Robert_Cialdini_-_Le_armi_della_persuasione

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Robert_Cialdini_-_Le_armi_della_persuasione
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LE ARMI DELLA PERSUASIONE
Come e perché si finisce col dire sì
INDICE:
I. LA PERSUASIONE
II. RECIPROCITÀ
III. IMPEGNO E COERENZA
IV. LA RIPROVA SOCIALE
V. SIMPATIA
VI. AUTORITÀ
VII. SCARSITÀ
CAP I. LA PERSUASIONE
Dallo studio degli animali nel loro habitat (la scienza dell’etologia, appunto) si sono scoperti dei
comportamenti che caratterizzano il modo di rispondere a determinati stimoli. Precisi stimoli che
attivano negli animali modelli d’azione regolari e automatici detti SCHEMI FISSI D’AZIONE. Ad
esempio lo stimolo “cip-cip” particolare di un pulcino sano e normale è l’unico a far evocare nella
madre un’azione verso il piccolo.
Esiste un’analogia anche nell’uomo, dove troviamo analoghi schemi fissi d’azione.
L’esperimento di Ellen Langer (psicologa sociale a Harvard) si riferisce a un comportamento noto
in cui se si chiede un favore lo si otterrà più facilmente se si fornisce una qualche ragione.
La frase detta in coda a una fotocopiatrice è: “Scusi, ho 5 pagine. Posso usare la fotocopiatrice,
perché ho una gran fretta?”. 95% delle persone lasciava passare davanti a sè. La spiegazione
fornita nella frase illustra bene l’alta percentuale ottenuta. Se si escludeva la spiegazione solo il
60% lasciava passare.
In realtà una terza frase dimostra che ciò che fa la differenza è soltanto la parola perché. Infatti se la
frase è: “Scusi, ho 5 pagine. Posso usare la fotocop., perché devo fare delle copie?”. In questo caso
il 93% dava il suo consenso.
La parola perché fa scattare una risposta automatica di acquiescenza nei soggetti.
Un altro esempio riguarda il modo di scelta di clienti nei confronti di articoli dei quali non ne
conoscono le caratteristiche. Per scegliere si basano su un principio standardizzato, cioè lo
stereotipo “costoso = buono”. In questo caso il prezzo è un indice di qualità. Questa regola scatta
quando si vuole avere il meglio e non si ha l’intenzione di acquisire maggiori informazioni riguardo
a ciò che si vuole acquistare, basandosi sull’unico elemento (il prezzo) a loro diretta disposizione.
Il comportamento automatico e stereotipato predomina perché a volte è efficiente o indispensabile.
Perché ci troviamo ogni giorno di fronte a numerosi stimoli e per risparmiare tempo energia o
perché non abbiamo la capacità per affrontarli, allora ricorriamo a scorciatoie. Anche quando queste
soluzioni o questi stereotipi non sono adatti alla situazione, ma non ci sono altre scelte.
Ritornando nel campo dell’etologia, gli insetti sono quelli che sfruttano gli automatismi delle loro
prede per sfruttarli o cibarsene. Anche per noi ci sono degli profittatori che mettono in moto le
nostre risposte automatiche. I nostri programmi automatici prendono le mosse da principi
psicologici o da stereotipi che abbiamo imparato ad accettare.
Questi principi però sono un’arma di persuasione automatica per chi ne viene in possesso.
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Molte delle armi di persuasione automatica hanno diversi elementi in comune: il processo
meccanico col quale si può attivare la loro potenza e il facile sfruttamento di questa potenza per chi
riesce a metterla in moto. Terzo il modo elegante e privo di sforzo con cui queste armi prestano la
loro forza. Basta far scattare le molle potenti che già sono contenute nella situazione. Chi sfrutta
queste armi può avere il vantaggio e la possibilità di manipolare gli altri senza averne l’aria. Chi è
vittima vede nella propria remissività l’effetto di forze naturali invece che disegni di chi ne
approfitta.
Un esempio è dato dal principio di contrasto che influisce sulla differenza che avvertiamo fra due
cose presentate in successione. Se il secondo stimolo differisce abbastanza dal primo, tendiamo a
vederlo più diverso ancora di quanto non sia in realtà. Delle ricerche condotte nelle università
dell’Arizona fanno pensare che le attrattive fisiche delle nostre compagne ci soddisfino meno per
via del bombardamento di modelli di bellezza sottoposti dai media. Degli studenti dovevano
valutare su una fotografia l’aspetto fisico (che in realtà rientrava nella media). I risultati risultavano
più sfavorevoli se prima i soggetti avevano sfogliato le pagine pubblicitarie di un rotocalco.
Così vale anche per il venditore che troverà più vantaggioso presentare il primo articolo più costoso
e poi uno meno costoso che (se pur alto) sembrerà in confronto di prezzo irrisorio.
CAP II . RECIPROCITÀ
Quando si ricevono regali, inviti o favori, ci sentiamo obbligati a contraccambiare. Questo
comportamento, basato sulla regola della reciprocità, è così tipico che la parola “obbligato” e
diventato sinonimo di grazie. La regola del contraccambio è una norma la quale se non viene
rispettata si va incontro a sanzioni sociali. Queste consistono nell’etichettare una persona come
ingrata, profittatore o parassita. Per evitare queste sanzioni rischiamo di essere facile preda di chi
sfrutta la regola della reciprocità. Il prof. Dennis Regan ha condotto un esperimento per far capire
come la regola della reciprocità possa essere sfruttata come fonte di influenzamento. I soggetti
dovevano giudica le qualità artistiche di certi quadri insieme a un compagno, Joe (che in realtà era
un complice).
Le condizioni sperimentali erano due: nella prima Joe faceva spontaneamente un piccolo favore al
compagno, uscendo dalla stanza e ritornando con della coca cola per se e per il soggetto. Nella
seconda usciva , ma ritornava senza niente in mano. Finito di esaminare i quadri, Joe chiedeva al
suo compagno di fargli un favore. Gli diceva che doveva vendere dei biglietti della lotteria dove
c’era in palio un’automobile e che se fosse riuscito a venderli quasi tutti avrebbe avuto un premio di
50 $. Il biglietto costava 25 centesimi, e disse: “tutto fa, anche uno solo, ma più sono e meglio è”. Il
fuoco della ricerca era sul n° di biglietti venduti. Nella prima condizione le persone persuase di
dovergli qualcosa compravano il doppio dei biglietti.
LA REGOLA È SOVERCHIANTE
La regola ha efficacia perché ha una grande potenza. Nell’esperimento precedente Regan volle
anche verificare come la regola può soverchiare su fattori normalmente decisivi, come l’effetto
simpatia-antipatia sulla tendenza ad accettare le richieste. Venivano somministrati questionari per
avere dei giudizi di antipatia-simpatia su Joe, i quali poi venivano confrontati con il n° di biglietti
acquistati. La tendenza era che a giudizi di simpatia c’era un n° alto di biglietti acquistati. Tale
tendenza non aveva significato nella condizione di acquiescenza in cui i soggetti si sentivano
obbligati a ricambiare il favore. Il fatto che fosse simpatico o antipatico non aveva influenza
sull’acquisto perché la regola del contraccambio annullava qualsiasi altro fattore.
La regola del contraccambio è stata per anni usata anche dagli Hare Krishna che prima davano un
dono come un fiore o un libro (Bhagavad Gita) o una loro rivista e poi chiedevano un contributo.
Questo metodo non funzionò per molto perché i viaggiatori (negli aeroporti si concentrava di più la
loro richiesta di contributi) ormai li riconoscevano e li evitavano.
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Anche nella pubblicità troviamo esempi della regola di reciprocità. Ad esempio la tecnica
promozionale del campione gratuito consiste nel dare una piccola quantità di prodotto in regalo per
provarne l’efficacia o la bontà. Proprio perché è un dono richiama la regola della reciprocità.
Un altro stratagemma, usato dalla ditta Amway, è detto Bug. Questo consiste in un assortimento di
prodotti della stessa ditta portati a casa del cliente e lasciati senza impegno e in prova questi per 24,
48 o 72 ore. Dopo il venditore ritorna per prendere le ordinazioni e riprendersi il bug che non
essendo esaurito, in un lasso di tempo così breve, lo può somministrare ad altri potenziali clienti.
Anche in questo caso c’è la regola del contraccambio.
LA REGOLA IMPONE DEBITI CHE NESSUNO HA SOLLECITATO.
Non è necessario che il favore che gli altri fanno a noi sia da noi richiesto. L altro può farci sentire
in debito anche se il favore che ci fa non è da noi richiesto.
La regola è nata per far sviluppare le relazioni reciproche in moda che uno può prendere l’iniziativa
senza paura di rimetterci. L’essenza della regola è data dall’obbligo di sdebitarsi, ma il meccanismo
viene utilizzato così facilmente perché c’è l’obbligo di ricevere. Quest’ultimo riduce le nostre
possibilità di sceglierci i nostri debitori.
LA REGOLA PUÒ METTERE IN MOTO SCAMBI NON EQUI.
La regola esige un favore analogo a quello dato, tuttavia può essere usata per ottenere un favore più
grande di quello dato. Lo scambio può essere non equo in quanto chi lo dirige è colui che prima fa
il favore e poi ne chiede uno in cambio.
Una ragione che spiega il fatto di restituire un favore più grande di quello ricevuto è per la
sensazione sgradevole di sentirsi in debito con qualcuno. Sensazione che pesa e deve essere
eliminata. Se ignorassimo questa sensazione, chi ci ha fatto il favore difficilmente ne rifarebbe un
altro in futuro. In oltre per chi non contraccambia viene manifestata una antipatia e essere definito
profittatore e ingrato è da evitare tanto da accettare uno scambio ineguale pur di sfuggirvi (tuttavia
anche dare senza permettere di contraccambiare è visto in cattiva luce).
La sorpresa è di per sé un fattore efficace per ottenere l’assenso. Le persone colte di sorpresa da una richiesta spesso
l’accettano perché sono momentaneamente incerte sul da farsi e quindi facili da influenzare. Stanley Milgram e John
Sabini (1975) hanno dimostrato per esempio che passeggeri che viaggiano nei posti a sedere sulla metropolitana di
New York, interpellati all’improvviso con “Mi scusi, posso avere il suo posto?”. Cedono con frequenza doppia che
CONCESSIONI
RECIPROCHE.
se la stessa richiesta è preannunciata dal richiedente stesso, dicendo a un compagno di viaggio “Ora chiedo a
L’altra
la persuasione
automatica
la ilquale
qualcunotecnica
se mi fa èsedere”
(esattamente,
il 56% contro
28%).può infondere potere alla richiesta.
La tendenza a ricambiare una concessione non è così forte da influenzare chiunque. Nessuna
tecnica di persuasione è così forte per tutti.
La regola del contraccambio produce concessioni reciproche in due modi. 1. Chi riceve una
concessione è spinto a rispondere a tono.
2. chi è il primo ad offrire si assicura l’obbligo d’essere ricambiato e di non essere sfruttato. Una
tecnica di persuasione che utilizza una concessione iniziale è detta ripiegamento-dopo-il-rifiuto.
Si fa una prima richiesta grossa e poi una seconda piccola. Se le richieste sono formulate abilmente
si dovrebbe “vedere” nella 2° una concessione.
Questa tecnica venne verificata in due punti: 1. Se funzionava su una percentuale abbastanza grande
di persone. 2. Se la 2° richiesta doveva essere piccola in assoluto cioè se poteva essere si pure una
grande richiesta in senso assoluto, ma piccola rispetto alla precedente. Con alcuni esperimenti si è
provato prima che una richiesta troppo alta viene rifiutata e poi che se questa stessa viene posta
come 2° richiesta ad una precedente e maggiore allora la % di assensi alla 2° si triplicano.
Si può pensare che una richiesta iniziale molto grande dia più spazio per fare concessioni dopo.
Questo però può sembrare irragionevole così che la tattica si può ritorcere contro chi la usa. La
tattica funziona se l’offerta iniziale sia tale da risolversi con un’offerta vantaggiosa finale.
Un’altra tattica di ripiegamento-dopo-il-rifiuto prevede l’indicazione del nome, al cliente, di una
persona conosciuta che lo ha raccomandato. Viceversa chi rifiuta un’offerta e non vuole sottoporre
alla stessa un suo amico tende a dare nomi e recapiti quando invece la richiesta e posta come
concessioni nei suoi confronti.
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Questa strategia della richiesta minore accettata dopo il rifiuto alla richiesta maggiore si basa anche
sul principio del contrasto.
La regola del contrasto con quella della reciprocità inserite nella strategia del ripiegamento-dopo-ilrifiuto possono avere un’enorme forza. Facendo una qualsiasi richiesta ottengo sempre un
vantaggio, sia se accetta alla 1° richiesta che alla 2°.
Questa tecnica viene utilizzata ad esempio nella pratica della vendita in cui al cliente viene
presentato sempre l’articolo più costoso. Se lo compra meglio, se no si può ripiegare per un’offerta
di prezzo più contenuto.
Cioè scendere ad illustrare articoli di prezzo più basso.
Nonostante si possa ipotizzare che il cliente accorgendosi di essere stato truffato rifiuti l’accordo si
è dimostrato invece che con questa tecnica le reazioni di rifiuto sono addirittura meno frequenti del
normale.
Nell’esperimento condotto per verificare la tecnica del ripiego dopo il rifiuto si chiedeva a studenti
che passeggiavano nel campus di prestare servizio volontario in un consultorio per delinquenti
minorili, 2 ore la settimana per almeno 2 anni. Poi ripiegavano dopo il rifiuto sulla proposta di
accompagnare gli stessi delinquenti allo zoo. In questo esperimento venne anche verificata quanta
gente andava poi realmente e anche qui le percentuali erano maggiori per la tecnica di ripiego.
In questo esperimento venne anche verificato quanta gente andava poi realmente e anche qui le
percentuali erano maggiori per la tecnica di ripiego.
In un altro esperimento per verificare se la possibilità che le vittime si sentissero manipolate al
punto di rifiutare le richieste, venne chiesto a un gruppo di studenti di donare il sangue ogni sei
mesi per tre anni. All’altro gruppo invece di donare il sangue una singola volta. A entrambi però
veniva chiesto di lasciare il n° di telefono per essere richiamati in futuro per altre donazioni.
Quelli che si facevano convincere con la tecnica del ripiegamento accettarono quasi tutti la richiesta
di lasciare il n° telefonico. Questo dimostra che la tecnica stimola oltre ad acconsentire alla
richiesta, anche di rispettare l’impegno e a prestarsi ad ulteriori favori.
Esaminando la manovra si notano due effetti collaterali che inducono le vittima a rispettare
l’impegno preso e accettarne di nuovi per il futuro. Questi sono il senso di essere responsabili della
transazione avvenuta e la soddisfazione di come sono andate le cose.
Prendendo spunto da un esperimento passato in cui i soggetti devono spartire una certa somma
messa a disposizione dallo sperimentatore entro un certo tempo limite. La controparte del soggetto,
un assistente, assumeva tre comportamenti: condurre la trattativa con una richiesta eccessiva
mantenuta tenacemente fino alla fine; una richiesta iniziale moderata favorevole a lui mantenuta
fino alla fine; una richiesta dapprima esagerata con successivi ripiegamenti fino alla spartizione più
ragionevole verso la fine. Dai risultati si evince che i soggetti si sentivano più responsabili
(Responsabilità personale) dell’accordo finale perché sicuri di essere riusciti a convincere la
controparte ad abbassare le sue pretese, cioè c’è una partecipazione attiva che tende a far rispettare i
termini del contratto. È comprensibile quindi come questa tecnica possa far mantenere gli impegni
presi.
Il compromesso raggiunto attraverso la concessione da parte dell’avversario lascia soddisfatti e
permette la disposizione in futuro di accettare altri impegni.
COME DIRE DI NO
L’alternativa alla concessione è di accondiscendere alla richiesta o rifiutare provando il disagio
provocato dai sentimenti di lealtà e di obbligo morale.
La soluzione potrebbe essere di impedire che la regola venga attuata, rifiutando a priori il favore o
la concessione iniziale. Però in questo modo, non sapendo se è un’offerta disinteressata o una
manovra per essere ingannati, rischiamo di non potere godere dei benefici di favori o concessioni
disinteressate. Il rifiuto tuttavia può ferire chi invece ha intenzioni positive e non ingannatorie.
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L’alternativa meno rischiosa è di accettare le offerte per quello che sono impegnandoci a
contraccambiare in futuro senza però lasciarsi sfruttare.
Se il favore iniziale diventa un pretesto per chiederci un contraccambio non equo il profittatore
deve essere trattato in modo diverso in quanto noi riconoscendo l’azione come uno stratagemma vi
dobbiamo rispondere in conformità.
La regola perde di efficacia non lavorando più per la controparte in quanto la regola dice che un
favore dev’essere ricambiato con un favore, ma non obbliga a ricambiare con un favore anche i
trucchi.
CAP III. IMPEGNO E COERENZA Gli spauracchi della mente
Il bisogno di apparire ed essere coerenti con ciò che abbiamo fatto ci induce un cambiamento
mentale che supera le pressioni personali e interpersonali nello sforzo di essere coerenti con
quell’impegno.
Ad esempio gli scommettitori all’ippodromo sono più fiduciosi e sicuri nella scommessa fatta 30
secondi dopo aver puntato.
Il bisogno di coerenza è un fattore centrale nella motivazione del comportamento al punto tale da
essere usata come arma di influenzamento sociale.
L’essere coerente riscuote approvazione ancora più di essere nel giusto, questo perché chi è
coerente è considerato logico, razionale, stabile e onesto. Essere incoerente è considerato un tratto
di personalità negativo.
I vantaggi non indifferenti di questo comportamento possono far cadere nell’abitudine fino al punto
di mantenere la coerenza anche quando non è il caso di farlo.
Tuttavia essere coerenti ci fa risparmiare tempo perché ci evita di dovere pensare alle possibili
alternative, di dover decidere o fare. È sufficiente utilizzare il programma di coerenza e attenersi
alla decisione già presa.
Questo comportamento è difficile da bloccare soprattutto in un ambiente dove le complicazioni
quotidiane pretendono molto dalle nostre energie e dalle capacità mentali.
Però alle volte ciò che ci guida in un comportamento coerente non è solo il bisogno di evitare una
fatica cognitiva, ma le possibili conseguenze spiacevoli che una decisione sincera e pensata può
arrecarci. Essere ragionevoli ed evitare la coerenza può disturbarci perché ci fa rendere conto di
certe cose.
L’automatismo della coerenza serve come difesa al dover pensare, e alcune persone possono
sfruttare questo meccanismo approfittandone tanto che raramente ci accorgiamo i essere caduti
nella trappola.
LA CHIAVE È L’IMPEGNO PRESO.
Ciò che fa l’automatismo della coerenza è l’impegno preso. Se si riesce a far prendere un impegno ,
assumere una posizione o dire qualcosa in pubblico, si riuscirà anche a far prendere una condotta
automatica e coerente con l’impegno iniziale.
Alcune strategie sono tali da farci compromettere con un impegno iniziale. Si tratta di farci dire o
fare qualcosa di apparentemente innocuo che poi ci porterà per coerenza ad accettare richieste più
grosse.
Alcuni esempi riportano il modo di utilizzare questa tecnica di persuasione nei campi più svariati.
Le associazioni di beneficenza per ottenere sottoscrizioni telefoniche iniziavano a parlare al
telefono con domande sullo stato d’animo o sulla propria salute. Ad es. - Buonasera, signore, come
sta? - , - Buongiorno signora come si sente oggi?
La risposta che l’interlocutore cerca di estorcere, come - Bene -, - Mi sento benissimo grazie -,
serve a facilitare la persuasione delle vittime ad aiutare persone che non se la passano altrettanto
bene.
Cioè si viene indotto a sentirsi a disagio nel comportarsi da avaro dopo aver detto di stare bene.
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La contro prova di questo mezzo di persuasione viene dato da Daniel Howard che in un indagine
usò dapprima un approccio ordinario e dopo un approccio basato sulla precedente tecnica che fece
aumentare i consensi in modo evidente.
Howard fece un’altra indagine per escludere l’eventualità che l’approccio funzionasse perché dava
l’impressione di maggiore cordialità e cortesia. Stavolta chiese - Come si sente stasera?-, - Spero
che lei stia bene stasera?- .
Queste due, forse non proprio cortesi, forme di approccio ottennero soprattutto la prima una
condotta di assenso anche se per le vittime intervistate l’impegno preso doveva essere
inconseguente a una domanda superficiale.
Un’altra forma di persuasione usata nei campi di concentramento cinesi era meno violenta rispetto a
quella coreana e tedesca, tuttavia i prigionieri ne venivano influenzati collaborando con i loro
detentori. I cinesi basavano la loro persuasione sul meccanismo di coerenza con gli impegni presi.
Iniziavano dal principio con impegni così banali da non sembrare compromettenti come le
dichiarazioni anti-americane : Gli USA non sono perfetti... .
In seguito veniva chiesto di fare degli esempi concreti come elencare davanti ad altri prigionieri gli
esempi di imperfezione degli USA che precedentemente aveva scritto e firmato sotto richiesta del
nemico. In fondo erano le sue idee.
Usando queste dichiarazioni e propagandole negli altri campi di concentramento, il prigioniero
risultava essere un collaboratore e quest’ultimo consapevole di aver agito senza alcun obbligo in
quel modo si spingeva ancora di più alla collaborazione per sentirsi in armonia con il suo gesto.
Lo stesso metodo viene utilizzato dalle organizzazioni commerciali che lo usavano non per il
guadagno immediato ma per ottenere un impegno partendo dalla vendita di qualcosa molto piccolo.
Questa tecnica di partire con una richiesta piccola per fare impegnare e poi farla seguire da una più
grossa è detta Piede nella porta.
L’esperimento da cui Fredman e Fraser negli anni ’60 diede validità scientifica alla tecnica partiva
nel chiedere agli abitanti di un sobborgo della California, presentandosi come volontario della
compagnia per la sicurezza del traffico di installare nel prato un cartellone che copriva tutta la casa
con scritto in caratteri pessimi “GUIDATE CON PRUDENZA”. A dispetto degli altri abitanti della
zona che rifiutò la richiesta, il 76% degli abitanti del sobborgo accettò. Questo perché
precedentemente un altro volontario gli aveva chiesto di porre un adesivo (8x8) con scritto “guida
sicura” che di per se era insignificante ma che li aveva preparati ad essere più disponibili del
normale verso una richiesta enormemente maggiore.
Gli stessi autori provando su un altro campione di persone condussero un esp. Con una procedura
diversa.
Chiesero di firmare una petizione per salvaguardare le bellezze della California. Quasi tutti
firmarono perché su questo tipo di argomenti nessuno ha da ridire. Dopo due settimane un altro
gruppo volontario richiedeva di installare il cartellone riguardante la sicurezza stradale. Circa la
metà acconsentì, stupendo gli sperimentatori in quanto l’impegno precedentemente intrapreso non
riguardava la sicurezza stradale.
Fredman e Fraser trovarono la soluzione nel fatto che la firma della petizione dava l’effetto alle
persone di modificare l’immagine di se stessi. Quindi dopo la firma si sentivano pronti ad agire in
armonia con tali principi e quindi di mantenersi fedeli alla nuova immagine di sé.
La persona che si è impegnata può cambiare atteggiamento e diventare la persona che fa questo tipo
di cose, che acconsente alle richieste di sconosciuti o che collabora alle “buone cose”.
L’assenso a richieste seppur piccole e di poco conto oltre a renderci disponibili, ci rende inclini a
restituire favori più grossi e anche molto diversi da quelli precedentemente portati avanti.
Tale azione può avere la influenza sull’immagine di me stesso tanto che una volta modificata
l’immagine di noi stessi chi ne è l’autore ha delle armi a suo favore per trarne vantaggio.
Per ottenere questo effetto ci vogliono delle condizioni particolari.
L’ATTO MAGICO.
Per sapere ciò che la gente sente e crede, la fonte migliore sono gli atti.
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Questo i cinesi lo avevano preso in considerazione e sapevano che i prigionieri si basavano sul loro
stesso comportamento per decidere che tipo di persone sono.
Quindi obbligavano i prigionieri ad agire in modo desiderato sicuri che i prigionieri avrebbero
modificato l’immagine di sé per farla combaciare a quello che avevano fatto.
I cinesi facevano scrivere ai soldati catturati e se si rifiutavano li obbligavano a ricopiare la
domanda e la risposta su un quaderno. La modalità di scrivere offriva alcuni vantaggi in quanto era
la prova fisica che l’atto c’era stato, era una prova.
Un altro vantaggio era che la testimonianza scritta poteva essere mostrata ad altri per convincerli
che il testo rispecchiava le convinzioni dell’autore.
Come hanno dimostrato Edward Jones e James Harris le persone credono che la dichiarazione
rifletta il vero atteggiamento anche se chi l’ha fatta non si trovava nella condizione di poter
scegliere.
Quello che gli altri pensano di noi ha importanza nel determinare che cosa ne pensiamo noi stessi e
una volta assunto pubblicamente un certo impegno, l’immagine di sé si trova pressata, dall’interno,
perché collimi con gli atti compiuti e dall’esterno perché corrisponda alla percezione che gli altri
hanno di noi.
Anche altre organizzazioni commerciali hanno capito il valore del fatto di mettere qualcosa per
scritto. L’Amway ad esempio chiedeva ai suoi venditori di fissare un obbiettivo e metterlo per
iscritto. Quando l’avrebbero raggiunto, ne avrebbero fissato un altro ancora.
Il valore del mettere per iscritto è diventato utile alle aziende venditrici quando la legge che, a
difesa del consumatore dava la possibilità di annullare l’ordine entro 7 gg., aveva bloccato molte
ordinazioni fatte a mente fredda. La soluzione fu di far compilare il buono d’ordine al cliente invece
che al rappresentante.
Un’altra tecnica per sfruttare la magia del mettere per scritto è quella sfruttata da grandi aziende
come la General Foods che indicevano un concorso a premi in cui veniva chiesto di scrivere
“Perché mi piace...” e quindi comporre un breve scritto elogiando l’articolo. La prospettiva del
premio anche se remota stimola a partecipare attivamente e come accadeva per i prigionieri così chi
vi partecipa, in buona probabilità, si sentirà spinto a credere in ciò che ha scritto.
SOTTO GLI OCCHI DEL PUBBLICO.
Ogni volta che si assume una posizione in pubblico si è spinti a mantenerla per sembrare coerente
agli occhi degli altri e non risultare instabile, debole, confuso... . La persona è così vista sicura di sé
e fidata.
Un esempio lo riportano Morton Deutsch e Harold Gerard. Si chiede ai soggetti di valutare
mentalmente la lunghezza di due segmenti. In un gruppo si chiede un impegno pubblico scritto,
firmato e consegnato allo sperimentatore. All’altro gruppo la valutazione soggettiva viene scritta su
una lavagna e subito cancella, quindi un impegno privato.
Nel terzo gruppo non si chiede nessun impegno, lasciando ai soggetti solo il loro ricordo valutativo
a mente.
Ciò che si voleva vedere era in che caso c’era la massima fedeltà al giudizio iniziale, quindi
venivano forniti dati che indicavano che la prima valutazione era sbagliata.
Chi non si era compromesso, (terzo gruppo) si lasciava influenzare dai nuovi dati. Il secondo
gruppo aveva preso un impegno con se stesso anche se in circostanze anonime (lavagna cancellata)
e quindi il fatto di aver messo per iscritto li rendeva meno influenzabili.
Il primo gruppo era il più ostinato al cambiamento, la loro prima valutazione scritta e firmata li
rendeva refrattari.
L’effetto dell’impegno pubblico è evidente anche nelle giurie dove se viene chiesto di votare per
alzata di mano la loro posizione non risentirà di cambiamenti in quanto presa pubblicamente. Per
questo il presidente della giuria può ridurre il rischio di verdetti condizionanti assumendo uno
scrutinio segreto.
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Chi ricorre a un impegno pubblico sarà in grado di portare a termine il suo proposito al di là delle
difficoltà che può incontrare.
LO SFORZO IN PIÙ.
Gli impegni scritti sono così efficaci perché richiedono più sforzo. E più è lo sforzo richiesto
dall’impegno tanto maggiore sarà la sua influenza sugli atteggiamenti di chi se l’è assunto.
Le prove di iniziazione ne sono un esempio.
Gli antropologi Whiting, Kluckhon e Anthony hanno studiato questi riti tra i Thonga. Il maschio
fra i 10 e 16 anni deve passare un periodo della sua vita nella “scuola di circoncisione”. Dopo una
settimane di sevizie se però non hanno commesso infrazioni vengono accettati a pieno titolo.
Queste iniziazioni che avvengono per i Thonga nel “recinto dei misteri” assomigliano molto a
quelle che si tengono in alcune confraternite studentesche.
Queste sono:
- Percosse. Un giovane quattordicenne stette 3 mesi all’ospedale per lesioni interne procurate in una
cerimonia di
una confraternita studentesca. Doveva tenere le mani ferme sulla testa mentre i
compagni lo colpivano nello stomaco e sulla schiena.
- Esposizione al freddo. Un giovane lasciato in alta montagna in un bosco con una maglietta e
calzoncini doveva ritrovare la strada di ritorno. Cadde in un burrone rompendosi le ossa e
nell’impossibilità di proseguire morì di freddo.
- Sete. A due studenti venne dato solo cibo salato e bicchieri per bere la propria urina.
- Cibo disgustoso. Undici aspiranti confratelli dovettero ingerire tutto in un pezzo fette di fegato
crudo immerso nell’olio. Quello che non vi riuscì solo alla quarta volta, morì per in conseguenza di
una congestione.
- Punizioni. Una matricola colpevole di una mancanza dovette stare con i piedi sotto le gambe di
una sedia sulla quale vi sedeva il più grasso degli studenti anziani. Lo studente che non si lamento
ne usci con entrambi i piedi fratturati.
- Minacce di morte. Un iniziato portato in spiaggia dovette scavarsi la fossa e sdraiarvisi dentro. Le
pareti cedettero ed egli soffocò prima di essere liberato dai confratelli.
Questi riti nonostante fossero stati negati in diversi modi hanno resistito, tanto che in seguito a una
specie di codice, emanato dal rettore della University of Southern California, si scatenò una rivolta
tanto violenta che gli stessi poliziotti e vigili del fuoco si rifiutarono di entrare nel campus.
Le persone che fanno parte delle confraternite sono persone psicologicamente normali, socialmente
impegnate. Lo dimostra il fatto che si prestavano ad iniziative di pubblica utilità. Seppur contrari a
sostituire i servizi civici con i riti di iniziazione.
Il motivo di questa crudeltà portata avanti una volta l’anno per l’ammissione di nuove reclute può
essere ricavato da un esperimento del 1959 di Elliot Aronson e Judson Mills. Con l’esperimento si
voleva verificare che persone che sopportano molto disagio per raggiungere qualcosa ne hanno una
più alta considerazione rispetto a chi ha ottenuto la stessa cosa con minimo sforzo. Nell’esp. alcune
studentesse vennero sottoposte a cerimonie molto imbarazzanti per accedere a un seminario di
sessualità, dopo si convinsero che il gruppo e le discussioni fossero molto interessanti nonostante
che ai membri del rito di iniziazione fosse stato detto di comportarsi in modo insulso e
scoraggiante.
Altre studentesse che non avevano subito la cerimonia non si dimostravano così interessate al
gruppo di discussione.
Stessi risultati si ottennero con un’altra ricerca in cui si usavano però riti dolorosi invece che
imbarazzanti.
Alle studentesse veniva data una scossa elettrica che quanto più era prolungata tanto più si
convincevano della validità del seminario che dovevano seguire.
Diventa chiaro che i riti che devono subire i giovani Thonga servono per stimolare nei futuri
membri una più alta considerazione della società in cui entrano a far parte e ad accrescere il grado
di coesione del gruppo e delle sue probabilità di sopravvivere, ad essere leali e dediti al proprio
gruppo.
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Così anche i militari che subiscono le sofferenze e le angherie dei propri superiori considerano quel
periodo come una prova del fuoco dalla quale ne sono usciti più temprati e coraggiosi.
LA SCELTA INTERIORE.
L’immagine di sé e il comportamento futuro di una persona è massima quando l’impegno è attivo,
pubblico e faticoso.
Un particolare che si aggiunge al far funzionare l’efficacia di modificare l’immagine di sé riguarda
il fatto che il soggetto deve sentire suo, cioè che l’appartenga, quello che sta facendo o pensando,
senza possibili scuse. Per questo i cinesi anche potevano ottenere un impegno maggiore ma solo
momentaneo, con ricompense più grandi, si limitavano ad usare piccole ricompense. Volevano che i
soldati ci credessero.
La regola è che si riconosce la responsabilità interiore di un’azione quando questa è libera da forti
pressioni esterne ed è agita in libertà. Una grossa ricompensa è una pressione esterna, che non
sentendoci responsabili non ci farà mantenere una coerenza con quell’atto. Alla stregua è una forte
minaccia.
Questo vale anche nell’educazione dei bambini. Se vogliamo che questi siano convinti delle azioni
che vogliamo da loro senza usare punizioni minacce o premi e lusinghe allora dobbiamo fare in
modo che si sentano responsabili delle azioni che vogliamo da loro.
Jonathan Freedman fece un esperimento in questo senso cercando di impedire a dei bambini di
giocare con un robottino. Con un gruppo di 22 bambini li sottopose prima a una minaccia per
testare l’obbedienza temporanea. Da lì a poco 21 bambini su 22 , la sciati soli, non toccavano il
giocattolo. Però dopo sei settimane i bambini presi singolarmente e portati in una stanza con 5
giocattoli, vennero sottoposti a una prova di disegno e poi li si faceva giocare con i giocattoli. Il
77% sceglieva proprio il robottino proibito. Con un altro gruppo di 22 bambini (sempre maschi
della stessa età) lo sperimentatore non li sottoponeva a minaccia e prima di lasciare la stanza diceva
che “non va bene giocare con il robot”. Anche in questo caso solo 1 toccò il giocattolo. Sei
settimane dopo mentre l’assistente correggeva il test di disegno i bambini venivano lasciati liberi di
giocare. Questa volta benché gli altri giochi fossero più brutti o incompleti solo il 33% usò il robot.
Nel primo caso la grave minaccia era efficace finché c’era il rischio di essere colti ad usarlo, e cioè
equivaleva a dire che non era sbagliato giocare con il robot ma solo imprudente fin tanto che c’era il
pericolo.
Nel secondo caso i bambini erano portati a pensare che non volessero loro stessi giocare con il
robot, altrimenti tale comportamento non era spiegato da punizioni.
I vantaggi arrecati dal persuadere le persone attraverso un cambiamento interno sono molti: gli
effetti sono durevoli e si possono estendere anche a molte situazioni affini. In oltre l’impegno si
regge da solo senza dispendio ulteriore di energie perché è sufficiente il bisogno di coerenza. La
persona persuasa di auto alimenterà di quelle informazioni che gli serviranno per mantenere solido
il nuovo punto di vista. In questo modo anche se le ragioni iniziali spariscono, ci saranno sempre le
nuove ragioni a continuare a mantenere la coerenza.
Queste tecniche a seconda di chi le opera possono essere utilizzate per il male o per il bene.
Possono ad esempio stimolare il risparmio energetico.
Michael Pallak fece all’inizio dell’inverno delle interviste a famiglie con riscaldamento a metano
illustrando come risparmiare metano e invitandoli a risparmiare in futuro. Nonostante che tutti
acconsentirono, nessuno fece materialmente un risparmio.
Un’altra strategia consisteva, oltre alle solite raccomandazioni, a dare la possibilità di pubblicare il
proprio nome sul giornale come esempio di senso civico. L’effetto fu che il risparmio fosse in
media di 119 m3 a famiglia. L’esca, cioè la possibilità di veder il proprio nome, venne tolta con una
lettera che ne informava l’impossibilità. Paradossalmente nei mesi seguenti non solo il risparmio
continuò ma aumentò ulteriormente. Da una parte l’impegno promosso da un’azione esterna, cioè la
pubblicità sul giornale attraverso il proprio nome, generò altri puntelli, come la necessità di ridurre
la dipendenza del paese dalle fonti energetiche estere, le bollette meno care, la nuova immagine di
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sé e l’orgoglio e l’autostima. dall’altra a spiegare l’aumento del risparmio fu proprio l’aver tolto la
pubblicità in quanto pressione esterna rappresentante l’unico ostacolo a sentire la scelta come
personale.
COME DIRE DI NO.
Ralph Waldo Emerson disse che una sciocca coerenza è lo spauracchio delle piccole menti. Benché
la coerenza è positiva perché ci fa evitare di disperdere energie preziose, ne esiste una varietà
sciocca da evitare.
Esistono dei segnali che ci possono mettere sull’avviso. Il primo lo sentiamo alla bocca dello
stomaco quando ci sentiamo in trappola sul punto di accettare qualcosa.
Un modo per rifiutare la possibile offerta è quella di spiegare quello che stanno cercando di fare.
Purtroppo questo segnale, questa risposta emotiva è avvertita una frazione di sec. Prima che
possiamo tradurla in termini cognitivi e razionalizzarla. È dimostrato che le nostre emozioni
divergono dalle nostre convinzioni e quando una decisione ci può compromettere tanto da farci
razionalizzare a proprio favore ecco che la reazione emotiva è la migliore consigliera.
CAP IV. LA RIPROVA SOCIALE. La verità siamo noi.
Il principio della riprova sociale è una potente arma di persuasione che possiamo trovare espressa
ad esempio nell’allegria artificiale della tv. Molti programmi tv utilizzano scrosci di risa di pubblico
inesistente anche se per il telespettatore è ovvia la natura fasulla, tuttavia esercita su di esso una
grande influenza tanto da indurre gli spettatori a ridere più spesso e più a lungo e giudizi più
positivi sulle trasmissioni. Addirittura le battute di pessima qualità danno il risultato migliore.
L’efficacia di questo trucco risiede nel principio della riprova sociale, secondo il quale uno dei
mezzi che usiamo per decidere cos’è giusto è di cercare di scoprire quello che gli altri considerano
giusto. In particolare nella situazione in cui dobbiamo tenere un comportamento corretto. Vi è la
tendenza giudicata corretta a considerare adeguata un’azione quando la fanno anche gli altri.
Questo ci permette di commettere meno errori utilizzando una scorciatoia che però può essere
utilizzata per essere persuasi da profittatori.
Infatti il trucco delle risate approfitta del fatto che lo spettatore è così abituato a prendere le reazioni
divertite degli altri come prova che c’è effettivamente da ridere, cioè utilizza la nostra tendenza
automatica a reagire su base di prove parziali.
In altri campi come i baristi che mettono dei soldi nel piattino delle mance per dare l’impressione
che è sufficiente almeno una mancia di quel valore, oppure i venditori che dicono che molta gente
usa quel prodotto riscuotendo successo senza dimostrare la bontà. Allo stesso modo le
sottoscrizioni pubblicate con elenchi dei sottoscrittori funzionano perché se tanti altri hanno deciso
di dare qualcosa, dev’essere la cosa giusta da fare.
Albert Bandura ha applicato tale principio in terapie del comportamento dimostrando che è possibili
eliminare le fobie con una facilità impressionante. Ad esempio ai bambini che avevano paura dei
cani veniva fatto osservare per 20 min. al giorno un coetaneo che giocava con un cane. Dopo soli 4
gg. Il 67% dei bambini accettava di entrare in un recinto con un cane con il quale continuava a
giocare anche dopo che i coetanei erano usciti. Dopo un mese i bambini accettavano ancora di più il
contatto con i cani.
In un altro esperimento emerse che per ottenere l’effetto non è necessaria l’esibizione dal vivo ma
bastano anche dei filmati. In particolare quelli brevi in cui comparivano più bambini intenti a
giocare con i cani.
La riprova sociale funziona meglio quando è fornita da molte persone.
l’influenza potente dei filmati trovò applicazione, grazie a Robert O’Connor che si occupò
dell’inibizione sociale in età prescolastica, per quei bambini molto timidi che rimangono isolati da
attività dei gruppi di coetanei.
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Per cambiare la situazione di questi solitari fece guardare, in un campione di 4 scuole materne, un
filmato in cui un bambino dapprima guardava da lontano l’attività di un gruppo di coetanei e poi si
avvicinava ad essi per parteciparvi.
Il risultato di una procedura tanto semplice dopo sei settimane fu sorprendente, i bambini che non
avevano osservato il filmato di 23 min. rimanevano isolati, al contrario di quelli che vi assistettero
che erano addirittura i più attivi del gruppo.
L’efficacia di questo meccanismo è ancora più messo in luce da un esempio seguito da un
esperimento.
Il fatto che adepti si diano all’apostolato con fervore e accrescano l’interesse verso quei movimenti
religiosi e sette che profetizzano per una certa data l’avvento di un’era di redenzione e beatitudine
per i credenti, preceduta da un cataclisma apocalittico nonostante che non si avverassero mai tali
profezie e rischiando di cadere nel ridicolo.
Tre ricercatori, Leo Festinger, Henry Riecken e Stanley Schachter infiltratisi in una setta hanno
potuto descrivere il prima e il dopo della data della fine del mondo.
La setta composta da circa 30 adepti era guidata da un medico in un centro universitario che da
tempo si occupava di occultismo e dischi volanti, e una donna che era più al centro dell’attenzione
perché in quel periodo aveva ricevuto messaggi mediante scrittura automatica.
I messaggi dei due, rassomiglianti alla tradizione cristiana, incominciarono a prendere interesse
quando annunciarono una catastrofe imminente, un diluvio che avrebbe sommerso l’intero mondo.
Solo chi credeva nelle “lezioni” che i due impartivano si sarebbero salvati grazie a un disco volante
che li avrebbe tratti in salvo.
Le modalità di salvataggio erano dettate da alcune parole d’ordine quali: “Ho lasciato il cappello a
casa”, “Qual è la tua domanda?”, “Tutti i miei beni li porto con me”. Dovevano in oltre eliminare
dagli abiti gli oggetti metallici perché altrimenti pericolosi sull’astronave.
Nei preparativi vennero rilevati due aspetti particolari. L’estrema convinzione a compiere passi
definitivi come l’abbandono dell’università, del proprio impiego e i conflitti che, alcuni adepti,
dovettero affrontare nel lasciare la famiglia e ancora lo sbarazzarsi di cose di proprietà. Erano
persone convinte di possedere la verità la quale veniva rafforzata dopo ognuna di queste prove.
Il secondo era l’inattività manifestata con il non diffondere la profezia una volta che era stata,
inizialmente, resa pubblica la profezia. Si usarono parole d’ordine, le copie delle profezie in più
vennero bruciate, i cronisti interessati venivano respinti e ignorati per evitare la pubblicità. Quando
il medico universitario venne licenziato un giornalista insistente venne minacciato con un’azione
legale.
Quando venne il giorno gli adepti proseguirono con gli ultimi preparativi ripassando le battute e le
parole d’ordine in coro, mentre continuavano ad arrivare messaggi di un’estetista in trance.
Tutti portavano vestiti senza alcunché di metallico. Il fanatismo venne toccato quando a 25 min.
dalla mezzanotte uno dei ricercatori annunciò di non aver tolto la chiusura lampo dei suoi pantaloni.
Alla reazione di panico seguì l’azione del dottore che portò in fretta in camera da letto il ricercatore
e con le mani tremanti e guardando l’orologio diede due rasoiate tagliando la lampo e strappando i
gancetti con un paio di cesoie, venne quindi portato di fretta.
Passata la mezzanotte annunciata, nel silenzio e nell’attesa carica di tensione, dai rintocchi, gli
adepti caddero in una progressiva disperazione per il mancato avvenimento. Verso le 04.00 am la
donna-guida scoppiò in lacrime. Alcuni incominciarono a dare segno di delusione e di dubbio,
anche se il gruppo doveva restare unito per irradiare di luce tutti quelli che ne avevano bisogno.
Alle 5 meno un quarto due fatti furono risolutivi: la donna-guida cominciò a trascrivere un
messaggio che dava una spiegazione elegante di ciò che era avvenuto (per toglierli dagli impacci);
“Il piccolo gruppo, riunito solo per tutta la notte, aveva diffuso tanta luce che Dio aveva salvato il
mondo dalla distruzione”. La spiegazione che di per sé non bastò venne arricchita da un altro
evento per restaurare la fede. La donna ricevette un altro messaggio che ordinava di pubblicizzare
quella spiegazione, e subito dopo che ebbe fatto una telefonata a un giornale, gli adepti si misero a
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turno a chiamare stazioni radio, periodici nazionali per diffondere il mancato diluvio, diffondendo il
verbo rapidamente parlando anche di cose finora segretissime.
Ciò che aveva indotto queste persone a continuare nonostante fossero passate per ridicoli agli occhi
dei non credenti e a cambiare il loro pensiero sul diffondere il verbo fu il senso d’incertezza che
ebbero dopo il mancato diluvio. Se le predizioni erano sbagliate forse lo era anche il sistema di
credenze su cui poggiavano e dal momento che si erano spinti troppo oltre rinunciando a troppe
cose, non si potevano permettere di veder crollare le loro credenze. I costi economici e in termini di
immagine di sé sarebbero stati troppo grandi. Dato che l’unica forma di verità, quella fisica degli
eventi che non si erano verificati era stata messa in crisi, l’unica alternativa che potevano trovare
alla validità delle loro credenze era quella sociale. Questo spiega il precedente silenzio con la
successiva apertura. Se più gente, chi ignorava, chi era scettico, si convertiva allora le loro credenze
minacciate sarebbero diventate più vere. Il principio della riprova sociale ricorda come in questo
caso che: quanto maggiore è il n° di persone che trova giusta una qualunque idea, tanto più giusta
è quell’idea. Convincete e sarete convinti!
CAUSA DELLA MORTE : DUBBIO
Le armi di persuasione funzionano meglio in determinate situazioni invece che altre e sapere in che
condizioni siamo più esposti alla loro influenza è utile per difenderci.
- principio di riprova sociale: quando siamo dubbiosi e/o la situazione è ambigua è più facile che
guardiamo al comportamento altrui e lo prendiamo per buono. È però possibile che mentre
guardiamo gli altri per risolvere la nostra incertezza, questi stiano cercando qualche riprova sociale.
Ciò si produce quando in una situazione ambigua, la tendenza a stare a guardare per vedere cosa
fanno gli altri può causare un fenomeno di “ignoranza collettiva”.
Da uno studio di Bibb Latané e John Darley in seguito a un omicidio avvenuto a New York ai danni
di una giovane donna, al quale ben 38 onesti cittadini avevano assistito senza alzare un dito è
emerso che due ragioni spiegano il mancato intervento di questi cittadini.
Il primo è attribuibile alla responsabilità personale che si diluisce e mentre ognuno pensa che
qualcun altro intervenga o sia già intervenuto, nessuno fa nulla.
Il secondo motivo è fondato sul principio della riprova sociale. Molto spesso un caso di emergenza
non è immediatamente riconoscibile (dubbio). I colpi che si sentono dalla strada possono essere
spari come tubi di scappamento oppure la confusione che si sente può essere un aggressore o un
litigio rumoroso fra marito e moglie. In momenti d’incertezza come questi la tendenza è di guardare
gli altri per vedere come si comportano e capire se si tratta o meno di un’emergenza. Siccome in
pubblico a tutti piace apparire posati e tranquilli, lanciando una veloce occhiata in giro ci si
accorgerà che nessuno si scompone e s’interpreterà l’evento non come un caso di emergenza.
La conseguenza è che per la potenziale vittima in caso di emergenza non è sicura in mezzo ad altra
gente ma probabilmente quando c’è né solo una. Darley e Latané hanno verificato tale possibilità
inscenando con dei collaboratori casi d’emergenza. Uno studente con crisi epilettica veniva
soccorso dall’85% dei passanti se erano isolati, e da solo31% se erano presenti cinque persone. La
spiegazione dell’apatia e dell’indifferenza non regge. In un altro esperimento vennero introdotti due
complici con l’ordine di non intervenire. Quando veniva fatto passare del fumo sotto una porta il
755 dei passanti isolati dava l’allarme contro il 39% se i testimoni erano in tre e il 10% se nel
gruppo dei tre c’erano i due collaboratori passivi. In uno studio simile a Toronto, dal 90% di
intervenienti si scendeva al 16% se erano presenti altri due testimoni che rimanevano fermi.
Le conclusioni sono che non ci si trova di fronte a una società egoista e indifferente, la cosa cambia
nel momento in cui i fortuiti spettatori si trovino nell’incertezza di quello che sta avvenendo.
Dai dati che l’effetto di ignoranza collettiva ci da ricaviamo che le condizioni che tendono a ridurre
le probabilità di ricevere aiuto esistono normalmente, al di la che qualcuno ne abbia colpa, nelle
grandi città.
Nelle grandi città vigono delle caratteristiche tali da diminuire fortemente la probabilità di soccorso:
1. rispetto alla campagna, la città è un luogo più fragoroso, disgregante e mutevole, dov’è difficile
capire subito che cosa sta succedendo
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2. l’ambiente è più popolato e quindi è raro che all’episodio assista un testimone solo
3. in città gli abitanti si conoscono fra loro meno che in un paese e quindi è più facile che il gruppo
di spettatori sia formato da estranei.
QUALCHE PRECAUZIONE IN CASO DI NECESSITÀ
Il malcapitato consapevole che non è l’apatia che permette di non essere aiutato, ma l’incertezza e
l’ignoranza collettiva, sa che in caso di emergenza nessuna sua azione può richiamare l’attenzione
su di sé. Può dire Aiuto e questo potrebbe funzionare sempre che chi viene attirato dal grido non si
chieda che tipo di aiuto sia o se c’è bisogno di una persona qualificata. In base ai risultati trovati
con gli esperimenti la cosa migliore è di isolare una persona dalla folla e di chiederle di chiamare
un’ambulanza. Questa frase mette quella persona nel ruolo di “soccorritore”, sa che è un’emergenza
e che tocca a lui fare qualcosa. Questa richiesta sarà pronta ed efficace. Quindi la strategia è di
ridurre le incertezze degli astanti. E di richiamare l’attenzione di singole persone alle quali dare un
compito o un ruolo.
SIMILE CON SIMILE.
Un’altra forma di persuasione che funziona meglio in certe situazioni invece che altre e la
somiglianza. Come nel principio di riprova sociale ci lasciamo guidare dagli altri perché la loro
condotta ci suggerisce qual è il comportamento giusto da tenere, affidandoci alla guida di una
persona simile piuttosto che da una diversa.
Un esempio illustra come siamo guidati più da persone simili. In vari punti nel centro di Manhattan
furono abbandonati portafogli contenenti 2 $ e un assegno di 26 $ e contenuti in buste riportando un
indirizzo. Chi ne veniva in possesso trovava all’interno oltre che i soldi anche una lettera che faceva
chiaramente capire che il portafoglio era stato precedentemente trovato da un’altra persona e poi
nuovamente perso da quest’ultima. Il foglio poteva essere scritto in inglese corretto altre in inglese
approssimativo di un immigrato recentissimo. Dal momento che il buon esempio veniva da un
individuo simile ai cittadini o dissimile, perché immigrato, si voleva vedere se gli abitanti di
Manhattan si sarebbero lasciati influenzare di più dal comportamento di un modello simile o da
quello di un dissimile.
Il risultato fu che quando la lettera era di uno straniero solo il 33% dei portafogli veniva restituito,
contro il 70% di quelli che leggevano la lettera scritta in buon inglese.
Questo va a suffragare l’idea che noi usiamo le azioni degli altri per decidere quale comportamento
tenere soprattutto se queste sono simili a noi.
Anche i bambini presentano questa tendenza e il loro comportamento sarà molto più probabilmente
dettato da un coetaneo che si comporta in un certo modo che da una persona che non ha la sua età.
Ecco perché spesso ci troviamo di fronte a giovani ribelli di fronte ai rapporti con i propri genitori
ma non con i loro stessi coetanei.
Altri esempi illustrano quale impatto formidabile ha la condotta dei nostri simili ha sul
comportamento umano.
È statisticamente dimostrato che subito dopo certi suicidi che fanno notizia il n° di vittime di
incidenti aerei cresce del 1000%.
Una prima spiegazione potrebbe essere che le stesse condizioni sociali che causano i suicidi
possano anche indurre altre persone a reagire con un aumento di nervosismo, di insofferenza o di
disattenzione.
Un dato indica che l’aumento improvviso degli incidenti si verifica solo in quelle zone dove il
suicido ha avuto una grande risonanza ed in oltre c’è una correlazione tra lo spazio sulla stampa
dedicato alla notizia e l’entità dell’aumento degli incidenti.
Ma se le condizioni sociali non c’entrano, si può pensare a una spiegazione basata sul lutto. I suicidi
riguardano persone note la cui morte può portare a uno stato di turbamento molte persone e quindi
renderle più imprudenti e distratte. Però ancora non si spiega come mai quando la notizia parla di
suicidio senza altre vittime, gli incedenti successivi riguardano vittime isolate, mentre se c’è stato
un suicidio-omicidio gli incidenti riguardano più vittime.
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David Phillips spiga questi eventi con l’effetto Werther. Quando uscì il romanzo di Goethe che
narra del suicidio della giovane Werther suscitò un ondata di suicidi emulativi in Europa. Effetto
così potente che in diversi paesi le autorità vietarono la circolazione del libro.
Dalle notizie sul giornale, certe persone disturbate, quando leggono di un suicidio, dice Phillips, si
suicidano per imitazione. È una versione patologica del principio di riprova sociale. Queste persone
agiscono in base a come altre persone disturbate hanno agito.
I dati che il ricercatore ha ricavato da statistiche di suicidi dal ’47 al ’68. Nei due mesi successivi la
tragedia si hanno in media 58 casi di suicidio con una forte tendenza nelle zone del paesi dove è
avvenuto il primo suicidio e con una correlazione molto alta tra spazio dedicato sul quotidiano e n°
di suicidi imitativi.
Chi alla notizia di qualcuno che si è suicidato segue per imitazione tale soluzione , procede nel suo
intento senza troppe complicazioni andando ad arricchire le statistiche.
Altri che forse vogliono proteggere la propria reputazione, far riscuotere l’assicurazione ai propri
cari o risparmiare un dolore ai familiari, camuffano il proprio suicidio provocando un incidente
d’auto o d’aereo.
Questo spiegherebbe molti casi di incedenti strani. In più l’interpretazione di Phillips permette oltre
che spiegare fatti conosciuti, di predirne di nuovi. Infatti è stato dimostrato, sempre da Phillips, che
se è vero che le persone si vogliono togliere la vita dopo la “notizia” allora cercheranno di causare
un incidente il più terribile possibile in modo da avere conseguenze più terribili possibili.
Controllando i dati di incedenti aerei prima e dopo il suicidio, si è trovato che dopo la media delle
morti era triplicata. Stessa cosa per gli incidenti automobilistici in cui le morti istantanee, la
settimana seguente il suicidio, erano quattro volte più frequenti.
Seguendo il principio della riprova sociale, per tenere la condotta giusta seguiamo quello che fanno
gli altri, ma soprattutto chi è simile a noi. Quindi è giusto supporre che ci sia una qualche
somiglianza fra la vittima del suicidio iniziale e i responsabili dei successivi incidenti. Controllando
i dati delle statistiche si evince chiaramente che quando il suicida è giovane, le vittime per
imitazione che seguono sono anch’esse giovani così come lo sono se il suicida è anziano.
Una riflessione è diretta a quante persone innocenti siano coinvolte in queste imitazioni.
Phillips aggiunge che gli atti di aggressione ampiamente pubblicizzati hanno la tendenza ad
estendersi a vittime simili. Questo si evince quando subito dopo un incontro di boxe via etere, se chi
perde è un nero si registra nei gg. seguenti un aumento di vittime giovani di colore ma non di
bianchi, viceversa se chi muore è un giovane bianco aumenteranno gli omicidi di giovani bianchi
pur rimanendo invariato il n° di omicidi di giovani di colore.
Compreso questo effetto sarà più semplice capire quello del suicidio di massa di Jonestown, un
insediamento nella giungla della Guyana nel Sud America dove il Rev. Jim Jones aveva portato i
suoi adepti formanti la setta, nata a San Francisco nel 1977, del “Tempio del Popolo”. Quando
quattro membri di una commissione d’indagine inviata nell’insediamento furono uccisi mentre
cercavano di ripartire in aereo, il capo carismatico, per paura di essere arrestato, radunò i suoi
adepti, circa 910 persone di condizioni economiche povere, per un suicidio, per avvelenamento, di
massa in un atto di auto distruzione.
Il fatto che Jones fosse un capo carismatico, che gli adepti fossero senza istruzione disposti a
rinunciare alla libertà di pensiero e che qualcuno decidesse per loro e ancora l’aspetto fanatico
religioso della situazione erano dei fattori di rilievo.
Il fattore decisivo, fatto notare da Louis Jolyon West, affinché si creasse l’acquiescenza di massa,
era però lo spostamento della comunità dalla California nella Guyana, in un luogo dove vivevano
totalmente estraniati dal resto del mondo e in un paese ostile fra gente diversa per lingua e costume.
Siccome gli adepti si trovavano all’improvviso in un luogo sconosciuto dove non c’era niente che li
potesse ricollegare alle loro esperienze precedenti, l’incertezza servì a determinare l’imitazione
degli altri simili a loro, in questo caso a un loro membro cioè il loro capo carismatico.
L’incertezza è proprio la grande alleata del principio di riprova sociale.
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In oltre, l’incertezza nata sentendo l’ordine del suicidio li aveva spinti a guardarsi intorno per capire
quale condotta era da tenere e seguirono due segnali comportamentali. Quello del gruppo più
fanatico che andava sicuro ad assumere il veleno e che lo facesse spontaneamente o seguendo
l’esempio del capo l’effetto era comunque potente (riprova sociale). Il secondo era la reazione
della folla che guardandosi intorno non vedeva reazioni nelle altre persone incerte anch’esse, così si
comportava ordinatamente facendo la fila per assumere il veleno (ignoranza sociale). Ecco spiegata
la spettrale compostezza delle file dei cadaveri.
Il Rev. Jones pur essendo un capo carismatico era stato capace di influenzare un piccolo gruppo e
questo era quanto bastava per far diffondere tale influenza.
I capi più efficaci sono quelli che sanno predisporre condizioni di gruppo tali che il principio di
riprova sociale operi con la massima intensità e a loro favore.
COME DIRE DI NO
Due sono le situazioni in cui la riprova sociale ci consiglia male: quando i dati sono falsati da chi
vuole creare l’impressione che molte persone si comportino come vuole che ci comportiamo noi.
Per evitare di essere coinvolti in questo principio dobbiamo stare attenti quando la falsificazione è
così plateale.
In casi in cui invece il fenomeno di imitazione è scaturito da un errore innocente o naturale quale il
principio dell’ignoranza sociale, allora dobbiamo sapere perché rispondiamo alla riprova sociale.
Quando vediamo molte persone fare la stessa cosa pensiamo che queste sappiano qualcosa che noi
non sappiamo, molto spesso nessuna di loro sa qualcosa in più di noi perché anche loro stanno
imitando a loro volta altre persone.
In pratica mai fidarsi ciecamente delle fonti non provate, cioè stare sempre attenti in una situazione
dei fatti oggettivi, delle nostre esperienze, e dei nostri giudizi personali.
L’esempio fornito dal modo degli indiani di cacciare i bisonti è illuminante. Questi mammiferi
hanno due punti deboli: gli occhi laterali e il capo tenuto in giù quando corrono. Per gli indiani era
sufficiente spingere la mandria verso un baratro e i bisonti che, si muovevano in base al frastuono
dell’informazione circostante e ai movimenti del branco, facevano il resto uccidendosi nel dirupo.
La regola è di guardarci intorno ogni volta che la nostra condotto è regolata dal comportamento
della folla.
CAP V. SIMPATIA Il ladro che piace.
La regola semplice di acconsentire alle richieste delle persone che conosciamo e che ci piacciono
viene normalmente usata in molti modi da sconosciuti per indurci ad accettare le loro richieste.
Le sfruttamento commerciale di questa regola viene proposto attraverso il Tupperware party che
riassume le tecniche di persuasione. L’azienda interessata alla vendita di un suo prodotto concorda
con la padrona di casa che ricaverà percentuale sugli acquisti, per una vendita diretta. Mettendo la
casa a disposizione, invita il maggior numero di amiche ad una festa durante la quale una
dimostratrice cercherà di piazzare il prodotto.
Tutte le armi della persuasione sono impiegate: la reciprocità (giochi a premio per far sì che tutte le
partecipanti abbiano avuto un premio); l’impegno (tutte sono invitate a descrivere pubblicamente il
prodotto); riprova sociale (cominciati gli acquisti la conferma da parte del gruppo è automatica).
La vera forma di persuasione è nello sfruttamento della regola della simpatia che risiede in questo
caso nella padrona di casa nonché amica delle invitate. La pressione più vincolante proviene dalla
padrona che serve i pasticcini, intrattiene e sta in disparte mentre parla il dimostratore. Tutti sanno
che intasca una percentuale ed è per questo che comprano i prodotti, perché sono venduti non da
una sconosciuta, ma da un’amica che recluta tutti gli obblighi e legami inerenti al rapporto di
amicizia.
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Spesso è sufficiente al venditore di nominare l’amico della persona a cui si vende un prodotto per
poi venderlo. Si usa il metodo della “catena” con il quale ogni persona interessata al prodotto è
invitata a dare il nome di amici e conoscenti anch’essi interessati all’acquisto. Il venditore userà
l’arma dicendo al potenziale acquirente di essere stato indirizzato da un suo amico e a questo punto
sarà difficile allontanarlo, sarebbe come allontanare un amico.
In mancanza di un legame preesistente userà una strategia molto diretta, se vuole ottenere l’assenso
alle sue richieste farà di tutto per ispirare simpatia.
La ricerca nel campo sociale ha individuato alcuni fattori capaci di produrre una reazione di
simpatia.
BELLEZZA.
Sembra esserci una risposta automatica e non ragionata alla bellezza fisica. Questo evento è definito
effetto alone che si ha quando una singola caratteristica di una persona domina la percezione che gli
altri hanno di lei, l’aspetto fisico è una di queste caratteristiche.
L’equazione bellezza=bontà fa sì che si attribuiscano caratteristiche positive automaticamente a
persone di bell’aspetto come gentile, onesto, intelligente. Questo effetto può verificarsi nel
momento di un’assunzione del personale o nella preferenza ad eleggere un candidato invece che un
altro.
In campo giudiziario, gli imputati dopo la sentenza hanno ottenuto una pena molto più favorevole
rispetto agli altri fino ad avere la probabilità di evitare la detenzione.
Alcuni esperimenti hanno dimostrato che se l’imputato era più bello della vittima allora
quest’ultima era risarcita con un indennizzo di 5.623$ che diventava di 10.051$ se la vittima era più
bella dell’imputato. Questo favoritismo coinvolgeva anche i giuristi di entrambi i sessi.
Altri esperimenti hanno dimostrato che individui fisicamente attraenti hanno più probabilità di
essere aiutati in caso di bisogno anche da persone dello stesso sesso e risultano più persuasivi nel
cambiare le opinioni di un gruppo di ascoltatori.
Infine ricerche su bambini di scuola elementare, se hanno atteggiamenti aggressivi ma sono dei bei
bambini, gli adulti hanno danno un giudizio meno negativo e allo stesso modo tendono a supporre
un migliore livello di intelligenza.
SOMIGLIANZA
Un altro fattore è la somiglianza sia per quanto riguarda le opinioni che per i tratti di personalità che
per l’ambiente di provenienza o il modo di vita.
Chi vuole quindi ottenere la nostra simpatia per rispondere alle sue richieste deve cercare di
apparire più simile a noi.
Gli abiti sono un esempio. Le ricerche indicano che si tende ad aiutare di più chi veste come noi.
Un esperimento a proposito condotto in un campus negli anni in cui i giovani si dividevano in
hippie e straight consisteva nella richiesta di una monetina per telefonare da parte degli
sperimentatori, che vestivano in un modo e poi nell’altro. Se il modo di vestire collimava allora
ricevevano la moneta, altrimenti era negata il più delle volte.
Un altro modo per manipolare la somiglianza a proprio favore consiste nel dichiarare identità di
interessi, di origine e di ambiente. Ad es. i venditori d’auto mentre guardano l’auto usata del cliente
che ha da dare in permuta cercano indizi per costruire una qualche somiglianza con il cliente. Se
vedono che l’auto è stata comprata altrove fingono di essere nati o loro o la loro moglie in quella
stessa città.
Gli attuali tirocini per venditori consigliano spesso agli allievi l’approccio del tipo mirror and
match che consiste nell’imitare la postura, l’umore e lo stile verbale del potenziale cliente,
dimensioni queste che conducono a risultati positivi.
COMPLIMENTI
Spesso sotto forma di scoperta o di semplici dichiarazioni di affinità ci capita di sentire
apprezzamenti positivi da gente che vuole qualcosa da noi.
È stato dimostrato che abbiamo una reazione positiva così automatica ai complimenti che possiamo
facilmente essere vittime di chi se ne serve anche scopertamente per ottenere il nostro favore. Infatti
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se dei soggetti ricevevano da una persona che aveva bisogno di un favore giudizi alcuni positivi
altri negativi e altri ancora come combinazioni di critiche e lodi, i risultati erano che il giudizio
positivo rendeva la persona più simpatica, ma questo accadeva anche quando i soggetti capivano
perfettamente il tornaconto che questi aveva a ottenere la loro simpatia
CONTATTO E COOPERAZIONE.
Ciò che ci è familiare ci piace di più. Se abbiamo la possibilità di scegliere tra una foto del nostro
viso e sempre la stessa ma al rovescio, e diamo questa possibilità ad un amico, quest’ultimo
sceglierà la foto normale mentre noi quella al rovescio, e questo perché è quella che riconosciamo
come famigliare essendo l’immagine speculare l’unica che conosciamo.
La familiarità, che ha effetto sulla simpatia-antipatia, agisce in ogni tipo di decisione. E questo tipo
di risposta è spesso inconsapevole, ma influenzato dal n° di volte in cui in passato ne siamo stati
esposti, cioè a un maggior gradimento corrisponde maggiore influenza sociale.
Da qui l’idea di aumentare l’integrazione razziale attraverso una maggiore occasione di contatti
alla pari fra membri di gruppi etnici perché questi arrivino a piacersi di più.
Iniziando questo lavoro nelle scuole si sono ottenuti risultati opposti facendo accrescere il
pregiudizio i neri e bianchi.
La scuola non è purtroppo il luogo adatto per tale verifica, perché qui i bambini non agiscono
liberamente e continuano a unirsi per gruppi etnici.
In oltre contatti ripetuti non necessariamente producono reazioni positive e se l’esposizione
continua in condizioni spiacevoli non fa che accrescere l’antipatia; la classe scolastica accresce
proprio quest’antipatia.
Elliot Aronson descrive quello che in generale può accadere in tutte le scuole pubbliche:
L’insegnante sta in piedi davanti alla classe e fa una domanda. Sei, dieci bambini si agitano nel
banco alzando la mano, vogliosi di essere chiamati a dimostrare quanto sono bravi. Diversi altri
stanno fermissimi e distolgono gli occhi, sforzandosi di diventare invisibili. Quando l’insegnante
chiama a rispondere un bambino, si vedono espressioni di delusione sul volto di quelli che alzano
la mano, perché hanno perso un’occasione di ricevere l’approvazione dell’insegnante, e sollievo
sul viso di quegli altri che non sapevano la risposta... È un gioco ferocemente competitivo e la
posta in palio è alta, perché i bambini gareggiano per ottenere l’affetto e l’approvazione di un
adulto che ha grande importanza nella loro vita.
Non solo, ma questo procedimento garantisce che i bambini non imparino ad apprezzarsi e
comprendersi l’un l’altro. Cercate di ricordare la vostra esperienza a scuola. Se sapevate la
risposta giusta e l’insegnante interrogava qualcun altro, probabilmente speravate che sbagliasse,
in modo da avere un’altra possibilità di esibire le vostre cognizioni. Se chiamava voi e
rispondevate male, oppure non avete neppure alzato la mano per entrare in gara, probabilmente
sentivate invidia e risentimento per i compagni che sapevano la risposta giusta. I bambini che
falliscono in questo sistema sviluppano risentimento e gelosia per quelli che riescono,
disprezzandoli come “coccolini” dell’insegnante, o magari addirittura aggredendoli fisicamente
durante la ricreazione. Gli alunni più bravi, da parte loro, spesso guardano gli altri con disprezzo,
o considerandoli “stupidi”. Questo processo competitivo non incoraggia nessuno a guardare con
serenità e benevolenza ai suoi compagni.
Una soluzione alla formazione di rivalità nelle scuole viene portata da una ricerca pedagogica con il
concetto di “apprendimento cooperativo” che si basa su forme d ‘insegnamento basate sulla
cooperazione invece che sulla competizione.
AL CAMPEGGIO. Studiando il processo di cooperazione e conflitto nei gruppi, Muzafer Sherif
prese in considerazione una colonia estiva maschile. Per stimolare la malevolenza fu sufficiente
dividere i ragazzi in due baracche, dando un nome alle due baracche e gruppi (le Aquile, i Serpenti)
in modo dare una contrapposizione tra noi e loro e creare una rivalità. In oltre quando vennero
introdotte le attività competitive come la caccia al tesoro o il tiro alla fune le forme di ostilità
aumentarono con assalti alla baracca nemica e risse nella mensa.
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Per creare disarmonia era sufficiente dividere in gruppi e lasciare sviluppare l’odio con la
competizione.
Per creare cooperazione, gli sperimentatori, pensarono prima al metodo dei contatti, creando
situazioni come i picnic o le gite ma non servì. Quindi costruirono situazioni in cui la competizione
avrebbe danneggiato entrambi e solo la cooperazione sarebbe stata la soluzione. Così quando si
ruppe l’unico pullman, si mobilitarono tutti insieme per spingerlo, oppure facevano una colletta
comune per vedere un film a noleggio.
Quindi gli scopi comuni e la collaborazione indispensabile per realizzarli facevano superare la
competizione.
DI NUOVO A SCUOLA. Se questi risultati fossero stati introdotti nella situazione di
apprendimento dando uno spazio al lavoro di collaborazione forse si sarebbero sviluppati nuovi
rapporti di amicizia fra gli alunni di razza diversa.
Una sperimentazione di questo tipo è stata proposta da Elliot Aronson con la classe-mosaico: si
formavano i gruppi dando a ogni membro una parte del lavoro (tessera del mosaico) per superare la
prova. In questo modo gli alunni dovevano a turno istruire e assistere i compagni di squadra e
ognuno, per riuscire ha bisogno di ogni altro. In seguito all’utilizzo di questo metodo si sviluppò
una maggiore amicizia, miglioramento dell’autostima e dell’atteggiamento verso la scuola e un
minor pregiudizio razziale. Questo vale anche per gli alunni bianchi che comunque mantenevano un
rendimento pari a quello delle altre classi.
Il gruppo mosaico è una condizione in cui gli alunni sono costretti a rispettarsi per ottenere dei
risultati altrimenti sfavorevoli al loro profitto.
Le tecniche di apprendimento cooperativo si discostano dalla pratica tradizionale corrente e
possono essere accolte negativamente dall’insegnante perché ridimensionano il suo ruolo delegando
parte del lavoro didattico agli allievi.
La competizione non è del tutto dannosa, in quanto motiva condotte desiderabili e sviluppa il
concetto del sé.
In conclusione due punti sono evidenti: la familiarità prodotta da contatti frequenti di natura
spiacevole non portano simpatia ma esperienze sgradevoli. Secondo, l’apprendimento di gruppo è
un antidoto alla competizione e alla rivalità.
I professionisti della persuasione conoscono questi effetti e inventano situazioni per sfruttarli. Ad
esempio cercano espedienti per dimostrare che “stanno lavorando insieme a noi per...”.
un altro esempio e l’interrogatorio di polizia nel quale si utilizza il trucco “Poliziotto
Buono/Poliziotto Cattivo”. Il fermato, sospettato di rapine, viene portato in una stanza per essere
interrogato da due poliziotti.
Uno di questi farà la parte del Poliziotto Cattivo, l’altro quello buono. Il sospettato non fa in tempo
a mettersi a sedere che subito si prende di “figlio di una gran cagna” da parte del Poliziotto Cattivo.
Se il ragazzo rifiuta di rispondere, il P.C. tira calci alla sedia minacciandolo di fargli avere la max
pena. Il P.B. dice “calmati, Frank”. Il P.C.: “mi dici di calmarmi, amico?” P.B.: 2non te la prendere,
non vedi che è solo un ragazzino...” P.C. “un ragazzo? Non è che un dannato sacco di immondizia,
e ti dirò di più. È un maggiorenne, e questo è quanto mi basta per spedire le sue chiappe in una cella
così buia che dovranno usare una torcia per venire a cercarlo!” il P.B. rivolgendosi all’arrestato “è
una fortuna, Kenny, che tu non abbia ferito nessuno e che non fossi armato. Al processo ne terranno
conto”. Poi il P.B. dice al collega di andare a prendere tre caffè e ne approfitta per mettersi
totalmente dalla parte dell’accusato. “Okay, amico, mi sembra chiaro che tu non piaci al mio
collega, ed è vero che la Procura tratta duramente chi non collabora: ti aspetterebbero cinque anni di
galera. Io non voglio che ti succeda questo amico: se adesso ammetti a di aver fatto tu quella rapina,
prenderò a cuore il tuo caso e metterò un parola buona presso l’ufficio del Procuratore. Se ci
lavoriamo insieme, possiamo ridurre quei cinque anni a due, magari uno. Fai un favore a tutti e due
Kenny: dimmi cos’è successo e cerchiamo di uscirne fuori insieme da questa faccenda”. Spesso
finisce con una confessione.
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In questo caso il trucco funziona per varie ragioni. La minaccia di una pesante condanna agitata
subito dal Poliziotto Cattivo, il principio di contrasto percettivo, per cui in confronto a lui il
Poliziotto Buono sembra un angelo, la regola di reciprocità messa in moto dai suoi interventi a
favore del fermato. Infine l’idea di avere qualcuno dalla sua parte, una persona così è quasi sempre
vista con favore, ma in una situazione critica diventa facilmente un salvatore.
CONDIZIONAMENTO E ASSOCIAZIONE.
Le associazioni negative, nella nostra società, c’è le insegnano i nostri genitori ammonendoci nel
non giocare con certe persone invece che con altre.
Per le associazioni positive ci dobbiamo rivolgere ai professionisti della persuasione che cercano di
collegare se stessi o i loro prodotti alle cose che ci piacciono. Così le belle ragazze sono affiancate
al prodotto per prestargli i propri tratti positivi, bellezza e desiderabilità. Ad esempio nei giorni
precedenti la missione sulla Luna, qualunque cosa, dalle bevande ai deodoranti, veniva messa in
vendita con qualche allusione alle imprese spaziali. Idem nelle Olimpiadi in cui la gente viene
informata su quali sono i prodotti, sponsorizzanti, ufficiali. Collegare le celebrità ai prodotti
commerciali è un altro modo di utilizzare il principio di associazione.
Anche i politici usano l’efficacia dell’associazione per vincere le elezioni, la più acuta fra queste è
quella con il cibo. Ad esempio è tradizione che la Casa Bianca, quando vuole vincere le resistenze
dei parlamentari a una sua iniziativa, li inviti a colazione o pranzo, così come la raccolta di fondi
per le campagne elettorali avviene regolarmente in occasione di banchetti.
I vantaggi, fra cui la regola della reciprocità, sono stati scoperti (o per meglio dire importati) da
Gregory Razran negli anni ’30. Con la “tecnica dello spuntino” questo psicologo, che ha ricavato le
sue intuizioni dai lavori basati sul principio di associazione usato da Pavlov, ha dimostrato che i
soggetti sono più favorevoli alle persone e cose mentre stanno mangiando. Presentando delle
affermazioni politiche prima e dopo si è notato che quelle esposte con il cibo venivano giudicate
meglio anche se i soggetti non ricordavano quali avevano letto mentre stavano mangiando.
Dal classico esperimento sul condizionamento di Pavlov, Razran ha pensato che se le reazioni
normali al cibo oltre la salivazione anche una generalizzata piacevolezza si possono trasferire ad
altre cose attraverso il processo associativo allora è possibile condizionare una reazione positiva a
qualunque stimolo che venga associato al buon cibo.
Il principio d’associazione lo abbiamo chiaro e lo usiamo noi stessi, infatti facciamo il possibile per
evitare di trovarci nella pericolosa situazione del messaggero di sventura.
Chi capisce abbastanza bene il principio dell’associazione si comporterà probabilmente in modo
strano per cercare di associarsi ad eventi positivi e distanziarsi da quelli negativi anche se non è
stato la causa né di questi né di quelli.
Le reazioni dei tifosi di calcio a certi risultati delle partite sono spiegati dal tipo di relazione fra
tifoso e lo sport. Questa è una relazione di un rapporto serio, intenso e personalissimo. Il tifoso si
sente umiliato se la sua squadra perde, ma esaltato se invece vince. Come scrive Isaac Asimov “a
parità di condizioni, facciamo il tifo per il nostro sesso, la nostra cultura, la nostra città... e
vogliamo provare che noi siamo meglio dell’altro. Chiunque sia quello per cui facciamo il tifo, esso
rappresenta sempre noi, e quando vince siamo noi a vincere”.
Nella partita c’è in gioco l’immagine di sé. Per questo che la folla da un lato nutre una forte
adorazione per i suoi beniamini e per la stessa ragione una ferocia verso i giocatori e allenatori
coinvolti nelle sconfitte.
Secondo il principio dell’associazione, se possiamo circondarci di successi, anche se vi siamo legati
in maniera superficialissima, il nostro prestigio pubblico ne sarà accresciuto.
Il nostro legame con i vincitori e i perdenti lo manipoliamo intenzionalmente per presentarci sotto
la luce migliore e i modi per farlo sono a iniziare con i verbi “Abbiamo vinto!”, ma dopo una
sconfitta si usa la terza persona per marcare la distanza.
Dal momento che cerchiamo di brillare di luce riflessa, ricorreremo a questo metodo quando non ci
sentiremo troppo sicuri di noi stessi, ogni volta che la nostra immagine pubblica è danneggiata,
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sentiremo il bisogno di restaurarla esibendo i nostri legami con successi altrui e evitando di
mostrarci associati ai perdenti.
Proprio quando il nostro prestigio è a terra cerchiamo di brillare di luce riflessa.
Le persone che non cercano il prestigio nelle proprie realizzazioni hanno uno scarso valore
personale e questo li spinge ad associarsi alle realizzazioni degli altri. questi vanno dalla persona
che fa cadere nelle conversazione i nomi delle sue conoscenze alla ragazzina che corre dietro ai
complessi rock e concede con grande libertà i suoi favori sessuali in cambio del diritto di raccontare
alle sue amiche di essere stata una volta con quel cantante.
COME DIRE DI NO.
È inutile costruire una serie di contro tattiche per difenderci da chi cerca di usare contro di noi la
regola della simpatia. Questo perché i fattori che entrano in gioco nella simpatia ( come bellezza,
familiarità, associazione) agiscono inconsapevolmente. Abbiamo invece e quindi bisogno di un
metodo generale. Il segreto sta nei tempi, cioè bisogna lasciare che agiscano quei fattori di
influenza e concentrare l’attenzione sugli effetti che ne derivano anziché sulle cause, anche perché
il compito di riconoscere le cause è molto laborioso. Stare attenti alla sensazione che suscita in noi
una simpatia più rapida e profonda di quanto ci saremmo aspettati. Se sospettiamo che l’altro sta
usando una tattica allora dobbiamo aspettare che questa agisca e poi difenderci sfruttando la forza
in questa contro manovra.
Dopo una trattativa, ad esempio con un venditore, ci chiediamo “quest’individuo ha finito per
piacermi più di quanto avrei mai creduto?” Se la risposta è si, allora dobbiamo separare
mentalmente l’individuo che ci sta parlando con quello che ci vuole vendere. Certo che quando
siamo immersi nel contatto personale, diventa più difficile separare le due cose.
CAP VI. AUTORITÀ Deferenza guidata.
Stanley Milgram ha dimostrato, attraverso un esperimento, fino a che punto le persone si sarebbero
spinte ad infliggere punizioni dolorose a un innocente. Il soggetto impersonava la parte
dell’istruttore che era disposto, come risultato dall’esperimento, ad infliggere il max dolore anche
quando l’allievo, impersonato da un collaboratore istruito a fingere di gemere, gridava dal dolore.
Tutti e 40 i soggetti continuavano l’esperimento anche quando l’urlo dell’allievo era straziante.
Solo alcuni, dopo la scarica di 300 volt, la minoranza, smetteva quando udiva che chi gridava, non
avrebbe più risposto al test di memoria.
Milgram prima di iniziare chiese una previsione dell’andamento dell’esperimento a colleghi e
laureandi, dandogli una probabilità del 1%-2% di soggetti che sarebbero arrivati fino a 450 volt,
quindi il contrario di quanto è avvenuto.
Le ipotesi possibili hanno ottenuto una risposta contraddittoria.
Un esp. successivo ha dimostrato che il sesso era irrilevante nel mantenere la condotta sadica, così
come non era possibile che i soggetti non si rendessero conto del reale pericolo fisico della vittima,
anche quando questa si lamentava di problemi cardiaci.
Dopo che anche la possibilità che fosse stato reclutato involontariamente un gruppo di sadici venne
considerata come infondata, Milgram diede una spiegazione al fenomeno indicandolo come il
naturale senso di deferenza verso l’autorità che è radicato in noi. L’incapacità del soggetto a
contrastare l’ordine del “capo” che lo incita nel fare il suo dovere. I soggetti si rendevano conto che
stavano nuocendo alla vittima, pregavano il ricercatore di lasciarli smettere ma dando quest’ultimo
il suo rifiuto, continuavano protestando, tremando, sudando arrivando alcuni a crisi di riso nervoso.
Per fornire ulteriori prove, Milgram scambiò le parti del ricercatore (che ordinava di infliggere la
punizione) e della vittima (cioè il soggetto che fungeva da istruttore). Ora era il ricercatore a
chiedere di interrompere la prova per pietà verso l’allievo, mentre quest’ultimo insisteva
coraggiosamente per andare avanti. Il 100% dei soggetti (nella parte del ricercatore che impartiva
l’ordine) si rifiutò di somministrare anche una sola scarica se a chiederlo era solo il compagno.
Stesso risultato se il ricercatore (che prima impartiva l’ordine) ora fungeva da allievo legato alla
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sedia, mentre l’altro soggetto (collaboratore che fingeva il dolore) faceva la parte del ricercatore
impartendo l’ordine. Nessuno azionava la leva.
L’attenzione agli ordini dell’autorità e il fatto che non si trattava di soggetti sadici è dimostrata da
un esperimento in cui due ricercatori davano ordini contraddittori; uno di continuare nelle scariche,
l’altro di interrompere. Il soggetto non sapendo quale ordine eseguire, chiese di decidersi su un
unico ordine e poi, venendo meno alla possibilità di obbedire alla autorità, seguì il suo istinto
interrompendo l’esperimento.
Questo risultato fa emergere l’estrema disponibilità di persone adulte a seguire fino in fondo
l’ordine di un’autorità. Che applicato a un’altra forma di autorità, il governo, fa temere
conseguenze poco rassicuranti.
Lo studio di Milgram era nato per indagare sul motivo che spingeva tanti soldati nazisti a compiere
tali atrocità sotto il comando dei loro superiori, ma presto si accorse che non era necessario
spingersi fino agli ambienti germanici per trovare una tale riprova tanto che l’aveva trova già nel
New Haven.
Essere abituati all’obbedienza ci viene insegnato fin dalla nascita. Questo rientra nella cultura della
società umana permettendo in un sistema stratificato di rapporti d’autorità lo sviluppo di strutture
elaborate e complesse per la produzione, il commercio, la difesa, l’espansione e il controllo sociale.
L’alternativa anarchica non porta con se effetti benefici sui gruppi culturali. Anche la religione
indica nella disobbedienza all’autorità suprema la perdita del Paradiso per Adamo ed Eva.
D’altronde conformarsi agli ordini dell’autorità ha sempre portato a vantaggi perché queste
custodiscono un sapere superiore al nostro (vedi i nostri genitori) e questo e tanto logico per noi che
spesso facciamo determinate cose anche quando è assurdo. Il vantaggio e che una volta riconosciuta
l’autorità, eseguiamo un’azione senza preoccuparci di pensarci sopra credendo che sia la più
adeguata alla situazione.
Un’eccezione nella fiducia e nei vantaggi avuti dall’autorità è la medicina. Si ha una tendenza ad
accettare l’ordine del medico di famiglia e questo può essere superato solo da un medico di rango
superiore. Però spesso succede che gli ordini che vengono dai subordinati eseguiti senza pensare,
come una risposta automatica, si rivelano degli errori. Errori nella somministrazione dei medicinali.
I professionisti della persuasione utilizzano questa indiscussa riverenza che abbiamo verso
l’autorità che può essere ora una militare ora un medico e quindi ci somministrano prodotti
certificati dalla presenza di un attore-medico.
CONNOTAZIONE, NON CONTENUTO.
Come negli spot televisivi in cui si usano come fonte autorevole degli attori in veste di medico (o
dentista, o esperto in generale) che hanno la capacità di fornire un’autorità autentica, ma solo in
apparenza, altrettanto ci rendono vulnerabili ai simboli quanto alla sostanza dell’autorità.
Diversi sono i tipi di simboli ai quali rispondiamo automaticamente con un’acquiescenza.
TITOLI
Fra i simboli di autorità i titoli sono i più difficili da acquistare perché richiedono anni di impegno,
ma anche facili da acquistare perché chiunque può usare la semplice etichetta ottenendo le stesse
reazioni automatiche di influenzamento altrui.
Un esperimento è stato condotto per verificare se la posizione di autorità ha influenza sulla
percezione delle grandezze. In 5 classi universitarie veniva presentato un visitatore proveniente da
Cambriche e in ognuna quest’uomo aveva qualifica di studente, come addetto alle esercitazioni,
come lettore, come assistente e infine come professore. Quando si chiedeva agli studenti di valutare
la statura, questa cresceva di oltre 1 cm., cosicché da professore era più alto di 5 cm. che da
studente.
La distorsione che diamo in risposta al collegamento tra status e grandezza viene sfruttato dai
professionisti della truffa che anche se hanno una statura media o leggermente superiore mettono
scarpe rialzate.
Per verificare quanto fosse efficace il simbolo, in questo caso il titolo di dottore, un gruppo di
ricercatori formato da infermieri e medici che lavoravano presso tre ospedali del Midwest, volevano
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accertare se l’eccesso di acquiescenza da parte degli infermieri agli ordini dei medici fosse un caso
isolato e come si sarebbero comportate le infermiere in nel caso che l’ordine venisse da una voce
anonima di un sedicente dottore e se questo avesse prescritto una dose errata.
La telefonata, che andava contro la regola dell’ospedale, venne fatta in 22 reparti e nonostante che
la prescrizione fosse errata, che il medicinale non facesse parte del corredo farmacologico del
reparto e che l’ordine venisse da una persona che l’infermiera non aveva mai visto, il 95% delle
infermiere agivano automaticamente.
Questa ricerca dimostra che gli errori non si limitano a sviste di poco conto, ma a sbagli che
possono risultare pericolosi. La conclusione dei ricercatori è che le infermiere agli ordini dei medici
disattivino le loro competenze rispondendo automaticamente.
ABITI
Anche l’abito è altrettanto facile da falsificare.
L’uniforme è forse uno di quegli indumenti che genera più facilmente acquiescenza. Diversi
esperimenti lo hanno dimostrato, come quelli condotti da Leonard Bickman
Un uomo in uniforme fermava un passante e gli indicava un uomo fermo accanto al parchimetro 20
mt. più in là, dicendo: “vede quello là al parchimetro? Il tempo gli è già scaduto ma non ha più
spiccioli. Gli dia una monetina”.
Poi si allontanava girando l’angolo in modo da uscire dalla scena. Il potere dell’uniforme persisteva
anche quando se n‘era andato. Quasi tutti i passanti obbedivano se era in divisa, mentre meno della
metà acconsentiva se era in borghese.
Un altro tipo di abito, quello classico ben tagliato, tipico dell’uomo d’affari. Un esempio è
illuminante per molti altri.
Si tratta della truffa dell’ispettore bancario. Costui si presenta dalla vittima ben vestito
dichiarandosi un ispettore di banca e con il pretesto di un controllo, per alcune irregolarità che ha
riscontrato, confessandole che probabilmente si tratta di funzionario che falsifica i documenti,
chiede alla persona di andare a prelevare i soldi sul suo conto per cogliere il falsificatore con delle
prove. Spesso l’aspetto di queste persone sono così convincenti che la vittima non si accerta
neanche telefonicamente e va a fare il prelievo. Dopo l’ora di chiusura una finta guardia giurata
arriva per comunicare che il conto corrente non era di quelli manomessi, quindi l’ispettore
scusandosi e ringraziando fa riportare i soldi in cassa forte dalla guardia evitando così un ulteriore
giro alla vittima e mentre la guardia scappa con il denaro, l’ispettore rimane ancora un po’ a fare dei
convenevoli.
ORNAMENTI
I gioielli e le belle automobili come il vestiario possono rappresentare una forma più generica di
autorevolezza quando serve a scopi ornamentali.
Alcuni studi dimostrano che gli automobilisti in coda aspettano a suonare il clacson se li precede
una macchina bella o di lusso, mentre se era un’utilitaria o una economica non aspettavano e anzi la
tamponavano.
Un gruppo di studenti interpellati su cosa avrebbero fatto al loro posto dimostrò di sottovalutare
regolarmente il tempo che avrebbero aspettato prima di suonare il clacson all’auto che precedeva.
Questa particolarità di sottovalutare è simile a quella rilevata da Milgram. Il fatto che tutti
tendevano a sottovalutare l’influenza dell’autorità spiega forse parte della sua efficacia come
dispositivo per ottenere l’assenso. Agisce con forza e in maniera inattesa.
COME DIRE DI NO
Una manovra protettiva contro gli effetti dell’autorità è di togliere l’elemento-sorpresa.
Dato che normalmente non ci rendiamo conto di quanto sia profondo l’impatto che l’autorità e i
suoi simboli hanno sulle nostre azioni, una forma di difesa è una maggiore consapevolezza del
potere dell’autorità e dei suoi simboli.
Capire meglio come funziona il meccanismo di deferenza all’autorità dovrebbe servirci a resistergli
meglio.
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Dobbiamo concentrare la nostra attenzione su due elementi: le credenziali della persona e la loro
rilevanza rispetto al problema di discussione.
Tuttavia un’autorità che consideriamo un autentico esperto nel suo campo può presentarsi non
onestamente. Dobbiamo tenere conto della credibilità dell’individuo che ci parla, costui, se è un
professionista della persuasione, cercherà di ottenere la nostra fiducia dandoci l’impressione di
essere onesti e che malgrado qualche piccolo inconveniente della loro posizione non vogliono agire
nel loro interesse.
Un esempio dell’arma dell’autorità è portato dalla tecnica che Vincent, un cameriere, usa per
ottenere mance maggiori. Quando nel ristorante arrivavano gruppi superiori a 10 persone, Vincent,
indipendentemente da quello che il primo a ordinare aveva richiesto, si girava verso l’ufficio del
proprietario del ristorante e poi avvicinandosi al tavolo sussurrava “Ho paura che stasera questo
piatto non sia buono come al solito. Potrei suggerirle quest’altro, che oggi è eccellente” nominando
una pietanza che costava di meno.
In questo modo Vincent usava tre tecniche: la reciprocità (aiutava i clienti con le sue informazioni
preziose), l’autorità (si era presentato come quello che sapeva quali piatti erano buoni e quali no), la
tattica dell’argomentazione contraria (consigliò un piatto meno costoso, dando l’impressione di
avere a cuore l’interesse de clienti anziché il proprio).
Una volta che tutti avevano ordinato diceva “Molto bene: che ne direste se vi consigliassi uno o due
vini per accompagnare il pasto?” . Chiaramente tutti acconsentirono, è come se dicessero “ ” tu si
che sai ciò che è buono e ciò che non lo è qua dentro, hai dimostrato di stare dalla nostra parte, dicci
cosa dobbiamo ordinare “ ”.
I vini erano i più costosi e il dolce che poi ordinavano non era in programma per questi clienti.
In questo modo Vincent riusciva ad ammontare enormemente le sue mance.
CAP VII. SCARSITÀ La regola dei pochi.
Il principio di scarsità indica che le opportunità ci appaiono più desiderabili quando la loro
disponibilità è limitata.
L’idea di una perdita potenziale gioca un ruolo molto importante nei processi della decisione
umana.
I collezionisti di oggetti di ogni genere sono consapevoli dell’importanza che ha il principio di
scarsità nel determinare il valore di un articolo.
Ad esempio il fenomeno degli errori preziosi viene attentamente seguito, infatti i pezzi difettosi
(francobolli stampati male, monete con doppia impressione...) sono a volte i più preziosi e ricercati.
L’uso più diretto del principio di scarsità lo troviamo nella tattica del numero limitato, in cui i
clienti vengono avvertiti che le scorte di un certo prodotto sono in via di esaurimento.
Una tattica analoga è quella dell’offerta valida per pochi giorni. Si pone un limite di tempo oltre al
quale il cliente non potrà più avere quella merce o quel servizio. Il venditore pubblicizzando i limiti
di validità, stimola l’interesse che forse altrimenti non sarebbe mai esistito.
Una variante è la più preferita dai venditori perché pone il limite di tempo più ristretto alla
decisione da prendere: ora o mai più.
REATTANZA PSICOLOGICA
Il potere del principio di scarsità risiede in due fonti: la nostra inclinazione per le scorciatoie,
sapendo che le cose difficili da possedere sono di norma migliori di quelle facilmente accessibili,
possiamo velocemente basarci sulla rarità di un oggetto per stimare esattamente la qualità. Inoltre,
via via che le opportunità si restringono, noi perdiamo un certo margine di libertà d’azione e
perdere una libertà di cui già godiamo è qualcosa che non sopportiamo.
Jack Brehm spiega la risposta degli esseri umani alla perdita di controllo sulle proprie azioni e
scelte con il desiderio di mantenere le nostre prerogative consolidate, concetto che sta al centro
della teoria della reattanza psicologica.
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Ogni volta che la nostra libertà di scelta è limitata o minacciata, il bisogno di libertà ci porta a
desiderare molto più di prima. Allo stesso modo la scarsità (o qualunque altro fenomeno), quando
interferisce con la nostra libertà di accesso a qualcosa, reagiamo contro l’interferenza desiderando
più di prima e sforzandoci tanto più di prima per ottenerlo.
Questo desiderio di opporsi a qualunque impedimento alla propria libertà viene espresso in molti
campi dell’ambiente sociale.
La prima volta che compare questo desiderio si ha intorno al secondo anno di vita, periodo in cui il
bambino sviluppa un atteggiamento oppositivo.
Un esperimento condotto in Virginia in un gruppo di maschi (le femmine sembrano essere reattive
soprattutto alle restrizioni imposte da altre persone invece che da barriere fisiche) di 24 mesi coglie
bene questo comportamento.
I bambini introdotti in una stanza con la madre avevano di fronte due giocattoli posti l’uno davanti
all’altro e separati in un caso da una barriera trasparente alta 30 cm facilmente valicabile, nell’altro
caso da una barriera di 60 cm che richiedeva per forza di essere aggirata. Con lo schermo basso , 30
cm, che non costituiva un impedimento, i bambini non presentavano nessuna preferenza per l’uno o
l’altro giocattolo. Invece con quella di 60 cm. i bambini aggiravano subito l’ostacolo per
raggiungere per primo il giocattolo posteriore. Questo è la classica risposta che avviene intorno ai
due anni perché è il periodo in cui il bambino arriva per la prima volta a riconoscersi pienamente
come individuo e non più semplice prolungamento dell’ambiente. Sapere che può essere autonomo
lo porta a saggiare la libertà ed i suoi limiti ed in questo modo arrivano a capire dove possono
aspettarsi di esercitare un controllo e dove di subirlo.
Un’altra età che spicca è l’adolescenza, periodo di passaggio dal ruolo di bambini sotto controllo
genitoriale a quello di adulti con i loro diritti e doveri.
La pressione genitoriale sugli adolescenti provoca l’effetto “Giulietta e Romeo”. In una ricerca
condotta in Colorado su 140 coppie, l’opposizione dei genitori provocava per reazione un
rafforzamento del legame. E in funzione dell’interferenza genitoriale il legame sentimentale
diveniva più intenso per poi raffreddarsi quando anche l’interferenza diminuiva.
Quando ci viene tolta la possibilità di avere una certa cosa, la desideriamo di più, ma difficilmente,
ci rendiamo conto che è la risposta alla limitazione che ci viene imposta a causare questo aumento
del desiderio: tutto quello che sappiamo è che vogliamo quella cosa. Tuttavia, abbiamo bisogno di
giustificare questo nostro desiderio e così cominciamo ad attribuire qualità positive alla cosa
desiderata. Il fenomeno vale anche per le informazioni.
In un esperimento condotto alla Purdue University su un gruppo di studenti dei primi anni, veniva
presentata a tutti la pubblicità di un nuovo romanzo, accompagnata in metà dei casi dall’avviso
“solo per adulti”, vietato ai minori di 21 anni”. Interrogati su quello che pensavano del libro, gli
studenti hanno mostrato le solite reazioni che già conosciamo di fronte ad altri divieti: quelli che
sapevano del limite di età (1) desideravano più degli altri leggere il romanzo e (2) pensavano che gli
sarebbe piaciuto di più.
Quando si parla di censura si pensa generalmente a divieti sulla diffusione di materiale a contenuto
politico o sessuale, ma c’è un altro tipo di censura ufficiale che non consideriamo allo stesso modo
perché interviene a posteriori. Nel tribunale succede spesso che un elemento probatorio o una
testimonianza venga presentata, per essere subito dichiarata inammissibile. Non è l’informazione ad
essere messa al bando quanto il suo uso nella formulazione del giudizio. Non è possibile allora che,
nei giurati convinti di avere il diritto di considerare tutti i dati disponibili, le dichiarazioni di
inammissibilità producano una reazione contraria, inducendoli a tenere tanto più conto nella
sentenza?
Una ricerca su larga scala tende ad illustrare questi interrogativi. I soggetti formavano le “giurie
sperimentali”, prestavano all’epoca servizio come giurati in processi reali. Alla giuria sperimentale
si presentava la registrazione delle udienze di cause già discusse, su cui dovevano deliberare. Lo
studio dal punto di vista dell’effetto-censura riguarda un caso di lesioni colpose, presentato a trenta
diverse giurie, riguardante una donna investita da un automobilista. quando l’imputato dichiarava di
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essere assicurato per la responsabilità civile, i giurati assegnavano in media alla vittima un
indennizzo superiore di 4000 $ (37.000 contro 33.000). se il giudice dichiarava inammissibile
questa affermazione (e ordinava alla giura di non tenerne conto), si aveva un effetto-boomerang,
con una valutazione media del danno di 46.000 $. La notizia che l’automobilista era assicurato
produceva un aumento di 4000 $ nell’indennizzo, ma la stessa informazione, accompagnata
dall’ingiunzione a non tenerne conto in quanto inammissibile in dibattimento, aveva come risultato
un aumento più che triplo nella valutazione del danno.
La censura a posteriori dava come reazione il fatto di dare maggiore peso alla informazione messa
al bando.
Quindi sulla base del principio di scarsità, una qualunque informazione ci sembrerà più convincente
se pensiamo che non sia a disposizione di tutti.
L’idea che le informazioni esclusive siano anche più persuasive è centrale nel ragionamento di due
psicologi che hanno elaborato un’analisi del processo di persuasione basata sulle leggi di mercato,
Timothy Brock e Howard Fromkin. Un esperimento vaglia la teoria dei due psicologi. In
un’azienda, una ditta importatrice di carne, i clienti ricevevano come al solito la telefonata di un
venditore della sua ditta, che li invitava a fare l’ordinazione in uno di questi tre modi: una consueta
presentazione di assortimento e prezzi ; uno stesso messaggio, ma con l’aggiunta che nei prossimi
mesi l’approvvigionamento sarebbe stato scarso; un terzo gruppo fu precisato che questa notizia
non era di pubblico dominio, ma proveniva da certe fonti riservate della ditta. Nel terso gruppo il
principio di scarsità era raddoppiato.
La vera esplosione di vendite era avvenuta fra quelli che avevano avuto la notizia attraverso
informazioni “esclusive”: le ordinazioni erano 6 volte superiori al normale.
LE CONDIZIONI OTTIMALI
Anche il principio di scarsità è più efficace in certi momenti invece che altri e l’esperimento di
Stephen Worchel sarà illuminante: ai soggetti (nell’ambito di uno studio sulle preferenze dei
consumatori) veniva fatto assaggiare un cioccolatino. In metà dei casi il cioccolatino veniva preso
da barattoli che ne contenevano 10, nell’altra solo 2.
In base al principio di scarsità, il secondo giudizio era molto più positivo, il dolcetto era più
appetibile, costoso e attraente.
Una variante all’esperimento servì a rispondere alla domanda se consideriamo più prezioso cose
che stanno per finire o cose che fin dall’inizio erano scarse. L’esp. variava nel far vedere il barattolo
prima con 10 cioccolatini e poi quello con due. Il calo di n° produceva giudizi più positivi rispetto
al n° scarso fin dall’inizio.
Un’estrapolazione da questo esperimento è che, secondo gli studiosi di scienze sociali, la scarsità
dopo l’abbondanza è una causa primaria di violenze e agitazioni.
Sempre nella stessa variante dell’esperimento di Worchel, la sostituzione del barattolo pieno con il
vuoto avveniva in due modi: ad alcuni soggetti si diceva che c’era stato un sbaglio, ad altri si
spiegava che il barattolo con 10 cioccolatini serviva per altri soggetti. I risultati dimostrano che i
cioccolatini che scarseggiavano per effetto di esigenze altrui piacevano ancora di più degli altri.
questo perché la scarsità prodotta dalla pressione di una richiesta sociale li rendeva più preziosi di
tutti gli altri.
Non solo desideriamo di più una cosa quando scarseggia, ma la desideriamo più che mai se
dobbiamo competere per averla.
La sensazione di competere per assicurarsi una risorsa scarsa ha proprietà motivanti di grande
efficacia che vengono utilizzate dai venditori i quali conoscono il desiderio che può nascere
nell’accaparrarsi qualcosa di conteso.
COME DIRE DI NO
Stare attenti a trabocchetti dove c’è in gioco la scarsità è difficile perché la nostra normale reazione
alla scarsità è di ostacolo alla lucidità di pensiero, e ne l momento che l’eventualità della scarsità di
qualcosa entriamo in agitazione e in modo maggiore se c’è una competizione diretta con dei rivali.
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Le tattiche d’influenzamento mirano all’attivazione di questo meccanismo emotivo di reazione alla
scarsità che sospende l’analisi ragionata della situazione impedendoci di difenderci.
La contro tattica consiste nel cogliere quello stato di agitazione interna in qualunque situazione in
cui è messa in gioco una richiesta di assenso e usare la necessaria cautela.
Nell’esperimento dei cioccolatini, la scarsità stimolava il desiderio ma non il gusto buono ce questo
poteva avere.
Ciò significa che la gioia sta nel possesso dell’oggetto raro, non nel suo godimento.
Quindi in situazioni in cui ci sentiamo sotto pressione per la scarsità di un oggetto dobbiamo
chiederci cosa vogliamo: se lo vogliamo per il vantaggio economico, sociale o psicologico di
possedere qualcosa di raro allora la scarsità permette una stima adeguata del prezzo da pagare:
quanto più è raro, tanto più è prezioso. Spesso vogliamo una cosa per il suo valore d’uso. In questi
casi bisogna ricordare le cose rare non sono per questo migliori.
Se ci accorgiamo di tutti questi “sintomi” dobbiamo calmarci e riacquistare una visione razionale e
distaccata.
Se dobbiamo solo usare quella cosa e non semplicemente possederla, dobbiamo ricordare che scarsa
o abbondante che sia, funzionerà allo stesso modo.
EPILOGO
A differenza di qualunque specie animale, l’uomo ha una capacitò di elaborazione
dell’informazione superiore. Tuttavia deve talvolta rinunciare a un più elaborato e lungo processo
decisionale per sostituirlo con una più automatica e primitiva risposta basata su un solo elemento.
Alcuni di questi dati parziali a cui facciamo riferimento, come il contraccambio, la coerenza con gli
impegni presi, riprova sociale, simpatia, autorità, scarsità, sono una attendibile indicazione per
orientare la nostra risposta verso un si o un no. Il loro uso è tanto più probabile quanto più siamo in
condizioni di fretta, stress, incertezza, indifferenza, distrazione o affaticamento e allora tendiamo a
considerare solo una minore parte dell’informazione accessibile.
Il fatto che dobbiamo sempre più utilizzare schemi fissi d’azione, come quelli che ritroviamo negli
animali, è una conseguenza delle nostre azioni che stanno via via trasformando il nostro ambiente in
un complesso saturo di informazioni.
Oggi ci ritroviamo a vivere in un mondo dove la maggior parte dell’informazione risale a meno di
quindici anni prima. Le conoscenze sembrano raddoppiarsi nell’arco di otto anni.
Poiché l’evoluzione della tecnica è molto più rapida dell’evoluzione della specie, la nostra capacità
naturale di elaborare l’informazione rischia di diventare sempre più insufficiente a maneggiare il
sovraccarico di cambiamenti, scelte e novità della vita moderna. Sempre più spesso ci troveremo
nella posizione degli animali inferiori, dotati di un apparato mentale che non è attrezzato per far
fronte a tutto l’ambiente esterno, così ricco e intricato.
Noi abbiamo creato questa nostra insufficienza costruendo un mondo di una complessità
radicalmente maggiore.