documento allegato - CNGEI Sezione di Parma

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documento allegato - CNGEI Sezione di Parma
BELLA PARMA
trimestrale di arte, storia,
letteratura e costume
N. 6
ottobre - dicembre 2004
BELLA PARMA
trimestrale di arte, storia
letteratura e costume
N. 6 - ottobre-dicembre 2004
Autorizzazione del Tribunale di Parma
n. 15/2003
***
Direttore responsabile:
ANNA CERUTI BURGIO
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Redazione:
Via Buffolara, 22/24 - Parma
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e non pubblicato, non sarà restituito.
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EDITORIALE
Cari Lettori,
con il 2005 inizia il nostro terzo anno
di pubblicazione, che proseguiamo con lo
stesso entusiasmo di sempre.
Per la nostra città è un anno di sfide importanti: l’insediamento effettivo dell’Autorità per la sicurezza alimentare la pone
al centro di interessi europei, e la consacra veramente capitale non solo della food valley ma anche della vita sociale e culturale.
Una vocazione, quella europea, che Parma ha sempre avuto,
fin dai tempi del ducato: i Farnese prima, i Borbone poi, hanno
intrecciato rapporti coi regnanti di altri Stati, e hanno contribuito a darle quell’immagine raffinata e cosmopolita che incantava, fin dal Settecento, i viaggiatori e gli amanti dell’arte.
Ecco perché, proprio ora che dobbiamo costruire un futuro importante, dobbiamo restare ancorati alle nostre radici storiche e
culturali; ecco l’importanza di ricercare con amore il nostro passato, di valorizzare i nostri monumenti e le nostre peculiarità, per
dare all’Europa un’immagine forte e ben caratterizzata.
Gli articoli che qui di seguito pubblichiamo vogliono essere un
contributo alla conoscenza e alla conservazione, nonché alla valorizzazione della nostra identità, anche negli aspetti più curiosi
e quotidiani. Come al solito, gli autori spaziano su varie tematiche, tutte però volte a comporre un mosaico coerente, un quadro vivo della nostra Parma.
Le sfide che ci attendono non sono solo economiche o organizzative, ma culturali: da qui una sollecitazione ai nostri amministratori a porre grande attenzione alle numerose realtà di volontariato culturale, spesso poste in secondo piano rispetto al volontariato sociale. Investire sulla cultura vuol dire investire sullo
sviluppo, perché senza cultura non c’è progresso di sorta.
Molte volte, invece, si confonde l’“evento” di tipo mondanopubblicitario col fare cultura, che è cosa diversa, anche se meno
appariscente. Fare cultura vuol dire infatti creare problematiche,
riflettere, costruire un sistema che duri nel tempo al di là dell’apparire e delle mode momentanee.
L’invito è quello di lasciare da parte i personalismi e le vanità
per collaborare tutti insieme al progetto Parma.
ANNA CERUTI BURGIO
Direttore responsabile
Bella Parma
M
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i rivedo bambino, a Parma, mentre s’inolce, i mandarini, i ciuffi delle verdure, il rosso
trano gli anni Trenta. Risento il frastuono di ruote
sfrontato dei peperoni, il soffuso viola di certi carosse e azzurre sulle selci di via
voli a corolla densi di pittura sapiente.
Farini, le carrozze rotolano via, i
Io, no. Io fisso rapito il fruttivencavalli si eccitano al loro stesso
dolo perché si erge a busto rigonscalpitare, i ferri degli zoccoli
fio, porta il colletto spalancato sul
sprizzano scintille, i landò
collo taurino, riceve a gambe
sono neri e traballanti, la
larghe e ben salde sulle piancapotta incerata si scuote, il
te, è sanguigno, ciuffato, la
vetturino si regge a cassetta
voce come ne ha Merlino
puntando i piedi, certe volnella baracca dei burattini di
te ha una bombetta nera
Italo Ferrari, tutto scandito,
calcata sugli orecchi, polvetutto impostato, quasi il parrosa, ammaccata. La carlare fosse una perenne vigirozza si trascina appresso il
lia di canto, l’avvio di una rorotolìo, la sacchetta della
manza tra carote, carciofi e
biada, la frusta del cocchieinsalata alla ricciolina. Il
re che fa i ghirigori di
nonno mi dice, mi spiega,
schiocchi, i passeggeri che
mi scandisce quasi: “Vedi?
forse saranno signore con la
Questo signore è un coriveletta, chiamate a convesta”. Il nonno lo ripete tutte
gni segreti come fossero genle volte, con la deferenza
di
GIORGIO
TORELLI
tildonne misteriose, dipinte
che si riserva a un parmigiaa Parigi da De Nittis. Parma
no di bella voce aduso alle
è sempre un po’ Parigi. ne ha talora le luci d’acscene, convocato abitualmente a teatro per il trucqua sotto i ponti, il nostro torrente si atteggia a picco, il manto da cospiratore e la corazza. I coristi
cola Senna, abbiamo i ponti che splendono di
mutano sembianze ad ogni slargarsi di opera. I
lampioni la sera, i lumi si rispecchiano, la corcoristi sono intimi dei grandi tenori e delle belrente si colora, si stria di arancioni languidi
lissime usignole. Spondeggiano Radames e
e mossi. Parma adora farsi teatro, e così
Violetta, esultano nelle stesse note, si
recitare sempre e solo se stessa.
addensano sullo sfondo come un cielo di nuvole da tregenda, e talora sono
*****
il vento. Lo rifanno. Noi abbiamo molti
Ecco, allora. Io sono un bambidischi dei grandi tenori. Mio nonno li
no per mano di mio nonno, lui coi
posa reverente sul grammofono, gira la
baffoni bianchi e la mazza dal manimanovella, controlla la puntina, casoco d’argento, anche il monogramma;
mai ne preleva una nuova da una scaio col paltoncino su misura, tagliato e cucito daltolina di latta lucida. Mio nonno chiude gli oclo zio sarto.
chi quando il tenore comincia. Mio nonno si alE andiamo insieme per città, il signor Domelenta in poltrona, quasi un abbandono totale, apnico e nipotino. Ci fermiamo ai negozi dove mio
pena il coro sgorga come la luna, lento e sononno intesse dialoghi e celie, lo rispettano
lenne, o quando il coro irrompe quane lo favoriscono. E quando siamo al cospetto una tuonata da brivido e signoregto di una bottega odorosa e lustra di
gia il destino, il fato, la sorte, il tramele, tutte allineate come teste in
dimento, perfino la gloria. Mio
platea; quando entriamo nel
nonno – lo vedo – stima che i coboccascena a pergolato del fruttiristi siano più generosi e bravi dei
vendolo di via Farini (ancora e semtenori e dei baritoni di grido, più
pre via Farini e i suoi binari di tram),
bassi dei bassi, più genuini e schietio non miro i pomi, le pere, le aranti degli artisti con la pelliccia inter-
I coristi di Parma
li ho sempre
pensati così
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Bella Parma
na e la lobbia alla Talvacchia (Hotel “Croce
Bianca”). Ascolto in silenzio i discorsi che fa mio nonno, allisciandosi i baffoni e inserendo talora
sul naso gli occhiali a molla
(per subito rimuoverli e usarli
col gesto). Col fruttivendolo
d’impianto statuario, quasi un
monumento al valore contro
le quinte di barbabietole e
scartoccini, mio nonno dice e
ripete Aida, Traviata, Ballo in
Maschera, Rigoletto, soprattutto Rigoletto, il Duca di Mantova, Gilda, Sparafucile. Io amo moltissimo quando il fruttivendolo e mio nonno dicono forte Sparafucile. Nel pronunciare il nome, il corista delle verdure emana
una parola maiuscola, rotonda come un’insegna
epica, folta di chiari e scuri. È la sua voce ad essere così. Canta in falsetto anche lasciando un
momento mio nonno per accorrere verso l’improvviso incedere di una elegante e morbida cliente: “In cosa mai potremmo servirla, bella signora?”.
È una frase da niente. Ma sale in musica come fossimo all’opera, in palco o in loggione, il Regio degli antichi ori, il fruttivendolo e i suoi complici
coristi dispiegati in doppia fila e ad onor di spartito.
“Veh, bello, vuoi un partugallo?”. Il corista col
grembiule di scena (tutto gli diventa fondale) si
rivolge proprio a me. Si china, mi carezza come
fossi un bambino di quelli che invidio, le piccole
comparse ammesse sulle tavole per esservi virgulti
silenti dentro i marosi dei cori e dei quartetti, nell’onda delle cabalette, dentro le eruzioni di voci
unanimi, irose e sdegnate, clementi o evocative.
Dice adesso il fruttivendolo, e forse lo
intona in do maggiore, ben sillabando;
“Omino, ci vuoi bene al tuo
nonnone?”. Tutti ridono, tutti salutano deferenti quando
entra improvviso in bottega un signore che gravemente si scappella
verso mio nonno, mio nonno si scappella
verso di lui, si toccano la mano, si festeggiano composti. Il signore è uguale a Giuseppe Verdi e lo imita. Parma è piena di pensosi signori con barba e cappello, passo studiato
e paltò a caduta libera.
E tutti sembrano il Maestro, il Cigno, quello stesso vegliardo che il fruttivendolo tiene ap-
peso alla parete sopra la cassa, vicino al Crocifisso, al sommo delle cartoline ricevute da chi ha fatto la gita col
treno popolare. Il Re Vitoriètt
è accanto al gran Peppino,
non alla pari. Verdi è il nume.
Anche il Re in cornice guarda ammirato verso Verdi.
Verdi fissa assorto l’ispirazione, legge in musica il mistero degli uomini, la gioia, il
dolore, l’amore, il sangue, il
grido di riscossa e la speranza.
I Re passano. Verdi è Immortale. Il fruttivendolo corista canta per Verdi, vive unicamente per
rendergli testimonianza, gli offre magnanimo la
voce che non muta, che non s’incrina, che si fa
più calda e suadente mentre il tempo matura le
melanzane e le vocazioni all’acuto. Mio nonno
saluta.
Il fruttivendolo ci scorta sull’uscio di bottega
per un addio romantico col gesto, quasi che il rosso del sipario in studiata discesa celebrasse il congedo. Erano gli anni Trenta, l’ho detto. E da allora il torrente ha seguitato a inargentarsi, a crescere, a scemare, a farsi filo di corrente e empito.
Mi accorgo che i coristi di Parma li ho sempre pensati così, come il fruttivendolo di via Farini
che ne onorò la condizione e l’estro, il talento e
la forza sorgiva. Se Parma ha una colonna sonora – ogni città storica possiede una gran musica e
una struggente melodia che le son proprie –, questo codice di note, questo cifrario intellegibile dalla
natura dei più è un coro.
È un coro verdiano.
È il coro dei parmigiani in mastice, in accolita, in forte e libera
brigata di voci. I coristi vogliono inneggiare, uniti dal mutuo soccorso e dalla delibera
di dispiegare le voci unanimi.
Intendono confermarsi popolo. E prorompono a cuori
assiepati, per meglio attestarsi
nella gentile ribalda, immutabile indole di teatranti.
Un sincero ringraziamento
alla Dr.ssa Sandra Martani per
le illustrazioni.
Bella
Parma
STORIA
L
a Società Parmense di Lettura e Conversazione nasce grazie all’iniziativa di un gruppo di
notabili della città al fine di favorire la formazione
culturale e lo scambio di idee attraverso la costituzione di un’associazione con un’adeguata sede
dove uomini di valore potessero ritrovarsi e dove
fosse disponibile materiale di studio, libri e giornali.
Nel gennaio del 1858, durante la reggenza di
Luisa Maria di Borbone
(1854-1859), il Conte Filippo Linati (che ne divenne
poi il primo Presidente) si
era fatto portavoce di tale esigenza presso Enrico Salati,
Ministro di Grazia e Giustizia del Governo Borbonico.
Dopo qualche piccola
modifìca allo statuto, la Duchessa approvò la costituzione della Società che diede
così inizio al suo lavoro il 23
gennaio 1858.
L’istituzione culturale prende avvio in un momento quanto mai travagliato per la storia della
città e dell’intero Paese, non ancora riunito in
nazione. Infatti Luisa Maria di Borbone, figlia del
duca di Berry, aveva preso le redini dello Stato al
posto del figlio Roberto I, appena decenne, dopo
che, nel marzo del 1854, era stato ucciso Carlo
III di Borbone, suo consorte. Questi era entrato a
Parma il 25 agosto 1849 e aveva dato prova, fin
dall’inizio, di una condotta politica e morale del
tutto discutibili, tanto da generare un diffuso scontento. Alla sua morte, la moglie Luisa Maria, già
contraria alle scelte di Carlo III, orientò la propria
azione in direzioni diverse rispetto al marito: allontanò i ministri conservatori mentre confermò
ministri non invisi ai liberali. Si interessò poi alla
rinascita culturale della città, ricostituendo, dopo
venticinque anni di silenzio, l’Ateneo ed istituendo scuole. Volle anche che sorgesse un nuovo
quartiere destinato ai ceti operai che offrisse accettabili condizioni di vita, soprattutto dal punto di
vista igienico. Prese, infine, alcuni importanti
provvedimenti amministrativi per favorire la circolazione delle merci e per il risanamento del
bilancio.
In questo contesto la neonata Società, caratterizzata da orientamenti liberali, non trovò forti
ostacoli in Luisa Maria; lei Duchessa rimase a governare il ducato fino al 1859, quando gli eventi
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della seconda guerra di Indipendenza, la indussero a lasciare la città che, dal marzo 1860, venne
annessa al regno sabaudo di Vittorio Emanuele II.
Ben presto il numero degli aderenti alla Società
di Lettura e Conversazione crebbe, annoverando tra gli associati docenti universitari, professionisti, alti funzionari dello Stato, accomunati oltre che dall’interesse culturale, da un’anima
schiettamente patriottica e liberale.
Una linea di continuità
lega dunque tale Società alle
altre che la precedettero e
che ne costituirono i presupposti istituzionali, sia per
quanto riguarda le finalità
culturali sia per il prestigio
dei Soci.
Dobbiamo infatti rifarci ad
illustri ed antichi precedenti: nell’agosto del 1722 nasceva, sul modello inglese il primo club, denominato “Ridotto dei Cavalieri”; con
l’intento di “godere insieme una savia cavalleresca conversazione”; la sede si trovava nel palazzo
La Società
Parmense di
Lettura e
Conversazione
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Bella Parma
Sala lettura.
dei Padri Teatini, sull’odierna strada della Repubblica, accanto alla chiesa di S. Cristina.
A questa prima forma associativa se ne affiancò, durante il regno di Don Filippo di Borbone
(secondogenito di Elisabetta Farnese, duca dal
1749 al 1765) un’altra più elitaria, il “Casino dei
Nobili” o dei “Forestieri”; con sede in quella parte del Palazzo di Riserva ristrutturato dal Petitot —
oggi sede del Museo Glauco Lombardi — nella
quale si dava convegno la nobiltà cittadina e dove
si ospitavano personaggi di rango.
La vita di queste istituzioni fu, però, bruscamente interrotta, alla fine del XVIII secolo, dai nuovi
dominatori; a partire dal 1796 infatti, l’occupazione del Ducato da parte delle milizie napoleoniche
comportò, fra le altre conseguenze di ordine sociale e culturale, la soppressione dei privilegi ai
nobili e al clero e perciò la scomparsa dei circoli
esclusivi.
Ma già dal primo decennio dell’Ottocento si
costituirono nuove aggregazioni: nel 1808 il Conte
Jacopo Sanvitale fondava la “Società di Scienze e
Lettere” che, oltre agli interessi culturali, coltivava anche, seppure in modo più nascosto, quelli
politici. Un circolo prettamente letterario fu invece il “Gabinetto di Lettura”; voluto all’incirca negli
stessi anni da Francesco Pastori.
Molto spesso questi circoli letterari trovarono
ostacoli a causa del colore politico che li connotava, come accadde al “Gabinetto Letterario”. Istituito nel gennaio del 1815, divenne luogo d’incontro della borghesia colta e illuminata che si
teneva aggiornata sugli avvenimenti nazionali ed
esteri attraverso la lettura della stampa inglese e francese. Dopo i moti del
’31 il Circolo subì, a causa dei suoi
orientamenti liberali, dapprima uno
scioglimento temporaneo, poi definitivo. Solo nel 1847 l’alta borghesia locale trovò una nuova associazione cui
fare riferimento: nasceva, infatti, in
quell’anno il “Casino di Conversazione”, animatore della vita culturale e
mondana della città e di chiara, seppur
non dichiarata, impronta patriottica.
La Società Parmense di Lettura e
Conversazione, sorta nel 1858, si trasferiva nel 1866, come si è detto, in
alcune sale del Palazzo di Riserva collocate sui lati nord-est, ed è questa la
sede attuale.
L’edificio ha alle spalle una lunga storia di trasformazione sia dal punto di vista urbanistico e
architettonico sia per quanto attiene all’utilizzo.
L’area sulla quale sorge il Palazzo comprendeva, in origine, un gruppo di case ed una chiesa
parrocchiale, San Michele del Pertugio, che venne abbattuta fra il XVI e il XVII secolo. Nella seconda metà del Seicento, il duca Ranuccio II
(1646-1694) acquistò, volta a volta, diverse case
per ampliare la residenza ducale ed in particolare
costruirvi un teatro. Il duca assegnò tale impresa
all’architetto ed ingegnere Stefano Lolli, già al servizio dei Farnese: al principio del 1688, dopo due
mesi di lavoro, il teatro era completato e potevano
esservi rappresentate opere in musica. Nel corso
del Settecento i duchi acquistarono le ultime case
ancora possedute da privati cosicché tutta l’area
divenne di proprietà della Corte e poté servire ad
alloggio per nobili forestieri: da questa destinazione prese il nome di Palazzo di Riserva.
Nel Settecento altri importanti avvenimenti segnano la storia del Palazzo: nel 1764 l’architetto
Petitot provvedeva alla ristrutturazione di una parte dell’edificio destinata ad accogliere il suaccennato
“Casino dei Nobili” o “dei Forestieri”.
Il lato dell’edificio prospicente strada Melloni
servì invece come residenza temporanea per Ferdinando di Borbone (1765-1802). L’area assegnata al “Casino dei Nobili”, nell’Ottocento venne
trasformata, da Paolo Gazzola, in appartamento
per il duca Carlo III (durante il suo breve regno,
dal 1849 al 1854). Divenne poi sede del Genio
Civile ed accolse infine il Museo Glauco Lom-
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Bella Parma
bardi, istituito nel 1961. Da documenti si sa, infine, che durante il regno di Maria Luigia (18151847) si verificò una ristrutturazione del Salone
San Paolo e che, nelle sale prospicienti il monastero omonimo, la Duchessa esponeva la sua collezione di quadri moderni.
Dopo aver ospitato in seguito il Comando Generale dell’esercito ducale le suddette sale vennero concesse, come si è detto, alla Società Parmense di Lettura e Conversazione.
In alcuni ambienti dell’attuale sede si possono
leggere, abbastanza chiaramente, i caratteri delle
epoche attraverso le quali l’edifìcio giunse ad una
completa definizione: lo Scalone d’accesso e la
Sala Rossa manifestano il carattere settecentesco
del tempo in cui le sale furono residenza ducale.
Si notino, in particolare, la ringhiera in ferro
battuto nello Scalone d’accesso, in perfetto stile
Luigi XV, e le decorazioni della Sala Rossa.
Qui è presente un camino neoclassico in marmo mentre le pareti hanno un tipico rivestimento
a boiserie; sopra le porte vi sono alcune pitture
mitologiche che potrebbero ricondursi a due distinte figure di artisti. I dipinti raffiguranti Giove e
forse Danae, e Giove che tiene in braccio un bambino che gli viene porto da una figura femminile
potrebbero essere attribuibili ad Antonio Bresciani; per le rimanenti due pitture, nelle quali compaiono le raffigurazioni delle Arti che rendono
omaggio a una città, è stato suggerito il nome di
Giustino Menescardi, pittore veneto attivo come
decoratore di Palazzi Ducali, di cui non si conoscono però opere del periodo parmense.
È possibile anche che i dipinti siano stati trasferiti nella Sala da altri ambienti, forse collegati all’antico teatro, poiché nella prima sovraporta vi è
uno scudo con i gigli farnesiani.
Il maestoso Salone San Paolo ha invece veste
ottocentesca; la decorazione risale infatti al 1837
quando l’intagliatore Pietro Canavesi di Piacenza
realizzò i 12 lampadari a 24 luci, con fusto in legno e cristalli tedeschi, e le due specchiere.
Pure ottocenteschi sono altri elementi dell’arredo, come le panche, i bastoni per i tendaggi, ed
il fregio monocromo in cui figurano cornucopie
e strumenti musicali, in accordo con la destinazione della sala ad ambiente per feste e ricevimenti.
È il più grande salone in perfetto stile
neoclassico della città.
La Società Parmense di Lettura e Conversazione, comunemente conosciuta come “Il Circolo
Sala Rossa.
di Lettura” è un’associazione, senza fini di lucro,
fondata nel 1858 e nei suoi 147 anni di vita è
stato protagonista e testimone della storia di Parma. Il circolo occupa gran parte del “Palazzo di
Riserva” da via Cavour a via Garibaldi. È composto da 10 sale, oltre alla biblioteca, che accolgono
riunioni, conferenze stampa, congressi, seminari
e feste. Il sabato e la domenica le sale ospitano
matrimoni e pranzi di gala. Nella Sala degli Stucchi è collocato il ristorante che, attraverso una ristrutturazione che non ha turbato gli elementi
architettonici ed artistici, è stato attrezzato con le
più moderne tecnologie multimediali che permettono di collegarsi ad internet ed alle reti satellitari
televisive. Oltre al ristorante è in funzione un servizio di “fast lunch” nella Saletta da thè, utile per
avere il tempo di leggersi un giornale in Sala Lettura. Il bar ed il ristorante del Circolo di Lettura
sono a disposizione dei soci e degli ospiti.
Il ristorante offre una cucina tipicamente parmigiana in un ambiente ricco di storia. La Sala
degli Stucchi, la Sala Rossa e le altre sale monumentali possono trasformarsi in uno scenario ideale ed unico per feste e ricevimenti. Per la cucina
si è rimasti fedeli alle tradizioni emiliane con cuochi e personale di grande esperienza che negli ultimi anni hanno arricchito la loro professionalità
ospitando numerose manifestazioni.
La posizione del Circolo di Lettura in Via Melloni 4 e la sua prestigiosa sede lo rendono il luogo
ideale per riunioni, conferenze, congressi e seminari. I locali del Circolo sono stati sottoposti ad
un vasto programma di restauro artistico, funzionale alle nuove esigenze dei circa 260 soci.
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Bella Parma
MONUMENTI
C
ome gran parte di noi conosce, nello spiazCosa resta di queste imponenti statue alte alzo ora occupato, di fronte alla stazione ferroviacuni metri e scolpite con pregevole mano?
ria, dal palazzo ora chiuso e già sede dell’Ente
Poco, almeno per quanto se ne possa sapere:
Nazionale per l’Energia Elettrica e da alcuni alle uniche rimaste e per fortuna anche ben contri limitrofi, sorgeva fino alla fine della seconda
servate sono quelle che si possono trovare nei loguerra mondiale il grandioso monumento a Giucali dell’ex sala cinematografica del cinema Areseppe Verdi.
na del Sole a Roccabianca.
Questa stupenda costruSono otto, poste, tranne
zione, era stata inaugurata
una, in nicchie a lato della
il 22 febbraio dell’anno
sala.
1920, ed era opera dello
Quale immeritata fine,
scultore Ettore Ximenes e
quale peccato e quanta verdell’architetto Lamberto
gogna per questo scempio!
Cusani. Sull’ampio basaChissà che fine banno
mento di granito è rapprefatto le altre?
sentata in bronzo l’apoteosi
Dovevano essercene andi GIULIANO COLLA
del sommo maestro che ha
cora una ventina e, forse,
trovato casa in piazzale delsono state spazzate via dalle
la Pace. Questa parte cenruspe insieme ai mattoni, al
trale era circondata da una
cemento, al ferro che costiesedra ad archi, contro i pilastri dei quali stavano
tuiva tutto il monumento.
le statue dei protagonisti delle opere verdiane.
Sull’arco centrale, su una biga trainata da
quattro leoni, era rappresentata in piena luce la
personificazione della Gloria.
Il monumento, per l’epoca di costruzione ed anche per i materiali impiegati nella stessa, non era
di grande valore monumentale o storico, ma era,
nella sua grandiosità, un tangibile atto di riconoscenza e testimonianza di gratitudine per un uomo
che tanto aveva dato all’Italia ed al mondo. I bombardamenti aerei del 1944 avevano danneggiato
la costruzione, anche se in misura non certo rilevante e con ampie possibilita’ di ripristino.
Infatti, le statue ed i bronzi si erano salvati quasi
tutti e quindi il restauro non doveva presentare
grosse difficoltà.
Invece, questi tangibili ma non per questo determinanti danni, fecero sì che fosse presa l’infelice, oltre che errata, decisione dell’abbattimento
per far posto ad un “sostituto”, il palazzo della ex
sede ENEL e di cos’altro non so.
Pur in questa triste circostanza, non si pensò
di salvare, è proprio il caso di dirlo, almeno i bronzi e le statue, ma ci si limitò a “parcheggiare”
l’apoteosi del sommo maestro tra l’incuria, la sporcizia, le macerie per lunghissimi anni tra le auto
dello spiazzo venutosi a creare nella Pilotta con
lo stesso bombardamento aereo.
Il momunento
a Giuseppe Verdi
Bella Parma
Se si sapesse dove questi detriti sono stati buttati (probabilmente nell’alveo del torrente per la
verità assai alto in quei paraggi), forse se ne potrebbe recuperare qualche parte, ammettendo
anche di trovargli una collocazione degna, visto
che ora non esiste nemmeno per quelle sane. Ac-
7
cadono, a volte, cose inspiegabili, proprio come
questa distruzione di un monumento che, nel suo
aspetto originale, in progetto era stato il secondo
classificato per la edificazione dell’altare della Patria a Roma.
L’unico e direi anche misero, se confrontato
con l’originale,
resto è il basamento di granito
con la pensosa
figura del Maestro in bronzo,
collocato in
Piazzale della
Pace e sommerso dalle auto fino
a pochi anni or
sono.
Quale tristezza, quale e quanta irriconoscenza per un uomo
figlio della nostra terra!
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Bella Parma
D
ove ora si estende Piazzale Matteotti con
riferibili solo a far tempo dal XVIII secolo, quanle relative vie e abitazioni circostanti, sorgeva l’ando furono definite le linee architettoniche nel
tico Monastero Domenicano retto dalle Mona1795 dall’architetto Carlo Bertani.
che dell’Ordine omonimo.
È noto che sull’altare maggiore campeggiava
La presenza a Parma delle Monache risale alla
la grande Pala attribuita a Sisto Badalocchio
prima metà del 1200, poco dopo la fondazione
(1585-1620), ora in Pinacoteca, rappresentante la
dell’Ordine da parte di S. Domenico di Guzman.
Beata Vergine del Rifugio, l’opera, di buona fatNel 1221 quando era Vetura, ha come figura centrascovo di Parma Monsignor
le la Vergine con Bambino
Obizzo, furono accolti in
che troneggia da una nube
Città i Padri dell’Ordine dei
affiancata da quattro SerafiPredicatori, questi ebbero
ni. Alla destra S. Domenico
come primo alloggio la
con il giglio in mano, San
Chiesa Parrocchiale della
Tommaso d’Aquino e San
Santissima Trinità in Porta
Pietro Martire figure in pieBenedettina; dodici anni
di; a sinistra una femmina
dopo cioé nell’anno 1233 si
convertita in ginocchio aftrasferirono nella chiesa Parfiancata da un leone e da
rocchiale di Santa Maria
una volpe, dietro la suddetdi ROBERTO MORA
Nuova, nel luogo detto”
ta, San Francesco in piedi
Martorano”, situato a Cò di
con il crocefisso in mano.
Ponte di Galeria.
Sull’altare di destra un quadro di autore ignoto
Dopo questo trasferimento l’apostolato dei Padedicato a San Vincenzo Ferreri, avente un Andri si fece più profondo e spirituale, arrivando nel
gelo con un foglio in mano; davanti a Lui una
cuore di Vergini e Nobildonne locali, facendo nascere in loro il desiderio di consacrarsi all’altissimo.
Queste, spinte dal desiderio di sacrificarsi al Signore nell’abito Santo di San Domenico, chiesero umilmente di poterlo vestire. Ebbero l’approvazione e sotto la direzione della Priora Madre
Mansueta, con grande impegno si prodigarono
per l’erezione del Monastero nelle vicinanze della
chiesa di Tutti i Santi.
Nel frattempo la Priora compra molti terreni,
adibiti al tempo a terre prative e ortive in vicinanza alle fosse comuni della città, come documenta una pergamena del 19 febbraio 1236, il luogo
era denominato Chiuso del Ghiarolo; altri terreni furono acquistati nel 1237.
Terminato il Monastero, nel 1268, si applicarono alla costruzione della chiesa, come prevedeva la regola della clausura che fino ad allora
non veniva praticata; per l’edificazione della chiesa un certo Ruggero Basavecchia lasciava alle Religiose di San Domenico una somma di cinquanta lire Imperiali, come testimonia un testamento
datato 17 novembre 1268.
La chiesa si presentava ad una sola navata,
con tre altari laterali.
Pianta Monastero RR Madri di S. Domenico (Archivio di Stato Parma).
Le notizie più attendibili sull’edificio sono
Un Cenacolo
Domenicano
in Oltretorrente:
il Monastero
di S. Domenico
Bella Parma
Raccolta Sanseverini (Archivio di Stato di Parma).
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Bella Parma
Beata Vergine dei Rifugio (Sisto Badalocchio).
donna in ginocchio chiedente grazia per un povero moribondo coricato in un letto, in alto la
Triade attorniata da Angeli. Al terzo altare a sinistra un quadro dedicato alla Vergine del Santo
Rosario, la Madonna in atto di porgere il Rosario
a Santa Caterina da Siena in ginocchio, al suo
fianco, Santa Rosa da Lima pure in ginocchio con
in mano una rosa avente una fascia in cui vi è
scritto: “Rosa del mio cuore tu sarai la mia Sposa”. In alto, due angeli tenenti in mano una rosa.
Al di sotto del quadro un piccolo ovato con bella
cornice, rappresentante la Beata Vergine col Bambino, a destra San Paolo con la spada e San Domenico, a sinistra San Gerolamo con il leone ai
suoi piedi; il suddetto ovato è opera di Domenico
Muzzi (I742-18I2). La cupola della Chiesa nel
1793 fu affrescata sempre da Domenico Muzzi,
pittore di Corte del Duca Don Ferdinando di Borbone, che affrescò altresì la Cantoria e nel Monastero una loggia rivolta ad oriente rappresentante
la Beata Vergine del Rosario con San Domenico,
San Vincenzo e San Rocco.
La facciata, esemplare per sobrietà, si presentava con una sola porta d’ingresso, sormontata da
una lunetta al di sopra della quale campeggiava
un grande finestrone che dava luce alla navata,
il tutto incorniciato da un timpano poggiante su
due lesene; guardando la facciata alla sinistra un
leggero campanile.
Il Monastero, adiacente alla Chiesa, quadrangolare, sorgeva su di un’area piuttosto ampia
perimetrata a Sud e a Est da ampi cortili, e da
aree coltivate ad orto a Nord e ad Ovest.
Per il suo sostentamento, il Monastero poteva
contare sulla rendita di vari appezzamenti di terreno, dislocati in varie località della Provincia:
“Antognano, Busseto, Costamezzana, Diolo di
Soragna, Medesano, Paradigna, Ramoscello,
Ronco Campo Canneto per un totale di 1452
Biolche, il tutto retto da fattori”; nelle adiacenze
del Monastero esisteva anche un mulino.
Con l’avvento di Napoleone, la Comunità fu
soppressa nel 1810. La Chiesa sarà demolita nel
1820, il Monastero sarà adibito ad abitazioni private; il complesso fu poi definitivamente abbattuto agli inizi del novecento.
Tra i fatti degni di nota, possiamo rammentare
che proprio questo Monastero accolse, all’inizio
del suo cammino di fede la giovane Giacinta
Domenica di Borbone figlia del Duca Don Ferdinando.
Visione dell’attuale sistemazione dell’area dove sorgeva
la Chiesa di S. Domenico.
Bella Parma
LETTERATURA
O
11
Il “De partibus aedium»
pera singolare, il “De partibus aedium”
dell’umanista parmigiano Francesco Mario
L’edizione che qui si prende in esame e da cui
Grapaldo, fin dalla sua prima apparizione, suscideriviamo i passi per le citazioni, è quella del
tò ampio interesse, tanto da conoscere parecchie
1516, comprendente anche il “De verborum
ristampe: la prima edizione risale al 1494 (Parexplicatione”, stampata a Parma da Ottaviano
ma); ne seguirono altre con revisioni e aggiunte,
Salado e Francesco Ugoleto, a istanza, come dice
nel 1501 (Parma, Ugoleto), 1506 (ibidem, idem),
il colophon, di Antonio Quintiano che volle pub1508 (Argentina, Pryss),
blicarla a sue spese, al fine
1511 (Parigi, Biermantiedi impedire che perissero i
res), 1516 (Parma, Salado e
lavori del Grapaldo, letteraUgoleto), 1517 (Torino,
to da lui molto apprezzato.
Sylva e Venezia, Bindoni),
Infatti il Grapaldo stesso,
1533 (Basilea, Waderus),
in una lettera preposta al1535 (Lugduni, Vicenzial’edizione del 1501, afferna), 1571 (Basilea, Waldema che da sette anni (cioè
riana), 1618 (Durdrecht).
dal 1494, anno della prima
Ma l’opera del Grapaldo
edizione), ha affidato da
(che nel XVI secolo era codistribuire al Quintiano i
nosciuta col nome di “grasuoi libri.
di ANNA CERUTI BURGIO
paldina”), vide anche traduL’esemplare che abbiazioni francesi; inoltre se ne
mo consultato proviene dalconosce anche un’edizione del 1723; circolò inolla fornitissima biblioteca antiquaria del prof. Cartre sotto la forma di “estratti”.
lo Antinori, noto bibliofilo e studioso parmigiaEsemplata su illustri modelli classici, e scritta
no, che ringraziamo per la sua disponibilità.
totalmente in latino, l’opera ha una sua pecuAll’inizio vi è preposta la Vita del Grapaldo,
liarità, offrendo non solo consigli tecnici su come
scritta da “Ianus Andrea Albius”, preceduta da
allestire una confortevole abitazione, ma fornenuna poesia latina di “Petrus Maria Charissimus
do anche un vivace spaccato di usi, credenze e
canonicus parmensis”; seguono altre poesie latiabitudini della fine del Quattrocento.
ne di dedica ed elogio dell’autore ad opera di “P.
Probabilmente ha influito sulla materia desunta
Franciscus Pasius”, “Bernardus Bergondus”, ed
dai classici l’esperienza di vita parmigiana dell’auepitaffi scritti da “Nicolaus Petulus” e “Caesar de
tore, specialmente là dove si dilunga su cibi e abiMichaelibus”. Seguono una dedica in versi deltudini alimentari.
lo stesso autore (interessante notare come egli si
In questo intervento ci soffermeremo in parfirmi sempre con l’appellativo di “Poeta laureatus
ticolare sui passi dove si parla dei prodotti delparmensis”) al Marchese Orlando Pallavicino e
l’agricoltura e dell’economia domestica (la casa
un elogio dell’opera da parte di “Philippus
illustrata dal Grapaldo è un’abitazione rustica,
Beroaldus bononiensis”.
o per lo meno dotata di orto, cantine e granaIl ponderoso volume è diviso in due Libri
io); parlando delle varie parti dell’abitazione,
(alla maniera classica): il primo è dedicato alle
illo scrittore fornisce indicazioni pratiche, ad
parti inferiori della casa, il secondo alle supeesempio, nel capitolo dedicato alla cantina, ilriori, secondo questo ordine: Libro I, cap. I ,
lustra i vari tipi di vino; oppure, nel capitoparietes, vestibulum, ianua, atrium,
lo dedicato al cenacolo, dà suggerimenti da
perystilum; cap. II, cavedium et puteus; cap.III,
galateo ante litteram su come allestire e geapotheca; cap. IV, penarium; cap. V hortus;
stire un pranzo.
cap. VI piscina; cap. VII, leporarium; cap. VIII
Ma vediamo nei particolari i brani per noi
stabulum; cap. IX aviarium; cap. X cella
più interessanti, che citiamo nella traduzione
balnearia. Libro II, cap. I, scale; cap.II basilifatta da noi direttamente dal latino umanistico
ca; cap. III coenaculum; cap. IV coquina; cap.
dell’autore.
V gynoecium; cap. VI, cubiculum; cap. VII,
Cibi e abitudini
alimentari di
fine ’400 nel:
“De partibus aedium”
del Grapaldo
12
Bella Parma
valitudinarium; cap. VIII sacellum; cap. IX biblioteca; cap. X armamentarium; cap. XI,
granarium; cap. XII tectum.
Il vino
Parlando della cantina (cap. III “Apotheca”) si
sofferma a descrivere i vari tipi di vino: egli ne annovera “centonovantacinque generi, e, se si tengono in considerazione le speci, quasi un numero doppio”, e continua: “il vino mutua il suo nome
dalla forza (in latino “vis”, nota del traduttore),
come piace a Varrone nei suoi libri sulla lingua
latina”… “I colori sono quattro: bianco, grigio,
sanguigno e nero”. Quattro sono i suoi sapori
fondamentamentali: “dolce, acuto, leggero e austero”.
Distingue poi il vino
novello (“tortium novissime
expressum”), e distingue le
varie denominazioni derivate dalle regioni d’origine:
“Chium, Lesbium, Falernum, Cecubum, Setinum,
Surrentinum, Tarragonense, Spoletinum, Ceretanus,
Fondarum”, sono elogiati
sopra gli altri, fra i suoi contemporanei, “Trebianum,
Vernaticolum, Amabile ex
creta Malvaticum”, identificabili con gli ancor oggi
apprezzati e in uso Trebbiano, Vernaccia e, probabilmente, la nostra Malvasia.
In un altro punto dell’opera cita un uva che
chiama “Labrusca”: forse
l’antenato del nostro Lambrusco?
Del vino tratta anche più
avanti, nel capitolo dedicato al “Coenaculum” (Libro
II cap. III), là dove descrive
le usanze collegate alla tavola e ai banchetti; “il vino – scrive – è un liquido graditissimo al corpo
umano; se assunto con moderazione non
danneggia lo stomaco né il cervello, ma aiuta
la digestione, irrobustisce le forze, suscita l’appetito e giova al sangue e al colorito degli uomini,
scaccia la tristezza degli affanni, per cui Bacco,
secondo la testimonianza di Seneca sulla tranquillità della vita, fu detto Libero, e libera l’animo dal dolore, scaccia la freddezza e concilia il
sonno…”.
Mette però in guardia dagli eccessi: “Ma, bevuto troppo copioso, turba il capo (dà il mal di
testa) e danneggia lo stomaco “infatti” col fumo
dell’alcol debilita il cervello, rammollisce le membra, per cui Aristotele ammonisce che non debba
essere dato ai bambini e alle nutrici; leggiamo che
il vino è fomento e accrescimento di lussuria…”.
Nell’antica Roma era proibito ai fanciulli e alle
donne, tanto che una matrona che aveva bevuto
vino fu uccisa dal marito, che fu poi assolto da
Romolo.
Bella Parma
“E’ celebre un detto di un uomo saggio sulla
mensa: il primo boccale riguarda la sete; il secondo l’ilarità, il terzo il piacere, il quarto la pazzia”
Cita anche Catone, là dove afferma che
“l’ebrietà è una specie di furore volontario; infatti
a causa sua eccediamo sia coi sensi sia con la
mente, come si trova presso Dionigi l’Aeropagita.
Comicamente dice Plauto: il vino è un lottatore
scorretto, che ti prende prima per i piedi”.
Tutte queste dotte citazioni rivelano la vasta cultura classica dell’autore.
Il formaggio parmigiano
Molto noti e citati sono gli elogi rivolti dal
Grapaldo al formaggio parmigiano, che si trovano nel cap. IV (“Penarium”): “In questi tempi il
Italia il primato viene dato al formaggio Parmigiano”; inoltre si immagina addirittura che il sublime cacio, definito: “nobile prodotto del latte”,
parli di sé in prima persona in un distico.
L’etimologia del Grapaldo è però piuttosto curiosa, perché crede che il cacio sia chiamato così
perché deriva dal latte coagulato ( “caseus a coacto
lacte dictus videtur”). Dopo aver citato vari tipi di
formaggi, tra cui il nostro grana, per vantare le
virtù del formaggio scrive che “leggiamo che
13
Zoroastro visse nel deserto per vent’anni nutrendosi di solo cacio, così stagionato da non subire il
degrado dell’invecchiamento”.
I salumi e la carne di maiale
Il Grapaldo, da bravo emiliano e parmigiano,
dedica largo spazio alla carne salata di maiale
(“massa carnis porcinae salita”), ricordando che:
“i padri di famiglia cominciarono a uccidere e
salare per primo questo tipo di bestiame, come
scrive M. Varrone nei libri sulla lingua latina e
nel secondo sull’agricoltura”. C’è anche una curiosa etimologia della parola “lardo”: “secondo
quanto attesta Microbio, con tale nome indichiamo propriamente la carne salata”, inoltre vi si
aggiunse come epiteto descrittivo “pingue”, il pingue lardo. Cita infatti Ovidio che spiegava il
motiivo per cui si gusta il “pingue lardo” alle
Calende.
Altra etimologia curiosa è quella delle
“lucaniche”, le quali, secondo il Grapaldo, derivano il loro nome dalle genti Lucane, da cui i
soldati Romani impararono a confezionarle.
Ecco poi i salamini e i sanguinacci (“sanguinea”).
Molto appetibile è anche, secondo il Grapaldo,
la parte più intima della porchetta giovane.
Botticelli dipinse alcune delle prime, raffinate forchette nel Banchetto nuziale di Nastagio degli Onesti (1482-1483).
14
Bella Parma
Corredo della salatura delle carni sono le spezie, di cui vengono indicate le rispettive proprietà: “gli aromi sono speci di odore fragrante e di
pigmento”; tra di essi ricorda anche la “nux
miristica” (noce moscata), “piper” (pepe) , nonché “crocum”.
Interessante ci pare l’importanza data allo zafferano (“crocum”), che, secondo il Grapaldo,
avrebbe inaudite proprietà terapeutiche: “tramandano che il croco è ottimo per la saliva e i denti,
allontana la crapula e ferma l’ubriachezza, toglie il prurito, stimola l’amore, fa più rubicondi i
corpi, induce il sonno, concilia il cuore, come piace dire ad Avicenna, e cancella ogni tipo di infiammazione”.
Altri cibi e verdure
Parlando dell’orto (cap. V), elenca vari tipi di
ortaggi e piante aromatiche, fra cui il rosmarino
e la salvia, ancor oggi molto usate dalle nostre
rezdore e perciò da sempre presenti nelle case di
campagna; il Grapaldo ne indica virtù particolari: “il rosmarino tritato con acqua sparsa per la
casa uccide pulci e insetti e il suo succo guarisce l’epilessia ( detta “morbus regius”) e acutizza
la vista”, mentre la salvia “giova ai paralitici, diminuisce il dolor di denti unita al vino e cotta
cura il morso dei serpenti”.
Cita anche una specie di zucca, il “camerarium”, che dà il buonumore e giova alle febbri
del colera; cocomeri e zucche – commenta – devono però essere tenuti lontani dalle donne, perché “quasi al solo contatto, come annota
Columella, languiscono e seccano”: una superstizione di stampo misogino!
Quanto alle uova di gallina “si ritiene che
quelle nate nel mese di agosto durino a lungo senza guastarsi” e possano conservarsi fino all’inverno.
Segue poi nei capp. VI-VII-VIII- IX ( “Piscina”, “Leporarium”, “Stabulum”, “Aviarium”),
diversi pesci e animali, con riguardo più all’elemento naturalistico, che alla commestibilità: particolarmente apprezzate le lepri, la cui carne
avrebbe addirittura il potere di rendere “più belli
i commensali per sette giorni”; le pernici “che
sono creduti uccelli libidinosissimi” e che , di ottimo sapore, dagli antichi venivano imbandite
solo sulle mense dei ricchi; le oche, di cui elogia
il fegato come cibo prelibato.
Un’incisione su legno del 1497.
Il convito e il suo galateo
Nel II Libro del “De partibus aedium” si sale al
piano superiore della casa, dove si trovano, tra l’altro, la sala da pranzo (“Coenaculum”) con annessa Cucina (“Coquina”), la camera da letto
(“Cubiculum”), nonché le stanze riservate alle
donne (“Gynocium”); ma abbiamo anche capitoli dedicati alle scale, al sacello, alla biblioteca,
alla farmacia, alla sala d’armi, al granaio, al tetto.
Facendo un passo indietro, il Libro I si concludeva con la stanza da bagno (cap. X), in cui si trova
un’interessante excursus sui poteri medicamentosi delle Terme di Lesignano Bagni.
Ma, tornando al tema principale di questo nostro viaggio storico-gastronomico nelle usanze tardo Quattrocentesche, vediamo cosa ci dice il nostro colto Francesco Mario su come si deve svolgere un pranzo o convito, dandoci consigli sulla
sequenza e sulla qualità delle portate, sulle suppellettili, sulla disposizione degli ospiti, sul comportamento dei commensali via dicendo.
Innanzitutto la sala da pranzo (“coenaculum”) deve essere munita di finestre più
grandi di quelle della camera da letto
(“thalamus”): “saranno lodate per il tempo estivo le finestre volte a settentrione, per l’inverno
quelle che guardano a mezzogiorno” e continua
“noi tuttavia preferiamo se è possibili quelle volte a oriente”. Per tutte, però, “sono necessarie ten-
Bella Parma
15
de, affinché la luce, quando vogliamo, entri senro degli astanti è stato definito dai nostri anteza dar noia …”.
nati in modo tale che non fosse minore delle tre
Passa poi ad esaminare le suppellettili, come i
Grazie né superiore a quello delle Muse” (cioè
candelabri: “candelabra sunt quibus candelae
da un minimo di tre a un massimo di nove)….
dum ardent continentur”, e i bicchieri
“Occorre scegliere convitati né troppo loquaci
(“calices”), come quelli di vetro “di cui abbiané muti, perchè l’eloquenza deve essere nel foro
mo parecchi generi”, ma ci sono anche quelli
e il silenzio nella camera da letto, non nel conricoperti di gemme (“calices gemmati”) o di
vito. Pertanto si dice che i discorsi da tenere nel
cristallo, che, secondo il Grapaldo è “lapis ex
momento del convito debbano essere non sopra
aqua purissima sub terra congelatum”, cioè una
argomenti che portino ansia o parlino di fatti
pietra derivata da acqua congelata sotto terra.
oscuri, ma su temi allegri e invitanti e utili con
Ecco, poi, i “calices fictiles”, cioè di terracotta e
qualche attrattiva e piacere, tramite i quali il
quelli da viaggio, fasciati di papiro o vimini
nostro animo diventi ameno e più piacevole; cosa
(come i nostri fiaschi), e bicchieri delle più svache certamente avverrà se si chiacchiererà di cose
riate forme.
pertinenti all’uso comune della vita…
Ed ecco i coltelli (“li usiamo sulla mensa per
Facili e utili sono le dispute prese dalla filosotagliare il pane, la carne e questo genere di cibi
fia, o certi discorsi erotici non troppo lascivi”.
e dividerli in pezzetti”);
le forchette vengono
usate (diversamente da
quanto accade oggi)
solo da coloro che tagliano e distribuiscono
il cibo nei piatti dei
commensali, mentre i
piatti possono essere
anche quadrati o rotondi , e quelli di portata
anche d’argento.
Vengono inoltre indicate le denominazioni del pasto: “prandiculus” al mattino, “merenda” al pomeriggio,
“coena” alla sera, ma,
annot a lo scrittore,
“quod nunc est prandium, coena dicebatur” (quello che ora è il
pranzo, era un tempo
chiamato cena)..
Ed ecco alcune norme di galateo:
“Noi in verità collochiamo al lato destro,
considerato il più onorevole, quelli che riteniamo più degni o di
Un’illustrazione tratta da un galateo del XIV secolo.
maggiore età, e il nume-
16
Bella Parma
Detto ciò, vengono esaminate le varie portate
del pranzo: a giudizio del Grapaldo, “anche una
crosta di pane secco è un’esca soavissima quando si ha fame, così come l’acqua è un nettare soavissimo quando si ha sete”; ricorda che Plinio
nomina diciotto tipi di pane; parla del marzapane: “ci sono pani dolciari con semplice zucchero
o infarciti con pinoli, noci o mandorle”, che possono essere chiamati “Martii panes vel Martius
panis”. Spesso sono posti sulle mense “cum
crustulis saepiculae mellitis” (spalmate di miele).
Di ciò che dice sul vino abbiamo reso conto
più sopra.
Distingue, poi, le denominazioni, affermando
che “Epulum vero publicum convivium dicitur
quale saepius imperatores populo dedisse
legimus”, cioè che “Epulae” sono i banchetti
pubblici, come quelli che spesso i re offrivano al
popolo.
Per quanto riguarda l’ordine delle portate,
“Apicio scrisse che le carni e il restante genere
di cibi si pongono nelle prime mense (cioè nel primo giro di portate), mentre nella seconda parte
devono essere posti il formaggio, le pere, le noci,
le mele, l’uva, il fico e molte varietà di dolci confezionati con miele e zucchero”.
La frutta
Secondo la sua abitudine, il Grapaldo esamina minuziosamente le rispettive varietà di frutta,
noci, mandorle, pinoli, fichi, ecc…; per quanto
riguarda le mele, ne snocciola un lungo elenco:
“ apiana, rubiginosa, deciana, septiana rotunda,
petesia parvula sed odoris eximis, rosea ominibus
nota et paradisiaca”
Conosce anche le melograne (“appiana mala
dicuntur punica sive granata”) e le cotogne
(“cydonia poma cotonea”); mentre quelle “asiatiche” o di Durazzo maturano dopo l’autunno.
Cedri e arance “quae vulgo e narancia
vocantur”, secondo il Grapaldo si adattano alle
prime mense: “convengono più alle prime mense con le carni arrostite, come anche le olive non
si pongono in tavola se non sono state spalmate
col miele”: questa è una spia della tendenza, caratteristica dei banchetti rinascimentali, di unire
al salato, quale è l’arrosto, salse dolci e speziate.
Per quanto riguarda le ciliegie “furono portate
per la prima volta in Italia da Lucullo dal
Ponto”; il Grapaldo non ama molto le amarene: “quelle che sono chiamate volgarmente
marene, astringono l’alvo e fermano lo stomaco,
ma se sono state seccate al sole invece tolgono
la sete e stimolano l’appetito”. Forse in quest’ultima osservazione troviamo l’usanza ancora presente nelle campagne parmigiane, che poteva già
essere viva ai tempi del Grapaldo, di esporre le
marene al sole per farle fermentare con lo zucchero e ottenere un dissetante sciroppo da allungare con l’acqua.
Ed eco anche le more che “nascono negli
arbusti e nei rovi”, e passano attraverso “tre colori: prima candide, poi rosse, e da mature sanguigne”; sono ricordate anche le more del gelso
e le sorbe.
Non mancano i datteri, e, quanto all’uva “ci
sono parecchi generi di uva”, tra cui la
“Labrusca” (il nostro Lambrusco?), che “nascitur
in marginibus terrae”.
E, per concludere, i fichi, “che sono lodati sopra gli altri cibi, sia da secchi che da verdi; infatti, come scrive Avicenna, nutrono più di qualsiasi altro frutto”.
Segue il IV capitolo con una minuziosa descrizione della cucina e dei vari attrezzi e accessori,
che però qui non riportiamo, in quanto molto tecnica e limitata a osservazioni meccaniche (insomma, se speravamo di trovare qualche ricetta,
siamo stati delusi…).
Riferimenti Bibliografici
Per notizie bibliografiche su Francesco Mario Grapaldo, rimandiamo ai seguenti repertori e studi:
I. AFFO’, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, Parma,
1789-1797
A. PEZZANA, Continuazione delle Memorie dell’Affò, Parma,
1837-1959
U. BENASSI, Storia di Parma, Parma, 1899-1906
F. DA MARETO, Bibliografia generale delle antiche province
parmensi, Parma, 1973-74
R. LASAGNI, Bibliografia parmigiana, Parma, 1991
R. LASAGNI, Dizionario storico dei parmigiani, Parma, 1999
F. RIZZI, Francesco Mario Grapaldo, in “Aurea Parma”, 1953,
pp.135 e sgg.
M. CORRADI CERVI, Dati biografici del Grapaldo, ibidem,
pp. 186 e sgg.
Bella Parma
BIBLIOFILIA
17
I
l manoscritto originale della Divina CommeMatteo Capocasa fu un tipografo che si distindia è andato purtroppo perduto, ma il testo del
se per la stampa di edizioni di gran pregio.
poema ci è stato tramandato da codici manoscritti
Di lui si conoscono oltre 20 libri che trattano
conservati nelle principali biblioteche italiane
materie di argomento religioso, opere classiche ed
(uno di essi è custodito anche nella Biblioteca
almeno una di argomento scientifico.
Palatina di Parma) e in alcune biblioteche estere.
Tra di esse ricordo:
Con l’invenzione della stampa, i primi tipografi
Caterina da’ Siena: Dialogo della Divina Provpensarono bene di stampare anche la Divina
videnza. (1483)
Commedia e altre opere di
Hieronymus – Vita e transiDante Alighieri accanto ad
to di San Girolamo (l489)
altri classici in italiano volOvidius: Opera (1489)
gare (Petrarca, Boccaccio,
Fiore di Virtù (1490)
ecc.) e ai classici greci e laSancto Johanne Climacho,
tini pervenuti fino a noi per
altramente Schala Paradisi
il lavoro prezioso di abili
(1491)
copisti presso i centri scrittori
Seneca: Tragedie (1493)
di molti monasteri.
Soliloqui di Sant’Agostino,
Abbiamo così ben 14 ediin volgare (1494)
zioni della Divina CommePietro Crescentio: Dell’Agridi CARLO ANTINORI
dia stampate entro il secolo
coltura (1495)
XIV, le prime col solo testo
Plauto: Commedie (1495)
(e qualche mancanza di
L’edizione della Divina
alcune terzine) poi col commento di famosi
Commedia del 1493 è illustrata da tre xilografie
umanisti ed infine illustrate con xilografie che ria piena pagina (come antiporta all’inizio di ogni
cantica) e da diverse xilografie di dimensioni intraggono le principali scene delle tre cantiche.
feriori collocate all’interno.
Edizioni della
Divina Commedia
di interesse
parmense
1 - Matteo Capocasa di Parma
Due di queste antiche edizioni sono state stampate a Venezia da un tipografo originario di Parma, si tratta di Matteo Capocasa che aveva tradotto in veneziano il suo cognome e si firmava
Matheo Codecha de Parma, oppure Mateo
Codeca o Matheo Capcasa de Parma.
Matteo Capocasa, dopo aver appreso l’arte tipografica a Parma si trasferì a Venezia dove fu attivo dal 1482 al 1495.
La sua morte dovrebbe essere avvenuta nel
1496 perché da quella data non abbiamo più notizie di lui.
Matteo stampò la Divina Commedia due volte: una prima volta nel 1491 in società col tipografo Bernardino Benalio di Bergamo e una seconda volta nel 1493 da solo.
Entrambe le edizioni riportano il commento
di Cristoforo Landino, famoso commentatore ai
suoi tempi.
Uno dei primi commentatori di Dante fu Benvenuto da Imola, mentre le edizioni del ‘500 riportano spesso il commento di Alessandro
Vellutello.
M. Codeca, La Commedia, Illustrazione in antiporta della I° Cantica.
18
Bella Parma
2 - Gianbattista Bodoni
Gianbattista Bodoni stampò la sua edizione
della Divina Commedia, nella sua tipografia privata nel 1795/96.
Nel 1795 realizzò l’edizione in-folio mentre
l’anno successivo stampò anche l’edizione in
folio piccolo e in 4°.
Le tre edizioni si presentano tutte con gli stessi
magnifici caratteri e sono assai gradevoli all’occhio del bibliofilo.
L’opera è dedicata a Don Lodovico di Borbone, Primogenito del Duca Ferdinando di Borbone e di Maria Amalia.
Il testo fu curato dal Marchese Giovanni
Jacopo Dionisi che nella premessa si rivolge agli
studiosi della Divina Commedia e rivela di essersi servito di un manoscritto esistente presso la Biblioteca di Firenze nel 1789. Egli illustra le scelte effettuate per ottenere la vera “lezione” della
Commedia di Dante, purgata da brutture straniere
e riadornata da natie bellezze.
Alla fine di ogni Cantica, sono riportate Note
Critiche sempre, composte dallo stesso Dionisi.
Gianbattista Bodoni stampò le opere di altri
classici italiani (Petrarca, Tasso, Poliziano, Monti, Guarini...) sempre con inarrivabile maestria.
I parmigiani debbono essere orgogliosi di aver
ospitato nel palazzo della Pilotta, praticamente
per tutta la sua vita produttiva, un simile artista.
3 - Antonio Saccani
Nella seconda metà del secolo XIX un editoretipografo parmigiano, Antonio Saccani, prese
l’iniziativa di pubblicare la Divina Commedia in
dispense che uscivano periodicamente, permettendo così anche ai lettori meno abbienti di poter acquistare l’opera completa. Inoltre il poema
dantesco doveva essere corredato da fotografie di
Carlo Saccani (figlio di Antonio) eseguite sui disegni di Francesco Scaramuzza che illustravano
scene delle tre cantiche. Un anonimo commentatore illustra in modo assai ampio ogni terzina
tanto che il commento occupa anche più pagine quasi “isolando” la terzina dalla successiva.
Per dare l’idea dell’ampiezza del commento
sono sufficienti questi dati:
L’inferno è contenuto in 10 dispense per complessive pagine 623
Il Purgatorio è pure contenuto in 10 dispense
di pagine 600.
Il Paradiso è contenuto in 12 dispense per un
totale di pag. 761.
Sono in tutto 32 dispense contenenti pagine
1.984.
Antonio Saccani dedica la sua “fatica” al MUNICIPIO DELLA NOBILISSIMA FIRENZE e
questa dedica non deve stupire pensando che il
figlio Carlo Saccani si era trasferito a Firenze e
vi rimase praticamente tutta la vita per esercitare
la professione di fotografo.
Si nota inoltre che mentre i tre frontespizi relativi alle tre cantiche portano la data del 1865
le copertine a colori portano date diverse: L’Inferno, 1865 – il Purgatorio, 1870 e il Paradiso,
1874 – per cui si è indotti a pensare che il Purgatorio sia stato pubblicato 5 anni dopo l’Inferno e il Paradiso addirittura dopo 9 anni. Inoltre
nulla è detto circa le fotografie che dovevano corredare l’edizione.
Chi scrive ha acquistato l’opera da un libraio
di Parma, coi fascicoli perfettamente conservati,
ma senza alcun corredo fotografico.
Ha però potuto colmare la lacuna possedendo
già 65 grandi fotografie dei disegni di Francesco
Scaramuzza da lui eseguiti per illustrare la Divina Commedia.
Bella Parma
19
Si tratta di un volume particolarmente curato
sia dal punto di vista tipografico che nel contenuto, edito dalle Edizioni Palatine di Renzo
Pezzani e C. Torino con illustrazioni di Sandro
Botticelli (36)
Il commento e le note sono di Onorato
Castellino.
I disegni di Sandro Botticelli per la Divina
Commedia erano andati perduti finché nel 1878
il dott. Vaagen li rinvenne quasi tutti nella biblioteca del Duca di Hamilton sotto forma di libro in pergamena di 85 pagine che il Museo di
Berlino acquistò nel 1882.
Altri 7 disegni vennero alla luce nella Biblioteca Vaticana (acquistati da Papa Alessandro VIII
nel 1669 con la Biblioteca di Cristina di Svezia.
Il volume fu terminato il 30 Ottobre 1946 e
sotto tale data, Renzo Pezzani ha fatto stampare
queste parole: “A quest’opera lavorarono le maestranze della Società Editrice Torinese con cuore e spirito di collaborazione, consapevoli di servire nel nome di Dante la Patria che rinasce. Ad
esse va la lode affettuosa dell’Editore e
dell’Annotatore.
Queste fotografie sono quasi certamente di Carlo Saccani, ma potrebbero essere anche di Icilio
Calzolari, fotografo parmigiano, anch’egli amico
di Scaramuzza, trasferitosi per lavoro a Milano.
Questa pubblicazione conserva tutti i suoi interrogativi irrisolti. Non si conosce il nome dell’autore del commento, non si sa come Antonio
Saccani, da usciere presso la Provincia di Parma,
sia poi diventato tipografo-editore, non si sa se siano state realizzate le fotografie dei disegni dello
Scaramuzza appositamente per questa edizione
del capolavoro dantesco, oppure se gli acquirenti
dei fascicoli abbiano dovuto completare con le fotografie già in vendita eseguite da Carlo Saccani.
Dell’iniziativa tipografica-fotografica dei Saccani
padre e figlio non c’è traccia in alcun repertorio
bibliografico parmigiano e anche nel repertorio
del “Mandelli” che contiene tutte le edizioni a
stampa della Divina Commedia di questa iniziativa parmigiana non c’è alcuna menzione.
4 - Renzo Pezzani
Da ultimo desidero parlare dell’edizione della
Divina Commedia pubblicata da Renzo Pezzani,
come editore a Torino nel 1946.
20
Bella
Parma
ARTE
P
formato, dello Strozzi hanno raggiunto cifre ragalazzo Venezia ha ospitato, tra ottobre e noguardevoli.
vembre 2004, la rassegna biennale degli antiqua1
In una mostra romana non potevano mancari romani (e non solo) «Arte e Collezionismo» ,
re i capricci del piacentino Gian Paolo Panini
che ha visto la partecipazione di una cinquantina di espositori con 1613 opere, tra le quali 372
(1691-1765), anch’egli attribuito di quotazioni di
dipinti, 230 mobili, 111 opere grafiche, 79 bronassoluto rilievo. Si trattava questa volta addirittuzi, 127 statue in marmo, oltre a quelle che, a torra di tre dipinti, tutti di grande effetto scenografito, talvolta sono qualificate
co e nitore di raffigurazione,
opere di «arte minore»,
sia del paesaggio e delle rocome sculture in legno, ogvine, che dei personaggi anigetti in ebano, pietre dure,
manti in modo colloquiale la
smalto, avorio, corallo, arscena, quasi un teatro popogento, arazzi, tappeti, porcellare calato in una ambientalane, orologi e gioielli. E forzione del tutto classica. Tre
se, pur tra mobili e dipinti di
tele sicuramente degne di fiDa
Sisto
Badalocchio
ad
gran pregio, le cose che più
gurare in un grande museo.
Amedeo Bocchi: le rilevanze parmigiane
stupivano erano proprio que«Capriccio architettonico di
nella mostra antiquaria di Roma
sti oggetti di «arte minore»,
Roma con arco, obelisco,
le porcellane di Sèvres in stiesedra e figure» è un’opera
di UBALDO DELSANTE
le Impero, le deliziose stagiovanile, assegnata intorno
tuette settecentesche di
al 1720; di oltre vent’anni
Meissen, le maioliche di Deruta, di Doccia e delpiù tarda è invece la «Veduta ideata con il
la Bottega dei Fontana di Urbino, della seconda
Colosseo, l’arco di Costantino e la colonna
metà del Cinquecento.
Per trovare qualcosa di parmigiano, o quasi, bisognava però tornare ai dipinti, cominciando da
quell’episodio de «Il viaggio di un’anima» di
Amedeo Bocchi, un’opera di grande fascino del
1927, della quale abbiamo segnalato la comparsa sul mercato pochi mesi or sono 2 . È appena il
caso di menzionare, inoltre, «La Filatrice», olio
su tela del 1750 di Gaspare Traversi (1722-1770),
un pittore napoletano che ha avuto un’autorevole
rilancio con le recenti mostre di Castel
Sant’Elmo, nella sua città natale, e della Galleria Nazionale di Parma3 , così come merita un
cenno una «Santa Martire» di Bernardo Strozzi
(1581-1644), che ha la singolare caratteristica di
indirizzare gli occhi verso lo spettatore anziché,
come fanno i santi raffigurati di consueto, verso
il cielo e che ci fa ricordare che due grandi opere del «Prete genovese» sono attualmente nelle
collezioni d’arte della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza4 . Tra il pubblico si sussurrava che
Gaspare Traversi, La filatrice, olio su tela, circa 1750 (Galleria Art
le quotazioni delle opere, anche di non grande
Collector di Antonio Maglione, Pisa).
Arte e
collezionismo a
Palazzo Venezia
(1) Arte e collezionismo a Palazzo Venezia, Cat. della mostra, De Luca Editori d’Arte, Roma 2004.
(2) Trovato un quadro di Amedeo Bocchi. Faceva parte del ciclo «Il viaggio di un’anima», in Gazzetta di Parma, 23 agosto 2004, p. 5.
(3) Lucia Fornari Schianchi e Nicola Spinosa (a cura di), Luce sul Settecento. Gaspare Traversi e l’arte del suo tempo in Emilia, Electa Napoli,
Napoli 2004.
(4) Giovanni Godi e Corrado Mingardi (a cura di), Le Collezioni d’Arte della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza, Ugo Guanda Editore,
Parma1994, p. 40.
Bella Parma
21
Rientrò a Parma poco
dopo il 1615 e sue opere
sono conservate a Modena, Reggio e Parma 6 . Di
lui era in esposizione a
Palazzo Venezia un piccolo olio su rame (cm
25,4x35,6) raffigurante
una scenetta mitologica
di «Diana e le ninfe», un
tema da lui frequentato,
come dimostra una tela
dell’Estense, sebbene le
sue non molte opere documentate appartengano
più al campo religioso.
Opere profane tradizioGiovanni Paolo Panini, Capriccio architettonico di rovine romane con la predica di un Apostolo, olio su
nalmente
assegnate a lui
tela, circa 1750 (Galleria Cesare Lampronti, Roma).
e a Lanfranco sono, a
Roma,
gli
affreschi
di
palazzo
Costaguti, nel GhetTraiana, dove le figure in primo piano, che dito, un edificio privato e in non buone condizioni
scorrono piacevolmente in pose del tutto normadi conservazione, attualmente purtroppo non
li, contrastano con l’ipergestualità delle vicine stavisitabile. L’autorevole attribuzione a Badalocchio
tue di atleti. Pure tra il 1740 e il 1750 è classifidel quadretto con «Diana e le ninfe» si deve a
cato il «Capriccio architettonico di rovine con la
Eric Schleier, che data l’esecuzione del dipinto al
predica di un Apostolo», che ha molti punti di
secondo decennio del Seicento.
contatto con uno dei dipinti del Panini delle collezioni della Cassa di Risparmio, anzi ne sembra
una variante meritevole di
puntualizzazione e di ulteriore studio5 .
Proprio parmigiano è
invece Sisto Badalocchio
(1585-post 1621), pittore
e incisore esponente del
manierismo; aiuto dapprima di Agostino Carracci,
fu inviato a Roma dal
duca di Parma insieme a
Giovanni Lanfranco e divenne un seguace della
tradizionale linea emiliana caratterizzata dalla dolcezza, da ombre e dal Sisto Badalocchio, Diana e le Ninfe, olio su rame, circa 1610-1620 (Galleria Edmondo di Robilant – Marco
movimento drammatico. Voena, Milano-Londra).
(5) Galleria Cesare Lampronti, Pittori di vedute, di prospettive e di paesaggi nella Roma del ‘600 e ‘700, Cat. della mostra, Roma, ottobre 2004,
pp. 44-51.
(6) Roberto Lasagni, Dizionario Biografico dei Parmigiani, I, PPS Editrice, Parma 1999, pp. 207-209.
A
rtista internazionale, Alfredo Edel, nato a
Regio di Torino nel 1876 per il quale creò anche
Colorno nel 1856, era discendente da famiglia di
le scene, che, per il grande effetto teatrale,
origine alsaziana, la sua data di nascita venne scosoggiogarono gli spettatori.
perta da Gustavo Marchesi in occasione della
L’impresario Giovanni Depanis riuscì ad am“Mostra dei figurini”, allestita a Parma nel
pliare il “grande ballo” con altri artisti; il musiciPalazzetto Eucherio Sanvitale, dell’opera Simeta
sta Romualdo Marenco, il coreografo Manzotti
di Antonio Cipollini nel 1984.
e il nostro costumista Alfredo Edel, dando vita
La madre di Alfredo Edel fu Pierina Maria Cleai famosi balli Excelsior nel 1881 nel teatro delmentina Naudin figlia di
la Scala con grande numeGiuseppe Naudin (1791ro di comparse (508 perso1872) acquarellista, collabone).
ratore del Toschi, di origine
Ricordiamo che questo
francese alla corte di Maria
grande spettacolo festeggiava
primo costumista di Otello le conquiste dell’uomo: la
Luigia: di Giuseppe Naudin
sono esposte al Museo Lommacchina a vapore, la pila
e primo a creare
bardi dipinti di interni e sceelettrica, il telegrafo, il taglio
il “musical” alla Scala:
ne di vita familiare della
dell’istmo di Suez. Nasceva
Duchessa, dei suoi figli, nonquel Ballo che fece époque così il grande balletto del teché della loro residenza di
atro italiano con Amor,
di
MARIA
TANARA
SACCHELLI
campagna.
Sport e Rosa d’Amore nel
Diversi cugini di Alfredo
1899: l’incarico del costumiEdel frequentavano l’Istituto
sta era enorme, se si pensa
d’Arte di Parma; non risulta che Alfredo abbia sealla creazione di trecento figurini per il ballo
guito corsi regolari anche se diventa illustratore,
Amor nonché di migliaia di oggetti per l’allestipittore, costumista e scenografo; viene indicato
mento delle scene.
allievo di Pancrazio Soncini architetto del Teatro
I successi ottenuti alla Scala, specie con le cenReinack e collaboratore di Girolamo Magnani,
to repliche del ballo Excelsior, aprirono ad Alfrecon il quale lavorò per la prima volta alla Scala
do Edel la strada per Parigi, dove ai primi del Noa Milano nel rifacimento del Simon Boccanegra
vecento incominciò a collaborare con la casa pronel 1881, entrando così nella prestigiosa Casa
duttrice di arredi teatrali Ollendorf; senza abRicordi disegnando copertine, molto apprezbandonare Milano, Edel aprì un atélier a Pazate, di edizioni musicali.
rigi, poi a Londra, dove conobbe Barnum re
Alfredo Edel fu il personaggio più rapdel circo americano e organizzatore di grandi
presentativo dell’arte scenica nel periodo
spettacoli, di cui Edel riscosse grandi sucche va dalla “Belle Époque” ai primi
cessi. A Parigi e a Londra collaborò ai baldel novecento anche se bisognava rili e alle commedie di Molière e di Shakeconoscerlo come scapigliato e notspeare: creò bozzetti per la Comédie
tambulo; Arrigo Boito, per farlo laFrançaise e per il Nouveau Théatre
vorare, doveva chiuderlo in uno
del Casino de Paris e alle operette
stanzino del teatro con matite,
della Folies Bergères; creò costucolori e, rifocillato, poteva uscimi per la commedia Chantecler
re solo a lavoro terminato.
di Edmondo Rostand, l’autore del
Insuperabile costumista, esordì
popolarissimo Cirano di Bergerac: belalla Scala con il “musical”: mentre l’opera
lissimi articoli furono tributati ad Alfredo
lirica sollecitava una scrupolosa documentaEdel anche da Sarah Bernhart. Una mezione storica, i balli richiedevano invece creadaglia d’oro gli fu donata dalla Direziozioni uscite dalla fantasia dell’artista, che non
ne-Esposizione Mondiale e un’altra medaglia
mancava certo al nostro Edel.
gli fu conferita da Casa Ricordi.
L’attività teatrale di Alfredo Edel come
Presso la Casa Ricordi il nostro Edel ebbe la
figurinista incominciò con il coreografo Luigi
fortuna di approfondire, nel giusto momenManzotti per due balli: Pietro Micca in
to storico, lo studio delle opere liriche sescena alla Scala nel 1875 e Sieba per il Costume di Alfredo Edel. condo i dettami di Giuseppe Verdi, il qua-
Alfredo Edel
Bella Parma
Figurini creati da Alfredo Edel.
le dava massima importanza all’allestimento scenico e ai personaggi, esigendo l’unitarietà della
scena, rispettando tradizioni e usanze delle varie
regioni, consigliando abiti, tessuti, ornamenti, pettinature e gioielli.
Edel riusciva a cogliere i risvolti psicologici sia
dell’interprete principale dell’opera che delle semplici comparse: ciò si riconosce nel verdiano Don
Carlo (gennaio 1884) quando Verdi intervenne
con qualche critica al figurinista per i due collari
della Regina che la rendevano più bassa.
Per l’opera Otello, di cui Alfredo Edel fu il primo a creare i costumi, Edel si recò a Venezia per
studiare gli abiti dei grandi pittori veneziani, in particolare Carpaccio e Gentile Bellini: è noto l’esito
positivo dell’opera Otello andata in scena alla
Scala nel 1887, nonostante Verdi riscontrasse nella sua opera un Otello troppo selvaggio per i costumi, paragonandolo a un sovrano abissino o
zulù, non a un Otello al servizio a Venezia (lettera a Ricordi del 18 Ottobre 1886).
Il giudizio fu confermato da Verdi in una lettera
inviata a Boito, dove afferma di aver trovato un
Otello troppo selvaggio e una Desdemona dagli
abiti troppo ricercati e uno Iago troppo bello. Nonostante i giudizi di Verdi, l’opera alla fine ebbe
un risultato entusiasmante.
Fra le ultime fatiche di Alfredo Edel si devono
evidenziare i modelli di genere storico e mitologico di Simeta, dramma lirico in cinque atti edito
nel 1889 da Gaetano Cipollini. Opera poco conosciuta, dove l’immaginazione di Edel spazia
nell’antichità classica fra i tempi e boschi sacri agli
Dei, nei pressi di Siracusa: fioriscono favolosi co-
23
stumi per pastori, pastorelle, ninfe, demoni. Il
dramma è tratto da Teocrito e narra di un’accusa
falsa, per gelosia d’amore, ai danni di Simeta, condannata da parte di un respinto pretendente.
L’opera non venne mai rappresentata anche se
accolta favorevolmente da Arrigo Boito e Marco
Praga e dal celebre soprano Maddalena Mariani
Masi, che si era interessata presso Cipollini e Casa
Ricordi per la rappresentazione. Giulio Ricordi si era
impegnato per la rappresentazione entro un triennio
in un grande teatro, adoperandosi per l’allestimento
e incaricando per le scene Carlo Ferrario e per i costumi il nostro Edel. Per la direzione della Scala fu
giudicata un’impresa troppo costosa e fu trascinata per sette anni senza ricavarne i frutti: l’opera
Simeta rimase chiusa negli scantinati!
Significativa la mostra a Parma nel 1984 dedicata ad Alfredo Edel presso il Palazzetto Eucherio Sanvitale; costumi, figurine piene di grazia con
pennellate sicure per dare sfogo alla esuberante
creatività di Alfredo Edel, opere poetiche di carattere religioso, mitologico e storico che ci collegano con la mente e il cuore alla musica del nostro
Verdi, a Toscanini e a tutta Parma musicale.
Una grave forma di artrosi alla mano destra condurrà alla morte in Francia (a Boulogne sur Seine)
nel 1912 Alfedo Edel, l’artista geniale anche se
scapigliato di temperamento singolare, direi quasi
un insuperabile figurinista che seppe incantare e
farsi amare dal pubblico nell’arte della musica e
della pittura.
Mi piace riportare come nel
1912, nel primo
numero di “Aurea Parma”, viene ricordato il
nostro artista:
“Alla memoria di
questo nostro illustre concittadino,
che alla virtù nell’arte univa una
nobiltà d’animo,
una cortesia di
modi che lo avevano reso a Milano e a Parigi assai popolare, il
nostro più vivo
rimpianto”.
Corista di Alfredo Edel.
24
Bella’900
ParmaPARMENSE
FIGURE DEL
S
ono trascorsi soltanto 54 anni dalla morte
Nel Duomo di Colorno di S. Margherita V.M.,
del Prof. Dino Mora (pittore, decoratore,
decora quattro cappelle: San Rocco, per la quale
illustratore, insegnante di disegno e calligrafia) e
dipinge anche scene della carità del Santo mede48 del Cav. Luigi (I° paglista d’Italia), due artisti
simo, San Giuseppe, Tutti i Santi, San Carlo e
colornesi troppo a lungo dimenticati dal grande
San Claudio e per quest’ultima, oltre alle decorapubblico e trascurati dalla critica.
zioni, dipinge due quadri ad olio, Santa Angela
Il silenzio familiare, caratterizzato da riservaMerici e il Sacro Cuore di Gesù.
tezza e discrezione, spezzato da una mostra poÈ da ricordare che, oltre alle chiese, fa dono
del suo talento anche a privati, colornesi e non,
stuma allestita nel 1967 dal nipote Dino (figlio di
lasciandone traccia all’interLuigi), lascia ora testimono e all’esterno dello loro
nianza della scoperta di un
abitazioni.
prezioso e complesso archivio
Pittore dotato di grande
familiare.
facilità
nel disegno, di tocco
Barbara Menoni, proniagile e sicuro e di una sorpote di Dino e Luigi (nonno
prendente fantasia decoratidel marito), stimolata dal leva, attiva e geniale. Come tegame familiare, e dal desidestimoniato da numerosi artirio di conoscere e approfonPresentazione di
coli di giornali, nelle sue opedire, sta lavorando per lo stuRINO TAMANI
re artistico-storiche riesce a
dio e la catalogazione dell’arBiografie a cura di
trasmettere positività ed esprichivio di famiglia, avendone
BARBARA MENONI
mere, nel colorito dei quacolto strumento di valorizzadri, arditezza.
zione e di memoria artistica,
Fra i lavori di successo si ricordano: piatti dipinti
ma anche civica del paese.
su
ceramica a gran fuoco per cui nel 1898 riceve
I testi biografici e le immagini riportate sono
a Roma la Medaglia d’Oro; le 6 madame in bronzo
parti integrali del sito internet www.ifratellimora.it
da lui ideate e modellate e poste nel 1900 sui più alti
pubblicato a gennaio di quest’anno a cura della
monti del Parmense; i reclames artistici premiati
Sig.ra Menoni; tra gli obiettivi futuri una mostra
con Gran Premio e Medaglia d’Oro a Bologna.
con catalogo.
Nel 1905, in risposta ad artistiche pergamene
rappresentanti “I fatti Gloriosi della dinastia di
Dino Mora
Savoia”, riceve dal re Vittorio Emanuele III e da
Nasce a Colorno il 21 Aprile 1880 da poveri
Papa Pio X, un regalo di valore, accompagnato da
genitori, Antonio (barbiere) e Maria Rosa Delfrate
una lettera lusinghiera di encomio.
(massaia). La sua carriera ha origini modestissime
Amico e sempre in contatto con il Prof. Glauco
e fin da giovanissimo rivela attitudini non comuni
Lombardi, ricercatore e studioso di cose storiche
nell’arte del dipingere; frequenta così, a prezzo di
ed artistiche sulla vita della Versailles colornese,
grandi sacrifici anche se aiutato da uno zio, l’Istiesegue sotto la sua guida ricostruzioni storiche
tuto di Belle Arti di Parma dove, allievo di Cecrope
dando prova di fantasia e buon gusto.
Barilli, si diploma a soli diciassette anni riportando il primissimo premio e due menzioni onorevoli.
Non ancora quindicenne, dedicandosi alla vita
del libero artista, incomincia la sua carriera ricca
di lavori importanti elogiati ed ammirati. Tra la
fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento dipinge affreschi, quadri ad olio e decorazioni d’arte sacra nelle chiese parmensi, fra le quali figurano: COLORNO – BASILICANOVA DI MONTECHIARUGOLO - VARANO MARCHESI
DI MEDESANO - TORRICELLA DI SISSA MIANO DI MEDESANO – FORNIO DI FIDino Mora, Litania Lauretana Rosa Mistica.
DENZA e forse altri ancora in fase di scoperta.
Due illustri
colornesi del
Primo Novecento
Bella Parma
Tra queste se ne ricordano alcune: - la “Veduta
dei giardini di villa Farnese di Colorno nel 1700”
– 1919, un disegno ad inchiostro acquerellato e
biacca su carta, ora esposto nell’ingresso del Museo
Glauco Lombardi di Parma; - l’«interno nel 1600»
del Duomo di Colorno “S. Margherita V.M.”.
Il suo soggetto preferito è il cavallo, del quale
studia l’anatomia per riuscire meglio a disegnarlo
nelle sue meravigliose opere raffiguranti le battaglie.
Nel 1908 ottiene dal Ministero della Pubblica
Istruzione il diploma all’abilitazione all’insegnamento del disegno nelle scuole tecniche e normali.
Stanco della vita nomade, tipica dell’artista
estroso ed irrequieto, nel 1910 si allontana da
Colorno per ricoprire, come supplente, la cattedra di disegno e calligrafia nelle scuole superiori di
Cremona.
Nel 1911 si presenta ai Concorsi Generali di
Disegno per le Scuole Regie e riesce fra i primi
dei 500 concorrenti, vincendo la cattedra al corso
Magistrale di Rimini. In questa città emigra nel
1912; riceve nel 1919 il diploma di Gran Croce di
benemerito del Lavoro e nel 1913 offre al Nuovo
Politeama la scenografia del sipario raffigurante il
Trionfo dell’Arte, lavoro molto lodato ed ammirato per i 4 cavalli a grandezza naturale.
Esegue inoltre le scenografie del sipario di Borgo S. Donnino (ora Fidenza di Parma) e quello
Cattolico di Busseto (Parma), ricco quest’ultimo
di 25 figure rappresentati l’incontro di Carlo V con
Papa III Farnese.
Molte le illustrazioni di storia colornese, genovese e di carattere nazionale.
Nel 1915 si trasferisce a Roma e vi rimane per
tre anni, promosso titolare della cattedra di disegno e calligrafia nella Scuola Tecnica “Aldo
Manuzio”.
Nel 1918 si trasferisce a Sestri Ponente (Genova), promosso titolare della cattedra nella scuola
Tecnica “Dante Alighieri”, primo fra 580 concorrenti. Rimane ad insegnare in questa scuola
sino al 1921, stimato da tutta la cittadinanza ed
adorato dalla scolaresca.
Esegue due artistici calendari nel 1919, per commissione della contessa Tea Raggio Spinola e per
la Marchesina Emanuela, promotrici della distribuzione degli stessi calendari ai soldati spettanti
dell’onore della pace vittoriosa.
Nel 1919 a Sestri Ponente (Genova) allestisce,
a scopo benefico, pro Reduci di Guerra, una mostra artistica individuale e presenta 520 opere in-
25
Dino Mora, Battaglia di Colorno del 5 giugno 1734
“Carlo Emanuele III di Savoia con i franco sardi”, cm. 32x45.
sieme al fratello Cav. Luigi, noto come I° Paglista
Italiano.
Classificatosi terzo vincitore dei Concorsi speciali per cattedre di disegno, già era destinato a tornare a Roma. Dopo insistenti preghiere di restare
in Liguria da parte di amici e conoscenti di Sestri
e Genova, egli chiede ed ottiene la cattedra nella
Scuola Tecnica di Genova “G. Mameli”, lasciando
Sestri, omaggiato da una splendida medaglia d’oro.
Dalla cattedra di Genova passa a quella di Nervi (Genova), scuola secondaria di avviamento al
lavoro “Ugolino Vivaldi” di Nervi (Genova). A
Nervi rimane per tutta la vita insieme alla moglie
Maria Francesca Bistolfi “Fanny” (sposati nel
1921) e la nipote Rosetta, primogenita del fratello
Luigi.
In Liguria insegna e semina un po’ ovunque i
suoi quadri artistici patriottici e cristiani, operando altresì un’attività grafica molto ampia e studiata (illustratore di giornali, riviste e bollettini).
Illustratore di:
- “FOGLIETTE PUR MO’ NATE” – 1927 Presillabario, sillabario e prime letture di Clelia
Falconi – proprietà artistica e letteraria “La Nuova Italia” – Editrice – Venezia;
- “LE LITANIE LAURETANE” – 1931 - edizione commemorativa del XV Centenario del
Concilio Efesino – proprietà artistica e letteraria
“Rev. Domenico Razzore – Rettore Santuario
N.S. dell’ACQUASANTA” Genova. Grande opera mariana, riconosciuta e benedetta dal Santo
Padre a firma del Cardinal Pacelli.
Nel 1924 è nominato da S. Maestà Cavaliere
della Corona d’Italia per le sue benemerenze scolastiche.
Nonostante la lontananza dalla sua Colorno,
non dimentica mai il paese natale ove fa ritorno
sempre con grande commozione e nel quale, so-
26
Bella Parma
prattutto durante il periodo estivo, alimenta tutti i
suoi affetti familiari e d’amicizia.
Una numerosa raccolta di cartoline riconduce
alle opere ed ai dipinti da lui eseguiti e permette
inoltre la scoperta di tanti paesini del parmense
da lui illustrati nella cornice di cent’anni fa.
Con il fratello Luigi condivide per tutta la vita
un forte legame familiare, ma anche artistico, poiché disegna per lui la base per la creazione dei
disegni su tavole, lavorati ad intreccio ed intarsio
con paglia di frumento di Firenze.
Il prof. Dino Mora muore a Nervi (Genova) il
16 giugno 1950 lasciando la moglie e la giovane
nipote “Rosetta”. Tuttora é sepolto nel cimitero
locale e viene costantemente onorato della visita
di allievi.
Diversi anni dopo la morte numerose opere,
degne di approntare una mostra postuma d’eccezionale interesse, vengono rubate nella sua casa
di Nervi; fortunatamente recuperate, dopo la
morte della consorte, sono ereditate dal nipote
Dino di Colorno (figlio del fratello Luigi).
Nel 1967 il nipote Dino partecipa alla mostra
di pitture ed antiquariato a Colorno nel Palazzo
Ducale (Sala del Trono) nella quale figurano per
la pittura, opere del Prof. Dino Mora (mostra postuma).
Nel 2001 la Commissione toponomastica dell’Amministrazione Comunale di Colorno inaugura ufficialmente la via a lui intitolata nel quartiere “Oratorio”.
Luigi Mora
Nasce a Colorno il 15 marzo 1886, figlio del
popolo, per guadagnarsi da vivere lavora da operaio lattoniere e vetraio con lo zio materno
Domizio Delfrate. Solo nelle ore di libertà e in
quelle sottratte al riposo, con costanza e pazienza
inventa un metodo per l’esecuzione di finissimi
ricami artistici con la paglia di frumento.
Nel “Gran Libro D’oro” é descritto come “un
simpatico giovane, esempio di instancabile lavoratore”, di ammirevole gusto artistico che a pochi
è dato di possedere.
La sua arte geniale si configura in 12 tavole divise in tre parti ingegnosamente ideate e combinate: la prima dà i preliminari riguardanti la paglia, la seconda tratta l’intreccio e la terza riguarda l’intarsio, sistema di lavorazione fissato in un
libro di sua pubblicazione ed adottato dalla Scuola “Corso Magistrale” di Rimini.
Luigi Mora, Milano Artistica Industriale, cm. 76x52.
Ama chiamare il fratello Dino “Il mio disegnatore”, in quanto crea per lui la base per la creazione dei disegni su tavole, lavorati ad intreccio ed
intarsio con paglia di frumento di Firenze, che
per sua natura è adatta a questo tipo di lavorazione in quanto priva di nodi.
Nel 1898, all’età di soli 12 anni, inizia questa
singolare attività con facili disegni e dopo solo due
anni arriva ai più complicati lavori artistici, quali
“Il Trionfo della Pace”, l’allegoria alla città di Milano che viene chiamata “Milano Artistica Industriale”, premiati alle esposizioni di Milano, Piacenza e Palermo.
Presentandosi a varie esposizioni si vede così
premiato:
- 1908 a Piacenza, Medaglia di bronzo;
- 1909 a Milano, Diploma di Medaglia d’oro;
- 1909 a Palermo, Croce d’Onore al Merito e
titolo di I° Paglista italiano;
- 1911 a Casalmaggiore (Cremona), Diploma
Speciale;
- 1914 a Milano, Gran Croce di Benemerito
del Lavoro con iscrizione nel “Gran Libro d’Oro”;
- 1916 riceve delle elargizioni dal Presidente del
Consiglio dei Ministri On. Salandra. Il Cav. Luigi si rende benemerito dei valorosi Combattenti
della Grande Guerra, tenendo così alto il morale
nei paesi del Parmense;
Bella Parma
Luigi Mora, Il trionfo della Pace, cm. 76x52.
- 1917 a Rimini è benemerito della scuola, per
aver offerto al Corso Magistrale di Rimini il suo
sistema di lavorazione paglistica che viene adottato come lavoro manuale;
- 1919 a Roma onorificato da S. S. Benedetto XV;
- 1920 Diploma per speciali Benemerenze
dell’On. Comitato Regionale di Genova dalla
benemerita Croce Rossa Italiana per la quale esegue e dona un’allegoria;
- 1920 a Roma onorificato dal Re Vittorio Emanuele e da Papa Benedetto X, viene riconosciuto
Cavaliere della Corona d’Italia;
- 1921 a Palermo, Diploma d’Onore.
Per tutto il periodo della prima guerra mondiale, il Cav. Luigi si trova in Liguria e qui si distingue, non solo come bravo artista, ma anche come
ottimo cittadino.
Sebbene riformato, vuole essere utile come
meglio può al trionfo delle armi; infatti si arruola
volontariamente nel Cantiere Aeronautico
Ansaldo di Borzoli a Mare in qualità di lattoniere,
dove lavora dodici ore al giorno e alla sera, nelle
ore di riposo si reca a prestar servizio alla Casa del
Soldato di Sestri Ponente dove era membro del
Consiglio Direttivo.
Nel 1919 a Sestri Ponente (Genova), presenta
una Mostra Artistica Individuale “FRATELLI
MORA” a totale beneficio dei reduci di guerra,
27
presentando insieme al fratello pittore Prof. Dino
un totale di 520 opere, tra le quali un’ allegoria
lavorata pazientemente in paglia ed offerta all’associazione mutilati di questa città.
Nei numerosi articoli di giornale che lo onorano
si apprende che esegue lavori in diversi Santuari:
- nel Santuario della Madonna di Fontanellato
(Parma) si trovano opere in ringraziamento di grazie ottenute;
- nella chiesa di San Francesco a Sestri Ponente
(Ligure) esegue lavori in paglia (un voto raffigurante
un bambino che offre fiori al Bambino Gesù in ringraziamento) come voto per guarigione ottenuta;
- al Santuario del Monte Gazzo, una tabella
votiva di un milite che ringrazia la Venerata Madonna per grazia ricevuta.
Lavora un quadro raffigurante la Madonna della Guardia (Monte Figogna – Genova), opera di
non facile esecuzione e di grande pazienza. Detto quadro, dopo essere stato esposto in Genova
viene inviato in omaggio a Sua Santità che ringrazia con Apostolica Benedizione, inviando una
lettera (datata 10 novembre 1919) a firma del devoto Servo Giuseppe Migone “Cameriere Segreto Partecipante di Sua Santità”.
Durante la prima guerra mondiale regala alle
famiglie dei soldati caduti, feriti e combattenti ben
200 portaritratti artisticamente lavorati, senza esigere nemmeno le spese che sostiene per il vetro e
la cornice, valendosi pertanto delle somme ricevute
a titolo di riconoscenza dall’On. Salandra e dal Re.
Una raccolta di alcune cartoline sono riconducibili ai lavori patriottici e di memoria eseguiti nel
primo periodo dopo guerra.
Il merito maggiore attribuito al Cav. Luigi sta
nel fatto che in tutti i suoi quadri, di fianco al ritratto del soldato, metta in rilievo i cari ideali di fede
e di patria e per questo viene iscritto nel “GRAN
LIBRO D’ORO” dei Benemeriti del lavoro.
In onore dei caduti nell’ultima guerra del nostro
paese, realizza due quadri celebrativi, oggi conservati nell’Archivio Storico del Comune di Colorno.
Nel 1950, sei anni circa prima della morte, il
Cav. Luigi offre alla curiosità del pubblico l’ultimo estro della sua mente creatrice: la moderna
lavorazione dei bottoni in paglia. Questa nuova
moda, che riesce a dare una nota originale ed elegante ai vestiti estivi, incontra il favore delle signore, ma gli anni in vita non sono sufficientemente
clementi per vedere premiato ancora una volta l’ingegno e la modestia di questo eccellente artigiano.
Il Cav. Luigi si spegne a Colorno l’8 dicembre
1956, riposa a fianco della moglie Ghezzi Pierina
e dei figli Dino e Rosetta nel cimitero di Colorno.
28
Bella Parma
SOCIETÀ
L
e prime notizie riguardo la nascita dei “Boyunanimemente decisa la costituzione della prima
Scouts” nella nostra città compaiono sulla “GazSottosezione scout in provincia; qualche mese
zetta di Parma” l’8 maggio 1915, ma più ampie
più tardi, una seconda nascerà a Borgo S.
e dettagliate notizie appaiono nel successivo artiDonnino (Fidenza).
colo del 12 maggio: “La Sezione parmense dei
L’anno seguente il Corpo Nazionale, per le sue
Giovani Esploratori Italiani (G.E.I.), della cui fonattività educative a favore della gioventù italiana,
dazione avemmo un breve cenno, comincia a
verrà posto dal Governo sotto l’Alto Patronato del
funzionare. Ieri il Regio
Re Vittorio Emanuele II e il
Provveditore agli Studi prof.
16 Dicembre 1916, con ReGiuseppe Fuà, convocò nelgio Decreto Legge N. 1881,
1915
2005
l’ufficio scolastico provinciariconosciuto quale “Ente
le, il Comitato PatrocinatoMorale”.
re al quale comunicò il teleDurante il primo conflitgramma di felicitazioni delto mondiale gli esploratori
la Commissione esecutiva
di Parma, sull’esempio dei
centrale di Roma del Corpo
fratelli scout inglesi e franceNazionale Giovani Esplorasi, si rendono utili alla naziotori Italiani (CNGEI). Cone in guerra inquadrati neldi MAURO FURIA
municò inoltre l’adesione
le “squadre ausiliarie” nella
dell’on. Berenini, Presidente
sorveglianza antiaerea all’aedel Consiglio Provinciale e
roporto “Natale Palli” o, in
quella del Comandante del Presidio. I componencoppia con militi e carabinieri, nella ricognizioti del Comitato Patrocinatore erano quasi al comne ferroviaria per prevenire i sabotaggi da parte
pleto e, nel corso della riunione, oltre a conferdel nemico lungo il tratto di strada ferrata Parmamare alla Presidenza il R. Provveditore, è stato
Sant’Ilario d’Enza. Altri giovani verranno utiliznominato Commissario scout locale il prof. Enrizati come barellieri presso l’ospedale militare citco Franceschini insegnante di educazione fisica.
tadino e nella distribuzione dei pasti e bevande
Quale sede della nuova associazione giovanile
calde ai soldati feriti o ammalati in transito dalla
sono stati provvisoriamente individuati alcuni
stazione ferroviaria di Parma.
locali presso gli Stimmatini in via Massimo
Nel periodo estivo i giovani esploratori di ParD’Azeglio, mentre nei prossimi giorni saranno
ma partecipano a tutti i raduni nazionali dei “Serchiamati i giovani iscritti al Corpo Nazionale
vizi Ausiliari di Guerra”, istituiti dalla Sede CenG.E.I. per ricevere spiegazioni sugli scopi dell’istitrale del Corpo Nazionale in collaborazione con
tuzione e gli obblighi che gli iscritti debbono asil Ministero della Guerra e della Marina per gli
sumere, dopo di che le iscrizioni potranno essere
esploratori GEI terrestri e nautici durante il conrese definitive. Siamo lieti di registrare questa
flitto. Le colonne mobilitate degli scouts terrestri
pronta ned attiva costituzione della Sezione
hanno base a Grottaglie in Puglia, Porretta (Boparmense dei Giovani Esploratori e ci augurialogna) e Tivoli (Roma), mentre i nautici operamo di poter parlare presto delle istruzioni che
no a Varignano (La Spezia) e a Salerno.
saranno impartite ai bravi giovani, sia nelle scuoTerminato il conflitto, nel 1919, gli esploratori
le, sia presso il Comitato di preparazione civiGEI di Parma sono presenti al grande raduno estile…”.
vo del “1° Campo Nazionale Scout” svolto a
Degli esploratori nazionali il giornale avrà
Madesimo (Sondrio), al successivo di Andalo
modo di parlare ancora e per molto tempo, regi(Trento) nel 1920 e di Asiago (Vicenza) nel 1921.
strando tutte le principali attività educative realizNel frattempo, alcuni avvicendamenti si regizate dagli scouts laici-pluralisti di Parma.
strano ai vertici della Sezione con il passaggio delNel Giugno 1915, in seguito ad una escurla Presidenza, dal Comandante del Presidio Misione ciclistica a Langhirano, vengono ricevuti dal
litare di Parma generale Enrico Lodomez (che era
Sindaco Alfieri e dalle Autorità civili del paese.
subentrato nel 1918 al prof. Fuà) al generale
Dopo un incontro con i dirigenti scout, viene
comm. Muzio Galli, stimata personalità cittadi-
La nascita
dello scautismo
a Parma
Bella Parma
29
“Brevetto di nomina a Capo Drappello (oggi Capo Pattuglia)”, per il parmigiano Guido Vallocchio, firmato dal Commissario Generale
(Capo Scout d’Italia) Prof. Carlo Colombo (1916). Il raro documento riporta lo stemma del primo “Giglio scout ex REI ”
adottato dal CNGEI con il cartiglio “SII PREPARATO”.
na, insignito nel 1918 della “Cittadinanza Onoraria” dal Comune di Parma, mentre alla guida
tecnica della Sezione, viene eletto Commissario
il maestro d’arte Edoardo Vismara in sostituzione del maestro Cherubino Cherubini.
Il 3 maggio 1924 in occasione del Congresso
Eucaristico Regionale, nasce l’associazione degli
esploratori cattolici ASCI di Parma con due Gruppi in città, Noceto, Fontevivo e Borgotaro.
Con l’avvento al governo del regime fascista e
l’istituzione dell’Opera Nazionale Balilla (ONB),
sul piano locale e nazionale per le associazioni
CNGEI - UNGEI ed ASCI, subentra un periodo duro e difficile, costretti ad accettare le imposizioni fasciste che intendeva privilegiare la propria organizzazione giovanile a scapito di tutte le
associazioni educative non governative.
Nonostante i tentativi compiuti dai dirigenti
nazionali con la Casa Reale, per evitare la soppressione dello scautismo laico-pluralista italiano,
nel 1927, il ramo maschile CNGEI e quello fem-
minile UNGEI vengono sciolti. L’anno seguente, analoga sorte subirà la cattolica organizzazione ASCI.
Quasi spontaneamente sorgono in varie città
italiane forme di vita scout clandestina per entrambe le associazioni, sarà il periodo comunemente chiamato della “Giungla silente”, che permetterà di mantenere viva la vecchia fiamma
scout e la ripresa del movimento nel dopoguerra.
Nel 1945, a liberazione avvenuta, a Parma si
ricostituisce la Sezione del CNGEI per merito del
medico chirurgo dott. Luigi Costa, noto esponente della resistenza clandestina parmense,
coadiuvato dai fratelli Mirko, Carlo e Vittorio
Bonatti, da Matteo Bruni, Luigi Ferrarini, Gino
Maletti, Luigi Federici, dal comm. Gaetano
Ferretti, da Medardo Melli, dal geom. Daniele
Cherubini e dal prof. Fortunato Rizzi.
La sede di Commissariato era posta nei locali
di Strada Repubblica, 4, un appartamento di
30
Bella Parma
proprietà del dott. Costa che ricopre l’incarico di
Commissario Provinciale, mentre a Presidente viene nominato il col. Comm. Gaetano Berutti.
Nello stesso anno, per merito dell’insegnante
di danza classica la prof.ssa Isotta Foà, prima
Commissaria femminile, viene costituito il ramo
scout femminile UNGEI, con un Cerchio di
bambine dette “Primule” sotto la guida di Gledis
Grolli e da un Reparto di “Esploratrici” dirette da
Bruna Federici.
Sempre nel 1945 risorgerà l’ASCI parmense e
l’anno seguente, anche nella nostra città si formerà il ramo femminile scout cattolico con l’Associazione Guide Italiane (AGI).
Gli anni del dopoguerra sono fatti di privazioni e ristrettezze per il Paese uscito umiliato dalla
guerra, ma gli italiani vogliono riprendere una
vita normale, dopo il triste ricordo dei bombardamenti aerei, le tessere del pane, i secchi gutturali ordini impartiti dai tedeschi occupanti. Anche
se il paese aveva subito ingenti danni materiali
alle sue infrastrutture e alle fabbriche, vi era in
tutti il forte desiderio di ricostruire quanto era andato perduto e di riprendere una vita normale. Le
scatenate musiche d’Oltreoceano portate in Italia dagli Alleati, davano a tutti l’illusione di poter
Gli esploratori nazionale di Parma in una rara immagine del 1915.
sognare un nuovo stile di vita, nonostante gli
scioperi e i conflitti sociali dovuti alla mancanza
di lavoro e alle tensioni politiche.
È in questo clima che operano i rinati giovani
esploratori parmensi, tra difficoltà economiche e
fredda ostilità da parte di chi, ingenuamente, confondeva le uniformi (camicia verde, pantaloncini
corti marroni e cappello alla boera), per un tentativo di restaurazione delle disciolte formazioni
giovanili fasciste.
Per fortuna le Autorità cittadine e soprattutto il
Comando Alleato di Parma appoggiarono lo
scautismo, ritenuto, sulla scorta dell’esperienza
anglosassone, un valido strumento educativo per
i giovani dopo anni di forzato indottrinamento
politico.
La Sezione GEI di Parma ebbe dagli americani uniformi, zaini, tende e marmitte per le cucine da campo. In alcune occasioni, per uscite o
campeggi estivi, gli scouts furono autorizzati a usufruire di camion militari con autista al seguito.
Grazie al loro aiuto gli esploratori ed esploratrici di Parma poterono progredire e svilupparsi numericamente contando oltre duecento iscritti. Il
ramo maschile si sdoppia in due Gruppi al completo (“Lupetti”, “Esploratori”, “Rover”) guidati
dai Capi Gruppo Carlo Bonatti (Parma 1) e
Mirko Bonatti (Parma 2).
Mentre all’inizio i primi raduni annuali di
“San Giorgio” (Patrono degli scouts nel mondo)
e i campeggi estivi si svolgono in territorio parmense, in particolare a Sala Baganza, grazie all’amicizia con il principe Francobaldo Carrega;
negli anni successivi i giovani saranno presenti ai
raduni regionali con i fratelli scouts delle Sezioni emiliane, in particolare con Reggio Emilia e
Bologna.
Nel 1948 gli esploratori di Parma partecipano
al Campo Nazionale GEI, detto “Della ripresa”,
fortemente voluto dalla nuova Sede Centrale di
Roma a Salice d’Ulzio (Torino); nello stesso
anno, dopo un campo in Svizzera, le giovinette
esploratrici di Parma partecipano al “1° Campo
Nazionale UNGEI” tenuto al Parco Villa San
Severo di Torino.
Nel frattempo avvengono alcuni cambi al vertice della Sezione maschile di Parma: Matteo Bruni e in seguito Mirko Bonatti , subentreranno al
dott. Costa nella carica di Commissario, mentre
il geom. Nello Bonatti assumerà l’incarico di
Presidente.
Bella Parma
31
Ciò accadrà il 20 Gennaio del 1974, quando un
gruppo di ragazzi, capi scout
e genitori, provenienti dagli
esploratori cattolici, decidono di far rivivere l’antica
fiamma dello scautismo laico parmense.
Primo Presidente viene
eletto il prof. Giuseppe
Caligaris e, alla carica di
Commissario di Sezione
Mauro Furia.
Dopo un iniziale appoggio alla vicina Sezione di
Reggio Emilia, in occasione
del sessantesimo anniversario di nascita del CNGEI
Dirigenti degli esploratori ed esploratrici di Parma ai Boschi di Carrega (Sala Baganza) nel 1945. Al
centro il Commissario dr. Luigi Costa (CNGEI) e la Commissaria prof.ssa Isotta Foà (UNGEI).
parmense, nel 1975 viene
autonomamente organizzaNegli anni seguenti le esploratrici parmensi parto un grande raduno scout con oltre 650 partecitecipano al “Campo Internazionale” di Roma inpanti a Montechiarugolo, denominato “Jamboretdetto dalla Federazione Italiana Guide ed Esplote Interregionale 60° GEI Parma”, che sancirà la
ratrici FIGE (AGI - UNGEI) mentre gli esplorinascita della Sezione.
ratori, in rappresentanza della nostra città, prenDa allora sarà un continuo sviluppo: in pochi
dono parte nel 1952 al grande raduno nazionale
anni la Sezione cittadina si sdoppia in due Grupdenominato: “Jamborette Italia” di Manziana
pi completi e un terzo si forma a Langhirano.
(Roma), in occasione del quarantesimo anniverCrescono gli iscritti , si aprono nuove sedi, mentre i giovani sempre più frequentemente partecisario della nascita del CNGEI.
pano ai raduni nazionali ed internazionali porMa il destino volta ben presto le spalle al GEI
tando il nome di Parma ovunque.
di Parma. Causa la mancanza di capi e dirigenti
Il GEI parmense sarà presente ai raduni mongli esploratori e le esploratrici si appoggeranno
diali con il contingente italiano della Federaziosempre più spesso alla vicina Sezione di Reggio
Emilia per i loro campi ed
attività.
Da Reggio Emilia arriverà a Parma il N. H. dott. Filippo Strozzi nelle vesti di
Commissaro Provinciale e
per qualche tempo l’organizzazione funzionerà, ma
l’abbandono per motivi di
lavoro e familiari degli ultimi capi di Parma determinerà, nel 1954, l’inevitabile
chiusura delle Sezioni
CNGEI – UNGEI cittadine.
Dovranno trascorrere
venti lunghi anni per veder
rinascere lo scautismo laico- Lupetti e scouts di Langhirano al Campo Estivo presso il Centro Internazionale Scout di Techuana
(Austria) 1995.
pluralista di Parma.
32
Bella Parma
“Sii preparato” - 1915.
ne Italiana dello Scautismo (FIS) al “14° World
Scout Jamboree” di Lillehammer in Norvegia
1975, “Eurofolk” di Cà Cornaro (Treviso) 1989,
“10° Rover Moot Latino Americano” svolto nello Yucatan in Messico nel 1990, “9° World Rover
Moot” di Kandersteg (Svizzera) nel 1992, “18°
World Scout Jamboree” a Flevoland (Olanda) nel
1994 e campi internazionali realizzati in Inghilterra, USA, Spagna, Francia, Austria, Svizzera e
Belgio.
In Italia prendono parte ai “Campi Nazionali” di Picinisco (Frosinone) nel 1978, Laghel
(Trento) 1983, ed Avellino 2004.
A livello nazionale, nel gennaio 1974, con l’introduzione della coeducazione, le associazioni
ASCI ed AGI si fondono dando vita all’attuale
Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani
(AGESCI); mentre nel settembre 1976, il vecchio CNGEI e l’UNGEI, a sua volta si fonderà
nell’attuale Corpo Nazionale Giovani Esploratori
ed Esploratrici Italiani (CNGEI).
A livello locale si formano a Parma i rami delle associazioni degli adulti scout MASCI e Clan
Nazionale Seniores GEI. Nell’ottobre 1988, a
Langhirano, i seniors scouts costituiscono il Centro Studi Scout sulle problematiche giovanili
“Carlo Colombo” (CSSCC), intitolato al Fondatore dello scautismo laico-pluralista italiano, quale
archivio, biblioteca e museo dello scautismo italiano.
Il Centro Studi è socio della Federazione Europea degli Archivi e Musei Scouts (AMSE) di
Louvain (Belgio) e, nel corso degli anni, ha fornito materiale per tesi di laurea, ricerche storiche,
conferenze, mostre e convegni a Parma, in varie
regioni italiane e all’estero.
Nel 1989 si costituisce anche a Parma la Comunità dei F.B. (Foulards Blancs), associazione
nazionale sorta allo scopo di assistere gli ammalati nei pellegrinaggi della speranza a Lourdes.
Dopo diciotto anni di attività all’interno della
Sezione di Parma, avendo i requisiti richiesti dallo
Statuto dell’Ente gli iscritti di Langhirano, nel
Novembre 1994, danno vita ad una nuova Sezione CNGEI autonoma. Primo Presidente viene
eletto il rag. Attilio Riva e alla carica di Commissario il cav. Mauro Furia.
Due anni più tardi, un folto gruppo di capi ed
iscritti all’AGESCI di Salsomaggiore 1, chiede
ed ottiene di passare al CNGEI. Nell’Ottobre del
2001 verranno autorizzati a divenire Sezione
CNGEI autonoma. Primo Presidente verrà eletto
il dr. Gilberto Gerra, Commissario il dr. Filippo
Fornari.
Attualmente, oltre ai vari Gruppi scout cittadini, nella nostra provincia operano Gruppi e Sezioni autonome a Salsomaggiore Terme,
Lusurasco, Fontanellato, Polesine-Zibello, SissaColtaro-Trecasali (CNGEI); Fidenza, Noceto,
Medesano, Salsomaggiore Terme, San Polo di
Torrile-San Secondo, Sorbolo, Montechiarugolo
(AGESCI) per un totale di circa 1800 iscritti.
In campo sociale le due associazioni da anni
fanno parte della “Protezione Civile” e del
FORUM delle organizzazioni di volontariato di
Parma.
Sono trascorsi novant’anni dalla nascita dei primi “boy-scouts” nella nostra città ma la meravigliosa avventura dello scautismo parmense continua il suo cammino, con rigore e fedeltà agli ideali educativi lasciati dal fondatore lord Robert
Baden-Powell, fatti di pace, tolleranza e fraternità
tra i giovani allo scopo di portare gioia e felicità
ovunque per contribuire a trasformare il mondo
“un po’ migliore di come lo abbiamo trovato”.
Parma STORIA
DONNE Bella
NELLA
A
33
bbiamo già parlato di alcune pittrici settezionari; con coraggio e passione sfidò il potere
centesche aggregate all’Accademia di Belle Arti di
ducale, piantando la bandiera del governo provParma; ora ci soffermeremo su altre tre dame invisorio sul palco nel Teatro Regio. Tramontato il
signite nel XIX secolo del titolo di “Accademisogno liberale, dovette fuggire, lasciando tre figlie
che”: Giuseppa Fulcheri Sanvitale, Carolina Taca Parma dai parenti e passò col marito l’Appenchinardi e Dorotea Magnani Pallavicino.
nino, portando con sé il figlioletto di 4 anni; inolGiuseppa (o Giuseppina) Fulcheri Sanvitre era incinta di un altro.
tale (1800-1848), era nata a Cuneo da famiglia
Sul suo passaporto si servì del cognome
piemontese, e giovanissima,
Fulcheri.
nel 1816, sposò a Parma il
Forse volevano fuggire in
conte Jacopo Sanvitale, apAmerica; tuttavia, a Genova,
partenente al ramo di Fonincontrarono Giuseppe
tanellato.
Mazzini e si imbarcarono
Jacopo Sanvitale (1785con lui verso Marsiglia. In
1867), fu patriota affiliato
Francia si stabilirono a
alla Carboneria, studioso e
Montauban.
Giuseppa morì nel 1848
poeta; per le sue idee liberali
a Marsiglia con la figlia
patì il carcere e l’esilio in
(seconda parte)
Clementina, per una maFrancia, sotto il ducato di
lattia contratta in Africa,
Maria Luigia, a seguito deldi ANNA CERUTI BURGIO
dove si era recata per inla restaurazione seguita ai
contrare la figlia maggiore,
moti del 1831. Agronomo e
sposata
ad
un
console;
il marito Jacopo si trofilologo, fu anche direttore della Biblioteca Civivava a Genova.
ca Berio di Genova, riammesso a Parma nel
1859, partecipò con Giuseppe Verdi alla delegazione che doveva comunicare l’annessione di Parma al Regno del Piemonte. Fu anche presidente
della Deputazione di Storia Patria e la rappresentò nel 1865 a Firenze per l’anniversario dantesco.
Allievo del Mazza, ereditò da lui lo stile classicheggiante, ma vi inserì una forte venatura di romanticismo. All’inizio della carriera fu eletto anche , nel 1816, segretario perpetuo dell’Accademia di Belle Arti . Naturale che la moglie
Giuseppa, pittrice dilettante come tante altre
nobildonne del tempo e dama d’onore di Maria
Luigia (anche lei amante della pittura), partecipasse alle manifestazioni indette dall’Istituzione,
come l’esposizione tenuta nel Palazzo del Giardino Ducale.
Si presentò con tre opere, tra cui un disegno
di sua invenzione che raffigurava un “trovatore”,
che le fruttò il titolo di “Accademica d’onore” e
che si trova in Galleria, noto anche come “Suonatore d’arpa o testa di un poeta”; alcuni ritengono che sia un ritratto idealizzato del coniuge.
Giuseppa era donna di grande intelligenza, nutrita non solo d’arte ma anche di ideali patriottici
(da buona piemontese), che condivideva col maGiuseppa Sanvitale, Suonatore d’arpa, 1817.
rito. Nel 1831 prese parte con lui ai moti rivoluParma, Galleria Nazionale.
Pittrici
dell’Accademia
di Belle Arti
di Parma
34
Bella Parma
L’opera che ci è pervenuta è la citata “testa di
un poeta”, realizzata a pastello su carta e donata
all’Accademia nel 1817, testimoniante una buona mano e un gusto già venato di romanticismo.
Di Dorotea Magnani Pallavicino (17731851), abbiamo una “testa di frate”, donata dall’autrice all’Accademia nella sessione del 21 agosto 1817, ma risalente, secondo una scritta apposta sul retro, al 1796. Infatti nel 1817 fu nominata “Accademica d’onore” assieme alla Fulcheri,
a Fanny Anguissola di Piacenza e a Giovanna
Cattani di Parma (quest’ultima venne nominata
senza aver presenatato alcun quadro…)
Dorotea, figlia di Antonio e di Francesca Draghi, era moglie del marchese Filippo Pallavicino,
in passato vicino a don Ferdinando di Borbone,
e ora “consigliere intimo” di Maria Luigia. Fu
probabilmente l’influenza del marito a fruttarle
il titolo, dato che il dipinto dimostra poca dimestichezza con la pittura, ed è classificato negli inventari come copia di un’opera di Pietro Ferrari
(forse il San Bernardo). Si ha notizia anche di
un’altra opera di Dorotea, un olio su tela raffigurante una “Inumazione di Nostro Signore”, presentato per il Concorso del 1820, ma a noi non
pervenuto (e che dovrebbe essere una copia da
Bartolomeo Schedoni). Di lei , nell’elogio funebre, si ricordò la grande cultura; fu anche definita “donna di profonde virtù e di nobilissimi sentimenti”
Resta da dire qualcosa di Carolina Tacchinardi (residente a Firenze nella prima metà dell’Ottocento): figlia del famoso tenore Nicola Tacchinardi, fu nominata “Accademica d’onore” a Parma nel 1826, donando un quadro con una “Deposizione di Cristo”, copiato dal Calvaert. Come
lei stessa afferma, è una pittrice “guidata solo dalla
buona volontà di imparare”, come tutte le sue
colleghe di cui abbiamo poc’anzi parlato: un
drappello di dame amanti del dipingere, che testimonia come Maria Luigia incoraggiasse nel
suo entourage questa attività artistica da lei stessa praticata e cercasse di valorizzare i talenti
femminili.
INIZIATIVE CULTURALI
Proseguono i “Giovedì della Cassa”
Da febbraio è ripresa l’interessante l’iniziativa dei “Giovedì d’arte della Cassa”,
che si svolgono nella Sala di Via Cavestro della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza.
Migliaia di persone hanno già visitato le precedenti mostre, che hanno fatto conoscere
ai parmigiani e a tutti gli amanti della pittura opere di proprietà della Cassa.
Tutti i giovedì vengono esposti quadri di artisti importanti, seguendo un filone tematico.
In febbraio il tema è “Fiori”; in marzo sarà “Maria Luigia, Napoleone e il Re di Roma”;
mentre in aprile verranno presentati oggetti di scena del Teatro Regio.
Bella Parma
TRA STORIA
E FANTASIA
Parma, febbraio 1879…
35
palazzo. Quel portone segnava un confine. Finiva il mondo esterno, con le sue pene e le sue
Quando Parmenio rincasava dalla quotidiana
illusioni, ed iniziava il mondo interiore, dell’anipasseggiata lungo Strada S.Michele – dalla Piazma, della solitudine, del ricordo. Consumata una
za Grande fino a Porta S.Michele, laddove finifrugale cena – l’appetito era decisamente calato
va la città e iniziava la campagna – sapeva che
negli ultimi anni –, Parmenio sprofondava nella
ad attenderlo c’era sempre lei: la spinetta. Era una
quiete contemplativa del salone, davanti al camisera fredda, sferzata da un vento tagliente, presanetto acceso, abbandonangio di altra neve, che si sadosi alla corrente del passarebbe accumulata sui vecchi
mucchi disposti irregolarto. In quello stanzone sospemente sui due lati della via.
so fuori dal tempo, non enI vecchi lo ripetevano semtrava mai la luce del sole, le
pre: “la neve al suolo ne
finestre protette da robuste
chiama dell’altra dal cielo”.
persiane e pesanti tendaggi:
Era un inverno gelido e semera il suo mausoleo dei ricorbrava non dovesse mai finidi, gelido, austero, dal soffitdi CLAUDIO BARGELLI
re. Fervevano i preparativi
to altissimo. Davanti al creper il Carnevale. Parmenio
pitante caminetto sfilavano
si era stretto nell’ampio
silenziosi i fantasmi del pasmantello nero, rialzato il basato e si aprivano i cancelli
vero e calata la tuba fin suldella memoria. Non serviva
le orecchie. Soprattutto nei
evocarli. Erano presenze difreddi crepuscoli invernali, adorava veder accenscrete, non parlavano ma comunicavano tante
dere dall’omino allampanato, i lampioni a gas, ad
cose. Avendo perduto da molti anni i genitori,
uno ad uno: finiva il dominio del giorno ed iniParmenio era solo al mondo. Aveva superato già
ziava quello della notte, con cui lui aveva semda un po’ la sessantina. Il corpo smagrito e curpre intessuto una maggior familiarità. Adorava le
vo tradiva il peso degli anni, il viso emaciato, il
fiammelle rossastre, il loro tremulo agitarsi e la
capo canuto e quasi calvo, la barba bianca, gli
luce fioca, incerta, irregolare che diffondevano.
occhi azzurri un tempo vivaci ma ormai spenti.
Anche quella sera, lungo il corso, camminavano
Era nato nel lontano 1813, ai tempi del Dipartilenti e altezzosi, distinti gentiluomini in cilindro,
mento del Taro, quando Parma apparteneva, a
in lunghe palandrane, da cui spuntavano pantatutti gli effetti, all’Impero Francese. I suoi ricordi
loni a scacchettini bianchi e neri e qualche signoindugiavano piacevolmente nella dorata infanzia
ra con il velo in capo, la mantiglia ornata di
e giovinezza, negli anni di Maria Luigia, la gentile duchessa di animo nobile e mite, amata dal
blonda e l’ampia sottana. Ogni tanto, tra le pozpopolo. La Parma ducale, fastosa e povera allo
zanghere ghiacciate e i mucchi sconnessi di neve,
stesso tempo, passionale, tenera e romantica, fietransitava qualche elegante carrozza con il
ra di se stessa, così lontana dalla spersonalizzata
vetturino in cilindro a cassetta. I vetri appannati
città del suo tempo, fredda e anonima provincia
dei caffè racchiudevano la calda intimità di una
del Regno d’Italia. La piccola città ducale - quelbevanda sorseggiata lentamente, senza fretta, dila sì! - risplendeva di leggiadra grazia: tutto era miscutendo sui principali avvenimenti politici, il casura, ordine e decoro, nell’aria il gentile effluvio
rovita, la nuova politica di Agostino Depretis, i
di violetta, il fiore tanto amato dalla duchessa.
tumulti e le sommosse scatenate, alcuni anni priCerto, anche durante quegli anni, non erano
ma, dall’introduzione della famigerata tassa sul
mancati i momenti difficili. Rammentava l’insurmacinato. Ma soprattutto fervevano i preparativi
rezione popolare del 1831, che era divampata
per il prossimo Carnevale, l’allestimento dei caranche nel sonnolento Ducato, costringendo la
ri allegorici e la scelta delle maschere. Questa era
Maria Luigia ad una temporanea fuga. E ricorla Parma invernale, immutabile scenario delle sue
dava la grave epidemia di colera del 1836, quanpasseggiate serotine.
do lui era giovane: la desolazione, lo sfacelo,
Sulla scena calava all’improvviso il sipario apovunque l’odore della morte, la lenta agonia del
pena varcata la soglia del pesante portone del suo
La spinetta
36
Bella Parma
padre Guglielmo, nell’improvvisato lazzaretto del
Palazzo del Giardino Ducale. Si era spento a
poco a poco. La duchessa aveva aiutato non
poco gli sventurati aggrediti dal terribile morbo..
Prima di ammalarsi di colera il padre aveva lavorato nella tipografia di Filippo Carmignani, in
Piazza Grande, e gli aveva trasmesso l’amore per
la cultura, per il sapere, per il sensuale contatto
con la carta, con i libri. Il fratello Lucidio, meno
portato al raccoglimento interiore, aveva lavorato, per diversi anni nell’opificio laniero dei Mulini Bassi – appena fuori città -, prima di terminare tragicamente un’esistenza dissipata, bruciata
dall’alcol e da una sregolata vita affettiva: era perito, in miseria, poco dopo l’annessione al Regno
d’Italia. Di Lucidio gli rimaneva soltanto il triste
ricordo di un’esistenza alla deriva. Un altro fratellino, Diofebo, era scomparso in tenera età, minato dal “mal sottile”: di lui conservava un’immagine sbiadita, consunta, quasi eterea. Di Adalgisa, l’unica sorella, non sapeva più nulla da molti
anni, da quando si era ritirata in convento a macerarsi nella preghiera. Era come se fosse morta.
Ora, Parmenio era solo – non si era mai sposato
–, conviveva con il carico greve dei ricordi, una
malinconica scia che, a ritroso, stemperava dolcemente nella rimpianta età ducale. Ma ogni sera,
i suoi cari gli facevano visita, popolando i suoi
pensieri, assecondati dall’intimo e silenzioso raccoglimento dell’ampio salone. Era la sua atmosfera: il gelido marmo, su cui poggiavano inanimati uccelli impagliati, il polveroso sofà rosso
cupo, gli antichi libri in pergamena, il legno
tarlato, le viole appassite conservate tra le pagine
dei libri, le cose vecchie e ammuffite, gli odori
stantii, l’anima inquieta e palpitante delle candele, i fugaci giochi delle ombre, i furtivi rumori avvertiti soltanto da lui. Su tutto aleggiava un senso di disfacimento, la dolente poesia del rimpianto. La pendola dorata sul camino, fiancheggiata
dai fiori finti sotto una campana di vetro, un vecchio album di foto ingiallite rilegato in
marocchino rosso con i fermagli d’ottone, i quadri dalle cornici barocche che ritraevano visi austeri ed enigmatici. Esistenze sepolte. Fossili. Reliquie. Cose morte a cui si contrapponeva magicamente la freschezza sorgiva dell’immaginazione, dell’evasione fantastica. Ora rimanevano soltanto le notti insonni scandite dai gravi rintocchi
della pendola.
Mentre stava per rimanere sopraffatto dalla subdola malinconia, ogni sera, dal piano superiore
si diffondeva, dapprima in modo lieve, poi via via
più distinto, il suono della spinetta. Quel suono
era lo struggente lamento di una giovane esistenza appassita, a poco a poco, in un tempo lontano. E allora ricordava la leggenda della infelice
Eloisa, una fanciulla vissuta tra Cinque e Seicento, rinchiusa in quell’aristocratico palazzo dai suoni ovattati. Si spegneva anche quel ricordo. Dai
crepitanti bagliori rossastri del caminetto acceso
schizzavano subitanee faville, lampi subito sopiti.
Bagliori nel buio. E poi il silenzio. Ma, nelle fredde sere invernali, nei sepolcrali palazzi nobiliari
anche il silenzio ha una sua voce, per chi sa udirla: il suono lieve, dolce, pizzicato della spinetta,
che diffondeva una melodia triste e senza tempo.
L’antico strumento musicale sembrava suonare –
era solo la sua fantasia? – al piano di sopra, chiuso e disabitato, da decenni immerso nell’oblìo. A
volte pareva di udire l’improvviso scrosciare di risa
argentine, un misterioso tintinnio e un sommesso, soffocato singhiozzo di bimba…Ma su tutto
aleggiava il suono della spinetta. La leggenda narrava che, secoli prima, in quel vecchio palazzo
avesse dimorato un’antica famiglia nobiliare che
aveva una figlia bellissima, dalle esili forme, dall’incarnato eburneo come la cera e dai lunghi
capelli corvini. Per una misteriosa e rarissima malattia, Eloisa non poteva sopportare la luce del
sole: non conobbe mai il giorno, soltanto la notte. Nella semioscurità di quelle fredde stanze, la
giovinetta leggeva a lume di candela, scriveva, ri-
Bella Parma
camava, inseguiva i propri pensieri, sempre triste
e silenziosa. E accarezzava un gattino nero,
accucciato sulle sue ginocchia. Ma, soprattutto,
suonava la spinetta, per ore ed ore, giorno e notte, i giorni sempre uguali alle notti. Eloisa era
morta giovane, prima di compiere i venti anni,
consumata a poco a poco da un morbo sconosciuto, portando con sé i propri segreti e i propri
silenzi. Di lì a qualche mese, la famiglia si era trasferita altrove. L’intero palazzo era rimasto a lungo disabitato. Su di esso aleggiava una fama sinistra, si riteneva fosse dimora di fantasmi, di anime inquiete e senza pace, di forze oscure e malefiche (la stessa sventurata Eloisa era stata sospettata di stregoneria). Alla fine del Settecento, il
nonno di Parmenio, facoltoso proprietario terriero,
si era stabilito al piano di sotto e per anni nulla
era accaduto: la vita sorrideva, il sole filtrava dalla finestre nel profumo del vento e dileguava gli
incubi. Ma da quando Parmenio era rimasto solo
a cullarsi nei suoi rimpianti, dopo secoli dal silenzio era germogliato quel suono, che sembrava diretto soltanto a lui, a lui che sapeva ascoltare. Una melodia tenue, quasi impercettibile, ma
dolcissima, remota, arcana, che scaturiva dal nulla, dall’intima comunione con i silenzi, con le
ombre, con presenze invisibili, soffi, sospiri, brusii, avvertibili soltanto dal suo orecchio. Non ne
aveva mai parlato a nessuno: nel clamore del
mondo esterno, nessuno avrebbe capito. Lo
avrebbero senz’altro tacciato di pazzia. Già circolavano insistenti voci sul suo conto, era considerato una persona strana e ombrosa che comunicava con i defunti.
La cosa andò avanti per mesi, per anni: ogni
notte si spegnevano i rumori esterni, moriva la
vita, e iniziava la spinetta, la voce dell’anima.
37
Finché una notte di fine inverno, mentre fuori
impazzava la grottesca ambiguità del Carnevale
- diabolico simulacro della realtà -, l’allucinante
vertigine, quando sciamavano ovunque maschere orrende a consumare antichi e crudeli rituali
– si celebrava la morte dell’inverno con corruschi
roghi purificatori –, mentre il mondo esterno barcollava, stordito, nella danza macabra della finzione, egli rincasando, chiuse accuratamente tutte
le imposte, rinserrandosi ancor più nel segreto
dell’anima. Fuori, la proteiforme, ambigua vertigine della maschera, il delirio, il ghigno e il riso,
l’ebbrezza dionisiaca del Carnevale, dentro il silenzio e il raccoglimento interiore. Uno stridente contrasto. Infastidito dall’invadente clamore
esterno, quella sera il poveruomo sembrava più
triste, avvilito del solito. Tentava di celarsi, di proteggersi dalla perversa pantomima, dall’animalesca
eccitazione, dalla triviale baldoria, dal fatale risucchio nella voragine infernale, dall’infida menzogna che, con affilati artigli e seducenti lusinghe,
cercava di adescarlo, di afferrarlo, di avvinghiarlo
e di trascinarlo con sé, nell’eterna ciclicità della
materia corrotta e corruttibile, della rinascita e del
disfacimento. Dentro, all’interno di quella stanza, protetta e sottratta al tempo degli uomini, il
suono celeste della spinetta - indifferente alle effimere vicende umane - che invitava a fuggire
lontano. Parmenio si lasciò guidare, come un
bimbo preso per mano dalla madre, dal filo invisibile, dall’etereo richiamo della musica: venne
dolcemente rapito e condotto altrove.
Giorni dopo, quando lo ritrovarono senza vita,
dissero che il suo vecchio cuore sofferente si era
improvvisamente fermato. In verità, si era dissolta soltanto la sua imperfetta e tormentata
corporalità, la sua fisicità. Aveva varcato una invisibile soglia per scomparire per sempre, con i
suoi dolori e i suoi ricordi. Nel profondo di sé,
Parmenio l’aveva sempre saputo: i giorni, i mesi,
gli anni, i secoli, il tempo stesso sono idee
illusorie, effimere creazioni umane, destinate a dissolversi nel breve transito terreno: esiste soltanto
l’armonia cosmica – cangiante, nelle sue molteplici forme, talvolta affidata al suono sommesso
di una spinetta – che, come un fiume, nel suo
eterno fluire, scorre e raccoglie, lungo il suo corso, tutti i detriti dell’infelicità umana, conducendoli alla foce… All’oblìo. La spinetta non aveva
tempo, viveva fuori dal tempo e, per chi sapeva
ascoltarla, avrebbe suonato per l’eternità.
38
Bella Parma
DIALETTO
D’acordi, la n’ é miga pu colla äd ’na volta. La
tochlètt; però cualcoza a m’diz ch’la podrè esòr
fat cme un ragàs che cuand al cressa al s’älsa, al
städa n’ uzuäla cuistjón äd sóld).
se zlärla, al cambia vestì, al cambia parfìn’ la facia
E po a gh’é anca la Pärma, che sutta o bagna,
e la voza, insomma al se fa omm. Anca lè, la me
chjéta o voladóra, l’à inspirè, fra i tant, anca al me
citè, l’à cambiè facia. La n’é miga pu coll bél
amìgh Fausto Bertòss, ch’l’à scritt: «La Pärma in
paesón che m’arcòrd mi: cuator strädi missi in
méz al ca l’é ’na cortläda, – ch’a taja in do ’n’
croza (cme s’usa adésa tajär ’na pissa in cuator
ingurja dil pu béli. ’Na s’ciapa però a cl’ältra l’é
spigh), i borogh pjén ’d ragàs
tacäda, – ch’i s’bras’n
ch’i zugon con ’na bala äd
insimma aj pónt cme do
stras e, cuand a s’fa sira e
soréli». E Luigi Vicini,
l’arja la s’intevdissa, il donni
cuand al pensäva al momént
in savati sedudi, p’r arche la nostra citè la s’prepära
soräros, davanti a l’us äd ca,
p’r andär a lét: «Se smorsa i
’na màchina ogni morta äd
lumm dill fnesrti e tutt a täz;
päpa e i tram ch’i scadnason
– Pärma l’é straca morta e
avanti e indrè col tramvjér
’gh va zo ’l cor. – Int l’aria
che d’ogni tant col pè al
an gh’resta che ’l profumm
di GIOVANNI REVERBERI
schissa ’na specia äd camdi fior, – e na caressa äd cel,
panéla par zmarìr i putén.
cälda cme un bäz».
L’é anca véra che ’na
Mi medezim, guardànd
volta i francéz la ciamävon
d’inveron il ca imbjancädi
la «petit capitale», mo, secónd mi, capitäla la l’é
sóra la Pärma, a j ò scritt: «D’inveron, dop ch’é
drè dvintär adésa e po’ miga tanta picén’na. A
gnu la primma nväda, – con i camén ch’i dob’n
girärla tutta dintorna an s’fnissa pu, tra ’na rotonal cél col fumm – e il pjanti nudi, zo, in-t-la Pärma
da, un racórd, un cantér, un sottpasag’ e un
zläda – a l’ora ch’ogni fnéstra a pja un lumm, – a
cavalcavìa, se po par dizgrasja t’infìl la tangensjäla
coll ch’s’imbata äd gnir a ca p’r al vjäl – la séna
zbaljäda, te t’pól catär a Fidénsa, a Langhiràn o a
ch’a s’ghe pära lì davanti – la pär ’na cartolén’na
Sant’Iläri cme se njenta fuss.
äd Bón Nadäl – ch’a nónsja za l’arìv dil Fésti Santi».
Mo cosst-e chì l’é ancorra njénta. Védrì tra un
Adés’ ch’j ò fnì, a m’vén da pensär a coza j ò
cuälch ani, la tangensjäla ala fén la srà compida,
scritt.
gh’aremma la metropolitana in citè e colla alzéra
Secónd vojätor, an pärla miga «’na dichiarasjón
par Sälsmagiór, n’ aeroport da fär invidja,
d’amór?» Secómd mi, si!
masmamént aj Arzàn, ’na stasjón nóva in-t-un
cuartér tutt rifàt. E l’Avtòriti! Mo a mi, la m’pjazrà
ancorra de pjù. E sìv al parchè? Parchè tutti il béli
cozi ch’a gh’é sémpor stè i gh’saràn ancorra, nisón
ja podrà mäj scancélär: al Régio, al Farnese, la
Pilota, la Pinacotéca, al Muséo, la Palatén’na, la
Camra ’d San Pavol, al Dom, la Stécäda, San
Zvan, l’Anonsjäda, i Du Brasè, al Corèg’, al
Pramzanén, al Zardén Pubblich, al Palàs äd San
Fransèssch, indovva adésa a gh’é la Famija Pramzana. A gh’ò sól du magón ch’i m’én restè in-t-al
stommogh: al palàs bombardè in Pjasäl ädla Päsa,
che n’Aministrassjón sénsa conisjón la fat de tutt
par né ricostruirol (cme inveci j àn fat in tutti il pu
gran citè d’Europa) e la posisjón ädl’ Ara dedicäda
a Verdi (sénsa tirär in bal chi dizgrasjè ch’jan butè
zo al so gran monumént soltànt parchè durànt la
gvéra a n’éra stè colpì un toch, mo propja un
Ala
me cité
Bella Parma
AMARCORD
O
39
ggi, ormai, questa “pratica” è quasi tutta apcampi non aveva poiché costretta ad essere
pannaggio degli extracomunitari che negli angorintanata sempre nello stesso posto. Ed allora il
li delle strade stendono la mano per raccattare
mendicante, forte delle sue esperienze di viaggio,
qualche soldo, mentre altri, sempre stranieri, si
rinvigorito dal vino e azionando soprattutto la
piazzano sui marciapiedi strimpellando motivetti
fantasia, incarnava le telenovelas ante litteram dei
stonati con trombe e fisarmoniche. Ma, un temnostri nonni.
po, la povertà e la miseria erano solo ed esclusiI mendichi che approdavano in città, solitavamente “nostrane”. Inoltre
mente nelle piazze che ospii “clochard padani” avevano
tavano i mercati (come non
un approccio diverso da quericordare i mendicanti che
gli attuali i quali, in molti
brulicavano in Ghiaia), stencasi, una mano la stendono
devano il piattino e, a chi faper ricevere l’elemosina,
ceva loro l’elemosina, offrimentre con l’altra tengono
vano il “pianetino della forsaldo il cellulare.
tuna” (stampato in vari coUna volta il mendicante
lori da una tipografia del
(in dialetto “povrett” o
piacentino) dove non potedi LORENZO SARTORIO
“sercòn”), vagabondava nelvano certo mancare i numele campagne alla ricerca di
ri del lotto. I mendicanti più
ospitalità che, se gli veniva
organizzati, invece, si esibiaccordata, gli consentiva di
vano con fisarmoniche, viogettare le sue povere robe su di una “balla” di fielino o altri strumenti musicali mentre un
no per trascorrere una o due notti nel fienile in
cagnetto, al termine dell’esibizione, con un
piattino in bocca, andava a raccattare le offerte.
compagnia della sua solitudine, dei suoi pidocchi,
Altri ancora giravano sia la provincia che i bordei ratti e dei pipistrelli. E se il “rezdor” o la
ghi cittadini con la pianola (detta anche “verti“rezdora” erano persone generose, allora, ci pocale”) portando in giro il suono della miseria e
teva “scappare” anche una scodella di minestra
della speranza le cui note si aggrappavano ai muri
calda a pranzo e a cena. Se il mendico era un
scrostati delle case. Come non ricordare, in proanziano e quindi ritenuto innocuo, nelle gelide
posito, due vecchi mendicanti, marito e moglie
sere invernali, veniva ospitato nella stalla per go(vado a memoria Piero e la Romilda): lui, che
dersi un po’ di caldo, bere un bicchiere di vino
trainava la pianola e lei, dietro, che la spingeva e
buono, mentre non era raro che, proprio il menraccattava quei pochi soldi che i passanti depodicante, si mettesse a raccontare fole alle donne
nevano sul piattino oppure che piovevano giù
e a nidiate di bambini che pendevano dalle sue
dalle finestre e dai balconi.
labbra. Solitamente, “al sercòn”, era una persoNel tempo di Natale molti medicanti si piazna che aveva lavorato poco, ma viaggiato molto
zavano
dinanzi alle porte delle chiese attenendo
e quindi possedeva conoscenze che la gente dei
i fedeli che uscissero dalla messa. Le chiese più
“battute” dai “povrett” erano quelle francescane:
San Pietro D’Alcantara in via Padre Onorio, i
Cappuccini in Borgo Santa Caterina e l’Annunziata. Ma un motivo c’era; infatti dopo la questua,
all’ora canonica, i mendicanti potevano fruire della carità francescana che apriva le porte dei conventi per sfamare gente che, a forza di digiunare
(allora la fame c’era per davvero), aveva lo stomaco “lungo”. Non a caso, una delle poche fotografie scattate a Padre Lino, lo ritrae proprio tra i
“suoi” poveri mentre tiene in mano la marmitta
della minestra.
Anche il modo
di questuare
è cambiato
40
Bella Parma
E se i bambini guardavano con quegli occhioni smarriti, gli anziani stendevano la mano
raggrinzita e salutavano con uno sguardo rassegnato, mentre l’adorabile vecchietta che sostava
dinanzi a San Pietro D’Alcantara, con una delicatezza indimenticabile, salutava il suo benefattore con un dolcissimo “il Signore la benedica”.
Un buon viatico per iniziare bene la giornata.
E poi c’erano gli zingari, visti “di traverso” dalla
gente dei campi che li incolpava, specie alla notte, di fare razzie di galline e conigli. Le zingare,
solitamente incinte, con nidiate di bimbi al seguito, sostavano nei borghi e nelle corti per leggere
le mani alle persone. E, se gli uomini erano molto scettici, le donne e le ragazze non disdegnavano certo la “lettura”: le prime, con la speranza
che le linee della mano suggerissero vincite al lotto; le seconde, perchè speravano che il destino riservasse loro un buon matrimonio.
Ma non è detto che i “povrett” di una volta
chiedessero sempre denaro. Alcuni, ad esempio,
bussavano alla porta dei forni per farsi dare un
micca di pane, altri toccavano il cuore degli ortolani ambulanti che giravano con i loro carretti
di legno colmi di frutta. Altri ancora potevano incontrare qualche oste generoso che dispensava un
piatto di zuppa e qualche avanzo che poteva diventare un pasto regolare se il mendicante accettava di sistemare la cantina o il cortile dell’osteria.
Comunque, chi commuoveva maggiormente
la gente, erano senza alcun dubbio i vecchi ed i
bambini ai quali non si poteva non accordare una
monetina.
Bella Parma
AMARCORD
D
41
opo che abbiamo visto e rivisto fino alla
nelle nostre mani e venivano inviati come prigionausea immagini di prigionieri di guerra in Irak,
nieri di guerra in Italia, come ad esempio nella
scherniti e umiliati da parte di prevaricatori inciscuola di San Leonardo o nell’orfanotrofio di
vili, mentre decapitazioni ed esecuzioni a freddo
Fontanellato.
da parte di esaltati terroristi venivano annunciate
La mia compagnia nella penisola di Capo
ma non integralmente visualizzate solo per
Matapan ne raccolse e spedì nove in tutto nei
autocensura, vorremmo ristorare la vista e il gunostri campi di raccolta e di concentramento.
sto con una foto del 1941,
Chi non è stato in guerquando vincitori e vinti in
ra non sa quante eventualiguerra erano molto più cività si possono presentare,
li e cavallereschi. La foto
quando meno te l’aspetti:
mostra al centro due sottuffame, fatiche, gelo, caldo,
ficiali inglesi caduti prigiobattaglie, rischi mortali,
nieri, molto tranquilli e sorpene infinite, paure, disperaridenti, e da un lato un nozione, eroismi incredibili.
stro soldato di guardia con
A volte ti auguri come
di GIUSEPPE MENONI
elmetto, giberne, fucile e
male minore una ferita inbaionetta in canna; dall’altelligente che ti consenta
tro lato il sottoscritto, disarpronto ricovero e lunga conmato in camicia, e il covalescenza. La prigionia si
mandante di compagnia tutpuò presentare auspicabile e
to serio; sullo sfondo la scuola media (ginnasio)
provvidenziale in certi momenti, ma terrificante
di Aeropolis (Laconia meridionale) requisita per
in altri momenti, peggio che la morte: come in
a
alloggiarvi la 9 compagnia del 63° fanteria di preRussia (gennaio 1943) o a Cefalonia (settembre
sidio nel paese, dopo che avevamo occupato la
1943): dove morire subito era una fortuna, piutGrecia. Alcuni nostri soldati stanno lì intorno a
tosto che andare incontro a una fine atroce.
curiosare.
Ricordo il primo prigioniero greco che abbiaQuando siamo andati a presidiare quelle terre
mo fatto sul tormentato fronte albanese nel febaride e povere in fondo al Peloponneso, c’erano
braio 1941: tremava come una foglia, ma noi l’abin giro dei soldati britannici neozelandesi sbanbiamo rincuorato e sinceramente invidiato, perdati, avanzi del corpo di spedizione del gen.
ché lui ormai finiva la vitaccia disumana della
Wilson accorso invano a contrastare i tedeschi
trincea per andare a “godersi” una tranquilla...
avanzati il 6 aprile 1941 della Jugoslavia verso
villeggiatura in Italia: senza alcun odio, minacSalonicco, Larissa e Atene. Dopo brevi e sanguicia, umiliazione.
nosi scontri, il gen. Wilson sconfitto
fece il possibile per reimbarcare i
suoi uomini del Pireo, da Nauplia
e da altri porti minori, per portarli
a Creta.
Ma parecchi non ne ebbero il
modo e il tempo, e si dispersero nella regione: i più furono catturati da
tedeschi e italiani presto sopraggiunti, ma in parte si diedero alla macchia
in attesa di tempi migliori: e la povera gente del luogo non mancava di
mantenerli e nasconderli. Però dopo
alcuni mesi, o stanchi della latitanAeropolis 21 settembre 1941.
za, o denunciati e scoperti, finivano
Prigionieri
di guerra
42
Bella Parma
Questo P.L. Fermor, classe 1915,
era naturalmente arruolato nell’esercito inglese nel 1939/45, e fu paracadutato nel 1942 sui monti di Creta per organizzare la guerriglia. Impadronitosi del greco moderno e già padrone di lettere e cultura classica, visitò anche il resto della Grecia in lungo e in largo, innamorandosene
come Byron e predilesse in modo speciale l’impervia, arida e solitaria regione del Mani, fissando la sua abituale
residenza in Kardamyli, al margine
Nord Ovest della regione. E pare che
viva ancora lì, a quasi novant’anni,
Paliros, ultimo villaggio nell’estremo Sud della penisola verso capo Matapan, nel gennaio
all’ombra della fortezza veneziana di
1942, affacciato a Est sul golfo di Laconia.
Zarnata, dove Nicolò Meli Lupi di
Soragna da giovane ebbe il comando della guarQuesti due sottufficiali inglesi della foto scamnigione nel 1691.
biarono con me qualche parola, mi corressero sorIl libro del Fermor descrive solo un giro del
ridendo errorucci di grammatica o di pronuncia,
Mani
a piedi e in barca nel 1949, da Sparta a
espressero nostalgia acuta per la loro Inghilterra
Kardamyli, Aeropolis, capo Matapan, Kotronas
lontana, ma gradirono il cavalleresco trattamene Gythio, con tante dotte e vivaci divagazioni da
to e soprattutto il tè indiano che potevamo offrire
arrivare a 394 pagine.
loro in abbondanza. Occupando la Grecia infatVoglio rilevare che in una ristampa del 2004
ti, avevamo trovato depositi abbandonati di tè in
si
sente
la mancanza di qualche opportuno aggiorquantità incredibili; per noi che ne consumavanamento e soprattutto di fotografie vecchie ed
mo poco, durarono tanto, che ne avevamo aneventualmente recenti. Noterò inoltre che è incora nel maggio 1942 quando ne usammo per
giusta la lagnanza che non ci siano altri libri ildissetarci e ristorarci durante le gare atletiche per
lustranti il Mani: ho visto a Gythio nel 1993 una
noi militari d’occupazione allo Stadio Olimpico
mostra di libri, per lo più inglesi, antichi, vecchi
di Atene.
e nuovi, tutti illustranti quella pittoresca, selvagDi questi inglesi che la guerra portò a combatgia e originale regione, la propaggine meridionatere in Grecia e poi a disperdersi in territori fuori
le del monte Taigeto, che finisce a Sud a Capo
del mondo moderno, ma fra genti di antichissiMatapan: a compinciare dal diario di Ciriaco de’
ma civiltà, indomita fierezza e omerica ospitaliPizzicolli, fra il 1437 e il 1448.
tà, molti ne ricavarono impressioni indelebili,
scrissero varie memorie, tornarono spesso e a lungo là dove avevano vissusto curiose avventure e
conosciuto persone e ambienti indimenticabili.
Ultimamente è stato ristampato (in italiano, ediz.
Adelphi) il libro “Mani” di P.L. Fermor, con insipide recensioni su quasi tutti i quotidiani nazionali e locali: ma è immenso e incomunicabile
quel che vi ho compreso e condiviso io, che ho
vissuto sedici mesi nel Mani (Laconia meridionale) e l’ho girato a piedi palmo a palmo, paese per
paese dal settembre ’41 al gennaio ’43 a stretto
contatto con i locali: trovandovi tra l’altro (per dirVathia: verso l’estremo Sud della penisola, affacciato a Ovest sul
ne una sola) un “proedros” (sindaco) che sapeva
golfo di Messenia. Settembre 1997: il paese è tutto modernamente
sistemato e attrezzato per i turisti.
a memoria la Divina Commedia!
Bella Parma
NARRATIVA
Ad ogni assemblea condominiale fatalmente
43
no, cosa venivano a fare le pulzelle – permettetele solite discussioni sulla “rossa” del primo piano.
mi di chiamarle così – dalla “rossa” del primo piaUn accanimento verbale per riuscire a saperne di
no? A studiare? Che cosa, di grazia? A lavorare
più sul suo passato e sul suo presente. Insomma:
come praticanti? Praticanti in quale professione o
chi era quella donna? Una maga, una mantenumestiere? In piccoli lavori di artigianato? Ne dubita, una vecchia indifesa? Povera o ricca? Lei, mai
tavamo fortemente. Sia la potenziale maestra che
presente alle riunioni, doveva avere un sesto senle probabili allieve non ne avevano la stoffa. Non
so o un informatore segreto che le consentiva di
riuscivamo ad immaginarle impegnate in un’atvenire a conoscenza di tutto
tività dove ci fosse da occuciò che la riguardava delle
pare le mani e un pochino
nostre chiacchiere. Quando
anche la testa. Bisognava perla incrociavamo lungo le scacorrere altre strade, trovare alle, infatti, ci guardava con un
tre soluzioni allo scioglimensorrisetto ironico come dicesto del giallo, visto che di un
se: io so tutto dei vostri petteautentico giallo si trattava.
golezzi, ma fate pure, io me
Ed ecco la trovata di quel
ne infischio. So di essere una
dogmatico del professor Serepersona onesta, anche se vi
nella, insegnante d’inglese in
di GIOVANNI FAVALESI
fa specie il mio modo disinpensione, un pallone gonfiato – pace all’anima sua – sevolto di vestire, di acconciare i
condo il mio modesto parere
capelli, di calzare scarpe dae credo di altri condomini.
gli alti tacchi a spillo e dalla
– Ho l’impressione – egli disse – anzi la certezpunta lunga. Mi piace semplicemente – metteteveza, che quella donna ci metterà nei guai e in guai
lo bene in testa – andare alla moda, malgrado l’età.
seri, talmente seri che dovremmo seduta stante
Ecco, a proposito, un argomento assai dibattucominciare a prendere provvedimenti. Quella
to: la sua età. Difficile con quei capelli colorati,
“rossa” – riprese dopo una breve pausa per assicon quei vestiti da giovincella, con quei modi stracurarsi che lo stessimo ad ascoltare con attenziovaganti attribuirle un’età. Poteva averne settanta,
ne – ha deciso, disposto a giurarlo, di trasformare
cinquanta o un’ottantina. Solitamente ci fermail suo appartamerto in una casa...
vamo alla cifra di mezzo: una settantina o giù di
– ...in una casa? – saltò su sgranando gli occhi
lì, il che disponendo di un bel fisico – nulla da
il ragionier Alessi.
eccepire – le permetteva di posare a giovincella
– Chiaro come il sole: in una casa d’appuntaillibata, eccetera, eccetera. Altra questione: sola o
menti – esclamò l’altro con sicurezza.
accompagnata? Vedova, con un amore segreto,
Stupimmo, ci grattammo la fronte, arricciamun compagno invisibile?
mo il naso e sporgemmo le labbra in un doloroso
Quanti interrogativi. Non la finivamo più. Una
empito di meraviglia. Come, come – parlavano i
cosa era certa: non si poteva dire che non fosse in
nostri sguardi – una casa d’appuntamenti nel noregola coi pagamenti delle spese condominiali. L’amstro condominio, col rischio, cioé con tutte le conministratore, anzi, era solito elogiarla per la puntuaseguenze del caso: intervento della polizia, tribulità, mentre alcuni di noi – qui non voglio far nomi
nali, processi, e via discorrendo. Ma che gli era
– hanno tuttora il vizio di pagare in ritardo con
saltato in mente a quel satanasso, a quello sputagrave pregiudizio di una sana amministrazione.
sentenze? Beh, a ripensarci, poteva esserci una
Negli ultimi mesi un fatto grave era intervenuto
parvenza di verità nel suo discorso, ma le prove,
ad occupare i nostri pensieri e a rinfocolare le nosignori, dov’erano le prove? Si fa presto a gettar là
stre preoccupazioni. Ci eravamo accorti che ad ore
delle frasi, delle accuse a un tanto il chilo. Le proalterne sia di giorno che di sera alcune ragazze belve, signori, fuori le prove. Fu proprio lo stesso ralocce, più che bellocce, munite di capaci borse da
gioniere ad obiettare:
studentessa salivano da lei e non ne sortivano che
– Mai visto salire uomini in quell’appartamendopo un paio d’ore. Una cosa per gente scrupoloto. Mai! Per me le quattro o cinque ragazze non
sa come noi da far rizzare i capelli in testa. Le
hanno l’aspetto delle professioniste del sesso. Pronostre menti correvano alle più disparate ipotesi
fessore – si rivolse con molto garbo allo sputasensempre improntate al pessimismo, alle più vive
tenze – ci ripensi per favore, se la sua ipotesi corripreoccupazioni per il buon nome del palazzo rispondesse a verità è di una gravità assoluta.
spettato e conosciuto in tutto il quartiere. Chi era-
Ah, gli americani,
gli americani!
44
Bella Parma
– Sappia – rispose offeso l’ex insegnante – ch’io
ho l’abitudine di riflettere a lungo su ciò che dico:
una norma di condotta e di vita, un principio etico al quale mi sono sempre attenuto. Son anni
che ci frequentiamo e pensavo – se devo dirla tutta – che lei mi conoscesse meglio, ma devo concludere che...
– Professore, per favore, via via, non se la prenda,
non se la prenda. Io non avevo certo l’intenzione...
– Beh, beh – intervenne con fare pacioso il
geometra Bongianni – se permettete proporrei, partendo dall’ipotesi dell’amico professore, di darci
da fare per trovare le prove del tiro mancino che
ci ha giocato la “rossa”. Poi, una volta in possesso
delle stesse, ci riuniremo per decidere sul da farsi.
– D’accordo, sono d’accordo – disse con enfasi il comm. Polidori. – Mobiliterò tutte le mie conoscenze. Ho certi amici in questura, ...via via per
me sta bene così. D’accordo anche voi? – domandò passando in rassegna con una rapida occhiata
tutti i membri del comitato esecutivo di cui io
modestamente faccio parte.
– Bene, bene – esclamammo in coro soddisfatti – leviamo le tende, s’è fatto tardi.
Abbandonammo la seduta intorno alla mezzanotte. Grazie a Dio era una bella serata fresca e
ventilata malgrado fossimo alla metà di luglio.
Mancavano pochi giorni alle vacanze estive,
quando il comm. Polidori incominciò ad insistere
perché si riunisse con urgenza il comitato esecutivo. Egli aveva – dichiarò con prosopopea – importanti comunicazioni da fare. Ci riunimmo in
un torrido pomeriggio, così afoso che più afoso
non si può. Siccome mancava l’aria condizionata ci trasformammo ben presto in lustri lumaconi.
Pazienza. Per il bene della causa ogni sacrificio è
lecito e doveroso. Il comm. Polidori con la sua
pancetta prominente e la facciona rubiconda attaccò gonfiando il petto:
– Signori, amici, ho saputo quanto basta dal
mio informatore: si tratta proprio di studentesse
iscritte ad un liceo linguistico. La “rossa” del primo piano ha aperto una specie di doposcuola dove
le allieve vanno a fare conversazione nella lingua
oggetto dei loro studi: l’inglese.
Avete mai assistito ad una risata omerica? Io
ebbi la fortuna di assistere a quella del professor
Serenella, una risata, un’esplosione che fece tremare le fondamenta dell’edificio: era un sussulto
unico, un tremolio, uno spavento da morire, potete credermi. Dopo di che, il nostro sputasentenze, col tono e la determinazione di un profeta
biblico, declamò:
–Ve l’immaginate la “rossa” del primo piano
insegnante d’inglese? Comm. Polidori – si rivolse
con sarcasmo a quest’ultimo – penso proprio, e lo
dico con dispiacere, che il suo investigatore dovrebbe cambiar mestiere. Un pericolo quel tale,
una mina vagante. Non aggiungo altro. Sono stato chiaro?
Cadde sull’uditorio un silenzio di tomba. Io che
non sono un tipo loquace tentai di interloquire,
ma vedendo le facce stravolte dei colleghi non ne
ebbi il coraggio e tacqui contento di non aver contribuito ad attizzare il fuoco. Non sarebbe stato il
caso, l’aria era già carica di elettricità. La riunione
si concluse con un nulla di fatto. I pareri contrari
si contrapponevano creando un nodo inestricabile,
una situazione di stallo.
Per alcuni giorni evitammo di ritornare sull’argomento. Quando ci incontravamo lungo le scale ci trinceravamo dietro un mutismo patologico.
Il professor Serenella ci fissava con occhi talmente spiritati da sembrare l’incarnazione di Belzebù.
Per poter far venire a galla la verità, per corredarla
di fatti inoppugnabili, ci voleva un evento straordinario, come l’arrivo di un messia capace di sbloccare la situazione e di chiarire un rebus che ci
lasciava in continua apprensione.
Un bel giorno il messia tanto atteso si palesò
nei panni di un’intera famiglia di americani che si
installarono con grande spreco di voci, di suoni e
di confusione nell’appartamento incriminato dove
fin’allora aveva regnato un silenzio discreto. Quei
tali non smentendo la fama che li accompagna
da sempre eran davvero degli allegroni, degli inguaribili chiacchieroni che si esprimevano in un
linguaggio fantasioso e colorito ben lontano dall’inglese scolastico di cui il nostro Sererella doveva essere un esperto. Quest’ultimo, tra l’altro, di
fronte alla nuova realtà, si vedeva come messo al
muro, schiacciato dalla vergogna, sbugiardato in
tutte le sue fosche previsioni. E proprio in quei
giorni – come il cacio sui maccheroni – per mezzo del comm. Polidori venimmo a sapere che quegli allegroni eran parenti stretti della “rossa” giunti in Italia per far visita di cortesia alla loro parente
rientrata da poco dagli Stati Uniti. Non ce ne voleva più per dare il colpo di grazia al professore.
Colpito da violenti dolori allo stomaco, una sera
fu trasportato d’urgenza all’ospedale e fonti bene
informate riferirono che nel delirio febbrile egli
andava ripetendo a mo’ di ritornello, tra lunghi
sospiri e lugubri lamenti; “Ah, gli americani, gli
americani!”, il suo chiodo fisso, la sua spina nel
cuore, se non nello stomaco. Morì, il poveretto,
la settimana seguente e a dispetto di tutto devo dire
che si ebbe un gran bel funerale. Il che dimostra,
se mai ce ne fosse bisogno, che la gente non è poi
così cattiva come sembra.
Bella Parma
RECENSIONI
N
45
ella miriade di compositori, ormai dimentiposizioni che spaziarono dal melodramma agli oracati, vi sono alcune figure che meritano senza dubtori, dalla musica sinfonica a quella da camera.
bio di essere proposte agli amanti della musica
Viene altresì ricordato lo scritto di Marco Cacontemporanei.
pra – docente dell’Università degli Studi di Parma
Fra queste, nel ristretto ambito del “Movimen– che ben colloca il nostro compositore nel “Moto Ceciliano” – accanto agli ormai noti Lorenzo
vimento Ceciliano” e pone in risalto la sua capaPerosi e Licinio Refice – deve essere collocato il
cità di emergere non solo nella produzione cocompositore don Arnaldo Furlotti nato nel 1880
siddetta sacra, ma anche superlativamente in quele morto nel 1958.
la teatrale.
Notizie interessanti sulla
Gli scritti di Gino Marchi,
sua attività sono contenute
Agostino Landini e Gino
nel volume pubblicato dalla
Gandolfi ci fanno inoltre
casa editrice Tecnografica di
comprendere quale risonanParma “Arnaldo Furlotti Il
za abbia avuto la musica del
sigaro sullo spartito”, antoloFurlotti con le rappresentagia di scritti vari, frutto delle
zioni delle sue composizioni
ricerche svolte con la compea Parma, a Marsiglia, a Viidi GIUSEPPE MARTELLI
tenza e l’acribia consuete da
puri (Finlandia), a Buenos
Giuliano Colla e Gaspare
Aires, a Montevideo e a Rio
Nello Vetro, studiosi di storia
de Janeiro.
del melodramma soprattutto
Risulta peraltro impossibidei territori dell’ex Ducato di
le non evidenziare quale preParma, che sono riusciti a raccogliere articoli di
zioso aiuto abbiano offerto agli autori collaboraepoche ed autori diversi a lui dedicati.
tori quali il regista Mario Lanfranchi, che con tanGrazie a questo mosaico dalle tinte e dagli stili
ta commovente sensibilità ci ha introdotto nel
più variegati, i due autori ci hanno tramandato,
mondo di Don Arnaldo Furlotti, Giuseppe Martioltre alla biografia compilata
ni che in modo esaustivo ha
nel 1945 da Renzo Martini
ricostruito il ruolo musicale
(altro compositore di cui il
coperto dal nostro composigrande direttore d’orchestra
tore durante il servizio come
Gianandrea Gavazzeni ebbe
cappellano nella chiesa di S.
a dire “Musicista in limine
Maria della Steccata e Raffatra musica e letteratura, di poella Nardella che ci ha deetica finezza, che esprime il
scritto con dovizia di particocarattere gentilmente ducale
lari la realtà del Conservatodi Parma, in contrasto alla
rio negli anni in cui il Furalacre riottosità e sprezzatura
lotti ha ricoperto la cattedra
degli altri”), un insieme di
di storia della musica e di bisplendide cartoline d’epoca,
bliotecario.
dalle quali emerge sempre
Una sentita riconoscenza
più definita la figura di un
va, quindi tributata ai due
uomo poliedrico dotato di
autori di questo agile e piaceuna ragguardevole cultura.
vole volume per aver salvato
Maestro di cappella della
dal mondo dell’oblio un aucattedrale di Parma, ricoprì al
tore che, altrimenti, mai
Conservatorio di quella città
avremmo conosciuto e per
la cattedra di storia della muaverci dato l’imput per andasica e di bibliotecario, contire a reperire e ad ascoltare le
nuando a svolgere con dedicomposizioni di questo, inzione la sua missione di sagiustamente dimenticato, ficerdote e producendo una
glio della terra generatrice di
quantità notevolissima di cominnumerevoli artisti.
Arnaldo Furlotti
Il sigaro sullo spartito
46
Bella IN
Parma
EVENTI
CITTÀ
“Il 22 maggio riaprono i
GIARDINO AIMI - Borgo Felino, 47
cancelli dei più bei giardini priSi incunea verso sud, stretto e lungo, terminando contro
vati di Parma. Le precedenti
la recinzione che isola un altro spazio verde (un tempo
incorporato) e proseguendo la traiettoria dell’androne.
edizioni di Giardini Aperti sono
Patio al centro e loggetta al primo piano, con replica più
state un successo. Sarà perché
recente a livello strada, segnalano l’impronta gotica della
si è andati a scoprire un patricasa. La facciata segue invece i precetti del liberty. Divermonio di gusto e bellezza che fa
samente dalle architetture limitrofe, il fabbricato non è
parte del dna di questa città e
nobiliare con tanto di casate alle spalle. Molti sono perciò
di chi la abita. Piccoli angoli
i proprietari che si sono dati il camdi natura incastonati con grabio. Dal primo conosciuto, di
zia nel tessuto cittadino che
nome Franco Caprara, all’ultimo,
Pietro Vignali
possono, devono, ispirarci antuttora residente fin dagli anni
Cinquanta. È la famiglia di Franche nel pensare la nostra citpresenta
co Aimi, poeta dialettale e antità di oggi e di domani. Perché
quario con la passione del collela fretta, la necessità del quozionismo d’arte. Il giardino dà il
tidiano, l’invadenza del funbenvenuto con un vecchio glicizionale non offuschino il noa cura di
ne, che un tempo avvolgeva intestro intimo bisogno del bello
ramente l’accesso. È attraversato
Angela Zaffignani Mezzatesta
come rifugio dall’alienazione
in lunghezza da un sentiero in
e dallo stress. Un’esigenza che
Testi di Paolo Dossi
cotto con un cespuglio di bordura
la natura, reintrodotta, curaaccanto al muro di cinta. Un
Foto di Nicolò Costa
hibiscus da regioni calde fa da senta, considerata non più un intinella dopo un angolo a orto, avantralcio ma un valore per chi
zo di una coltivazione molto più
vive in città, è in grado di apampia
che
contrassegnava
il luogo assieme a una vivace
pagare come nient’altro. I giardini storici, che grapopolazione di galline e anatre.
zie ai proprietari disponibili si apriranno nuovamente nella prossima Primavera, lo dimostrano.
Questa passeggiata nei giardini storici ci fornisce
l’occasione di cogliere qualche indicazione, soprattutto simbolica, del rapporto che nel corso del tempo
si è stabilito tra gli uomini e i giardini.”
Giardini aperti
PIETRO VIGNALI
Assessore Mobilità e Ambiente
Comune di Parma
“Nel tempo i giardini sono
stati lo specchio della mentalità umana, luoghi nei quali cercare qualcosa, mostrare qualcosa, attendere o fuggire, essere o
apparire.
Per molte persone il giardino
è luogo di pace e di tranquillità, di fuga dall’esterno, punto di meditazione dove
l’idea si trasforma in realtà.
Aprire il proprio giardino è un gesto di grande
generosità, perché il giardino è un ambiente intimo
dove spesso ci rifugiamo per allontanarci dall’oppressione della vita quotidiana, per ritrovare la nostra interiorità.
Giardini Aperti, luoghi privati nascosti da mura
e da palazzi che in questa occasione si aprono alle
visite delle persone appassionate di storia e di cultura della nostra città.”
ANGELA ZAFFIGNANI MEZZATESTA
Presidente Società Italiana Birdgarden
NINFEO - Borgo Carissimi, 5
Andromeda figlia di Cefeo e Cassiopea che pretendeva
di essere più bella delle Nereidi e allora queste si lamentarono con Poseidone che la fece incatenare a un faraglione
per essere divorata da un serpente? Oppure Angelica esposta all’orca sugli scogli dell’Isola del Pianto e salvata da
Ruggiero a cavallo dell’Ippogrifo? In ogni caso il motivo
plastico del ninfeo svela una figura femminile, incatenata
a uno scoglio e terrorizzata per l’aggressione di un mostro
47
Bella Parma
monastero di fronte. La superficie è sempre la stessa dal
‘700, tracciata dal Sardi con due aiuole lunghe e sottili.
Fino agli anni Cinquanta è protetta dal possedimento della Congregazione di San Filippo Neri e da una falegnameria. Ora un condominio moderno e una palazzina dall’aria
liberty occhieggiano in modo sfacciato. Senza impedire
tuttavia alla famiglia Schluderer, proprietaria da più di
cent’anni, di vivere serenamente il giardino. Vi si accede
da un corridoio lungo l’abitazione. Un cancelletto in ferro, ombreggiato da un fico, introduce il percorso verso la
fontana eretta dopo l’ultimo passaggio di proprietà. In fondo sul muro di confine, attecchiscono un glicine dai grappoli violetti e un ligustro con il suo esteso fogliame. A
sinistra invece la bordura ha come compagnia un acero
campestre, un sambuco e un ippocastano. Tutti questo
vivacizza l’area a prato di estetica medievale, circondata e
difesa da muriccioli che l’edera contribuisce a sfumare.
PARCO DI VILLA LAURA - Via Linati, 13
marino. Risale agli anni Venti, probabilmente copia di
un’opera del XVIII secolo. Alla base una grande vasca accoglie le acque di una fontana: sottoterra scorreva la lunga
canadella di Borgo delle Colonne. L’intera struttura ormai
in stato di degrado continua a sgocciolare alcune parti sul
verde ai suoi piedi. Nel feudo per tanto tempo della casata
dei Carissimi sembrerebbe facile il loro accostamento alla
citazione classica del ninfeo, ma non è così. L’opera staziona sulla parete di un piccolo ma grazioso spazio, forse tempo addietro era il fondale di un vecchio giardino che ora
rimane tale solo dalla parte di Borgo Carissimi.
Via Linati è frutto di un parto novecentesco sul verde
che si allunga dai palazzi di Borgo Felino. Con la costruzione dello Stradone cresce una doppia fila di ville in stile
liberty. Quella conosciuta come Villa Adele domina un’area
GIARDINO SCHLUDERER - Borgo Felino, 17
Avanzo dei lotti incollati alle mura cittadine, si trova
dietro un fabbricato secentesco un tempo accessorio del
con alberi e piante di raro pregio, annientate anteriormente dall’ultima ristrutturazione vanificando la passione del
proprietario che riesce a procurarsi le talee nel vicino Orto
Botanico. Sopravvivono al loro posto invece le numerose
specie sul retro, passate negli anni Cinquanta a contornare
la casa dei vicini. I quali raddoppiano la cubatura e
ingioiellano l’entrata con un pronao di ispirazione classica. Battezzata Villa Laura, dal nome della titolare di allora, l’abitazione appartiene ancora ai suoi discendenti. Per
entrare è indispensabile passare attraverso il parco isolato
da tigli monumentali. Superata la loro ombra, una sinfonia di colori eterogenei accompagna fino all’entrata. Risalta il bianco dei fiori di un’insolita veitchii giapponese,
soprattutto lanciando un’occhiata dalle finestre. Uno scenario da villa di campagna più che da centro cittadino.
48
Bella Parma
MOSTRE
IN CITTÀ
I
l 21 Gennaio, nella Galleria San Ludovico
cui i noti critici Renzo Margonari e Nicola Micieli
di via Melloni si è inaugurata la mostra del noto
che hanno firmato l’elegante catalogo progettato
pittore parmigiano Orio Silvani.
dal fotografo Paolo Candelari.
L’artista ha una lunga e consolidata carriera
Silvani è stato definito il “pittore delle emozioartistica che affonda le sue radici nelle esperienni” in quanto le sue opere vanno osservate lenze maturate presso l’Istituto d’Arte Paolo Toschi
tamente come un brano d’opera, lasciando che
di Parma e all’Accademia di Brera a Milano, da
le luminose tele, i contrappunti cromatici, le pulcui è uscito a metà degli
sazioni dei segni materici reanni Cinquanta, mettendo
alizzati, penetrino in noi svea profitto le lezioni di scenolando l’espressione poetica
Appuntamenti d’arte
grafia lavorando presso il
dell’artista parmigiano.
Piccolo Teatro di Milano e
Le superfici grumose,
al Teatro Due della nostra
scabre, solcate da spaccatucittà.
re che lasciano intravedere
Insegnante di disegno,
il fondo buio e tenebroso,
nella sua lunga carriera artiricordano paesaggi spaziali
stica Silvani vanta numerofatti di lune o lontane gase mostre personali e colletlassie, saggiamente mescodi MAURO FURIA
tive in varie città italiane e,
late a caldi colori che suscirecentemente, alcune sue
tano fantastiche visioni in
opere sono entrate a far parchi osserva le opere.
te della raccolta delle Collezioni d’Arte della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza SpA e della
MOSTRE PERSONALI
prestigiosa Galleria d’Arte Moderna “Ricci Oddi”
1961 - Gall. S. Andrea - Parma • 1962 - Gall. “La Perla” - Modi Piacenza.
dena • 1963 - Gall. d’arte Cologno - Biella • 1964 Gall.
La presenza di un qualificato e numeroso pubE.I.D.A.C. - Milano - Gall. S. Stefano - Venezia • 1965 - Gall.
S. Andrea - Parma • 1968 - Sala di esposizione “Guerra” - Parblico ha fatto da cornice alla manifestazione, tra
“Orio Silvani
il pittore delle
emozioni”
ma • 1971 - Gall. “La Cornice” - Parma - Gall. “Dello Scudo”
- Verona • 1972 - Gall. “Il Chiodo” - Viadana (MN) - Gall. “Teatro Minimo” - Mantova - Gall. “La Polena” - Forte dei Marmi Gall. “Angolare” - Milano • 1973 - Gall. “Teatro Minimo” Mantova - Gall. S. Chiara - Parma • 1974 - Gall. “Alpone” - S.
Bonifacio (VR) - Gall. “La Polena” - Forte dei Marmi - Gall.
“Dello Scudo” - Verona • 1975 - Gall. “L’incontro” - Ostiglia
(MN) - Gall. S. Chiara - Parma • 1976 - Gall. “Il Quadrifoglio”
- Roncoferrato (MN) • 1977 - Centro Attività Visive - Palazzo
dei Diamanti - Ferrara - Gall. 9 - Mantova • 1978 - Gall. “L’incontro” - Modena • 1979 - Gall. “Il Triangolo” - Cremona •
1981 - Gall. “Aglaia” - Firenze • 1983 - Gall. “9 Colonne” Bergamo • 1984 - Centro Steccata - Parma • 1985 - Arte Fiera
- Bologna • 1986 - Arte Fiera - Bologna • 1987 - Assessorato
Attività Culturali Parma - Le stanze di S. Paolo • 1990 - Libreria
“Passato & Presente” - Parma • 1991 Centro Studi “Valle del
Ceno” - Castello di Bardi (PR) • 1993 - Studi d’Arte “R.M.” S. Margherita Ligure (GE) - “Colore e segno” - Centro Culturale Collecchio (PR) • 1995 - Museo d’Arte Moderna - Gazoldo
degli Ippoliti (MN) - Gall. San Rocco - Colorno (PR) • 1996 Centro Assicurazioni I.N.A. - Parma - Harry’s Bar - Francavilla
al mare (PS) • 1998 - “Artebianca” - Biblioteca Monumentale
di S. Giovanni Evangelista - Parma - “Rosso, Nero, Bianco” Centro Culturale E. Manini - Parma • 2000 - Centro Civico
Comunale - Sorbolo (PR) • 2002 - Gall. “Briciole d’Arte” - Parma - Gall. Espais d’Arte Acea’s - Barcellona (Spagna) - Mall
Galleries - Londra (Inghilterra) • 2003 - Museo d’Arte Contemporanea l’Albornoz Palace Hotel - Spoleto (PG) • 2004 - “I
Martedì della Cassa” (Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza
S.p.A.) - Sede Piacenza - XXXI Premio Sulmona (AQ).
LA RICETTA DELLA NONNA
I coristi di Parma li ho sempre pensati così
GIORGIO TORELLI
La Società Parmense di Lettura e Conversazione
Il monumento a Giuseppe Verdi
GIULIANO COLLA
Un Cenacolo Domenicano in Oltretorrente: il Monastero di S. Domenico
ROBERTO MORA
Cibi e abitudini alimentari di fine ’400 nel: “De partibus aedium” del Grapaldo
ANNA CERUTI BURGIO
Edizioni della Divina Commedia di interesse parmense
CARLO ANTINORI
Arte e collezionismo a Palazzo Venezia
UBALDO DELSANTE
Alfredo Edel
MARIA TANARA SACCHELLI
Due illustri colornesi del Primo Novecento
RINO TAMANI - BARBARA MENONI
1915-2005 - La nascita dello scautismo a Parma
MAURO FURIA
Pittrici dell’Accademia di Belle Arti di Parma
ANNA CERUTI BURGIO
La spinetta
CLAUDIO BARGELLI
Ala me cité
GIOVANNI REVERBERI
Anche il modo di questuare è cambiato
LORENZO SARTORIO
Prigionieri di guerra
GIUSEPPE MENONI
Ah, gli americani, gli americani!
GIOVANNI FAVALESI
Arnaldo Furlotti - Il sigaro sullo spartito
GIUSEPPE MARTELLI
Giardini aperti
PIETRO VIGNALI - ANGELA ZAFFIGNANI MEZZATESTA
“Orio Silvani il pittore delle emozioni”
MAURO FURIA