via della stagione 2016 con la nuova R18 Hybrid, una macchina dai concetti estremi ma sempre con la tecnologia diesel-ibrido. La R18 ha dimostrato subito di essere un passo avanti rispetto alla vettura 2015, ma anche con tanti problemi ancora da risolvere. Al debutto è passata per prima sotto la bandiera a scacchi a Silverstone, prima di essere squalificata, poi ha vinto a Spa dimostrando di essere sempre molto veloce ma solo in alcune fasi di gara, con problemi di messa a punto e di costanza di risultati al variare delle condizioni. Un altro problema riguarda l’affidabilità e l’accessibilità meccanica, da sempre i punti forti della Audi, ma con la nuova R18 tutto è cambiato. Nel box tedesco sembrano lontani i tempi di quando veniva cambiato il retrotreno completo della R8 in meno di dieci minuti, ora i meccanici spesso faticano negli interventi d’urgenza in gara, sia per sostituire le varie parti sia per fare semplici regolazioni, perdendo molto più tempo rispetto al passato, a testimonianza della complessità della vettura. L’Audi al ‘ring è apparsa comunque molto veloce, soprattutto nelle prime fasi di gara. Tra la maratona della Sarthe e la gara tedesca si è molto lavorato ad Ingolstadt per diminuire il gap con gli avversari. Purtroppo, come ha sottolineato il dottor Ullrich in terra francese, il regolamento sta particolarmente penalizzando le vetture a gasolio che faticano a dimostrare il proprio potenziale rispetto agli avversari. Il motore a gasolio è termicamente più efficiente rispetto al benzina, a parità di percorrenza consuma molto meno. Il vantaggio del minor consumo è però vanificato da un serbatoio più piccolo che costringe l’Audi ad una percorrenza uguale a quella degli avversari, però con un peso superiore dovuto a materiali più resistenti impiegati nella costruzione del motore. L’aerodinamica della vettura tedesca è stata rivoluzionata rispetto allo scorso anno, una soluzione estrema, che sembra funzionare molto bene ma solo in determinate condizioni e senza garantire una costanza di rendimento, per il pacchetto telaio-gomme, in tutto l’arco di una gara. Nelle gare corte, di sei ore, le difficoltà dell’Audi sembrano limitate, soprattutto dopo le evoluzioni introdotte dopo Le Mans che invece hanno esaltato, sulla lunga durata, i difetti di una vettura estrema ed ancora di sviluppare. Problemi anche per la Toyota, una vettura efficiente su un tracciato come Le Mans, dove è richiesto un basso carico aerodinamico, ma con evidenti problemi su piste dove c’è bisogno di grande carico come Silverstone ed il Nürburgring. GARE NEUTRALIZZATE Alla 6 Ore del Nürburgring si è raggiunto l’apice con ben cinque neutralizzazioni della gara con bandiere gialle, alcune con poco senso. I commissari della Fia non vogliono più rischiare e basta un piccolo pezzo in pista per dettare una neutralizzazione di vari giri, spesso rendendo vane le strategie di gara e costringendo squadre e piloti a variare di continuo i ritmi. Anche a Le Mans si è avuto molto da discutere, con 45 ENDURANCE 46 Come accadeva negli anni d’oro delle gare di durata, l’Endurance punta a diventare una valida alternativa alla Formula 1: lo spettacolo non manca né in pista, né fuori e sono sempre più numerosi i piloti, come Webber, provenienti dalle monoposto di F.1. In basso Bernhard-Harthley-Webber vincitori delle ultime tre gare del WEC. 47 IL MONDIALE ENDURANCE RITROVA MONZA Gli organizzatori del Fia World Endurance Championship hanno presentato il calendario provvisorio del campionato 2017, con la novità del ritorno di Monza, che diventerà la sede dei test pre-campionato, fino a quest’anno organizzati al Paul Ricard. «L’arrivo del velocissimo circuito italiano sarà molto utile per tutte le squadre in vista della preparazione dell’evento clou della stagione, la 24 Ore di Le Mans». Proprio per questo «ci aspettiamo grande pubblico a Monza», ha auspicato Pierre Fillon, presidente dell’Aco, che organizza e gestisce il Wec. Anche Gérard Neveu, amministratore delegato ha sottolineato che «l’opportunità di iniziare la nostra stagione a Monza farà piacere a tutti, concorrenti, appassionati e media». Oltre ai test WEC, l’Autodromo Nazionale a marzo ospiterà anche i test dell’European Le Mans Series e, a maggfio, la gara, un’importante svolta per Monza verso il mondo dell’Endurance, sempre più popolare tra gli appassionati. IL CALENDARIO 2017 Questo il calendario provvisorio Wec 2017: 24/25 marzo, Monza (Italia), test pre-campionato; 16 aprile, 6 Ore di Silverstone (Gran Bretagna); 6 maggio, 6 Ore di Spa-Francorchamps (Belgio); 17/18 giugno, 24 Ore di Le Mans (Francia); 16 luglio, 6 Ore di Nürburgring (Germania); 3 settembre, 6 Ore del Messico (Messico); 16 settembre, 6 Ore di Circuito delle Americhe (USA); 15 ottobre, 6 Ore del Fuji (Giappone); 5 novembre, 6 Ore di Shanghai (Cina); 18 novembre, 6 Ore del Bahrain (Bahrain). Dopo la vittoria della Ligier n.43 di Gonzales in Messico, l’Alpine A460 n.36 di Richelmi, Lapierre e Menezes (sopra) è tornata a dettare legge in LMP2, una categoria non meno accattivante della LMP1, la classe regina del WEC. 48 la maratona francese che è partita in regime di bandiere gialle, la prima volta nella sua lunga storia. Pochi minuti prima della partenza si è scatenato un nubifragio in alcune parti della pista e fare partire la gara, anche se aveva giù smesso di piovere, con la safety car e bandiere gialle è stata una scelta condivisa dalla maggioranza, ma mantenere il regime per 50 minuti, quando ormai la pista era completamente asciutta ed alcune vetture erano quasi pronte per il primo pit stop è stato un vero scandalo, molto contestato dai piloti e dalle squadre. In certi frangenti basterebbero le sole bandiere gialle sventolate che prevedono l’obbligo di non superare. Con la scusa della sicurezza si assiste a gare noiose, spesso senza motivo. Sarebbe ora di ascoltare più i piloti e ritrovare quel giusto equilibrio che sembra perso. Lo spettacolo della Formula Uno è pe- ENDURANCE Al Nürburgring, in Messico (in questa foto) e ad Austin (in basso) l’Audi R8 ha monopolizzato la prima fila e le fasi iniziali di gara, ma poi il successo è andato alla Porsche 919 H del trio Bernhard-Harthley-Webber, che hanno portato “punti pesanti” alla Porsche per la conquista del titolo mondiale 2016. 49 ENDURANCE Il “balance of performance”, che dovrebbe livellare le prestazioni delle auto iscritte alla categoria LmGte, rischia di diventare un “balance of points” e decidere a tavolino il nome del vincitore finale. Alla Ferrari 488 Gte (in basso) ad inizio anno sono stati aggiunti 25 chili, mentre alla Aston Martin (immagine in alto a destra) ne sono stati tolti 60 e imposta una restrizione di soli 0,4 mm all’aspirazione. noso, con gare falsate e costruite da tanti aspetti regolamentari, spesso con la scusa della sicurezza e della correttezza in pista, speriamo che le gare del WEC non prendano questa china. LMP2 nelle mani dell’Alpine, lotta tra Ferrari ed Aston Martin nelle GT Sempre più interessante la classe LMP2. Al Nürburgring la vittoria è andata all'Alpine A460 Nissan n.36, preparata dalla Signatech Alpine e affidata a Gustavo Menezes, Nicolas Lapierre e Stéphane Richelmi. Seconda posizione per la Ligier JS P2 Nissan n.43, nelle mani di Gonzales, Bruno Senna e Albuquerque. Completa il podio la Ligier JS P2 Nissan n. 31 della Extreme Speed Motorsports, di Derani, Dalziel e Cumming. In Messico la classifica è stata ribaltata con la Ligier che ha preceduto l’Alpine. Ad Austin invece è tornata alla vittoria l’Alpine di Lapierre-Menezes-Richelmi ponendo una netta ipoteca sul trionfo iridato. Il Balance of Performance invece ha cambiato le sorti nella classe LMGTE Pro. Dopo la vittoria della Ford a Le Mans, è stata la doppietta Ferrari AF Corse con la Ferrari 488 GTE n.51 di Gimmi Bruni e James Calado, davanti alla 488 GTE n.71, di Sam Bird e Davide Rigon a dettare legge al Nürburgring. Poi la Fia ha rivisto le varie concessioni tecniche alle vetture ed è rispuntata l’Aston Martin che ha vinto i due successivi appuntamenti. In Messico ad imporsi è stata laVantage n.97, affidata a Richie Stanaway e Darren Turner; terzo posto per la vettura gemella, la n.95, nelle mani di Nicki Thiim e Marco Sorensen. Tra le due Aston Martin si è inserita la Ferrari 488 GTE n.51, di Calado e Bruni. In America la GTE Pro è stata ancora l’Aston Martin, stavolta pilotata da Thiim e Sorensen, a festeggiare con lo champagne, precedendo le Ferrari di BruniCalado e Rigon-Bird. Per il 2018 è atteso il ritorno nella categoria della BMW i cui rappresentanti si sono incontrati con gli organizzatori del WEC prima della 24 Ore di Spa per cercare un accordo. Se arrivasse, si tratterebbe probabilmente di attendere l’arrivo di una nuova vettura. L’attuale M6 GT3, come le vetture che l’hanno preceduta, sono infatti state ammesse dall’IMSA con diverse deroghe al regolamento ACO. Massimo Campi Foto: Archivio - M. Campi 50 51 PORSCHE 9R3 IL PROTOTIPO CHE NON CORSE MAI uella del 1999 fu una delle edizioni della 24 Ore di Le Mans destinate ad entrare nella storia di questa grande classica.Vinse la Bmw V12 LMR dopo una accanita battaglia con la splendida Toyota GT-One; la Mercedes si fece notare per i pericolosi e spettacolari tonneau di tre delle sue CLR, complice un’aerodinamica esasperata, frutto di tanta teoria e di poca pratica … stradale; l’Audi fece il suo debutto nelle grandi corse endurance con la R8R (versione spider) ed R8C (versione coupé). A questa nutrita presenza dei marchi tedeschi mancò solo la Porsche, vincitrice l’anno precedente. Gli esperti, quelli che sanno sempre tutto, motivarono l’assenza col fatto che stesse Q 52 preparando per la stagione 2000 l’arma con cui vendicare la sonora batosta patita dalla sua 911 GT1 nel Mondiale GT1 1988 ad opera della Mercedes, batosta lenita da un’unica vittoria, quella a Le Mans, appunto. In effetti, in casa Porsche si stava programmando la vendetta sull’odiata quasi concittadina Mercedes. Ma come attuarla? Sviluppare ulteriormente la 911 GT1, sulla falsariga della CLR, o progettare ex-novo una vera macchina da corsa? Vagliati i pro ed i contro, a Zuffenhausen si decise per la progettazione di un prototipo LMP1 che avrebbe dovuto essere pronto, come supposto dagli esperti, per la stagione 2000. Invece, i lavori furono bruscamente interrotti il 22 novembre 1999 da un diktat di Wendelin Wiedeking. Per l’amministratore delegato del Marchio le corse erano un inutile salasso, tant’è che non aveva mai avvallato la nascita di ENDURANCE La Casa tedesca aveva preparato una vettura che avrebbe potuto cambiare il corso della gare endurance dei primi anni del Duemila. Invece per l’opposizione del suo capo il progetto Porsche 9R3 finì nel nulla. un vero e proprio reparto motorsport. Così, per poter rivedere una vera Porsche da corsa bisognerà attendere la RS Spyder del 2005. Ora la domanda che potremmo porci, per quanto oziosa, è: cosa sarebbe successo se la Porsche fosse scesa in pista nel 2000? L’Audi R8 avrebbe potuto dominare incontrastata le gare endurance dal 2000 al 2005? Ovviamente non lo sapremo mai, ma dai pochi dati rintracciabili s’intuisce che la vettura di Zuffenhausen aveva un grande potenziale. Sì, perché per questa LMP 2000 (che internamente era chiamata 9R3 e che rappresentava la sua prima notturna) e quindi del tergicristallo; la possibilità di sviluppare un’aerodinamica più funzionale. Inoltre, e non è cosa da poco, un abitacolo aperto consentiva al pilota di guidare al fresco. Definito forma e materiale del telaio (monoscocca in fibra di carbonio, con honeycomb d’alluminio come rinforzo), per quanto riguardava il motore c’era da scegliere fra il sei cilindri boxer raffreddato ad acqua di 3,5 litri da 550 CV (circa) utilizzato sulla 911 GT1 del 1998 e una evoluzione del 3,5 litri V10 da 700 CV progettato in gran segreto da Herbert Ampferer per la Footwork di Formula 1. vera Porsche da corsa dall’era della 956 e 962) erano stati coinvolti i migliori cervelli della Casa: da Norbert Singer (padre della 956 e della 962) a Wiet Huidekoper, progettista della Lola T92 / 10 Gruppo C che aveva preso parte allo sviluppo della 911 GT1 nel 1998. La storia di questa Porsche “che non fu mai” è stata ricostruita da Markus Eberhardt sulle pagine di Racecar Engineering. Secondo Eberhardt i lavori iniziarono nell’ottobre 1988 con la definizione del tipo di carrozzeria. Fu scelta quella aperta, come fatto dall’Audi per la sua R8R, perché offriva diversi vantaggi: la possibilità offerta dal regolamento di utilizzare pneumatici più larghi, quindi avere maggior grip; l’assenza di un vero e proprio parabrezza (avrebbe potuto creare fastidiosi riflessi nella guida Dopo la vittoria a Le Mans con la 911 GT1 nel 1998 (a destra) e l'annullamento del progetto 9R3, la Porsche era tornata nella categoria Sport dell'Endurance nella stagione 2006 con la RS Spyder in classe LMP2 (a sinistra). Alla fine fu scelto quest’ultimo, soprattutto perché più leggero (solo 170 chili in totale), con opportune modifiche per adattarlo alle gare di durata: via il comando pneumatico delle valvole (troppo delicato) in favore di uno tradizionale, e aumento della corsa per una cilindrata di 5,5 litri che consentiva di avere maggior coppia. Questa scelta, fatta sei settimane dopo l’avvio dei lavori, impose delle modifiche al progetto originario, come l’adozione di una nuova trasmissione (a causa del posizionamento più basso dell’albero motore), la sostituzione del cambio tradizionale con un transaxle sequenziale sei marce, ed un diverso attacco delle sospensioni posteriori e del motore, che aveva funzione portante. La sospensione posteriore del tipo pushrod era piuttosto convenzionale, con i gruppi molle/ammortizzatori disposti orizzontalmente sulla parte superiore della scatola del cambio. Sospensioni anteriori a quadrilateri con i gruppi molla / ammortizzatore situati verticalmente sulla paratia anteriore, per migliorare l’aerodinamica ed abbassare il baricentro. L'aerodinamica fu sviluppata da Norbert Singer su modellini in scala 1:3 nella galleria del vento di Weissach. Rispetto ad altri impianti, quello di Weissach non era certo il più aggiornato, ma con i dovuti aggiustamenti Singer riuscì ad ottenere dati significativi. Il risultato più significato fu una lunghezza limitata dello sbalzo anteriore con uno splitter rialzato nella sua parte centrale per migliorare la stabilità e ridurre la sen- sibilità al beccheggio. La fase di progettazione fu completata nel maggio del 1999, ma, come ricordato all’inizio, l’amministratore delegato decise di fermare l'intero progetto. Nonostante ciò, visto il grande lavoro svolto, approvò l'assemblaggio della vettura (con il telaio e i pannelli della carrozzeria realizzati dalla britannica Lola Composites, specializzata in materiali compositi) e autorizzò anche una due giorni di test presso la pista privata della Porsche a Weissach, nel novembre 1999, con Allan McNish e Bob Wollek. al volante, ottenendo risultati incoraggianti. Purtroppo l’avventura della Porsche 9R3 finì, nell’amarezza di tecnici e piloti, al tramonto del sole di quel secondo giorno di inutile prova. Bruno Brida 53 PORSCHE SUPERCUP Giovane in ... CARRERA 54 uesto per Matteo Cairoli è un periodo magico: dopo la pole centrata nella tappa LMS al Red Bull Ring e la straripante vittoria sulla pista di casa di Monza, che l’ha rilanciato nella Carrera Supercup portandolo a ridosso del rivale Muller, ora è arrivato anche un bel podio nella LMGTE, con la Porsche 911 RSR del Proton Competition divisa con Gianluca Roda e Christian Reid, su una pista come Spa che si concede solo ai campioni. Quello che ci voleva per dare la giusta carica in vista della sfida finale di Austin, dove si giocherà con il compagno (nello Junior Program Porsche) rivale il titolo nella Supercup. Anche un bell’allenamento? «In parte. Perché la RSR è una macchina più complessa a livello di regolazioni rispetto alla Cup, però ricorda un po’ lo stesso feeling non avendo l’ABS. Comunque la gara di Spa è stata forse la più divertente tra quelle che ho disputato finora. Perché ho dovuto lottare a lungo con le LMP3 che sono più lente di noi in rettilineo ma poi sono più veloci in curva, perciò non sono facili da superare. E mi ha dato anche grande soddisfazione, perchè ho guidato tanto, due stint per un totale di 2h e 40’, senza commettere errori e imparando a gestire le gomme, che è essenziale nelle gare endurance». Quindi ti senti pronto per Austin? «Certamente. Però ci tengo a precisare che se anche dovessi arrivare secondo mi sentirei il vincitore morale, perché nel corso della stagione sono state prese decisioni dalla direzione corsa che, diciamo, non mi hanno certo favorito. Credo che la maggior parte delle persone che hanno seguito la stagione sappiano a cosa mi riferisco». Quest’anno per preparare al meglio le gare sulle piste che non conoscevi hai corso su quei tracciati nelle gare nazionali della Porsche Cup, come ti stai preparando per Austin? «Sto memorizzando la pista facendo più di un’ora al giorno al simulatore. E per tenermi in allenamento disputerò una gara della Porsche Cup tedesca a Hockenheim. Q Comunque sono fiducioso, la pista dovrebbe essere favorevole per noi, perché quest’anno siamo sempre andati bene sui tracciati dove il team aveva già bene in precedenza. Perciò, è senz’altro positivo poter contare sui dati di assetto che consentirono a Bamber di ottenere la pole l’anno scorso». Ma facciamo un passo indietro. Tu hai iniziato con le monoposto, poi sei passato alle ruote coperte, come mai? «Ho iniziato disputando le ultime due gare del campionato 2012 di F. Renault, dato che avevo da poco ottenuto la licenza. L’anno successivo ho disputato il campionato di F. 3 con il team ADM. Una stagione in cui ho imparato molte cose del motorsport, perché le monoposto di F. 3 non sono facili e ti abituano ad avere molta sensibilità. Anche il campionato era difficile, con molti piloti forti che poi sono passati in GP3 e GP2, ed io purtroppo non avevo potuto fare un’adeguata preparazione, perciò i risultati sono stati inferiori alle aspettative. Mentre mi sono trovato subito a mio agio con le Gran Turismo, provando prima una Ferrari 458 e poi la Porsche GT3 Cup. Perciò, grazie anche all’aiuto di Porsche Italia ho scelto di correre nella Carrera Cup Italia». Da qui la carriera dell’allora diciotttenne di Villa Guardia (Como) prende il volo. Nel 2014 debutta nella Carrera Cup Italia ed entra nello Schoolarship Program, l’iniziativa di valorizzazione dei giovani piloti che vengono aiutati ad affrontare la carriera da professionisti con un’adeguata preparazione psicofisica oltre a curare l’approccio con i Media e l’apprendimento della lingua inglese. Cairoli vince a mani basse la serie tricolore, viene selezionato per partecipare all’International Shoot Out, un test di due giorni che vede opposti i migliori giovani delle serie Porsche di tutto il mondo (9), dove risulta il migliore aggiudicandosi il premio di 200mila euro per partecipare alla Supercup ed entra a far parte dello Junior Program Porsche, diventando a tutti gli effetti un pilota ufficiale della Casa di Stoccarda con un programma di tre anni dove mostrare il proprio valore. Nel 2015 il comasco risulta “Rookie of the Year” della Supercup, mentre quest’anno punta senza mezzi termini al bersaglio grosso con il team Fach Auto Tech. Per un ragazzo giovane, che come tutti sogna la Formula 1, è stata una scelta difficile? «Certamente è stata dura all’inizio. Ma ero consapevole che non avendo una grande esperienza di corse, dato che non avevo fatto come tanti giovani il kart ma Matteo Cairoli è la dimostrazione che anche in Italia nascono talenti che però hanno bisogno di sostegni. Che, per fortuna, in questo caso vengono da un Marchio estero, come la Porsche. 55 PORSCHE SUPERCUP Piloti italiani in evidenza nelle gare di contorno del Gran Premio d’Italia 2016: oltre a Giovinazzi, che potrebbe vincere il titolo in GP2, a Monza (foto sopra) si è messo in luce Matteo Cairoli (sotto) che, dopo la vittoria nella gara di casa, ad Austin punta alla conquistac Carrera Supercup 2016. solo il corso Csai, e soprattutto il budget per poter fare un programma con un top team la carriera in monoposto sarebbe stata praticamente impossibile. D’altronde nell’esperienza in F. 3, dove per il budget limitato mi ero trovato ad affrontare piste che non conoscevo senza averle provate in precedenza, avevo capito che questa non è la situazione ideale per ottenere buoni risultati. Mentre il passaggio nella Carrera Cup è stato pianificato meglio grazie anche agli aiuti ricevuti fin dall’inizio». Cosa significa essere un pilota dello Junior Program Porsche? «Ti aiuta molto a crescere, non solo per quanto riguarda il pilotaggio ma per tutti gli aspetti legati all’attività di pilota professionista. Inoltre la Casa ci dà l’opportunità di correre anche in altri campionati internazionali con team di primo piano, potendo acquisire una grande esperienza anche con macchine più evolute rispetto alla Cup. Abbiamo tre anni di contratto in cui dobbiamo dimostrare di essere professionisti completi, quindi non solo come piloti ma anche come persone perché siamo degli ambasciatori del marchio, per poter ambire ad essere inseriti nei programmi superiori». Deve essere una bella soddisfazione indossare la divisa ufficiale sulle piste più importanti al mondo, anche nel contesto dei GP di F.1… «Mi sento orgoglioso. Perché non si tratta solo di un sogno che si è avverato ma di qualcosa che sto vivendo in pieno e continua». Veniamo al concreto. Indipendentemente dal risultato finale di questo campionato, in questi anni hai dimostrato il tuo valore, infatti nell’ambiente si parla di un tuo possibile inserimento l’anno prossimo nei programmi Porsche nel WEC o in LMS, cosa ci dici al riguardo? «Porsche non mi ha ancora comunicato nulla a livello ufficiale. È vero, ci sono delle voci che riguardano me e Muller, così come ho altri contatti». Infatti nell’ambiente si parla anche di un clamoroso “colpaccio” che ti porterebbe nelle fila della rivale storica della Porsche, la Ferrari, è vero? «Ripeto, non c’è nulla di definito. Per ora mi voglio concentrare sulla sfida finale di Austin, poi vedremo». Già. In ogni caso il 2017 di Matteo Cairoli si prospetta più che mai interessante. Eugenio Mosca 56 La Porsche guarda con attenzione alle prestazioni di Matteo Cairoli (sotto a Monza) che, conquistando la Carrera Supercup 2016 potrebbe aspirare ad un seggiolino più prestigioso. Ma potrebbe anche tradire la casa di Stoccarda, attratto dalle sirene che giungono da Maranello. 57 ITALIANO RALLY SPRINT A TRE 58 Una manciata di punti divide i tre protagonisti assoluti del CIR 2016: alla vigilia del decisivo Rally Due Valli, Basso guida la classifica con 80,75 punti (foto grande), e precede Andreucci a quota 80 (in basso a sinistra). Terzo Scandola, recente vincitore del Rally di Roma, con 74,50 punti (foto in basso a destra). iandomenico Basso 80,75 punti, Paolo Andreucci 80 punti, Umberto Scandola 74,50 punti. È con questa classifica che i tre grandi protagonisti del CIR 2016 si presenteranno a Verona, il prossimo 14 ottobre, per l’ultima gara dell’anno, il Rally Due Valli. A Verona può succedere di tutto. Per rendere ancora più spettacolare la volata finale al Due Valli è stato attribuito il coefficiente 1,5. I punti in palio per ognuna delle due tappe saranno dunque 11,25 al primo, 9 al secondo, 7,5 al terzo, ecc. Il meteo, con temperature più fresche, di cui beneficerà la resa dei pneumatici, Pirelli, Michelin o Hankook che siano, magari la nebbia e la pioggia, e il fatto che si corre in casa di Scandola, rappresenteranno ulteriori variabili. Insomma, incertezza fino all’ultimo C.O. In fondo è il principio al quale si è ispirato il nuovo regolamento del CIR, che prende in considerazione singolarmente le due tappe della gara per l’assegnazione del punteggio, gli ormai famosi 7,5 – 6 – 5 punti ecc. Si può dunque parlare di scelta azzeccata? Per il thrilling finale non ci sono dubbi, per il resto invece…Intanto la classifica calcolata con il sistema precedente, punteggio assegnato in base alla classifica finale, darebbe una situazione differente, più definita, che comunque lascerebbe aperto il campionato fino all’ultimo. Ma è la consistenza delle gare a lasciare perplessi. C’è chi, con una metafora azzeccata, parla di Campionato Italiano… Rally sprint, composto da sedici gare da 70-80 km di Prove Speciali, che in qualche caso si sono ridotti anche a 60…., 50-55 minuti in media… Se, invece, l’intento era quello di ridurre i costi (mah…) non si capisce perché non si è insistito sulla gara monotappa che, a conti fatti, riduce di una giornata il programma complessivo del rally, anche con 150 km di prove tutte di filato. A nostro parere il problema più grosso del rallismo italiano resta però la scarsa capacità di formare e lanciare i giovani, anche se non G L’ultima prova del CIR 2016 varrà l’intero campionato. I tre migliori rallisti italiani si contenderanno al Due Valli il titolo tricolore. mancano iniziative di diverso tipo. Basta dare un’occhiata alla carte d’identità dei tre big, che da anni si contendono il titolo, e alla mancata promozione di Andrea Nucita, il primo a laurearsi Campione Junior. E anche la storia della mancanza del costruttore nazionale non tiene più. I finlandesi, che pure hanno conosciuto un periodo di appannamento, non hanno un costruttore nazionale, ma sono pronti a lanciare una nuova generazione di “Flying Finn” ai massimi livelli mondiali: Esapekka Lappi, 25 anni, Teemu Suninen, 22, e Kalle Rovanperä, appena quindicenne, già nel giro di Toyota WRC… Ma questi sono altri discorsi. Torniamo al CIR 2016 e allo…sprint (!) finale. La stagione va divisa in due (e dai!) periodi. All’inizio c’è stata la supremazia della Peugeot 208 T16 R5 dei campioni in carica Paolo Andreucci e Anna Andreussi, con un tris di vittorie assolute, e cinque “tappe” al Ciocco, a Sanremo ed alla Targa. Con le due gare su terra lo scenario è 59 ITALIANO RALLY Per sapere chi tra Basso (sopra), Scandola (a sinistra) e Andreucci (in basso) vincerà il titolo italiano 2016, bisognerà attendere il risultato del Rally Due Valli, in programma il 14 Ottobre. Nel frattempo Scandola ha festeggiato a Roma, circondato da uno stuolo di legionari romani (foto in basso a destra). cambiato. Con Andreucci in difficoltà, Scandola ha vinto all’Adriatico e Basso a San Marino. Il pilota della BRC si è poi ripetuto in Friuli, dove c’è stato un mezzo passo falso di Scandola. La chiave di lettura è negli aggiornamenti della Ford Fiesta e nella strategia della BRC. M-Sport ha lavorato egregiamente sulla R5, in funzione WRC2-Evans, e del lavoro di Wilson & C ha beneficiato immediatamente la clientela, molto ben seguita anche a livello ricambi. A questo punto BRC che da tre anni insegue il titolo con Basso ha preso una decisione netta: affidare a Gian Domenico una Fiesta R5 benzina ultimissimo grido. Ma non c’è stata la rinuncia al GPL. Con una mossa azzeccata la Fiesta LDI della squadra piemontese è stata affidata a un altro numero uno come Simone Campedelli, impegnato a inizio stagione con la 208 di Munaretto, seguito da uno sponsor importante. Questa strategia si è rivelata vincente, su terra e su asfalto, con la doppietta di Basso a San Marino e a Cividale, mentre Campedelli ha tolto punti agli avversari almeno fino al Roma Capitale, dove c’è stata la riscossa di Andreucci primo sul filo dei decimi in gara 1 e soprattutto di Scandola, che ha confermato il feeling con la gara di Motorsport Italia, vinta anche l’anno scorso. Il pilota Škoda che, la stagione passata dopo il Roma Capitale aveva vinto anche il Due Valli, si è dunque rilanciato, anche se ha un distacco superiore a cinque punti non recuperabile in caso di doppia vittoria se Basso di piazzasse entrambe le volte secondo. Ma le combinazioni possibili sono moltissime. Come dicono in molti: vinca il migliore! E vale anche per le altre classifiche ancora aperte.Nel costruttori, Ford è in vantaggio su Peugeot, così come Giuseppe Testa ha un margine utile su Giuseppe Pollara, entrambi sulle Peugeot 208 R2, con il primo in ballo anche nel 2RM Under 25. Tra Ivan Ferrarotti e Luca Panzani, già laureato campione nel monomarca Renault, il Due Valli assegnerà il titolo assoluto 2RM. Roma Capitale ha invece fatto da passarella al Campione R1 Jacopo Lucarelli con la Suzuki Swift. Intrigante infine, il Femminile arrivato allo sprint finale tra la Campionessa in carica Corinne Federighi, con la Renault Clio R3C, e la rivelazione Beatrice Calvi con la Peugeot 208 R2. Mina, il “motorista” per eccellenza di casa Lancia. Franco Carmignani 60 In alto, i protagonisti del Campionato Italiano Rally: Ford è in vantaggio su Peugeot nel costruttori, così come Testa ha un certo margine su Pollara (sopra): Sopra, Corinne Federichi, la coppia Andreucci-Andreussi e Beatrice Calvi. 61 LA SPORTIVITÀ PARLA TEDESCO rima di parlare delle presenze al Salone di Parigi, che ha aperto i battenti all’inizio di ottobre, occorre accennare alle assenze. Anzi dell’assenza, quella di Sergio Marchionne. In quella che, assieme a Francoforte, viene considerata la vetrina dell’automobile in Europa, l’amministratore delegato di Fiat Chrysler Automobiles ha fatto annullare all’ultimo momento la sua conferenza stampa. Un’assenza a cui ha fatto da contraltare quella dei suoi colleghi di altri gruppi che hanno sfruttato l’occasione per presentare i risultati ottenuti e per anticipare, per quanto possibile, le mosse future. Il fatto è che sinora non si è vista quella numerosa immissione di nuovi modelli sul mercato da anni ventilata nei tanti piani industriali sbandierati da Marchionne, in realtà impegnato più che mai a spostare fuori dall’Italia sede fiscali, sedi legali ecc…di quelli un tempo ormai remoto furono il fulcro dell’industria automobilistica italiana. In questi per ora fantomatici piani industriali c’è anche il rilancio in grande stile del marchio Alfa Romeo. Rilancio per ora affidato sostanzialmente alla nuova Giulia di P 62 cui è difficile predire il futuro perché s’inserisce nel cosiddetto settore premium ben presidiato dalla concorrenza. Comunque sia, a Parigi era esposta “in anteprima mondiale” la Giulia Veloce, ordinabile già da ora ad un prezzo a partire da 50.500 euro. Su questo modello debutta il nuovo motore benzina da 2 litri - un 4 cilindri costruito interamente in alluminio - che eroga una potenza di 280 CV a 5.250 giri/min e coppia massima di 400Nm a 2.250 giri/min. Oltre al sistema elettroidraulico di attuazione valvole MultiAir, tra le peculiarità di questo propulsore spiccano il sistema di sovralimentazione "2-in-1" e l'iniezione diretta con sistema ad alta pressione da 200 bar. In alternativa, la Giulia Veloce può essere equipaggiata con il nuovo 2.2 Diesel che sviluppa una potenza massima di 210 CV a 3.500 gir/min e una coppia massima 470 Nm a 1750 giri/min. In particolare, il turbodiesel 2.2 della Giulia è il primo motore Diesel della storia di Alfa Romeo costruito interamente in alluminio. Questo quattro cilindri in linea è caratterizzato dal sistema d'iniezione di ultima generazione SALONE DI PARIGI Un tempo al salone francese la sportività era “made in Italy”. Ora i veri modelli corsaioli sono quasi tutti “made in Germany”. MultiJet II con Injection Rate Shaping (IRS) e pressioni d'esercizio di 2.000 bar. Il turbocompressore a geometria variabile ad attuazione elettrica rappresenta lo stato dell'arte della meccanica e minimizza i tempi di risposta assicurando, nello stesso tempo, vantaggi in termini d'efficienza. I più raffinati livelli di comfort ed esperienza di guida sono inoltre garantiti dall'utilizzo del contralbero di equilibratura. Entrambi i motori sono abbinati ad un cambio automatico a 8 marce. La nuova Giulia Veloce porta al debutto il sistema di trazione integrale con tecnologia Q4, progettato per gestire la trazione del veicolo in tempo reale, al fine di garantire il massimo livello in termini di prestazioni, efficienza e sicurezza. L'architettura del sistema Q4 che equipaggia Giulia Veloce comprende una scatola di rinvio attiva e un differenziale anteriore progettati per soddisfare i requisiti tecnici specifici di Alfa Romeo, al fine di gestire in tempi molto rapidi una coppia elevata con un design particolarmente compatto e leggero (l'aumento di peso è di soli 60 kg circa). A Parigi anteprima mondiale anche per la GTC 4 Lusso T, prima V8 a quattro posti della Ferrari che coniuga sportività e versatilità a un utilizzo frequente. È equipaggiata con l’ultima evoluzione della famiglia di propulsori turbo 8 cilindri a V. Compattezza ed efficienza caratterizzano questo V8 da 3,9 litri da 610 CV a 7500 giri/min, con tempi di risposta al pedale immediati e una spinta sempre crescente (760 Nm di coppia massima tra i 3000 e i 5250 giri/min). L’adozione di questo motopropulsore, insieme alla soluzione della trazione solo posteriore, garantisce un minor peso complessivo e una maggiore distribuzione dello stesso sull’asse posteriore. In queste pagine alcune delle anteprime più ammirate al recente Salone dell’Auto di Parigi: a sinistra la Porsche 911 GT3 Cup, sopra la Panamera 4 E Hibrid, che sfrutta l’esperienza maturata dalle 919 di Stoccarda, nel WEC. Con 50.500 Euro si può acquistare la Giulia Veloce dell’Alfa (in basso). Una scelta che, grazie anche alle quattro ruote sterzanti e a una specifica taratura dei sistemi di controllo dinamico, si traduce in una vettura dall’estrema agilità e reattività. Esposta al Salone anche la serie speciale limitata LaFerrari Aperta, versione en plein air della supercar LaFerrari di cui ripropone caratteristiche meccaniche e prestazionali. Equipaggiata con la stessa power unit ibrida (un propulsore termico V12 di 63 Una delle vetture più ammirate del Salone di Parigi è stata LaFerrari, versione “Aperta”, una supercar per pochissimi, da oltre 800 CV: può toccare una velocità massima di 350 km/h. 6262 cc da 800 CV, accoppiato a un motore elettrico da 120 kW, per una potenza totale di 963 CV) e identici sistemi di controllo di dinamica integrati con l’aerodinamica attiva, LaFerrari Aperta raggiunge la velocità massima di oltre 350 km/h, accelera da 0 a 100 km/h in meno di 3 secondi, in 7,1 secondi da 0 a 200 km/h. Per trovare auto con animo autenticamente corsaiolo occorreva indirizzarsi verso gli stand delle Case tedesche, prima delle quali – e non poteva essere altrimenti – la Porsche che ha presentato a Parigi la nuova 911 GT3 Cup. Sarà sulla griglia di partenza dei circuiti di tutto il mondo con una trazione di nuova concezione. La nuova Porsche 911 GT3 Cup monta al posteriore un sei cilindri boxer aspirato di 4 litri ad iniezione diretta che sviluppa una potenza massima di 357 kW (485 CV). Questa unità dispone di numerose soluzioni innovative che contribuiscono a migliorarne prestazioni ed efficienza, assicurandone anche una maggiore durata nell'impiego in pista ed una riduzione dei costi di manutenzione. A questo scopo sono stati adottati, per la prima volta, un comando valvole con bilancieri rinforzati ed una alimentazione centralizzata dell'olio. Una centrifuga integrata consente l’eliminazione della schiuma dell'olio motore. Inoltre, è stato installato un albero a gomiti con un grado di rigidità nettamente più elevato. Un nuovo paraurti anteriore ed una nuova parte posteriore migliorano la deportanza della nuova 911 GT3 Cup aumentan- 64 do, di conseguenza, l'aderenza al suolo e la performance. L'ampio alettone posteriore largo 184 centimetri è stato ripreso dal modello precedente, come le dimensioni dei cerchi da competizione, da 18 pollici in un unico pezzo con serraggio centrale per pneumatici slick Michelin racing da 270 millimetri anteriormente e da 310 millimetri posteriormente. La costruzione del telaio in struttura composita di acciaio e alluminio garantisce la massima rigidità ed una carrozzeria leggera. La nuova 911 GT3 Cup pronta per la gara pesa appena 1.200 chilogrammi. Nello sviluppo della vettura, gli ingegneri hanno posto nuovamente particolare attenzione sulla sicurezza del guidatore, che è protetto da una robusta gabbia di sicurezza e da un innovativo sedile a guscio da corsa con contorni particolarmente marcati nella zona di appoggio delle spalle e della testa. Il portello di salvataggio allargato sul tetto, conforme ai più recenti standard Fia, facilita gli interventi di pronto soccorso e di recupero in caso d'incidente. La 911 GT3 Cup nasce nella stessa linea di produzione dello stabilimento centrale Porsche di Stuttgart-Zuffenhausen dalla quale escono anche le 911 stradali. Nel Centro Motorsport di Weissach la vettura viene poi sottoposta alla messa a punto di base per l'impiego in pista e ad una serie di test approfonditi da parte di un pilota professionista prima di essere consegnata al cliente. Dal 1998, la 911 GT3 Cup SALONE DI PARIGI delle generazioni di modelli 996, 997 e 991 è stata prodotta in 3.031 esemplari. Quest'auto da corsa per campionati monomarca del costruttore di Stoccarda è così diventata la vettura da corsa GT più prodotta e venduta al mondo. Nella stagione di gare 2017, la nuova 911 GT3 Cup verrà impiegata inizialmente solo nella Porsche Mobil 1 Supercup, che si svolgerà nell'ambito delle gare di Formula 1, nella Porsche Carrera Cup Deutschland e in Nord America. A partire dal 2018, la vettura sarà disponibile anche per le altre gare monomarca. La 911 GT3 Cup può già essere ordinata a Weissach ad un prezzo di 189.900 euro + Iva. Dalla Porsche alla sua grande rivale nel Mondiale Endirance, nonché … cugina: l’Audi che ha esposto l’RS 3 LMS, progettata per la clientela sportiva impegnata nel TCR. Sviluppata da Audi Sport Customer Racing, l’RS 3 è una tipica turismo, con l’aggiunta dello splitter, l’allargamento dei passaruota, minigonne ed ala posteriore. All’interno possiede tutti gli elementi conformi alle normative FIA, tra cui la finestra sopra il tetto per permettere la fuoriuscita d’emergenza del pilota, soluzione già presente sulle vetture di classe GTE e GT3. Il motore è un due litri quattro cilindri TFSI da 330 CV, con una velocità massima di 240 km/h. Le prime consegne inizieranno nel mese di dicembre, la vettura costerà 129mila euro (più IVA), mentre la versione con il cambio sequenziale a sei rapporti costerà 99mila euro in più (più IVA). Dalla Porsche arriva una seconda novità: non è strettamente una sportiva ma con le corse c’entra non poco. Si tratta dela Panamera 4 E-Hybrid, che sfrutta l’esperienza matura nel Wec dalla 919 Hybrid. Questa Gran Turismo combina infatti una trazione ibrida orientata alle prestazioni e all'E-Mobility sostenibile con una sportività dinamica ed un comfort di guida elevato. Dispone di una potenza di sistema pari a 340 kW (462 CV) grazie alla combinazione di un motore a benzina V6 da 2,9 litri con 243 kW (330 CV) ed un potente motore elettrico da 100 kW. La coppia massima della vettura è di 700 Nm, l'autonomia elettrica di 50 chilometri. Poiché il mondiale della Formula E sta per iniziare, non potevano a mancare a Parigi alcune delle monoposto che animeranno la nuova stagione. Innanzitutto la I-Type 1, prima Jaguar da competizione totalmente elettrica, poi la Renault ZE. Dalla pista ai rally, anzi al Mondiale rally, con la francese Citroën e la sudcoreana Hyundai che hanno portato a Parigi le concept di quelle che saranno le loro vetture per il Wrc del prossimo anno. La Citroën C3 WRC è derivata dalla Nuova C3, da cui si diffe- Il Salone dell’Auto di Parigi è stata anche l’occasione buona per presentare al grande pubblico alcune delle auto che nel 2017 vedremo impegnate nei principali campionati. In alto l’Audi Sport RS3, per le gare turismo TCR, sotto la Citroën C3 e la Hyndai i20 WRC, future protagoniste del WRC 2017. 65 renzia esternamente per una carrozzeria più larga di 55mm che permette una maggiore aerodinamicità grazie anche al paraurti anteriore con spoiler. La rappresentante della Hyundai deriva invece dalla i20 tre porte. La livrea sfoggiata a Parigi era provvisoria: la definitiva sarà rivelata a dicembre in occasione della sua presentazione ufficiale. Le versioni “vere racing” della C3 WRC e della i20 WRC potranno usufruire del nuovo e più permissivo regolamento del Mondiale rally che consente: aumento della potenza dei motori fino a 380 CV grazie all’aumento del diametro della flangia del turbo a 36 mm; migliore aerodinamica, con una larghezza massima di 1.875 mm, paraurti anteriore avanzato e paraurti posteriore con diffusore; spoiler posteriore più ampio e arretrato per un assetto aerodinamico ancora maggiore; peso alleggerito di 25 kg; controllo elettronico del differenziale consentito. E, per finire, dai rally ai rally-raid con la nuova Peugeot 3008 DKR che sostituirà la 2008 DKR in questo campo agonistico. Per quanto riguarda la parte tecnica, Peugeot Sport ha lavorato soprattutto sulle sospensioni (ammortizzatori e geometria) per migliorare il comportamento dell’auto, sul raffreddamento e sul peso della vettura, che rimane stabile nonostante la presenza di alcuni rinforzi e soprattutto l’integrazione di un impianto di climatizzazione che sarà senz’altro molto apprezzato dagli equipaggi. Anche il motore è stato un importante asse di lavoro, innanzitutto con il suo adattamento al nuovo regolamento Fia, che per i veicoli a 2 ruote motrici Diesel riduce il diametro della flangia di strozzatura dell’aria da 39 a 38 mm, il che genera una perdita di circa 20 cavalli. Gli ingegneri hanno cercato di compensare per quanto possibile questo handicap, ma hanno cercato soprattutto di migliorare la facilità di utilizzo del motore ai bassi regimi. B.B. Al salone di Parigi la Peugeot ha svelato forme e nuovi colori della Peugeot 3008 DKR che nel 2017 sostituirà la 2008 DKR. 66