infezione da hiv ed aids in età pediatrica

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infezione da hiv ed aids in età pediatrica
HIV/AIDS DIRITTI E RESPONSABILITÀ
INFEZIONE DA HIV ED AIDS
IN ETÀ PEDIATRICA
*Rocco Oliveto, **Rossella Snenghi
* Divisione di Pediatria, Azienda Ospedaliera di Rovigo
** Centre of Behavioural and Forensic Toxicology - Istituto di Medicina Legale
e delle Assicurazioni - Azienda Ospedaliera ed Università degli Studi di Padova
Le prime segnalazioni di bambini affetti da AIDS risalgono al 1982 in bambini sottoposti ad emotrasfusioni. Tale modalità di trasmissione si è praticamente azzerata
nel corso degli anni grazie all’implementazione dei controlli sui donatori di sangue
e sul materiale da trasfondere ed al trattamento con calore degli emoderivati1.
Oggi la trasmissione verticale, da madre a figlio, rappresenta la preponderante
modalità di contagio pediatrico. Inoltre sono stati segnalati casi di infezione pediatrica da HIV in seguito ad abusi sessuali2. Assolutamente eccezionale e, per il
momento non segnalata in Italia, è la trasmissione per contatto con aghi contaminati.
Indagini di sieroprevalenza su campioni anonimi di sangue di neonati, raccolti su
tutto il territorio nazionale italiano nell'anno 1992-1993, hanno permesso di stimare
intorno a 530 il numero di nascite a rischio per anno3. La correlata stima teorica è
di circa 100 nascite di bambini per anno con infezione HIV (18.5%)4.
Secondo i dati del COA dell’Istituto Superiore di Sanità5, il numero totale dei nati da
madre sieropositiva al giugno 1997 è 579 (93.4% del campione totale); 314
(54.2%) sono figli di madre tossicodipendente. Dal 1993 ad oggi non sono più stati
riportati casi in emofilici.
1
Tovo P.A, De Martino M., Gabbiano C. Epidemiology of HIV infection in children in Italy. Acta
Paediatr 1994; 400:15.
2
Gutman L.T., Clare K.K., Weedj C. Human immunodeficiency virus transmission by sexual abuse.
Am J D.C. 1991; 145:137.
3
Ippolito G., Stegagno M., Girardi E. Temporal and geographical trends of anti-HIV1 antibodies
screening among newborns in Italy. J AIDS Hum Retrovir 1996; 12:63.
4
Tovo P.A , De Martino M., Gabbiano C. Mode of delivery and gestational age influence perinatal
HIV1 trasmission. J. AIDS Hum Retrovir 1996; 11:88.
5
Notiziario dell’Istituto Superiore di Sanità 1997:10.
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.
Infezione da hiv ed aids in età pediatrica
La trasmissione verticale del virus è l'espressione di un evento multifattoriale al
quale prendono parte caratteristiche virali, cliniche, biologiche e comportamentali
materne, oltre a fattori ostetrici, resistenza all'infezione e clearance del virus da
parte del bambino. La trasmissione dell'HIV dalla madre al bambino può avvenire
durante la vita fetale (il virus è stato ritrovato in feti di età compresa tra la 13-18
settimana) e – prevalentemente – durante il parto (60% dei casi), a causa del diretto contatto del bambino con il secreto vaginale e con il sangue materno durante il
passaggio nel canale del parto. Non è noto il periodo di massima infettività durante
la fase prenatale, anche se si ritiene che il rischio maggiore si verifichi negli ultimi
6
due mesi di gravidanza . Il contagio si può realizzare anche nella fase successiva
al parto, durante l'allattamento al seno. Una meta-analisi condotta sui risultati di 5
studi ha consentito di stimare al 14% l'incremento di trasmissione dell'HIV-1 legato
7
all'allattamento materno .
Nel 1987 il Centre for Disease Control (CDC) di Atlanta (MMWR 1987; 36:225-236)
ha fissato i criteri per definire l'infezione da HIV. L'attuale classificazione suddivide i
bambini in tre gruppi:
1. Soggetti con infezione indeterminata (P-0): bambini al di sotto di 15 mesi di età
con positività per anticorpi anti-HIV, senza alcuna sintomatologia e senza anomalie immunologiche.
2. Soggetti con infezione asintomatica (P-1) associata o meno ad alterazioni di tipo immunologico.
3. Soggetti con infezione sintomatica (P-2), che comprendono anche i soggetti con
AIDS.
L'età di comparsa dei primi sintomi è in media compresa tra i 5 mesi e mezzo ed i
sei mesi; raramente i primi sintomi compaiono prima del 3° mese di età. Sebbene
la maggior parte dei sintomi clinici sia simile a quelli riscontrati nei casi di infezione
da HIV dell’adulto, nel bambino esistono quadri clinici caratteristici come: l'iperplasia linfoide polmonare; l'aumento di volume delle ghiandole salivari (parotide in
particolare); ritardo di crescita e dismorfismi cranio-facciali; quadri clinici prevalenti
come la polmonite interstiziale linfocitaria (LIP)8. Le neoplasie, prevalentemente
linfomi, sono presenti nel 2% dei bambini in fase conclamata di AIDS. Il coinvolgimento neurologico è frequente, per la localizzazione del virus nel SNC. Le manifestazioni cliniche dei primi mesi sono caratterizzate da ipotonia agli arti inferiori con
6
Rouzioux C., Costagiola D., Burgard M. Timing of mother to-child-HIV-1 transmission depends on
maternal status. AIDS 1993; 7:S49-S52.
7
Dun DT, Newell M.L., Ades A.E., Pekham C.S. Risk of human immunodeficiency virus type 1 transmission trough breath feeding. Lancet 1992; 340: 585.
8
Oleske J. Report of the Surgeon General's Workshop on Children with HIV infection and their families. U.S. Department of Health and Human Service. 1987: 24.
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successivi quadri di paresi e turbe della deambulazione associate o meno a turbe
dello sviluppo intellettivo.
La diagnosi precoce di infezione verticale rappresenta un punto cardine per un'adeguata gestione del bambino HIV positivo; è semplice nella prima e seconda infanzia, cosi come nell'adolescenza dove la sola presenza degli anticorpi anti-HIV è
un criterio sufficiente. Nel neonato e nel lattante è invece ostacolata dalla presenza
degli anticorpi di origine materna passivamente acquisiti, non distinguibili da quelli
prodotti dal bambino fino ai 15-18 mesi. In questo caso è utile avere a disposizione
metodiche di laboratorio utili per una diagnosi precoce. Queste metodiche (metodiche immunoenzimatiche: antigene p24 scomplessato; IgA anti-HIV; colture virali;
metodiche di biologia molecolare su linfociti del sangue periferico: PCR-Polimerase
Chain Reaction) consentono con una buona approssimazione la diagnosi di infezione fin dal terzo mese di vita.
Secondo le indicazioni del CDC (Center for Disease Control) la diagnosi di infezione da HIV nel bambino di età inferiore ai 18 mesi prevede:1) l'identificazione diretta
del virus nel sangue o nei tessuti; 2) la presenza di anticorpi anti-HIV associata con
segni di immunodeficienza umorale e cellulare o con una sintomatologia caratteristica dell'infezione da HIV9.
Nella gestione del bambino con infezione da HIV è importante soprattutto la diagnosi precoce: gli interventi terapeutici pur non essendo risolutivi, permettono di
migliorare la qualità della vita e di prolungare la sopravvivenza. La necessità di
formulare una tempestiva programmazione terapeutica, impone la precoce identificazione dei bambini appartenenti alle categorie a rischio (genitori tossicodipendenti, madri prostitute, partner di soggetti a rischio).
La terapia comprende:
1. terapia antivirale con i dideossinucleosidi (AZT o azidotimidina) che hanno dimostrato al momento maggiore efficacia clinica e minore tossicità. In alternativa
ci sono il DDI (dideossiinosina) ed il DDC (dideossicitidina). In via di sperimentazione ci sono poi le terapie combinate che permettono con dosaggi inferiori
dei tre farmaci un effetto tossico inferiore e migliori effetti clinici; la terapia allo
stato attuale è consigliata quando il valore dei linfociti CD4+ è al di sotto del terzo percentile per l'età10. È stata inoltre dimostrata una ridotta trasmissione verticale trattando le donne gravide con AZT dalla 14 settimana di gravidanza e per
tutto il travaglio, il parto e proseguendo la terapia al neonato per 6 settimane11;
9
CDC. MMWR 1987; 36: 225.
The European Collaborative Study. Age related standards for T-lynphocite subset based on uninfected children born to HIV1 infected woman. Pediatr Infect Dis J 1992; 11: 1018.
11
Piitt J. Perinatal AZT appears reduce vertical transmission. AIDS Clin Care 1994; 6 :33.
10
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.
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2. profilassi delle infezioni secondarie mediante vaccinazioni e somministrazione
mensile di Immunoglobuline endovena e mediante antibatterici possibilmente
mirati;
3. apporto nutrizionale adeguato durante la fase conclamata della malattia, comprendente anche l’alimentazione parenterale totale (tramite CVC) o la nutrizione
enterale mediante sondino nasogastrico;
4. sostegno psicologico globale per un adeguato sviluppo psico-affettivo del bambino e supporto sociale per evitare emarginazione che influenza negativamente
l'evoluzione della malattia.
L’effettuazione di indagini diagnostiche e terapeutiche per HIV-AIDS su minore è
subordinata all’acquisizione del consenso delle persone che a norma di legge per
lui agiscono: vale a dire i genitori o chi esercita la tutela.
Poiché non esiste una norma che definisce l’età che rende capaci di fornire un
consenso ai trattamenti sanitari, si raggiunge al compimento del 18 anno la capacità di esercitare il pieno esercizio dei propri diritti. L’orientamento giurisprudenziale
prevalente pone comunque grande attenzione alla priorità del consenso del minore
di età superiore ai sedici anni, ovviamente proporzionatamente alla portata della
scelta diagnostico-terapeutica ed alla capacità naturale. In termini operativi ciò implica una valutazione specifica di ogni singolo caso. La problematica del minore
adolescente-consumatore di stupefacenti che richiede l’effettuazione di test antiHIV al SERT è stata trattata nel Capitolo AIDS e tossicodipendenza.
Nel caso in cui i genitori proponessero scelte contrarie all’interesse del bambino o
si dovesse valutare l’opportunità di tenere in considerazione il dissenso di un minore maturo e capace, dovrà essere interpellato il Tribunale per i Minorenni che può
sostituirsi ai genitori, decretando la decadenza della podestà genitoriale con la
possibilità del ripristino non appena siano cessati i comportamenti pregiudizievoli
per il minore12.
La prevenzione rappresenta attualmente la via migliore per ridurre l'infezione da
HIV-1 in età pediatrica. Essa va attuata: nei confronti delle donne non infette, ma
fertili, aumentandone il livello di conoscenza relativo all'acquisizione dell'infezione e
alla sua profilassi; nei confronti delle donne infette che decidono di intraprendere
una gravidanza al fine di intraprendere quelle misure atte a ridurre la trasmissione
verticale dell'infezione (taglio cesareo, allattamento artificiale, trattamento con antivirali o immunoglobuline).
La ricerca degli anticorpi anti-HIV inoltre dovrebbe essere proposta a tutte le donne
sia nei primi tempi della gravidanza per metterle nella condizione di decidere sul
proseguimento della gravidanza, sia al termine della gravidanza allo scopo di indi12
Fornari A., Borlotti Carraro P. AIDS pediatrico: aspetti medico-legali e deontologici, in Maccabruni A., Caselli D, Rondinelli G. AIDS Pediatrico, Piccin ed., Padova 1996 : 591.
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viduare precocemente i bambini a rischio. Non può essere infatti mai esclusa a
priori una sieroconversione in corso di gravidanza.
Il protocollo di assistenza del bambino da madre sieropositiva prevede entro la
prima settimana e con scadenze trimestrali tre valutazioni:
– una valutazione auxologica e neurologica;
– accertamenti immunoematologici;
– indagini virologiche specifiche.
È sconsigliato l'allattamento al seno in quanto fonte potenziale di infezione. Nel caso del bambino negativizzato (scomparsa degli anticorpi materni anti-HIV) si eseguiranno controlli semestrali fino al terzo anno. Se il bambino risulta infetto saranno
eseguiti controlli mensili individualizzati.
Ai tempi previsti dovranno essere eseguite tutte le vaccinazioni obbligatorie secondo quanto stabilito nel 1987 dal Ministero della Sanità. Le vaccinazioni dovranno
essere effettuate il più precocemente possibile, quando cioè la risposta immunitaria
è ancora valida. Qualora il bambino venga a contatto con soggetti affetti da morbillo, pertosse, varicella, haemophilus influenzae B è consigliata la profilassi con immunoglobuline specifiche verso il morbillo e la varicella; macrolidi verso la pertosse; rifampicina verso l'haemophilus. I bambini HIV-positivi sintomatici non devono
essere trattati con vaccini contenenti virus e batteri vivi. Durante il follow-up inoltre
è prevista una TAC o RMN nel sospetto di un interessamento del SNC.
L'inserimento a scuola del bambino HIV positivo con deficit immunitario può costituire un problema per il rischio generico aggravato di contrarre infezioni frequenti in
ambiente comunitario. Ciò costringe tali bambini ad assenze che se in elevato numero rendono difficile il loro inserimento. Tuttavia la frequenza a scuola deve essere per quanto possibile mantenuta per gli innegabili vantaggi psicologici e quindi
fisici che essa comporta.
Relativamente all’ipotesi di trasmissione dell’infezione a terzi (compagni di classe)
si evidenzia quanto sancito dalla legge italiana n.135 del 5/6/90 art. 5: "l'accertata
infezione da HIV non può costituire motivo di discriminazione, in particolare per l'iscrizione a scuola...". Perciò tutti i bambini HIV positivi possono e devono frequentare la scuola dell'obbligo. I genitori ed il medico curante di un bambino sieropositivo non sono pertanto tenuti a comunicarne lo stato all'atto dell'iscrizione. Sarebbe
comunque auspicabile che il Medico scolastico fosse informato dai genitori dello
stato di sieropositività del bambino per una migliore valutazione dei rischi d'infezione tipici della comunità in uno scolaro con difese immunitarie compromesse.
Relativamente alla possibilità di trasmissione dell'infezione ai compagni, l'unico vero rischio è rappresentato dal contagio attraverso il sangue. Tale rischio è nullo se
in occasione di ogni sanguinamento vengono adottate le cosiddette precauzioni
universali, comprendenti in sintesi: l’utilizzo di guanti per evitare di venire a contatto
311
.
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con sangue o con altri fluidi biologici contaminati di sangue; il lavaggio minuzioso
delle mani con acqua e sapone dopo ogni contatto con sangue e liquidi organici
del soggetto; la medicazione (disinfezione e copertura con cerotti impermeabili delle ferite e lesioni cutanee); la disinfezione con comune varechina delle superfici
contaminate da sangue o altri liquidi biologici (tempo di contatto per almeno venti
minuti) dopo aver rimosso il materiale visibile con stracci a perdere; lavaggio ordinario delle stoviglie e della biancheria.
Tali precauzioni vanno adottate sempre e per ogni soggetto, indipendentemente
dalla conoscenza del suo stato di sieropositività. In tal modo si controlla il rischio di
acquisire non solo l'infezione da HIV, ma anche tutte le altre infezioni trasmesse
per via ematica quali l’epatite B e C. Verrà inoltre tutelato il diritto alla riservatezza
del bambino con infezione da HIV che verrebbe rapidamente identificato come tale
13
nel caso fosse l'unico ad essere “trattato coi guanti" .
Un aspetto particolare è costituito dall'infezione da HIV nell’adolescente. Da studi
condotti nel 1995 sui giovani di leva nella regione Toscana, sembra che la prevalenza dell'infezione da HIV in Italia in epoca adolescenziale sia inferiore all'uno per
mille di tutti gli adolescenti maschi14. Il rapporto maschi-femmine negli affetti da
AIDS è di 3:1 (Istituto Superiore della Sanità: Aggiornamento dei casi di AIDS notificati in Italia al 31/3 1996).
Negli USA la prevalenza dell'infezione da HIV in adolescenti è oscillante fra 0.21.1% con un rapporto maschi-femmine di 2:1, 3:115.
La trasmissione dell'infezione da HIV negli adolescenti avviene mediante sangue,
sperma e secrezioni vaginali. La saliva di per sé non è infettante ma tuttavia nel
"bacio appassionato" in concomitanza di un certo sanguinamento esiste la possibilità del passaggio del virus al partner sano.
I comportamenti a rischio segnalati sono sovrapponibili all’età adulta: l'omosessualità maschile, i rapporti eterosessuali, l'abuso per via endovenosa di droghe; i comportamenti sessuali promiscui associati all'uso di droghe16.
Le misure di prevenzione a livello scolastico sono attualmente fornite sotto forma di
linee guida da parte della Commissione Nazionale per la lotta contro l'AIDS. Tale
13
Zanchin M.R. Il paziente sieropositivo ed AIDS conclamato. In: Raimondo A., Il segreto tra diritto
ed interesse della collettività. Il paziente sieropositivo ed AIDS conclamato. Monografia Fondazione
Lanza, CIC Edizioni Internazionali, 1997:64.
14
Mazzotta F., Di Pietro M., Ballochini E. Prevalence of HIV1 infection in 18-year old man in Tuscany. International J Epidemiol.1995; 24:1030.
15
Sweeney P. Lindegren M.L., Buehler JW. Teenager at risk of HIV type 1 infection et al. Arch Adolesc Med 1995; 149:521.
16
Remafedi G., Lauer T. Survival trend in adolescents with HIV infection. Adolesc. Med. 1995;
14:1093.
312
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documento dà risalto sia alle finalità educative sia alle modalità di inserimento del
soggetto infetto nella comunità scolastica.
I problemi sono individuati in:
– possibilità di trasmissione dell'infezione da HIV ai compagni sani;
– possibilità di trasmissione di altre infezioni dal soggetto infetto al sano e viceversa (vi è un'estrema facilità da parte del soggetto infetto a contrarre infezioni
anche gravi a causa dello stato di immunodepressione);
– possibilità di insorgenza negli adolescenti consapevoli del loro stato di sieropositività di quadri psicopatologici.
Riguardo quest'ultimo punto è importante sottolineare che la diagnosi di sieropositività per HIV ha un effetto dirompente sull'equilibrio psichico e sul comportamento
sociale dei soggetti portatori dell'infezione. La prevalenza di tali disturbi in base alle
fasi della malattia è variabile: 17-30% nei soggetti asintomatici; 38-75% in quelli
con ARC e 26-80% in quelli con AIDS17. Generalmente nella fase della diagnosi
subentra uno stato di crisi (fase di stress), caratterizzato da uno stato depressivo e
senso di colpa. A tale fase segue la fase di transizione caratterizzata da crisi di ansia e quindi la fase di adattamento caratterizzata dall'alternarsi di periodi di stabilità
psichica e periodi di peggioramento con stato depressivo ed aumentato rischio di
suicidio. In definitiva nei soggetti con infezione da HIV vi è uno stato quasi permanente di depressione e di ansia su cui possono instaurarsi altri disturbi più gravi
quali quelli psicotici. L’approccio a tali problematiche richiede un'adeguata preparazione e sensibilità del personale insegnante che deve vigilare sui mutamenti psico-comportamentali degli studenti ed il coinvolgimento nella scuola di una figura
"medica" in grado di instaurare un rapporto di fiducia con l'adolescente in maniera
tale da indirizzarlo verso strutture mediche idonee.
17
Cazzullo C.L. AIDS: aspetti psicologici e psichiatrici. Psichiatria II Vol., Micarelli, Roma 1993.
313
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