INDICE - Mistero Grande

Transcript

INDICE - Mistero Grande
INDICE
INDICE .............................................................................................................................1
INTRODUZIONE ............................................................................................................3
CAPITOLO 1 ...................................................................................................................5
RIFLESSIONI SUL MATRIMONIO CRISTIANO
1.1 La rottura originaria dell’unione uomo – donna ...................................................5
1.2 La mistica nuziale nella storia dei padri, dei dottori e dei santi della Chiesa ......6
1.3 Il Concilio di Trento e la formulazione “canonica” del matrimonio sacramento ............................................................................................................9
1.4 Breve excursus storico sul matrimonio, dalle prime comunità al
Concilio Tridentino ..............................................................................................15
CAPITOLO 2 .................................................................................................................23
L’EROS, LA PHILIA, IL PHATOS, L’AMORE - AGAPE
2.1 L’amore umano, in ogni manifestazione embrionale, incoerente, incompiuta,
è come una pianta che ha radici in Dio, cresce sano e robusto nutrendosi della
Sua luce................................................................................................................23
2.2 L’amore coniugale donativo, punto più alto e completo dell’amore umano...... 24
2.3 Avete mai visto il film di Roberto Benigni: La tigre e la neve?..........................33
2.4 L’educazione all’amore, sfida dei tempi...............................................................36
2.5 Il matrimonio fondamento naturale (e soprannaturale) della famiglia, la
famiglia fondamento della società civile.............................................................40
CAPITOLO 3...................................................................................................................44
NON SEPARARSI DALL’AMORE DI DIO
3.1 Una rinnovata pastorale per pastori e greggi dai cuori teneri .............................44
CONCLUSIONI..............................................................................................................53
BIBLIOGRAFIA.............................................................................................................59
1
2
INTRODUZIONE
“…Insaziabile come morte è amore…le sue vampe sono vampe di fuoco…”
(Cantico dei Cantici 8, 6)
Inizieremo facendo nota (chissà quanti prima di noi) che la parola MORTE contiene le
stesse lettere di AMORE, solo la T e la A, scambiandosi, le differenziano inequivocabilmente.
Nulla è più difficile per l'essere umano della comprensione ed accettazione della morte,
ma tale problema si pone normalmente, quanto drammaticamente, allorché una persona
molto vicina e / o particolarmente cara viene a mancare.
Un'inchiesta a campione sui coniugi (ed anche i figli) che affrontano, o semplicemente
subiscono la separazione coniugale, ha evidenziato che la fine della relazione è percepita come una frattura irreparabile, per taluni un vero e proprio lutto.
Tuttavia mentre per molti l'elaborazione arriva, almeno apparentemente, ad un qualche
approdo, un superamento della crisi o la sua rimozione, per altri si tratta manifestamente di una cicatrice che non cessa di riaprirsi e sanguinare, anno dopo anno, per lustri e
decenni.
A volte sarà la presenza dei figli ad accentuare, ma comunque, in generale, resterà presente e più o meno evidente un senso di "incompiutezza".
3
4
CAPITOLO 1
RIFLESSIONI SUL MATRIMONIO CRISTIANO
1.1 La rottura originaria dell’unione uomo – donna
La questione “coniugale” con tutti i suoi sviluppi, non ultimi quelli giuridici e sentimentali, ha evidenti origini primordiali.
In effetti l’episodio dell’origine e caduta della prima coppia cela un grande mistero,
mistero d’amore e parafrasando Paolo, anche d’iniquità (Cfr. 2 Tes 2,7).
Tutto è inizialmente fomentato da una tentazione orgogliosa e superba innescata da un
agente pervertitore, che usa Eva come ponte verso il suo compagno. La cosa potrebbe
avere numerose analogie rispetto a quanto avviene nella persona, allorché la tentazione
a commettere qualcosa di “adulterato”, sinonimo di contraffatto, corrotto, non genuino,
non giunge casuale, colpisce ordinariamente il lato passionale ed emotivo. Il desiderio
diventa allora, usando il linguaggio della tradizione cristiana ma anche della filosofia
classica, concupiscenza, una fiamma cupida, un’oscura brama che pervade, conquista,
plagia, senza alcuna violenza esteriore, sviluppando un’irresistibile suggestione.
Alla fine la ragione è “catturata”, asservita, cessa il discernimento, abdica al suo ruolo di
regia, cede alla seduzione, ed avendo la capacità razionale una sua specifica, non può
restare “neutrale”, da ufficiale di grado elevato quale è, esperto nel comando, dirige le
operazioni da fronte avverso, usando a fini impropri, le arti e la scienza, virtù caratteriali innate ed acquisite. All’inizio, del resto, la cosa non sembra essere affatto contro qualcosa o qualcuno, si presenta come un miglioramento, anzi un elevamento, materiale,
morale…perfino divino. Non è “contro” e neppure sembra venire da “fuori”, perché a
suggerire è la voce gentile e familiare del nostro cuore.
All’atto di giustificarsi davanti a Dio, la prima coppia manifesta accuse reciproche che
ricordano, per chi ne ha diretta conoscenza, quanto concerne un dibattimento processuale di separazione, una turbolenta psicoterapia di coppia o di mediazione familiare.
Nel capitolo della Genesi si consuma la contemporanea duplice rottura della perfetta
comunione tra Dio e l’umanità, tra l’uomo e la donna, prima dell’odio omicida fraterno
tra Caino ed Abele. Il “prima” potrebbe e dovrebbe essere inteso ontologicamente, oltre
che cronologicamente.
5
Per questo il legame, il coniugio, che si instaura tra l’uomo e donna potrebbe acquistare,
in qualche modo, già nelle prime pagine della rivelazione, una specificità ed un’importanza superlativi, si potrebbe azzardare, senza comparazione con altri legami di “sangue”
o di qualsiasi altro genere. Ad esempio tra genitori e figli, tra fratelli e parenti di vario
grado, tra amici e conoscenti a diverso titolo.
La questione non si esaurisce alle prime righe della Scrittura, se è vero che lo stesso
Davide peccò contro la verità e fu addirittura omicida, trascinato proprio dalla passione
adulterina.
Ma fu per mezzo del suo sincero pentimento che noi conosciamo il “miserere”, il salmo
50-51.
Questo non lo libererà dalle pene che coinvolgeranno proprio la sua famiglia, a partire
dalla morte del bimbo nato dell’adulterio. Certamente Davide eleva il suo spirito ad
altezze vertiginose, ma quasi unicamente per la grandezza del suo sincero amore per Dio,
nella lacerante comprensione del proprio miserabile peccato.
Da qui possiamo constatare che la Misericordia di Dio, da sempre, non ha misura,
sovrabbonda la Sua giustizia, senza per questo cessare di essere Dio veramente giusto,
misurandoci con la stessa misura con cui noi misuriamo Lui, gli altri e noi stessi (Mt.7,
2 e Lev. 6, 37)
1.2 La mistica nuziale nella storia dei padri, dei dottori e dei santi della Chiesa
Dopo la nascita della Chiesa molti padri si cimenteranno nel commento al Cantico dei
Cantici, altri si ispireranno alle vicissitudini coniugali emblematiche del profeta Osea,
come altri testi del Primo Testamento: Amos 3, 2 ; Geremia 2, 2 e 3, 1-13; Ezechiele 16
e 23; Isaia 49, 14-21; 54, 1-10 e 62, 3-5.
Già con l’ebraismo, intorno al VI secolo a.C., pare circolasse un commento sul “Cantico”
attribuito nientemeno che a Salomone. Spinelli afferma e premetto che in larga misura
condivido1:
“…Crediamo che l’interpretazione odierna dovrebbe seguire soprattutto due direttrici, peraltro non del tutto nuove alla tradizione. Una è la scoperta del rapporto profondo, vitale, tra Dio e tutta l’umanità, oltre la visione confessionale. L’altra è la
___________________
1 Cfr. M. SPINELLI, Commento del Cantico dei Cantici di Guglielmo di Saint Thierry, introduzione, Città Nuova, Roma, 2002.
6
valorizzazione della sessualità, del rapporto fisico ed affettivo fra uomo e donna, del
piacere e della gioia inerenti all’esperienza amorosa della coppia in tutte le espressioni di reciproca donazione e comune ricerca della felicità. Non si tratta di superare interpretazioni tradizionali ma di arricchirle con una lettura più attenta il Cantico
in questo modo potrebbe affacciarsi sul terzo millennio cristiano veramente come il
“cantico dell’amore totale”, cioè umano – divino, fisico – spirituale, coniugale –
sacramentale”2
In ambito cristiano, orientale ed occidentale, avremo un numero impressionante di “commenti al Cantico”: Ippolito di Roma, Origene, Girolamo, Gregorio di Nissa, Filone di
Carpasia, Nilo di Ancira, Tedoreto di Cira, Teodoro di Mopsuestia, Cirillo d’Alessandria,
Metodio d’Olimpio, Massimo il Confessore, Ambrogio di Milano, Gregorio Magno,
Beda il Venerabile. Ci dice sempre Mario Spinelli che resta molto interessante un trattato di Gregorio d’Elvira (IV secolo), autore del Tractatus de epithalamio, ancora lo
Spinelli (Cfr. pag.12): “…che alle risonanze origeniane ed ippolitiane aggiungono un
elemento interessante, senz’altro minoritario in tutta la storia dell’esegesi del Cantico…
il tema del sacramento coniugale e la correlata valorizzazione dell’amore sessuale ed
umano”!
Del Medioevo monastico, cito solo Guglielmo di Saint Thierry, amico di San Bernardo
da Chiaravalle, come lo stesso fondatore dell’ordine cistercense, che con percorsi originali, continuano ad esplorare il mistero dell’amore nuziale.
Dopo di essi, la questione esplode con il comparire degli ordini mendicanti, dei terz’ordini secolari, delle confraternite. Facciamo breve cenno, necessariamente, a Dante che
pare appartenesse ad una confraternita di derivazione francescana: “I Fedeli d’Amore”,
di questi, è evidente la metafora celata dietro “amor cortese”, tra i gemiti della passione
per la donna agognata e l’animo umano in cerca, e più ancor cercato, dall’amore divino3.
Si può ben dire che la mistica cristiana (in questo periodo anche islamica ed ebraica), per
antonomasia sia sempre “nuziale”, benché i suoi rappresentanti, ufficiali e conosciuti,
resteranno dei religiosi, salvo notevoli eccezioni.
Ad esempio S. Brigida di Svezia (1303-1373), compatrona d’Europa, che ai 25 anni del
suo matrimonio, di comune accordo con il marito, con i figli adulti, cosa a quel tempo
possibile, entrarono l’uno nei cistercensi e l’altra riuscì addirittura a fondare l’Ordine del
SS. Salvatore4.
Ancora la sublime S. Caterina di Genova, ovvero Caterina Fieschi in Adorno (Genova, 5
____________________
2 Cfr. M. SPINELLI, cit., pp. 14, 15.
3 Cfr. L. VALLI, Il linguaggio segreto di Dante e dei «Fedeli d’Amore», Luni Editrice,
Milano, 1994.
4 Cfr. A. BORRELLI da www.santiebeati.it.
7
aprile 1447 –15 settembre 1510), di cui nulla si saprebbe, se altri non avessero scritto
contro il suo volere. Il suo “Trattato sul Purgatorio5” opera riconosciuta teologicamente
perfetta, comprova la personale esperienza di purificazione alla fiamma dell’amore divino. La sua attività esteriore era evidentemente sostenuta da un’intima vita contemplativa, ancor più segreta e riservata, dei gravosi impegni familiari e caritativi.
Pensiamo infine a Teresa d’Avila e soprattutto a San Giovanni della Croce, in piena “controriforma”, a come nelle loro opere la passione umana e l’amore sponsale, sono “trasfigurati” totalmente in un amore “divino - umano ”, dello Sposo celeste che attira a sé la
sposa terrena.
Ma fin qui non abbiamo detto nulla di nuovo, solo malamente rielaborato quanto è sinteticamente e perfettamente enunciato dalla dottrina della Chiesa Cattolica, (Libreria
Editrice Vaticana, 2003) come si evince al n.1602:
La Sacra Scrittura si apre con la creazione dell’uomo e della donna ad immagine e
somiglianza di Dio [Cfr. Gen. 1,26-27] e si chiude con la visione delle “nozze
dell’Agnello” (Ap. 19,7; Ap. 19,9). Da un capo all’altro la Scrittura parla del
Matrimonio e del suo “mistero”, della sua istituzione e del senso che Dio gli ha dato,
della sua origine e del suo fine, delle sue diverse realizzazioni lungo tutta la storia
della salvezza, delle sue difficoltà derivate dal peccato e del suo rinnovamento “nel
Signore” (1 Cor. 7,39), nella Nuova Alleanza di Cristo e della Chiesa [Cfr. Ef. 5,3132]
Certamente la scolastica o forse più corretto dire una certa neo scolastica, rifacendosi
rigidamente al pensiero di Tommaso d’Aquino, proprio per contrastare, le derive irrazionali di una certa teologia “protestante”, potrebbe aver ecceduto in una certa diffidenza sul
primato dell’amore rispetto quello della conoscenza, un’opposizione tra sentimentalismo
e ragione od in altri termini tra devozione emotiva e visione razionale, a scapito della
relazione coniugale, “madre” delle relazioni, immagine e segno “forte”, pregnante, di
massima attrazione e distinzione, che rimanda al mistero della relazione tra la creatura ed
il suo Creatore e tra Cristo e la Chiesa.
E questo non ha certo potuto non lasciare tracce sulla mentalità, come si preferisce, sulla
“psicologia”, dell’uomo di chiesa, chierico o laico che fosse, determinare l’approccio
pastorale nel corso dei decenni, dei secoli.
Su tale aspetto teologico, a prima vista “controverso” è stato recentemente Benedetto
XVI ad intervenire autorevolmente, prendendo a spunto due santi del Medioevo.
Di conseguenza, san Tommaso e san Bonaventura definiscono in modo diverso la
destinazione ultima dell’uomo, la sua piena felicità: per san Tommaso il fine supre______________________
5 Città Nuova, Roma, 2004.
8
mo, al quale si dirige il nostro desiderio è: vedere Dio. In questo semplice atto del
vedere Dio trovano soluzione tutti i problemi: siamo felici, nient’altro è necessario.
Per san Bonaventura il destino ultimo dell’uomo è invece: amare Dio, l’incontrarsi
ed unirsi del suo e del nostro amore. Questa è per lui la definizione più adeguata
della nostra felicità.
In tale linea, potremmo anche dire che la categoria più alta per san Tommaso è il
vero, mentre per san Bonaventura è il bene. Sarebbe sbagliato vedere in queste
due risposte una contraddizione. Per ambedue il vero è anche il bene, ed il bene è
anche il vero; vedere Dio è amare ed amare è vedere. Si tratta quindi di accenti
diversi di una visione fondamentalmente comune. Ambedue gli accenti hanno formato tradizioni diverse e spiritualità diverse e così hanno mostrato la fecondità
della fede, una nella diversità delle sue espressioni6.
1.3 Il Concilio di Trento e la formulazione “canonica” del matrimonio - sacramento
E’ inequivocabile, per noi cristiani, non solo cattolici, quanto Gesù afferma nei Vangeli,
sull’unità indissolubile, la sacralità del rapporto nuziale.
Il Concilio di Trento (1545-63), agli albori dell’era moderna, conferma che è Cristo ad
elevare a sacramento il matrimonio.
In verità si tratta dei Decreti del Concilio che portano a perfezionare nei dettagli la forma
canonica. Va precisato anche, secondo vari autori, S.E. Card.Tettamanzi, il Barberi ed il
Tura, che è con il Sinodo di Verona (fine ott. - inizio nov. 1184) che per la prima volta è
stato applicato al matrimonio il termine di “sacramento”7. Ma c’è anche una possibile
data precedente, nel Sinodo di Chartres, per bocca di Ildeberto di Lavardin, nel 1124 d.C.
(Ligier, - Il matrimonio - Questioni teologiche e pastorali -, Roma, Città Nuova Editrice,
1988, p.50). Nel concilio di Trento abbiamo una codificazione che evidentemente risente del contrasto con quelle idee e pratiche avviate dalla Riforma, il linguaggio non è certamente propositivo, esortativo e pastorale ma definitorio e rigoroso. Lutero e Calvino
negavano, del resto, la sacramentalità del matrimonio, considerandolo una realtà secolare, ed aprendo le porte alla competenza pressoché esclusiva dell’autorità legislativa degli
Stati, per quanto superficialmente ed in certi casi pretestuosamente questo poteva prendere spunto dalle pratiche delle prime comunità cristiane. Dalla negazione del sacramen______________________
6 Udienza generale del 17 marzo 2010, in http://www.ratzingerbenedettoxvi.com/udienze.htm
7 Cfr. P. BARBIERI E D. TETTAMANZI, Matrimonio e famiglia nel magistero della chiesa, Massimo,
Milano, 1986, p.16; E.R.. TURA, “Il sacramento del matrimonio: storia e teologia, e Il matrimonio e la famiglia”, in Messaggero di S. Antonio, Padova, 4/1989 (52), pp. 56 - 57.
9
to derivano, anche se per via indiretta, non la negazione del principio ma molte delle
eccezioni da impugnare sulle proprietà essenziali della fedeltà, indissolubilità ed unità.
Difficile in un simile impianto teologico pensare e credere il matrimonio come una realtà santa e santificabile.
Attraverso il corso “Itinerario biennale di formazione per fidanzati, sposi, operatori di
pastorale” di p. Antonio Santoro, tenuto presso l’Oasi di Cana di Palermo ricaviamo alcuni canoni del Concilio tridentino, sicuramente interessanti per entrare pienamente nelle
questioni sollevate8.
Introduzione del Decreto (Denzinger 1799):
Lo stesso Cristo, che ha istituito e perfezionato i santi sacramenti, con la sua passione ci ha meritato la grazia per perfezionare quell’amore naturale, per confermarne
l’indissolubile unità e santificare gli sposi. E’ ciò che Paolo apostolo lascia intendere, quando dice: “E voi mariti amate le vostre mogli come Cristo ha amato la Chiesa
e ha dato se stesso per lei” ( Ef. 5, 25); aggiungendo poco dopo: “Questo mistero è
grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa” (Ef. 5, 32).
Ed al canone 1 leggiamo:
Se qualcuno dirà che il matrimonio non è in senso vero e proprio uno dei sette sacramenti della legge evangelica, istituito da Cristo, ma che è stato inventato dagli uomini nella Chiesa, e non conferisce la grazia, sia anatema.” (Denz. 1801). Chi dirà che
è lecito ai cristiani avere contemporaneamente più mogli e che ciò non è proibito da
alcuna legge divina (Cfr. Mt. 19, 9), sia anatema. (Denz. 1802).
Al Can. 5:
Se qualcuno dirà che il vincolo matrimoniale può essere sciolto per eresia, per coabitazione difficile o per l’assenza esagerata del coniuge, sia anatema.” (Denz. 1805).
Al Can. 7:
Se qualcuno dirà che la Chiesa sbaglia quando ha insegnato e insegna, secondo la
dottrina del Vangelo e degli apostoli (Cfr. Mt. 5,32; 19, 9; Mc. 10, 11s. ; Lc. 16, 18;
1Cor. 7, 11), che il vincolo del matrimonio non può essere sciolto per l’adulterio di
uno dei coniugi; che nessuno dei due, nemmeno l’innocente, che non ha dato motivo all’adulterio, può contrarre un altro matrimonio, vivente l’altro coniuge; che
commette adulterio il marito che, cacciata l’adultera, ne sposi un’altra, e la moglie
che, cacciato l’adultero, ne sposi un altro, sia anatema. (Denz.1807).
Tra le questioni conciliari da approfondire, c’era anche la diffusione di quei matrimoni
detti “clandestini”, in quanto realizzati senza pubblicità civile ed ecclesiale, che potevano contenere impedimenti alla vita coniugale cristiana.
Ora la questione è di capire se qualcosa della sostanza era mutato dalle Chiesa primitiva
e medioevale ad allora, e poi fino ad oggi.
La prima risposta che viene da dare, oltre il mutare di mentalità, che medesima restava la
“materia” del sacramento dell’amore: il libero consenso alla donazione reciproca, nella fedeltà ed indissolubilità. La pari dignità nella distinzione, non astratta uguaglianza, liberi entram______________________
8 Da H. DEZINGER, Enchiridion Symbolorum, (a cura di), Peter Hünermann, Dehoniane,
Bologna, 1995.
10
bi i coniugi, ben oltre la schiavitù della … legge, di ogni legge, di donarsi senza misura.
Questa la novità del sacramento nuziale cristiano su cui, occorre ripetersi, in linea di principio né le comunità della riforma, né le chiese orientali o d’Africa hanno nulla da eccepire; il problema nasce sul come considerare il dato incontestabile del fallimento, della
voragine che si delinea tra “ideale” evangelico e miseria umana. Più precisamente cosa
deve fare la Chiesa, la comunità?
Ad esempio limitarsi ad esortare e proclamare, in un certo qual modo, dei consigli di
perfezione, sul matrimonio come per la vita religiosa, dove evidentemente tuttavia non
possono essere intesi alla lettera la castità, l’obbedienza e la povertà.
Od intervenire normativamente, laddove la parola evangelica è palesemente elusa, non
solo nelle mura di un convento, per i diaconi, i presbiteri od i vescovi, ma per qualunque
battezzato, nubile, celibe o coniugato, ogni donna od uomo che divenuto sacerdote per se
stesso, con i sacramenti dell’iniziazione cristiana, liberamente restando nella comunità, è
chiamato ad essere con essa solidale.
Appartenendo ad un solo Corpo, ogni membro deve essere in comunione con l’altro
membro, così come tutto il Corpo con il Suo Capo, poiché non vi è in questo alcuna differenza nel popolo di Cristo che, “… ha formato di noi un regno di sacerdoti per il Suo
Dio e Padre” (Cfr. Ap. 1,6).
Esiste certamente un modo casto, obbediente e povero di vivere il matrimonio, e non stiamo parlando né della Sacra Famiglia, troppo lontana da noi, nello spazio e nel tempo,
neppure dei coniugi Quattrocchi o Martin a noi relativamente più vicini, ma a milioni di
coppie, anche singoli padri o madri di famiglia, malgrado le difficoltà opposte dal coniuge, perfino la separazione subita dolorosamente (come il servo di Dio Francesco Paolo,
1800-1854), per lo più anonimi, sconosciuti al mondo, da sempre e per sempre presenti
allo sguardo divino. Davanti al Signore il lavapiatti od il costruttore di cattedrale è equivalente, non è preziosa l’opera in sé stessa, anche perché ognuno fruttifica non da se stesso o
per se stesso, ma per i talenti ricevuti, ciò che conta è l’amore con cui l’opera è compiuta.
Certamente la vita di coppia, le vicissitudini familiari, portano una maggiore distrazione,
essendo molto più coinvolti dalle cose del mondo. Non è una vita soggetta a “regole”
scritte, in qualche modo preservata da abiti o forme esteriori, ha difficoltà centuplicate a
vivere la quotidianità con poche protezioni e molte più tentazioni. Don Tonino Bello in
una sua famosa omelia ci mostra che esiste da duemila anni una Chiesa del grembiule,
autenticamente evangelica:
“Allora Gesù si alzò da tavola, depose le vesti, si cinse un asciugatoio e si mise a
11
servire” (Giovanni 13, 4.5)…. Il grembiule …è l’unico paramento sacerdotale registrato nel Vangelo. Il quale Vangelo, per la messa solenne celebrata da Gesù nella
notte del giovedì santo, non parla né di casule né di amitti, né di stole né di piviali.
Parla solo di un panno rozzo che il Maestro si cinse ai fianchi con un gesto squisitamente sacerdotale.[…] La cosa più importante, comunque, non è introdurre il
“grembiule” nell’armadio dei “paramenti sacri”, ma comprendere che la stola e il
grembiule sono quasi il diritto e il rovescio di un unico simbolo sacerdotale. Anzi,
meglio ancora, sono come l’altezza la larghezza di un unico panno di servizio: il servizio reso a Dio e quello offerto al prossimo9.
C’è un assoluto silenzio evangelico di Giuseppe e pochissime parole di Maria, immersi
nei loro compiti familiari e di lavoro. Anche qui si può comprendere molta teologia,
senza altro aggiungere.
Dalla riservatezza, nella silenziosa meditazione dei segni operati dallo Spirito Santo e
da Gesù stesso, si può arrivare ad intuire cosa custodisce nel suo intimo segreto la vita
familiare vissuta sanamente e santamente. E’ il rinnovarsi della nascita, della protezione, la dispensa di ogni cura e nutrimento del Verbo, della Parola Eterna che prende
forma umana, e non si separa da noi malgrado l’ascesa ai Cieli, rimane presente per
l’azione dello Spirito Santo in ogni mistero sacramentale, prendendo stabile dimora, in
noi, con noi.
«Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20)
L’uomo ereditando il peccato originale, sovrapponendovi il proprio attuale e personale,
non riesce che con grande difficoltà a vivere in comunione. Nella quotidiana agitazione,
non di meno nella vita familiare e coniugale, cambia spesso e velocemente umori, interessi, opinione, nel boom epocale della comunicazione virtuale, il male del secolo è sempre più “l’incomunicabilità” delle relazioni umane.
Certamente è sempre meno opinabile che il degrado nella stabilità nei rapporti coniugali e familiari abbia delle gravi ripercussioni sociali, indipendentemente dagli aspetti religiosi. Oggi forse occorre obbiettivamente fare i conti con una particolare rinnovata
“durezza” dei cuori.
Una mentalità che già non vuol sentir parlare di peccato, ritiene in larga misura un progresso e non un fallimento, una caduta con disastrose conseguenza, quella situazione di continuo sdoppiamento schizofrenico della personalità, a partire dal concepire ed intrattenere le
relazioni con il prossimo, in primis quelle familiari. Laddove emerge chiara la contraddizione, in quanto si pensa, si dice e si fa continuamente cose poco allineate tra loro, disarmoniche si potrebbe dire, prendendo in prestito il gergo musicale ovvero disordinate.
______________________
9 Cfr. T. BELLO, La Chiesa del Grembiule, San Paolo Edizioni, 2001.
12
Ci vantiamo e non ci vergogniamo più di mancare in ciò che è la rettitudine.
Il matrimonio, aldilà dei propositi e dei proclami è ormai definitivamente stato confinato ad aspetti contrattuali e sentimentali, al “calcolo” ed all’interesse. Certo non si deve
intendere “interesse” come nella società pre-consumista, in senso esclusivamente economico o di status. Eppure la virulenza di questo aspetto nelle separazioni - divorzi dimostrerebbe che la cosa è tutt’altro che irrilevante o passata in secondo piano, proprio come
al tempo dei matrimoni combinati tra famiglie d’origine, con scarso valore delle volontà
degli interessati, soprattutto donne.
A questi si aggiungono altri interessi di natura solo apparentemente meno venali.
Principalmente l’attrazione fisica, come una certa affettività, che segue l’iniziale (vera o
presunta) affinità sentimentale e-o caratteriale. Certo che dove ieri decidevano le famiglie d’origine, oggi potrebbe farlo un computer, sovrapponendo e confrontando pseudo
scientificamente calcoli ed astrazioni virtuali, o magari seguendo un’idonea combinazione astrale. Ma evidentemente nel caso di un genitore che “impone”, ed un oroscopo che
“propone” il partner, c’è di mezzo l’illusione (forse solo questo) di aver fatto nel secondo caso una scelta libera da “condizionamenti”.
Quando viene a mancare la volontà di proseguire la vita in comune, quasi sempre per
decisione ed insistenza di una sola parte, noi annotiamo che purtroppo viene reciso, con
troppa facilità, qualcosa che richiederebbe almeno l’attenzione che si darebbe ai nostri
cari animali domestici.
Non si abbandona un cane, il bastardo sei tu! Dice una pubblicità assai nota. E viene da
dire: neppure un coniuge, i figli! Come dicono gli animalisti, convengo, stare con una
cane, un canarino, perfino un pesce rosso, non è solo questione di passione, occorre scegliere, è un atto di volontà che deve sicuramente andare oltre l’umore del primo giorno,
conservare energia e motivazioni nei tanti momenti in cui la fatica dell’accudire e del
dedicarsi supera le soddisfazioni della dolce compagnia di chi hai preso in casa con te,
che vuol dire precisamente addomesticato.
Ci sostiene “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry:
“… disse la volpe. “Ecco il mio segreto. E’ molto semplice: non si vede bene che
col cuore. L’essenziale e’ invisibile agli occhi”…” Gli uomini hanno dimenticato
questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre
di quello che hai addomesticato10.
Diciamo che occorrerebbe un perseverante lavoro di cure, ricucitura che veramente
______________________
10 Cfr. cap.XXI - Bompiani, 2000.
13
difenda tutti gli interessi delle parti, tenendo i sentimenti, divenuti dopo la rottura, troppo spesso odiosi risentimenti, al posto che compete, senza contare la presenza dei figli,
spesso infanti o minori. Al contrario per questo “contratto” si denoterebbero, meno tutele ed attenzioni, pur previste ed osservate con cura in altri casi. Questa è l’impressione,
valutazione certamente di parte, che ricorre continuamente negli incontri con separati o
divorziati, anche non credenti o non cristiani, quanti non hanno accettato di buon grado
la situazione di “messa in liquidazione” della propria famiglia, come trattasi di una società a “responsabilità limitata”, con pratiche e ripercussioni minime rispetto altri tipi di
“società”. Le sorti di un minore è a volte deciso in pochissimi minuti di dibattimento.
Con parametri astrusi si può in ancor meno tempo sanzionare l’impoverimento di un
genitore e la sua esclusione dalla relazione con i figli. Aldilà della percezione teologica
della realtà coniugale, alcuni vorrebbero che si considerasse nel “luogo comune”, nel
costume, prima che nella legge, la famiglia quale società a responsabilità illimitata.
Dunque estremamente curata, investita di attenzioni massime e permanenti. Per un cristiano, aspetto non trascurabile, l’unità, la fedeltà o l’indissolubilità non dovrebbero essere mai dei “vincoli” giuridici, generici “valori”, ma l’aspirazione naturale dell’amore, del
sano desiderio, della buona passione che matura con la ragione ed il buon uso della
volontà e per l’azione della grazia si eleva ad amore agapico, di totale donazione, dove
non è d’uso la bilancia del dare e l’avere, non detta più legge la partita doppia aziendale, la norma disciplinare del “non fare”, sopportare per non creare e crearsi conflitti.
Comunque, nessuna donna od uomo di senno, mi sembra giusto pensare, proprio quando inizia una relazione, seria ed onesta, lo farebbe senza presumerla e mantenerla fedele. E più la relazione è creduta e voluta, più pretende da se stessa, l’indissolubilità, un
“per sempre” che tende a far perdurare la gioia dell’unione affettiva con l’altra/o. Questo
non è che lo stesso segreto dell’amplesso amoroso e dell’unione dei sessi, che sono strutturalmente e non “culturalmente” differenti, perché il desiderio dell’una e dell’altro siano
una sola gioia. Che squallore programmare un gioco meccanico per possedere l’attimo
fuggente, quando Dio ci ha creati non per fuggire, ma godere di tutto. Ecco che nell’atto
d’amore autentico i coniugi si uniscono, liberi, senza programmi, senza limitarsi e snaturarsi con congegni chimici, meccanici, responsabili del loro amore e della potenza
cosmica e vitale del loro unirsi, perché non hanno “prestato” qualcosa di sé ma si sono
donati.
E così si esaltano nel prolungamento indefinito di un gioco antico, di rinuncia ed offerta, di presenza e fuga, un meraviglioso rincorrersi, fino a perdersi, un morire a se stessi
14
per ritrovarsi.
E’ questo l’anticipo di un’estasi che l’amore coniugale quaggiù può prefigurare ma non
realizzare nella pienezza. Anticipare quella celestiale e non infernale perdita di se, della
cognizione del tempo e dello spazio, una gioia che per essere vera e non adulterata non
può usare il corpo come mezzo, alienato dal resto della persona.
I cristiani non inventano nulla di nuovo, portano a compimento ciò che è naturale e ragionevole, liberano, non aggiungono fardelli.
Così il servo di Dio Giovanni Paolo II:
In questa grande impresa del rinnovamento di tutte le cose in Cristo, il matrimonio,
anch’esso purificato e rinnovato, diviene una realtà nuova, un sacramento della
nuova Alleanza. Ed ecco che alle soglie del Nuovo Testamento, come già all’inizio
dell’Antico, c’è una coppia. Ma, mentre quella di Adamo ed Eva era stata sorgente
del male che ha inondato il mondo, quella di Giuseppe e di Maria costituisce il vertice, dal quale la santità si espande su tutta la terra11.
1.4 Breve excursus storico sul matrimonio, dalle prime comunità al Concilio
Tridentino
Per questo ci serviremo quasi esclusivamente di un testo, soprattutto di quei libri ed autori citati nello stesso recentissimo libro, edito dalla San Paolo “Il cuore ferito”. Si avvale
del contributo di tre docenti e ricercatori, di cui due sacerdoti milanesi, Aristide
Fumagalli e Marco Paleari ed un laico, Alberto Conci.
E quest’ultimo che si dedicherà nello stesso libro a tracciare somiglianze e contrasti tra
cattolicesimo e riforma, delineando dalla pag. 44 del “cuore ferito”, un quadro sintetico
su quanto premesso.
L’autore ricorre, a sua volta, alle citazioni testuali di G. Cereti, o di M. Galzignato in “La
dottrina sul matrimonio e matrimoni misti” in Credere oggi n.160 del 2007.
Secondo il diritto romano, dice il testo, era attestata la presenza dell’affectio coniugalis,
testimoniata dall’honor matrimonii datosi dagli sposi in reciprocità, non dalla convivenza sotto lo stesso tetto, neppure da una vita sessuale nello stesso letto, ma dal consenso,
dalla volontà degli sposi di essere marito e moglie, che si esprime nel detto estremamente significativo nuptias non concubitus, sed consenso facit. Naturalmente per rendere
______________________
11 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Esortazione Apostolica Redemptoris Custos, agosto 1989, Libreria
Editrice Vaticana.
15
giustizia a tutte le posizioni, per la maggioranza degli storici e giuristi, il diritto romano
non considerava il consenso qualcosa di definitivo, il venir meno di esso non osteggiava
la separazione e successive altre unioni12. Il Conci sostiene che la Chiesa dei primi secoli aveva accettato la realtà umana dell’unione uomo - donna, che veniva tuttavia trasfigurata nel mistero cristiano. Afferma ancora che benché già vi siano testimonianze precedenti, è solo dal IV secolo d.C. che diventa consuetudine l’intervento di un ministro ordinato in un rito pubblico matrimoniale. Per l’esattezza citando il Galzignato, sarà
l’Imperatore Teodosio con il Suo codice a definire la questione:
In vigore dal 438 per l’Oriente e dal 443 per l’Occidente, si riconosceva la validità
di qualunque matrimonio stipulato mediante il solo consenso dei coniugi ed in presenza di qualunque testimone; l’omissione di ogni altra formalità ufficiale, od anche
solo tradizionale, non nuoceva alla validità del matrimonio stesso. Dal momento che
lo stato esimeva dalla cerimonie ufficiali, che davano un carattere “pubblico” al
matrimonio, e poiché la Chiesa non poteva favorire i matrimoni “clandestini”, sarà
l’autorità ecclesiastica a prendere la decisione di impegnare i battezzati a dare al loro
matrimonio una pubblicità ecclesiastica. (Cfr. pag.47 de “Il cuore ferito”)
Continua il testo suggerendo che sicuramente verso il mille diventa obbligatorio in oriente ed abituale in occidente l’intervento del ministro ordinato ai riti d’unione nuziale tra
battezzati. Si evince che fino ad allora sono gli sposi i soli “ministri” del consenso, quindi del sacramento, ma l’obbligatorietà in Oriente fa pensare che da questo momento sarà
il Vescovo, o chi da lui delegato, ad amministrarlo a nome di Cristo. Molto interessante
quanto testualmente da pag. 45:
Lo sviluppo della dottrina del matrimonio si snoda per questo su binari diversi
rispetto a quanto accade per gli altri sacramenti, nei quali un intreccio profondo fra
la dimensione pastorale, quella liturgica e quella teologica dà l’idea di una “sintonizzazione tanto stretta da rendere assai problematico lo stabilire dove i progressi
dell’una anticipano e promuovono gli sviluppi dell’altro” (Cfr. Ruffini “il matrimonio alla luce della teologia cattolica”)…questo fece si che, nonostante nei Padri si
trovi talvolta la raccomandazione di celebrare l’unione fra gli sposi con il consenso
del Vescovo, per un lungo periodo la Chiesa si sia di fatto disinteressata al problema della forma specifica per il matrimonio cristiano…si considerava sufficiente il
fatto che esso venisse scelto, abbracciato e vissuto in conformità alla fede della
Chiesa..
Poi si fa ampia nota di un testo del primo cristianesimo, la Lettera a Diogneto, dove si
cita integralmente quanto al cap. V, quando si afferma che:
I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri
uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né
conducono un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uomini multiformi, né essi aderiscono ad una corrente filosofica umana,
come fanno gli altri. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato,
e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un
metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. Vivono nella loro
patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distac______________________
12 Cfr. G. CERETI, Divorziati e risposati - pp. 33-37, Cittadella Editrice - 2009.
16
cati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. Si
sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne.
Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle
leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti vengono
perseguitati…
A questo punto è interessante riprendere un altro testo della chiesa primitiva, forse anteriore alla Lettera a Diogneto proprio a riguardo del problema “scottante” dell’adulterio e
delle seconde nozze. Il testo è il Pastore di Erma (databile intorno al 140 d.C.) che indica nel 4° precetto:
Ti comando, disse, di custodire la castità e che non entri nel cuore pensiero di donna
altrui o di qualche fornicazione o di altre siffatte malvagità. Ciò facendo compi un
grande peccato. Ricordandoti sempre della tua donna giammai peccherai. Se in cuor
tuo sale questo desiderio tu peccherai, e così se sale altra malvagità peccherai. Un
tale desiderio per un servo di Dio è un grande peccato. Se qualcuno opera una turpe
azione, si prepara la morte. In guardia dunque: lontano da un siffatto desiderio. Là
dove c’è la santità non deve salire l’iniquità nel cuore dell’uomo giusto”. Gli dico:
“Signore, permettimi di domandarti poche cose”. “Parla”. “Se uno ha la moglie credente e la coglie in qualche adulterio, pecca il marito vivendo con lei?”. “Sino a
quando, risponde, ignora la cosa non pecca. Se il marito, invece, viene a conoscenza della colpa e la moglie non se ne pente e permane nell’adulterio e il marito convive con lei, egli diviene partecipe del peccato di essa e complice dell’adulterio”.
“Che cosa, Signore, farà il marito se la moglie persiste in questa passione?”.
“L’allontani e il marito rimanga per sé solo. Se dopo aver allontanato la moglie
sposa un’altra donna, anch’egli commette adulterio”. “Se, signore, la moglie,
dopo che è stata allontanata, si pente e vuole ritornare dal marito non sarà ripresa?”.
“Sì, dice”; e se il marito non la riceve pecca e si addossa una grande colpa. Deve,
invece, ricevere chi ha peccato e si è pentito, e non già per molte volte. Per i servi
del Signore c’è una penitenza sola. Per tale pentimento il marito non deve risposarsi. Questa direttiva vale sia per la donna che per l’uomo. Non solo si ha adulterio
se uno corrompe la propria carne, ma anche chi compie cose simili ai pagani è
un adultero. Se qualcuno persiste in tali azioni e non si pente, lungi da lui e non
vivere con lui; diversamente sei partecipe del suo peccato. Per questo vi fu ordinato di rimanere da soli, per la donna e per l’uomo. Vi può essere in loro pentimento. Io, dunque, non voglio dare occasione perché questa situazione venga a
determinarsi, ma chi ha peccato non pecchi più. C’è chi può dare un rimedio per il
peccato commesso in precedenza: l’Onnipotente13.
Non vi è dubbio che aldilà di cambiamenti esteriori avutisi dopo i primi tre secoli, le consuetudini affermatesi intorno al mille ed il canone del Concilio di Trento dal millecinquecento ad oggi, la forma sacramentale muta di pochissimo. Lo spirito con cui era vissuto
dai cristiani il matrimonio nelle comunità delle origini, non richiedeva norma scritta, che
prescrivesse dettagli del comportamento. Che esistano testi ad uso “interno” come quelli succitati è un’eccezione, così come, mi sembra di poter sostenere, che in una famiglia
sarebbe insolito che si mettessero per iscritto le buone regole di vita quotidiana.
_______________________
13 ANONIMO, Il Pastore di Erma, Città Nuova, Roma, 2007.
17
Insistono alcuni, che il canone fu inventato solo per avviare la repressione ed il controllo, affermare l’istituzione clericale. Questo potrebbe essere un lato della medaglia. Ma
l’altro lato da scoprire, portato alla luce senza pregiudizi e preconcetti, potrebbe far notare che nel tempo i fedeli, divenuti incerti e meno fedeli, allontanandosi dalla devozione
e sapienza originaria, per primi iniziano a cavillare sulla parola evangelica, cercando altri
segni e significati, in modo individuale od organizzato, soprattutto cercando a proprio
vantaggio di istituzionalizzare nuovi codici di comportamento. Dunque è comprensibile
che la tradizione ed il magistero, affrontino di volta in volta i costumi dell’epoca con
adattamenti. Questi non possono che prendere il “corpo” dei codici scritti, normative, che
caratterizzerà con mezzi sempre più esteriori, i confini di una comune appartenenza
incerta o minacciata.
I santi venerati ed amati dal popolo, donne ed uomini della prima ora cristiana non hanno
nessuna sostanziale differenza dai santi del nostro tempo, ad essi credo sia bastato il
Vangelo, tutt’al più una regola di vita comunitaria, poche righe o pagine.
Chi porta a compimento la fede nell’amore, non trova ostacolo nella legge, nella regola,
perché come insiste ripetutamente Paolo nella lettera ai Romani ne è liberato, non perché
l’ha raggirata, restando al di sotto di essa, schiavo del vizio, delle proprie voglie, dell’egoismo, perché al di sopra, salvato e liberato in Cristo, con Cristo e per Cristo.
Lo spirito ribelle della contestazione, faceva notare che la sovrastruttura sociale è come
una “forma” che, in permanente ritardo, si assesta rispetto alla struttura, quella “materia”
incandescente che spinge dal basso e rompe alla fine violentemente con i vecchi rapporti di potere, naturalmente anche le istituzioni giuridiche. Per questo la “forma” sociale, in
tutte le sue componenti, è sempre precaria a causa della “materia” (si deve intendere, in
Marx, Engels e Lenin stesso, per “struttura”, lo sviluppo incontenibile delle “forze produttive”).
E’ questa un’ideologia capace di influenzare lo stato d’animo di molti, non necessariamente marxisti. Non può sfuggire che, coscientemente o meno, il pensiero marxista, così
rivoluzionario, resta debitore comunque delle “categorie” filosofiche di Aristotele (IV
secolo a.C.) e riprese largamente da Tommaso d’Aquino (XIII secolo d.C.) di forma e
materia, atto e potenza.
Qui possiamo e dobbiamo concludere l’assonanza, poiché il cristianesimo non è “rivoluzionario”, almeno nel senso che i marxisti intendono.
La sovrabbondanza della materia per i cristiani non è riferibile alle forze cieche della
produzione materiale, come per il materialismo dialettico. Se con un grande azzardo ana-
18
logico, fosse possibile paragonare l’amore di Dio ad una “materia”, questa potrebbe essere solo tenerissima, finissima, plasmabile totalmente nelle mani dell’Artista, in realtà
assolutamente immateriale. Tale amore non conoscendo gelosia, invidia o superbia, (Cfr.
Fil. 2,6 e 1 Cor. 13) essendo la relazione eterna tra il Padre ed il Figlio, volentieri si manifesterebbe e si manifesta tra noi, prendendo forma, scendendo a baciare la terra, viene a
prendere dimora tra gli uomini (Gv.1,14), nella profondità del cuore come nelle loro
diverse relazioni.
La “forma” volentieri viene a cercare tale “materia” sovrabbondante, e viceversa la materia ardentemente desidera prendere forma. Si desiderano, fino a congiungersi, unirsi a
nozze, usando una figura tipica del tomismo; non si ostacolano, tantomeno producono
contraddizione “dialetticamente” superabile con la violenza rivoluzionaria.
Se vi è violenza, di varia natura, anzi contro natura, se perfino l’uomo - Dio soffre violenza sulla terra, è per aprire a noi l’accesso al Regno dei Cieli (Cfr. Mt.11, 15). Ma ciò
che non è amore, non viene da Dio, è libera scelta della creatura, uso distorto della ragione e della volontà, da parte dell’intelligenza angelica ed umana.
Tornando a noi, la verità potrebbe essere, come dice nella pag. 46 Alberto Conci nel
“Cuore ferito”, che non esiste tanto un matrimonio cristiano, quella forma da restaurare
o riformare.
La materia del sacramento era e resta assolutamente inalterabile, inossidabile, col passare dei millenni. I cristiani non dovrebbero fare matrimoni particolari ma vivere cristianamente il loro matrimonio, come fa intendere la lettera a Diogneto. Oppure lo vivono
come gli sembra e gli pare, ed è ovvio che il libero arbitrio può sempre sfociare in puro
e semplice arbitrio. Del resto molte unioni coniugali sono “illegittime”, cioè nascono e
restano (od evolvono) nella “porneia”, come afferma il Vangelo di Matteo (19, 9), non
solo perché originariamente officiate senza un rito cristiano, anche perché invalide, nulle
sacramentalmente all’origine, malgrado una celebrazione in Chiesa.
Oppure corrotte successivamente ed allora non più degne di una convivenza che, come
afferma il Pastore di Erma diverrebbe anche connivenza con un peccato. E’ adulterio
anche compiere cose come i pagani, e lascio agli esegeti la miglior comprensione dei termini, ma certamente si può intendere estensivamente tutto quanto è ostinatamente fuori
e contro la parola di Dio.
Davanti al Signore la verità di un’unione non è un problema risolvibile normativamente.
Ciò che è contro l’amore e la verità non può essere salvato dalle forme esteriori. E viceversa, essendo i sacramenti istituiti da Cristo per la Chiesa, strumenti di grazia, in nulla
19
limitano l’opera “libera” dello Spirito Santo (Cfr. Gv.3, 8). Per questo è giusto che la
Chiesa acconsenta al matrimonio di persone insufficientemente preparate rispetto alla
dottrina. La materia del sacramento non è la conoscenza di tutto il catechismo, ma l’amore donativo tra i coniugi, così come Cristo lo ha inteso e vissuto. Se i coniugi questo credono e vogliono, il loro matrimonio, salvo altri impedimenti, è legittimamente amministrato e valido canonicamente. Se questo matrimonio nasce e permane nella grazia di
Dio, da questa sono santificati come sposi.
Lutero insisteva nel non riconoscere ai Vangeli, segni o gesti del Cristo, per considerare,
da Lui personalmente istituito il sacramento nuziale e dispensatore di una particolare grazia. A ciò si potrebbe con prudenza opporre, senza naturalmente pensare di “risolvere il
caso” una serie di altri indizi. Cristo inizia a Cana, nel Vangelo di Giovanni, il primo
miracolo, collegando le feste di nozze alla trasformazione dell’acqua in vino, anticipo
evidente del banchetto eucaristico dell’ultima cena.
In tutti i Vangeli le parabole del regno e quelle della festa nuziale si sovrappongono. Ma
nel Vangelo di Giovanni 4, 1-30, c’è un “segno” che supera forse ogni altro. La
Samaritana interrogata in proposito alla situazione sentimentale e coniugale, dice di aver
avuto cinque mariti ed ora di convivere con un sesto.
Di fronte alla preveggenza del Signore, conferma che costui non è suo marito e forse neppure gli altri. Chi sarà il settimo, cioè, secondo la metafora, la simbologia ebraica del numero, il compimento della nuzialità, il vero ed unico sposo? La perfezione dell’amore?
Dice il Signore:
E’ giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché‚ il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità”. Gli rispose la donna: “So che deve venire
il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa”. Le disse
Gesù: “Sono io, che ti parlo”.
Ecco Colui che come trasforma alle nozze di Cana l’acqua in vino, per soccorrere gli
sposi ed inebriare l’amore terreno, trasformarlo in amore divino, così al Pozzo di
Giacobbe si ripropone ancora come Colui che dona l’acqua che toglie per sempre ogni
sete. Si svela anche come il Messia, il Re…lo Sposo.
Il Signore non istituisce e formalizza il segno sacramentale, forse perché è Lui il segno,
il significante ed il significato di ogni nuzialità. E’ lui lo Sposo che attendono le Vergini
alimentando previdenti, con l’olio della fede, la fiamma d’amore che rischia di spegnersi (Cfr. Mt.25, 1). Per questo ogni situazione è buona per amare e farsi trasformare nell’amore, dallo Sposo celeste.
Non c’è peccato che possa distruggere, contenere o fermare questa energia sublime, non
20
c’è un prima che conti, uno stato anagrafico o canonico preferenziale, perché Gesù dice
alla Samaritana: “E’ giunto il momento, ed è questo”! che ricorda l’altro richiamo all’oggi, al “non tempo” divino che entra nel tempo umano: “Oggi sarai con me in Paradiso”
(Lu. 23,43).
Non conta come e dove si parte, ma dove arrivare e chi è il compagno di viaggio. Ognuno
in fondo è chiamato ad essere monaco, cioè “monos” (uno con l’Uno) in quanto comunione, non certamente attraverso una “gnostica” scoperta della propria scintilla divina
latente, la presunta luciferina realizzazione di se stessi, per propri meriti, capacità o sforzi, facendo leva su qualche “tecnica” risolutiva.
La relazione con gli altri e con l’Altro vela e svela il mistero dell’Unità trinitaria, del
Padre rivelatoci dal Figlio nello Spirito Santo.
Dice il Signore per bocca della Samaritana: “I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare».
Come dire ecco che, chi da un versante e chi dall’altro, ci attacchiamo al luogo, al modo,
alle norme, alla tecnica, alla lettera che uccide (Cfr. 2 Corinzi 3,6).
Invece bisogna: “Adorare il Padre in Spirito e Verità”. Come dire: abbandonatevi a Lui!
Lasciandogli tutto il posto possibile, nel cuore e nell’esistenza, senza soffermarsi su troppe minuzie e vanità.
Per i cristiani le ragioni della sana vita matrimoniale sono insiti nel Battesimo, che ci
immerge nella nascita, nella vita, nella passione e morte, ma soprattutto nella gioia senza
fine della Risurrezione di Cristo, per la Potenza dello Spirito Santo.
Che un matrimonio vissuto cristianamente, sia portatore di una sua grazia particolare è
una constatazione evidente, nell’esperienza, forse prima che una “scoperta” di teologi o
canonisti. Anche qui ulteriori diatribe tra una certa scolastica cattolica ed i riformatori
protestanti, che hanno molto elaborato, infrangendosi tuttavia molte reciproche riflessioni sul famoso “rimedio alla concupiscenza”, che fa intravedere come assoluto “disordine” la sessualità, cui applicare una specie di serraglio, preventivo od estremo: il matrimonio. Questo, degradando, più o meno coscientemente, tutta la casta bellezza dell’integrale coniugio degli sposi, per aggiunta impantanandosi su cavilli ed aspetti “contrattualistici”, che con il sacramento nuziale non hanno direttamente a che vedere.
Per quanto ogni cosa vada affronta con serietà e giudizio.
I padri tridentini non potevano non risentire dei loro tempi, della rottura anglicana e del
progredire della “riforma” luterana e calvinista. Certamente gli storici propendono ancora una volta nel vedere in questo periodo questioni di interesse, conflitti politici, econo-
21
mici, tra uomini, dinastie e stati, ma comunque sia, che fosse l’origine profonda e/o la
punta dell’iceberg, non è proprio per nulla casuale che la scissione tra la chiesa di Londra
e Roma prende spunto proprio dalle pratiche adulterine ed i reiterati matrimoni, fino a sei
(con relativi divorzi) del Re Enrico VIII.
Dopo 1500 anni dalle vicende di Erode e di Giovanni il Battista, “salta” un’altra testa.
Tommaso Moro paga così la dissociazione dagli atti immorali, privati e pubblici, del suo
re, disapprova la rottura che perpetra con Roma a favore dei suoi interessi personali e
dinastici.
Uomo universalmente riconosciuto tutt’altro che oscurantista, semmai figlio del migliore umanesimo rinascimentale, nonché fedele cancelliere dello stesso Enrico VIII, aldilà
di tutto, all’uopo, si dimostrò di profonda e coerente fede cristiana, per questo perseguitato ed eliminato.
22
CAPITOLO 2
L’EROS, LA PHILIA, IL PHATOS, L’AMORE - AGAPE
2.1 L’amore umano, in ogni manifestazione embrionale, incoerente, incompiuta,
è come una pianta che ha radici in Dio, cresce sano e robusto nutrendosi della
Sua luce.
In fondo l’amore è un’unica realtà, seppur con diverse dimensioni; di volta in volta,
l’una o l’altra dimensione può emergere maggiormente. Dove però le due dimensioni si distaccano completamente l’una dall’altra, si profila una caricatura o in ogni
caso una forma riduttiva dell’amore. E abbiamo anche visto sinteticamente che la
fede biblica non costruisce un mondo parallelo o un mondo contrapposto rispetto a
quell’originario fenomeno umano che è l’amore, ma accetta tutto l’uomo intervenendo nella sua ricerca di amore per purificarla, dischiudendogli al contempo nuove
dimensioni14.
Certamente hanno immenso valore la passione ed il sentimento umani, Gesù nei Vangeli
ostenta i suoi stati di rabbia, tenerezza, compassione, tristezza o gioia, quelle mozioni dell’anima, oggi definite semplicemente emozioni, in quanto viste solo nella loro manifestazioni esteriore, che si intrecciano con la sensibilità corporea, filtrandola od impastandosi ad essa.
In generale la tradizione patristica e perfino quella più severamente ascetica e monastica, ha distinto le affezioni dell’anima dall’affettività, considerando pesantemente negative le prime, sostanzialmente positiva la seconda, addirittura necessaria nel cammino
umano e spirituale, quando mitigata e trasfigurata dalla fede e dalla ragione.
Le affezioni sono come pesi (o macchie) che, occupando la memoria, creano e ricreano
a dismisura, qualora non contrastati da una vera “guerra spirituale”, quei fantasmi propri
della facoltà immaginativa e fantastica, impedendo così una vita ordinata, il giudizio
sereno, distruggendoci od esaltandoci, in un’altalena senza requiem. Da qui inizia il processo di perdita della fiducia e della speranza in Dio e dunque della nostra consapevolezza - possibilità di essere amati, in un qualche grado e misura sempre “capaci” di Dio.
Questo non distrugge un fronte, ma tutti i lati della nostra personalità, e continuando a
far uso di una metafora “militare” si direbbe che abbatte muri dove dovremmo alzarne e
“blinda” ciò che andrebbe spalancato. Questo indebolisce e devia malamente, nei conte_______________________
14 BENEDETTO XVI, Lettera enciclica Deus Caritas Est - Libreria Editrice Vaticana, 2005.
23
nuti e nelle forme, anche la preghiera, talvolta soffocandola, senza scampo.
Esiste una vera psicologia spirituale che affronta, sia nell’oriente come nell’occidente
cristiano, il discernimento degli “spiriti”. C’è da dire che ancora una volta sarebbe un’imperdonabile errore farne “tecnica” neutra, esclusivamente psicologica, privata cioè di una
retta intenzione, una provata e riprovata tensione trascendente. Di cosa parliamo?
Quella dell’umiltà e dell’obbedienza alla Chiesa ed in taluni casi assolutamente ad un
padre spirituale, non solo il confessore sacramentale od uno psicoterapeuta. In certi casi
si potrà avere accidentalmente una sovrapposizione di ruoli, ma un padre spirituale ha
una specificità: portare l’anima alle soglie dell’intimità con Dio, manifestare a colui che
è si è fidato (e ci è stato affidato) l’esperienza dell’amore di Dio, non psicologica o fenomenica, piuttosto personale, totalmente esistenziale, per sua natura indicibile, unica, irripetibile per ognuno.
E’ difficile trovare veri e bravi padri spirituali, perché ciò che “insegnano” non deve essere slegato dalla loro stessa vita, che li ha visibilmente ed invisibilmente “segnati”.
Si deve intendere qualcosa che deve mettere radici nella profondità dell’essere, non una
qualche realizzazione individuale, ma rimanendo incorporati saldamente nel Figlio,
come dice S. Paolo ai Colossesi nel cap.3:
“Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo,
vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con Lui nella gloria”.
Ho personalmente scoperto che interi passi, appena modificati nei termini, degli esercizi
ignaziani sono utilizzati sia nel marketing, come in certi “incontri” di “spiritualità”, di
impronta new age od affine. Il filo dunque è sempre sottile e tagliente.
2.2 L’amore coniugale donativo, punto più alto e completo dell’amore umano
L’epicureo Gassendi, scherzando, si rivolgeva a Cartesio col saluto: « O Anima!».
E Cartesio replicava dicendo: «O Carne!». Ma non sono né lo spirito né il corpo da
soli ad amare: è l’uomo, la persona, che ama come creatura unitaria, di cui fanno
parte corpo e anima. Solo quando ambedue si fondono veramente in unità, l’uomo
diventa pienamente se stesso. Solo in questo modo l’amore — l’eros — può maturare fino alla sua vera grandezza. (Enciclica Deus Caritas est)
Certamente oggi alcune cose stanno cambiando anche tra le mura dei seminari e nei giardini degli oratori, le aule dei catechisti, nei gruppi parrocchiali. Un approccio diverso
all'eros, la sessualità, i sentimenti umani, l'attenzione al phatos, inteso come forte strug-
24
gente passione emozionale, si potrebbe dire, simile al termine ebraico «dodim», usato
inizialmente nel Cantico, un plurale che esprime l'amore ancora insicuro, una situazione
di ricerca indeterminata. Solo alla fine, l'amore tra gli sposi è sostituto da qualcosa che
assomiglia, anche per assonanza, all'amore- caritas - agape - cioè l'ebraico «ahabà»
(abbiamo solo ripreso, quasi testualmente, altre intuizioni sublimi di S. S. Benedetto XVI
in Deus Caritas est). Tutti questi “amori”, o meglio gradi ed aspetti dell'amore, molto
rivalutati nel costume e dalla psicologia, sempre più seriamente sono studiati, affrontati
nella pastorale delle nostre comunità, ferme restando le difficoltà e le contraddizioni del
caso.
Anche da qui si può meglio avvicinarci a capire una questione. Quello che Freud o
Fromm hanno detto qualche decennio fa non è del tutto “nuovo”, come spesso si crede o
si vuol credere. Certi trattati sull’ascesi di Padri o dei Santi, che il Papa per primo riporta in auge, pur di molti secoli fa (e spesso questi scritti vanno a ruba, appena vengono
proposti o riproposti) sono dei sottili ed arguti trattati di antropologia cristiana, che
affrontano la complessa psicologia dell’essere umano, per tanti aspetti non solo comparabili ed utili per l’oggi, per tratti maggiori e significativi sono originali, nel senso proprio del termine.
Si intuisce che la fonte “prima” non è l’individuo virtuoso, che ha molto studiato, semmai colui che ha molto amato e conosciuto, perché molto di più amato e conosciuto da
Colui che è Origine, Mezzo e Fine di ogni realtà creata.
Tornando ai “moti dell’anima” ed al nostro corpo, a quell’unicum di “forma e materia”,
per definizione aristotelica, ripresa da San Tommaso, discernendo su pulsioni e sentimenti, va detto che nulla in se stesso è “negativo”, tutto “originariamente” sommamente
buono. Ma poiché l’uomo è un essere libero, non una marionetta, ogni cosa è divenuta
soggetta a modificarsi per una scelta che può essere causa di peccato, allontanamento da
Dio e dall’ordine naturale. La prescienza divina, come quella materna domestica, sa che
l’ordine della stanza del figlio è in un certo verso e modo, e la volontà del Padre eterno
come di “norma” una mamma terrena non è di vedere e creare disordine, vestiti all’aria,
cicche in terra, letti disfatti, polveri di mesi dietro la scrivania. Ma pur essendo chiara ed
evidente la prescienza e quale sia la volontà “superiore”, esiste in principio la potenzialità a che la giusta norma sia infranta, corrotta od aggirata. I figli possono deviare con
l’uso della propria volontà e non fare quella dei genitori, opponendo così il loro divergente modo di intendere il loro bene. I bambini od i giovani, di “norma” hanno una capacità di concretizzazione, alla fine dei conti molto angusta, malgrado la componente fan-
25
tastica spinga la visuale, spesso solo quella, verso orizzonti estremi. Questa contraddizione deriva da una carica emotiva ed un’energia fisica prorompenti, qualcosa che senza
guida può produrre danni irreparabili. Senza una relazione con genitori ed educatori, di
“norma” capaci di apportare saggezza ed esperienza, una forza prorompente abbandonata a se stessa, senza “regola”, spinge ad ottenere un risultato e un piacere immediati, alternativamente, con scarso impegno od un attivismo smodato. Così come una regola senza
una sana passione, una relazione vitale che la sorregge può trasformare una casa (od una
scuola, una comunità qualsiasi) in una caserma, perfino un carcere… un lager.
La “permissione” della devianza, termine ambiguo che comunque non sta affatto ad indicare che si è consenzienti al male e compiacenti delle disgrazie, è quindi perfettamente
contenuta nella prescienza dei genitori. Così come Dio conosce tutto da sempre, ma non
interferisce sul nostro operare quotidiano. La libertà di scelta è reale, operativa, quanto
totalmente prevista, anzi auspicata, poiché né il Padre eterno, né un vero genitore, vuole
altro che il meglio per il figlio, ma occorre che l’obbedienza non sia finta, comprata,
imposta, piuttosto realizzata attraverso le alterne e tormentate vicende di una relazione di libertà, che nella gioia come nel sacrificio, conquista una sempre migliore comunione di volontà ed intenti.
Inutile dire che la parabola del figlio prodigo, o meglio del padre misericordioso, sia
umanamente e teologicamente superlativa, proprio per rendersi conto che ancora una
volta il Vangelo, con parole ed esempi tratti dalle relazioni quotidiane vuole dirci continuamente che “Lassù” non sta lassù, inizia da “quaggiù”. Al contrario del disprezzo gnostico o puritano per il corpo e la vita comune, in cui sono coinvolti gli uomini grossolani”, gli ilici o gli psichici, di eretica valentiniana memoria, la Chiesa di Cristo è stata dal
suo nascere tutt’altro che una comunità di “puri” e “perfetti” od usando sempre il linguaggio degli scritti gnostici, dei “pneumatici”, essere eterei e spirituali, staccata da tutto
e tutti (in senso etimologico una setta), ma una comunità di donne ed uomini in carne ed
ossa, con relazioni vere, una comunità di perdonati, di santi peccatori.
In questo è poi il vero compimento dell’assoluta libertà: “Non la mia, ma sia fatta la tua
volontà”(Cfr. Mt.26-42). Dice il Figlio al Padre, nel momento in cui il calice da bere si
è fatto amaro!
La modifica dell’ordine divino, determina la corruzione e la degradazione del buono e
del bello originario, e tale deturpazione si estende e ripercuote nelle generazioni, nel
tempo oltre che nello spazio, per questo si parla di conseguenze di peccato originale ed
anche per quello attuale, che comunque non avrà mai solo una valenza personale, incide
26
su tutto il “corpo” dell’umanità e della stessa natura, ha valenza cosmica. Il male non ha
esistenza propria ma come un “parassita” si nutre di ciò che vive, secondo Agostino e
Tommaso, la migliore definizione è “male” quale “sottrazione” o “corruzione” del bene.
Mi viene da descrivere questo stato ibrido dei comportamenti umani possibili con l’esempio della “mescolanza”. E’ come se ogni aspirazione umana fosse mescolata con tante
componenti. E’ certamente presente in ognuno di noi, in ogni pensiero, parola od opera,
un’implicita finalità “trascendente”, verticale, che vuole il meglio, il massimo, l’assoluto, ma a questa si mischia poi un’aspirazione “immanente”, che cerca il meglio “possibile”, si allarga e si protende orizzontalmente, verso sempre nuovi orizzonti. C’è anche
un’oscura tenebrosa aspirazione discendente, per realizzare il proprio “ego”, l’interesse
immediato e contingente, o più astutamente lungimirante.
Ogni aspirazione, anche quella più egoistica, resta comunque un’immagine sbiadita e talvolta veramente irriconoscibile del Modello e della Finalità più sublime.
Dice il beato Guglielmo di Saint-Thierry, quasi 900 anni orsono, (Liegi, circa 1075 –
Signy, 8 settembre 1148) riprendendo in verità Agostino e prima ancora Empedocle ed
Aristotele:
“…L’amore è un’energia dell’anima che come per effetto di un peso naturale,
la porta verso il luogo od il fine che le sono propri…” e prosegue: “Cominciano
dal luogo della sua nascita, che è Dio. Lì è nato, allevato, diventato adulto: non già
straniero, ma indigeno. Difatti soltanto da Dio è dato l’amore, ed è in Lui che rimane, perché non si deve a nessun altro se non a Lui e grazie a Lui15”.
Dunque una tensione razionale, una forte tensione, emozionale o sensuale porteranno
ciascuno verso il luogo che gli sono propri: un mondo della logica pura o della fantasia
sfrenata, od in altra ipotesi una giungla animale ed animata dove vince la “passione” e la
legge del più forte, del più bello o del più furbo, oppure un regno anche relativamente
tranquillo, dove “vegetare” e coltivare più o meno bene le pulsioni e gli istinti elementari, un campo di arbusti rampicanti e bacche selvatiche.
Certamente, rifacendosi proprio alla corretta antropologia dei Padri antichi e del
Medioevo, proprio gli ultimi anni d’approccio magisteriale e pastorale hanno cambiato
qualcosa, anche mutuando l’attenzione alla famiglia degli ultimi pontefici, per primo
Giovanni Paolo II.
Da qui l’interesse rinnovato al corpo come “tempio” dello Spirito, non come fardello –
contenitore, qualcosa di cui fare libero uso, fino all’abuso, in quanto una privata “pro_______________________
15 G. DI SAINT-THIERRY, Natura e valore dell’amore - Città Nuova, Roma.
27
prietà” (ho un corpo, infatti, si usa dire); e questo unisce sinistramente il materialismo
più grossolano ed edonista con uno gnosticismo d’élite, fino ad impregnare lo stato d’animo con idee fasulle od illogiche. Pensiamo ai danni psichici e morali che produce quell’idea diffusasi, estranea tra l’altro alle dottrine originarie dell’oriente, della cosiddetta
reincarnazione, che in realtà è una “re-incorporazione” del proprio “ego” che sopravvive, perdura oltre le morti, prendendo a leasing un corpo, come appunto un contenitore.
Anche nel game “virtuale”, dai vetusti flipper ai moderni “giochi” di guerra, horror o con
scenari magico – occultistici, persa per qualche errore “una vita” si ricomincia. Ma anche
nel virtuale, cibernetico, telematico ed informatico, alla fine c’è comunque un “game
over”!
Rinnovata allora giustamente l’attenzione del magistero e della pastorale all’affettività ed
alla sessualità, nelle loro espressioni genuine e positive, non solo “concupiscenza”, cui
opporre la castità o la verginità, “sublimati” a volte troppo frettolosamente. Questo ennesimo difficile momento di trapasso, vive pienamente il presente, con un piede nel passato ed uno nel futuro, gli occhi sulla croce del Signore. Ogni desiderio legittimamente
umano non può essere represso, anche se va detto, talvolta ciò è inevitabile e dolorosamente necessario. Ma la “legge”, la norma, anche il “canone ecclesiastico”, non eliminano la causa dello scompenso prodotto, limitano o vanno a contenere i danni sociali, gli
effetti dirompenti e pervasivi.
Direbbe il teologo ortodosso Evdokimov che la legge non può sostituire la grazia. Non
è capace “…né di guarire, né di resuscitare, né di dire alzati e cammina16”!
L’amore e la potenza di Dio, in sinergia con la fede dell’uomo possono questo, e molto
di più. L’aspirazione umana che si lascia “bruciare” al fuoco dell’amore donativo di Dio,
non solo non “subisce” alcuna repressione ma raffinandosi, purificandosi, come l’oro, si
arricchisce incomparabilmente, si trasforma.
Questo può valere per ogni sano desiderio (de sidera, tendere al cielo), laddove il corpo
e la sessualità, la complessa realtà psicologica, condivisa tra affettività e razionalità, non
si “separano” tra loro ma sono integrati nell’unità di vita della stessa persona.
Chi non si conosce, non si accetta e cura spesso solo un’apparenza, difficilmente “ordina” la casa, il tal caso il proprio corpo, l’affettività, l’attività mentale, le facoltà cognitive, di discernimento e volizione. Semmai tratta un aspetto e tralascia l’altro, magari usa
_______________________
16 Cfr. P. EDVOKIMOV, p. 178, Il sacramento dell’amore, Servitium, Bergamo, 1999.
28
il “trucco” per le rughe, la cyclette per la pancia o la cellulite, legge avidamente per inculturarsi o superare l’ennesimo master, ma al fondo di sé, potrebbe avere il cuore spezzato, in tumulto, non “pacificato”.
Così è in grado conoscere l’altro proprio come si è conosciuto, ed inevitabilmente amerà
l’altro in modo difettoso od eccessivo, freddo o morboso, trasferendo nella coppia, ogni
relazione sociale, la propria individuale insufficienza.
C’è un’idea e più ancora la pratica a realizzare una “complementarità” del tutto sballata:
due insufficienze non si aiutano, e non fanno una sufficienza, amplificano e moltiplicano (non semplicemente sommano), i problemi singolarmente irrisolti.
Amare e conoscere se stessi può e deve voler dire andare verso un “oltre”, che non è
cadere nell’irrazionale ma essere elevati per grazia al sovrarazionale, fino ad arrivare al
punto di rinnegare, per fede ed amore congiunti, rinnegare tutto di se, perfino la vita, e
ritrovare in Cristo veramente se stessi.
Questo non significa affatto svolgere penosi sacrifici esteriori, portare una croce costruita da noi per il nostro “io”, su cui piangere ed occultamente esaltarci. Niente è peggiore
dell’orgoglio spirituale e della “fede” farisaica.
Rinnegarsi non vorrà mai dire, nel cristianesimo autentico, rinunciare ai doveri, coniugali e familiari, sociali e comunitari, per chissà quale “speciale” vocazione e carisma. Anzi
nel portarli a compimento, nella gioia e non solo nel dovere, sta il perfetto rinnegamento di se stessi. Il sacrificio gradito a Dio è l’abbandonarsi al Suo dolce quanto esigente
comando d’amore. Allora si “rinuncia” sapendo che tutto è sempre frutto di un dono, una
grazia, non è dovuto ai nostri meriti e sforzi. Qui vi è una rinuncia intelligente, dal finito e l’effimero all’infinito e l’eterno. Lo scambio è talmente conveniente che Paolo ci
informa nella sua epistola ai Filippesi:
Queste cose, che per me erano guadagni, io le ho considerate una perdita, a motivo
di Cristo. Anzi, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della
conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose
e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, …; perché io possa conoscere Lui, la potenza della Sua resurrezione, la Comunione alle
Sue sofferenze, facendomi conforme alla Sua morte, nella speranza di giungere alla
risurrezione dai morti.
L’amore pienamente umano in quanto proprio della persona fatta ad immagine e somiglianza divina, è ordinato all’amore di Dio.
Mantiene dei gradi diversi ed irriducibili che si esplicheranno in quelle relazioni specifiche che ognuno può intrattenere. Saranno ancora e sempre rapporti “specchiati”, che alludono per “similitudini ed enigmi” alla Relazione delle relazioni, copie più o meno riusci-
29
te di un originale, non essendo noi pronti all’amore e della conoscenza piena e totale,
“faccia a faccia”. Non è una condanna ed una menomazione delle relazioni possibili, qui
ed oggi, anzi!
Penso sinceramente che sia questo un dono paterno e provvidenziale che soccorre l’insufficienza, la nostra cecità. Per cui Dio ci “abitua” ed “educa” pazientemente, gradualmente, come un padre con il figlio, quando lo segue con massima attenzione ai primi
passi sulla via, il che lo porterà dall’infanzia all’adolescenza, dopo la vigoria esaltante
della giovinezza, alla sapienza della maturità degli anni.
Per questo l’amore coniugale, l’amore filiale, materno e paterno, quello fraterno, propri
dell’ambito familiare, lo stesso amore amicale, che nasce per vari motivi nella relazione
sociale, tutto è estremamente degno ed importante e non può essere vissuto che dando il
meglio, il massimo.
L’amore non può esimersi, dall’essere fedele, in altre parole, onesto, sincero, in ogni circostanza, perfino verso la natura animata ed inanimata. Senza una sovrapposizione e
disordine di ruoli.
Faccio solo un esempio: certi matrimoni in cui il marito o la moglie sono vissuti come
un padre od una madre mancanti (più un po’ di sessualità nevrotica). O certi matrimoni
che falliscono perché a decidere in casa non sono i coniugi, ma questo o quel genitore
(suocero) invadente. E poi i rapporti morbosi con i figli e perfino con certi animali domestici che sostituiscono od inibiscono l’amore coniugale e familiare, e tante altre morbosità sempre più rilevanti e deflagranti.
Si potrebbe accennare alla deformazione dell’affetto amicale e fraterno (che in greco è
indicato come “philia”), come pure la deturpazione dell’amore genitoriale - filiale, che
trapassano in caricatura dell’amore coniugale, fino alle peggiori depravazioni della pulsione sessuale. Come poi definire il sesso a “pagamento” ed a “piacimento” (e vi sono
forme di pagamento ed adescamento non solo, ed immediatamente, monetario) quando
si esalta il piacere senza indagare il sesso, lo stato civile, tantomeno l’età di quanto è
“oggetto del piacere”, attenzione centrata su stravaganti “giochi” erotico – sentimentali.
I confini tra le categorie: erotismo, prostituzione e depravazione potrebbero diventare
molto labili, di difficile comprensione per chiunque.
Ed infatti dovrebbe a questo punto, secondo alcuni, essere proprio il libero orientamento individuale a stabilire confini etici. Ma parlare di etica forse, così procedendo, non
avrà più senso e tantomeno di morale pubblica e condivisa. Non vi è norma e relativo
contratto sociale che non si basi su un principio che trascende l’individuo stesso.
30
Ma qui par di capire che il punto di inizio e di conclusione del discorso rimangono i diritti individuali, per giunta in una sfera che l’intera storia dell’uomo ha considerato “privata”. Nessuno si sognerebbe di stabilire per legge dello stato come devono relazionarsi tra
loro due amici. Qualora tra loro, benché dello stesso sesso, nascesse un rapporto sentimentale molto intimo, questo non potrà mai “naturalmente”, se non forzando con vari
artifici e tecniche, portare la loro convivenza ad un matrimonio come tra un uomo ed una
donna.
Del resto anche un uomo ed una donna che convivono guidati da una forte attrazione sessuale e sentimenti reciproci, non sarebbero per questo “sposi”.
Come abbiamo già visto ciò varrebbe anche per il diritto romano, non solo per la Chiesa.
In un esaltante cocktail sesso – passione non si esaurisce la persona amante. Ricordiamo
anche che la relazione affettiva ha una componente da non sottovalutare di complicità
amicale, vicinanza e comunicazione verbale, gestuale, affettiva, quella “philia” di ellenica memoria. Ma sia l’eros che la philia possono giungere a compimento solo nell’agape.
Ed infine secondo me solo nell’unione erotica, amicale ed agapica dell’uomo – donna è
possibile la perfezione e l’integrazione di tutti i tipi di “amore”.
Ciò che è apparentemente più inconciliabile, per le differenza naturali esteriori fisiche ed
interiori psicologiche, non solo si attrae, per una forza primordiale della natura stessa, ma
si armonizza con l’esercizio della ragione, della passione e della volontà, fino a stabilizzarsi in una “comunione” così forte che “non è più due” ma “una sola cosa”.
Non un io più un tu ma noi!
E questo è possibile solo con la grazia di Dio, quando la relazione personale umana viene
trasformata ad immagine delle relazioni tra le persone divine.
Ritornando “bassi”, al senso strettamente giuridico, è ciò che si vuole e non ciò che si
sente a fare un matrimonio.
In nessun atto pubblico chi contrae nozze potrà limitarsi a dire che “sente” l’amore per il
coniuge, questo rientrerebbe nel “privato”, rilevante ma per se stessi. Ben altra cosa affermare pubblicamente non solo che sente ma vuole amarla, unirsi a lei. Ha deciso, o
meglio, hanno deciso questo. Proprio come si decide di imparare e di voler essere un
musicista o portare a compimento nella vita una seria impresa. Il musicista non cessa di
imparare, esercitarsi, innovarsi e talvolta ricominciare. Ed anche in questa scelta, c’è
qualcosa di “irrevocabile”, non si può più cancellare ciò che si è appreso e fatto, si resta
“segnati” per sempre da quella particolare esperienza. Per restare musicisti non basta la
passione iniziale, né il temperamento adatto (l’essere portati), né lo studio; oltre a questi
31
ingredienti, a monte, l’amalgama che tiene tutto insieme è l’impegno, lo sforzo, il sacrificio quotidiano perseverante.
Ciò che si sente non è sempre, anzi quasi mai ciò che si vuole. La volontà normalmente
è guidata dalla ragione, dal retto giudizio o buon discernimento che si voglia dire. La
ragione e la volontà distinguono l’uomo quale persona, lo fanno “animale politico”,
avrebbe detto Aristotele, capace di relazione, e solo nella relazione conoscere e ri-conoscere se stesso, essendo persona, sostantivo esclusivamente umano od attribuibile ad attività umane (da cui personalità giuridica di un ente od una società), non è per nulla equivalente di individuo, che è quanto distingue e differenzia i singoli nel branco animale.
Nella persona la capacità riflessiva, l’uso consapevole della volontà, hanno un valore
naturalmente superiore ai sentimenti ed alle emozioni, per loro indole incostanti, per
quanto superiori alla sensibilità fisica e le pulsioni. Ma ciò che si considera superiore (la
ragione – il logos) lungi da reprimere con imperio, violenza, deve dimostrare sapienza,
ponendosi al servizio, orientando, guidando, correggendo. Così dicono i filosofi antichi
e non solo cristiani, l’uomo vero, integrale, saprebbe nutrirsi e gustare di tutto, nella
gioia, nella bellezza, non accontentandosi di surrogati, di ciò che è fittizio, effimero.
Penetrerebbe il “mistero” della propria persona, come dell’intera natura, partendo proprio dal corpo, dalle proprie emozioni e sentimenti, dalla propria esistenza. Ma affrontare bene questo argomento richiederebbe molto spazio e tanto tempo, un’intera tesi.
Gli individui non trovano “accordo” e non sono capaci di un’utopica auto regolamentazione, come accade sempre più spesso in ogni controversia, dal condominio, alla famiglia, al lavoro, alla definizione di una collocazione “sui generis” del proprio orientamento sessuale e perfino di dove sia il confine tra la vita e la morte, per tutto ciò si cerca supplenza, capacità onnicomprensiva e risolutiva dello stato. Vuoi come funzione paterna di
giudice e gendarme, vuoi come funzione materna di assistente sociale e sostegno psicologico “garantito”.
Se va addirittura inventato un “trascendente” che superi e regoli le continue contingenze
e minuzie, se dovesse finire per essere rappresentato tale “principio” dallo stato, come
ordinatore “super partes” nella babilonia dei “diritti individuali”, se l’Ideale, il Collettivo,
il Partito o la Nazione, assumessero poteri speciali e supremi, ad ennesima pessima caricatura del soprannaturale, sappiamo già a quale derive potrebbe condurre tutto questo, in
fallace opposizione alla deriva “individualista”, radical liberale.
Non sono certi ambienti più di altri a determinare talune deformità dell’animo umano.
Sappiamo che gli ultimi avvenimenti condannano anche uomini del clero, con responsa-
32
bilità più o meno gravi, oggettive e soggettive.
Non sarà tuttavia “liberando le pulsioni” e stravolgendo le norme millenarie della vita
comunitaria che si potrà ovviare, come sembrano farci intendere talune campagne mediatiche o certi commentatori. Il monachesimo, inteso come ritiro dal mondo, personale o
comunitario, la consacrazione verginale o nella castità, non sono prerogativa cristiana. Se
ne ha traccia remota nel buddismo, nell’induismo, nel taoismo, nel mondo antico occidentale. In quanto all’ebraismo, non essendo la norma prevalente, è accertato che alcuni
personaggi, certamente uno fra i più grandi dell’Antico Testamento, avessero abbracciato tale via. Intendiamo Elia il tisbite, padre spirituale dell’ordine carmelitano, ordine
mendicante d’istituzione canonica medioevale, che tuttavia fa risalire al profeta asceso
vivo ai cieli su un carro di fuoco, la fondazione ideale, la continuità vocazionale.
Non credo saranno mai i metodi farisaici a risolvere le questioni, in altre parole, non sarà
la norma che ci libera da un’altra norma. Anche se occorre perseguire la giustizia, il
rispetto della legge, senza compromessi e sconti.
Ma è il cuore dell’uomo che deve leggere il “senso” della regola.
Ciò che lo regola e lo lega (da cui la stessa possibile etimologia di religione) in una relazione con l’altro uomo e di più, con Dio stesso. Se in questa relazione non c’è donazione
sincera, anche la regola giusta diventa opprimente, anzi più opprimente che mai. I santi,
resisi strumenti di grazia nelle mani di Dio, hanno in mezzo ad un sistema di regole oppressive, tratto il bene dal male, la gioia e la bellezza dal marciume più nauseabondo.
2.3
Avete mai visto il film di Roberto Benigni: La tigre e la neve?
Non è sorprendente che un film come “La vita è bella” di Roberto Benigni abbia avuto
un riconoscimento così grande, quanto e più di chi aveva trattato con un realismo, poco
avvezzo alle ironie ed i nonsensi, lo stesso argomento. Anche in mezzo alla follia del razzismo e della repressione “si può sempre uscire”, salvando i corpi oltre che le anime17.
Ma devo sottolineare un’altra produzione, passata in second’ordine, forse per certi aspetti maggiormente vicina ai nostri argomenti. Cioè “La tigre e la neve” (uscito nelle sale
_______________________
17 Dal film Schindler’s list, diretto da Steven Spielberg, 1993.
33
nel 2005).
Anche qui la metafora rimane forte, al limite, regge perché “fa ridere”, ma il paradosso
(il titolo è già tale, perché occorre che la protagonista del film veda insieme una tigre
libera sotto la neve a Roma, affinché ceda alle avances del protagonista maschile), una
specie di koan - Zen, che invita ad una riflessione sconvolgente, solletica l’intuizione ai
livelli più sublimi, non più “dialogici”. Ecco che l’amore, paterno in un caso (la vita è
bella) e coniugale nell’altro, dice che superandoci, nella donazione completa, senza
scopo più alcuno, si può tutto. Questo spasimante, pentito delle sue scappatelle, che va
in mezzo alla guerra per “salvare” l’amata, non sta in piedi, non più di una sedia a due
gambe. Rincorre una donna piena di rancore contro di lui, per i suoi errori e tradimenti
passati, da cui è separato da un baratro che appare senza fondo e senza ponti. Lui sogna
ogni notte di sposarla, non in abito nuziale ma in mutande, allusione evidentemente erotica, con certe frecciatine all’interpretazione “dotta” di una certa psicologia, mai doma,
malgrado Freud sia passato di moda.
Costui nell’impeto passionale, ad un certo punto della trama, moderno Don Chisciotte,
corre a salvare l’amata, rimasta ferita sotto un esplosione (conflitto iracheno), ormai
ridotta in coma. Rinuncia a tutto, lavoro, decoro, perfino la minaccia della galera, rinuncia anche ai figli che ama tantissimo ma che passano in coda all’amata, pur di arrivare a
Baghdad, benché “città blindata” sconvolta dalla guerra e lì vederla, salvarla. Rinuncia
altresì ai sogni, cioè al sesso ed alla festa, e quando le cose prenderanno la piega giusta,
perfino a “farsi riconoscere” da lei (ma questo avverrà comunque, provvidenzialmente),
per averne meriti o ricavarne diritti, malgrado sia protagonista della sua uscita dal coma.
Un significativo risveglio dalla quasi morte alla vita, giacché è già “morte” un’esistenza
vegetativa imprigionata su un lettino d’ospedale. Come riconoscere la vita in un corpo
inerme privo di ogni vitalità apparente, appena un fievole battito? Ma per il protagonista,
su quel lettino c’è una persona viva, cui dà infatti piena relazione. Un corpo cui è negata la vita oltre il “visibile”, la percezione dei sensi, la ragione comune e perfino scientifica. E lei si sveglierà, risorgerà in un certo qual modo, da questo torpore mortale. Anche
per lui ci sarà un risveglio, non dal coma fisico, da quello esclusivamente psichico, dal
sogno meramente passionale, risveglio all’amore integrale. Nel frattempo l’amico iracheno, comune ai due, perde la “speranza” in ogni ideale, si suicida.
Cede emotivamente e si lascia inghiottire dal “nulla” razionalista, in cui trova una falso
approdo, invano cercando di pacificare il suo acuto spirito indagatore, uomo certamente
pieno di virtù e conoscenze, non di ardente amore, umano e divino. Mentre la coppia si
34
risveglia alla vita, lui fugge verso il suo solitario tormentato abisso.
Questo “povero Cristo”, il Benigni innamorato, sconclusionato e smemorato, non esiste
che per il suo film, si può dire che se esistesse sarebbe semplicemente un pazzo.
Proprio come i santi, follemente innamorati di Dio, se è vero che affida, anche lui, l’ultima “chance” ad un Pater, recitato senza convinzione, forse con un occhio al “target”
delle sale cinematografiche, eppure ammissione implicita dell’abbandono alla provvidenza divina, dopo che quello che si poteva umanamente fare per salvare l’amata si era
esaurito: tutto compiuto! L’amore senza contropartita può il miracolo.
Ed in Benigni sembra che certe stoccate politiche come gli eccessi di erotismo, ricercati, sovraccaricati a forza, non siano il fine, ma un mezzo, come un velo, per dire ciò che
non si può discorsivamente, meglio forse per altre vie, diciamo poetiche, usando ancora
una metafora intelligibile.
E c’è un duplice momento del film da visionare meglio in questa prospettiva. Intendo il
monologo esilarante che svolge, a mo’ di lezione sulla poesia, agli studenti universitari.
Poi il dialogo, si fa per dire, principalmente ancora monologo, toccante e poco ironico
stavolta, tra Benigni e l’anziano “saggio” iracheno. Evidentemente esiste e si concretizza in questo incontro un linguaggio universale, perché Benigni farfuglia frasi apparentemente senza senso, che a tratti richiamano immagini escatologiche, tutto in toscano
andante, ed alla fine, l’altro, in arabo, commosso, lo benedice in nome di Dio.
Finché l’eros e la passione non trascendono, si lasciano trasformare in Agape, siamo
ancora all’infanzia capricciosa ed immatura dell’amore.
Poiché l’energia erotica per ammissione degli stessi epigoni della rivoluzione sessuale è
un’energia paragonabile ad una potente arma energetica, più che atomica, si potrebbe
dire neutronica. Allora chi può dire a chi se deve liberare tale energia o se deve invece
incanalarla a sommi fini? Chi è malato e chi è sano? Chi può fare liberamente ciò che
crede, senza farsi giudicare da niente e nessuno? Non si tratta in effetti mai solo di giudicare o condannare, semmai capire, correggere severamente, ma anche curare nell’amore, se e quando c’è una patologia, talvolta gravissima. E purtroppo di questo si parla spesso, di patologie, che affondano radici profonde nell’essere umano, che non sono guaribili o risultano poco curabili, solo con la terapia e la pillola giusta. Così invece è teorizzato da alcuni. Meglio l’ergastolo ed i lanciafiamme dicono altri, spesso scambiandosi i
ruoli inopinatamente e repentinamente.
Tale situazioni estreme, tuttavia sempre più diffuse, non sono solo una specie di “scompenso” psicologico o sociologico, neppure basta rilevare l’evidente sfasatura tra la legge
35
naturale e costume, anzi legge naturale e diritto.
Non è il visibile che comanda l’invisibile. Ma è l’invisibile che guida e precede ontologicamente il visibile. Avviene naturalmente anche in noi, giacché il logos, l’intenzione e
la volontà, precedono ed accompagnano la parola, il fare od in non fare, i movimenti dell’azione.
Ma mentre la legge giudica l’opera compiuta, ed altrimenti non sarebbe (e deve giudicare con rigore), nessuno può giudicare l’intenzione nascosta a meno di cadere nella presunzione e nell’arbitrio. Questi due ambiti non vanno confusi, il rispetto all’uomo, della
sua preziosità unica davanti a Dio, anche fosse il più spregevole degli esseri, non c’entra
nulla con la riprovazione e punizione dei suoi atti.
2.4 L’educazione all’amore, sfida dei tempi
Mi chiedo allora: se un uomo non ha mai, o solo per pallidi riflessi, conosciuta la luce
del sole, è “cieco” in affettività, cioè mai apprezzato la bellezza dell’amore, sensibilmente e psicologicamente donato e perdonato, come potrà dare a sua volta qualcosa di
buono? Essere capace di farsi specchio e riflettere, almeno qualche raggio, della luce del
sole visibile (e soprattutto di quello sopra celeste)?
A questa obiezione, secondo me legittima, che sempre più coinvolge anche la formazione pastorale per coppie e la stessa formazione nei seminari, va data risposta. Magari parziale e sbagliata, ma dobbiamo provarci.
Se noi pensiamo all’eredità caratteriale e psicologica, culturale, lasciata dai nostri genitori, da ciò possiamo capire che quanto oggi siamo, inevitabilmente, risente dei loro stessi limiti umani, delle difficoltà patite nella loro vita, magari trascorsa nell’indigenza economica o in un benessere “freddo” e distaccato nei rapporti. Risente altresì dei conflitti
generazionali o di coppia, talvolta tremendi, per fino di sanguinose guerre tra comunità,
tra stati e negli stati, conflitti sociali esasperati. Più di ogni cosa la povertà affettiva di un
ambiente che non sempre trasmetteva, oltre alla forma, anche la sostanza dell’educazione, ciò che ne permette di cogliere totalmente la necessità e la bellezza. Quella tenerezza che sa disporsi, guidata dalla buona volontà, al dono di sé ed al perdono, ovvero
all’ascolto ed all’accoglienza, incondizionati. Qui non vi è epoca che conti, miseria o ricchezza sociale, cultura elementare o superiore. E’ un comportamento guidato dall’intel-
36
ligenza del cuore, che nel centro della persona trova ciò che altrove difetterebbe o potrebbe manifestarsi sempre insufficiente, molto parziale.
Perdona chi sa di essere stato perdonato, ma se tale sapienza deve fondarsi umanamente su un’esperienza profonda dell’essere, mi chiedo come è possibile che molti santi,
provenienti da famiglie e situazioni “culturali” disastrate, comunque senza quella tenerezza che compendiasse il rigore, siano approdati a fare “esperienza” del dono e riflettere ad altri la tenerezza dell’amore Dio.
Credo che, se come dicevano gli antichi saggi, “il simile conosce il simile”: “Con la terra
infatti vediamo la terra, l’acqua con l’acqua, con l’aria l’aria divina, e poi col fuoco il
fuoco distruttore, con l’amore l’amore e la contesa con la contesa funesta.” (Empedocle
d’Agrigento, 492 a.C. circa – 430 a.C. circa)18.
Non meno vero che “da una spina nasce una rosa, dalla rosa una spina” che è meno filosofico ma rende bene l’idea di un altro filosofo dell’antichità, per Anassagora
(Clazomene, 496 a.C. – Lampsaco, 428 a.C. circa) il principio essenziale della conoscenza è che «il simile conosce il dissimile», pervenendo ad una concezione opposta a quella di Empedocle: all’origine delle percezioni umane ci sono i contrasti tra elementi opposti (con il caldo si percepisce il freddo, con il dolce l’amaro eccetera); quindi si conosce
sulla base del dissimile, non del simile.
Come mettere tutti d’accordo? Forse c’è una parte di verità in entrambe le intuizioni.
Dunque può essere che l’esperienza della sana educazione, non avviene sempre e necessariamente attraverso la discendenza generazionale, in altri termini per “vicinanza” culturale e-o genetica ovvero per l’esempio trasmesso in via immediata e sensibile tra “simile e simile”. Anzi nei tempi attuali, di sfascio “istituzionale” delle famiglie, questo difetterà sempre più, al punto che oggi non manca solo la tenerezza, ma come diceva qualcuno, siamo alla sua inflazione, al “tenerume”.
Ma purtroppo, manca perfino l’abc della forma e della sostanza educativa. Non la rigidità, che è sempre controproducente, dico il sano rigore nella perseverante proposizione
della norma, certa e rispettata, testimoniata, oltre che detta, nel senso etimologico che è
“in segnata” ed “in formata”, perché riesce a segnare dentro, e questo lo può fare solo chi
è conforme a ciò che dice, lo vive, ed a volte non ha neppure bisogno di dire nulla.
Allora l’educazione va oltre il fatto esteriore, trasmissione di norme, nozioni astratte,
_______________________
18 Cfr. G. GIANNANTONI, I Presocratici. Testimonianze e frammenti, Laterza, Roma-Bari, VIII
ed., 2004, Vol.I, p. 406.
37
veramente EDUCA, anche qui seguendo il senso della parola, (e- ducere) conduce fuori
ciò che è dentro di noi, quell’energia dell’anima cui riferisce il monaco di Saint Thierry.
Anche ciò che appartiene allo spirito, l’educazione all’amore naturale e soprannaturale,
penso che passerà sempre e sempre di più, da figure nuove, non necessariamente in senso
stretto, “familiari”.
Per questo il ruolo degli insegnanti, degli educatori, degli stessi sacerdoti o dei catechisti, degli animatori, di quanti affiancano, a volte per molto tempo ed in modo principale,
il bambino, l’adolescente, il giovane, hanno un compito enorme e delicato cui non possono più sottrarsi o peggio che mai, deturpare in modo detestabile, davanti agli occhi di
Dio e degli uomini.
La comunità cristiana che nel suo insieme è a sua volta fortemente condizionata dal
mondo attuale, per essere comunque “spina da cui nasce la rosa”, può trovare, e deve trovare, al suo interno il Simile, che conosce, attira e genera il simile.
Cioè Cristo, il Verbo generato dal Padre, nello Spirito Santo, che prende corpo, carne e
sangue dal grembo di una donna, la Madre Immacolata, la Vergine Maria.
Dunque ci sono processi di generazione e di conoscenza che non necessariamente e totalmente possono sovrapporsi.
Questo processo di duplice generazione e conoscenza, spirituale ed umana, proviene da
Colui che è Simile al padre nella divinità e per amore si fa simile all’uomo nella sua
debolezza, continua per l’opera dello Spirito Santo ad operare nella Chiesa, per mezzo
della Chiesa, tra tutta l’umanità.
Un qualcosa che pur fondandosi su norme corrette, un’antropologia, una psicologia ed
una sociologia appropriati, sulla visibilità delle persone e la concretezza dell’esperienza,
deve, in ultima istanza, fondarsi sull’invisibile, o meglio, sulla presenza Reale
dell’Invisibile, che è propriamente il Mistero Eucaristico, dei Sacramenti in genere, cioè
l’esperienza dell’amore che nasce nella profondità dell’essere, quando ognuno coglie il
dono e la tenerezza di Dio nella relazione “familiare” con il Signore, la preghiera di pentimento, di supplica o di lode.
Infine la preghiera di “ascolto”, nel silenzio, quando l’Innamorato guarda negli occhi la
sua amata ed il tempo si ferma, mancano, non esistono, parole giuste!
Ma dove e come, questo è possibile? Se sono un carcerato, un diseredato, un orfano
abbandonato? Diciamolo senza mezzi termini, un relitto della società, con una vita sul
piano fisico e psicologico a dir poco disastrata. Meditiamo quanto dice uno dei più grande santi della cristianità orientale ed occidentale, il più grande della Russia moderna.
38
Oh! Quanto vorrei, amico di Dio, che in questa vita voi siate sempre con lo Spirito
Santo. “Vi giudicherò nella situazione in cui vi troverete” dice il Signore (Mt 24,
42; Mc 13, 33-37; Lc 19, 12 e seguenti). E’ una disgrazia veramente grande se egli
ci trova appesantiti dalle preoccupazioni e dalle pene della terra perché Egli potrebbe adirarsi nel qual caso chi gli potrebbe resistere? E’ per questo che è stato detto:
“Vegliate e pregate per non essere indotti in tentazione” (Mt 26, 41), il che comporta non essere privati dallo Spirito di Dio visto che le veglie e la preghiera ci donano la Sua Grazia. Sicuramente ogni buona azione fatta in Nome di Cristo dona la
Grazia dello Spirito Santo, ma è soprattutto la preghiera che ottiene ciò al di sopra
d’ogni altro mezzo, essendo essa sempre nelle nostre possibilità. Ad esempio, voi
avete il desiderio di recarvi in chiesa, ma essa è troppo distante o la liturgia è finita;
avete il desiderio di fare l’elemosina, ma non vedete alcun povero o non avete il
denaro; volete rimanere vergini ma non avete sufficiente forza per esserlo a causa
della vostra costituzione o a causa degli attacchi del nemico davanti ai quali non
potete resistere per la debolezza della vostra carne; vorreste fare una buona azione
nel Nome di Cristo ma non avete sufficiente forza per eseguirla oppure l’occasione
non si presenta. Per quel che riguarda la preghiera nulla la impedisce: ognuno ha la
possibilità di pregare, il ricco e il povero, l’uomo benestante e quello indigente, il
forte e il debole, il sano e il malato, il virtuoso e il peccatore19.
Come si distingue allora l’agape cioè l’amore di comunione?
Ferme la gerarchia dell’amore o se vogliamo dei differenti amori, c’è sempre una prova
del nove per conoscere la correttezza delle intenzioni ed operazioni eseguite:
A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male… Se
amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano
quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui
sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene
senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli
dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati;
non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. (Luca-6, 27)
Amare i nemici, ancora di più, il congiunto e l’amico che “tradisce”, facendosi il peggiore tuo nemico. Così si è incorporati veramente in Cristo, ed ogni ferita al Corpo, ogni arto
o cellula malata è Sua e mia ferita. E’ questa la visione di Cristo che dal Golgota spinge
lo sguardo su un orizzonte che non conosce più la curvatura dello spazio, la corrosione
dei tempi, Colui che è misteriosamente uno con il Padre come con tutta l’umanità, anzi
tutta la creazione, bagnata e redenta dal sangue della croce, che cadendo dalle Sue ferite
feconda la terra. Per questo Paolo (Rom.8) dice che… “La creazione geme e soffre per
le doglie del parto”. L’amore equanime, pronto al sacrificio per i nemici, ci unisce non
solo nel segno, pienamente nell’esistenza, alla Passione ed alla Croce del Signore, alla
_______________________
19 I. GORAINOFF, Serafino di Sarov. Vita, colloquio con Motovilov, scritti spirituali, Gribaudi,
Milano 1981.
39
Sua Risurrezione. Questo è l’amore perfetto, che non possiamo certamente neppure pensare di realizzare da noi, ma alla sequela di Cristo, sorretti ed illuminati dallo Spirito
Santo.
2.5 Il matrimonio fondamento naturale (e soprannaturale) della famiglia, la
famiglia fondamento della società civile.
Affronteremo ora la questione del matrimonio vorremmo dire come laici, pur sapendo
che storicamente laico non equivale a “non credente”, ma colui che battezzato, credente
e praticante, non riveste abito religioso. Se laico vuol dire che si può fare a meno di mettere Dio e la religione dappertutto, sappiamo onestamente che è impossibile vivere questa schizofrenia, potremmo anche provarci, ma sarebbe come se un pesce potesse viver
fuor d’acqua.
Ha pienamente ragione San Tommaso d’Aquino quando afferma che: …“ogni legge
introdotta dall’uomo ha la natura di legge, in quanto deriva dalla legge naturale. Che se
in qualche modo è contraria alla legge naturale, non è più legge ma corruzione della
legge”20.
Approfittiamo di uno studio comunque molto interessante dello scrittore giornalista
siciliano Padre Gerlando Lentini ricavato tramite internet21.
Una serie di citazioni di personaggi legati a filoni di pensiero “laici” e vedremo che fino
a poco tempo fa ciò che afferma da sempre la Chiesa Cattolica era quanto lo stesso pensiero addirittura ateo sosteneva, con argutezza di pensiero e finezza di linguaggio.
L’on. Giuseppe Pisanelli, liberale, ministro di Grazia e Giustizia dal 1862 al 1874, in un
suo discorso alla Camera dei Deputati sul matrimonio, diceva: “Si è detto che il matrimonio è un contratto; ma si cade in errore quando con quella posizione si voglia intendere che il matrimonio non sia altro che un contratto... Il matrimonio, una volta celebrato, non è più un contratto ma uno stato” (Atti Parlamentari, Camera dei Deputati,
14.2.1865).Carlo Marx nelle sue opere giovanili scriveva: “Se il matrimonio non fosse a
base della famiglia, non sarebbe oggetto della legislazione come non lo è, per esempio,
l’amicizia.” Papa Leone XIII riprende con similitudini di frasi l’argomento risolutivo
_______________________
20 Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa theologica, I/II, 95, 2.
21 http//www.colombo.ion.it/.../la%20via%20%20divorzio%20delitto%20legalizzato.doc
40
sulla superiorità, naturale e sociale, del matrimonio su ogni altra relazione umana e sociale: …“Poiché il connubio è la massima società e amicizia, a cui di sua natura va unita la
comunione dei beni” (Leone XIII, «Quamquam Pluries», 15 ag. 1889).
L’U.D.I., già unione delle donne italiane (organizzazione femminile del partito comunista italiano) nel suo 7° Congresso Nazionale affermava:
“L’unione matrimoniale non sarebbe perfetta se non fosse univoca, duratura e irrevocabile. L’indissolubilità è storicamente una conquista della donna, sottoposta precedentemente alle condizioni umilianti vuoi della poligamia, vuoi del ripudio” (Unità, 3.6.1964).
Ada Alessandrini sua massima esponente affermava: in una Conferenza Stampa del
20.10.1971:
“Sono antidivorzista perché sono donna, perché mi sono sempre interessata dei movimenti femminili, del problema delicato della emancipazione della donna italiana in questo momento storico; sono antidivorzista perché sono consapevole dell’importanza che
ha la famiglia nella società italiana.
Di famiglia ce ne può essere una sola: non due o tre, un pezzo qua e un pezzo là. O si
crede nella famiglia o non ci si crede.”
Indipendentemente da queste prese di posizione, in cui oggi forse i vari partiti e movimenti di varia ispirazione social - liberale non si riconoscerebbe, (“io non ho radici, quelle poche che metto, iniziano sempre con me e finiranno con me”… diceva un mio conoscente che rendeva immediato il succo del pensiero, soprattutto del costume attuale, dilagante, oltre che dominante), è da considerare ciò che le scienze umane, la psicologia, la
sociologia, la pedagogia, proprio oggi cominciano a denunciare, (considerando anche i
danni economici) quanto la disgregazione del matrimonio ha prodotto nel corso degli
ultimi decenni, lacerandosi con l’unità familiare, le fondamenta costitutive e lo sviluppo
ordinato della società civile.
Già negli anni sessanta dello scorso secolo ci fu un primo approccio “scientifico” al problema, laddove proprio 500 anni prima non solo erano diventato legale il divorzio, ma
con un atto di imperio del Re d’Inghilterra (che aveva portato nel 1535 alla decapitazione di Tommaso Moro) si era determinata la rottura con Roma.
“…Una Commissione reale di diciannove membri, concludeva i suoi lavori con queste parole di ammonimento: “Se tale tendenza al divorzio continuerà senza alcun
freno, si arriverà al punto in cui sarà necessario chiedersi se non vale la pena abolirlo per il bene della comunità ed obbligare i coniugi ad accettare le durezze connesse con un tale provvedimento”. E ciò per risparmiare ai ventimila bambini che ogni
anno sono coinvolti in azioni di divorzio uno choc che si ripercuoterà in ogni fase
della loro esistenza”. (A.Ferruzza , Oggi, 7.6.1962).
41
Mike Bongiorno, popolare personaggio televisivo, molto amato dagli italiani, recentemente scomparso, in una pagina di “confessioni” pubblicata sul Messaggero (26 marzo
1972), affermava di sentire molto la mancanza di una famiglia essendo figlio di divorziati (in U.S.A. da dove proveniva), e poi andando incontro anch’egli, a ripetizione, a più
dèbacle matrimoniali:
“Non è che i miei genitori - diceva Mike - non mi volessero bene, ma il loro amore me lo
davano al 50%, ed a turno; e per un figlio l’affetto, quando non viene contemporaneamente dal padre e dalla madre, non è un affetto normale”.
In effetti le parole del Vangelo richiamano alla semplicità della vita: il figlio (uno) è l’incarnazione dell’amore nelle stesse persone fisiche e psicologhe dei genitori (due); questo
è un dato lapalissiano, oggettivo, inopinabile.
Il figlio... non si può dividere; e se sono indissolubili i vincoli tra i coniugi e il figlio
visto che la legge dello stato, cercando di contenere la disfatta sul terreno dell’indissolubilità coniugale si è attestata sulla linea della difesa ad oltranza della “genitorialità condivisa e per sempre”, con difficoltà enormi, ambiguità, ridotte possibilità di intervento su
un certo costume e comportamenti sempre più “innaturali”, se il legame generazionale è
per sempre, potrebbe essere logico considerare indissolubile quanto produce tale stato.
Riportiamo alcuni luoghi comuni sul divorzio commentati da un periodico di orientamento cattolico, che nel merito può offrire elementi seri di riflessione sull’argomento22:
1) Quando tra marito e moglie non si va più d’accordo, è meglio divorziare.
Non è vero. Recenti ricerche condotte negli Stati Uniti hanno dimostrato che, all’interno di un campione di coppie che negli anni Ottanta avevano dei problemi e
dichiaravano di essere infelici, ma hanno ugualmente deciso di portare avanti il loro
matrimonio, cinque anni più tardi ben l’86 per cento di loro, non solo avevano superato il momento di difficoltà, ma erano molto più felici di prima.
2) Il divorzio serve a fare esperienza, dagli insuccessi si impara, e i secondi matrimoni vanno meglio del primi.
Il tasso di divorzio nei secondi matrimoni è in realtà molto più elevato che nei primi.
Quando viene meno la convinzione dell’indissolubilità, si apre la diga delle «prove
a ripetizione», alla ricerca del legame giusto.
3) Il divorzio non ha conseguenze sui figli, che recuperano alla svelta il trauma.
È vero il contrario. Il divorzio aumenta nei figli i problemi di rapporto e di relazione con gli altri e tali difficoltà durano a lungo.
4) Se i genitori non vanno d’accordo, per i figli è meglio che divorzino.
Anche questo non è assolutamente vero. Secondo uno studio americano del
_______________________
22 In Il Timone, n. 30, feb. 2004.
42
1997, solo il bambino che si trova in famiglie altamente conflittuali trae beneficio
dalla rimozione del conflitto che il divorzio potrebbe portare. In realtà questo vale
per una minoranza di casi, nei 2/3 di matrimoni che si concludono con il divorzio,
il conflitto è invece medio - basso, e quindi la soluzione migliore sarebbe che i genitori, continuassero a rimanere insieme, affrontando i loro problemi.
43
CAPITOLO 3
NON SEPARARSI DALL’AMORE DI DIO
3.1 Una rinnovata pastorale per pastori e greggi dai cuori teneri
Come Gesù «ha sempre difeso e proposto, senza alcun compromesso, la verità e la
perfezione morale, mostrandosi nello stesso tempo accogliente e misericordioso
verso i peccatori», così la Chiesa deve possedere e sviluppare un unico e indivisibile amore alla verità e all’uomo: «la chiarezza e l’intransigenza nei princìpi e
insieme la comprensione e la misericordia verso la debolezza umana in vista del
pentimento sono le due note inscindibili che contraddistinguono» la sua opera
pastorale. (dal Direttorio di pastorale familiare, cap. 7°, luglio 1993)
Dice bene questo testo fondamentale per i pastori ordinati come per gli operatori di pastorale, ma ciò che afferma solennemente non è stato sempre attuato, anzi in molti casi è
stato disatteso e stravolto. Come insiste da anni Mons. Carlo Rocchetta, (cofondatore
della Casa della Tenerezza di Perugia, da molti anni centro multi funzione per la famiglia) qualunque sia la situazione del separato che bussa alla porta, colui che vuole
vivere nella Chiesa l’autenticità il messaggio evangelico, prima di ogni giudizio dovrà
imparare ad ascoltare. Una vera accoglienza ed un discernimento “giusto” non è possibile slegati dall’amore, certamente non un amore sentimentale ma fondato sulla verità.
Bisogna arrivare con l’aiuto della grazia, a trasmettere la paternità di Dio la maternità
della Chiesa, quella tenerezza che può “riconciliare” la vita di relazione, con gli altri e
con Dio, malgrado i traumi della crisi matrimoniale e familiare, a dire il vero l’attraversamento di ogni altra peripezia23.
Chi si separa vive situazioni che la sensibilità umana degli uomini di chiesa e la stessa
comunità locale, non ha sempre saputo cogliere. E’ inutile ribadire che quando c’è un
problema serio si preferisce spesso non parlarne od applicare dei cliché, ovvero affidarsi al proprio intuito e la propria scienza e coscienza.
Eppure le frasi del magistero sono chiare. La separazione innanzi tutto non ha nulla di
peccaminoso in sé. Già il “Pastore di Erma” si esprime con chiarezza, mille e novecento
anni orsono. In taluni casi la rottura della convivenza non solo è possibile, è necessaria,
auspicabile, per ragioni che riguardano la salvaguardia dei beni, l’equilibrio psicofisico
di singoli elementi della famiglia ed anche della stessa vita di un coniuge o dei figli. E’
_______________________
23 Cfr. C. ROCCHETTA, Vite riconciliate - La tenerezza di Dio nel dramma della separazione,
EDB, Bologna, 2009.
44
un valido motivo lo stesso adulterio, da intendersi anche come rinnegamento esplicito delle
promesse battesimali, rinnegamento della fede, il che è molto importante nell’oriente cristiano, un adulterio forse più grave dell’infedeltà coniugale. Tutto questo ed altro può concorrere all’interruzione legittima della convivenza. E’ certamente vero che quando uno dei
due coniugi, vivesse intensamente e cristianamente il sacramento, e malgrado ciò, anzi a
ragione di ciò, intraprende tale via, lo farà sempre con una certa ripugnanza. Spererà se non
la riconciliazione, almeno nella conversione, un ritorno alla fede del coniuge.
La maggior parte delle separazioni non propone ovviamente tali situazioni. La casistica
è imponderabile, raramente si può trovare analogie comparabili. Ogni caso è a sé.
Tuttavia la maggior parte delle volte avviene per una difficoltà reiterata, a volte mai
affrontata, anzi neppure individuata, e che alla fine è “risolta” con la separazione;
approntando quella dicitura giuridico – psicologica che farebbe tanto sorridere se non
fosse tragica: “incompatibilità di carattere”.
Tipico modo per dire tutto e niente, evitare “concordemente”, con minor spese economiche e traumi, una lunga terapia “strizza cervelli”, od una causa impugnata giudizialmente e poi perseguita fino all’ultimo grado di giudizio.
Sarebbe giusto dire che in molti o quasi tutti questi casi di “inconciliabilità”, in soldoni,
c’è di mezzo un’infedeltà, “una storia” sentimentale che prima, durante o dopo, ha
sopravvento sulla realtà matrimoniale.
Questo è vero, non meno vero che non sempre l’infedeltà coniugale è causa prima ed
unica di una rottura tra i coniugi.
Se tra loro la “comunione” (preferisco questo termine a quello più psicologico, in effetti
equivalente di “comunicazione”) è imperfetta o completamente venuta meno, l’infedeltà, l’adulterio, spesso ancora non giunto alla sua concretizzazione, oserei dire perfezionamento, è concausa, se non l’effetto di una falla nella nave, in cui ha potuto inserirsi con
la massa d’acqua, anche lo squalo.
Naturalmente in questo contribuisce dall’800 in poi la concezione dell’amore quale passione sentimentale, che supera ogni ragione, imprigiona la volontà, essendo “stretto”
l’uomo dalle convenzioni di una società che lentamente trapassa dall’egemonia aristocratica a quella del ceto “medio”. L’aristocratico fallito come il borghese rampante possono
riconoscersi senza fatica nell’amore struggente, impossibile, segreto, fatale, estremo, un
po’ “bohemienne”, che affianca e rimpicciolisce il matrimonio d’interessi, piccoli o grandi che siano. Si rifiutano tuttavia di considerare “amore” il pagamento della prestazione
delle “case chiuse”, quasi un lusso, comunque irrinunciabile per il “volgo”, il nascente
45
proletariato urbano che preferisce magari questo ad una “passione” troppo lacerante ed
un’amante esigente. Sia l’aristocratico decaduto che l’intellettuale borghese possono
riconoscersi senza sforzo nell’eroe “innamorato” del melodramma lirico, un trasporto
emotivo sui generis, un transfert si direbbe oggi, esaltante o consolante, a seconda gli
umori ed i caratteri.
Dopo questo lunga soggezione culturale al romanticismo eroico, fino agli epigoni del
decadentismo, ha iniziato a svilupparsi, spesso in modo virulento, la cultura e la “pratica” della nuova ed epocale liberazione totale delle emozioni e del sesso.
Tutto questo ha cavalcato, parliamo della seconda metà del XX secolo, l’onda della ribellione più propriamente sociale e politica, fino a restare oggi quasi l’unica “forza antagonista” (oltre alla battaglia immancabile sui “diritti”), venendo con progressione esponenziale sempre meno, anche nelle forze di tradizionale impostazione marxista, ogni autonomia da un’ideologia con le più profonde radici nel pensiero radicale borghese.
Dunque che sia un motivo o l’altro a produrre la fine del matrimonio, è evidente che vi
sono ormai centinaia di migliaia di casi, solo in Italia, che possono definirsi a pieno titolo coppie “irregolari”, secondo il termine in uso presso il direttorio, in cui la formazione
di una nuova realtà familiare è susseguente la rottura (legittima o meno) di una convivenza coniugale, malgrado si sia voluto e celebrato un matrimonio cristiano.
Il dubbio è questo. Forse nei primi secoli della nostra epoca, non vi era pompa, ricerca di
una chiesa e degli abiti “in” per farsi il matrimonio “su misura”, i battezzati vivevano più
cristianamente la loro unione. Certamente non ricorrevano alla Parrocchia come ad “ufficio di servizi” in cui i sacramenti sarebbero mere celebrazioni sociali, precisamente quei
“servizi” che “l’incaricato”, il parroco o chi per lui, dispensa, servizi a cui accedere a piacimento, come si farebbe con la richiesta della carta d’identità. Ne ho bisogno, la chiedo, metto la mia miglior foto, pago quel che c’è da pagare, la ritiro, la porto in tasca,
all’uopo la esibisco. La perdo, ovvero in un momento di rabbia la strappo. Bene! Ripeto
la prassi, qualche “rottura” per gli intoppi, ma posso mettere una foto nuova e migliore
al posto della vecchia.
Ora contro una simile mentalità, che può corrispondere d’altra parte ai limiti umani non
solo di chi chiede, anche di chi eroga servizi, non c’è molta possibilità di dialogare.
Sarebbe inutile affrontare una discussione che mancherebbe dei rudimenti di una vocabolario comune. Riprendiamo il direttorio:
Occorre richiamare l’appartenenza alla Chiesa anche dei cristiani che vivono in
situazione matrimoniale difficile o irregolare: tale appartenenza si fonda sul battesimo
con la “novità” che esso introduce e si alimenta con una fede non totalmente rinnega-
46
ta. E’ una consapevolezza che deve crescere anche dentro la comunità cristiana.
In questo passo si possono riconoscere tutti coloro che hanno intrapreso una nuova stabile unione dopo il fallimento di una matrimonio precedente, fino a prova a contraria
valido sacramentalmente ed hanno un “dubbio” serio.
Ora va detto che la dizione “fede non totalmente rinnegata” può essere arcaica, modificabile, ma rende ancora bene l’idea. Solo chi non ha totalmente rinnegato la propria fede
vede nel primo fallimento matrimoniale e nella sua seconda unione, un “problema” da
discernere. Vuol dire che la fede, in Cristo Gesù Signore, che si dona senza misura, anche
ai suoi carnefici ed ai suoi traditori, aldilà delle “regole” canoniche, di ieri e di domani,
resta un esempio di amore cui non si può più prescindere. Ecco che la fede propone una
riflessione ed un’attenzione, che una donna od un uomo senza fede in Cristo potrebbero
non fare. Ma Cristo non parla solo con i mezzi ordinari del Vangelo o del magistero della
Sua Chiesa.
Lo stesso accade in talune coppie di fatto o negli sposi “civili” (coppie non credenti o di
altra religione) che separandosi mantengono certe “premure” soprattutto verso i figli. Un
modo educato e civile di separarsi, non oso dire pudico, che si protrae anche nel cominciare a muoversi con grande cautela, ben considerando il trauma che c’è stato, non facendo le corse nel riproporre e perfino imporre ai figli (ed all’ex medesimo), la nuova esperienza di coppia. Un atteggiamento che sembra obbedire ad una legge naturale, non
ad una norma, neppure ad una “buona novella” che forse non hanno conosciuto od
avuto occasione adatta per approfondire.
I cristiani che vivono una nuova stabile unione, malgrado la presenza di un matrimonio
sacramentale alle spalle, non debbono pensare che Cristo li ama meno per questo, meno
di chi è “normalmente” sposato, loro pubblicamente “adulteri” in mezzo a chissà quanti
ipocriti pronti a scagliare come duemila anni fa la loro pietra.
Solo chi si è da solo “imbrigliato” ed “imbrogliato” nel gioco delle norme giuste e sbagliate può pensare queste oscenità e dedicare anche solo un’ora del suo tempo a simili
vane facezie.
Abbiamo detto prima che ogni caso è un caso a sé, anche a fronte di un giudizio umano.
Ed a maggior ragione il giudizio del Giudice giusto e misericordioso, è personale, scruta non le apparenze esteriori, ma le intenzioni del cuore.
Esiste tuttavia innegabilmente un modo di affrontare cristianamente, anzi diciamo naturalmente, non solo il matrimonio, ma anche il suo fallimento ed il tentativo, giusto o sbagliato di ripercorrere non certo senza qualche obbiettiva difficoltà una nuova unione. Tale
47
nuovo patto per quanto vissuto intensamente, si spera stabilmente, non potrà comunque
“ripetere” il segno sacramentale, che gli sposi si sono irrevocabilmente donati, impresso
nell’anima e suggellato dall’unione dei corpi, senza nessuna imposizione.
Il sacramento nuziale è irrevocabile, non indelebile come il Battesimo, la
Confermazione e l’Ordinazione, lega le persone finché vive entrambe:
“Infatti una donna sposata è per legge legata al marito finché egli vive, ma se il marito
muore, ella è sciolta dal vincolo, liberata dalla legge, per cui non è considerata adultera se diventa moglie di un altro uomo.” (Rom.7:2-3) (1Co 7:39).
Ora sappiamo che molti cristiani non cattolici ed alcuni cattolici stessi intendono o pretendono di intendere “morto” in senso psichico o spirituale; poiché il coniuge ha tradito,
per primo ha commesso adulterio, è fuggito, ha commesso violenze, è insomma come
morto. Soprattutto su questo insistono talune comunità riformate. Le Chiese Ortodosse
trovano spunti nel passo evangelico di Matteo 19,9 dove c’è scritto: “Chi rimanda la propria donna, eccetto in caso di porneia, e ne sposa un’altra commette adulterio; e chi
sposa la ripudiata commette adulterio”.
In questo eccetto resta una porta aperta. Il Signore dà comunque un eccezione singolare
alla regola che Lui stesso prescrive. E’ proprio lo stesso Matteo a precisare come, tuttavia, dopo questa frase, Gesù risponda ai farisei ed ai discepoli stessi (che non a caso
esclamano esterrefatti che se le cose stanno così è meglio non sposarsi) entrando veramente, fin nel dettaglio sulla questione, per non lasciare spazio a stravaganze, altre “eccezioni” oltre la porneia.
Se vi furono spesso futili cavilli ad acconsentire il libello del ripudio, e Mosè accondiscese largamente in questo, ribadisce il Signore che questo non era (e non è) l’originario
progetto di Dio, ma con lapidaria chiarezza spiega di cosa si tratta, concessioni per la
“durezza dei cuori”.
Il Vangelo parla comunque di una sola eccezione: porneia.
Non traducibile certamente con adulterio, il vocabolario greco e biblico usa un’altra
parola moikeia. La conferenza episcopale italiana, traducendo concubinato od unione
illegittima ha fatto, a detta della maggioranza assoluta degli esegeti, una traduzione corretta24. E sappiamo anche che Gesù parla sempre usando un vocabolario tratto dalla vita
quotidiana e non una terminologia eterea, astratta. Nell’Antico Testamento era proibito il
matrimonio tra un ebreo e uno straniero, perché sorgente di sincretismo religioso e di cor_______________________
24 Cfr. B. OGNIBENI, Il Matrimonio alla luce del Nuovo Testamento, LUP, Roma 2007.
48
ruzione morale.
Ma ai tempi del Signore molte donne ebree sposavano un soldato romano per averne vantaggio economico. I soldati infatti erano veramente assoldati, secondo il significato più
materiale del termine. Ma una tale unione era considerata illegittima e invalida. Pertanto
non si trattava di un matrimonio, ma concubinato. Se una donna ebrea decideva poi di
lasciare il marito straniero (che era in realtà un convivente) poteva lasciarlo. Così come
chi esce da un’unione di fatto o da un matrimonio civile, stante tutte le altre condizioni
canoniche, può celebrare un valido sacramento nuziale.
In questo possiamo vedere anche la piena legittimità della Chiesa a porre non limiti verso
l’alto all’amore scambiato con libero consenso tra gli sposi, ma “legiferare”, intervenire,
indagare al caso, con ogni lecito mezzo e con i propri tribunali, se tale unione è veramente libera, non un raggiro, una messinscena con secondi fini.
Un consenso dato con maturità psicofisica, capacità di intendere e volere ciò che si dice
e si fa, coscienza di unirsi in modo pubblico ed ecclesiale, non solo per una celebrazione, per quanto toccante od imponente, valido sacramento, segno di una chiamata irrevocabile alla donazione di sé.
Questo per dire subito dopo che molti, troppi matrimoni degli ultimi decenni, forse sono
nati “invalidi”. Ma questa constatazione comunque non risolve la questione. Sia a monte
che a valle, molti problemi rimarrebbero “aperti”.
A monte qualcosa si potrebbe fare modificando e qualificando la preparazione.
A valle si potrebbe allora, quando si affrontasse seriamente e serenamente, nella verità e
per puro amore della verità, senza secondi fini, cautamente procedere alla verifica della
validità sacramentale. Dico cautamente perché occorre una grande sensibilità nel proporla e poi nel gestire le fasi intermedie lungo la sentenza. Ed anche su questo piano non
si può dire che siamo all’optimum.
Poiché non deve essere e neppure sembrare una scappatoia (un’alternativa ecclesiastica)
al divorzio civile, neppure è di fatto la risoluzione dei problemi di una famiglia, comunque spezzata, problemi che restano inalterati e talvolta perfino peggiorati, da un verdetto piuttosto che l’altro.
Ed infine ritornando al direttorio, vediamo quanto esso sia rimasto inascoltato e disatteso, ma in verità molto lungimirante quando al n.206 afferma che:
Le Chiese locali, oltre ad illuminare i fedeli sull’attuale legislazione canonica e a
favorire l’accesso ai competenti tribunali ecclesiastici, si adoperino per formare un
congruo numero di consulenti e per assicurare la loro presenza in modo sufficiente
e diffuso sul territorio. In ogni modo, è bene che un servizio qualificato di ascolto e
49
di consulenza venga predisposto nelle curie diocesane e presso i tribunali regionali:
ad esso si possono rivolgere i fedeli interessati, soprattutto quando si tratta di situazioni o vicende complesse.
Se ciò fosse stato anche in minima parte attuato, se molte energie al momento della distribuzione dei compiti fossero dedicate con profitto a preparare meglio prima ed accompagnare durante e successivamente, certamente il matrimonio e la famiglia, come i seminari e le comunità di vita consacrata, ne avrebbero ricevuto immensi benefici e supporti. Il che avrebbe potuto rendere in molti casi, anche la separazione, che altro non è se
non il fallimento di una chiamata, “una vocazione”, con tutte le sue conseguenze, se non
evitabile, comunque un evento in cui non perdere la bussola per l’orientamento.
Dove il cuore degli uomini non è “cambiato” e non vuole ostinatamente aprirsi, non possono essere le regole o peggio ancora, la coercizione, a cambiarlo, e questo vale in modo
indifferente sia per chi è chiesa/gerarchia come per chi si sente “fuori” od ai margini,
pensandola solo una struttura istituzionale e non un Corpo vivo di cui è membra attiva.
Naturalmente chi ha compiti pastorali mantiene responsabilità diverse e minori giustificazioni per “tirarsi fuori”, per quanto il Vangelo, la tradizione ed il magistero parlano a
tutti, e tutti avendo orecchie sono chiamati ad intendere.
L’impotenza reale od apparente che a volte l’autorevole magistero ha sul governo delle
cose per l’attuazione delle migliori intenzioni non deve spaventare. E’ una guerra di natura squisitamente spirituale che non ha inizi recenti e non si concluderà domattina, che
non si combatte tra eserciti schierati con divise riconoscibili, in modo che qualcuno si
senta sicuro “in casa”. Il fronte passa attraverso ogni luogo e situazione, precisamente
attraversa la persona umana stessa, ed il primo più importante “campo di battaglia” sarà
sempre il nostro cuore, la “casa” dei nostri sentimenti e delle passioni, della squisita
intuizione intellettuale come della malvagità. “Sono venuto a portare il fuoco sulla
terra…Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione. D’ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due
contro tre” (Cfr. Lu.12 49-53).
Sono i mattoni che fanno la casa, ma “invano si affannano i costruttori” (Cfr. salmo 127)
se non comprendiamo che queste pietre sono persone vive. Peggio ancora se giunti alla
fine dell’opera, pure “tecnicamente” perfetta, i muratori hanno “scartato la pietra d’angolo” che simbolicamente è da intendersi sia come quella che “fonda” il primo angolo,
dal basso vero l’alto ed il largo, come l’ultima posa, la pietra che “chiude” la volta, quel
tetto che non ha propriamente angolature. Scartato Cristo dalla vita quotidiana, riducen-
50
do a slogan la Verità e la Carità evangelici, nessuna norma giuridica, virtuosismo tecnico o particolare scienza, può modificare dall’esterno la “durezza dei cuori”. Per questo
l’attenzione che gli ultimi due pontefici hanno maturato rispetto alla famiglia è sicuramente un segno provvidenziale dei tempi, sotto il peso di nuovi eventi, spesso sconvolgenti, poiché è la famiglia il fondamento per la buona (o precaria) costruzione visibile
della casa sociale ma anche e soprattutto ciò che unisce e custodisce in un mistero d’amore, non solo umano, la relazione tra l’uomo e la donna, ed anche ciò che è propriamente
in senso lato la tradizione, la trasmissione della vita, non solo biologica e psichica, ma
soprattutto spirituale, e questo attraverso l’amore paterno, materno e filiale, congiunzione tra nuovo ed antico.
51
52
CONCLUSIONE
Sarebbe difficile avviarsi alla conclusione di questo scritto eludendo in forma implicita
un quesito che molti (e molto malamente) assilla.
Del nostro ricevere, o meglio, essere “in comunione”, e chi può e deve legittimamente
accostarsi a quella sacramentale.
Il sacramento è una realtà soprannaturale espressa concretamente con i segni propri della
natura e dell’esperienza umana, ma questa “visibilità” e perfino facilità a comprenderli,
non può ridurli ad una semplice questioni di “diritti e doveri”, una specie di trattativa del
dare e l’avere contrattuale. Essere in “comunione” cosa significa? Possiamo veramente
capire di cosa stiamo parlando? Con Chi dobbiamo entrare in “Comunione”?
Sappiamo che Eucarestia vuol dire “rendimento di grazie”. E cosa o meglio Chi ringraziamo se restiamo nel subbuglio mentale, con spirito di rivalsa nel cuore, cioè nella “non
comunione”, non solo con Cristo lassù, anche solo con un fratello quaggiù?
Dunque se questo avviene per i divorziati ed i separati, risposati o riaccompagnati, non
posso stabilirlo, non posso per nessun altro e devo solo fare per me un attento “esame di
coscienza” da porre al discernimento del ministero della Chiesa.
E’ vero in generale, che una separazione è una ferita, due lembi di una sola carne che si
aprono, sanguinano, una frattura delle ossa che disarticola, questo avviene sempre con un
patto infranto, ma in modo incomparabile quando trattasi di quello coniugale e familiare
«Questa, finalmente, è ossa delle mie ossa e carne della mia carne» (Cfr. Gen. 2,23).
Questo è talvolta sin troppo evidente. Non si tratta solo di un comandamento divino eluso
(il secondo, il sesto, l’ottavo ed il nono...), un canone ecclesiale aggirato. C’è una matassa che non si sbroglia con espedienti normativi, la matassa la può sciogliere solo Dio. La
Chiesa deve prendere atto, certamente accogliendo e non discriminando, che questo
“nodo” esiste, con umiltà e fermezza ad un tempo ribadire come fa con la sua attuale normativa, malgrado le libertà pragmatiche ed interpretative dei singoli pastori e fedeli che
non può scioglierlo, supera le sue stesse prerogative.
Anche la “norma” mutasse e concedesse la cosiddetta “seconda possibilità”, sembra che
sia il canone 8 del Concilio di Nicea ad aprire un varco25, e come è in effetti per le Chiese
d’Oriente, non si potrà mai dire, come queste ci insegnano, che quello che è stato, il
_______________________
25 G. CERETI, Divorziati risposati, Cittadella Editrice, Assisi, 2009.
53
primo matrimonio, sia ora “sostituito” da un altro.
Anche se la Chiesa perdonasse ciò che è in qualche modo è stato considerato fino ad oggi
imperdonabile, dimostrando misericordia verso la persona, resta comunque una sincera
penitenza da affrontare, non per questioni giuridiche o moralistiche, per auspicare la profonda meditazione sul proprio stato di vita, la correzione degli errori per il presente, quando non è più possibile riparare gli effetti di quelli passati. Non si può tornare indietro ma
c’è vari modi per andare avanti, nel senso positivo e non folcloristico del termine.
I secondi matrimoni ortodossi non sono pienamente sacramento, conservano nella forma
e nella sostanza l’aspetto di un’unione con rito penitenziale; la chiesa piuttosto che
ignorare, dopo aver vagliato i fatti, invece di lasciare la nuova coppia a se stessa, accoglie di nuovo nella comunità con le riserve succitate.
Se è verissimo ed incontrovertibile che non si possono nascondere ed annullare completamente i segni psicofisici di una tremenda ferita, come la mirabile carezza dell’amore
promesso e realizzato, la Chiesa non può “annullare” a sua volta i segni sacramentali, che
ad immagine di ciò che comprendiamo per via dei sensi e della ragione, indicano misteri divini che ancora non pienamente intendiamo. La comunione con Nostro Signore non
è solo l’accostarsi all’Ostia ed il Vino consacrati. Questa è la forma più completa. Esiste
come molti sanno la comunione spirituale che rende veritiera, non dissacrante, quella
sacramentale.
Dice la Chiesa che in questa particolare comunione noi riceviamo l’Anima e la Divinità
di Nostro Signore, pur non ricevendone il Corpo ed il Sangue, dunque non siamo esclusi da ciò che è più profondo, anzi possiamo sopravanzare ogni limite formale e corporale giungendo prossimi alla piena intimità con il Signore.
Esiste sempre una comunione personale, intrattenuta in libertà ed amicizia con il Signore
nella preghiera; esiste comunione ecclesiale e liturgica, sia con l’ascolto e la mediazione
della Parola, sia con la seconda epiclesi che invoca sull’assemblea, come sul vino e sul
pane, la discesa trasformante e vivificane dello Spirito Santo.
Ma soprattutto esiste Comunione nella Carità, quando noi non ci chiudiamo, a Dio ed
al prossimo, ma veramente comunichiamo nel linguaggio umile ed universale
dell’Amore. Questa è anche Comunione dell’obbedienza, perché ci abbassa al nulla che
compete, senza porre eccezioni… se… ma…però devo valutare...! Chi può dire di amare
approntando il misuratore di opportunità?
L’astensione alla comunione sacramentale di chi non ha ancora chiarito cosa fu il suo
matrimonio, ovvero ha ricevuto un diniego sull’eventuale nullità sacramentale, ma ha
54
deciso egualmente di formare una nuova unione non è certo qualcosa che passa invano,
un “sacrificio” indifferente agli occhi del Signore.
Chi in sincerità di cuore si affida al giudizio del fratello, al ministero gerarchico, ad un
discernimento da compiere, lo rispetta, cosa ha da temere davanti a Dio?
E’ questo un atto compiuto nell’amore, a Dio ed al prossimo, forzando si potrebbe dire
che pur nella contraddittorietà estrema può alla fine diventare nell’umiliazione un grande atto di comunione d’amore con la Chiesa, proprio nello spirito del Vangelo, e viene
alla mente l’immagine del pubblicano che:
Fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il
petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Io vi dico: questi tornò a casa sua
giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia
sarà esaltato (Luca 18,10-14).
Comunione è salire insieme, senza escludersi, senza rancori, senza rivendicare, senza
affanno. Ogni giorno ha già la sua pena, non aggiungiamo il nostro pre-occuparci alle
tante occupazioni ordinarie, come fa Marta, lamentandosi con il Signore.
Scegliamo come Maria la parte migliore che non ci sarà tolta (Lu. 10, 38)
Cerchiamo di restare in intima amicizia con Gesù, alla Sua presenza, nella preghiera,
come nelle piccole e grandi cose, belle e brutte, che sono il nostro quotidiano e che devono diventare una preghiera esse stesse, perché ogni battito del cuore possa essere incessante invocazione del Signore. Ora se noi restiamo “fedeli”, perseveranti in questa opera,
che propriamente non è affatto nostra, ma opera di Dio in noi, forse capiremmo le regole, molte altre cose, sicuramente più importanti.
Dicono molti padri della Chiesa che si capisce solo amando e si ama solo conoscendo.
Avendo nel cuore i semi della gioia e della pace del Signore, forse daremmo a molte cose
il posto dovuto.
Ecco a chiusura di questo elaborato una lettera che rimane ovviamente anonima, spedita
al sito di un’associazione di separati cristiani che mi ha dimostrato, essendo il sottoscritto l’addetto alle risposte, che la posizione dei cattolici è molto varia e diversificata da
quella mediaticamente offerta. Questa è una testimonianza che ha una sua “coerenza”,
sostenuta dalla forza della fede, della speranza e dell’amore che soccorre ogni donna ed
ogni uomo, là dove si trova, in tutte le situazioni cosiddette “irregolari”, perché in qualche modo tutti “irregolari” davanti alla fedeltà ed all’amore di Dio.
A vantaggio questo di chi non abbia a vantarsi di un dono immeritato: la famiglia unita,
luogo di amore che si irradia, si estrinseca nell’apertura al dono della vita e ad ogni relazione sociale e socievole. Così perseverando alcuni nella verginità e nel celibato, consa-
55
crato ed ordinato, una fecondità che porta frutti nei cieli invisibili. A vantaggio anche
della castità di coloro che malgrado la separazione coniugale, per un tocco tenerissimo
dello Spirito Santo mantengono fede, fino alle estreme conseguenze, alla vocazione battesimale, restando nella propria famiglia e nella Chiesa, testimoni di un amore umanamente impossibile, vissuto nella gioia, non per seguire il dettato di una norma o perché
…single è meglio!
Non scegliendo, essendo tutti stati scelti nell’amore e per l’amore dello Sposo.
Data: Martedì, 9 Feb. 2010
Oggetto: La mia esperienza
Sono venuta a conoscenza della Vostra associazione tramite «xxxxxx» di xxxxx e vorrei
rendere testimonianza della mia situazione di compagna di un separato prossimo al
divorzio.
E’ bene infatti che si tenga conto anche di persone che non hanno alle spalle un matrimonio e che si trovano, a causa della convivenza o matrimonio con un divorziato, in una
situazione non regolare all’interno della Chiesa.
Premetto che sono molto credente...ho 31 anni e ho avuto in dono da mia mamma una
fede forte e concreta.
Quando ho incontrato Xxxxx ero in un periodo di forte tribolazione interiore: avevo
appena perso mia mamma, mentre mio papà era andato in Cielo già da alcuni anni.
Avevo appena lasciato il mio ragazzo e mi ero ritrovata completamente sola...
Xxxxx era in crisi perché il suo matrimonio, contratto 8 anni prima, era in crisi da ormai
4 anni e questa crisi aveva, nell’ultimo anno, preso una piega irrimediabile.
Abbiamo iniziato così a raccontarci a vicenda le difficoltà che entrambi vivevamo quotidianamente...lui era molto smarrito, non aveva più alcuna fiducia in se stesso. Io alternavo momenti di profonda tristezza ad altri di forzata euforia per essere tornata single.
Non eravamo felici, però lo stare insieme ha cominciato a colorare le nostre giornate.
Ci capivamo molto bene, come ci sembrava non fosse mai successo nelle esperienze precedenti.
Ci siamo messi insieme, io poi però ho attraversato una forte crisi religiosa, mi sentivo
sporca, fuori posto, pensavo che il Signore non fosse più al mio fianco... Pian piano ne
sono uscita, con l’aiuto di un sacerdote, e sempre pian piano abbiamo gettato le basi per
una relazione solida, conviviamo da cinque anni e ci sposeremo non appena lui sarà
divorziato.
Abbiamo lavorato molto per costruire un rapporto sano con i suoi ragazzi, a cui ho voluto un bene autentico fin dal primo momento. Questo bene mi ha permesso di stare sempre un passo indietro, di non avere gelosie né nei loro confronti né in quelli della loro
56
mamma, seppure lei sia molto animosa nei confronti del mio compagno e di me. Prego
per lei, la cito davanti ai ragazzi per fare che loro non vivano dentro di loro una lacerazione troppo grande...e dopo tanti anni sono i ragazzi a trainarmi quando ancora sto un
passo indietro...
Con la Chiesa ho un rapporto limpido: preferisco rispettare i suoi comandi che cercare
di confessarmi e comunicarmi «di nascosto» o da sacerdoti che non mi conoscono.
Capisco il grande insegnamento della Chiesa, Una, Santa, Cattolica e Apostolica...non
posso fare diversamente, anche se mi auguro che un giorno cambi qualcosa...
Forse questo qualcosa sta nel riconoscere che certi matrimoni nascono con vizi di forma
gravissimi: uno per tutti la mancanza di fede in quel gesto, in quel momento grandissimo... Xxxxx non ha una fede forte, ma pian piano la coltiva. Ora andiamo in chiesa tutte
le domeniche, qualche volta preghiamo il Santo Rosario...
Scusate questo lungo sfogo - testimonianza...vorrei che si sapesse che esistono situazioni come la nostra, di sofferenza ma anche di elaborazione della sofferenza, per metterla
a frutto, conoscere meglio se stessi, i propri errori e, se possibile, rinascere, non dico
però rinascere nel senso di farsi una nuova vita: un separato non si può rifare una
vita...soprattutto se ha dei figli. Quei figli lo tengono sempre legato alla vita «precedente» senza negargli di crearne una nuova in cui ci sia spazio e amore per tutti.... Grazie
per il lavoro che fate per i separati cristiani..
Lettera firmata
57
58
BIBLIOGRAFIA
C.E.I. Direttorio di pastorale familiare, (Cap.7°) - Ed. Fondazione S. Francesco d'Assisi
- S. Caterina da Siena - (1^ ed.1993).
Il Pastore di Erma: Quarto precetto - Città Nuova, Roma, 2007.
GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica Redemptoris Custos, agosto 1989, Libreria
Editrice Vaticana.
GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Familiaris consortio, Enciclica del 22.11.1981, Ed.
Paoline.
PAPA BENEDETTO XVI, Lettera enciclica Deus Caritas Est, Libreria Editrice Vaticana,
2005.
ANONIMO, Didachè (o Dottrina dei dodici apostoli), Ed. Paoline.
AA. VV. Matrimonio-famiglia nei Padri, Dizionario di spiritualità biblico (n. 43) Borla,
Roma, 2006.
BONETTI, R., GILLINI, G., GILLINI, M., L' acqua e il vino: verso Cana, Effatà, 2009.
CASTAGNA, U., L’ultimo principe. Storia di don Francesco Paolo Gravina principe di
Palagonia, Arte tipografica, Palermo, 1998.
CERETI, G., Divorziati e risposati, Ed. Cittadella - 2009.
SPINELLI, M., Commento al cantico dei cantici di Guglielno di Saint Thierry, Città
Nuova, Roma, 2002.
FUMAGALLI, A,/PALEARI, M.,/CONCI, A., Il Cuore ferito Ed. San Paolo 2010.
OGNIBENI, B., Il Matrimonio alla luce del Nuovo Testamento, LUP, Roma 2007.
RATZINGER, J., Introduzione a: Sulla pastorale dei divorziati risposati, Congregazione per
la Dottrina della Fede, Libreria Ed. Vaticana, Città del Vaticano, 1998.
ROCCHETTA C., Vite riconciliate - La tenerezza di Dio nel dramma della separazione,
EDB, Bologna, 2009.
59
60