Camera con doccia

Transcript

Camera con doccia
CC BY-NC-SA
Questa opera è rilasciata su licenza Creative Commons.
È consentito distribuire, modificare, creare opere derivate dall'originale, ma non a scopi
commerciali, a condizione che venga riconosciuta la paternità dell'opera all'autore e che alla
nuova opera vengano attribuite le stesse licenze dell'originale.
Personaggi:
Silvio: di mezza età e d'aspetto vagamente trasandato, con gli occhi
perennemente arrossati e gonfi
Il dottore: va verso i sessanta e deve avere barba e capelli grigi,
possibilmente lunghi e ricci, sarebbe meglio un po' untuosi
L’assistente sociale: donna magra e d'indole nervosa, tra i trenta e
i quarant'anni d'età, eccede nei tic
L’infermiere: uomo anonimo di almeno cinquant'anni con la sola
ambizione di avere poche rogne nella vita
Il giovane infermiere: ovviamente più giovane del precedente, di
almeno dieci anni, ama fare la parte del comprensivo e non disdegna
la facile ironia
Il paziente indisciplinato: a vostro piacere
Il paziente A: vedi sopra
Il paziente B: vedi più sopra
Indicazioni per la messa in scena:
La finestra della camera da letto deve essere rivolta verso il pubblico.
L’interno del bagno, a differenza della stanza e del cucinotto, non
deve essere mai visibile al pubblico. È necessario che delle pareti
delimitino lo spazio e che l'arredamento sia minimale e sciatto. Gli
unici segni particolari sono una libreria con un po' di libri e un
televisore sempre spento.
La luce deve essere al neon, fredda e spietata.
Gli infermieri indossano sempre dei guanti in lattice.
ATTO PRIMO
Una camera arredata dello stretto necessario. Un letto, un comodino,
un armadio a muro, una scrivania con sedia. Dalle imposte chiuse
filtra la prima luce dell’alba. Nella stanza da bagno, direttamente
comunicante con la camera, qualcuno fischia un motivo da La donna
immobile.
Prima scena
Si sente un campanello suonare, seguito da un rumoreggiare di chiavi
nella toppa della serratura. Un uomo, in slip e maglietta, e con la
faccia imbrattata per metà di schiuma da barba, esce dal bagno
tenendo un rasoio in mano. Due uomini in tenuta da infermiere
entrano nella stanza da letto. Il primo porta con sé una scopa e una
paletta, mentre l’altro, all’apparenza più giovane, ha un secchio pieno
d’acqua e uno struscino.
Infermiere, in tono cordiale: “Buongiorno. Tutto bene? Oggi ha tutta
l’aria di essere una bella giornata, sa?”
Silvio torna in bagno, riprendendo a fischiettare come se niente fosse.
Giovane
infermiere,
con
aria
imbarazzata:
“Ci
scusi
se
la
importuniamo, ma ormai dovrebbe saperlo che a quest’ora…”
Inf., sottovoce al compare: “Meglio lasciar perdere.”
Giov.inf., con tono dispiaciuto: “Forse, quando avrà finito di radersi la
barba…”
L’infermiere più anziano dà un calcio al secchio tenuto in mano dal
suo compare. Dell’acqua saponosa si riversa per terra. Il giovane
infermiere si riprende di scatto, come se fosse stato svegliato da un
lungo sogno. I due iniziano in silenzio il loro lavoro. Uno spazza per
terra, raccogliendo via via lo sporco con la paletta, subito seguito
dall’altro, che passa dietro con lo strofinaccio. In pochi minuti
finiscono la camera.
Inf., ad alta voce in direzione del bagno: “Fa piacere avere ogni tanto
a che fare con gente ordinata come lei, sa?”
Silvio si decide finalmente ad uscire dal bagno, con il volto pulito e
rasato di fresco. Prende dall’armadio un paio di pantaloni ed una
camicia.
G.Inf.: “Non dev’essere piacevole avere gente fra i piedi mentre si
fanno certe cose.”
Silvio, senza rispondere, indossa i pantaloni, infilandovi poi dentro la
camicia. Dopo di che apre le imposte per far circolare un po’ d’aria.
Silvio: “Non mi piace l’odore acre della varechina.”
G.Inf., in tono di scusa: “Ha ragione. Dovevamo pensarci noi. Ci
scusi, ma spesso le cose all’apparenza più scontate sono quelle…”
Inf., interrompendolo: “Suvvia, a me non sembra una cosa poi tanto
grave! In pochi minuti respireremo di nuovo aria fresca e pulita. Non
è vero?”
Silvio, guardando fuori della finestra, con aria trasognata: “Certo,
certo…”
Inf.: “Benissimo. Se non ha niente in contrario noi passeremmo al
bagno.”
Si avviano entrambi, dopo aver atteso invano una risposta dall’uomo.
Silvio prende carta e penna, e, messosi seduto alla scrivania, inizia a
scrivere freneticamente.
Uscendo dal bagno, gli infermieri si soffermano ad osservarlo in
silenzio.
Silvio, girandosi all’improvviso, con irruenza: “Beh?! Avete già
finito?!”
G.Inf., con aria intimidita: Mmm… no… Veramente dovremmo
controllare anche la cucina…”
Silvio, in tono imperativo, facendo il gesto di scacciarli con la mano:
“Bene. E allora, visto che nessuno ve lo vieta…!”
I due escono dalla stanza a testa bassa, bisbigliando fra loro.
Silvio si rimette a scrivere.
Seconda scena
Una cucina apparentemente ordinata, anch’essa arredata molto
semplicemente. Da una parte, accostato al muro, c’è un tavolo
quadrato con una sola sedia.
I
due
infermieri
rassettano
svogliatamente
il
ristretto
spazio,
puliscono velocemente fornelli e lavello.
Inf.: “Gli gira sempre storto, forse non se lo ricorda com'era prima.”
G.Inf., con tono incuriosito: “E com'era prima?”
Inf.: “Prima non c'era tutta questa libertà. Se rispondevano così…”
G.Inf.: “Che cosa?”
Inf.: “Lasciamo stare, cose passate.”
Il giovane infermiere si mette a curiosare in giro per la stanza. Apre a
caso gli sportelli della credenza, prende in mano vari barattoli che
osserva distrattamente, per poi riporli al loro posto.
Inf., incredulo: “Dì, ma che credi di fare?! Se quello ti vede a ficcare il
naso nella sua roba è capace di metterti le mani addosso (Fingendo
curiosità ). Pensi davvero di trovare qualche utile indizio?”
G.Inf.: “Forse. Non so…”
Inf.: “Baggianate! Sono le stesse identiche cose che si possano
trovare nella dispensa di qualsiasi altra casa (In tono ironico). Quelli
del supermercato non perdono certo tempo a cercare di capire se uno
è matto oppure no!”
G.Inf.: “Certo, perché il valore dei soldi è sempre quello.”
Dopo di che apre il frigo, tirandone fuori un contenitore con degli
avanzi.
G.Inf., soddisfatto per la scoperta: “Mmm… spezzatino di maiale. Mica
si tratta male il nostro uomo! (Porgendo il contenitore al compare)
Vuoi?”
Inf., respingendo con la mano il contenitore, con aria disgustata:
“Fossi matto! Chissà quali malattie avrà!”
Il giovane infermiere rimette il contenitore al suo posto nel frigo.
G.Inf.: “Mica si attacca così la pazzia.”
Inf.: “Ma l'epatite o chissà che altro sì!”
G.Inf., mostrandogli le mani coi guanti: “Ma usiamo apposta questi,
c'è scritto anche nel nostro contratto.”
Inf., visibilmente contrariato: “Ma tu mi hai detto…”
G.Inf.: “Mica sono matto che mi mangio davvero questa roba! Facevo
per scherzare.”
Inf., in tono di rimprovero: “Senti, tu non lo sai cos'era il manicomio,
non hai idea di che cosa stai parlando.”
G.Inf, accondiscendente: “Doveva essere terribile, sì. Ho letto
qualcosa sui libri, ho visto anche delle fotografie.”
Inf.: “Ah, ma quelle non dicono niente! In fotografia sembra tutto
bello, anche il dolore. Ma idea di che cosa significa sentirsi dei mostri
per tutta la vita?”
G.Inf.: “Dici che loro hanno una coscienza come noi? Che sentono di
essere diversi? Però dei mostri, dai, mi sembra davvero esagerato
definirli così…”
Inf., afferrando la scopa e stringendola con forza: “Non mi riferivo a
loro, io… Lasciamo perdere, va. Aiutami piuttosto a finire. Prima ci
sbrighiamo e meglio è.”
I due si rimettono a rassettare in silenzio.
Terza scena
I due infermieri rientrano in camera da letto. Silvio è ancora seduto
alla sua scrivania, immobile, con lo sguardo fisso nel vuoto.
G.Inf.: “Noi avremmo finito.”
Silvio non risponde, sempre imbambolato nella sua posizione.
G.Inf., bisbigliando all’orecchio dell’altro: “Ma cosa fa?”
Il compare scuote la testa, battendosi ripetutamente l’indice della
mano sinistra sulla tempia.
Inf., piano, all’altro: “Dev’essere per forza un po’ tocco. (alzando il
tono della voce) Noi abbiamo finito!”
Silvio: “Certo, non sono sordo.”
Entrambi allargano le braccia in segno di resa.
G.Inf.: “Coraggio, prenda le sue pillole, così possiamo lasciarla in
pace.”
Silvio apre la mano, dove cadono alcune pastigli di colori diversi. Il
giovane infermiere gli passa un bicchierino dove ha messo delle
gocce.
G.Inf.: “Avanti, butti giù anche questo.”
Silvio obbedisce senza degnarlo di uno sguardo.
Inf.: “Apra la bocca, faccia vedere.”
Silvio apre la bocca.
Inf.: “Tiri fuori la lingua, non finga di non conoscere la procedura.”
Silvio tira fuori la lingua e comincia a fare dei versi, mima un cane
che voglia mordere la mano al padrone.
Inf., ritraendo di scatto la mano: “Ma che fa?! Lo sa quello che
rischia, vero?
Silvio gli fa un'altra linguaccia.
Inf.: “Facciamo finta che non abbiamo visto niente. (Rivolgendosi al
collega) Vero?”
G.Inf.: “Sì, vero. Facciamo finta.”
Inf., uscendo dalla stanza: “Ci vediamo domani.”
Il collega lo segue in silenzio.
Silvio, rimasto solo, si alza finalmente in piedi.
Silvio, rivolgendosi al pubblico: “Che supplizio! Questa non e` vera
libertà! È persino peggio di prima! Prima ti dicono come ci si deve
comportare, e poi guardano come te la cavi. Tutti i santissimi giorni a
controllare! Chissà quanto si divertiranno alle mie spalle!”
Passa in cucina, dalla quale esce dopo pochi secondi con un bicchiere
di latte freddo in mano.
Silvio, con rabbia: “E come se non bastasse, si permettono pure di
ficcare il naso dappertutto. Che credono, che non me ne accorga?!”
Beve il latte tutto d’un fiato.
Silvio, rivolto al pubblico: “Erwin Goffman ha scritto che ogni
istituzione si impadronisce di parte del tempo e degli interessi di
coloro che da essa dipendono, offrendo in cambio un particolare tipo
di mondo: il che significa che tende a circuire i suoi componenti in
una sorta di azione inglobante. Il fatto cruciale delle istituzioni totali è
dunque
il
dover
‘manipolare’
molti
bisogni
umani
per
mezzo
dell’organizzazione burocratica di intere masse di persone.”
Finita la citazione si rimette seduto alla scrivania e riprende a
scrivere.
Silvio, a voce alta ma come tra sé: “Non è che essere matti significhi
per forza essere stupidi. Io a scuola riuscivo a imparare un sacco di
cose a memoria: poesie, tabelline, date delle battaglie, della nascita
di quello scrittore o della morte di quell'altro… Alcune me le ricordo
ancora. Vediamo: Dante 1265, Petrarca 1304, 1815 il Congresso di
Vienna, 1066… che battaglia era? (sospira, rivolgendosi nuovamente
al pubblico) Son passati troppi anni, e poi a star qua dentro che
volete? La memoria si calcifica, il pensiero va in frantumi. A volte li
sento, i pensieri, ma sono delle ombre, non li riesco ad afferrare, a
verbalizzarli. Sto sempre qui con questa penna per questo, mica
perché io voglia fare lo scrittore. È un po' come aspettare i pesci che
abbocchino, tanto di tempo ne ho un'eternità.”
Si rimette a capo chino. Dopo poco la testa comincia a ciondolare, il
collo cede di schianto e si addormenta sulla scrivania.
ATTO SECONDO
Prima scena
Silvio, seduto al tavolo della cucina, sta consumando con molta calma
la sua colazione a base di tè e fette biscottate. Suona il campanello di
casa. Silvio si alza e va ad aprire. Sul pianerottolo, un uomo in
completo elegante e una donna vestita all’ultimo grido. Lui appare
molto calmo e rilassato, lei invece piuttosto agitata, impaziente.
Dottore: “Buongiorno.”
Silvio, con aria scocciata: “Buongiorno dottore.”
Assistente sociale, in tono stizzito: “La disturbiamo? Non vorremmo
sembrare inopportuni, ma…”
Silvio: “In effetti, se proprio lo vuole sapere, stavo mangiando.”
Dottore, fingendosi amareggiato: “Accidenti! Ma stia tranquillo, non le
porteremo via molto tempo. (Scambiando uno sguardo d’intesa con la
donna) Possiamo entrare?”
Silvio, sempre più scocciato: “Ma certo, come no? Si accomodino
pure.”
I due seguono Silvio in cucina, il quale riprende a mangiare come se
niente fosse. I due si guardano sbalorditi.
Dottore: “Non potrebbe finire di mangiare quando ce ne saremo
andati?”
Silvio lascia cadere volontariamente il cucchiaio nella tazza, in modo
da provocare il maggior rumore possibile.
Silvio, alzandosi in piedi: “Preferite che andiamo in camera?”
Ass.soc.: “Sì, mi sembra un’ottima idea.”
I tre passano nella stanza da letto. Silvio si siede sul letto, mentre la
donna occupa il posto alla scrivania. Il dottore sta in piedi di fronte
alla finestra, con lo sguardo verso il pubblico.
Silvio: “Dunque? Di che dovete parlarmi?”
Dottore: “Oh!, di niente di così importante…”
Ass.Soc., prendendo in mano il mucchio di fogli che stanno sulla
scrivania, in tono ironico: “Noto con piacere che si dedica alla
scrittura.”
Silvio, irato: “Già! Ora potrebbe per favore rimetterli dove li ha
trovati?”
La donna, imbarazzata, rimette i fogli al loro posto.
Dottore:
“Capisco
benissimo
che
adesso
voglia
sentirsi
indipendente…”
Silvio, con sarcasmo: “Esattamente. Proprio a questo modo vorrei che
mi si considerasse.”
Dottore: “Facciamo del nostro meglio. Noi pensiamo prima di tutto al
suo bene.”
Ass.soc.: “Difatti noi…”
Il dottore la zittisce con un gestaccio. La donna si porta la mano alla
bocca, con un’espressione di stupore sul volto.
Dottore: “Gli infermieri si lamentano che lei si ostina a non voler dare
fiducia alle altre persone.”
Silvio, con aria trasognata: “Le altre persone… E chi sarebbero? I
camici bianchi?”
Dottore: “Per adesso, perché è lei a volerlo.”
Silvio guarda istintivamente l’assistente sociale.
Ass. Soc., con aria scandalizzata: “Non penserà per caso che io…?
(Portandosi nuovamente la mano sulla bocca) Oh!”
Dottore, toccandosi la barba con le dita: “È nostro preciso compito
basarci esclusivamente sui dati. In quanto scienziati noi dobbiamo
analizzare e sintetizzare.”
Ass. Soc.: “In parole povere…”
Silvio, in tono di sfida: “In parole povere, mia cara signora, voi volete
ancora venire qui a dirmi chi sono e come sono!”
Ass. Soc., sbalordita, alzandosi in piedi: “Ma che modi!”
Dottore, non badando alla reazione della sua assistente: “Il fatto che
lei ne sia cosciente non può che esserci d’aiuto.”
Ass. Soc., con sguardo implorante: “Se solo ci lasciasse parlare!”
Silvio: “E va bene. Parli allora!”
Ass. Soc., allargando le braccia: “Oh, finalmente! Tanto per iniziare
m’interesserebbe sapere se lei esce mai di casa, oltre ad andare a
fare la spesa o cose del genere intendo.”
Silvio: “Non capisco dove voglia arrivare. Ma certo che ogni tanto
esco di casa!”
Dottore: “Ne è sicuro? Perché a noi non risulta…”
Silvio: “Che è, adesso vi siete pure messi a spiarmi?!”
Dottore: “No, ma i vicini di casa non sono per natura portati a farsi gli
affari loro.”
Silvio, incredulo: “Io non pensavo che… Ho sempre evitato di
intrattenervi qualsiasi rapporto.”
Ass. Soc., con aria soddisfatta: “Per l’appunto!”
Silvio, ammiccando ai fogli sulla scrivania: “In questo periodo mi sto
dando da fare. È forse un delitto anche questo?”
Dottore, in tono conciliante: “Ma quale delitto? Simili parole non
dovrebbero neanche passarle per la testa! Piuttosto, sarebbe possibile
sapere di che cosa si occupa di così importante?”
Silvio, con aria soddisfatta: “Al momento opportuno. È ancora troppo
presto”
Ass. Soc.: “Ma…”
Dottore, lanciandole un’occhiataccia: “Non c’è ma che tenga. (Rivolto
a Silvio) Anch’io sono molto geloso delle mie cose. Spero solo che ci
metterà a conoscenza della cosa al più presto. Sono molto curioso.”
Silvio, in tono di sfida: “Vedremo.”
Dottore: “Io ci spero. (Guardando di nuovo l’assistente sociale) Per
ora abbiamo fatto il nostro dovere, perciò non la disturberemo oltre.
(Con ironia, rivolto a Silvio) Comunque ci rivedremo presto, non si
preoccupi.”
Il dottore cerca di stringere la mano di Silvio, che però la ritrae di
scatto, mentre l’assistente sociale ne approfitta per tentare di dare
un’ultima sbirciata ai fogli in questione.
Dottore, fingendo di essere seriamente arrabbiato: “Ma che fa?!
(Guardando Silvio) Ci ha promesso che ce li farà leggere a lavoro
ultimato. (Nuovamente rivolto alla donna) Via, lasci perdere!”
Ass. Soc., imbarazzata: “Scusate, io non so che mi sia preso.”
Dottore, prendendo Silvio in disparte: “Non ci faccia caso… È
un’impulsiva, ma non e` una cattiva persona. Arrivederci di nuovo
mio caro.”
Il dottore esce dalla stanza prendendo a braccetto la donna, che lo
segue ammutolita.
Seconda scena
In cucina, Silvio che rimette in ordine la tavola. Dopo aver riposto
tutto, torna in camera per rimettersi a scrivere. Di tanto in tanto
pronuncia a voce alta alcuni passaggi.
Silvio: “…poiché non si può pretendere che un essere umano abituato
a vivere in un determinato ambiente possa affrontare questo tipo di
cambiamento senza subirne uno shock.”
Silvio si ferma un attimo per accendersi una sigaretta.
Silvio, fra sé: “Un essere umano come me ad esempio. Per quale
motivo hanno deciso a un certo punto di togliere tutte le barriere, di
usare
termini
che
fino
a
poco
prima
neanche
si
sognavano
d’immaginare, di eliminare in definitiva il conflitto? (A voce alta,
rimettendosi a scrivere freneticamente) …e oggi, sotterrando con un
colpo di vanga tutto il passato, vengono a istruirci sulla loro società
civile, quella che un tempo rappresentava il sogno inconfessabile.
(Rivolgendosi al pubblico, senza scrivere) In qualche modo avrete pur
sentito l’esigenza di difendervi. A voi basta salvare la faccia, e quale
modo migliore se non quello di fare leva sulle apparenze, quando per
secoli avete scavato delle fosse incolmabili nel profondo della nostra
anima? (Alzandosi e gettando rabbiosamente la penna a terra) E
pretendono pure che…! Certo, perché deve sembrare che tutto vada
bene, che per forza debba essere così!”
Silvio si getta sul letto, come in preda alla disperazione, ma invece si
mette a ridere e a saltarci sopra. Riacquistata la calma, torna alla
scrivania per scrivere.
Silvio, a voce alta: “…tanto che ormai la parola riabilitazione è
diventata di moda in un certo ambiente. (Fra sé, senza scrivere, in
tono sprezzante) Ma nessuno in definitiva, oggi come allora, ci vuole
realmente tra i piedi! (Di nuovo rivolto al pubblico) Ma voi, quando ci
vedete per strada, cosa fate? Se ci vedete raccogliere gomme o
cicche da terra, parlare tra noi o rivolgerci al cielo… Se ci vedete fare
delle cose che vi appariranno bizzarre o pericolose, voi che fate? Vi
girate dall'altra parte? Ridete tra voi? C'indicate? (Di nuovo tra sé,
raccogliendo la penna) Io lo farei, mi sembrerebbe una reazione
normale.
(Rimettendosi
seduto
a
scrivere,
tra
sé)
Il termine
riabilitazione presuppone il riconoscimento di un'area della normalità,
per quanto oggi vada di gran moda ripudiare anche questo termine.
(Rivolgendosi nuovamente al pubblico) Ma che cos'è normale, vi
chiederete. Questa è una domanda molto furba, ma non è che così ci
si liberi del problema. L'istituzione (fa un gesto vago, che abbraccia la
sala teatrale), ad esempio, è normale. Voi (indicando il pubblico) vi
reputerete normali, o se non lo fate è per vezzo, perché vi sentite
eccentrici o vi piace stare dalla parte delle minoranze. (Si rimette
seduto,
concludendo
tra
sé)
Ma
tutto
questo
posso
soltanto
immaginarlo…”
Silvio si alza, lasciando fogli e penna sulla scrivania, e si stende sul
letto per riposare.
Terza scena
È sera. La casa è buia. Improvvisamente si accendono le luci. Silvio
entra con in mano la borsa della spesa, seguito dai due infermieri.
Inf., scocciato: “Potrebbe anche evitare di uscire negli orari in cui sa
che noi siamo soliti passare.”
Silvio, senza rispondere, posa la spesa sul tavolo di cucina. Quindi
mette al loro posto le varie cose.
G.Inf., con tono gentile: “Non se la deve prendere. Non è una cosa
poi tanto grave. Ma che non si ripeta più, intesi?”
Silvio guarda il giovane infermiere annuendo con la testa.
G.Inf.: “Le occorre qualcosa?”
Silvio: “Ecco, a dire la verità…”
G.Inf., con entusiasmo: “Avanti, non si periti!”
I due attendono con ansia la risposta dell’uomo.
Silvio, fingendo dispiacere: “Che sbadato che sono! Vedete, mi sono
dimenticato di comprare la senape, che a me piace molto d’altronde.
Non capisco proprio… Ma non è che per caso voi…”
G.Inf., con una punta di delusione: “Non si preoccupi. Scenderò io
stesso a prenderla. Sicuro che non le occorra altro?”
Silvio: “No, nient’altro. Ma mi raccomando, che sia quella di Dijone.
Eccole i soldi.”
G.Inf., divertito: “Ai suoi ordini!”
Il giovane infermiere si precipita fuori di casa.
Inf.: “Dica la verità, lei è davvero convinto che noi ci divertiamo a
torturarla. Deve crederci dei sadici.”
Silvio, in tono ironico: “Mah, non così tanto in fondo.”
L’infermiere, stizzito, passa nella stanza da letto, seguito subito da
Silvio, che osserva impassibile il nervoso camminare in su e in giù
dell’uomo in divisa bianca.
Silvio, ironico: “Sta per caso cercando qualcosa?”
L’infermiere gli lancia un’occhiataccia, dopo di che prende una
bomboletta di deodorante spray dalla stanza da bagno e si mette a
spruzzarlo in giro per la camera.
Inf.: “C’è una terribile puzza di chiuso in questa stanza.”
Silvio, con aria trasognata: “Già, ricorda un po’ l’odore che hanno
quegli abiti logori che da troppo tempo stanno chiusi in un armadio.
Mi domando come mai certa gente non si decida mai a buttarli. È un
po’ come se vi si affezionassero. Lei che ne pensa?”
Inf.:
“Penso
che
dovrebbe
smetterla
una
volta
per
tutte
di
autocommiserarsi così. Non è facile per nessuno, che crede?”
Silvio: “No, ma l’immagino. Dev’essere terribilmente noioso vivere
come gli altri.”
Nel frattempo il giovane infermiere rientra in scena con un barattolo
di senape in mano.
G.Inf., sconsolato: “Desolato, ma ho trovato solo questa.”
Silvio, fuori di sé: “Ma come?! Le avevo detto di Dijone! DIJONE!”
G.Inf.: “Gliel’ho detto, mi dispiace, ma…”
Silvio, respingendo con rabbia il barattolo di senape che il giovane
infermiere tenta invano di porgergli: “Questa può anche portarsela a
casa! Sentirà che bontà sono queste volgare imitazioni!”
Il giovane infermiere, offeso: “Io non l’ho mai potuta sopportare la
senape. (All’altro infermiere) Lei per caso la vuole?”
Inf., stizzito: “Ma non dire stupidaggini! Lasciagliela da qualche parte.
Se proprio non gli piace la butterà! (A Silvio) Noi ce ne andiamo. Per
stasera l’ha avuta vinta lei, ma saremo costretti a renderne conto a
chi di dovere.”
Silvio, al giovane infermiere: “E il resto? Io le avevo dato…”
G.Inf., imbarazzato: “Ecco, questa costa di più.”
Silvio, con rabbia: “Fuori di qui! Andatevene!”
I due infermieri, increduli, escono di scena.
ATTO TERZO
Prima scena
È notte. Silvio accende la luce del comodino e si alza da letto. Prende
un voluminoso libro da sotto il letto, lo sfoglia velocemente e lo
ripone al suo posto. Quindi va alla scrivania e passa nervosamente in
rassegna le pagine finora scritte.
Silvio, tra sé: “Ma dove diavolo è finito?! Eppure… Ah, ecco!”
Silvio rilegge attentamente il foglio che ha destato il suo interesse.
Silvio, a voce alta, euforico: “Sì! Eccolo l’errore! L’ho trovato! (Rivolto
al pubblico) L’ho trovato!”
Silvio getta il foglio per terra e si mette a saltellare per la stanza,
vaneggiando.
Silvio: “I tabù… non quelli di Freud, no… neanche l’influenza delle
masse… il cervello non è poi così complicato come ci vuol far
credere… uno snodo, come dire… sì!, come il non voler più credere…
ecco! A un certo punto si decide che non si vuol più credere. Per forza
che poi viene la riabilitazione! Dobbiamo essere tutti sintonizzati su
una stessa frequenza… sarà per adempiere ai precetti?… no, meglio
dire alle leggi… sì, è più preciso. Ma qualcuno le avrà pur dettate per
primo! Non un ente astratto però, ma una persona precisa. Il primo
folle! E tutti a battezzarsi al suo capezzale! Ed io? Anch’io…”
Detto questo Silvio si arresta immobile al centro della stanza, con lo
sguardo fisso nel vuoto. Poi raccoglie il foglio da terra e si rimette alla
scrivania.
Lo
controlla
di
tanto
in
tanto,
mentre
chiaramente i concetti su un nuovo pezzo di carta bianca.
ne
riscrive
Silvio, leggendo a voce alta alcuni passi: “…il sintomo è pertanto
radicato nel dubbio, e succede che talvolta alcune persone vi si
abbandonino. Spingendo all’estremo tale situazione, può accadere
che una minoranza di soggetti finiscano con il non ritrovare più quella
che la maggioranza delle persone accetta come verità. (Rivolgendosi
al pubblico) Non vorrei ritrovarmi adesso a dovervi parlare della
televisione, ad esempio. Anzi, non ve ne parlo affatto, tanto neanche
l'accendo! Eccolo lì (indicando il televisore spento, dal quale penzola il
filo staccato dalla presa). All'inizio qualcosa la guardavo, ma poi che
noia… (sbadiglia sonoramente) Non so neanche da quanto tempo sta
lì. Sembra un'orbita vuota. Una volta mi hanno sorpreso che stavo
cercando di smontarla, che cercavo di dove venisse questa verità che
in tanti seguono. La realtà è però molto più complicata. Là dentro c'è
un tale groviglio di fili e di circuiti elettrici…”
Si sente un tuono in lontananza, va via la luce.
Silvio, nel buio più totale: “Ora potrei essere uno di voi, potrei essere
tra voi. È la luce che fa la differenza. Per noi hanno riservato sempre
questi neon, quest'illuminazione fredda che sembra di essere sempre
in una sala operatoria… ma in fondo abbiamo imparato a vivere senza
la scatola cranica, con il cervello scoperto. Hanno manomesso così
tante volte i nostri circuiti, con una tale cattiveria, poi… Vi hanno mai
chiuso in una cella con un piatto pieno di cibo proprio lì davanti, a una
distanza che la mano non ci arriva che per pochi centimetri? Quando
si ha fame si cerca di spingere il braccio in tutti i modi, con una forza
tale che rischi di slogarti un osso. Ora mi lasciano persino la libertà di
cucinare le cose da solo, ma pensate che me l'abbia insegnato
qualcuno? Per lo più compro scatolette. Quello spezzatino sta lì da
giorni… era una prova. Perché non l'ho nemmeno assaggiato? Non lo
so… per la paura di capire cosa mi sono perso in tutti questi anni,
credo…”
La luce di un lampo, seguita dallo scoppio di un tuono, illumina per un
attimo la scena. Si vede Silvio steso sulla scrivania.
Silvio, sempre al buio: “È stupido? Credo di sì. Probabilmente dovrei
recuperare il tempo perduto. Si dice così, no? Eppure avrei soltanto
voglia di dormire per un tempo incalcolabile. Vorrei non dover
dividere i giorni in ore e minuti e secondi… Vorrei non averli sempre
tra i piedi, ma poi penso che ognuno ha diritto al proprio lavoro e
almeno quella libertà mi è concessa.”
In seguito a un terzo tuono torna la luce. Nel frattempo Silvio si è
steso sul letto.
Silvio, parlando a occhi chiusi: “Ecco, proprio ora che stavo per
prendere sonno…”
Seconda scena
Fuori è già l’alba di un nuovo giorno. Silvio è di nuovo seduto alla
scrivania, intento a scrivere i suoi appunti. Gli occhi segnati di rosso
contrastano con la serenità del suo viso. Qualcuno bussa alla porta.
Poi
si
sente
una
chiave
girare
nella
serratura.
Il
dottore,
accompagnato dai due infermieri, entra nella camera da letto.
G.Inf: “Buongiorno. (Rivolto agli altri due, a bassa voce, portando il
dito indice al naso come ad invitare a non disturbare) È ancora a
lavoro.”
Inf,
scuotendo
la
testa,
rivolgendosi
a
Silvio:
“Ci
dispiace
importunarla, ma è stato lei ad obbligarci. Doveva aspettarselo.”
Silvio annuisce con la testa, chino sui fogli su cui continua
imperterrito a scrivere.
Dottore, indispettito: “Non potrebbe fermarsi un attimo e allietarci
della sua presenza?”
Silvio ripone la penna e si gira verso i tre.
Dottore, tra sé: “Ma guarda com’è ridotto! (Poi a voce alta) A
giudicare dalla faccia non deve aver chiuso occhio tutta la notte.”
Silvio annuisce di nuovo con la testa.
Dottore: “È chiaro che stare sempre rintanato a scrivere qua dentro
non può far altro che accentuare le sue paranoie.”
Silvio, in tono ironico: “E che vorrebbe fare? Rinchiudermi un’altra
volta forse?”
Dottore: “No, non se ne parla nemmeno! Lei mi delude, sa? La facevo
più pronta ad affrontare il grande salto. Ma in fondo è da tutti
commettere degli errori.”
Silvio, acido: “Non si preoccupi, c’è sempre un rimedio a tutto.”
Inf., in tono minaccioso, mostrando il pugno chiuso: “Lei crede che ci
divertiamo, eh?!”
Silvio, con voce stanca: “Io credo proprio di sì. Ma in fondo sono
affari vostri.”
Inf., al dottore: “Lo vede con che tono ci risponde?!”
Il dottore fa un cenno di assenso con la testa, quindi si avvicina alla
scrivania. Silvio si alza in piedi, allargando le braccia per non farlo
passare.
Dottore: “La smetta di ostinarsi così! Voglio solo dare un’occhiata.”
Silvio respinge il dottore con decisione, tentando senza successo di
afferrarlo per la giacca. I due infermieri si guardano sbigottiti. Il più
anziano dei due accenna un intervento, subito bloccato dall’intervento
del dottore stesso.
Dottore, all’infermiere: Non si preoccupi, non è successo niente. (A
Silvio, cercando di mantenersi calmo) È davvero una cosa così
importante?”
Silvio: “Per me lo è.”
I due infermieri allargano le braccia, spazientiti.
Silvio,
ora
in
piedi:
“E
comunque,
ormai
sono
arrivato
alle
conclusioni.”
Dottore, incredulo: “Ah, davvero?! E quali sarebbero?”
Silvio: “Che è tutta una grande farsa. I vostri discorsi, tanto per
iniziare.”
Il giovane infermiere, al compare: “Deve davvero tenerci molto.”
Il dottore tenta nuovamente di prendere i fogli. Questa volta Silvio lo
lascia
passare.
Il
dottore
sfoglia
velocemente
le
pagine,
soffermandosi più a lungo su quelle che Silvio stava rivedendo. In
particolare quella riscritta da capo, che scorre con sguardo attento.
Dottore, irato: “Il delirio di un paranoico! Lei non finirà mai di
stupirmi. Questo è opera di una fantasia malata (gettando il foglio
sulla scrivania). Posso solo immaginarne il tortuoso percorso.”
Silvio: “Neanche lontanamente.”
Dottore, riflettendo tra sé: “Tra il travisare e questo…”
Gli infermieri scuotono le teste, sconsolati. Silvio prende in mano
alcuni dei fogli.
Silvio, rivolto al dottore: “Purtroppo ci sono ancora tante cose che
non tornano. Prenda ad esempio il punto di vista. Quello è
fondamentale! Secondo me è più coerente e onesto mettersi sin da
principio dalla propria parte. È importante sapersi difendere! Il
problema è che certe volte uno non sa più a quale punto sta. Lei non
crede, dottore?
Dottore, disarmato: “Non la seguo più. Temo proprio che le manchi
una cosa fondamentale. La lucidità di pensiero, caro mio. La chiarezza
dell’esposizione.”
Silvio, sarcastico: “Oh, ma quella ne avete già voi più che a
sufficienza! Prima, forse, anch’io l’avevo…”
Dottore, infuriato: “La solita storia! Noi siamo i ladri di anime, e voi le
povere vittime!”
I due infermieri, sbalorditi, verso il pubblico: “Ma dove si vuole
arrivare?!”
Silvio, con rabbia, stringendo i pugni: “Ah sì?! E la mia libertà, tanto
per iniziare, dove è andata a finire? (Facendosi improvvisamente
triste) Quella che ora vorreste ridarmi, per compiacervi del vostro bel
risultato… Avete mai giocato da piccolo, caro dottore, ad acchiappare
le farfalle con il retino?”
I due infermieri, con aria trasognata, al pubblico: “E adesso che
c’entrano le farfalle?”
Silvio: “Ricordo ancora perfettamente del sadico divertimento che
pregustavo mentre correvo loro dietro nei campi. Solo che una volta
prese, non sapevo mai che farne. E non era facile arrendersi
all’evidenza di tanta crudeltà, limitandosi semplicemente a liberarle.
Qualcosa ne andava pur fatto.”
Dottore, con aria sconsolata: “Lei non si rende più conto di ciò che sta
dicendo, e inoltre continua, ancora più di prima se possibile, a non
voler accettare l’idea di essere un malato che ha bisogno di cure.”
Inf, al dottore: “E soprattutto non accetta la nostra presenza, non se
lo dimentichi.”
Silvio, con gli occhi lucidi, fissi sui fogli: “È per via del lavoro. Ma voi
non potete capire.”
Dottore, riprendendo fiducia: “Vede? È quest’aria di sufficienza,
questo volersi intestardire a tutti i costi.”
Silvio posa nuovamente i fogli sulla scrivania e si butta sul letto.
Dottore, con aria paternalistica: “Non vede che ha ancora bisogno del
nostro aiuto? Non è semplice per nessuno farcela da soli.”
I due infermieri fanno per applaudire, ma, rimproverati dallo sguardo
severo del dottore (o possibilmente dai fischi del pubblico), si
bloccano imbarazzati.
Silvio: “Vuole che le dica che ha ragione? D’accordo dottore, lei ha
ragione.”
Dottore: “Non è un gioco. Se crede di sbarazzarsi di me a questa
maniera, vuol dire che è ancora lontano dalla verità. La vera
guarigione presuppone la presa di coscienza, cosa che ancora lei
neanche intravede.”
Silvio: “Secondo le vostre regole io non guarirò mai, perché non
voglio guarire. Questa non è forse presa di coscienza? Io solo devo
lottare, non voi! Coi vostri discorsi complicati, infarciti di paroloni, in
fondo non riuscite mai a dirmi niente di nuovo.”
Dottore: “Insomma è molto semplice, io sarei la causa di tutto! Come
se le altre persone non avessero di meglio da fare che architettare
trappole per lei. Non le sembra di sentirsi un po’ troppo al centro
dell’attenzione?”
Silvio, seccato: “Continuamente!”
Dottore: “Ho paura che mi troverò costretto a riportarla fra noi. Con il
suo finto contegno mi ha tratto in inganno. (come pensando a voce
alta)
È
veramente
difficile
riuscire
ad essere
sufficientemente
distaccati, come il nostro lavoro richiederebbe.”
Silvio, con disprezzo: “Non è certo colpa mia se lei vede nei miei
atteggiamenti di tutti i giorni una qualche forma di sospetto verso voi
tutti.”
Dottore: “Non si preoccupi, cercherò d’ora in poi di porvi rimedio.”
Silvio: “Allora non c’è nessun problema, pare proprio tutto risolto.
Fate come avete sempre ritenuto più giusto fare. A questo punto non
mi sembra di avere altro da dire.”
Dottore: “Purtroppo lo credo anch’io. (salutandolo con un cenno della
mano) Ci rivedremo presto.”
I due infermieri lo seguono verso l’uscita, salutando il pubblico con le
mani alzate. Silvio si distende sul letto a riposare.
Coro dei Disagiati Mentali
Entrano tre pazienti psichiatrici in camera da letto. Sono facilmente
riconoscibili per il loro abbigliamento trasandato e per i volti sporchi
di cibo.
I tre in coro, possibilmente accompagnati da un'acconcia musichetta:
Portiamo tutti i cervelli in vacanza,
contro il diritto alla proprietà di pensiero,
e ringhiamo e sbaviamo
e ringhiamo e sbaviamo
ché ognuno lo fa…
Lasciandoci galleggiare
Lasciandoci galleggiare
Lasciandoci galleggiare
Lasciandoci galleggiare
come su nuvole di burro!
Entra il giovane infermiere con il carrello delle terapie.
I tre, in coro: “Ecco la cura che arriva! (accompagnando le parole con
i gesti corrispettivi) Chiudiam gli occhi e spalanchiam le bocche!”
G.Inf., preparando i vari medicinali: “Avanti cari, a tutti fate veder
quanto siete bravi. Niente storie questa volta, ché poi la cenetta vi si
porta.”
I tre, in coro: “Certo, certo, ché affamati sempre noi siam!”
Il giovane infermiere inizia a distribuire le varie dosi di medicinali. A
un certo punto, però, si accorge che uno dei tre, fingendo
d’inghiottirle, risputa di nascosto le pasticche in una mano.
G.Inf., al paziente indisciplinato: “Ti ho visto malandrino! Volevi forse
fare il furbo?”
Paziente indisciplinato: No, ma che dice?! È che in bocca non ci
stanno. (mostrando la bocca sdentata) Non vede al centro questo
buco? Due denti con un pugno mi han fottuto!”
G.Inf.: “D’accordo, per stavolta passi. Ma ora voglio vederla ripetere i
gesti.”
Il paziente indisciplinato mette nuovamente in bocca le pasticche,
mostrando d’inghiottirle.
G.Inf.: “Bene, così mi piace. Chi sta agli ordini vive in pace!”
Coro dei tre, che si guardano perplessi: “In pace?”
G.Inf.:
“Certamente!
Come
tutti
dovreste
ogni
giorno
voler
celermente.”
Improvvisamente i tre pazienti crollano in terra addormentati.
G.Inf., verso il pubblico: “Se questa non è quiete, mi domando che
vogliate! Sempre pronti a criticare, e le mani a non sporcare!”
Terza scena
Silvio è nella sua camera, da solo. Sta seduto sul letto con i pugni
stretti sulle ginocchia. Improvvisamente torna a sedere alla scrivania
e si mette a scrivere di getto, pronunciando a voce alta il contenuto
del testo.
Silvio: “Non c’è altro da dire quando chi ti ascolta ha già deciso che
cosa fare. Resta la difesa estrema, la resistenza passiva. Dire loro ciò
che desiderano sentirsi dire, farsi credere quando non si riesce più a
credere. Hanno ancora il proprio soggetto loro, il fascio di luce che
determina… Steccati della proprietà che si estendono anche alla vita
degli altri… Non resta che affidarsi ai loro valori, quelli che dobbiamo
apprendere nel segno della tolleranza. Se almeno avessimo la
possibilità di unirci e di allontanarci dal mondo! Se accetti sei un
emarginato, se resisti un egoista… ma pur sempre una minoranza
isolata. Non posso uscire dal mio ruolo semplicemente perché ne
andrebbe dell’economia del loro progetto. Potrei anche riuscire un
giorno a vivere non troppo diversamente degli altri, ma a quale
prezzo? Un controllato, riabilitato ma pur sempre controllato… come
un burattino. Si esce, anche se solo per poco, e si scopre che una
volta rientrati non c’è più voce per urlare. Perché non ti possono più
ascoltare, anche se vorrebbero farti credere che è solo perché non lo
vogliono.”
Finito il periodo Silvio ripone con estrema calma penna e foglio, dopo
di che prende il materiale scritto in precedenza e, riunitolo al centro
della stanza, gli dà fuoco con un accendino. Terminato il falò riprende
l’ultimo foglio scritto e, accartocciatolo, se lo infila in bocca. Compiuto
il rito si distende a pancia in su sul letto e sputa in alto il pezzo di
carta appallottolato.
Entra il paziente indisciplinato e prende il foglio, che dispiega
lentamente (si tratta de La cognizione del dolore di Carlo Emilio
Gadda).
Paziente indisciplinato, leggendo al pubblico: “…I pronomi!Sono i
pidocchi del pensiero. Quando il pensiero ha i pidocchi, si gratta,
come tutti quelli che hanno i pidocchi… e nelle unghie, allora… ci
ritrova i pronomi: i pronomi di persona.”
Alla fine della lettura il paziente indisciplinato farà un inchino verso il
pubblico ed uscirà barcollando dalla stanza, dove Silvio rimane
prigioniero di sonno profondo.
Silvio, a occhi chiusi e voce alta come un sonnambulo: “Non
pronunciano neanche il mio nome, ormai non lo conoscono più. Non
rimarranno che gli schedari…”
Le pareti della stanza cadono giù, non rimane che Silvio sul letto.
Silvio, sempre dormendo: “Le pareti non sono un ostacolo mentale,
sono un fatto e ce ne sono di varie consistenze. (Alzandosi, sempre a
occhi chiusi, e rivolgendosi al pubblico) Pensate forse che adesso
siano cadute? Che non siano tutto intorno a voi?
Dal bagno entrano tutti i personaggi facendo un gran baccano.
Silvio, sempre rivolto al pubblico ma aprendo gli occhi: “L'avrete
capito che non sono pazzo. Mica è così semplice. Dove sono stato io i
nomi li facevano eccome! Come se chiamassero dei bambini…”
Gli altri personaggi escono di scena pestando rumorosamente i piedi.
Silvio, continuando il monologo con il pubblico: “Il problema dei muri
è buttarli giù all'improvviso, senza preparare lo sguardo a quello che
potrà vedere dopo. Io ho visto un mondo orribile, ma pur sempre un
mondo. Pensate a quaranta, a cinquant'anni di un mondo e poi puf!,
tutto svanito. Come queste pareti (indica dove erano le pareti
cadute). Questo però è teatro, domani queste le avremo rimesse su
per un nuovo spettacolo. Pensate che ironia: dove stavo io ci hanno
messo gli universitari a studiare. Difficilmente dei pazzi avranno letto
Gadda o Goffman, non credete? Credo che alla maggior parte di loro
non abbiano mai insegnato a leggere (si ferma un attimo, come
sovrappensiero). Anzi, sicuramente sarà così. I più erano analfabeti,
messi in manicomio già dalla tenera età. Alcuni ci sono persino nati là
dentro! Ma noi abbiamo una visione molto romantica della follia, direi
strappalacrime. Siamo abituati all'idea del poeta o del compositore
pazzo, magari del dissidente politico… e ce ne sono stati anche così,
non crediate, ma per ogni Tasso o Artaud ci sono stati migliaia di
sconosciuti che non avrebbero saputo definire alcunché della propria
terribile condizione. Non potevano che gridare. Ah, quante grida che
ho sentito, e le cose che ho visto là dentro! A chi veniva da fuori, ed
erano rare occasioni, doveva sembrare un circo delle atrocità. Anzi,
uno zoo di bestie invecchiate, perché alla fine i più non si reggevano
neanche in piedi. Eppure avevano ancora istinti sessuali, ne ho avuto
più volte prova e mi sono divertito a vedere quelle espressioni
sconvolte, disgustate, con cui i dottori si ritraevano dalla scena. Per
gli infermieri era un fatto normale, ma gli psichiatri, per carità!
Normalizzazione, sedazione, carrelli infarciti di pillole colorate contro
le bestialità della mente e della carne (si sente nuovamente un gran
trambusto). Eccoli che ritornano, lo sapevo che stavo parlando troppo
(mette l'indice davanti alla bocca e fa segno al pubblico di stare in
silenzio).”
Sulla scena ricompare il dottore, seguito dall'assistente sociale.
Dottore: “Non si faccia strane idee, abbiamo soltanto cambiato
l'apparenza delle cose.”
Assistente sociale: “Oggi è molto importante farsi vedere tolleranti,
aperti a tutto.”
Dottore, indicando la platea con un ampio gesto del braccio: “Lo vede
come ci guardano e ci giudicano? Al giorno d'oggi bisogna stare molto
attenti.”
Ass. sociale: “Guardano, ma mica si sporcano le mani”.
Entrano di gran corsa i due infermieri.
Infermiere: “E no eh! Qui gli unici che si son sempre sporcati le mani
siamo noi!”
L'infermiere più giovane apre i palmi inguantati e sporchi di materia
marrone.
Dottore: “Noi ci siamo compromessi il pensiero, ci siamo sporcati la
coscienza.”
Ass. sociale: “Io ho imbrattato un sacco di taccuini, di quaderni.”
Dottore, vedendo i resti bruciati a terra: “Ma quello che cos'è?! I suoi
amatissimi fogli!”
Ass. sociale, scuotendo la testa: “Così non va, non va proprio…
(rivolgendosi al pubblico) Avete visto anche voi, vero? Quest'uomo è
pazzo.”
Dottore, all'assistente sociale: “Lei deve imparare a moderare i
termini, certe parole non si usano più. È uno nostro paziente, e come
tale va trattato con tutti i riguardi.”
Silvio viene preso a braccetto dai due infermieri, uno da una parte e
uno dall'altra, e portato fuori dal palcoscenico.
Ass. sociale, rivolta al pubblico: “Mi raccomando, non applaudite
troppo forte. Stanno dormendo tutti.”
Cala il sipario.