STANISLAV PETROV, L`UOMO CHE DISSE NO

Transcript

STANISLAV PETROV, L`UOMO CHE DISSE NO
STANISLAV PETROV, L’UOMO CHE DISSE NO ALLA GUERRA ATOMICA
La Seconda Guerra Mondiale è stato un conflitto così cruento da impressionare tutti come mai
prima di allora. Nemmeno la Grande Guerra, che dal 1914 al 1918 aveva dato vita a un
coinvolgimento nei combattimenti di persone e Stati fino ad allora sconosciuto, aveva avuto la
forza di spaventare così tanto gli esseri umani riguardo alla potenza distruttiva delle armi usate in
modo tanto crudele ed esteso. Gli orrori della guerra iniziata nel 1939, e chiusa nel terribile agosto
del 1945 col lancio sul Giappone delle due bombe atomiche, hanno segnato il classico punto di
non ritorno nell’immaginario collettivo, persuadendo tutti quanti circa le terribili potenzialità delle
nuove armi e il conseguente, concreto rischio di autodistruzione a cui ormai andava incontro
l’umanità.
Il senso diffuso di terrore legato alla possibilità dello scoppio di un altro conflitto su scala mondiale
ha trovato una mirabile sintesi nelle parole di Albert Einstein, il quale affermò che un’eventuale
terza guerra mondiale avrebbe generato morte e distruzione tali da far si che la Quarta Guerra
Mondiale sarebbe stata combattuta con clave e pietre. Le paure per una guerra atomica non erano
comunque infondate, considerando le tensioni che per decenni hanno accompagnato i rapporti fra
le due superpotenze mondiali, Stati Uniti e Unione Sovietica. I momenti delicati non sono stati
pochi, e paradossalmente è stata proprio la consapevolezza delle capacità distruttive delle armi a
disposizione a fungere da deterrente contro il verificarsi di una guerra che sarebbe stata
catastrofica. Ma nonostante questa consapevolezza, il senso di terrore non ha mai abbandonato
coloro che hanno popolato il Ventesimo Secolo, persone di tutto il mondo nei cui occhi erano
scolpite le immagini indelebili del “fungo atomico” che travolse Hiroshima e Nagasaki. Tra i
momenti di crisi fra USA e URSS, ce n’è uno passato sotto silenzio, datato 26 settembre 1983: è il
giorno in cui il rischio di un bombardamento missilistico fra americani e sovietici è stato davvero a
un passo dal verificarsi, e non si è concretizzato solo grazie al sangue freddo di Stanislav
Evgrafovich Petrov, Tenente Colonnello in servizio al bunker Serpukhov-15, vicino Mosca.
L’ufficiale russo, 44 anni all’epoca dei fatti, aveva il compito di controllare il satellite e riferire ai
superiori eventuali rischi di attacchi nucleari contro l’URSS. Poco dopo la mezzanotte, il computer
che Petrov controllava segnalò che un missile, lanciato dalla base di Montana, era in viaggio verso
il territorio sovietico: il Tenente Colonnello reputò inverosimile un attacco americano così esiguo,
ma quando il satellite segnalò che erano stati scagliati altri 4 missili statunitensi, Petrov si trovò di
fronte a un dilemma di immensa importanza: avrebbe dovuto avvertire i propri superiori che,
probabilmente, avrebbero dato il via a una massiccia controffensiva missilistica con conseguenze
terrificanti? O sarebbe dovuto venir meno al proprio dovere e rischiare che il proprio Paese
venisse attaccato senza la possibilità di difendersi? Fidandosi unicamente del proprio istinto,
Petrov decise di non dare l’allarme, reputando improbabile un attacco americano con soli 5 missili,
ed evitò una possibile guerra nucleare che avrebbe avuto conseguenze apocalittiche, andando
incontro al rischio che l’Unione Sovietica (nel caso in cui le sue supposizioni fossero state errate)
potesse subire un attacco letale, e che, nella migliore delle ipotesi, i propri superiori lo avrebbero
redarguito, ponendo fine alla sua carriera, se non avessero deciso addirittura di portarlo davanti
alla corte marziale.
Alla fine l’intuizione di Petrov si rivelò esatta, poiché il falso allarme era stato la conseguenza di
una strana congiunzione astronomica. Il rischio di un attacco americano era tutt’altro che remoto,
considerando anche il fatto che solo tre settimane prima i russi avevano abbattuto un aereo
passeggeri coreano che volava al di fuori dello spazio aereo consentito, uccidendo 269 persone,
tra cui diversi cittadini statunitensi.
Ma Petrov non si fece condizionare, ed evitò quella che sarebbe stata probabilmente la più
sanguinosa battaglia di sempre. Tuttavia l’umanità in cerca di miti sempre più effimeri lo ha
dimenticato, anzi non lo ha forse mai conosciuto. La vicenda che lo ha visto protagonista è emersa
solo sul finire degli anni ’90, l’esercito russo lo ha nel frattempo costretto alle dimissioni, e lui vive
tuttora in condizioni di quasi povertà a Fryazino, uno sperduto villaggio non lontano da Mosca.
L’unico riconoscimento concessogli è stato un assegno di mille dollari americani rilasciatogli
dall’Associazione Cittadini del Mondo, a San Francisco, nel maggio 2004. Premio per nulla
adeguato, quasi beffardo, per chi, con la sua scelta, ha salvato milioni di vite.
Ferdinando Morabito