di Sanità Pubblica, Medicina Veterinaria e Sicurezza

Transcript

di Sanità Pubblica, Medicina Veterinaria e Sicurezza
di Sanità Pubblica, Medicina Veterinaria e Sicurezza Alimentare
SIVeMP - SIMeVeP
2015
1
Il 2015
porta un nuovo…
DA OGGI LA NOSTRA RIVISTA È ANCHE IN VERSIONE SFOGLIABILE
DISPONIBILE PER TABLET, SMARTPHONE, PC E MAC
IL VANTAGGIO?
Puoi leggerla subito
in attesa di ricevere la copia cartacea
ATTIVA SUBITO IL SERVIZIO GRATUITO SCRIVENDO A
[email protected]
(oggetto: Argomenti online)
indicando l’indirizzo e-mail su cui vuoi ricevere la rivista
sommario
Organo ufficiale del S.I.Ve.M.P.
Sindacato Italiano Veterinari
Medicina Pubblica
ANNO XVIII - NUMERO 1 - 2015
EDITORE
Point Vétérinaire Italie srl
Edizioni Veterinarie e
Agrozootecniche
Via Medardo Rosso, 11
20159 Milano
DIRETTORE
Aldo Grasselli
DIRETTORE RESPONSABILE
Antonio Gianni
COMITATO DI REDAZIONE
Antonio Gianni
Nevio Guarini
Mario Latini
Vitantonio Perrone
Addolorato Ruberto
Angela Vacca
SEGRETERIA DI REDAZIONE
Stefania Alesii
Valentina Ceci
DIREZIONE, REDAZIONE
AMMINISTRAZIONE
S.I.Ve.M.P.
Via Nizza, 11 - 00198 Roma
Tel. 06/8542049
Fax 06/8848446
E-mail:
[email protected]
COORDINAMENTO
EDITORIALE
Ursula Ongaro
GRAFICA E IMPAGINAZIONE
Patrizia Zagni
STAMPA
Pinelli Printing Srl
Seggiano di Pioltello - Milano
Registrazione n° 141
Tribunale di Milano 19/3/2001
Registro Naz. Stampa 4820 16/5/95 Poste Italiane Spa Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003
(conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. 1,
comma 1, DCB Brescia
L’informativa sul trattamento
dei dati personali è consultabile sul sito:
www.sivemp.it/index.php?a=infoprivacy
Editoriale
Turn-over. Nuovi modelli
organizzativi. Nuovi percorsi
formativi. Trasferimento
competenze. Che fare?............................2
COSMeD. Prosegue l’impegno
per la difesa della dirigenza ....................6
Legge di stabilità: novità
per la contrattazione aziendale..............7
DPCM precari: raggiunta l’intesa ..........8
La Regione Liguria ristabilisce
le 3 UO distinte dei servizi
veterinari ................................................10
Circolare Madia 2/2015........................13
Servizio veterinario britannico
e italiano a confronto............................15
Osservazioni della SIMeVeP
sulla bozza del nuovo
Regolamento europeo
del farmaco veterinario ........................42
■ Rubriche
Criticità e prospettive
nella gestione dei selvatici.
Intervista a Roberto Zuccarini ............45
Dal territorio..........................................23
Rubrica legale ........................................27
Sentenze e pareri ..................................32
L’altra informazione..............................34
Veterinaria nel mondo..........................35
Parliamo anche di..................................37
Sperimentazione scientifica e
macellazione incosapevole.
Quo tendimus? ........................................48
Animali selvatici:
il CRAS di Napoli ..................................55
■ Società Italiana di Medicina
Veterinaria Preventiva
Gestione dei cani pericolosi:
una proposta di linee guida
per i servizi veterinari ..........................59
Secondo premio di laurea in sanità
pubblica veterinaria e sicurezza
alimentare ..............................................41
Prevenzione del rischio
zoonotico negli impianti
di macellazione ......................................73
www.sivemp.it
La redazione di “Argomenti” S.I.Ve.M.P. invita i lettori
a inviare e-mail, articoli, riflessioni, commenti e informazioni
sull’attività o sui problemi della nostra Categoria a:
S.I.Ve.M.P/e-mail: [email protected]
Via Nizza, 11 - 00198 Roma
Tel. 06/8542049 - Fax 06/8848446
Numero 1/2015
Turn-Over. Nuovi modelli
organizzativi. Nuovi percorsi
formativi. Trasferimento
di competenze. Che fare?
Aldo Grasselli
È
Editoriale
il momento di ri-aprire l’accesso
dei veterinari nel sistema sanitario
anche in assenza del titolo di specializzazione?
Possiamo accettare la sostituzione dei
veterinari dirigenti con colleghi specialisti ambulatoriali? Quale futuro vogliamo progettare per la Sanità
pubblica veterinaria?
Un considerevole invecchiamento del personale che presenta una voluminosa
“gobba generazionale” tra i dirigenti che
hanno superato i 55 anni e guardano con
interesse alla pensione, un blocco persistente del turn-over che impedisce di sostituire i pensionati, dimensioni delle
aziende sanitarie che assumono proporzioni paragonabili a piccole Regioni, necessità di implementare i servizi con nuove
competenze professionali, urgenza di ridurre la spesa sanitaria anche spostando
competenze mediche e veterinarie su professioni sanitarie più a buon mercato,
tutto questo impone al sindacato una attenta riflessione, a cominciare dai requisiti
per l’accesso dei veterinari nel SSN.
Non è in discussione il ruolo dirigenziale
dei medici, dei medici veterinari e dei sanitari, ma l’idea stramba che un atto attribuito oggi alla dirigenza debba essere
di particolare complessità specialistica o,
in caso perda questa caratteristica molto
manipolabile, che debba essere affidato
a infermieri e tecnici mini-laureati, in
quanto i medici, i medici veterinari e i sanitari in possesso della sola laurea sembrerebbero inidonei per svolgerli.
2
Abbiamo iniziato a ragionare nel Direttivo nazionale del SIVeMP, e continueremo a discutere serenamente, sulla logica
che determina la inutilizzabilità dei medici
laureati dopo sei anni di università o dei
veterinari che si laureano dopo cinque,
mentre grazie all’innovativo principio del
task shifting - e al comma 566 della Legge
di stabilità così come dall’art. 22 del Patto
per la salute - Governo e Regioni si apprestano ad affidare compiti tolti ai medici e
veterinari specializzati per affidarli a infermieri e tecnici laureati. Decretando inutilizzabili, per legge, e disoccupati medici e
veterinari anch’essi laureati.
Il task shifting è la ridistribuzione razionale dei compiti all’interno di un gruppo
di lavoro sanitario grazie alla quale competenze tecniche specifiche sono spostate
da operatori sanitari a qualificazione formale più elevata ad altri di qualificazione
formale meno elevata ma specificamente
formati e certificati con l’obiettivo di raggiungere un utilizzo più efficiente delle risorse disponibili.
Secondo alcuni “esperti” si tratta di «Una
modalità razionale di organizzare il lavoro
che deve trovare applicazione anche nelle
attività di prevenzione del nostro Paese
che presenta una situazione di “ingessamento” corporativo particolarmente elevato a causa del peso che viene attribuito
al conseguimento di un titolo di studio».
Il DPR 20 dicembre 1979, n. 761 - Stato
giuridico del personale delle unità sanitarie
locali, definiva i Ruoli del personale come
riportato integralmente di seguito. Si può
Numero 1/2015
facilmente comprendere dalle diverse attribuzioni che il decreto prevedeva come, già
allora, che atti più semplici - i quali esisteranno sempre in un processo preventivo,
diagnostico, terapeutico, riabilitativo - fossero attribuiti ai giovani medici, veterinari
e sanitari laureati nei primi anni di servizio.
Ed era previsto che le responsabilità fossero graduate e proporzionali al livello gerarchico e conseguentemente, come è
ovvio, alla retribuzione.
Sorprendentemente oggi ci si attarda a discutere se e quali siano gli atti di “non elevata complessità” che i medici e i
veterinari dirigenti specializzati possono
lasciare ai tecnici della prevenzione o agli
infermieri, senza renderci conto che la
“complessità” - se segmentata in atti sanitari sempre più semplici - può essere
erosa all’infinito e che le professioni sanitarie stanno assumendo ruoli sempre più
ampi, ma le responsabilità, specialmente
quelle che imputa la magistratura, pare
siano sistematicamente ricercate nella dirigenza apicale medica e veterinaria.
Che senso avrebbe altrimenti essere dirigenti e addirittura in taluni casi responsabili di strutture semplici e complesse?
Ma rileggiamo il “vecchio” 761:
«2. Ruolo sanitario. - Nel ruolo sanitario
sono iscritti in distinte tabelle, per i rispettivi profili, i medici, i farmacisti, i veterinari, i biologi, i chimici, i fisici, gli
psicologi, nonché gli operatori in possesso dello specifico titolo di abilitazione
professionale per l’esercizio di funzioni
didattico-organizzative, infermieristiche,
tecnico-sanitarie, di vigilanza e ispezione,
e di riabilitazione.
Le tabelle del personale laureato sono articolate in quadri corrispondenti agli specifici settori di attività.
Le tabelle del personale infermieristico,
tecnico-sanitario, di vigilanza e ispezione
e di riabilitazione sono articolate in quadri corrispondenti al livello di qualificazione professionale degli iscritti. Il
personale iscritto nei quadri relativi alla
qualificazione più elevata è classificato in
due posizioni funzionali.
Il personale laureato del ruolo sanitario
è classificato in tre posizioni funzionali.
17. Assunzione nelle posizioni funzionali
di assistente medico e di veterinario collaboratore. - Alla posizione funzionale di
assistente medico si accede mediante
pubblici concorsi per titoli ed esami, ai
sensi dell’art. 12, distinti per le aree funzionali di medicina, di chirurgia, di prevenzione e di sanità pubblica.
Alla posizione funzionale di veterinario
collaboratore si accede mediante pubblici
concorsi per titolo ed esami, ai sensi
dell’art. 12, distinti per l’area funzionale
della sanità animale e igiene dell’allevamento e delle produzioni animali per
l’area funzionale dell’igiene della produzione e commercializzazione degli alimenti di origine animale.
I concorsi sono indetti per ciascuna area
funzionale nei limiti dei posti complessivamente vacanti negli organici dei diversi
reparti di specialità, servizi e settori di attività.
Gli assistenti medici e i veterinari collaboratori durante il primo anno di servizio sono utilizzati in servizi, reparti e
settori delle aree funzionali, anche diverse da quella di appartenenza, secondo
criteri di avvicendamento che devono favorire la formazione interdisciplinare e
l’acquisizione di esperienze professionali
di carattere generale. Nel successivo biennio sono utilizzati esclusivamente nell’ambito dell’area funzionale di
appartenenza.
Al termine del triennio di formazione gli
assistenti medici e i veterinari collaboratori sono, a domanda, inquadrati defini3
Numero 1/2015
tivamente nei posti di organico vacanti dei
diversi reparti di specialità, servizi e settori
di attività nei quali si articola l’area funzionale di appartenenza, sulla base di
obiettivi criteri di precedenza, che devono
tener conto del servizio prestato, delle attitudini dimostrate e dei titoli professionali
e scientifici posseduti. Ai fini dell’inquadramento nella posizione funzionale di assistente radiologo e anestesista è richiesto
comunque un servizio continuativo nella
disciplina di almeno un anno.
La dotazione organica dei medici assistenti è, nell’ambito dei servizi ospedalieri, di norma pari alla dotazione
organica complessiva degli aiuti corresponsabili e vice-direttori sanitari.
18. Concorsi a coadiutore sanitario o vice
direttore sanitario o aiuto corresponsabile
ospedaliero e a veterinario coadiutore. Alle posizioni funzionali di coadiutore sanitario o vice direttore sanitario o aiuto
corresponsabile ospedaliero e di veterinario coadiutore si accede mediante pubblici
concorsi per titoli ed esami, ai sensi dell’art. 12, ai quali sono ammessi coloro che
abbiano prestato, dopo il triennio di formazione interdisciplinare di cui al precedente art. 17, due anni di servizio nella
disciplina per la quale il concorso è bandito, coloro che abbiano prestato cinque
anni complessivi di servizio in detta disciplina e coloro che siano in possesso della
libera docenza o specializzazione nella disciplina stessa. Per i concorsi ad aiuto radiologo e aiuto anestesista è comunque
richiesta la libera docenza o la specializzazione nella corrispondente disciplina.
19. Concorsi a dirigente sanitario o sovrintendente sanitario o direttore sanitario o primario
ospedaliero, a veterinario dirigente e a farmacista dirigente. - Alle posizioni funzionali di dirigente sanitario o sovrintendente
sanitario o direttore sanitario o primario
ospedaliero, di veterinario dirigente e di
farmacista dirigente si accede mediante
concorsi pubblici per titolo ed esami, ai
sensi dell’art. 12, ai quali sono ammessi
coloro che siano in possesso dell’idoneità
della disciplina per la quale il concorso è
bandito, conseguita mediante l’esame previsto dal successivo art. 20.».
Era inoltre stabilito che il veterinario appartenente alla posizione iniziale svol4
gesse funzioni di supporto e funzioni di
studio, di didattica e di ricerca, nonché
attività finalizzate alla sua formazione,
all’interno dell’area dei servizi alla quale
è assegnato, secondo le direttive dei medici veterinari appartenenti alle posizioni
funzionali superiori. Il veterinario collaboratore, assunto senza essere specialista,
aveva la responsabilità per le attività professionali a lui direttamente affidate e per
le istruzioni e direttive impartite nonché
per i risultati conseguiti. La sua attività è
soggetta a controllo e gode di autonomia
vincolata alle direttive ricevute.
Come è facilmente intuibile le cose, nei
fatti, non sono molto cambiate.
Il DPR 761 ha 40 anni, ma non disegna
scenari obsoleti e totalmente desueti e abbandonati, dice con un lessico solo un
po’ diverso come funzionano nella realtà
i servizi e le strutture. Ma è acqua passata
che non macina più.
Quando nel 1992 si inaugurava il processo di aziendalizzazione del SSN e soprattutto la “dirigenza” acquisiva una
particolare enfasi anche nel mondo sanitario non era possibile prevedere gli attuali
problemi di grave recessione e di riduzione
delle disponibilità per il pubblico impiego
e per la sanità pubblica. La precedente organizzazione piramidale e gerarchica
stava per essere “demolita” in vista di un
processo di corresponsabilizzazione collettiva dei sanitari diventati tutti dirigenti,
quindi professionisti autonomi nelle personali decisioni operative durante le attività istituzionali loro affidate.
Si trattò di una prospettiva entusiasmante,
portatrice di una svolta culturale e professionale storica. Ma non sempre le leopardiane «magnifiche sorti e progressive»
trascinano automaticamente e con la dovuta convinzione verso nuovi abiti culturali, specialmente se si tratta di esercitare
autonomia professionale e assumere responsabilità giuridicamente rilevante.
Quel grande cambiamento è stato utile ai
fini contrattuali e al fine di «mettere a
tutta la dirigenza il bastone del comando
nello zaino». Ma tutto questo ha progressivamente perso valore, perché il lavoro in sanità segue strade che non
vengono segnate dai decreti e spesso ciò
che cambia nome non cambia in realtà
natura e modo di essere.
La Dirigenza, anche dopo le riforme del
1992, si articolava in due distinti livelli (I
e II) che, pur lasciando sufficienti spazi di
autonomia professionale per i singoli,
manteneva di fatto ferma la differenza di
responsabilità col Direttore di Struttura
(II livello) che a tutti gli effetti assumeva
su di sé il peso maggiore delle responsabilità correlate agli aspetti organizzativi
e gestionali. Questo tipo di gerarchia riproduceva di fatto il modello con un
“capo” contornato da una schiera di collaboratori più o meno indipendenti. Ben
presto, però, si giunge alla vera svolta che
avrebbe dovuto risolvere ogni problema,
in particolare quello dei medici non apicali/primari che smaniavano di ottenere
la piena autonomia clinica.
Nel 2000 il livello dirigenziale diviene
quindi unico e ciò che differenzia i medici
e i veterinari sono il contratto individuale
e gli incarichi assegnati a ogni singolo dirigente. Divisioni e Servizi, articolati gerarchicamente, avrebbero dovuto diventare
per decreto vere e proprie équipe democratiche e paritetiche. Ma qui inizia il problema dell’attribuzione delle responsabilità
e dello svolgimento del lavoro di base.
Il Direttore di servizio o struttura complessa diventa un coordinatore incaricato
di lavorare per obiettivi, organizzare
l’Unità operativa per linee di attività, stimolare e motivare il gruppo, valutare ed
esaltare le attitudini individuali nel rispetto della massima autonomia professionale di ciascuno.
In sintesi il suo compito è armonizzare le
attività attraverso una “programmazione” adeguata alle reali esigenze gestionali e ai veri bisogni dell’utenza. Nasce
così la necessità di definire e concordare
con la direzione strategica il
cosiddetto budget. Con questo passaggio
si determina la necessità di un confronto
tra direzione strategica e unità operative
per una valutazione obiettiva delle risorse
necessarie a attivare le linee di attività e
volumi prestazionali da garantire nelle
diverse strutture.
Questa valutazione avrebbe dovuto anche
essere preliminare alla definizione, condivisa e programmata, delle risorse strutturali e di personale da assegnare alle singole
unità operative. Un sistema così concepito
doveva, quindi, fondarsi su organici ade-
Numero 1/2015
guati costituiti da personale specialista, assolutamente ben formato ed esperto, in
grado di affrontare adeguatamente l’impegno richiestogli dal SSN sin dal momento del primo ingresso in servizio.
L’accesso al SSN, regolamentato dalla normativa concorsuale dei decreti 483/97 e
484/97, tiene infatti conto di tutto questo.
Tutto questo però non tiene conto dei diversi percorsi formativi specializzanti che,
per quanto riguarda i veterinari, non
hanno la copertura delle borse di studio invece attive per i medici, non tiene conto
della necessità di una formazione specialistica adeguata alle innovazioni dei sistemi
agro-zootecnico-alimentari, adeguata a gestire le novità e le criticità epidemiologiche
emergenti delle patologie infettive globali,
o delle sensibilità etiche verso il benessere
animale, né delle complesse innovazioni
giuridiche di origine nazionale ed europea.
Qualcosa di nuovo, però, si sta purtroppo profilando. Nell’ambito della discussione sull’ex articolo 22 del Patto
della Salute, il Governo, in una prima
bozza, aveva previsto che al SSN si potesse accedere direttamente anche senza
specializzazione con il solo possesso,
quindi, del diploma di laurea e abilitazione, ma con un trattamento economico
inferiore e senza qualifica dirigenziale.
In una bozza successiva, è stata cassata
questa possibilità del “doppio canale” di
accesso (con e senza specializzazione)
prevedendo un nuovo iter per le specializzazioni con creazione di reti regionali
formative ospedale/università e realizzazione di un nuovo contratto di formazione e lavoro a partire dall’ultimo anno
di specializzazione. Inutile sottolineare
che verrebbe necessariamente cambiata
anche la normativa di accesso alla dirigenza che, come ricordato, è regolamentata dai Decreti 483/97 e 484/97.
Le Regioni ripropongono il doppio canale d’accesso con inquadramento non
dirigenziale e con percorsi di carriera e livelli retributivi determinati dai CCNL.
Tutte queste novità, però, riguarderebbero solo i medici.
Dimenticanza o esclusione voluta? Nonostante due nostre richieste inviate al
Ministro della Salute, al Ministro dell’Istruzione, alle Regioni e alle Direzioni
generali non ci è dato di sapere. O me-
glio: ci è stato fatto intendere che i veterinari avranno un loro provvedimento
specifico, insieme ad altre professioni dirigenziali non mediche. In ogni caso,
nella considerazione che ciò che è stato
previsto per i medici dovrà concettualmente essere esteso anche ai medici veterinari è necessario elaborare la nostra
posizione su una problematica che è di
importanza decisiva per il futuro della
nostra professione all’interno del SSN.
Si tratta in primo luogo di non subire
una reformatio in peius, ma anche di non
resistere arroccati su qualche posizione
ormai antistorica.
Il doppio canale ci rimanda a una dirigenza veterinaria più esigua, riservata
esclusivamente ai responsabili di struttura? Conservando il modello attuale,
ma dopo i massicci pensionamenti che la
gobba generazionale ci consegnerà nei
prossimi 5-10 anni pensiamo di ristabilire i numeri dell’attuale dirigenza o aumenteranno a dismisura i tecnici della
prevenzione mentre i colleghi veterinari
perderanno la possibilità di essere assunti
da semplici laureati, e molto probabilmente anche da laureati specializzati?
Difendere il modello attuale con dipendenti solo veterinari specializzati si basa
su un’idea qualitativa e anche quantitativa degli organici veterinari futuri?
Aprire una riflessione su questo tema è di
rilevanza storica, come lo furono altre
che abbiamo affrontato in questi decenni. Non si tratta di demonizzare semplicisticamente e sbrigativamente questo
o quel modello. Si tratta di cogliere le
possibilità e governare il cambiamento
con intelligenza professionale e sindacale.
Quello che viene confusamente prospettato rappresenta plasticamente una delle
tante facce della crisi del sistema.
L’assunzione di veterinari non specializzati
da collocare in un limbo normo-economico dal quale forse mai potranno uscire
per approdare alla dirigenza ci pone ovviamente degli interrogativi. È meglio un servizio veterinario popolato da molti
veterinari di base con uno stipendio inferiore a quello della dirigenza, ma comunque a tempo indeterminato e con la
prospettiva di reintegrare i ranghi della dirigenza o è meglio rinunciare da subito a
questi posti di lavoro per mantenere solo
le figure dirigenziali e sbolognare il lavoro
di base ai tecnici della prevenzione? Non
dimentichiamo che i veterinari sono professionisti della prevenzione mentre i tecnici sono prevalentemente operatori della
repressione. Oppure accettare, più o meno
dichiaratamente, una composizione dei
servizi in cui la Veterinaria dirigente si restringe a favore della Veterinaria convenzionata che eroga prestazioni specialistiche,
ma mantiene una identità libero professionale a tempo indeterminato?
Occorrerà fare anche valutazioni di opportunità sindacale e di rappresentatività
in sede contrattuale. È infatti da definire
se i veterinari non dirigenti possano costituire rappresentatività per le sigle sindacali dei dirigenti o miste, se il nuovo
contratto che si dovrà fare li contemplerà
o meno, se il CCNQ delle prerogative
sindacali della dirigenza si possa applicare per contiguità anche a loro ecc..
Gli attori sulla scena sono molti, ma
poco attivi e spesso ondivaghi. Ministero della Salute e Università tardano
a creare corsi di specializzazione in cui
siano attivate in convenzione borse di
studio come quelle dei medici e convenzioni con i servizi veterinari e con gli
IZS per specializzare i veterinari con robuste esperienze sul campo.
Il Ministero della salute non apre un tavolo di confronto sul futuro della nostra
professione e, forse, ci riserva una coda
applicativa di criteri decisi per i medici.
Le regioni sembrano interessate solo a risparmiare abbassando il costo delle prestazioni, quindi ad abbassare il livello
degli operatori che devono produrle.
Nonostante il problema del turn-over
professionale dei servizi del SSN sia all’ordine del giorno, la medicina veterinaria, nelle diverse istituzioni, è in grande
difficoltà e non ha ancora provato a darsi
un progetto di innovazione e potenziamento sia a livello centrale che periferico.
Si tratta quindi di assumere un ruolo proattivo, non solo per offrire uno sbocco lavorativo e professionale ai giovani
colleghi, ma anche per garantire l’ingresso
nel SSN a giovani veterinari adeguatamente formati e le condizioni perché possano essere specializzati per assolvere il
compito sempre più delicato e complesso
di tutela della salute umana e animale.
5
Numero 1/2015
COSMeD
Prosegue l'impegno
per la difesa della dirigenza
Rinnovate le cariche direttive,
Giorgio Cavallero il nuovo
segretario generale
L
a Confederazione Sindacale Medici e Dirigenti (COSMeD) ha
rinnovato le cariche statutarie
per il triennio 2015-2017, dopo aver
visto ampliare, durante il precedente
mandato del Segretario generale Costantino Troise, la propria rappresentatività fino a raggiungere il massimo
livello dalla sua costituzione con le
nuove adesioni di Aaroi–Emac, Fedir
Sanità e Direr.
La COSMeD costituisce attualmente la
principale Confederazione sindacale
della dirigenza del pubblico impiego,
alla quale aderiscono:
• ANAAO ASSOMED (Area III e IV)
• AAROI-EMAC (Area IV)
• FVM (Area IV)
• FEDIR SANITÀ (Area III)
• ANMI ASSOMED SIVEMP FPM
(Area I e VI)
• DIRER (Area II)
• S.I.Dir.S.S. (Area III)
Con circa 33.000 iscritti, certificati
dall’Aran, COSMeD rappresenta il
32,31% di tutta la dirigenza pubblica
sindacalizzata, e il 37,17% se si considerano le confederazioni rappresentative, staccando nettamente le altre
confederazioni della dirigenza, compreso CGIL, CISL e UIL i cui iscritti
all’ultima rilevazione erano in totale
pari a circa 29.000 aderenti.
COSMeD, attraverso i nuovi organismi
statutari, intende:
- riaffermare la necessità di una forte
valorizzazione della dirigenza pubblica, indispensabile per il rilancio
del Paese e componente fondamentale per la qualità dei servizi resi al
cittadino;
- ribadire il proprio impegno per perseguire l’indipendenza e l’autonomia
della dirigenza pubblica dal potere politico, requisito necessario per una
pubblica amministrazione credibile,
competente e trasparente;
- respingere politiche di ridimensionamento dei servizi pubblici che portano
inesorabilmente alla riduzione dei diritti fondamentali del cittadino, costituzionalmente garantiti.
Il nuovo organigramma
Segretario generale: Giorgio Cavallero
Segretari generali aggiunti: Aldo Grasselli, Giulio Liberatore, Alberto Spanò,
Alessandro Vergallo
Segretario organizzativo: Franco Socci
Tesoriere: Mario Facchetti
6
Numero 1/2015
LEGGE DI STABILITÀ
Novità per la contrattazione
aziendale
Pierluigi Ugolini, Mauro Gnaccarini*
Sbloccate alcune voci
L
a Legge di stabilità 2015 (Legge
190/2014) determina lo sblocco parziale di alcuni vincoli, consentendo il
superamento di alcune gravi criticità da
sempre stigmatizzate anche dalla nostra
organizzazione; in estrema sintesi consente nuovamente la gestione dei fondi
contrattuali, rendendo possibile intervenire sui medesimi anche aumentando i valori degli incarichi dirigenziali e delle
complessive retribuzioni individuali.
I commi 254, 255 e 256 dell’art. 1 della
Legge di stabilità 2015 prorogano l’efficacia di alcune norme del DL 78/2010
(conv. L. 122/2010) solo limitatamente ad
alcuni punti.
Se da un lato rimangono congelati i rinnovi contrattuali (comunque con l’esclusione della parte normativa), fatta salva
l’erogazione della indennità di vacanza
contrattuale nelle misure previste a decorrere dall’anno 2010 (articolo 2, comma
35, legge 22 dicembre 2008 n. 203), ma
senza alcuna possibile implementazione
per gli anni successivi, fatta salva altresì la
disciplina parzialmente diversa per il personale non contrattualizzato in regime di
diritto pubblico di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165,
per quanto riguarda in particolare il personale del SSN ogni precedente “blocco”
non espressamente prorogato è da considerare, dal 1° gennaio 2015, libero da ulteriori vincoli. Rimane tuttavia ferma
anche la disciplina inerente la decurtazione
annuale, proporzionale al personale cessato, delle risorse destinate al trattamento
accessorio (già prorogata sine die -!!- dalla
Legge 147/2013 art. 1 comma 456), ma la
cui interpretazione fornita dal MEF continua a trovare la nostra ferma opposi-
zione per la parte che vorrebbe includere
nei trattamenti accessori anche quelle voci
che, pur gravanti sul fondo di posizione,
sono invece da annoverare chiaramente
nel trattamento fondamentale. Quanto
alle voci “svincolate”, si tratta di diverse
materie regolate dall’art. 9 del citato DL
78/2010 e successive modificazioni (di cui,
in particolare, al DPR 122/2013 e alla
Legge 147/2013) e precisamente:
- tetto del trattamento ordinariamente
spettante al dipendente, finora bloccato a
quello del 2010 (comma 1);
- definizione del trattamento economico
complessivo del dirigente rispetto al predecessore (comma 2);
- ammontare dei fondi per il trattamento
accessorio (comma 2-bis);
- progressioni di carriera comunque denominate (comma 21, quarto periodo - per
il personale contrattualizzato).
Uno fra gli effetti più attesi è, in specie,
lo sblocco del riconoscimento, pure
economico, con decorrenza 1/1/2015,
della superiore fascia dell’indennità di
esclusività per coloro i quali abbiano
maturato non solo i 5 anni, ma anche i
15 anni di esperienza professionale.
Un altro e non secondario aspetto è la
possibilità di poter rivalutare, anche a
invarianza di incarico e in caso di disponibilità economica dei fondi, la retribuzione di posizione aziendale.
La palla passa ora ai livelli territoriali, che
potranno finalmente e con maggiore efficacia riprendere relazioni sindacali in cui
i precedenti vincoli economici possano finalmente essere considerati superati dalla
nuova impostazione della norma.
*Segreteria Nazionale
7
Numero 1/2015
DPCM PRECARI
Raggiunta l’intesa
Pierluigi Ugolini*
Indicazioni e
riflessioni a margine
8
D
opo oltre un anno di gestazione
ha finalmente visto la luce il
DPCM che disciplina le procedure di accesso del personale precario
alle procedure selettive utili alla stabilizzazione del personale precario in sanità.
I punti salienti prevedono:
- la possibilità di proroga dei contratti a
tempo determinato fino al 31/12/ 2018;
- la data ultima per bandire tali procedure
concorsuali riservate è il 31/12/2018;
- la riserva dei posti del 50% a chi sia
stato titolare, anche con contratti diversi, di contratti a tempo determinato
per almeno un triennio nel quinquennio
fino al 30/10/2013, nel medesimo ambito regionale, ma anche presso enti diversi da quello che indirà la procedura;
- la possibilità per le Regioni in piano
di rientro di derogare al blocco del turnover per una quota pari al 15% e la
conseguente possibilità anche in questo
caso di attivare le procedure di selezione con riserva del 50% dei posti, a
condizione che sia certificato dai competenti tavoli tecnici il rispetto anche
parziale degli obiettivi previsti dai piani
di rientro. Tale deroga verrà rilasciata
previo apposito decreto emanato di
concerto da Ministero dell’Economia,
Ministero della Salute e Ministero per
gli affari regionali.
Il DPCM si applica anche al personale
che opera nella ricerca, con le medesime
modalità e scadenze. In questo ambito
il possesso del titolo di dottorato di ricerca è equiparato alla specializzazione,
ai fini dell’accesso.
Infine si applica e in questo caso sancisce l’equipollenza tra lavoro prestato e
diploma di specializzazione, ai medici
che operano nella rete di emergenza urgenza; inoltre, il titolo lavorativo di cinque anni consecutivi (fatti salvi i
periodo di interruzione previsti dal DL
368/2001) è equiparato al possesso del
titolo di specializzazione in medicina e
chirurgia d’accettazione e d’urgenza.
Nulla è previsto invece per la molto più
ampia platea di precari c.d. “atipici” titolari di contratti di altro genere.
Il commento del segretario Nazionale,
dott. Aldo Grasselli :
«In un Paese nel quale spesso non c’è
nulla di più stabile della precarietà dei
lavoratori, l’Intesa raggiunta in Conferenza Stato-Regioni sullo schema di
DPCM predisposto dal ministro della
Salute, Beatrice Lorenzin, con cui si dà
una prima risposta alla stabilizzazione
dei migliaia di precari del Servizio sanitario nazionale, non può che essere accolta come una notizia positiva. Si
tratta di un primo passo in avanti al
quale devono seguirne altri. Verificheremo se nel corso della sua applicazione
concreta si tratterà di una inversione di
tendenza o di un provvedimento tampone che perderebbe ogni efficacia
senza lo sblocco del turnover. Siamo
alla vigilia di un esodo di grandi proporzioni, dalla sanità pubblica nei prossimi anni uscirà un numero molto
rilevante di dirigenti che erano stati fermati dalla riforma Fornero.
Il testo sul quale è stata raggiunta l’Intesa è un primo step, ma non basta.
Le forme di precariato sono peraltro
molteplici e non tutte considerate nel
provvedimento in oggetto. Non solo. Il
Numero 1/2015
pensionamento della coorte
più affollata di medici, veterinari e dirigenti sanitari pubblici riproporrà a breve il
problema della sostenibilità dei
Livelli Essenziali di Assistenza
(LEA). Attendiamo dal Governo un passo avanti anche
per affrontare questa emergenza generazionale».
Parallelamente all’emanazione
del decreto tuttavia, prosegue
l’azione di tutela dei colleghi. Il
nostro ufficio legale sta, infatti,
valutando quali siano le ulteriori azioni esperibili. Di seguito
l’informativa presente anche sul
nostro sito cui rimandiamo per
l’eventuale aggiornamento delle
relative indicazioni.
«L’ormai nota Sentenza della
Corte di Giustizia Europea del
26 novembre 2014 ha ingenerato molte aspettative in tutti i
precari delle pubbliche amministrazioni, ivi compreso il
SSN, non ultimo nei dirigenti
medici e veterinari; aspettative
che hanno trovato massima attenzione da parte del SIVeMP
così come da parte di numerose altre OO.SS. di categoria.
L’Ufficio legale del SIVeMP, in
accordo con la Segreteria nazionale e con
l’ausilio dei nostri legali, ha tuttavia ritenuto prudente svolgere una più attenta disamina della problematica, considerate le
non poche variabili che quasi subito sono
emerse quali ragionevoli elementi di dubbio rispetto alle possibili azioni validamente esperibili in sede giurisdizionale.
Già il 4 dicembre 2014 su il Sole 24
Ore Sanità compariva un’articolata riflessione di Stefano Simonetti la quale
poneva dubbi, la cui fondatezza è stata
confermata anche dai nostri legali, circa
la possibilità, per i pubblici dipendenti
precari, ivi compresi quelli del SSN, di
ottenere l’auspicata “stabilizzazione”
per via giudiziaria, seppure molti possano vantare periodi di “precariato
continuativo” ben superiore ai 36 mesi.
I nostri legali evidenziano in proposito
come, allo stato, risulti difficilmente superabile il vincolo costituzionale (art.
97 comma 3) che, “tradotto” anche nel
D.Lgs. 165/2001 art. 36 comma 5, impedisce l’accesso a tempo indeterminato
nei ruoli della P.A. per via diversa da
quella del pubblico concorso; impedimento che, in quanto “costituzionale”,
seppure “contraddetto in via generale”
dal legislatore con il D.lgs. 368/2001,
ben difficilmente potrebbe essere disatteso in sede giurisdizionale, nonostante
anche il l’orientamento del legislatore e
del Giudice dell’Unione Europea, per
noi chiaramente condivisibile, oltre che
conforme ai menzionati principi generali sanciti dal nostro legislatore.
Sicché, in detta sede giurisdizionale, i veterinari dirigenti e specialisti ambulatoriali (la posizione affermata dalla CGE
tenderebbe ad escludere, per quanto ci
riguarda, i rapporti di lavoro di altra tipologia) che abbiano subito ovvero
stiano subendo situazioni di “illegittimo
precariato” (rapporti di lavoro
a tempo determinato protratti
per oltre 36 mesi continuativi),
ferme restando le ulteriori considerazioni proposte dal succitato articolo, relative specificamente - al personale
sanitario, per quanto applicabili alla dirigenza, non potrebbero chiedere, con sufficienti
prospettive di successo, alcuna
“stabilizzazione”; potrebbe invece essere a buon titolo vantato, da parte dei citati soggetti,
fermi i termini prescrizionali
decennali, il risarcimento del
danno (morale, esistenziale,
per perdita di chance).
Non ultimo, ma previo
esame individuale di ciascuna situazione, poiché la
Corte europea ha individuato come specificamente
risarcibile il danno derivante
dalla mancata maturazione
di scatti di anzianità ovvero
istituti assimilabili, i nostri
legali ritengono comunque
possibile lamentare, per le situazioni di “lungo precariato”, anche la mancata
maturazione dello scatto
quinquennale dell’indennità
di esclusività e la correlata retribuzione dello stesso che, pure nel cosiddetto periodo di “blocco stipendiale”,
non poteva essere negata.
Alla luce di quanto sopra, i colleghi veterinari interessati ad avviare azioni legali, trovandosi in possesso dei succitati
requisiti, possono rappresentare, entro
il 31 marzo p.v., la propria posizione e
il correlato interesse a mezzo e-mail all’indirizzo [email protected] .
Soltanto dopo che sia stato acclarato
il numero degli interessati e, da parte
dei nostri legali, sia stata verificata la
sussistenza di una concreta e valida legittimazione ad agire in capo a ciascuno, risulterà definibile la misura
del sostegno che il Sindacato potrà offrire, nel massimo possibile, agli
iscritti danneggiati».
*Segreteria Nazionale
9
Numero 1/2015
DIPARTIMENTI DI PREVENZIONE
La Regione Liguria ristabilisce
le 3 UO distinte dei servizi
veterinari
Aldo Grasselli
Si è finalmente aperta
una rivalutazione complessiva
dell’impostazione strutturale
e organizzativa
10
C
on la delibera 865 del 29 dicembre 2014, l’ASL 3 “Genovese”
della Regione Liguria aveva bandito un avviso per incaricare un responsabile della struttura complessa
denominata “Sicurezza alimentare”.
Tale deliberazione, nelle motivazioni,
aveva anche prefigurato l’unificazione del
Sian con il servizio veterinario di Igiene
degli alimenti di origine animale. Evidentemente non si era chiusa una controversia sull’organizzazione dei Dipartimenti
di Prevenzione Liguri e questo nuovo atto
ha nuovamente costretto il SIVeMP a
prendere una decisa posizione contro un
progetto lesivo, irrazionale e incoerente
con le norme generali in materia.
La Regione, opportunamente sollecitata
ha valutato giuste le nostre richieste e
ha ristabilito un quadro di legittimità richiamando quanto il Parlamento ha ribadito in merito all’articolazione
essenziale dei Dipartimenti di Prevenzione, elencandone distintamente - lettera per lettera - ogni struttura e
distinguendo per ciascuna l’esclusivo e
non “interpretabile” profilo disciplinare.
La normativa statale sopravvenuta, con la
Legge di Stabilità 2015 del 23 dicembre
2014 n. 190 - che è di rango superiore a
qualsiasi altra norma salva la Costituzione
- non ha fatto che ribadire nell’art. 1
comma 582 l’autonomia delle diverse discipline che animano professionalmente i
Dipartimenti di Prevenzione e la loro distinta articolazione strutturale.
La logica che sostiene la nuova norma di cui siamo stati forti sostenitori sia come
FVM sia come Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva insieme alla
SItI - ribadisce quali sono le strutture
(semplici o complesse a seconda delle dimensioni dei processi prestazionali e degli
output) in cui operano medici o veterinari
(e biologi e chimici per i Servizi di Igiene
degli Alimenti e della Nutrizione).
A queste strutture si accede per specifici
concorsi banditi per specifiche e non
fungibili discipline, e di conseguenza se
ne può affidare la responsabilità gestionale solo rispettando l’autonomia di
ciascuna specifica disciplina. È il Dipartimento, infatti, l’unica sede dell’integrazione professionale delle strutture
che lo compongono.
Pertanto il Bando della ASL 3 Genovese per la direzione della struttura
complessa “Sicurezza alimentare”, è
stato dal SIVeMP denunciato per essere apertamente illegittimo, e non
solo perché riservava l’incarico esclusivamente ai medici specialisti in
“Igiene degli alimenti e della nutrizione” quando tale incarico può essere
ricoperto anche dai biologi e chimici
con analoga specializzazione (vedasi il
DPR 484/97) i quali non possono essere estromessi aprioristicamente, ma
soprattutto perché annichiliva la professionalità e l’autonomia dei veterinari che devono avere strutture
indipendenti per assicurate l’igiene
degli alimenti di origine animale.
Numero 1/2015
La Regione Liguria con la disposizione
dell’Assessorato qui riprodotta ha indotto la ASL3 Genovese a ritirare la delibera in cui bandiva il concorso per la
direzione della struttura complessa “sicurezza alimentare” ed eventualmente
a riformularla per incaricare un direttore di struttura complessa di “Igiene
degli alimenti e della nutrizione”.
Proprio le Regioni hanno difeso la letterale originaria stesura del comma
582, che era stata adottata nel Patto
della salute sottoscritto con il Governo,
dai diversi emendamenti che in Commissione Sanità e Affari Sociali sono
stati presentati ripetutamente. Stesura
che oggi è riportata integralmente dalla
Legge di stabilità e che le Regioni devono - ora - rispettare letteralmente,
salvo non abbiano previsto organizzazioni dipartimentali più evolute come
nelle Regioni Lombardia e Sicilia.
Oggetto: Dipartimenti di Prevenzione delle AA.SS,LL del Servizio
Sanitario Regionale. Nuove disposizioni ex art, 1,
comma 582, della Legge 23 dicembre 2014, n, 190
("Legge di stabilità 2015").
La Legge 23 dicembre 2014, n, 190 ("legge di stabilità
2015"), pubblicata sulla G.U. n. 300 del 29.12.2014 - Suppl.
Ordinario n. 99 - e vigente dal 01.01.2015, ha previsto alcune disposizioni di portata innovativa riguardanti i Dipartimenti di Prevenzione, che assumono particolare rilievo in
questa sede e che si ritiene, pertanto, opportuno condividere con le Aziende in indirizzo.
La Regione Liguria, in data 3 marzo
2015, con un provvedimento legislativo
ha ristabilito che le strutture operative
veterinarie dei dipartimenti di prevenzione siano nuovamente tre: Sanità animale; Igiene degli allevamenti e delle
produzioni zootecniche e Igiene della
produzione, trasformazione, commercializzazione, conservazione e trasporto
degli alimenti di origine animale e loro
derivati.
Genova, 19 gennaio 2015
Prot. n. PG/2015/8199
Ai Signori Direttori Generali
ASL 1 Imperiese
ASL 2 Savonese
ASL 3 Genovese
ASL 4 Chiavarese
ASL 5 Spezzino
LORO SEDI
La Legge 23 dicembre 2014, n, 190 ("legge di stabilità 2015"), pubblicata sulla G.U. n. 300 del 29.12.2014 - Suppl. Ordinario n.
99 - e vigente dal 01.01.2015, ha previsto alcune disposizioni di portata innovativa riguardanti i Dipartimenti di Prevenzione, che
assumono particolare rilievo in questa sede e che si ritiene, pertanto, opportuno condividere con le Aziende in indirizzo.
In particolare, l’art. 1 comma 582, delle citata Legge n. 190/2014, ha previsto testualmente quanto segue:
“Dopo il comma 4 dell'articolo 7-quater del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, sono
inseriti i seguenti:
«4-bis. L'articolazione delle aree dipartimentali nelle strutture organizzative di cui al comma 2 rappresenta il livello di organizzazione che le regioni assicurano per garantire l'esercizio delle funzioni comprese nei livelli essenziali di assistenza, nonché
l'osservanza degli obblighi previsti dall'ordinamento dell'Unione europea.
4-ter. Le regioni assicurano che le strutture organizzative di cui alle lettere b), d), e) e f) del comma 2 siano dotate di personale
adeguato, per numero e qualifica, a garantire le finalità di cui al comma 4-bis, nonché l'adempimento degli obblighi derivanti
dall'ordinamento dell'Unione europea in materia di controlli ufficiali, previsti dal regolamento (CE) n. 882/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004.
4-quater. Le strutture organizzative di cui al comma 2 sono possibilmente individuate quali strutture complesse».
All'attuazione delle disposizioni di cui al presente comma in materia di personale si provvede nel rispetto dei vincoli di spesa
previsti dalla legislazione vigente e, per le regioni sottoposte ai piani di rientro, anche nel rispetto di quelli fissati in materia
da tali piani nonché dei vigenti parametri standard per la definizione delle strutture complesse e semplici”.
Il comma 2 dell'art. 7 quater (rubricato “Organizzazione del dipartimento di prevenzione”) del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502',
già disponeva espressamente che:
“Le regioni disciplinano l'articolazione delle aree dipartimentali di sanità pubblica, della tutela della salute negli ambienti di
lavoro e della sanità pubblica veterinaria, prevedendo strutture organizzative specificamente dedicate a:
11
Numero 1/2015
a) igiene e sanità pubblica;
b) igiene degli alimenti e della nutrizione;
c) prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro;
d) sanità animale;
e) igiene della produzione, trasformazione, commercializzazione, conservazione e trasporto degli alimenti di origine animale
e loro derivati;
f) igiene degli allevamenti e delle produzioni zootecniche”.
A ben vedere la "Legge dì stabilità 2015" ha, quindi, configurato una corrispondenza biunivoca tra strutture e profilo disciplinare,
tra l’altro con specifico riguardo alla struttura "Igiene degli alimenti e della nutrizione, sanità animale, igiene della produzione, trasformazione, commercializzazione, conservazione e trasporto degli alimenti di origine animale e loro derivati" (di cui alla summenzionata lettera e) ed "igiene degli allevamenti e delle produzioni zootecniche" (di cui alla summenzionata lettera f).
Orbene, alla luce dello ius superveniens generato dalla "Legge di stabilita 2015", secondo quanto sin qui esposto, l'Ente Regione
intende procedere quanto prima:
a) ad una rivisitazione delle proprie direttive emanate a suo tempo (D.G.R. n. 809 del 08. 07.2011 e D.G.R. n.1440 del
25.11.2011) con le quali, tra le altre cose, si optava per l'unificazione delle funzioni di riferimento in un'unica struttura di
"Igiene degli alimenti e della nutrizione e igiene della produzione, trasformazione, commercializzazione, conservazione e
trasporto degli alimenti di origine animale e loro derivati",
b) alla concomitante modifica del vigente art. 43 della L.R. n. 41/2006 (ipotizzando in quella sede apposita clausola di salvaguardia rispetto agli incarichi medio tempore conferiti, stabilendo in proposito che le nuove disposizioni si applichino,
per tali fattispecie, alla scadenza dei contratti Individuali).
II quadro normativo sin qui delineato, infatti, non lascia spazio a interpretazione rispetto alle necessità di dover prevedere che:
a) le due strutture sopra citate siano separate; .
b) la titolarità dell'incarico sia conferita esclusivamente a coloro che risultino dotati, per ciascuna struttura, dello specifico
e corrispondente profilo disciplinare.
Orbene, in ragione di quanto sin qui esposto, e tenuto conto, altresì, che in relazione a specifiche delibere di alcune Aziende risultano pendenti ricorsi innanzi al competente organo giurisdizionale amministrativo (la discussione dei quali potrebbe profilarsi
nel breve periodo), si invitano tutte le Aziende in indirizzo, nelle more della rivisitazione delle disposizioni normative da parte dell'ente Regione, come sopra prospettate, ad adottare gli opportuni provvedimenti, in regime di autotutela, in ordine ad eventuali
procedure concorsuali già bandite che presentino difformità rispetto al nuovo quadro normativo, in attesa dell'emanazione delle
necessarie determinazioni regionali sulla materie di cui si verte.
È appena il caso di evidenziare che l'esigenza di agire in autotutela si ravvisa specialmente qualora l'Azienda abbia già emanato
eventuali bandi per il conferimento di incarichi di strutture, posto che la nuova disciplina nazionale, cosi come risultante dalla
prefata "legge di stabilità" non solo - come detto - è: vigente dal 01.01.2015, ma riconferma equiparazioni con analoghe specializzazioni previste da altre norme (ad esempio, dal D.P.R. n. 484/97), la cui violazione potrebbe viziare gli atti ed i provvedimenti già
posti in essere.
Infine, si rappresenta che, per quanto concerne la previsione del novellato comma 4-quater dell’art. 7-quater del D.Lgs. n.
502/1992, inserito dal comma 582 dell'art. 1 della L 190/2014, in premessa richiamato, questa Amministrazione provvederà ad
emanare quanto prima opportune direttive circa le modalità di graduazione e qualificazione delle posizioni dirigenziali afferenti
alle strutture organizzative ivi contemplate.
Confidando nella piena condivisione ed osservanza dei contenuti della presente, è gradita l'occasione per porgere i migliori saluti.
Il Direttore Generale
Dipartimento Salute e Servizi Sociali
12
Il Direttore Generale
Agenzia Sanitaria Regionale
Numero 1/2015
PENSIONAMENTO DEI PUBBLICI DIPENDENTI
Circolare Madia 2/2015
Giuseppe Torzi*
Si promuove il ricambio
e il ringiovanimento
del personale della P.A.
I
l Dipartimento della Funzione
Pubblica ha pubblicato la circolare n. 2/2015 relativa alla “Soppressione del trattenimento in
servizio e modifica della disciplina
della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro”.
L’intervento legislativo è volto a favorire il ricambio e il ringiovanimento
del personale nelle pubbliche amministrazioni.
Con l’entrata in vigore delle recenti
modifiche il sistema prevede la risoluzione del rapporto di lavoro: obbligatoria, per coloro che hanno
maturato i requisiti per la pensione di
vecchiaia ovvero il diritto alla pensione anticipata, avendo raggiunto
l’età limite ordinamentale; rimessa
alla determinazione dell’amministrazione, per coloro che hanno maturato
il diritto alla pensione anticipata secondo i requisiti della legge Fornero,
aggiornati con l’adeguamento alla
speranza di vita, e senza penalizzazione della pensione.
La normativa tuttavia non coinvolge
il trattenimento dei dirigenti medici e
del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale previsto dall’articolo
22 della Legge 183/2010 (il c.d. collegato lavoro) in quanto viene riconosciuta la specialità di tale normativa
rispetto alla disciplina generale.
La norma citata individua il limite
massimo di età per il collocamento a
riposo di questi soggetti, inclusi i responsabili di struttura complessa, al
compimento del sessantacinquesimo
anno di età, ovvero, su istanza del-
l’interessato, al maturare del quarantesimo anno di servizio effettivo, in
ogni caso con il limite massimo di
permanenza del settantesimo anno
di età.
Continua quindi a valere per tutti i
dirigenti medici e del ruolo sanitario
(dirigenti delle professioni sanitarie
infermieristiche, tecniche della riabilitazione, della prevenzione e della
professione di ostetrica) la possibilità,
previa istanza, di permanere in servizio oltre i sessantacinque anni di età
per raggiungere i 40 anni di servizio
effettivo, purché non sia superato il
limite dei 70 anni di età. La Circolare
ricorda che l’amministrazione potrà
accordare tale prosecuzione a patto
che la permanenza in servizio non dia
luogo a un aumento del numero dei
dirigenti.
È utile ricordare che nella nozione di
servizio effettivo sono da ricomprendere tutte le attività lavorative effettivamente rese sia nei confronti
dell’amministrazione di appartenenza
sia nei confronti dello Stato (quindi
con l’inclusione della contribuzione
derivante dal servizio militare).
Esclusi invece gli anni valorizzati attraverso il riscatto degli studi.
I Limiti. Salvo che si tratti di dirigente
di struttura complessa (cioè il primario)
la volontà del dirigente di proseguire il
rapporto di lavoro fino al quarantesimo
anno di servizio effettivo e oltre il sessantacinquesimo anno di età può tuttavia trovare un limite nell’esigenza
dell’amministrazione di risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro una
13
Numero 1/2015
volta maturati i nuovi requisiti contributivi per l’accesso alla pensione anticipata (42 anni e 6 mesi gli uomini e 41
ani e 6 mesi le donne), purché dopo il
compimento del sessantacinquesimo
anno di età.
In pratica questi medici possono comunque presentare istanza di proseguire il rapporto di lavoro fino al
compimento del quarantesimo anno
di servizio effettivo (sempre che tale
prosecuzione non comporti un aumento del numero dei dirigenti) ai
sensi dell’articolo 15-nonies del citato decreto legislativo n. 502 (che riguarda i “dirigenti medici e del ruolo
sanitario del Servizio sanitario nazionale, ivi compresi i responsabili di
struttura complessa”).
L’amministrazione potrà tuttavia non
accogliere l’istanza stessa ove decida
di procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro, anche in relazione ai
criteri adottati per l’utilizzo della risoluzione unilaterale del rapporto di
lavoro, tenendo presenti le esigenze
organizzative e funzionali e rispettando la parità di trattamento, anche
per evitare l’indebita lesione dell’affidamento degli interessati.
Archiviato il Jobs Act, come promesso anche dal Ministro Poletti,
l’esecutivo finalmente metterà mano
al cantiere della previdenza. Flessibilità è la parola chiave: obiettivo primario, almeno nelle intenzioni, è
concedere il pensionamento anticipato ai lavoratori prossimi a maturare i requisiti.
Sono tanti che purtroppo sono rimasti disoccupati in età avanzata o che,
dopo tanti anni di lavoro, auspicano
di godersi la pensione. Quota 100,
pensione flessibile e prestito pensionistico sono le tre ipotesi più gettonate.
Quota 100
Il presidente della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati Cesare Damiano ha chiesto all’esecutivo
un tavolo per dibattere di pensioni:
probabile che voglia portarvi la
quota 100, la sua proposta di consentire il pensionamento già a partire da
60 anni con 40 anni di contributi. Ciò
allenterebbe in parte le maglie dell’Istituto che, oggi, consente di lasciare l’impiego con almeno 42 anni e
6 mesi di versamenti contributivi, uno
in meno per le signore.
Prestito pensionistico
Il prestito pensionistico è la soluzione
meno costosa per le casse pubbliche e
non a caso, è stata caldeggiata da alcuni esponenti vicini al governo
Renzi come Yoram Gutgeld, consigliere economico del PD.
Questa strategia, che vedrebbe l’INPS
erogare un assegno mensile di circa
700 euro, restituito poi negli anni appena maturati i requisiti per la pensione.
Pensione flessibile
L’ipotesi della pensione flessibile, invece, vedrebbe la costruzione di un sistema di penalizzazioni decrescenti e
incentivi: ciò favorirebbe l’uscita anticipata e il progressivo innalzamento
della pensione man mano che si raggiunge l’età pensionabile fissata dalla
legge.
*Segreteria Nazionale
ASSICURAZIONE IN CONVENZIONE PER GLI ISCRITTI
Ora anche i ricercatori possono attivare una specifica copertura
Le già ampie e specifiche coperture garantite dall'assicurazione stipulata in convenzione con "G.eA. Broker" ormai da alcuni
anni (responsabilità civile per danni materiali o perdite patrimoniali causati con colpa grave), per i soli iscritti al SIVeMP
(di ogni profilo contrattuale!), sono state ulteriormente implementate nello spirito di offrire un servizio sempre più aderente
alle peculiari funzioni che i veterinari di sanità pubblica svolgono con diversi ruoli e nei diversi enti del SSN.
L'assicurazione, che fin dall'inizio è stata strutturata con una copertura base, alla quale possono essere aggiunte opzioni
modulari secondo le esigenze dei singoli professionisti, caratterizzandosi così per flessibilità ed economicità, è stata implementata con la possibilità, a partire da quest'anno, di garantire specifica copertura per le responsabilità derivanti
da attività di ricerca.
Tale copertura potrà essere attivata mediante la sottoscrizione della nuova clausola "G" e il pagamento di una quota modulare
assai ragionevole; fermo restando che il ricercatore, nel caso di responsabilità derivanti dalla propria attività, ma non direttamente e specificamente riconducibili a "ricerca", potrà chiaramente continuare a godere dei più elevati massimali previsti
dalla quota base, eventualmente raddoppiati con la sottoscrizione della clausola "C".
Le nuove condizioni complete sono consultabili nell'area "servizi" del nostro sito. Per ogni eventuale chiarimento rimangono
disponibili l'Ufficio legale unitamente al broker che fornisce il servizio.
14
Numero 1/2015
BEST VETERINARY PRACTICES
Servizio veterinario britannico
e italiano a confronto
Andrea Domenichini1
Due modelli, due realtà: ma ci
sono punti di incontro?
I
servizi governativi veterinari britannici e italiani, pur nelle loro differenze, agiscono con gli stessi
parametri e sono in grado di ottenere risultati analoghi seguendo quelle che
sono considerate le best practices veterinarie? Lo scopo di questo lavoro è
quello di comparare il modello britannico, che pur essendo stato il primo servizio veterinario pubblico istituito al
mondo (1898) negli ultimi anni ha subito una privatizzazione sempre più
marcata, e quello italiano che, al contrario, ancora conserva ancora una
forte impronta pubblica.
Best Veterinary Practices
Le buone pratiche nei servizi veterinari
pubblici riguardano fondamentalmente
l’insieme delle norme sanitarie che i veterinari devono far rispettare per garantire un’elevata qualità e sicurezza nella
produzione degli alimenti di origine
animale e comprendono anche le misure di protezione riguardanti il benessere animale e quelle che assicurano il
controllo delle patologie (infettive e
non) nelle popolazione animali per evitare la possibile insorgenza di epidemie
e zoonosi. Per assicurare i consumatori
dell’alto livello delle loro attività, i servizi veterinari pubblici devono dedicarsi
al raggiungimento di obiettivi qualitativi ed essere in grado di documentarli
a tutti i livelli dell’organizzazione. I veterinari ufficiali a tempo pieno o parziale, il personale amministrativo e i
tecnici che ne fanno parte devono essere
propriamente qualificati e possedere un
grado elevato di esperienza tale da consentirgli di prendere decisioni lavorative
corrette.
L’OIE (Office International de Epizoozie) ha definito standards e linee guida
per aiutare i diversi Paesi membri a valutare i loro servizi veterinari e il personale che ne fa parte. Le linee guida che
consentono di valutare l’efficacia e l’efficienza dei diversi servizi veterinari
sono contenute nel Terrestrial Animal
Health Code che comprende anche i veterinari liberi professionisti che lavorano a contratto per il Governo e che
perciò sono soggetti agli stessi obblighi
legislativi dei veterinari dipendenti.
L’autorità competente nazionale deve
provvedere affinché sia creato un appropriato quadro istituzionale che consenta
al servizio veterinario di sviluppare e migliorare gli standard richiesti e che gli
siano garantite risorse adeguate per effettuare nel modo migliore i compiti che gli
sono stati assegnati
Le best veterinary practices richiedono che:
- i veterinari pubblici debbano essere liberi da ogni interesse di natura commerciale e finanziaria e inoltre
svincolati da pressioni gerarchiche o
politiche, che potrebbero influire sul risultato delle loro decisioni. In aggiunta
veterinari pubblici devono sempre comportarsi in maniera trasparente, oggettiva e non discriminatoria;
- i compiti lavorativi del personale veterinario vadano chiaramente definiti,
in modo da assicurare che solo personale sufficientemente qualificato venga
utilizzato nello svolgimento di compiti
di particolare delicatezza e impegno.
15
Numero 1/2015
Glossario
AHOs - Animal Health Officers
APHA - Animal and Plant Health
Agency
AHVLA - Animal Health Veterinary
Laboratory Agency
DEFRA- Department of Enviroment
Food and Rural affaire
DVM - Divisional Veterinary Managers
FAO - Food Agriculture Organization
FSA - Food Standard Agency
HIVSS - Highlands and Islands
Veterinary Service Scheme
MAFF - Ministry of Agriculture,
Fisheries and Food
OIE - Office International de Epizoozie
OV - Official Veterinarian
SVS - State Veterinary Service
TVIs - Temporary Veterinary
Inspectors
VA - Veterinary Advisers
VLA - Veterinary Laboratory Agencies
VOs - Veterinary Officers
Tale personale dovrà anche essere sottoposto a periodi di training adeguato
(ECM) in modo che possa prepararsi in
maniera idonea alle sfide che via via gli
si presenteranno.
In pratica, quindi, la qualità del servizio
veterinario di un Paese dipende da un
insieme di fattori che includono principi
fondamentali di etica e fattori di natura
organizzativa e tecnica. La compliance
con questi principi dipende fondamentalmente dalla qualità del personale che
ne fa parte, personale che dovrebbe
possedere le necessarie conoscenze accademiche, ed essere sufficientemente
esperto e indipendente nel prendere decisioni.
Ma quale dei due sistemi veterinari, con
le loro profonde differenze organizzative e di personale, è in grado di offrire
tramite le best practices, un servizio migliore ai propri utenti e ai consumatori:
quello britannico o quello italiano?
I servizi veterinari pubblici
Storicamente i servizi veterinari hanno
16
da sempre fatto parte del servizio pubblico. Originariamente vennero creati
come una branca sanitaria dell’esercito
che aveva come scopo quello di proteggere i cavalli e altri animali da lavoro
(asini, muli), dato che in caso di attività
belliche, il loro utilizzo era di primaria
importanza; fino agli anni 60-70 del secolo scorso erano quasi del tutto in
mano pubblica, ora invece, specialmente nel Nord Europa, la maggior
parte ha delegato molte delle loro funzioni al settore privato.
La veterinaria pubblica ha il ruolo di
promuovere la sanità e il benessere animale, di partecipare alla protezione
dell’ambiente, di assicurare la qualità dei
prodotti di origine animale e di difendere la popolazione umana dalle zoonosi.
I veterinari sia pubblici sia privati devono aderire a elevati standard etici ed
essere preparati ad applicare le loro conoscenze specialistiche e a utilizzare le
loro abilità pratiche al meglio (best
practices) nell’interesse dei loro pazienti
e della comunità.
Circa il 50% dei veterinari nei Paesi più
ricchi sono coinvolti esclusivamente con
piccoli animali come cani, gatti, volatili
da voliera, rettili. Altri invece lavorano
con gli animali da reddito, ma il loro
numero è in costante calo e i veterinari
che si occupano esclusivamente di cavalli, animali da zoo e selvatici rappresentano un’esigua minoranza.
Esistono inoltre veterinari che sono impiegati direttamente o indirettamente
dai servizi veterinari pubblici, svolgendo attività di sorveglianza e di controllo delle principali malattie infettive
del bestiame, di protezione del benessere animale, di ispezione e certificazione dei prodotti di origine animale in
modo tale da assicurare un’ottimale
protezione del consumatore da eventuali rischi di tossinfezioni.
L’organizzazione del servizio
veterinario britannico
Bisogna prima di tutto premettere che
il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord (UK and Northern Ireland) è composta da quattro entità
amministrative: l’Inghilterra la Scozia e
il Galles e l’Irlanda del Nord, che anche
in campo sanitario, hanno ampi livelli
di autonomia dal governo centrale di
Westminster. Specialmente la Scozia ha
raggiunto livelli di devolution molto
marcati, infatti, recentemente ha creato
la propria Food Safety Agency (Agenzia
di sicurezza alimentare) che è totalmente autonoma dalla UK Food Safety
Agency che in precedenza aveva giurisdizione su tutto il territorio britannico.
Il servizio veterinario Britannico, a differenza di quello Italiano, impiega direttamente, a tempo pieno, un numero
assai esiguo di veterinari (circa 300). Le
due aree principali della sanità pubblica
veterinaria sono rappresentate dalla sanità animale, che si occupa della prevenzione delle malattie diffusive del
bestiame e del benessere animale, e
dalla area di ispezione degli alimenti. Le
due aree sono nettamente separate. I veterinari che vi lavorano sono dipendenti
di due diverse agenzie (agencies).
L’area sanità animale
I veterinari attraverso la loro costante
presenza negli allevamenti, assicurano
la possibilità di individuare precocemente la comparsa di malattie che potrebbero trasmettersi anche agli esseri
umani (zoonosi) e spesso svolgono
un’azione di consulenza informando i
produttori in merito alle corrette procedure da seguire per ridurre i rischi legati
all’utilizzo di farmaci, ai residui dei pesticidi, alle micotossine ecc.
In molti Paesi europei, inclusa la Gran
Bretagna, il servizio veterinario dell’Area della sanità animale è sempre
stato inserito nell’ambito dell’agricoltura. Fino a maggio del 2001, nel
Regno Unito, il personale del Servizio
Veterinario Britannico Statale (SVS State Veterinary Service) era alle dirette
dipendenze del Ministero dell’Agricoltura (MAFF - Ministry of Agriculture,
Fisheries and Food), mentre dopo il
2001 l’organizzazione del servizio veterinario britannico è andato incontro a
numerosi cambiamenti. In seguito alla
terribile crisi aftosa del 2001, tutto il
personale facente parte dello SVS venne
Numero 1/2015
trasferito a un nuovo dipartimento ministeriale chiamato Dipartimento per
l’ambiente, la nutrizione e gli affari rurali (DEFRA- Department of Enviroment Food and Rural Affairs).
Il DEFRA è un dipartimento ministeriale con 36 agenzie e un segretario di
Stato al suo vertice che si occupano, fra
le altre cose, di protezione ambientale e
difesa delle produzioni rurali ecc. Da
qui si capisce come lo SVS che prima
rappresentava la punta di diamante del
MAFF sia stato declassato e inserito in
un dipartimento a pari livello con altre
agencies.
Lo scopo dichiarato dal Governo britannico è quello tramite le agencies di
separare fisicamente la creazione e lo
sviluppo di una norma (policy), da
quella che poi sarà la sua applicazione
pratica. In realtà le agencies sono enti
misti pubblico-privato che permettono
al Governo di ridurre in maniera significativa le spese (vantaggi finanziari), in
quanto si tratta di strutture con un elevato grado di flessibilità e autonomia.
A questo primo rimodellamento ne
sono seguiti altri con il cambiamento
del nome del servizio veterinario (State
Veterinary Service) in Animal Health
(sanità animale) nel 2007, poi nell’aprile del 2011 si è deciso di unire il
personale facente parte di Animal Health insieme al personale facente parte
dei Veterinary Laboratory Agencies
(paragonabili ai nostri istituti zooprofilattici) costituendo una nuova agency
chiamata AHVLA (Animal Health Veterinary Laboratory Agency) .
Ora, da pochi mesi è partita una nuova
riorganizzazione che ha portato alla
creazione di una nuova agency che è
stata chiamata APHA (Animal and
Plant Health Agency) in cui sono stati
riuniti i veterinari e le altre professionalità contenute nella precedente agenzia
assieme all’ispettorato delle api, all’ispettorato che si occupa dello stato di
salute delle sementi e delle piante e a
quello che si occupa delle sementi geneticamente modificate.
Quando si trattò di unire l’AHVLA,
una certa logica c’era, in quanto si trattava di unire i veterinari territoriali ai
veterinari operanti nei laboratori. Ma
ora la ragione di unire due compartimenti così diversi, come il settore veterinario e quello botanico francamente
lascia perplessi. Le motivazioni vanno
ricercate nella volontà di ridurre ulteriormente i costi dei dipartimenti governativi e di volerli ulteriormente
privatizzare.
Comunque, la perdita della parola “veterinary” potrebbe essere indice che
nuove priorità diventano più importanti di quelle veterinarie. Così è successo nel 2001 quando il Governo
Britannico ha sostituito il MAFF con il
DEFRA e la parola “agricoltura” è sparita.
Questi continui cambiamenti con ridimensionamento del ruolo del settore
pubblico veterinario potrebbero portare
a inconvenienti gravi quali la minore efficienza dei servizi forniti agli allevatori
e un maggior rischio di possibili insorgenze di epidemie.
Nella nuova agenzia appena formatisi
la catena di comando del settore del servizio veterinario britannico che si occupa di sanità animale ha al suo vertice
un Chief Veterinary Officer per tutta la
Gran Bretagna (che è anche il responsabile per l’Inghilterra), poi esistono tre
Chief Veterinary Officers uno per la
Scozia, uno per il Galles e uno per l’Irlanda del Nord. Sotto di loro ci sono i
Veterinari responsabili dei vari distretti
(Divisional Veterinary Managers DVM) che oltre ad aver funzioni di coordinamento del personale veterinario
gestiscono in proprio un certo budget
(responsabilità sia tecniche sia finanziarie) e sono a capo degli uffici veterinari
periferici di Sanità animale (Animal Health Offices) dislocati in varie parti
della Gran Bretagna che occupano un
numero variabile di veterinari ufficiali
(Veterinary Officers - VOs), impiegati a
tempo pieno, affiancati da personale veterinario a tempo determinato (Temporary Veterinary Inspectors - TVIs) e da
tecnici veterinari (Animal Health Officers - AHOs) quest’ultimi sono abilitati,
a differenza dell’Italia, a prelevare sangue in tutte le specie di interesse zootecnico con la sola esclusione del cavallo.
Questo li rende estremamente utili in
caso sia necessario prelevare numerosi
campioni di sangue, come ad esempio
in caso epidemie.
Inoltre, per aiutare i veterinari che agiscono sul campo esistono una ventina
di veterinari altamente specializzati che
svolgono un ruolo di consulenza chiamati VA (Veterinary Advisers). A tali figure professionali possono rivolgersi i
colleghi che lavorano nei distretti per
chiedere consiglio di fronte a situazioni
lavorative particolarmente delicate.
Accanto agli ufficiali veterinari governativi a tempo pieno (circa 250) ci sono
in Gran Bretagna circa 11.000 veterinari libero professionisti che hanno
scelto di essere accreditati come OV
(Official Veterinarian) dopo aver seguito un corso e che esercitano per un
determinato numero di ore alla settimana le funzioni normalmente eseguite
dai veterinari pubblici.
La partnership fra il servizio veterinario
pubblico e i liberi professionisti ha funzionato bene nel passato, ma adesso il
sistema per un progressivo e inevitabile
minor coinvolgimento finanziario del
governo rischia di non essere più in
grado di assicurare gli stessi tipi di servizi forniti nel passato alle comunità rurali. Per riuscire ad assicurare la
possibilità di prevenire e controllare l’insorgenza di eventuali epidemie anche in
zone estremamente lontane dai maggiori
centri abitati, come le isole scozzesi e le
Highlands il Governo Scozzese, che da
sempre ha una struttura veterinaria pubblica più evoluta rispetto alle altre aree
della Gran Bretagna, ha istituito uno
schema chiamato Highlands and Islands
Veterinary Service Scheme (HIVSS) che
ha lo scopo di assicurare un servizio veterinario ad allevatori che senza tale
aiuto non avrebbero alcuna copertura
sanitaria. Lo schema prevede un supporto economico per i veterinari che vi
aderiscono, ai professionisti vengono
rimborsati i costi per le visite e per le miglia percorse. Quindi si tratta di una
sovvenzione governativa estremamente
utile, che ha lo scopo di permettere la
sorveglianza e il monitoraggio di aree
estremamente marginali, dove potrebbero insorgere problemi, se non fosse
assicurato un servizio veterinario di prevenzione e di controllo.
17
Numero 1/2015
Fanno parte de Servizio Veterinario
Pubblico anche i veterinari che lavorano nei VLA (Veterinary Laboratory
Agencies) che sono strutture simili ai
nostri zooprofilattici che svolgono un
ruolo molto importante nella sorveglianze e monitoraggio delle malattie
nel territorio di loro competenza. I veterinari dipendenti dei VLAs sono circa
50 al momento, ma sembra che nel
prossimo anno verranno ridotti a 35.
L’area ispezioni degli alimenti
Per quanto riguarda invece l’altro
grande ambito delle veterinaria pubblica che si occupa della ispezione degli
alimenti, la Gran Bretagna solo dopo la
crisi della “mucca pazza” ha cominciato a impiegare stabilmente nei macelli e negli stabilimenti di lavorazione
delle carni personale veterinario.
Nell’aprile del 1995 venne creato il Meat
Hygiene Service (Servizio di Ispezione
delle carni) come agenzia esecutiva del
MAFF per poi passare dopo l’abolizione
del Ministero della Agricoltura nel 2001
al dipartimento del DEFRA.
Lo staff del Meat Hygiene Service era
composto da un core di una quarantina
di veterinari direttamente impiegati
dalla Agency insieme a diverse decine di
meat inspectors (tecnici della carne) e
da numerosi veterinari libero professionisti che svolgevano per un certo numero di ore al giorno le funzioni di
controllo governativo.
Il costo operativo del MHS nel 2009 è
stato di 69 milioni di Sterline, a cui hanno
contribuito per 24 milioni l’industria delle
carni, DEFRA per 20 milioni e la Food
Standard Agency per 25 milioni.
A partire dal mese di marzo del 2010 le
funzioni svolte dal MHS e il suo staff
sono state inglobate nel nuovo gruppo
operativo della Food Standard Agency
(FSA). La scomparsa del MHS avrebbe
lo scopo secondo il Governo Britannico
di portare a un miglioramento della fornitura dei servizi richiesti all’ex MHS e
alla riduzione dei costi (circa 2 milioni
di sterline in meno).
Quindi al momento nel Regno Unito
(con l’eccezione della Scozia) l’autorità
centrale competente per la programma18
zione e l’esecuzione dei controlli veterinari negli stabilimenti carnei è la UK
FSA, dato che il governo scozzese nel
2013 ha deciso di costituire una propria
FSA che è completamente autonoma
dalla precedente.
L’organizzazione del servizio
veterinario italiano
Il servizio veterinario italiano si caratterizza per la forte impronta pubblica e
rappresenta assieme all’Austria una felice eccezione in Europa in quanto fa
parte del Servizio Sanitario Nazionale.
I servizi veterinari, a livello locale,
fanno parte assieme ad altre professionalità dei Dipartimenti di prevenzione
delle ASL e sono dislocati su tutto il territorio nazionale.
Sono circa 5.000 i veterinari italiani
impiegati direttamente dallo Stato,
dalle Regioni e dalle Aziende Sanitarie
Locali (ASL).
Nell’organizzazione del servizio veterinario Italiano si distinguono tre livelli,
quello centrale, quello regionale e il livello locale.
Il Livello Centrale
• Ministero della Salute
Il Ministero della Salute ha subito recentemente una profonda riorganizzazione con il Dpcm n. 59 dell’11
febbraio 2014. Sono stati eliminati dei
dipartimenti fra i quali quello di sanità
pubblica veterinaria, della sicurezza alimentare e degli organi collegiali per la
tutela della salute.
La direzione generale per l’igiene e la sicurezza degli alimenti è la nutrizione è
stata affidata un medico e non più a un
veterinario, come era sempre stato in
passato considerata la prevalenza degli
alimenti di origine animale. Resta di
pertinenza veterinaria solo la direzione
generale della sanità animale e dei farmaci veterinari.
• L’Istituto Superiore di Sanità (ISS),
che è l’organo tecnico del Ministero
della Salute, ha funzioni consultive di
vigilanza e di revisione delle attività
degli Istituti zooprofilattici e svolge attività di ricerca di formazione.
• Gli Uffici Veterinari per gli Adempimenti Comunitari (UVAC) sono uffici
periferici del Ministero della Salute che
hanno la responsabilità dei controlli a
destinazione sulle merci di provenienza
comunitaria.
• I Posti di Ispezione Frontaliera (PIF)
sono anch’essi uffici periferici del Ministero della Salute effettuano controlli su
animali prodotti di origine animale provenienti da Paesi terzi e destinati al mercato comunitario o in transito verso
altri Paesi terzi. Sono ubicati sui confini
stradali, ferroviari, aeroportuali e portuali.
Il Livello Regionale
I Servizi Veterinari Regionali (SVR)
hanno funzioni di coordinamento e di
emanazione di normative e ordinanze
con efficacia estesa a tutta la Regione o
parte del suo territorio.
In certe regioni quali l’Emilia Romagna
il servizio veterinario è composto da un
nucleo di veterinari direttamente impiegati dalla Regione e da un certo numero
di veterinari distaccati dalle varie ASL
a tempo pieno o parziale. In Emilia Romagna si tratta di una decina di colleghi
in tutto.
Invece, in altre Regioni il SVR è numericamente assai ridotto; 1-2 colleghi con
conseguente maggiore difficoltà nel coordinare efficacemente i servizi veterinari locali.
Il Livello Locale
Il C.vo n. 502/1992 e successive modifiche (D.lgs. n. 517/1993) prevede l’organizzazione dei servizi veterinari
nell’ambito delle aziende sanitarie locali
in tre aree funzionali:
- Area A - Sanità animale;
- Area B - Igiene degli alimenti di origine animale;
- Area C - Igiene degli allevamenti e
delle produzioni zootecniche; questa
area è nata dallo scorporo di competenze già attribuite alla pre-esistente
Area funzionale A.
A livello locale l’autorità sanitaria è il
Sindaco al quale spettano i provvedimenti che comportano autorizzazioni
Numero 1/2015
e ordinanze aventi efficacia sul territorio del proprio comune. I servizi veterinari fanno parte dei Dipartimenti
di Prevenzione. In Emilia Romagna
tali dipartimenti sono stati rinominati
Dipartimenti di Sanità Pubblica
(DSP).
• Gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali (IZS) sono un istituzione di
diritto pubblico che, grazie al loro patrimonio di ricerche, analisi di laboratorio e monitoraggio forniscono
servizi per difendere la salute del cittadino attraverso il controllo dell’ambiente, degli alimenti, del benessere
animale. L’Ente si rivolge sia all’utenza pubblica sia privata. Negli
Istituti lavorano veterinari, chimici,
biologi, statistici, tecnici di laboratorio e altre professionalità ad elevata
specializzazione. Gli IZS sono enti sanitari erogatori di servizi dotati di autonomia gestionale ed amministrativa
e rappresentano strumenti tecnicioperativi del SSN nei seguenti ambiti
di competenze:
- sanità animale;
- compiti di salubrità degli alimenti di
origine animale;
- igiene degli allevamenti;
- benessere animale;
Sul territorio nazionale sono presenti
10 sedi centrali degli IZS che coprono
il territorio di una o più Regioni e nella
maggior parte delle province sono presenti sezioni diagnostiche.
Presso gli IZS sono condotte le seguenti
attività:
- analisi di laboratorio microbiologiche
e chimiche su alimenti di origine animale e su mangimi zootecnici;
- diagnostica di laboratorio delle malattie trasmissibili per i servizi veterinari
pubblici locali;
- produzione di prodotti biologici (vaccini e diagnostici);
- sorveglianza epidemiologica;
- ricerca sperimentale;
- formazione ed aggiornamenti di veterinari ed operatori.
Nei diversi IZS si trovano laboratori di
elevata specializzazione che fungono da
centri di referenza nazionale (CERN)
per particolari malattie o gruppi di malattie. L’ente si rivolge sia all’utenza
pubblica che privata. Negli Istituti lavorano veterinari, chimici, biologi, statistici, tecnici di Laboratorio e altre
professionalità ad elevata specializzazione.
Dalle fonti disponibili, nell’anno 2010
risultavano essere dipendenti del SSN:
5.704 veterinari a tempo indeterminato
di cui, 5.261 nelle ASL e 443 negli IZS,
cui si aggiungono1.295 veterinari a
tempo determinato nella specialistica
ambulatoriale (1279 nelle ASL e 16
negli IZS).
Come è possibile notare da queste cifre,
il numero di veterinari pubblici in Italia
è media 15 volte superiore a quello dei
veterinari britannici.
Quality management system in
una organizzazione veterinaria
Un sistema di qualità all’interno di una
organizzazione veterinaria ha lo scopo
di migliorare la soddisfazione dell’utente finale (il consumatore), di incoraggiare l’organizzazione ad analizzare
quali siano i requisiti richiesti dai suoi
clienti, di definire e controllare le sue attività, il che contribuisce alla elargizione
di servizi che risulteranno accettabili
agli utenti.
Nel caso dei servizi veterinari pubblici i
veterinari devono cercare di assicurare
la migliore protezione possibile ai consumatori cercando di minimizzare i rischi di esposizione ad agenti zoonosici,
intossicazioni alimentari, residui, contaminazioni da agenti biologici e chimici e di limitare la comparsa di ceppi
antibiotico resistenti mediante un appropriato utilizzo degli antimicrobici
negli allevamenti.
Inoltre i veterinari devono diventare
abili comunicatori per enfatizzare ai
clienti quanto sia importante il loro
ruolo nella protezione dei consumatori.
Sistema di sorveglianza
e monitoraggio
Prendendo in considerazione un aspetto
estremamente importante dell’attività
veterinaria, sia pubblica sia privata,
quale la sorveglianza veterinaria con
monitoraggio nelle popolazioni animali
è possibile vedere come tale attività
svolga, sul territorio, un ruolo fondamentale nel controllo dell’andamento di
malattie esistenti e nel rilevamento di
nuove. La sorveglianza sanitaria ha un
costo economico apparentemente elevato, ma giustificato perché, se ben eseguita, consente di prevenire danni assai
più gravi.
Un problema della sorveglianza attuata
per cercare di scoprire se nuove malattie
sono comparse nel territorio è che bisogna spesso cercare a lungo con costi
economici elevati. Inoltre una volta
identificata la malattia l’organizzazione
veterinaria deve avere la capacità infrastrutturale di creare ad esempio test diagnostici e vaccini. Il problema è quindi
quanti soldi vanno spesi in tale attività
soprattutto in tempi di forti restrizioni
finanziarie come il periodo in cui ci troviamo.
Il Governo Britannico dimentico di
come il sistema di sorveglianza territoriale gli abbia permesso di identificare
l’insorgenza della BSE (vacca pazza)
alla fine degli anni ‘80 e solo pochi mesi
fa gli abbia consentito di scoprire la
presenza di una nuova patologia che
colpisce i ruminanti (malattia di
Schmallemberg) causando pesanti perdite economiche, ha deciso di ridurre
nei prossimi anni il budget destinato a
tale attività da 8 milioni di sterline a 5
milioni.
L’autorità competente sostiene che, nonostante i tagli, la qualità del sistema di
sorveglianza epidemiologica non verrà
compromessa. La spending review comporterà la chiusura di diversi laboratori
veterinari (Veterinary Laboratories
Agencies) consentendo così di ridurre i
costi.
L’autorità centrale pensa che nonostante i pesanti tagli programmati la
qualità del sistema di sorveglianza epidemiologica non verrà compromesso,
anzi il contrario.
L’AHVLA in Inghilterra e in Galles ha
quindi recentemente invitato diverse organizzazioni private a presentare un offerta per la fornitura di servizi
veterinari, l’offerta di collaborazione è
stata estesa anche ai dipartimenti universitari e al settore zootecnico. Il pro19
©Fotolia .com
Numero 1/2015
blema che prima che siano stati trovati
gli eventuali sostituti si è già provveduto a smantellare il sistema di sorveglianza pubblico.
I Veterinary Laboratory Agencies (tipo
i nostri IZS) sono già passati da 15 a 6,
lo staff veterinario che si occupa di
esami post mortem che sono fondamentali per la comprensione dell’andamento delle patologie nel territorio è
stato ridotto da 44 a 35 unità. Si tratta
di veterinari estremamente specializzati
e di difficile rimpiazzo in quanto i professionisti privati che dovrebbero prenderne il posto non sono ancora
sufficientemente formati.
Il sistema di trasporto delle carcasse ai
centri potrebbe subire forti ritardi a
causa delle maggiori distanze e questo
potrebbe pregiudicare l’esito di certe
analisi, in quanto per riuscire a isolare
virus o batteri, si ha spesso la necessità
gli animali sia inviati entro poche ore
dalla morte. Lo scenario potrebbe rile20
varsi disastroso nel senso che essendoci
ora meno laboratori, meno ufficiali veterinari specializzati, i costi per le analisi potrebbero aumentare e gli
allevatori finirebbero per essere penalizzati dai tagli governativi non potendo
più permettersi di richiedere determinati esami, come succedeva in passato,
per i maggiori costi da sostenere.
Quindi qui è evidente come non siano
stati seguiti i criteri delle best practices
veterinarie che richiedono che compiti
a elevata specializzazione siano affidati
solo a personale esperto.
In Italia per fortuna nonostante la grave
crisi economica il sistema pubblico
degli IZS finora è rimasto indenne. Si è
quindi capito che era indispensabile che
fosse assicurata la piena sopravvivenza
di un importantissimo sistema di qualità veterinario in grado di esercitare un
azione di monitoraggio delle malattie
esistenti e di quelle emergenti sull’intero
territorio nazionale. Inoltre, il personale
che vi lavora è dotato di elevatissime
competenze tecniche con ricercatori di
competenza internazionale. Il costo per
tali strutture, quindi, è pienamente recuperato grazie all’azione preventiva e
di controllo delle patologie di origine
animale esercitato dagli IZS che rappresentano uno dei punta di eccellenza
della ricerca veterinaria sia in Italia sia
in Europa.
Modello di ispezione delle carni
La carne è un alimento estremamente
importante, che ha un enorme valore
commerciale. Per cui è interesse delle
società civili che il Governo svolga un
ruolo nel assicurarne la qualità, in
modo tale da limitare la possibilità di
tossinfezioni alimentari pericolose per
la popolazione.
I servizi veterinari governativi giocano
un ruolo chiave nella ispezione delle
carni, tali servizi devono provvedere a
Numero 1/2015
un numero sufficiente di personale qualificato in grado di svolgere determinati
compiti.
Le risorse richieste per l’espletamento di
tali compiti includono la fornitura di
equipaggiamento, trasporti, laboratori
e programmi di training. Il supporto dei
laboratori è essenziale per poter esercitare l’attività ispettiva. Tutti i laboratori
dovrebbero essere valutati e accreditati
in maniera tale da assicurare che sono
utilizzati adeguate metodologie di controllo e validazione.
L’autorità competente deve assicurare
inoltre che il servizio ispettivo segua in
toto i criteri fissati dai regolamenti e che
il personale venga sottoposto a verifiche
e audit. La capacità di provvedere informazioni scritte (certificati) che la carne
risponde ai criteri richiesti dai regolamenti è una funzione essenziale svolta
dai servizi veterinari e permette il riconoscimento internazionale reciproco dei
certificati sanitari.
In diversi Stati Nord europei, fra i quali
la Gran Bretagna l’organizzazione dei
controlli degli alimenti di origine animale (inclusa l’ispezione delle carni) a
livello nazionale non ricade sotto una
singola autorità come in Italia (servizi
veterinari delle ASL) che ha responsabilità per tutta la catena alimentare, ma è
sottoposta ai controlli di diversi enti.
Ad esempio il controllo dei sezionamenti è di pertinenza dei veterinari impiegati direttamente o indirettamente
dalla FSA, mentre il controllo degli stabilimenti di prodotti carnei e delle macellerie è di pertinenza della agenzie per
l’ambiente (Enviromental Health
Agency) che svolgono tali attività in
ambito municipale, mediante l’impiego
di tecnici laureati in scienze ambientali.
Questa parcellizzazione delle attività di
controllo può comportare confusione
nei ruoli, una sovrapposizione di responsabilità che si traduce alla fine in
un possibile danno ai consumatori.
Inoltre, il progressivo taglio della spesa
sanitaria ha portato al ricorso sempre
maggiore all’outsourcing, specialmente
per quanto riguarda l’impiego di veterinari libero professionisti impiegati a
contratto per un certo numero di ore a
settimana.
Infatti, il numero di veterinari impiegati
a tempo indeterminato nel settore della
ispezioni delle carni è assai limitato
(una quarantina), mentre diverse centinaia sono i veterinari impiegati con
contratti a tempo determinato per un
certo numero di ore a settimana.
Gli stabilimenti carnei (macelli, sezionamenti) in Gran Bretagna, a differenza
del nostro Paese sono per la quasi totalità appaltati (tendering), dati in gestione per un certo numero di anni a
gruppi di veterinari (practices) che sottoscrivono un contratto con la FSA in
cui assicurano in cambio di un certo
compenso la copertura ispettiva delle
strutture agendo come ufficiali governativi.
Quindi, il sistema ispettivo è stato fortemente privatizzato garantendo da un
lato una netta riduzione dei costi, ma
causando problematiche per quanto riguarda la gestione corretta del sistema.
Negli anni passati si è arrivati al punto
che grosse compagnie private hanno assunto una importanza tale da dettare
loro quello che si doveva fare al governo. Sono stati assunti veterinari appena laureati provenienti per lo più
dall’estero, sottopagati e costretti a
orari massacranti.
In più, in diversi casi la practice che ha
vinto il contratto ha tutto l’interesse a
non causare troppi problemi all’operatore per potere conservare il più a lungo
possibile. Questo sistema estremamente
liberalizzato, a mio parere, comporta
che la qualità delle attività ispettive ne
viene alla fine compromessa con possibili danni per il consumatore finale.
La estrema frammentazione del servizio ispettivo veterinario britannico
con diversi enti responsabili per la sicurezza delle carni non risponde adeguatamente alla elevata complessità
della moderna catena di distribuzione
delle carni e al bisogno di avere sistemi
affidabili che assicurino la sicurezza
degli alimenti.
Inoltre le risorse devono essere adeguate a garantire il rispetto delle regole. Se questo non accade è facile che
organizzazioni criminali ne approfittino per organizzare frodi alimentari,
tipo la sostituzione di carni bovine
con carni di cavallo che sono più economiche.
Questa frode avvenuta in Gran Bretagna nel 2013 ha avuto un enorme impatto mediatico a livello europeo,
perché ha macchiato la reputazione di
diverse grandi catene di supermercati
che inconsapevolmente fornivano ai
propri clienti carni macinate che non
erano interamente di carne bovina,
come dichiarato sull’etichetta, ma contenevano anche carni equine.
Tale carne poteva essere pericolosa
per la salute umana, perché essendo di
provenienza sconosciuta e perciò non
testata, avrebbe potuto contenere residui di fenilbutazone, un antinfiammatorio largamente usato come
farmaco per i cavalli da corsa, che se
ingerito dall’uomo potrebbe causare
gravi reazioni allergiche con possibili
danni neurologici, midollari, gastrointestinali.
Il sistema italiano si basa invece su una
maggiore indipendenza del servizio veterinario dai produttori e su una catena
di comando più chiara, cosa che indubbiamente risulta essere un vantaggio. Il
problema è che nel nostro Paese molti
colleghi hanno superato i cinquanta
anni e questo spesso si traduce in una
perdita d’entusiasmo e in un progressivo appiattimento professionale che
porta, in certi casi, a una lenta deriva
professionale.
Sarebbe necessario un turn-over, un ricambio generazionale. Nei nostri servizi
dovrebbero ricomparire i giovani con
idee nuove ed entusiasmo.
A questo problema si viene a sommare la mancata rotazione del personale. Si sa, infatti, che l’eccessiva
permanenza in uno stabilimento o in
un distretto comporta inevitabilmente
la perdita di interesse nel lavoro che
si sta svolgendo.
I principali problemi dei servizi veterinari periferici (ASL) sono rappresentati
dall’eccessivo localismo, dall’inarrestabile burocratizzazione del personale sanitario che ormai dedica buona parte
della giornata lavorativa a compilare
check list e a inserire dati al computer,
lavori che, prima dei tagli, erano di appannaggio del personale amministra21
Numero 1/2015
tivo. Il personale medico veterinario
deve invece tornare ad operare pienamente sul campo, a sporcarsi le mani,
ad esercitare la professione per la quale
si è formato.
Costo malattie animali
Qual è il costo di una malattia in una
popolazione animale? La questione è
importante soprattutto in un periodo di
crisi economica quando i costi e i benefici di ogni azione devono essere accuratamente valutati in termini finanziari.
Un report recente commissionato dalla
Federazione Internazionale per la Sanità
animale (International Federation of
Animal Health - IFAH) ha cercato di
quantificare il costo di una malattia animale non solo per gli animali, ma anche
per l’intera società.
Il report evidenzia come le malattie animali abbiano un impatto economico
che si estende ben al di là dei costi diretti dovuti alla malattia stessa e che per
fare progressi nel controllare le malattie
e ridurne gli impatti negativi dal punto
di vista socioeconomico, sia necessario
migliorare gli sforzi e gli investimenti
nel campo della sorveglianza veterinaria, come abbiamo visto in precedenza,
e quindi migliorare le infrastrutture che
devono fronteggiare tali pericoli.
Il problema è che sempre meno i governi sono in grado di destinate le risorse economiche necessarie per
mantenere l’efficienza dei servizi veterinari. In Gran Bretagna, ad esempio
l’AHVLA ora APHA per ridurre i costi
ha deciso di appaltare ai privati (tendering process) dal 2013 una serie di servizi che prima erano svolti dall’agenzia
stessa.
I servizi offerti all’esterno riguardano
il personale veterinario, gli edifici da
utilizzare in caso di emergenze, i servizi di sorveglianza e diagnostici, le
vaccinazioni, la pronta disponibilità
veterinaria per problemi di sanità o di
benessere animale, i programmi di
training, i servizi di consulenza e la ricerca veterinaria. Insomma più o
meno tutto. Questo comporterebbe sicuramente a breve termine una riduzione delle spese, ma reggerebbe tale
22
sistema, quasi completamente privatizzato nel caso di una epidemia generalizzata?
Il sistema veterinario britannico è già
collassato una volta nel 2001,
quando una spaventosa epidemia aftosa ha portato all’abbattimento di 8
milioni di animali (un ottavo dell’intero patrimonio zootecnico della
Gran Bretagna) e a un costo per la
collettività di 11 miliardi di sterline,
di cui 3 di costi diretti (personale, attrezzature, disinfettanti ecc.) e 8 indiretti (danni all’industria alimentare
per blocco dell’export delle carni, al
turismo ecc.). Possibile che non ci si
ricordi di che cosa è avvenuto?
Sembra di no perché il Governo britannico ha deciso di tagliare il budget del
DEFRA (di 300 milioni di sterline nei
prossimi anni che si vanno ad aggiungere a un precedente taglio di 500 milioni e questo non potrà non avere
impatto sulla gestione delle emergenze.
Bisogna ricordare inoltre che il 60%
delle malattie infettive emergenti che
colpiscono l’uomo provengono dal
mondo animale e che quindi il miglior
modo possibile per ridurre i rischi per
la popolazione umana è quello di identificare tale minacce il prima possibile
nelle popolazioni animali da dove originano.
Risulta molto difficile stimare quale sia
il tipo di costi, diretti e indiretti, visibili
e invisibili, di una malattia in una popolazione animale a livello mondiale, in
quanto per ogni Paese cambiano i
prezzi della carne, la produttività, i
costi necessari a mettere in campo le risorse necessarie per esercitare l’attività
di monitoraggio e controllo. Lo sforzo
che deve essere fatto è quello di persuadere i governi a continuare ad investire
somme adeguate di denaro per prevenire la comparsa di focolai epidemici investendo in attività di monitoraggio e
controllo sul territorio.
Conclusioni
In base all’esperienza personale di chi
scrive - che ha lavorato per lunghi periodi come dipendente a tempo pieno
in entrambi i servizi ed è stato diret-
tamente coinvolto nella più grande
epidemia aftosa mai verificatisi nel
mondo occidentale (Gran Bretagna
2001) - è il servizio veterinario italiano, pur con tutti i suoi problemi,
quello che al momento fornisce le
maggiori garanzie. I punti di forza
sono una capillare distribuzione del
personale a livello locale e una catena
di comando più strutturata, anche se
in parte oscurati da una crescente burocratizzazione e da un eccessivo invecchiamento del personale.
Il futuro della Veterinaria pubblica è a
rischio per la corrente difficile situazione
economica con tagli che potrebbero colpire i dipartimenti di prevenzione, di cui
i servizi veterinari fanno parte. Bisogna
far capire ai politici che i costi sostenuti
per la prevenzione non sono una perdita
di risorse, ma rappresentano il modo migliore per garantire che non accadano disastri sanitari quali la vacca pazza o
epidemie infettive che hanno causato
danni economici enormi.
La FAO sostiene l’approccio “one health” “unica salute” guardando all’interazione fra fattori ambientali, salute
degli animali e salute umana chiedendo ai medici, ai veterinari, ai sociologi, agli economisti e agli ecologisti di
lavorare assieme nell’ambito di un
quadro olistico. Allo stesso tempo la
FAO afferma che “la salute degli animali è l’anello debole della nostra catena di salute globale”.
I primi alimenti nella classifica di rischiosità sono le carni fresche e i derivati, i secondi sono i prodotti della
pesca e dell’agricoltura. Seguono il latte
e i prodotti lattiero caseari, uova e sottoprodotti e poi per ultimi i prodotti di
gastronomia e i vegetali. Il 75% delle
nuove malattie infettive che hanno colpito l’uomo negli ultimi 10 anni sono
state trasmesse da animali e fra un terzo
e la metà di tutte le malattie infettive
dell’uomo hanno un’origine zoonosica.
Questi dati fanno capire quanto sia importante far capire ai politici che vanno
destinate risorse ai servizi veterinari
pubblici, investimenti tali da garantire
loro un brillante futuro.
*Veterinario Dirigente, ASL di Modena
Numero 1/2015
Dal territorio
Pet-therapy e sperimentazione
ufficiale della ASL di Foggia
I
l progetto messo in atto, concernente le TAA (Terape Assistite dall’Animale), si è fondato su di una
vera e propria riabilitazione attraverso
il coinvolgimento di cani ed è stato realizzato presso l’Istituto di Incremento
Ippico di Foggia e l’Ex Sert di Cerignola. La visione sistemica del rapporto
uomo-animale è stata ampliata procedendo verso una relazione che tutela la
salute e il benessere animale, l’etica ambientale e la deontologia dell’uomo portatore di fragilità. In sintesi è stata
valorizzata la “bioetica della vita”. Si è
passati da un percorso storico scientifico-tecnico, dove l’uomo aveva la supremazia assoluta, a uno post moderno
che dichiara il fallimento della visione
antropocentrica dell’uomo per i suoi
metodi inadeguati e riconosce l’interdipendenza tra l’uomo e i suoi componenti naturali risvegliando una
coscienza collettiva o sociale. La sperimentazione è proseguita per ben tre
step, della durata di quattro mesi ciascuno, che hanno visto il susseguirsi di
circa 50 bambini e adolescenti con difficoltà eterogenee quali, disturbi dello
spettro autistico, ritardi mentali, postumi di paralisi cerebrali infantili, disturbi comportamentali, iperattività,
auto ed etero aggressività, disturbi oppositivi/provocatori, della condotta e
impulsivi-intermittenti.
Elementi innovativi
sperimentati
Primo elemento innovativo è l’equipe
strutturata ad hoc per questa nuova
modalità riabilitativa che delinea al
suo interno operatori garanti del benessere sia del paziente sia dell’animale coinvolto. L’asse di studio e di
riferimento è il dinamismo relazionale uomo-ambiente-animale una
vera e propria etica della vita. Le figure contemplate sono: un direttore
progettuale, un medico veterinario,
uno psicologo responsabile dell’equipe, un fisioterapista della riabilitazione come referente d’intervento
individuato, il nostro amico a quattro
zampe, un coadiutore dell’animale e
un educatore cinofilo (utili a identificare livelli di stress dell’animale, e
creare allo stesso tempo apprendimenti favorevoli).
Sintetizzando abbiamo potenziato
l’efficacia dell’equipe introducendo
nel setting, una figura stabile, quella
del fisioterapista (che si occupa della
parte umana della terapia), in quanto
è stato provato che se il coadiutore
(che il più delle volte non possiede conoscenze scientifiche adeguate) è da
solo nel setting si troverà sicuramente
costretto a improvvisarsi anche psicologo, terapista riabilitatore, veterinario ecc.; in questo modo non solo la
terapia risulterà povera e inconcludente, ma l’operatore potrebbe trovarsi ad affrontare una terapia
complicata, provare sentimenti fallimentari e quindi andare incontro a un
depauperamento delle risorse umane.
In letteratura fino ad oggi si contemplano protocolli che prevedono molte
figure professionali e affini senza fare
un distinguo tra EAA (Educazione Assistita dagli Animali), AAA (Attività
Assistita dagli Animali) e TAA, considerandole omogenee, metodo alquanto improbabile proprio per le
diverse soluzioni che questi diversi
percorsi offrono a diverse utenze.
A differenza di altre équipe proposte
in pet-therapy, quella proposta dal
nostro modello teorico/pratico garantisce: coesione interna al gruppo (eliminando contrapposizione di ruoli);
armonia lavorativa; obiettivi da raggiungere.
23
©
Fotolia.com
Numero 1/2015
Altro elemento innovativo è la centralità dell’utente. Un’equipe così strutturata non pone al centro l’interesse solo
l’animale - al quale in letteratura viene
dato esclusivo risalto - ma parte dal
superamento dei limiti fisici e psichici
imposti dalla “malattia” del paziente
che viene accolto sin dall’ingresso e
accompagnato attraverso tutto il percorso riabilitativo.
Il setting deve possedere soprattutto
tre aspetti che sono fondamentali e che
favoriscono la motivazione: la fissità,
cioè deve garantire stabilità e continuità per il paziente (sensazione di familiarità), la riservatezza (il tempo e lo
spazio della terapia deve essere posseduto in modo esclusivo dal paziente in
inter-relazione con l’animale) e la ludicità. Questi condizioni permettono
all’utente di sentirsi libero di esprimersi e di creare un sentimento di fiducia. Lo spazio e l’organizzazione
della stanza, che caratterizza il setting,
24
è stato formulato per avere una migliore visione del problema del soggetto, correggere gli elementi
disturbanti, amplificare al massimo le
potenzialità terapeutiche della pet-therapy attraverso comunicazioni efficaci
e persuasive e un clima relazionale simmetrico. La finalità è quella di promuovere nuove dinamiche psicologiche, cioè
un cambiamento interno al soggetto.
Nel setting il paziente si sente al sicuro
a proprio agio, si sente compreso nei
propri bisogni e non viene disturbato da
elementi ambientali che interferirebbero
e che ne devierebbero l’attenzione.
Quanto più il setting propone un ambiente protetto tanto più il soggetto
esprimerà tutto se stesso e qualitativamente migliori saranno i suoi apprendimenti, si porranno presupposti
psicoterapeutici transferiali, e si potrà
favorire la concentrazione dell’utente
che, in alcuni casi risulta essere davvero ridotta. Il setting deve possedere
elementi ludici di tipo psicomotorio
dove colori, forme, percorsi devono
costituire il substrato facilitatorio motivazionale, relazionale, emozionale e
di costruzione di conoscenze; deve rappresentare un vero e proprio laboratorio delle emozioni, con una propria
connotazione identitaria, dove trovano
spazio intelligenze parallele come la
creatività e l’intuito, e dove si predispone il paziente al recupero funzionale sia psichico sia fisico. Il setting in
ultima analisi: rappresenta e drammatizza l’area transizionale dei legami;
rappresenta una madre sufficientemente buona e accogliente; permette il
rispecchiamento emotivo; crea legami,
struttura e recupera percorsi evolutivi
preservando quelli positivi esistenti;
stabilizza legami sicuri e promuove
una ri-conversione di attaccamenti fallimentari; disambigua il concetto di attaccamento (arricchendolo attraverso
il problem solving); permette un più
Numero 1/2015
Riquadro 1. In sintesi, il contatto con l'animale cosa modifica?
- La percezione temporale
- La percezione visiva: ci permette di guardare al globale invece di focalizzare l'attenzione su elementi effimeri e di poco significato
- L'attenzione
- La ritenzione mnestica;
- L'umore subisce un miglioramento
- La sensazione di "piacere percepita soggettivamente" aumenta: attraverso l'aumento dei momenti di ludicità "finalizzata" all'esperire
esperienza simbolica e di felicità, quindi riduce l'anedonia nell'adulto (come incapacità di provare piacere nelle relazioni sociali che
in quelle "fisiche", come mangiare, dormire...)
- Le dipendenze morbose affettive precursori di dipendenze adulte patologiche sono ridotte
- Il senso di realtà aumenta
- La comprensione emotiva migliora
- La sensibilità nei confronti del diverso, della vita, aumenta e riduce gli effetti emarginativi causati da preconcetti ed etichette sociali
- La catarsi, cioè la reinterpretazione di sensazioni negative viene attivata
- Il contatto con i nostri bisogni emotivi viene facilitato
- Il ragionare diversamente su situazioni "fossili", che reputavamo senza alcuna via d'uscita diventa possibile
- L'emisfero sinistro deputato maggiormente all'aspetto organizzativo spaziale (dove tutto è permeato dall'abitudinarietà dal giusto,
dal corretto e da quello che reputiamo sbagliato, che maggiormente si fa influenzare dal bagaglio esperenziale frustrante, dal fallimento, dall'errore irrimediabile...) viene distratto ed è quindi favorito l'accesso soggettivo all'interiorità
- L’accesso all'emisfero della creatività, della fantasia, dei significati immaginativi è attivato
- I contenuti emotivi hanno maggiore facilità di essere espressi
- I legami migliorano;
- Il carico ansioso patologico è ridotto
- Il conflitto con se stessi è ridotto
- L'autonomia aumenta
- Le condotte autolesioniste ed eteroaggressive si riducono
- La compulsività si riduce
- La sicurezza interpersonale e la relazione migliorano
- Gli apprendimenti aumentano soprattutto in età scolare, per il meccanismo di sincronizzazione cognitivo-emotiva;
- Il linguaggio e la comunicazione subiscono un miglioramento.
rapido ridimensionamento di disturbi
comportamentali quali iperattività, aggressività, oppositività; crea i presupposti per lo sviluppo della giusta
distanza inter-relazionale e per la mentalizzazione.
La non età del paziente rappresenta la
novità principale della pet-therapy.
Questa componente fa diagnosi differenziale e rappresenta l’elemento che
la privilegia.
In riabilitazione (intesa in senso tradizionale) si interviene su disturbi comportamentali, cognitivi, emotivo-relazionali
fino alla soglia degli undici anni, età che
corrisponde all’emersione del pensiero
cosiddetto “astratto” e che porta con sé
il concetto di “plasticità mentale”. La
pet-therapy potenzia le risorse individuali
favorendo l’apprendimento al di là dell’età di riferimento ritenuta favorevole e,
a differenza della terapia riabilitativa
convenzionale, si avvale di un canale comunicativo privilegiato con il paziente
che va pure a stimolare la parte cognitivo-razionale, però attraverso un ingresso alternativo che non è condizionato
né dall’età né tantomeno dalla sola “ragione”, passando dalla parte più arcaica
del cervello fatta di ricordi, vissuti, emozioni e affetti. Si tratta di una vera rivoluzione in campo terapeutico.
La lettura che viene fatta dell’animale
può pretendere un posto di importanza scientifica poiché, nel percorso
riabilitativo, rappresenta l’elemento di
collegamento “individuale” tra corpo
e mente, in pratica è l’impulso tra pensiero ed emozione. La novità che
emerge dal progetto sperimentale è il
ruolo dell’animale stesso visto non più
come assistente, ma come promotore
attivo di conoscenza e trasformatore
di esperienza oltre che regolatore emotivo e interattivo. La terapia con il pet
assume forme diverse oltre a garantire
caratteristiche di plasticità e simmetria
dei ruoli. È proprio dal contatto con
l’animale che viene favorita la regressione, l’abbandono corporeo e psichico necessari a favorire l’intervento
terapeutico (riquadro 1).
Risultati
I bambini che hanno frequentato il
centro rientravano nelle seguenti categorie diagnostiche: disturbo disintegrativo dell’infanzia, disturbo d’ansia
generalizzato dell’infanzia; disturbo
dell’umore, DDA/I di tipo combinato,
disturbo impulsivo intermittente, disturbo d’apprendimento NAS, grave
25
Numero 1/2015
- aumento delle associazioni logiche;
- aumento del linguaggio e della comunicazione;
- riduzione della componente ansiogena generalizzata;
- miglioramento dell’abilità manuale e
grafica;
- miglioramento della coordinazione
motoria;
- diminuzione della goffagine;
- mentalizzazione dei legami.
©
Fotolia.com
Un caso…in particolare
disturbo della relazione, ritardo mentale, disturbo del comportamento,
fobia sociale, caratterialità, disturbo
di personalità dirompente, disturbo
ansioso di tipo ossessivo-compulsivo,
oltre che di tutti i tipi di recupero neurologici-ortopedici.
Ogni soggetto ha frequentato il nostro
centro una volta alla settimana per 50
minuti, per un periodo di 4 mesi.
I follow-up già a un mese dal primo
giorno di trattamento hanno messo in
luce: un’abbattimento delle manifestazioni di iperattività, in alcuni casi, l’aumento della collaboratività, la riduzione
della distraibilità, maggiore tempo di
ascolto, l’aumento significativo dei livelli attentivi, una maggiore reciprocità
nella relazione: ad esempio mentre inizialmente il bambino non cedeva al
coinvolgimento del terapista, successivamente lo stesso bimbo non vedeva
più lo scambio interattivo come un’attività di prevaricazione o di obbligo, ma
la viveva con entusiasmo e con partecipazione attiva. Anche le manifestazioni
di eteroaggressività e autopunizione si
sono ridotte nell’arco di due-tre sedute.
Alla fine dei quattro mesi si osserva:
- riduzione drastica dei comportamenti ticcosi, strutturati in un’organizzazione nevrotica e di dualismo
pulsionale (la latenza, già dopo quattro sedute, è arrivata ad almento
un’ora tra un episodio ticcoso e l’al26
tro; mentre alla fine dei quattro mesi
non si sono più osservati tali comportamenti);
- riduzione drastica della componente seduttiva e manipolativa anche in soggetti
con ritardo mentale, che comprendeva
il non ascolto degli altri, un comportamento di non interesse nei confronti
degli altri e autoritario nei confronti di
tutti, che si ripercuoteva sia a casa, sia
a scuola oltre che nel setting, (in pratica,
si è passati da una fase in cui il paziente
non si faceva coinvolgere in modo assoluto in qualsiasi attività proposta a
una fase in cui il bambino si faceva
coinvolgere completamente per tutti i
cinquanta minuti, manifestando entusiasmo, interesse e divertimento, rispettando le regole del gioco e dei turni);
- emersione del senso di colpa in soggetti autoritari e disinteressati agli
altri, prima per nulla presente;
- migliorata la qualità del gioco, nel
bambino impulsivo: dopo un mese il
gioco viene governato da un minimo
di regole;
- aumento della sicurezza personale;
- abbattuta l’ansia da separazione in
un bambino di anni 10, che già dalla
seconda seduta ha mostrato l’acquisizione del concetto di permanenza
dell’oggetto libidico; non solo questo
bambino, ma anche in una ragazza
di sedici anni si è arrivati alla mentalizzazione dei legami;
Nel corso della sperimentazione, dal
nostro centro sono passati tanti visi,
tante storie e tanti casi, ma forse, uno
in particolare può evidenziare maggiormente la validità di questa nuova
modalità riabilitativa.
Si tratta di un bimbo, di nove anni, con
un grave deficit mentale, senza quasi
nessun contatto con la realtà. Precedentemente era stato sottoposto a innumerevoli sedute di fisiokinesiterapia,
psicomotricità e logopedia, ma nessuna
di queste era riuscita ad aprire un varco
nel “suo mondo”; non dimostrava nessuna intenzione a deambulare, il massimo risultato era rimanere per qualche
secondo in piedi appoggiato a un piano,
con le gambe divaricate a base allargata.
Dopo il terzo mese di riabilitazione con
la pet-therapy, mentre era a casa, il bambino si è alzato da solo dalla carrozzella
per andare a prendere l’acqua. Da quel
momento in poi si è dimostrato più attento e più motivato a intraprendere
qualche piccola e semplice azione per
soddisfare i propri bisogni.
Questa sperimentazione ufficiale è stata
promossa dal direttore generale dell’ASL di Foggia, Ing. Attilio Manfrini,
che con spirito di innovazione ha accolto l’idea progettuale del direttore del
servizio Veterinario provinciale area C
dell’ASL Dott. Luigi Urbano.
Luigi Urbano1, Giovanna Dicarlo2
Servizio Veterinario ASL FG, Direttore del Progetto ufficiale sperimentale di Pet-Therapy
2
Psicologa e Responsabile dell’Equipe
Operativa di Pet-Therapy
1
Numero 1/2015
Rubrica legale
a cura di Mauro Gnaccarini
Responsabile Ufficio Legale
DISSOLVIMENTO DELL'AMMINISTRAZIONE E DELLA SANITÀ PUBBLICA?
Diritto alla salute, certezza
del diritto, equa e razionale
gestione della P.A., responsabilità
dirigenziale e degli Organi
di vertice. Frammenti, o frantumi
P
iccole parti, minute e irregolari,
nelle quali si riduce un oggetto
fragile rompendosi improvvisamente o progressivamente. Si tratta, secondo il dizionario, dei frammenti, o
dei frantumi; nei quali pare oggi dissolversi la pubblica amministrazione, perciò sia la res publica sia il governo
realmente democratico della stessa, che
sulla stessa P.A. poggiano le loro basi;
un sistema costituito da delicati equilibri, perciò allo stesso momento tanto
bello quanto fragile. Succede, nel nome
della madre di tutte le battaglie per l’efficientamento (sulla bocca di tutti, ma
non sul dizionario!) dello Stato: abbattere la corruzione e tutte le corruttele,
espellendo e cancellando dal novero dei
profittatori «quella massa di funzionari
e dirigenti pubblici fannulloni e inefficienti»; tale il leitmotif inaugurato da
taluni soloni e dai medesimi propu-
gnato e perseguito fin dall’inizio della
crisi; un modo per nasconderla, per negarne l’esistenza, ovvero per non doverne dichiarare le reali ragioni e non
dovere infine ammettere di non aver
trovato perlomeno rimedi ragionevoli.
Sicché, osservando basiti l’incapacità di
comprendere da parte dei Governi
quale portata abbia la trasversale e generale delegittimazione della propria
P.A., nella frammentazione del “sistema
Paese” appare sempre più evidente la
frantumazione del Sistema sanitario nazionale, universalistico e solidaristico,
che abbiamo conosciuto, insieme a
quello dello Stato di diritto che volle
scrivere nelle aule dei tribunali che la
legge è uguale per tutti. E con tutta la
fiducia che vogliamo ancora porre nella
magistratura, dobbiamo osservare
come molti ormai non riescano tuttavia
più a credere, se non nell’equità della
legge, che nel suo e enunciato è naturalmente uguale per tutti, nell’equità della
giustizia; per quanto ci riguarda, in particolare, nell’equità dei giudicati che interessano il mondo sanitario; dove per
equità, specie in tale contesto, non possiamo intendere soltanto l’equanime
applicazione della legge, ma anche e
specialmente un modo onesto ed etico
oltre che di legiferare anche di applicare
la legge stessa.
Testimoniano ormai, purtroppo largamente e diffusamente, del suddetto
stato di cose gli innumerevoli procedimenti e provvedimenti applicativi della
legge che di equo, nel suddetto senso e
in troppe sedi e circostanze, non paiono
aver granché.
Vogliamo perciò in questo numero portare all’attenzione del lettore alcuni dei
summenzionati frammenti, o frantumi,
seppure in estrema sintesi - “in quattro
27
Numero 1/2015
pillole” - con l’intento e l’auspicio di sostenere la vivacità del dibattito su tali
temi contribuendo, almeno un poco, a
combattere l’anestesia e l’acinesia che
rischia di affliggere, non incomprensibilmente, una platea sempre più vasta
della dirigenza veterinaria e medica del
nostro vituperato SSN.
UNO. Una devastante sentenza
del Consiglio di Stato
Nel numero 3/2014 avevamo segnalato
la gravità dell’Ordinanza n. 1894
dell’8/5/2014 con la quale il Consiglio
di Stato definiva il principio, ormai “costituzionalizzato”, dell’equilibrio di bilancio (erratamente indicato come
“pareggio”), come principio generale,
inderogabile e pervasivo, capace perciò,
in qualche modo, di superare ogni esigenza di bilanciamento con gli altri
principi costituzionali, in particolare
con il nucleo essenziale del diritto alla
salute, di cui all’art. 32 della Costituzione stessa. Francesco Pallante già allora suggeriva alcune riflessioni sulla
perniciosità di quanto statuito, rilevando che «l’ordinanza del Consiglio di
Stato […] - qualificando l’equilibrio di
bilancio “principio costituzionale inderogabile”, idoneo a prevalere anche sui
LEA - fa sorgere il dubbio, qualora dovesse trovare conferma in ulteriori pronunce (eventualmente anche della Corte
costituzionale), che si stia per entrare in
una nuova fase, nella quale a essere inderogabili saranno non più i diritti - o,
quanto meno, il loro nucleo essenziale
- ma le esigenze finanziarie. Se così
fosse, si tratterebbe […] di un completo
ribaltamento del punto di partenza, del
momento conclusivo di una parabola,
quella dei diritti, suscettibile di rimettere in discussione l’idea stessa di Stato
costituzionale contemporaneo” [“Il
Consiglio di Stato: dall’inderogabilità
dei diritti (sociali) all’inderogabilità dell’equilibrio di bilancio?” di Francesco
Pallante (Ricercatore di Diritto costituzionale, Università di Torino), in “Democrazia e Diritto” n. 1/2014]. Ora il
Consiglio di Stato, con la sentenza n.
604/2015, che dobbiamo osservare
come “devastante” rispetto all’impianto costituzionale classico, ha so28
stanzialmente confermato quanto alla
precedente Ordinanza; pur argomentando come, nel caso concreto, l’equilibrio di bilancio tutelato (quello
regionale, operato dalla Regione Piemonte con DGR n. 45-4248/2012), si
limitava (!!) a differire l’erogazione di
prestazioni rientranti nei LEA; sicché,
non essendo previsti dalla norma nazionale i tempi di erogazione delle stesse
prestazioni LEA, allora legittimamente
può la Regione determinare tali tempi
(fino al punto di differire per ben 90
giorni - nel caso de quo - la valutazione
di idoneità all’inserimento in adeguata
struttura di pazienti anziani, non autosufficienti, totalmente indigenti e in
condizioni di isolamento sociale). Lasciamo al lettore immaginare la portata
di una tale pronuncia ove applicata a
tutte le prestazioni LEA, in relazione
alla loro cogenza, impellenza, necessità,
rapportata all’urgenza delle prestazioni
stesse, ivi e in particolare comprese
quelle della prevenzione primaria; lasciamo immaginare i possibili effetti
sulle liste d’attesa esistenti, sulla - possibile - creazione di nuove liste di attesa,
sull’inevitabile trasferimento di talune
prestazioni ad altri organismi non appartenenti alle PP.AA. Sanitarie, sulla
conseguente privatizzazione dei profitti
sanitari e sulla corrispondente socializzazione della spesa sanitaria “non privatizzabile”; in definitiva sulla temibile
strada dei tagli al SSN che viene proposta per “risanare” il Paese e, più vicino
al nostro quotidiano, su ciò che potrebbe accadere ai servizi che, per ora,
eroghiamo ancora come attori; o che
forse, già ora, vanno in frantumi.
DUE. “Singolari effetti”
di una sentenza della Corte
Costituzionale
La Corte Costituzionale, con sentenza
n. 193/2014, ha sostanzialmente dichiarato incostituzionale la composizione
della CCEPS (Commissione Centrale
Esercenti Professioni Sanitarie), per
quanto attiene tutte le professionalità
sottoposte a tale Commissione ivi compresa perciò quella riguardante i veterinari. Senza entrare nel merito tecnico
delle ragioni per le quali risulta illegit-
tima la composizione di detta CCEPS,
ci pare dover formulare perlomeno due
osservazioni: 1) tale sentenza giunge
ora, nel 2014 (!) a conclusione di un
procedimento datato di oltre sei anni
(!!), in riferimento alla composizione di
un Organo giudicante in sede giurisdizionale pure speciale, istituito con
D.lgs.CPS. n. 233 già nel 1946, rimasto
immutato per così tanti anni nonostante numerosissime obiezioni siano
state nel tempo sollevate (nel procedimento disciplinare rimane prevista una
sola giurisdizione di merito - la CCEPS
- con la realizzazione di fatto, avvenuta
nel mese di settembre 1946, di una giurisdizione speciale in tale Commissione,
laddove la stessa Costituzione all’art.
102, in vigore dal gennaio 1948, ha poi
e invece vietato la formazione di giurisdizioni speciali); 2) nonostante la portata della sentenza in questione, appare
dunque assordante, dopo mesi dalla
pronuncia, il silenzio degli Organismi
ordinistici che dovrebbero garantire,
non solo nella prima fase del procedimento disciplinare (non giurisdizionale,
presso gli Ordini), ma anche e in particolare presso la Commissione de quo
(data la rilevanza della stessa e soprattutto l’illegittimità della stessa, spesso
ipotizzata in quanto giurisdizione speciale, ora dichiarata tale in riferimento
alla sua composizione), un procedimento che possa sempre risultare rispettoso di tutti i canoni del “giusto
processo”, in particolare in termini di
equità e terzietà del collegio giudicante
in ogni fase del giudizio, sia essa di
prima istanza sia di eventuale cassazione con rinvio. Non possiamo perciò,
al riguardo, non chiederci se e con
quale legittimità possa operare la
CCEPS in assenza, almeno, della necessaria revisione della propria composizione; una revisione che, per le suddette
ragioni, dovendo passare attraverso
l’emendamento di una fonte di legge
primaria, dovrebbe essere attuata previo confronto e coinvolgimento di tutte
le componenti professionali di ciascuna
professione interessata.
O, forse, permettendoci di dissentire
sulla - pur sostenuta - compatibilità
della CCEPS con l’anzidetta previsione
Numero 1/2015
costituzionale, occorrerebbe finalmente
ragionare più ampiamente sull’opportuna, se non necessaria, riconduzione
dell’eventuale procedimento giurisdizionale di opposizione alla sanzione disciplinare al giudice ordinario, in
ossequio alla ratio ed allo spirito della
Costituzione della Repubblica? Ci pare,
in proposito, valga la pena qui rammentare e riportare, anche per il valore
generale delle affermazioni, quanto sostenuto dal relatore Calamandrei in
seno ai lavori preparatori della Costituzione: «il principio della indipendenza
della Magistratura viene affermato, non
per favorire i magistrati, bensì per garantire ai cittadini la tutela dei loro diritti e soprattutto per mantenere fermo
quel grande vantaggio che è rappresentato dalla certezza relativa del diritto,
cioè la possibilità di trovare, con un
certo calcolo approssimativo di probabilità, una tutela nel giudice quando si
crede di aver ragione. Lasciando al Governo la potestà di creare organi speciali di giurisdizione, la Magistratura
potrebbe in effetti rimanere indipendente, ma con l’andar del tempo tutta
la materia ad essa demandata potrebbe
essere via via affidata a Tribunali speciali e i cittadini perderebbero così la
garanzia della tutela dei loro diritti»
(discussione sul potere giudiziario
svolta il 17 dicembre 1946 dalla seconda Sezione della seconda Sottocommissione della Commissione per la
Costituzione). Ma quanto di quel
“grande vantaggio” ancora resiste?
Frammenti, o forse frantumi.
TRE. La mobilità interna
e la “roteazione utile”
nelle aziende sanitarie
La trattazione dell’argomento necessita di richiamare all’attenzione del lettore l’integrale dettato dell’art. 4
comma 2 D.L. 90/2014 (conv. L.
114/2014): «Nell’ambito dei rapporti
di lavoro di cui all’art. 2, comma 2, i
dipendenti possono essere trasferiti
all’interno della stessa amministrazione o, previo accordo tra le amministrazioni
interessate,
in
altra
amministrazione, in sedi collocate nel
territorio dello stesso comune ovvero
a distanza non superiore a cinquanta
chilometri dalla sede cui sono adibiti.
Ai fini del presente comma non si applica il terzo periodo del primo comma
dell’art. 2103 del codice civile. Con decreto del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione,
previa consultazione con le confederazioni sindacali rappresentative e previa
intesa, ove necessario, in sede di conferenza unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.
281, possono essere fissati criteri per
realizzare i processi di cui al presente
comma, anche con passaggi diretti di
personale tra amministrazioni senza
preventivo accordo, per garantire
l’esercizio delle funzioni istituzionali
da parte delle amministrazioni che presentano carenze di organico. Le disposizioni di cui al presente comma si
applicano ai dipendenti con figli di età
inferiore a tre anni, che hanno diritto
al congedo parentale, e ai soggetti di
cui all’art. 33, comma 3, della legge 5
febbraio 1992, n. 104, e successive
modificazioni, con il consenso degli
stessi alla prestazione della propria attività lavorativa in un’altra sede».
Rammentiamo inoltre che il comma
2.2 aggiunge che «sono nulli gli accordi, gli atti o le clausole dei contratti
collettivi in contrasto con le disposizioni di cui ai commi 1 e 2». Ciò posto
in molte, troppe Amministrazioni, risulta che tale norma sia stata letta
come un “liberi tutti”; ovvero tutti liberi di disporre della vita dei dipendenti a piacimento, con l’adozione di
provvedimenti di mobilità interna
spesso autoritari e privi dei requisiti argomentativi, in ordine alla motivazione e all’applicazione delle norme,
senza i quali non può esservi legittimità in alcun provvedimento, nemmeno quando espressione del potere
datoriale dell’Amministrazione. Del
resto, rispetto a questo tema (e non
solo!), al contrario di troppa demagogica “fanfara”, risulta in diverse circostanze più tutelato il lavoratore privato
rispetto a quello pubblico (in proposito vedasi proprio la tutela della sede
di lavoro ex art. 2103 C.C., espressamente e vergognosamente sottratta al
lavoratore pubblico dal summenzionato dispositivo). Ma, in ogni caso, la
lettura della norma in questione non
può essere “libertina”; non può, infatti, prescindere dall’applicazione dell’art. 13 CCNL 8/6/2000 e dell’art. 16
CCNL 10/2/2004, entrambi vigenti e
per nulla in contrasto con la spravvenuta normativa; invero, l’applicazione
di quest’ultima non è nemmeno possibile se non previa individuazione della
sede di lavoro nel C.I. (obbligo largamente disatteso); inoltre, se da un lato
l’eventuale mobilità d’urgenza rimane
disciplinata esclusivamente dal citato
art. 16, ogni altra tipologia di mobilità, seppure più estesamente attuabile
“in termini chilometrici” secondo il
dettato del D.L. 90/14, deve necessariamente essere ancora inquadrata fra
le tipologie di cui al medesimo art. 16
e ne deve rispettare termini e modi,
giacché questi non confliggono in
alcun modo con quanto disposto dal
secondo comma del riportato articolo
di legge. Poi: la mobilità interna non
può e non deve essere confusa con la
rotazione, né la rotazione può essere
legittimamente utilizzata come fattore
di mobilità; né, tantomeno, rotazione
e mobilità possono surrogare l’applicazione di provvedimenti disciplinari
altrimenti discutibili (vd. infra). Eppure niente affatto marginali sono i
provvedimenti, vieppiù adottati nelle
aziende sanitarie, che si caratterizzano
per una malintesa lettura (se artata
l’aggettivo diventa improprio!) del dettato normativo. Così che: da un lato la
mobilità viene attuata con ordini di
servizio privi di motivazione (“esigenze
di servizio” non - ! - costituiscono valida motivazione, come affermato da
consolidata giurisprudenza e dottrina),
disposti oggi per domani, anche nei
confronti di dipendenti tutelati persino
dal summenzionato secondo comma
D.L. 90/14, nonché in modo arbitrario
per l’assenza pure della sede di lavoro
nei C.I.; dall’altro il principio della rotazione viene attuato in assenza di
qualsivoglia dialettica, mediante provvedimenti ancora una volta fondati su
postulati, in quanto concretamente
privi delle motivazioni e delle argo29
©
Fotolia.com
Numero 1/2015
mentazioni richieste dalla legge. Ma
detto principio, se fino a poco tempo
fa risultava in alcuni dispositivi di
legge e contrattuali solo e meramente
affermato, in ultimo è stato invece oggetto di chiare disposizioni applicative
derivanti dell’attuazione della Legge
190/2012 che ha previsto la formulazione del Piano Nazionale Anticorruzione (PNA) e di corrispondenti Piani
triennali di prevenzione della corruzione (PTPC). E il PNA ha in materia
previsto: 1) che la rotazione possa essere attuata soltanto previa identificazione degli uffici e servizi che svolgono
attività nelle aree a piu elevato rischio
di corruzione, da individuarsi mediante uno specifico procedimento di
analisi del rischio definito nello stesso
PNA; 2) l’individuazione, nel rispetto
della partecipazione sindacale, delle
modalita di attuazione della rotazione
in modo da contemperare le esigenze
dettate dalla legge con quelle dirette a
garantire il buon andamento dell’amministrazione, mediante adozione di
criteri generali e definizione dei tempi
di rotazione; 3) che per quanto riguarda gli incarichi dirigenziali, il criterio di rotazione deve essere
individuato nell’ambito dell’atto azien30
dale, laddove si declinano i criteri di
conferimento degli incarichi dirigenziali medesimi. Abbiamo, al contrario,
assistito alla redazione di numerosissimi PTPC nel noto stile “copia-incolla”, in relazione ai quali, in sede
attuativa, la rotazione, che doveva costituire uno fra gli strumenti utili alla
prevenzione della corruzione, è assurta
a panacea unica della corruzione stessa
(che certo è tra i mali peggiori del nostro Paese, non della PA), con buona
pace dell’analisi del rischio condotta
con oggettiva oculatezza; dunque con
l’applicazione del “metodo rotativo”
nei confronti di taluni dirigenti piuttosto che altri, non si comprende sulla
base di quali criteri (eufemisticamente
argomentando), perciò - chissà perché
- andando a destabilizzare servizi medici e veterinari nei quali la specializzazione professionale dei dirigenti ivi
operanti non può essere costruita e ricostruita se non con grande dispendio
di pubbliche risorse. Ma, nell’immaginifico collettivo, il mero annuncio a
mezzo stampa dell’adozione del provvedimento “correttivo” e di certa - ? efficacia («finalmente la nuova legge
capace di risolvere il problema corruzione è stata severamente applicata!»)
risulta rasserenante, in particolare per
tutti coloro i quali abbiano “efficacemente subito” la preventiva anestesia
operata dai demagoghi succedutesi
negli ultimi lustri. Così che, in definitiva, la mobilità, ineludibile presupposto, quando razionale, ragionevole,
motivata e legittima, di una necessaria
maggiore flessibilità lavorativa e operativa, nonché la rotazione, ottimo
principio, fra i tanti, da attuarsi oculatamente nella gestione della “cosa pubblica”, prima ancora di poter svolgere
benefici effetti sono già stati svuotati
della loro efficacia; ne residua una “roteazione” dei dirigenti sanitari, utile
soltanto secondo la logica del saper
fare [...] vedere; logica mai defunta, temiamo, nemmeno nella quarta repubblica. Per il Paese, per la res publica,
altri frantumi.
QUATTRO. Responsabilità
dirigenziale? Una nuova via
verso il malgoverno delle PP.AA.
Nel governo della res publica, dunque
delle PP.AA., la selezione dei migliori dirigenti deve avvenire mediante una corretta verifica di quanto svolto in periodi
di adeguata e preordinata durata (quella
del loro incarico), attraverso una valutazione circa la capacità di corrispondere alle responsabilità dirigenziali
conferite ai medesimi. Questa fu la ratio
ispiratrice della nuova stagione della dirigenza pubblica e sanitaria in particolare, inaugurata con il D.lgs. 502/1992
e concretizzata con la contrattualizzazione del rapporto di lavoro dei medesimi, a partire dal successivo CCNL
1994-1997 del 5/12/1996. I dirigenti sanitari hanno perciò voluto, non accettato, che la loro attività fosse valutata,
come correttamente doveva essere, sotto
il profilo della responsabilità dirigenziale. Tale responsabilità, nel contesto di
nostro interesse, è imputabile al pubblico dirigente quale conseguenza sia del
mancato o insufficiente raggiungimento
degli obiettivi annuali (legati alla retribuzione di risultato che, nel caso, può
essere decurtata), sia del mancato o insufficiente raggiungimento degli obiettivi “di mandato” (indicati nel contratto
individuale quale oggetto dell’incarico
Numero 1/2015
affidato, cui può pertanto conseguire
l’impossibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale e la conseguente riduzione retributiva), sia di accertate
“incapacità” professionali e/o organizzative, sia della colpevole violazione del
dovere di vigilanza sul rispetto, da parte
del personale assegnato ai propri uffici,
degli standard quantitativi e qualitativi
fissati dall’amministrazione (con le
stesse possibili conseguenze sopra enunciate). Il rilievo di responsabilità dirigenziale può perciò comportare effetti
rilevanti sia di tipo economico sia soprattutto incidenti sulla posizione e sulle
funzioni accordabili ai dirigenti stessi,
per tale ragione con chiara efficacia sul
buon andamento della pubblica amministrazione sanitaria; può del resto
anche comportare, nei casi più gravi, il
recesso dal rapporto di lavoro. La nuova
stagione, inaugurata dai “provvedimenti
Brunetta”, nella quale si è assistito alla
schizofrenica decontrattualizzazione del
pubblico impiego nel nome di una maggiore privatizzazione del potere datoriale
delle pubbliche ammnistrazioni, è stata
fra l’altro caratterizzata dall’introduzione
di una pervasiva responsabilità disciplinare nei confronti della dirigenza pubblica, con la previsione delle sanzioni
conservative anche per tale livello, invero
mai previste nel sistema aziendale privato
(!!). La pericolosa pervasività del nuovo
sistema disciplinare è stata subito percepita dai dirigenti che storicamente vollero invece essere valutati in quanto
dirigenti; tanto che nell’ultima tornata
contrattuale, prima del noto “blocco”,
il CCNL ha chiaramente precisato che
«Costituisce principio generale la distinzione tra le procedure ed i criteri di valutazione dei risultati e quelli relativi alla
responsabilità disciplinare, anche per
quanto riguarda gli esiti delle stesse. La
responsabilità disciplinare attiene alla
violazione degli obblighi di comportamento, [...] e resta distinta dalla responsabilità dirigenziale, [...] che invece
riguarda il raggiungimento dei risultati
in relazione agli obiettivi assegnati, nonché la capacità professionale, le prestazioni e le competenze organizzative dei
dirigenti [...] (CCNL 2006-2009 sequenza 6/5/2010 art. 5). Ma dobbiamo
osservare come ciò sia rimasto diffusamente “lettera morta”; anche perché la
confusione è stata generata in radice nel
dettato degli stessi codici disciplinari ex
D.lgs. 150/2009 come inevitabilmente
declinati nei contratti collettivi di categoria. Infatti, ai sensi dell’art. 8 della
succitata “sequenza contrattuale”, risponde in via disciplinare il dirigente imputabile anche e soprattutto delle
seguenti fattispecie: 1) inosservanza
della normativa contrattuale e legislativa vigente, nonché delle direttive, dei
provvedimenti e delle disposizioni di
servizio; 2) comportamento negligente
nella compilazione, tenuta e controllo
delle cartelle cliniche, referti e risultanze
diagnostiche; 3) inosservanza degli obblighi previsti in materia di prevenzione
degli infortuni o di sicurezza del lavoro;
4) violazione del segreto d’ufficio; 5) tolleranza di irregolarità in servizio, di atti
di indisciplina, di contegno scorretto o
di abusi di particolare gravità da parte
del personale dipendente; 6) mancato rispetto delle norme di legge e contrattuali
e dei regolamenti aziendali in materia di
espletamento di attività libero professionale; 7) comportamenti omissivi o mancato rispetto dei compiti di vigilanza,
operatività e continuità dell’assistenza al
paziente, nell’arco delle ventiquattro
ore, nell’ambito delle funzioni assegnate
e nel rispetto della normativa contrattuale vigente; 8) qualsiasi comportamento negligente, dal quale sia derivato
grave danno all’azienda o a terzi. Si
tratta tuttavia di eventi negativi tutti derivanti da inadeguatezza del dirigente
nell’espletamento delle funzioni proprie
dello stesso, ivi comprese le tipiche responsabilità in eligendo e in vigilando.
Il “nuovo corso” ha perciò attribuito un
forte profilo disciplinare a comportamenti che, ove inadeguati, dovrebbero
determinare - invece ed evidentemente una responsabilità dirigenziale; e ora, a
distanza di alcuni anni, assistiamo nella
maggior parte dei casi all’attivazione di
procedimenti disciplinari il cui oggetto
risultano essere proprio mancanze delle
tipologie sopra prospettate, non certo
inadeguatezze prettamente comportamentali (le sole che, a buon titolo e correttamente, potrebbero e dunque
dovrebbero essere perseguite in sede disciplinare). La giurisprudenza inizia a
darne atto e, nel constatare l’incremento devastante del contenzioso, causato per lo più da tale confusione,
risulta evidente come si vada in tal
modo ad aggravare il carico giudiziario
costringendo il Giudice a occuparsi di
situazioni che ben potrebbero trovare
soluzione internamente alle stesse Amministrazioni; in particolare ove malaccorti demolitori della P.A. non avessero
provveduto ad un’accurata delegittimazione della dialettica sindacale che, proprio nel caso della dirigenza, fu invece
il motore del suddetto sistema della responsabilità dirigenziale correlata agli
incarichi (né si può affermare, se non in
malafede, che il sistema non abbia funzionato perché inefficace, giacché il
contenzioso giudiziario derivante dalla
non corretta applicazione dei contratti
collettivi testimonia casomai, laddove
presente, di una probabile inadeguatezza dell’Organo di vertice).
Non è la prima volta che trattiamo in
questa rubrica di questo tema; ma vituperare il dirigente sanitario, aggredendo
presunte responsabilità disciplinari
“manuale alla mano”, è chiaramente
più comodo che valutare il dirigente
stesso per quello che fa e per come lo
fa; procedimento assai più faticoso per
le direzioni delle aziende sanitarie, soprattutto qualora, come necessario, il
percorso venga correttamente attuato
mediante la previsione condivisa di criteri oggettivi e applicabili e di indicatori
credibili e misurabili, tutti fattori che
constatiamo frequentemente elusi nell’ambito dei procedimenti di valutazione.
Del resto, se l’obiettivo è quello di affidarsi a comodi sistemi di gestione ad
personam della dirigenza, il sistema
disciplinare appare (pare!) certamente
funzionale (“tanto poi, eventualmente, ci pensano i Giudici” - vd.
punto 2 - [...], costi ed efficacia ovviamente a parte); peccato che all’implementazione del sistema disciplinare
corrisponda la proporzionale demolizione del sistema della responsabilità
dirigenziale, con il conseguente degrado del buon governo.
31
Numero 1/2015
Sentenze e pareri
a cura di Domenico D’Addario
Giurisdizione e competenza - Impiego
pubblico - Sanitario USL - Conferimento incarico struttura complessa Controversie - Giurisdizione A.G.O.
La procedura di selezione per il conferimento dell’incarico di dirigente di
struttura sanitaria complessa prevista
dall’art. 15 del D.lgs. 30 dicembre 1992,
n. 502, non ha carattere concorsuale in
quanto si articola secondo uno schema
che prevede non lo svolgimento di prove
selettive con formazione di graduatoria
finale e individuazione del candidato
vincitore, ma la scelta di carattere essenzialmente fiduciario di un professionista ad opera del direttore generale di
una Azienda sanitaria locale nell’ambito
di un elenco di soggetti ritenuti idonei
da un’apposita commissione sulla base
di requisiti di professionalità e capacità
manageriali; pertanto, tutte le controversie attinenti a detta procedura di selezione rientrano nella giurisdizione del
giudice ordinario, in quanto hanno ad
oggetto atti adottati in base alla capacità e ai poteri propri del datore di lavoro privato ai sensi dell’art. 5 T.U. 30
marzo 2001, n. 165.
Conferma: Cass. Civile SS.UU. 5 marzo
2008, n. 5920 Sez. Lavoro 13 maggio
2009 n. 11009 Tar Lecce, Sez. II, 30
gennaio 2010, n. 383. Tar Puglia Lecce, Sez. II, 14 marzo 2013, n. 588.
Animali-Cani - Cani pericolosi - Trattenimento in osservazione - Presupposti
- Fattispecie - Illegittimità
È illegittima l'ordinanza con la quale il
Comune trattiene un cane in osservazione dal servizio veterinario (e impone
al proprietario di seguire un corso di
accrescimento di educazione civica e
32
senso di responsabilizzazione), nel caso
in cui l’animale non faccia parte della
lista di razze pericolose, non abbia
morso o commesso aggressioni nei confronti di persone non potendo l’amministrazione procedere alla rieducazione
del cane a cagione del fatto che il suo
proprietario lo porti al guinzaglio o con
la museruola, senza peraltro indicare
nel provvedimento quali episodi da imputarsi al comportamento dell'animale
(rectius cattiva condotta del suo padrone), avrebbero creato gli asseriti problemi di incolumità e di sanità pubblica
(nella specie si trattava di un cane di
razza meticcio Malamute).
TAR Lazio-Roma, Sez. II ter, 3 luglio
2013,n. 6575.
1. Ricorso giurisdizionale - Legittimazione - Attività-Estensione
2. Animali - Colombi - Cattura o soppressione con eutanasia - Ordinanza
sindacale - Impugnazione Lega antivivisezione - È llegittimata.
1. In tema di impugnativa giurisdizionale,
oltre alla legittimazione riconosciuta ex
lege alle Associazioni ambientalistiche dagli art. 13 e 18 L. 8 luglio 1986, n. 349 e
dall’art. 310 D.lgs. 3 aprile 2006 n. 152,
continuano ad applicarsi a tutte le Associazioni, anche se sprovviste della suddetta
legittimazione legale, i criteri fondati sull’effettivo e non occasionale impegno a
favore della tutela di determinati interessi
diffusi o superindividuali, sull’esistenza di
una previsione statutaria che qualifichi
detta protezione come un istituzionale
compito dell’associazione, nonché sulla rispondenza del paventato pregiudizio agli
interessi giuridici protetti posti al centro
principale dell’attività dell’associazione.
2. La Lega antivivisezione può impugnare
l’ordinanza con la quale il Sindaco dispone il prelievo di esemplari di colombi
mediante cattura e loro soppressione mediante eutanasia, in quanto associazione
non occasionale avente lo scopo della opposizione ad ogni forma di violenza sul
mondo animale e della tutela del diritto
alla vita di ogni essere vivente.
Consiglio di Stato - Sez. V, 15 luglio
2013 n. 3808.
Animali - Gatti di razza - Istituzione
libro genealogico - Diniego di autorizzazione - Illegittimità - Fattispecie
È illegittimo il diniego dell’autorizzazione a istituire e gestire un nuovo libro
genealogico (rispetto ad altro già rilasciato solo parzialmente coincidente)
del gatto di razza, in assenza di accertata carenza di requisiti in capo all’associazione richiedente
TAR Lazio, Roma, Sez. II ter, 15 maggio 2014, n. 5134.
Industria e commercio - Industrie
e lavorazioni insalubri. Nocività della
lavorazione - Accertamento in concreto
- Necessità
In applicazione dell’art. 216 T.U. 27 luglio
1934, n. 1265, l’industria nociva, per il
cui insediamento devono essere riservate
apposite zone da parte dello strumento
urbanistico generale, richiede espressamente che detta “nocività” sia accertata
in concreto, vale a dire che il processo
produttivo in essa destinato a svolgersi
determini un inquinamento ambientale
“mediante fumi, polveri, umori, sostanze
tossiche ed acque inquinanti”.
Consiglio di Stato, Sez. V, 4 settembre
2013, n. 4409.
Numero 1/2015
Animali - Cani randagi - Divieto di
somministrazione cibo - Illegittima
È illegittima l’ordinanza con la quale il
Sindaco ha vietato la somministrazione
di cibo ai cani randagi, in città, tenendo
presente che se è vero che il randagismo
è un fenomeno deteriore, una problematica sociale da prevenire e risolvere,
è altresì vero che non è consentito a
nessuno di farlo mediante trattamenti
contrari al senso umano e al rispetto
dovuto agli animali domestici che, come
il cane, vivono da millenni uno speciale
rapporto simbiotico con l’uomo, dovendosi considerare che privare i cani
randagi del cibo somministrato da occasionali fornitori della strada equivale
a ridurli alla fame, a costringerli a rovistare tra i rifiuti, o addirittura a diventare aggressivi per procurarsi cibo.
TAR Molise, 17 settembre 2013, n. 527.
1. Caccia - Cani da caccia - Addestramento - Art. 1 comma 1 lett- b) L. reg.
Lombardia n. 15 del 2012 - Incostituzionalità
2. Caccia - Cani da caccia - Addestramento - Art. 2 comma 3 L. reg. Veneto
n. 31 del 2012 - Incostituzionalità in
parte qua
3. Animali - Cani - Identificazione mediante tatuaggio - Art. 2 comma 2 L.
reg. Veneto n. 31 del 2012 - Incostituzionalità in parte qua
1. L’art. 1 comma 1 lett- b) L. Reg.
Lombardia 31 luglio 2012 n. 15, che
disciplina l’allenamento e l’addestramento dei cani da caccia con legge regionale, e quindi al di fuori della pianificazione
faunistico-venatoria
prevista dall’art. 10 L. 11 febbraio
1992, n. 157, e senza relative garanzie
procedimentali imposte dalla stessa
legge (art. 18), integra una violazione
degli standard minimi e uniformi di
tutela della fauna fissati dal legislatore
statale nell’esercizio della sua competenza esclusiva in materia, ai sensi
dell’art. 117 comma 2 lett. s) Cost.
2. L’art. 2 comma 3 L. reg. Veneto
10 agosto 2012, n. 31, nella parte in
cui prevede che le attività di movimento di giovani cani da esso consentite possano riguardare i giovani
cani destinati all’esercizio dell’attività
venatoria, disciplinando l’allenamento e l’addestramento dei cani da
caccia con legge regionale, e quindi
al di fuori della pianificazione faunistico-venatoria prevista dall’art. 10
L. 11 febbraio 1992, n. 157, e senza
relative garanzie procedimentali imposte dalla stessa legge (art. 18), integra una violazione degli standard
minimi e uniformi di tutela della
fauna fissati dal legislatore statale nell’esercizio della sua competenza esclusiva in materia, ai sensi dell’art. 117
comma 2 lett. s) Cost.
3. L’art. 2 comma 2 L. reg. Veneto 10
agosto 2012, n. 31, nella parte in cui,
attraverso il rinvio all’art. 4 L. reg. 28
dicembre 1993, n. 60, ammette il sistema di identificazione dei cani mediante tatuaggio, viola dell’art. 117
comma 1 Cost., in quanto è in palese
contrasto con l’art. 4 comma 1 Regolamento del Parlamento europeo e del
Cosiglio n. 998/2003 del 26 maggio
2003, il quale prevede che dopo un
periodo transitorio (di otto anni) nel
corso del quale sono consentiti quali
mezzi di identificazione dei cani sia il
tatuaggio sia il sistema elettronico di
identificazione (così trasponditore o
microchip), a decorrere dal 3 luglio
2012 i cani i identificano solo con il
microchip.
Corte Costituzionale, 17 luglio 2013,
n. 193.
Giurisdizione e competenza - Impiego
pubblico - Concorso - Scorrimento graduatoria - Controversia - Giurisdizione
A.G.O.
La controversia avente per oggetto lo
scorrimento di una graduatoria concorsuale rientra nella giurisdizione del
giudice ordinario in quanto non appartiene alla fase della procedura selettiva ovvero al controllo giudiziale
sulla legittimità della scelta discrezionale operata dall’Amministrazione la
cui tutela è demandata al giudice cui
spetta il controllo del potere amministrativo ma alla fase successiva e connessa relativa agli atti di gestione del
rapporto di lavoro.
TAR Puglia, Lecce, Sez. II, 27 settembre
2013, n. 2049. Cfr. Cons. Stato, Sez III.
Le massime sono tratte dalla
Rassegna mensile Giurisdizione
Amministrativa per gentile
concessione della Soc. Edizioni Libra.
www.sentenzeitalia.it
33
Numero 1/2015
L’altra informazione
Pensieri critici di Caterina Pennesi
Pecorino e corna
L
assù sui Monti Azzurri, dove il verde
dei pascoli è interrotto da qualche
macchia bianca che improvvisamente cambia forma e dimensioni e il silenzio è molestato dai fischi dei pastori,
che richiamano le greggi e dall’abbaiare
dei cani, qualcosa di magico si compie.
Sono luoghi incantati, dove Guerrin
Meschino cercava risposte dalla Sibilla
nelle grotte buie e scure.
Tutto trova una sua quiete nell’equilibrio della natura con prati appiccicati
ai monti come il muschio dei presepi.
Le pecore avanzano verso le vette alte
alla ricerca di nuove foglioline da assaggiare e nelle ore più calde si accalcano
al riparo di una grande pianta ombrosa
in attesa del pastore che porti loro
acqua per sedare la sete.
La montagna con calma serafica e bucolica accoglie i suoi ospiti temporanei
per poi rinchiudersi a dormire sotto la
bianca coltre della neve.
La vita scorre lenta e con ritmi precisi.
La mattina presto c’è la mungitura. Gli
ovini conoscono bene gli orari e si lasciano tranquillamente raggruppare per
essere incanalati in corridoi stretti fatti al
momento, dove il pastore li blocca, li
munge a uno a uno e poi di nuovo li lascia
liberi di pascolare, dopo avere raccolto in
grosse taniche di alluminio un latte speziato e profumato pronto ad essere trasformato in pecorini e ricotte, che
riassumono tutti gli odori della montagna.
Il casaro sa bene che ad ogni stagione
avrà un mutare di sapori nei propri prodotti e sapientemente doserà tempi e
temperature nel lavorare il latte con il
caglio e alla fine aggiungerà il sale e i
formaggi traboccheranno di aromi.
E nella sacralità di questi gesti e questi
ritmi nascono gli amori che a volte
ignorano la legittimità delle unioni.
Così il pastorello Titiro, stufo di ripararsi sotto l’ombra di un faggio, cer-
34
cherà e consumerà amori furtivi e clandestini, ben sapendo che quando le
cime più alte dei monti cominceranno a
incanutire e il freddo renderà gelide le
notti, egli tornerà con il suo gregge
stanco a valle al calore tranquillo della
sua casa, dove l’aspettano felici e ignari
la moglie e i figli raccolti intorno al
desco familiare.
Ma nel buio delle tenebre egli non sa che
l’amore furtivo e clandestino gli è dato
da un’amante avida e crudele che si tramuta in strega e di nascosto prepara una
pozione velenosa per le sue pecore da
vendere al suo amante come dono prezioso per guarirle da ogni male.
Il pastorello compra la pozione, ma è
confuso. I suoi animali stanno bene e
producono un latte profumato e in
grande abbondanza.
Allora l’amante avida e crudele gli dice
che se le sue pecore prenderanno la pozione magica non si ammaleranno mai
più e avranno tanti agnelli e tanto latte.
E allora il pastorello innamorato dà la
pozione ai suoi animali pensando che
presto essi saranno immuni da ogni male.
Ma dopo pochi giorni, tutte le pecorelle
si ammalano, alcune perdono i loro
figli, perché non hanno più latte, altre
muoiono, i piccoli che nascono sono
mostri a due teste e sei zampe.
Il pastorello non capisce, è rovinato, è furioso con la sua amante, ma lei dice che
deve continuare, perché poi tutto andrà
bene. E così muoiono tutte le pecore.
Allora il pastore segue di nascosto
l’avida amante fino alla sua grotta e
vede che questa si tramuta in un orrido
enorme camaleonte che balla con altri
orchi che bevono e ridono e si spartiscono il bottino di morte.
Ma qualcosa attira di più la sua attenzione. L’orrido camaleonte fa vibrare la
sua lunga lingua per bere dal calice.
È una grande lunga lingua blu.
Numero 1/2015
Veterinaria nel mondo
a cura di Vitantonio Perrone e Valentina Ceci
Corea del Sud:
caso di influenza
aviaria in un cane
A febbraio la Repubblica di Corea
ha confermato un raro caso di influenza aviaria in un cane nel Sud del
Paese e più precisamente nella contea
di Goseong. Il virus è stato riscontrato
in uno dei tre cani presenti in un allevamento di anatre in cui alla fine di
gennaio 2015 era stata confermata la
presenza del virus H5N8.
«Nessuno dei tre cani mostrava i sintomi del virus dell’influenza aviaria
quando i loro campioni di DNA sono
stati sottoposti ai test, e due di loro
non avevano né gli antigeni né gli anticorpi al virus, confermando in parte
che non c’è stata trasmissione da cane
a cane» ha affermato il Ministro dell’agricoltura, alimenti e affari rurali,
secondo il quale il cane potrebbe aver
consumato animali infetti. Non è il
primo caso di questo tipo: a marzo
2014 undici cani in due differenti allevamenti risultarono positivi al virus
dell’influenza aviaria. Per i funzionari
del Ministero le possibilità che il virus
colpisca gli uomini sono quasi nulle,
considerato anche che nessun caso umano di infezione da H5N8 è stato riportato a livello mondiale. Tutti i lavoratori
dell’allevamento colpito sono stati sottoposti a controlli e nessuno è risultato
positivo.
Scoperto un nuovo
Borna virus in
Germania
Tra il 2011 e il 2013 tre uomini, tutti
allevatori di scoiattoli della specie Sciurus
variegatoides sono deceduti per encefalite nel lander di Sassonia-Anhalt e
tali episodi hanno dato il via a una
serie di indagini approfondite per individuarne l’eziologia.
Il Centro nazionale di ricerca per la
salute degli animali “Friedrich Loeffler
Institute” (FLI) ha annunciato di
aver individuato un nuovo Bornavirus
attraverso l’analisi genetica di campioni organici provenienti da scoiattoli
presenti in uno dei tre allevamenti,
che potrebbe aver infettato gli allevatori. Il virus è stato infatti successivamente rinvenuto anche in campioni
organici prelevati da uno degli allevatori deceduti.
La via di trasmissione del virus all’uomo
rimane sconosciuta anche se appare
plausibile che il contagio possa essere
avvenuto attraverso morsi e graffi provocati dagli scoiattoli. In ogni caso
l’Istituto avverte che al momento sono
da evitare contatti diretti con gli scoiattoli
variegati.
Resta inoltre da chiarire se e come il
nuovo virus, potenzialmente zoonotico, sia giunto in Germania e se abbia
colpito gli scoiattoli per il tramite di
altre specie.
La prima GELATINA
HALAL di origine
Animale in Europa
Per la prima volta in Europa una gelatina
di origine animale, in questo caso di pesce,
ha ottenuto la certificazione Halal. L’authority di certificazione HIA - Halal International Authority - ha monitorato
tutti i metodi di produzione, le norme di
igiene, sicurezza e qualità con un occhio
particolare al rischio di contaminazione
incrociata. Almeno l’80% della Gelatina
usata in Europa è prodotta da pelli suine,
solo una piccola quantità deriva da ossa
di bovino e di pesce. La gelatina animale
è un prodotto largamente utilizzato nelle
filiere di produzione per le sue proprietà
leganti, gelificanti e stabilizzanti. Ad esempio l’industria alimentare usa la Gelatina
nelle caramelle gommose, nelle creme,
negli yogurt e formaggi mentre l’industria
farmaceutica la utilizza nei rivestimenti
delle capsule in quanto queste proteggono
i principi attivi e le vitamine dall’ossigeno
e dalla luce.
Completato il progetto STEP, un passo
decisivo per proteggere gli impollinatori europei
Si è concluso il progetto Status and
Trends of European Pollinators (STEP)
avviato nel 2010 con un finanziamento
35
Numero 1/2015
della Commissione europea e finalizzato
a comprendere meglio le cause, la natura
e l’estensione del declino degli impollinatori - che rappresenta una minaccia
per la biodiversità, la disponibilità alimentare e l’economia - capire di quali
specie abbiamo più bisogno e perché e
quali sono le principali forze motrici che
influenzano i livelli della popolazione
È stata annunciata la pubblicazione di un
’“Atlante del rischio climatico e della distribuzione dei bombi europei”, nel quale
i cambiamenti climatici sono identificati
come una delle principali minacce per
questo gruppo di impollinatori. La relazione, ultima di una serie di oltre 50 pubblicazioni, prevede le conseguenze di diversi
scenari di riscaldamento globale per gli
anni 2050 e 2100. Nello scenario intermedio e più grave, secondo le previsioni,
tra le 14 e 25 specie perderanno quasi
tutte le zone a loro adatte dal punto di
vista climatico, saranno quindi necessarie
strategie di mitigazione forti per conservare
queste importanti specie e assicurare un’appropriata fornitura dei servizi di impollinazione. Una delle possibili soluzioni consisterebbe nella copertura del terreno confinante con un terreno coltivato, con un
misto di fiori per attrarre gli impollinatori
e aiutarli a colonizzare nuovi spazi. Il
team ha osservato una crescita del 500%
nell’abbondanza di impollinatori grazie a
questa iniziativa. Il documento conclusivo
del progetto comprende una Lista rossa
delle api, una serie di strumenti e metodologie per guidare il monitoraggio e la
valutazione degli impollinatori e informazioni utili ai responsabili delle decisioni.
Secondo il team, i decisori europei dovrebbero concentrarsi sullo sviluppo di
valide prove scientifiche a sostegno dei
provvedimenti politici e pratici mirati alla
salvaguardia degli impollinatori.
Salmonella
e Campylobacter
mostrano significativi
livelli di resistenza ai
comuni antimicrobici
in esseri umani e animali
EFSA-ECDC hanno pubblicato una relazione sulla resistenza agli antimicrobici
36
in batteri zoonotici e indicatori provenienti da esseri umani, animali e alimenti
nell’UE, sui dati raccolti nel 2013.
Per la prima volta sono stati utilizzati
criteri analoghi per interpretare i dati:
«I risultati sulla resistenza agli antimicrobici in esseri umani, animali e alimenti
sono ora meglio confrontabili. E questo
è un passo avanti nella lotta contro la
resistenza agli antimicrobici», ha dichiarato Marta Hugas, del dipartimento
“Valutazione del rischio e assistenza
scientifica” dell’EFSA.
Fra le conclusioni principali del rapporto
si segnala:
La resistenza in Salmonella ad antimicrobici di uso comune è stata rilevata di
frequente in esseri umani e animali (soprattutto in polli da carne e tacchini) e
nei prodotti a base di carne da essi derivati.
La multiresistenza si è rivelata elevata
(negli esseri umani 31,8%, nei polli da
carne 56,0%, nei tacchini 73,0%, e nei
suini da ingrasso 37,9%), e la persistente
diffusione di cloni particolarmente multiresistenti riferiti in isolati sia da esseri
umani sia da animali (polli, suini e bestiame) costituisce motivo di preoccupazione. Negli alimenti la resistenza è stata
rilevata nella carne di pollo. La resistenza
alla ciprofloxacina, un antimicrobico di
importanza primaria, si è rivelata particolarmente elevata negli esseri umani (il
che implica che le opzioni di trattamento
per infezioni gravi da tali batteri zoonotici
siano ridotte). In Campylobacter jejuni
oltre la metà degli isolati sia umani sia da
pollo (54,6% e 54,5% rispettivamente)
si sono rivelati resistenti, insieme al 35,8%
nei bovini. In Campylobacter coli due
terzi degli isolati da esseri umani e da
polli (rispettivamente il 66,6% e il 68,8%)
si sono rivelati resistenti, assieme al 31,1%
di isolati da suini.
I livelli di co-resistenza ad antimicrobici
di importanza primaria in Salmonella
si sono rivelati bassi (lo 0,2% negli
esseri umani, lo 0,3%, nei polli da
carne, assenti invece in suini da ingrasso
e tacchini). I livelli di multiresistenza e
co-resistenza ad antimicrobici di importanza primaria in isolati di Campylobacter sono stati generalmente segnalati
da bassi a moderati negli animali (in
isolati di C. jejuni da polli da carne e
bovini rispettivamente lo 0,5% e l’1,1%;
in isolati di C. coli da polli da carne e
suini da ingrasso rispettivamente lo
12,3% e il 19,5%,) e a livelli bassi in
esseri umani (1.7% in C. jejuni e il
4.1% in C. coli).
World Veterinary
Day Award:
le malattie da
vettori con potenziale zoonotico
Le malattie da vettore con potenziale
zoonotico sono il tema selezionato
per il World Veterinary Day Award
2015, il premio ideato nel 2008 da
World Veterinary Association e OIE
per celebrare la professione veterinaria
e metterne in risalto il ruolo nella società.
Il tema è stato scelto perchè le malattie
da vettore zoonotiche stanno diventando sempre di più una minaccia
per la sanità pubblica in tutte le
regioni del mondo, non solo per le
aree tropicali e sub-tropicali. Rappresentano inoltre un esempio significativo dell’interdipendenza esistente
tra vettori, animali ospiti, patogeni,
popolazione umana suscettibile e condizioni climatiche. I cambiamenti climatici in particolare influenzano l’aumento delle malattie da vettore emergenti e riemergenti. I medici veterinari
svolgono un ruolo di primo piano
nell’ambito del concetto di One Health, ovvero della correlazione uomoanimale-ambiente e, di conseguenza,
un ruolo centrale nella salvaguardia
della salute pubblica. La collaborazione e il coordinamento fra veterinari
e medici sono fondamentali per la
prevenzione e il trattamento delle malattie da vettore.
Il WVD 2015 Award sarà assegnato all’associazione che avrà saputo promuovere al meglio il tema. Il vincitore sarà
annunciato durante la cerimonia di
apertura dell’ 83ª Sessione Generale
OIE che si terrà a Parigi il 24 maggio
2015 e sarà invitato al 32° Congresso
Wva che si terrà a Istanbul dal 13 al 17
settembre 2015, nell’ambito del quale
riceverà il premio di 1.000 $.
Numero 1/2015
Parliamo anche di...
a cura di Vitantonio Perrone
… rabbia e lettiera
È
indubbio che l’attuale presenza di cani
in moltissime case è il
frutto di un rinnovato atteggiamento nei loro confronti che, se ora sembra
ormai scontato tanto da essere annoverati come d’affezione o familiari (tanto
che alcuni avevano ipotizzato il loro inserimento
nello stato di famiglia),
tanto scontato non era sino
a qualche decennio fa, e
cioè fino a quando la presenza della rabbia rappresentava quello spettro che
faceva ancora vedere i cani
come untori di quella tremenda malattia. L’eradicazione della malattia (mai
abbassare la guardia!) ha in
breve tempo eradicato
anche diffidenze e paure
verso i cani favorendo così
la loro presenza su divani e
poltrone delle case italiane.
Passaggio simile e anche
numericamente più consi- Copertina del libro di Charles Mingus.
stente ha riguardato i gatti
che da mangiatopi ospitati
in granai e cantine sono anch’essi en- rizzazione dei gatti da cosa è stata fatrati nelle case di milioni di italiani, vorita? Sarà decisamente prosaico,
in particolare di quelli per cui le cure ma è la lettiera che, rendendo possirichieste dai cani non sono sostenibili bile la soddisfazione dei bisogni priassai spesso per via di ritmi urbani mari dei felini con loro piena
sempre più frenetici. Ma la familia- soddisfazione etologica, ha svinco-
lato i loro proprietari dalla necessità
di accompagnarli a evacuare come è
sempre necessario per i cani.
La lettiera per gatti fu industrializzata
da un americano che trovò così un’insperata miniera d’oro per sé e i suoi
37
Numero 1/2015
eredi, ma il consumo in tutto il mondo
sviluppato di milioni di confezioni di
tali materiali sta comportando anche
problemi di impatto ecologico sia per
l’estrazione sempre più imponente
delle argille da insaccare e spedire in
tutto il mondo sia per il loro smaltimento come quota sempre più significativa tra i rifiuti urbani.
Non mancano i tentativi di sostituire
le argille minerali con nuovi ritrovati
a minor impatto ecologico. Alcuni
anni fa si ebbe notizia che l’austra-
liana Jo Lapidge aveva brevettato
Litter-Kwitter un metodo per far utilizzare al gatto il water del bagno di
casa eliminando così l’acquisto della
lettiera e tutte le incombenze conseguenti. Ma tale notizia ignorava un
illustre precedente visto che il celebre
jazzista Charles Mingus aveva adottato, e non solo, tale sistema.
Infatti, il musicista non ancora all’apice della sua fama, da poco trasferitosi con la moglie a New York in un
piccolo monolocale della 3rd Avenue,
al termine di un suo spettacolo incontrò un gatto nero e bianco che, chiamato Nightlife, portò con sé a casa.
Ma gli spazi erano così ridotti da non
consentire il posizionamento di una
cassetta per la lettiera. Il genio, non
solo musicale, di Mingus ideò un metodo per addestrare man mano Nigthlife a utilizzare il water di casa e a
quel punto il jazzista decise di diffondere tale idea pubblicandola come
“The Charles Mingus CAT-alog for
Toilet Training Your Cat”.
Recensione libri
Conoscere gli animali familiari
Francesca Bellini, Alessia Liverini, Vincenzo Rosa
Aracne editrice, 2013
Brossura, 140 x 210 mm
192 pagine
Prezzo di copertina: € 15,00
38
vece solo di traslare a loro formalità
umane. Familiari invece perché questo
termine accentua ancora di più la responsabilità nei loro confronti, responsabilità che in primo luogo deve
assicurare il loro benessere e per far ciò
la conoscenza e l’informazione su tanti
aspetti, non solo sanitari, è indispensabile e necessaria di aggiornamento costante anche sul piano normativo
specie nel Paese dei mille comuni e altrettanti regolamenti.
Un altro spunto, sempre presente nella
copertina, è costituito dall’immagine
che riproduce un mosaico: molte tessere che vanno a formare la testa di un
cane a rappresentare proprio quella
complessità di conoscenze necessarie
per instaurare e quindi mantenere un
rapporto corretto e davvero familiare.
Recensione libri
M
olto si è scritto e ancor più si
scriverà sugli animali e sul rapporto con essi e quindi ogni
testo dedicato a tali argomenti deve possedere un suo quid per interessare il potenziale lettore a condurlo a sceglierlo tra i
tanti disponibili.
La peculiarità del libro scritto a più
mani da tre colleghi Bellini, Liverini e
Rosa si percepisce già dalla copertina
visto che il titolo presenta gli animali
come familiari in un’accezione che
quindi supera, aggiornandolo, il concetto di domestico e/o d’affezione rendendolo più congruo con l’attuale
sentimento nei loro confronti.
Familiari perché entrati appunto a
pieno titolo all’interno dei nuclei familiari (a volte, esagerando, addirittura
sostituendo e/o integrando alcune figure mancanti, in primis i figli) tanto da
far pensare a un loro inserimento nelle
certificazioni che il comune rilascia
sulla consistenza familiare: un passo rimasto sulla carta e che certo non
avrebbe aggiunto nulla di particolarmente utile agli animali rischiando in-
Numero 1/2015
NORME PER LA PUBBLICAZIONE
DI LAVORI SCIENTIFICI
La pubblicazione degli articoli è subordinata al giudizio della redazione
ed eventualmente del Comitato Scientifico della Società.
Ogni articolo deve essere corredato di nome, cognome, Ente o Istituto
d’appartenenza del/degli autore/i, nonché di recapito telefonico e d’indirizzo e-mail cui inviare eventuali comunicazioni.
Ogni lavoro deve essere in formato Microsoft Word e redatto secondo
il seguente schema:
- titolo: breve, chiaro e conciso;
- sopratitolo: di massimo tre parole;
- testo;
- tabelle: ogni tabella deve essere numerata come tabella, identificata da
un titolo e richiamata nel testo;
- disegni e schemi: devono essere forniti come immagini, numerati come
figure, identificati da un titolo (se necessario corredati di un breve testo
esplicativo) e richiamati nel testo;
-fotografie: devono essere di proprietà del/degli autore/i, oppure accompagnate dall’autorizzazione dell’autore stesso alla pubblicazione , fornite
come immagini, numerate come foto, identificate da un titolo e richiamate nel testo;
- tutte le immagini devono essere salvate in formato JPG ad alta risoluzione (risoluzione minima 300 DPI) e con una base di 200 mm. Si prega
di inviare solo il file della singola immagine evitando d’inserirla in un
documento di Word o di Power Point.
La bibliografia deve essere in ordine alfabetico, numerata e richiamata
nel testo. Per esigenze editoriali, l’eventuale bibliografia potrà essere
omessa e sostituita con l’indicazione di un indirizzo di posta elettronica al quale gli interessati potranno rivolgersi.
La responsabilità dei dati, delle opinioni espresse, nonché della citazione
delle fonti è esclusivamente degli autori.
La redazione si riserva a proprio insindacabile giudizio di modificare per
esigenze editoriali i contributi proposti per la pubblicazione.
PREMIO di LAUREA
in Sanità Pubblica Veterinaria
e Sicurezza Alimentare
II EDIZIONE
La SOCIETÀ ITALIANA DI MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA
bandisce per l’anno 2015 una selezione per attribuire un premio
di € 1.000 a una tesi di laurea in medicina veterinaria di
particolare interesse nell’ambito della Sanità Pubblica Veterinaria e della Sicurezza Alimentare.
La SIMeVeP vuole così promuovere e incentivare lo studio delle
tematiche legate alla Sanità Pubblica Veterinaria e alla Sicurezza
Alimentare e sostenere quegli studenti di veterinaria che decidono
di approfondirle. La tesi premiata potrà essere pubblicata sulla rivista della società Argomenti.
Il regolamento per presentare i lavori e partecipare alla selezione
è consultabile sul sito www.veterinariapreventiva.it sezione
“premio tesi di laurea”.
ISCRIVITI ALLA SIMeVeP
Per gli studenti dei corsi di laurea in medicina veterinaria
l’iscrizione è gratuita
È sufficiente compilare e inviare la scheda presente sul sito
www.veterinariapreventiva.it sezione “iscriviti”,
specificando “STUDENTE”.
SEGUI E PARTECIPA ALLE ATTIVITÀ SIMeVeP
Gli studenti iscritti avranno diritto alla frequenza gratuita ai corsi e agli
eventi organizzati dalla SIMeVeP, alla partecipazione alle attività dei gruppi
di lavoro, all’approfondimento sui temi della Sanità Pubblica Veterinaria
e della Sicurezza Alimentare, all’abbonamento alla rivista Argomenti.
2
0
1
5
Numero 1/2015
PREMIO SIMeVeP
Secondo premio di laurea
in sanità pubblica veterinaria
e sicurezza alimentare
L
a Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva,
per promuovere e incentivare, già durante il percorso
formativo accademico, l’approfondimento delle tematiche relative alla sanità pubblica veterinaria e alla sicurezza
alimentare, ha assegnato, anche per il 2014, un premio per
la miglior tesi di laurea presentata durante l’anno da studenti
in Medicina veterinaria.
La seconda edizione del premio ha visto un incremento dei
partecipanti (14 tesi) e delle Università di provenienza (7
Atenei). Il lavoro ritenuto complessivamente più significativo
e quindi più rispondente ai requisiti previsti dal bando è risultato quello della dott.ssa Sara Mattei, alla quale vanno le
nostre congratulazioni, dal titolo “Effect of a formulation of
selected dairy starter cultures and probiotics associated with
specific ripening conditions on microbiological, chemical and
sensory characteristics of swine nitrite-free dry-cured sausages” (Effetti di una formulazione di colture starter di origine
lattiero casearia e probiotici sulle caratteristiche microbiologiche, chimiche e sensoriali di salami prodotti senza aggiunta
di nitriti). Relatore il prof. Beniamino T. Cenci Goga dell’Università degli Studi di Perugia.
Considerato il valore complessivo dei lavori pervenuti, riteniamo opportuno anche a titolo di ringraziamento, riportare
in ordine alfabetico il nome dell’autore, titolo e relatore di
tutte le altre tesi pervenute.
• Marcella Avventaggiato: Presenza di Arcobacter butzleri
un “emerging pathogen” in Mytilus gallo provincialis. Relatore Giuseppina M. Tantillo, Università degli Studi di Bari
“Aldo Moro”.
• Luca Berardi: Mastite da Prototheca zopfii genotipo 2:
studio della dinamica di eliminazione nel corso della lattazione. Relatore Alessandro Mannelli, Università degli Studi
di Torino.
• Alexandra Chiaverini: Aspetti giuridico-normativi della
macellazione domiciliare dei suini allevati. Relatore Alberto
Vergara, Università degli Studi di Teramo.
• Davide Ciccarelli: Valutazione delle lesioni anatomopatologiche finalizzata al monitoraggio del benessere animale nei
vitelli bufalini. Relatore Orlando Paciello, Università degli
Studi di Napoli “Federico II”.
• Daniela D’Angelantonio: Prevalenza e livelli di contaminazione da Campylobacter in carcasse di pollo al macello e caratterizzazione delle popolazioni isolate mediante PFGE. Relatore Alberto Vergara, Università degli Studi di Teramo.
• Francesco Debenedetti: L’uso del DNA barcoding per l’identificazione dei prodotti ittici. Relatore Tiziana Civera, Università degli Studi di Torino.
• Genni Di Leo: Determinazione di IGF-1 nel siero di caseificio:
metodo indiretto per svelare il trattamento fraudolento con
Somatotropina ricombinante bovina in Bubalus bubalis. Relatore Edmondo Ceci, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”.
• Rosa Lo ponte: Circolazione di Flavivirus in Regione Campania nei cani da caccia. Relatore Giuseppe Iovane, Università
degli Studi di Napoli “Federico II”.
• Carmela Lovito: Il ruolo del veterinario pubblico nei controlli ufficiali dei prodotti etnici. Relatore Giancarlo Ruffo,
Università degli Studi di Milano.
• Giulia Molineri: Toxoplasma gondii nella popolazione ovicaprina del territorio lombardo: sieroprevalenza e fattori di
rischio. Relatore Maria Teresa Manfredi, Università degli
Studi di Milano.
• Anna Perrella: Applicazione di un sistema integrato di tracciabilità al latte bovino. Relatore Nicoletta Murru, Università
degli Studi di Napoli “Federico II”.
• Mattia Pucci: Il ruolo del veterinario ufficiale nel riconoscimento delle frodi nel comparto ittico. Relatore Daniela
Gianfaldoni, Università degli Studi di Pisa.
• Wendy Wurzburger: L’epidemiologia ambientale veterinaria
e il progetto QR code verde. Relatore Orlando Paciello, Università degli Studi di Napoli “Federico II”.
A tutti i colleghi neolaureati vanno i migliori e sinceri auguri
di un proficuo futuro professionale da parte della SIMeVeP.
41
Numero 1/2015
MEDICINALI VETERINARI
Osservazioni della SIMeVeP
sulla bozza del nuovo
Regolamento Europeo
ANTONIO DI LUCA, MAURIZIO FERRI, FRANCO CICCO, ANTONIO SORICE, PAOLA ROMAGNOLI
Gruppo di lavoro SIMeVeP – Farmaco
A
settembre del 2014 la Commissione europea ha reso
pubblica la proposta del Regolamento del Parlamento
europeo e del Consiglio sui medicinali veterinari e il
nostro Ministero della Salute nell’ambito del processo di consultazione pubblica, ha richiesto alla parti interessate di esprimere osservazioni utili per il successivo esame del testo sia
da parte del Parlamento italiano sia in seno al Consiglio e
Parlamento europeo.
Anche la SIMeVeP, quale parte interessata, ha espresso il proprio parere sulla base della disamina svolta dal proprio gruppo
di lavoro sul farmaco e, il 3 novembre, lo ha trasmesso al Direttore Generale della Sanità Animale e del Farmaco Veterinario del Ministero della Salute, Dr. Silvio Borrello. La proposta di Regolamento, composta da 150 articoli, è la revisione
della Direttiva 2001/82/CE e di altri atti legislativi sui medicinali veterinari. Essa ha i seguenti dichiarati obiettivi:
- aumentare la disponibilità dei medicinali veterinari;
- ridurre gli oneri amministrativi;
- stimolare la competitività e l’innovazione;
- migliorare il funzionamento del mercato interno;
- affrontare il rischio per la sanità pubblica rappresentato
dalla resistenza agli antimicrobici (AMR - Antimicrobial
Resistance).
nell’art. 118 per l’uso in deroga di antimicrobici, nei consideranda 34 e 36. Si auspica però che la Commissione stabilisca un elenco positivo e univoco di antimicrobici che sia di
riferimento nella lotta alla resistenza antimicrobica da attuarsi
attraverso interventi congiunti e uguali tra i Paesi. Diversamente potrebbe configurarsi un uso/divieto di molecole in
maniera diversificata tra i singoli Stati membri, causa di possibili distorsioni del mercato e di grave compromissione della
tutela e della protezione dello stato di salute degli animali e
dell’uomo in alcuni Paesi UE.
L’istituzione di una singola banca dati centrale europea alla
quale far confluire tutte le informazioni relative alle singole
Affinché gli obiettivi dichiarati possano essere raggiunti si ritiene senz’altro positiva la proposta di una armonizzazione
dei riassunti delle caratteristiche del prodotto. Ciò è fondamentale e necessario per evitare il persistere di evidenti difformità tra i Paesi membri relative al dosaggio, uso e avvertenze riportati sui foglietti illustrativi, tali da consentire che
lo stesso prodotto di una ditta farmaceutica venga autorizzato
con tempi di sospensione diversi in funzione del Paese di
commercializzazione.
Si ritiene altrettanto positiva l’introduzione di riferimenti
specifici agli antimicrobici che denotano una particolare attenzione per il fenomeno dell’antibiotico resistenza, contenuti
42
©Fotolia .com
Il parere della Società scientifica
Numero 1/2015
autorizzazioni concesse, congiuntamente alla possibilità di
predisporre un fascicolo “ridotto” per ottenere l’autorizzazione per mercati limitati e in circostanze eccezionali e alla
attribuzione del sistema di farmacovigilanza in capo ai titolari
AIC, sembrano strumenti utili al raggiungimento degli obiettivi dichiarati dal legislatore unionale, sebbene la mancanza
di un sistema univoco di tracciabilità elettronica del farmaco
dalla produzione alla sua utilizzazione rischia di inficiare, a
nostro parere, la possibilità di poter disporre di dati effettivamente ed efficacemente fruibili.
La stessa vendita a distanza, così come regolamentata all’art.
108, non appare essere sufficientemente garantista rispetto
alla possibilità che si creino mercati paralleli “neri” senza
l’implementazione di un valido sistema di tracciabilità. Nell’attesa che ciò si concretizzi sarebbe auspicabile consentire
le vendite on line solo per i farmaci OTC (Over The Counter;
da banco) e SOP (Senza Obbligo di Prescrizione) in tutti i
Paesi membri.
È da considerarsi positiva la riconferma del principio dell’uso
in deroga come riportato nel considerandum 17, sebbene andrebbe ben definito il significato di “uso in deroga” e di
“uso improprio” con conseguente integrazione dell’art. 4 Definizioni.
È ferma convinzione di questo gruppo di lavoro che venga
inequivocabilmente riconosciuto nella bozza di regolamento,
e ancor di più nel futuro provvedimento normativo, il medico
veterinario quale unico soggetto professionalmente abilitato
alla prescrizione del farmaco veterinario.
Nella bozza si parla infatti di “persone autorizzate” a prescrivere medicinale veterinario (art. 107 comma 2) e si afferma che una prescrizione veterinaria può essere emessa
solo da una persona abilitata a tal fine secondo la legislazione
nazionale applicabile (art. 110 comma 2).
Il concetto di persona abilitata a prescrivere viene ripreso nei
consideranda 38 (per il problema dell’antibioticoresistenza)
e 61, e, con portata più ampia, nel considerandum 62 «[…]
prescritti […] da una persona che esercita una professione
regolamentata del settore veterinario […]» Si veda anche
l’art. 4, punto 24 ove, nella definizione di prescrizione veterinaria, compare la figura del professionista abilitato al rilascio di prescrizioni veterinarie, in conformità alle legislazioni
nazionali applicabili. È pur vero che il rinvio alla legislazione
nazionale pone, al momento, al riparo la nostra categoria
professionale essendo fondamentalmente riconosciuto nel nostro ordinamento che la prescrizione è il risultato di una attività clinico-diagnostica che può essere svolta solo dal medico
veterinario in qualsiasi ambito, produttivo e non, che interessi
la salute animale, compresa l’acquacoltura. Tuttavia la forza
di una previsione normativa sovranazionale chiara e inequivocabile contenuta in un regolamento UE ancor di più ci garantirebbe.
Divergenze con la normativa nazionale
Di seguito si riportano osservazioni puntuali che riguardano
alcune divergenze riscontrate tra la bozza di regolamento e
la normativa nazionale attualmente in vigore. Esse stimolano
riflessioni sui possibili mutamenti pratico-applicativi che potrebbero aversi nel nostro Paese per gli operatori del settore
e per gli organi di controllo.
Capo VII – Fornitura e impiego
• Sezione 1: Distribuzione all’ingrosso, artt. 104, 105, 106.
Non è contemplata, per il grossista, la possibilità di vendita
diretta, come previsto nel vigente D.lgs. 193/2006. Non poche
potrebbero essere le conseguenze per le attività in esercizio
nel nostro Paese autorizzate, in molti casi, per entrambe le
tipologie di vendita.
• Sezione 2: Vendita al dettaglio, artt. 107, 108, 109, 110.
Giova ribadire che in questa sezione non viene definita la
posizione del medico veterinario quale unica figura professionalmente abilitata alla prescrizione del farmaco veterinario.
Per la vendita al dettaglio viene riconfermata la possibilità
che le persone autorizzate a prescrivere possano vendere il
farmaco antimicrobico solo per gli animali di cui si occupano
e solo nel quantitativo richiesto per il trattamento in questione. Attualmente, con il decreto Balduzzi convertito in
legge dalla L. 189/2012, il medico veterinario nel nostro
Paese può “cedere” (concetto diverso da “vendita”) confezioni di farmaco veterinario (non solo l’antimicrobico), per
la cura di animali nel quantitativo richiesto per il trattamento
in essere (nel caso di animali DPA può cedere solo le confezioni da lui utilizzate). Questo aspetto riflette il diverso regime
esistente nei Stati membri riguardo alla possibilità di vendita
di farmaci da parte dei veterinari con conseguente adozione
del decoupling nel nostro Paese così come in altri, es. la Danimarca.
Per quanto riguarda la vendita al dettaglio effettuata solo da
persone autorizzate secondo la legislazione nazionale (es. farmacisti in Italia) sono previsti obblighi di registrazione della
movimentazione impegnativi, con conseguente aggravio delle
responsabilità. Trattandosi di farmaci ceduti al consumatore
finale è pensabile prevedere che il farmacista trattenga le prescrizioni annotando lotto e scadenza. Le informazioni sul
medico veterinario prescrittore e sul destinatario sono riportate sulla ricetta, puntualmente descritta nei suoi elementi
costitutivi nell’art. 110: grazie ad essi può desumersi, tra l’altro, se si è nel caso di prescrizione in deroga. Sarebbe sufficiente, nell’ottica di una semplificazione, che per nulla intacca
gli obiettivi di sicurezza sanitaria, prevedere esclusivamente
il trattenimento da parte del farmacista della prescrizione
correttamente compilata in ogni parte.
Al contrario dei commi che lo precedono, il comma 4 dell’art.
110 non risulta altrettanto chiaro nella parte in cui prevede
che un medicinale veterinario prescritto venga fornito secondo
la legislazione nazionale applicabile. Sembrerebbe lasciare
spazio a una disciplina nazionale che, se non circoscritta
nella portata, potrebbe vanificare l’intendo di uniformità in
ambito unionale.
43
©Fotolia .com
Numero 1/2015
• Sezione 3: Impiego, Artt. 111, 112, 113, 114, 115, 116,
117, 118, 119, 120, 121, 122.
- Nell’art. 112 - Animali destinati a produrre alimento per
l’uomo (DPA), registrazione trattamenti- è prevista la registrazione di TUTTI i trattamenti e la conservazione di una
copia della prescrizione da parte del proprietario detentore
dell’animale con disponibilità delle informazioni per almeno
3 anni. Tra le registrazioni obbligatorie non sono più previste
quelle relative al tempo di sospensione e alla data di fine
trattamento. Sembra scomparire la condivisione tra medico
veterinario prescrittore e responsabile dei trattamenti della
compilazione del registro (attualmente il medico veterinario
registra una serie di informazioni e appone la sua firma,),
così come non vi è menzione della registrazione di possibili
rimanenze, e delle scorte di farmaci. Non è evidente nessun
riferimento ai trattamenti ormonali terapeutici e zootecncici
(secondo quanto previsto dal nostro D.lgs. 158/2006).
- Nell’art. 115 - Impiego, in specie non destinate alla produzione alimentare, di medicinali per specie o indicazioni non
previste nei termini dell’autorizzazione all’immissione in
commercio - non appare più la cosiddetta cascata così come
attualmente disciplinata nel nostro Paese all’art. 10 del
D.lgs. 193/2006.
- Nell’art. 116 - Impiego, in specie destinate alla produzione
alimentare, di medicinali per specie o indicazioni non previste nei termini dell’autorizzazione all’immissione in commercio – viene esclusa per le specie non acquatiche la cosiddetta “cascata” (vedasi art. 11 D. Lvo 193/2006). È
44
prevista la creazione di un elenco di farmaci “terrestri” da
utilizzare per le specie acquatiche. In più per le api è prevista
la possibilità di ulteriori deroghe qualora si faccia ricorso a
farmaci provenienti da determinati Paesi terzi. Sempre per
le api, i tempi di attesa possono essere stabiliti dal medico
veterinario senza dettare specifici criteri: è sufficiente la valutazione caso per caso dei singoli alveari.
Avviandoci verso la conclusione di questo documento, merita
attenzione ribadire che nulla viene detto e regolamentato
sulla possibilità per gli allevamenti di detenere scorte di farmaco veterinario, né viene regolata la registrazione dell’utilizzo del farmaco per gli allevamenti NDPA, né fatto cenno
sul possibile utilizzo di sistemi informatizzati per la registrazione delle informazione sull’effettuazione dei trattamenti.
Infine, non vengono dettati i requisiti sulle modalità di gestione della prescrizione veterinaria, in analogia ad esempio
con quanto avviene per la ricetta in triplice copia. Su quest’ultimo aspetto occorrerà che il nostro Paese ridefinisca le
modalità prescrittive con un intervento normativo specifico
di semplificazione, stante le numerose tipologie di ricette attualmente in vigore.
I colleghi interessati a partecipare ai Gruppi di lavoro della
società scientifica, possono inoltrare la richiesta via mail a
- segreteria@veterinariapreventiva. it - allegando il CV, e
indicando il GDL; la richiesta verrà sottoposta alla valutazione del Comitato Scientifico.
Numero 1/2015
FAUNA SELVATICA
Criticità e prospettive
nella gestione dei selvatici
Intervista a Roberto Zuccarini
D
urante l’estate la vicenda legata alla morte dell’orsa
Daniza ha avuto un’imponente copertura mediatica
e le polemiche, allora altrettanto imponenti, sono
ancora in corso e le contrapposizioni sono ancora molto
alte. L’occasione ci ha dato modo di porre alcune domande
a Roberto Zuccarini, in qualità di coordinatore del gruppo
di lavoro SIMeVeP sulla fauna selvatica.
Argomenti: Aldilà di quanto si ritenga forte e radicato
nel nostro Paese un comune sentimento nei confronti dei
diritti animali questa vicenda ha appalesato un forte contrasto di atteggiamenti di principio: qual è la sua opinione
al riguardo?
Roberto Zuccarini: Il caso dell’orsa Daniza impone una
serie di riflessioni che inquadrano la problematica del
rapporto uomo-animale selvatico in un contesto articolato
e complesso.
Al di là delle posizioni estremistiche di totale favore o di
forte intolleranza nei confronti della presenza dei selvatici
e stretta convivenza degli stessi con l’uomo, è opportuno,
se non indispensabile, tenere una posizione ragionevole
ed equilibrata nella “definizione del giusto rapporto” fra
uomo-ambiente-animale che mitighi i conflitti secondo
un gradiente di maggiore o minore accettazione degli animali selvatici strettamente connesso alla tipologia e alla
vocazione dell’area di riferimento.
Il livello di accettazione deve dunque variare necessariamente secondo una scala che tiene conto, da una parte,
della naturalità dei contesti di vita dei selvatici (parchi
nazionali-regionali, aree naturali protette ecc.) dove la
tutela dell’animale assume un valore massimo e, dall’altra,
del grado di antropizzazione (aree urbane-periurbane,
zone industriali ecc.) legato agli insediamenti urbani che,
al contrario, privilegia la sicurezza dell’uomo e delle sue
attività. Se gli estremi, anche se tali, risultano di più facile
definizione e accettazione, la condizione intermedia (zone
agricole, aree boschive-pascolive ecc.) dove il contatto e
l’interfaccia fra i due mondi è comunque imprescindibile,
risulta l’espressione più critica e di massima difficoltà risolutiva. I parametri che scaturiscono da un tale approccio
dovranno, a loro volta, essere connessi a misure e procedure ben definite per il mantenimento degli standard di
buona convivenza, sicurezza e tranquillità.
In questa dinamica di contrapposizioni, è fondamentale l’istituzione centralizzata (sia a livello regionale che ministeriale
di raccordo) di un organismo tecnico super partes composto
da esponenti esperti e rappresentativi delle maggiori categorie
portatrici di interesse, che fornisca orientamenti fattivi e inneschi le dovute procedure evitando, così, sterili polemiche e
dannose pressioni mediatiche.
Argomenti: Questa vicenda ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica anche le problematiche collegate ai
piani di reintroduzione di fauna selvatica in particolare
dei grandi predatori. Paradossalmente a fronte del loro
successo alte restano le preoccupazioni, quando non le
ostilità, di alcune categorie (in particolare quella degli allevatori) quali i percorsi possibili per la loro risoluzione?
Roberto Zuccarini: Va ribadito che ogni progetto finalizzato
alla introduzione o reintroduzione di selvatici non può prescindere da uno studio di fattibilità che deve necessariamente
valutare se le attività umane produttive e la stessa presenza
dell’uomo siano compatibili, per aspetti sociali e non da ultimo culturali, con la specie oggetto dell’azione.
La presenza di determinate specie, soprattutto se appartenenti alla categoria dei grandi predatori (lince, lupo,
orso), subentranti in contesti geografici inusuali (assenza
di memoria storica), dove determinate abitudini di vita e
45
©Fotolia .com
Numero 1/2015
di lavoro sono da tempo condotte nella massima tranquillità per assenza di minacce, esaspera notoriamente i
rapporti fra uomo e selvatici.
Pertanto, una volta stabilita la fattibilità dell’azione di
progetto, appare fondamentale quale possibile misura risolutiva della gestione dei conflitti, attuare prioritariamente una valida campagna di informazione, sensibilizzazione ed educazione delle popolazioni locali portatrici
di interessi in quanto uniche destinatarie delle criticità legate alla presenza degli animali reintrodotti.
Va da sé che a questa preliminare azione di preparazione
vadano affiancate tutte quelle azioni di sostegno e compensazione per i disagi, i danni e comunque tutte le criticità che dovessero derivare dalla presenza degli animali
selvatici introdotti.
Argomenti: Tra le altre coinvolte, la nostra professione è
fortemente chiamata in causa da vicende come questa e
spesso non mancano accenti polemici, anche tra le diverse
componenti veterinarie, sulla validità degli interventi.
46
Come può cambiare il nostro impegno, con particolare
riferimento alla sanità pubblica, di mediatori tra gli interessi del mondo animale e delle attività umane?
Roberto Zuccarini: I servizi veterinari di sanità pubblica
devono rivestire sicuramente un ruolo centrale nella gestione decisionale delle problematiche sanitarie e non,
connesse alla presenza di fauna selvatica, soprattutto se
di grande impatto come quello di Daniza.
Per la competenza istituzionale e professionale (tutela del
benessere animale, salvaguardia della salute umana e animale) e per la diffusione capillare su tutto il territorio nazionale, la Veterinaria pubblica è di fatto sempre più coinvolta nella risoluzione delle criticità di natura faunistica,
rimanendo il principale riferimento per la collettività. Tale
ruolo andrebbe ulteriormente rafforzato affinché i servizi
veterinari pubblici possano formalmente rappresentare la
massima autorità di riferimento nel settore specifico e
svolgere un’azione di coordinamento fra le altre istituzioni
chiamate in causa.
Numero 1/2015
PROGETTO
Selvatici e buoni. Una filiera alimentare da valorizzare
Nell’ambito dell’iniziativa del gruppo di lavoro “AMBIENTE, LEGALITÀ, LAVORO: progetti per una nuova qualità della vita” promossa da Federparchi - Europarc Italia, Università degli Studi di Milano - Dipartimento di Scienze Veterinarie e Sanità Pubblica, Università degli Studi di
Napoli Federico II - Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali, Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo,
Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”, Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva, Anuu Migratoristi, Arcicaccia, CNCN - Comitato
Nazionale Caccia e Natura, Federcaccia, la SIMeVeP partecipa al progetto “Selvatici e buoni. Una filiera alimentare da valorizzare” a cura dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, in collaborazione con il Dipartimento di Veterinaria dell’Università di Milano.
• A seguito dell’individuazione di due/tre territori specifici idonei, (sulla base di una valutazione che coinvolga associazioni venatorie
e ambientaliste che dovranno essere parte integrante del progetto), si procederà a un’indagine per definire i numeri esatti della presenza di fauna selvatica, in particolare di ungulati, sul territorio, alla verifica della qualità e quantità dei possibili prelievi al fine di
mantenere l’equilibrio ambientale e un corretto rapporto con le attività agricole e sviluppare un programma di caccia sostenibile. Il
progetto prevede inoltre la realizzazione di attività di formazione per operatori della filiera di lavorazione e cacciatori per sviluppare
conoscenze e competenze per la corretta gestione degli animali cacciati e delle carcasse. Tracciabilità e sicurezza alimentare diventano
i punti centrali per garantire trasparenza e legalità in questo settore.
• La seconda area di sviluppo del progetto è relativa allo sviluppo della filiera alimentare e gastronomica e prevede una mappatura di
natura storico antropologica di quelle che sono le tradizioni legate alle produzioni artigianali inerenti la cacciagione. Questa mappatura
ha lo scopo prioritario di contestualizzare l’utilizzo della selvaggina all’interno di un determinato territorio andando a rispondere a
domande specifiche e puntuali, perché un determinato animale veniva cacciato con una determinata tecnica, quali piatti tradizionalmente erano preparati con i tagli di questo animale, perché i piatti venivano composti in una determinata maniera, quanto questa
tradizione persiste nelle tradizioni locali e come essa ha influito sulla gastronomia di un’area.
Per fare questo si ritiene opportuno procedere con un lavoro di ricerca sia sui testi reperibili riguardanti le aree in oggetto, sia con
una ricerca diretta sul campo che procederà con interviste alla popolazione locale focalizzandosi prevalentemente sugli addetti del
settore e in particolare quindi cacciatori, macellatori, norcini e ristoratori.
• Il secondo passo avrà natura formativa, viene quindi proposto un corso integrativo e complementare a quelli attualmente previsti dalla legge
Reg. 853/2004/CE, All. III, Sez. IV, Cap. 1. Per procedere, infatti, a una valorizzazione del prodotto cacciagione bisogna integrare quanto attualmente previsto dalla normativa, oltre alle già puntuali indicazioni riguardo al trattamento della carne nel periodo immediatamente successivo all’abbattimento, ovvero dissanguamento ed eviscerazione, si ritiene utile fornire degli strumenti che permettano al cacciatore stesso
di procedere in maniera più completa al trattamento della carcassa. Questo punto va a collegarsi direttamente con quello precedente in quanto
a seconda delle ricette di un territorio specifico la carne potrà subire trattamenti specifici e differenti già a partire dalla fase di frollatura e
ancor più nella fase di sezionamento. Questa attività formativa vedrà quindi coinvolti a vario titolo tutti gli operatori della filiera della cacciagione, principalmente in un’ottica di scambio dove il ristoratore spiegherà quali sono le sue esigenze per poter creare un piatto, il macellatore
e il norcino daranno il proprio parere su come ottenere un determinato prodotto e il cacciatore spiegherà quali possono essere le criticità di
una determinata lavorazione. In questo modo si cercherà di creare quelle sinergie necessarie a realizzare una filiera integrata che permetta a
tutti i soggetti di trarre vantaggio da questa attività multidisciplinare.
• Si procederà quindi all’individuazione, nei vari territori di riferimento, di giovani che possano avviare delle start up inerenti la filiera della
cacciagione, in particolare votate alla creazione di posti di lavoro legati alla trasformazione del prodotto. Il know-how dell’Università di Scienze
Gastronomiche nella creazione di concept innovativi e sostenibili, verrebbe quindi messo a disposizione dei giovani imprenditori. In questo
contesto potrà essere utilizzata sia la didattica dei “Corsi di Alto Apprendistato”realizzati da UNISG che la collaborazione di Project Manager
messi a disposizione dall’Ateneo. Questo faciliterà la creazione di nuove aziende andando ad eliminare le problematiche spesso legate al trattamento di prodotti alimentari, in particolare trasformati e conservati, permettendo così di andare a creare nuovi posti di lavoro in aree in cui
spesso si assiste a un inesorabile abbandono dei terreni da parte di giovani alla ricerca di opportunità lavorative.
• Verrà altresì affrontato lo studio di un modello di comunicazione efficace fruibile dai ristoratori, con il chiaro intento di valorizzare
a pieno la materia prima.
Anche questo punto va a ricollegarsi direttamente al primo punto trattato; si cercherà infatti di tradurre in racconto e in presentazione
quei valori storico culturali che verranno studiati in precedenza, e quindi contestualizzando un piatto nella sua interezza. Allo stesso
modo però si cercherà di rendere fruibile anche quanto fatto con gli operatori della filiera al secondo punto di questo programma,
fornendo al consumatore e prima ancora al ristoratore quelli che sono i dati relativi alla tracciabilità del prodotto, e quindi rispondendo
a richieste del cliente che al giorno d’oggi sono sempre meno trascurabili quali: dove, quando e come è stato cacciato l’animale, che
pezzatura aveva, quanto è stata frollata la carne, quali trattamenti ha subito ecc..
47
Numero 1/2015
BIOETICA VETERINARIA
Sperimentazione scientifica
e macellazione inconsapevole.
Quo tendimus?
BENIAMINO CENCI GOGA1, PASQUALINO SANTORI2, GERMANA SALAMANO3
1
Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Perugia
Medico Veterinario
3
ASL Torino 4
2
T
ornano, a cicli ricorrenti, le polemiche sulla sperimentazione scientifica sugli animali. Se motivi di ordine prettamente scientifico sono ampiamente dibattuti nei forum
scientifici, in questa sede vorrei fornire un’analisi del problema
sia dal punto di vista emotivo sia da quello scientifico.
Il movimento contrario alla sperimentazione animale sta coinvolgendo un numero crescente di veterinari, medici e filosofi.
Secondo molti questo è il segno che la sperimentazione sugli
animali sta perdendo di credibilità.
A favore della sperimentazione sugli animali vengono addotte
alcune argomentazioni quali la riduzione delle malattie infettive, della tubercolosi, i controlli obbligatori sui farmaci…
Ebbene, nei confronti delle malattie infettive va detto che il
frigorifero, l’acqua corrente e le migliori condizioni di illuminazione nelle abitazioni, la migliore densità abitativa con
minori rischi di contagio, hanno decisamente contribuito a
migliorare le condizioni igieniche.
Gli antibiotici sono insostituibili nella cura di alcune malattie,
ma non va dimenticato che il declino delle curve di morbilità
e mortalità è stato determinato più dai fattori igienici che
dai farmaci.
Anche nei confronti della tubercolosi va ricordato che la sua
discesa era iniziata già un secolo prima della scoperta della
streptomicina e dell’idrazide dell’acido isonicotinico [1]. Secondo alcuni, inoltre, i propugnatori della sperimentazione
sugli animali scelgono e divulgano notizie relative a pochi
degli esperimenti condotti annualmente sugli animali allo
scopo di dimostrare le loro teorie.
Spesso, quando si vuole bandire un prodotto, le dosi impiegate sugli animali sono elevatissime [9], dosi che avrebbero
effetti anche se si trattasse di composti innocui.
La talidomide prima di tutti: dopo la scoperta del suo effetto
teratogeno fu deciso di estendere la sperimentazione dei farmaci anche agli animali gestanti. Ciò per dimostrare che se il
48
farmaco fosse stato sperimentato su di essi, sarebbe stato
provato l’effetto teratogeno.
Non fu così: la sperimentazione successiva dimostrò il suo
potere soltanto a dosi elevatissime e comunque mai furono
riprodotti i sintomi osservati in pazienti umani.
Ancora, nonostante i severi protocolli sperimentali per l’autorizzazione di nuovi composti, ogni anno vengono rimossi
dal commercio decine di farmaci per i quali la sperimentazione ne aveva indicato l’innocuità e sono segnalati molti
casi d’intossicazione da farmaci, di malattie iatrogene.
C’è chi invoca la scarsa efficacia delle prove a breve termine
(da alcuni chiamate ingenuamente e simpaticamente “metodi
alternativi”), ma c’è un’altra verità: come nel caso dei farmaci
autorizzati e poi sulla scorta dei dati derivanti dall’impiego
pratico rimossi dal commercio, non va nascosto che negli
ospedali, sui deboli, sui feti maturi, sui pazienti immunocompromessi, sugli incapaci e sugli abitanti delle regioni povere della terra è condotta una “sperimentazione clinica”
che, da un punto di vista etico, in nulla si differenzia dalla
sperimentazione sugli animali.
Purtroppo non si tratta solo di scegliere tra prove in vivo o in
vitro, ma di uno scontro culturale ed etico tra culture diverse.
Efficacia ed efficienza dei test a breve termine
Nonostante più di venti anni d’impiego dei test genetici a
breve termine, il quesito di base sul valore degli stessi nella
stima della cancerogenesi resta senza risposta. I primi studi
indussero ad affermare che i test a breve termine potessero
identificare il 90% di possibili cancerogeni. Gli scettici, invece,
hanno sempre sottolineato che vi erano molti punti non chiari
nella correlazione tra mutagenesi e cancerogenesi.
Molti autori considerano le prove di cancerogenesi in vivo sui
roditori molto più rispondenti alla realtà che non quelli in vitro.
Numero 1/ 2015
In supporto a questa teoria Tennant et al. nel 1987 [15] pubblicarono un articolo con il quale dimostravano che nessuno dei
test a breve termine permetteva di prevedere il potere cancerogeno
come ci si sarebbe aspettato sulla base di studi precedenti.
Infatti, tutte le quattro prove studiate (mutagenesi in Salmonella
Typhimurium e in cellule di linfoma murino; SCE aberrazioni
cromosomiche in cellule CHO) furono giudicate come dotate
della stessa capacità di previsione, nessuna combinazione delle
stesse si rivelò più predittiva di ognuna presa da sola, e tre potenti cancerogeni dettero risposte negative in tutte le prove.
Questi risultati ebbero importanti implicazioni nell’impiego
dei test genetici a breve termine il cui scopo principale è rivelare i cancerogeni.
Ma quanto sono valide le affermazioni di Tennant nei confronti della cancerogenesi nell’uomo e quali sono le loro implicazioni per la tossicologia genetica?
Se non vengono evidenziati i limiti di questa ricerca è facile
incappare in conclusione inadeguate.
Esistono, infatti, due problemi: l’estrapolazione dei dati dai
roditori all’uomo e il criterio utilizzato per giudicare l’esito
positivo della ricerca.
Considerando questi aspetti i risultati sono visti come meno
definitivi.
Il lavoro di Tennant è molto specifico: le quattro prove a
breve termine furono valutate soltanto sulla base della loro
concordanza con prove biologiche su roditori.
La cancerogenesi nell’uomo è considerata soltanto per il tramite dei roditori.
Come si possono trasferire le informazioni circa la cancerogenesi nell’uomo a partire dai dati sui roditori?
Tennant et al. analizzarono i loro dati ipotizzando che, in assenza di dati sulla cancerogenesi nell’uomo, le sostanze chimiche devono essere giudicate sulla cancerogenesi nei roditori.
Pertanto essi considerarono le prove biologiche sui roditori
come predittive al 100% della cancerogenesi dell’uomo.
Però se l’estrapolazione da una specie di roditori a un’altra può
essere credibile, quella a una specie più distante non lo è più.
A questo punto è utile valutare quale previsione danno nei
ratti le prove biologiche condotte sui topi (e viceversa). Nel
1988 un articolo di Heddle [8] trattò l’argomento in questi
termini: «I shall deal with the data as if rats rather than
people were doing the testing and were using the mouse bioassay and the STT (short term test)».
Ipotizzò cioè di determinare quale previsione potessero ottenere per loro stessi i ratti nel condurre esperimenti sui topi.
Da questo punto di vista la cancerogenesi nei topi, che noi
conosciamo, permette di avere la stima di quella nei ratti,
nota anche essa, e dalla concordanza fra le due è possibile
farsi un idea della bontà di queste prove nel rivelare i cancerogeni per l’uomo. Ebbene “dal punto di vista del ratto” i
test condotti sui topi danno i seguenti risultati: sono identificati correttamente il 63% dei cancerogeni e 79% dei non
cancerogeni per i ratti, ma c’è il 37% di falsi negativi e il
21% di falsi positivi. «An intelligent rat might be less than
satisfied with this result» [8]. Se è così tra due specie affini
come sarà nell’uomo? Pertanto è l’insufficienza delle prove
biologiche nei roditori a intaccare la validità delle prove a
breve termine nell’esperimento di Tennant. Perfino una prova
STT ipoteticamente perfetta sarebbe apparsa insufficiente
nella convalida dei test effettuata da Tennant.
La bassa concordanza tra prove biologiche nei ratti e nei topi
indicano che le prove in vivo hanno fallito in alcuni casi [6, 4].
È quindi chiaro, anche se molti autori non sono d’accordo,
che una prova di cancerogenesi nei roditori è inadeguata per il
sondaggio dei cancerogeni dell’uomo e non affidabile per rivelare cancerogeni negli alimenti, pesticidi etc. [2].
Nell’impossibilità di conoscere il reale potere cancerogeno
nell’uomo di molte delle sostanze chimiche impiegate negli
studi di concordanza, la validità delle prove a breve termine
può solo essere stimata. Ma, considerando le concordanze, le
migliori prove a breve termine si comportano come prove di
cancerogenesi, ma a costi effettivi e psicologici estremamente
inferiori [12]. Il Salmonella microsome test è, sulla base di
prove di concordanza [8, 16], migliore della mutazione TK
nelle cellule L5178Y, della prova di aberrazione cromosomica
nelle cellule CHO o nel SCE sempre nelle cellule CHO.
Una singola prova in vitro a breve termine è un buon mezzo
per la previsione di cancerogenicità come ognuna delle prove
in vitro suddette (ICPEMC, 1988). La scelta di una prova in
vitro dipende dalla filosofia del ricercatore: chi è interessato
a scovare carcinogeni, anche a costo di falsi positivi, opterà
per la prove in vivo, mentre chi desidera minimizzare i falsi
positivi o aumentare la discriminazione tra cancerogeni e
non-cancerogeni utilizzerà il test di Ames [9]. Bisogna, infatti,
riconoscere che né un risultato positivo, né uno negativo
sono definitivi. Inoltre, è importante sottolineare che non è
possibile affermare che una prova in vivo o una batteria di
prove siano più affidabili di una prova in vitro: una convalida
realistica è comunque richiesta per ogni prova e per ogni
batteria di test [5].
Altre questioni, purtroppo senza risposta e che non concedono nemmeno spazio alle speculazioni etiche e filosofiche,
riguardano la specie-specificità, la mancanza di potere cancerogeno di alcuni mutageni, la negatività in vitro di potenti
cancerogeni e la tessuto-specificità.
La macellazione e le sue sfaccettature
Quando si parla di macellazione il prodotto finale da prendere
in considerazione è la carne. Tra i prodotti di origine animale,
alimentari e non, la carne è il più significativo per le implicazioni morali della sua produzione e del suo consumo, anche
più delle pellicce. La carne può subire lavorazioni diverse
che ne cambiano aspetto e valore e si può comperare in punti
vendita più o meno alla moda. Da piccole strutture, poco
curate, a grandi superfici che abbinano ostentatamente qualità
gastronomica a messaggi culturali. Comunque, il luogo dove
viene prodotta trasformando i muscoli e i visceri di un animale sano e pienamente vitale in carni e frattaglie è lo stesso:
il mattatoio o macello.
49
©Fotolia .com
Numero 1/2015
Secondo la religione ebraica e musulmana, la carne, per poter
essere consumata dai propri fedeli, deve provenire da un animale macellato in osservanza di determinate regole. In sostanza, se pur con alcune differenze, sia la macellazione islamica (dhabiha) sia quella ebraica (shechità) prevedono che
l’animale sia vivo e in perfetta salute al momento della macellazione e che il sezionamento dei grandi vasi del collo,
esofago e trachea avvenga tramite la lama di un coltello affilatissimo. Ai sensi dell’art.4 del Reg. CE 1099/2009 sulla
protezione degli animali durante l’abbattimento, questa procedura può avvenire in deroga all’obbligo dello stordimento
preventivo, purché le macellazioni rituali siano svolte esclusivamente presso macelli autorizzati. Le regole per la macellazione religiosa, formatesi più di 3.000 anni fa, erano all’epoca decisamente all’avanguardia sia dal punto di vista
igienico-sanitario (in quanto prevedevano il completo dissanguamento con conseguente miglioramento della salubrità
delle carni), sia dal punto di vista della protezione animale.
Infatti, l’importanza attribuita all’affilatezza della lama, alle
modalità con cui la recisione doveva essere eseguita e alla
preparazione tecnica del sacrificatore sottolinea l’attenzione
posta nel rendere più rapida e indolore possibile la morte
dell’animale, se pur in un periodo storico in cui gli animali
non erano di certo considerati esseri senzienti [13].
L’intento di queste complesse e dettagliate regole era, compatibilmente con le conoscenze scientifiche e tecniche del
tempo, quello di procurare la morte degli animali destinati
all’alimentazione umana con la minor sofferenza possibile,
obiettivo condiviso e convergente con quello dell’attuale società occidentale prevalentemente cristiana, dove però la modalità di macellazione si è completamente laicizzata. La pratica di stordire gli animali prima della macellazione si è
50
sviluppata solo verso la fine del XIX secolo e lo stordimento
in origine veniva utilizzato prevalentemente come metodo di
immobilizzazione, per permettere una più semplice e sicura
manipolazione degli animali (soprattutto se di grandi dimensioni) e ottenere un’efficiente iugulazione [3]. Soltanto in
epoche più recenti, lo stordimento è ritenuto importante soprattutto dal punto di vista del benessere animale, per minimizzare il dolore e la sofferenza associate alla macellazione
[7, 11]. Il principio generale, comune a tutte le normative
sulla protezione e sul benessere, è infatti che agli animali
siano risparmiati il dolore, l’ansia e tutte le sofferenze evitabili.
Con la Direttiva 74/577 CEE del 1974 è stato introdotto il
concetto di stordimento, definito come «un procedimento
effettuato per mezzo di uno strumento meccanico, dell’elettricità o dell’anestesia con il gas, senza ripercussioni sulla salubrità delle carni e delle frattaglie e che, applicato a un animale, provochi nel soggetto uno stato di incoscienza che
persista fino alla macellazione, evitando comunque ogni sofferenza inutile agli animali».
Il ruolo del medico veterinario,
le fonti del diritto e l’accademia
Le fonti del diritto a livello europeo ci indicano chiaramente
la strada da seguire. Per esempio nel settore dell’igiene degli
alimenti, il Regolamento (CE) n. 854/2004 del Parlamento
europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, che stabilisce
norme specifiche per l’organizzazione di controlli ufficiali
sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano,
alla sezione III, capo IV (qualifiche professionali) dell’allegato
I, dà precise indicazioni sulle qualifiche professionali, non
solo dei veterinari ufficiali, ma anche degli assistenti specializzati. Un altro esempio si trova nel più recente Regolamento
(CE) n. 1099/2009 del Consiglio del 24 settembre 2009, relativo alla protezione degli animali durante l’abbattimento,
laddove all’articolo 7 sono indicate le competenze di cui devono disporre gli addetti alle operazioni di macellazione e
all’articolo 21 sono fornite le indicazioni circa le relative attività formative. Ai fini dell’articolo 7, è stabilito che sono
gli Stati membri a designare l’autorità competente responsabile di assicurare la messa a disposizione di corsi di formazione destinati al personale addetto. L’Università, al riguardo,
potrebbe giocare un ruolo importante: purtroppo al momento
sembra che il Ministero della Salute e le Regioni si stiano
orientando diversamente, dando agli Istituti Zooprofilattici
Sperimentali un ruolo nella formazione che per tradizione e
per effettiva competenza non hanno.
La macellazione inconsapevole
Una proposta apparentemente sconcertante, ma assolutamente
razionale e praticabile nel futuro deriva dal lavoro del Comitato
Bioetico per la Veterinaria ulteriormente elaborata da Pasqualino Santori per la rivista Bioetica (2015), che qui citiamo testualmente: «L’aspetto più eclatante del progetto di macella-
Numero 1/ 2015
zione inconsapevole è quello di ipotizzare l’uso di sostanze a
effetto neurotropo che modifichino a livello di sistema nervoso
centrale la percezione degli eventi connessi alla macellazione,
dal carico in azienda alla morte. Una via di questo genere costituisce una novità e può comportare una serie di conseguenze
che richiedono degli approcci innovativi. Non si dovrebbe
escludere un diverso atteggiamento nei confronti di eventuali
residui nelle carni. Un rischio che si può correre e da scongiurare
assolutamente, è quello di pensare che se si ottiene la padronanza di un metodo per il cambiamento a livello di sistema
nervoso centrale della percezione di condizioni spiacevoli, questo possa essere utilizzato in qualsiasi fase della vita dell’animale
a discapito del mantenimento di buone condizioni di allevamento. L’attenzione dei consumatori nei confronti di degenerazioni di questo tipo dovrebbe essere sufficiente ad escludere
questa ipotesi. È più probabile che in futuro si possa diffondere
il consumo, già tentato in precedenza e poi abbandonato, di
bistecche artificiali che la produzione di carne da animali a
percezione alterata di un ambiente ostile per tutta la vita.
La breccia che la visione animalista ha aperto nella società è
permanente è saprebbe distinguere filiere che rendono accettabili
le condizioni di macellazione al termine di una vita buona, da
meccanismi industriali che vedrebbero ancora di più gli animali
come trasformatori di materie prime. Riepilogando l’obiettivo
è evitare che un animale soffra potenti condizioni di stress nella
macellazione e nelle fasi precedenti. Le strade da seguire sono
due: ridurre oggettivamente in ogni fase l’ostilità ambientale
con interventi strutturali e di management e quando non possibile, individuare un agente che faccia percepire diversamente
la realtà. Si pensa all’uso di feromoni, probabilmente solo in
combinazione, per contribuire a creare una migliore percezione
delle condizioni ambientali. Gli psicofarmaci che si prendono
in considerazione potranno essere esaminati per la loro azione,
ma dovranno essere considerate le diverse vie di somministrazione e di escrezione. Sicuramente si porrà il problema dei residui nelle carni e si possono ipotizzare diversi scenari. Potrebbero
non essere presenti in ragione del particolare metabolismo del
particolare farmaco prescelto. Il residuo potrebbe essere presente solo in organi che potranno essere esclusi. Il residuo potrebbe essere presente anche nelle carni e allo stato attuale della
evoluzione normativa non potrebbero essere utilizzate. Su questo punto il cambio di paradigma auspicato per dare un vero
senso al rispetto per gli animali diventa un interessante ambito
di ricerca bioetica.
Dobbiamo sempre escludere la presenza di residui di farmaci
nelle carni? Anche quando sono conosciuti, individuati e valutati per il rischio che comportano? Anche quando il consumatore è informato, magari addirittura, da una specifica etichetta di marchio di qualità etica? L’esposizione a inquinanti
nella vita di tutti i giorni è inevitabile a meno di vivere in una
campana di vetro. Alcune sostanze nocive vengono assunte
ben conoscendo la loro azione come l’alcol o il fumo o il
cibo in eccesso, ma nell’economia della propria vita si è liberi
di scegliere. Cambiare le normative nel caso di un’ipotesi di
macellazione inconsapevole per quanto comporterebbe in
positivo dovrebbe diventare una ipotesi allo studio. Credo
sarebbe la prima volta che il beneficio del genere umano farebbe un passo indietro a giovamento di altre specie. Un
cambiamento dello spirito dei tempi».
Bibliografia
1. Ballarini G, 1989. Veterinaria. Ieri, oggi, domani. Edagricole. Supplemento al n. 12 di Obiettivi e Documenti Veterinari.
2. Benigni R, 1990. Rodent tumor profiles, Salmonella mutagenicity and risk assessment. Mut.Res., 244: 79-91.
3. Bergeaud-Blackler F, 2007. New Challenges for Islamic
Ritual Slaughter: A European Perspective. Journal of Ethnic
and Migration Studies, 33(6): 965-980.
4. Blake BW, Enslein K, Gombar VK, Borgstedt HH, 1990.
Salmonella mutagenicity and rodent carcinogenicity: quantitative structure-activity relationships. Mutation Research,
241: 261-271.
5. Bridges BA, 1988. Genetic toxicology at the crossroads a personal view on the deployment of short-term test for
predicting carcinogenicity. Mut.Res., 205: 25-31.
6. Brown LP, Ashby J, 1990. Correlation between bioassay
dose-level, mutagenicity to Salmonella, chemical structure
and sites of carcinogenesis among 226 chemicals evaluated
for cacinogenicity by the U.S. NTP. Mutation Research,
244: 67-76.
7. Fletcher D, 1999. Symposium: Recent Advances in Poultry
Slaughter Technology. Poultry Science, 78: 277-281.
8. Heddle JA, 1988. Prediction of chemical carcinogenicity
from in vitro genetic toxicity. Mutagenesis, 3(4): 287-291.
9. Lave LB, Omenn GS, 1986. Cost-effectiveness of short-term
tests for carcinigenicity. Nature, 324, 6 nov. 1986: 29-34.
10. McConnel EE, 1991. NTP carcinogens - interpretational
problems. Mutation Research, 248: 223-237.
11. Raj ABM, 2006. Recent developments in stunning and
slaughter of poultry. World’s Poultry Science Journal,
62(03): 467-484.
12. Rosenkranz HS e Ennever FK, 1990. An association between mutagenicity and carcinogenic potency. Mutation
Research, 244: 61-65.
13. Salamano G, Cuccurese A, Poeta A, Santella E, Sechi P,
Cambiotti V, Cenci-Goga BT, 2013. Acceptability of Electrical Stunning and Post-Cut Stunning Among Muslim
Communities: A Possible Dialogue. Society & Animals,
21(5): 443-458.
14. Santori P. Bioetica, rivista interdisciplinare n. 3/4 2014.
15. Tennant RW, Margolin BH, Shelby MD, Zeiger E, haseman JK, Spalding J, Caspary W, Resnick M, Stasiewicz
S, Anderson B, Minor R, 1987. Prediction of chemical
carcinogenicity in rodents from in vitro genetic toxicity
assays. Science 236: 933-941.
16. Trosko JE, 1988. A failed paradigm: cacinogenesis is
more than mutagenesis. Su “letters to editor”. Mutagenesis, 3 (4): 363-366.
51
Numero 1/2015
BTSF - uno strumento comunitario per l'aggiornamento professionale
nel settore della sicurezza alimentare
Il programma Better Training for Safer Food (BTSF), la cui base giuridica è l’articolo 51 del Regolamento 882/2004/CE, è curato
dalla Direzione Generale Salute e Consumatori della Commissione Europea (DG SANCO). L’obiettivo generale dell’iniziativa
“BTSF” è l’organizzazione e lo sviluppo di una strategia di formazione comunitaria, con le finalità di: assicurare e mantenere
un elevato livello di protezione dei consumatori e della salute degli animali, benessere degli animali e salute delle piante; promuovere un approccio armonizzato per il funzionamento dei sistemi di controllo comunitari e nazionali; creare uguali condizioni per tutte le imprese del settore alimentare; migliorare commercio di alimenti sicuri; garantire il commercio equo con i
Paesi terzi e in particolare i Paesi in via di sviluppo, per consentire a quest’ultimi di poter adeguare la propria legislazione in
materia di Sanità animale e sicurezza alimentare a quella dell’UE.
Pur non rientrando strettamente tra gli strumenti di cooperazione internazionale dell’UE, la BTSF può pertanto essere anche inserita
a pieno titolo tra le iniziative comunitarie volte sostenere e aiutare i Paesi in via di sviluppo attraverso una costante azione di “Capacity Building” intesa come la capacità di creare un ambiente che favorisce, attraverso opportune strutture politiche e giuridiche,
lo sviluppo istituzionale, lo sviluppo delle risorse umane e il rafforzamento dei sistemi di gestione di un Paese.
L’iniziativa BTSF, come ricordato, ha tra i suoi obiettivi, infatti, proprio quello di «garantire il commercio equo con i Paesi terzi
e in particolare i Paesi in via di sviluppo, per consentire a quest’ultimi di poter adeguare la propria legislazione in materia di sanità
animale e sicurezza alimentare a quella dell’UE». Le attività formative non si rivolgono dunque solo alle competenti Autorità
dei Paesi Membri, ma coinvolgono anche Stati in fase di pre-adesione all’Unione europea nonché Paesi terzi in via di sviluppo.
Attraverso una migliore conoscenza degli standard di sicurezza alimentare previsti dalla rigorosa normativa europea, è possibile agevolare l’esportazione nel mercato unico europeo – che rappresenta circa 500 milioni di potenziali consumatori - di
prodotti agricoli e alimentari provenienti dai Paesi in via di sviluppo, creando importanti occasioni di crescita per questi ultimi
con ricadute positive in termini di miglioramento della bilancia commerciale e della ricchezza della società nel suo complesso.
I corsi di aggiornamento, che includono anche attività pratiche per i partecipanti, vengono organizzati da società specializzate
(contractors) in varie località nell’Unione Europea e nei Paesi terzi. Durante le attività formative vengono forniti aggiornamenti
sulle norme di legge e la loro attuazione pratica dai migliori specialisti nel campo (tutors), a loro volta coordinati da un Training
Coordinator.
La gestione complessiva del programma è affidata alla CHAFEA (Agenzia Esecutiva dei Consumatori, della Sanità e dell’Alimentazione) che ha iniziato la propria attività il 1° gennaio 2014 e lavora a stretto contatto con la DG SANCO della Commissione Europea.
Periodicamente la CHAFEA pubblica sul proprio sito (http://ec.europa.eu/chafea/food/) dei bandi (tender) per le società o gli organismi interessati all’organizzazione dei corsi formativi nei quali vengono indicate le generalità del progetto BTSF e gli obiettivi che
si intendono perseguire. Ogni anno la CHAFEA elabora un report sui principali progressi dell’iniziativa BTSF.
I corsi di formazione sono disponibili gratuitamente per i funzionari e tecnici a vario titolo impegnati nei settori di applicazione del
programma BTSF, che al fine della partecipazione al programma vengono designati dai rispettivi organismi governativi attraverso
le diverse Autorità competenti. Anche operatori del settore e funzionari governativi di Paesi extra UE possono partecipare ai corsi
di formazione, nel caso in cui ci siano posti liberi disponibili e con il benestare della Commissione europea. In tutti gli Stati interessati
e coinvolti in questi progetti viene individuato un Punto di Contatto Nazionale (NCP), che svolge le funzioni di intermediario tra la
Commissione europea, le Autorità nazionali competenti e gli organizzatori dei corsi. L’NCP è coinvolto attivamente, dalla Commissione europea, nella definizione e nello sviluppo del progetto generale, mediante più incontri annuali durante i quali vengono
discusse nuove idee ed eventuali punti critici dei corsi. L’NCP per l’Italia è presso il Ministero della Salute ([email protected]). I contractor inviano all’NCP tutte le informazioni e le istruzioni per l’iscrizione ai corsi, le quali devono essere divulgate alle
Autorità nazionali competenti, in modo da poter raccogliere le adesioni, procedere ad un’eventuale selezione e comunicare tale selezione ai contractor stessi, in quanto questi non possono accettare iscrizioni che non siano approvate dall’NCP. La lista dei partecipanti viene poi inviata alla Commissione europea per la definitiva approvazione.
Damiana Chelli
Medico Veterinario
52
Formazione a distanza
abbinata a SUMMA SUMMA
ANIMALI DA COMPAGNIA
ANIMALI DA REDDITO
www.pviformazione.it/corsi-fad
Abbonati
a Summa
€ 36,00
Abbonati a un
periodico PVI
€ 72,00
Non abbonati
€ 120,00
DisponibilI dal 15 febbraio 2015
Sponsor:
Medicina felina:
cosa è cambiato e
cosa sta cambiando
Buiatria oggi:
sfide, problemi
e soluzioni
• 28 crediti ECM
• 28 crediti ECM
Provider standard ECM n. 27 da ottobre 2012
abbonamenti@pointvet. it
tel. 0260852332
Sponsor:
Numero 1/2015
ANIMALI SELVATICI
Il CRAS di Napoli
VINCENZO CAPUTO1, MARINA POMPAMEO4 PASQUALE RAIA2, VALERIO TOSCANO2, GIUSEPPE ALFIERO1, LUIGI DE LUCA
BOSSA1, FRANCESCA CICCARELLI2, ANTONIO GARGIULO2, MARIANGELA SENSALE2, LUDOVICO DIPINETO3, FRANCESCA
MENNA3, ALESSANDRO FIORETTI3
1
Centro di Riferimento Regionale per l’Igiene Urbana Veterinaria (C.R.I.U.V.)
Centro di Recupero Animali Selvatici di Napoli (C.R.A.S.)
3
Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali, Università di Napoli Federico II
4
Presidio Ospedaliero Veterinario ASL NA 1 Centro
2
I
l Centro di Recupero Animali Selvatici di Napoli
(CRAS), di cui è titolare il Dipartimento di Medicina
Veterinaria e Produzioni Animali, nasce presso il Presidio Ospedaliero Veterinario dell’ASL Napoli 1 Centro,
nell’anno 2010, con Decreto Dirigenziale n. 94 del
06.05.2010. La sua istituzione è stata, in primis, la risposta alla necessità di soccorrere la fauna selvatica rinvenuta
in difficoltà in un ambiente altamente urbanizzato come
la Regione Campania.
La Legge 157/92, che norma la gestione della fauna selvatica
in Italia, delega alle Regioni il compito di disciplinarne il
soccorso e la detenzione ai fini del rilascio. In Regione Campania la gestione della fauna selvatica è disciplinata dalla
L.R. 26/2012 e ss. mm. che, all’art. 4 comma 1, demanda
alla Giunta regionale il compito di autorizzare, sentito l’Istituto Superiore Per la Ricerca Ambientale (ISPRA), l’istituzione
di centri di recupero della fauna selvatica ai sensi dell’articolo
4, comma 6, della Legge 157/1992 con le finalità di soccorrere, riabilitare e reintrodurre in natura esemplari di fauna
selvatica feriti.
Tali autorizzazioni possono essere concesse al Corpo forestale
dello Stato, ai Dipartimenti scientifici delle Università, alle
associazioni venatorie, alle associazioni di protezione ambientale riconosciute dal Ministero dell’ambiente che operano
in Campania.
La medesima norma regionale, all’art. 4 comma 4, dispone
che con apposito regolamento siano definite le disposizioni
per l’attuazione delle norme contenute nella L.R. 8/96 che,
in particolare, all’art. 5, definisce i criteri e i requisiti tecnico-scientifici concernenti le autorizzazioni relative ai CRAS.
Operatività dei CRAS in Campania
La Regione Campania con il Regolamento n. 4/2012 pubblicato
sul BURC n. 22 del 10 aprile 2012, “Regolamento per il recupero,
la detenzione e la reimmissione in natura della fauna selvatica in
attuazione dell’articolo 5 della Legge regionale 10 aprile 1996,
n. 8 (Norme per la protezione della fauna selvatica e disciplina
della attività venatoria in Campania)”, distingue l’operatività
dei CRAS in diversi livelli di soccorso:
55
Numero 1/2015
pronto soccorso
altre asl
7%
6%
privato
33%
corpo di polizia
28%
colte in un idoneo sistema informativo in grado di interfacciarsi con la banca dati dell’Osservatorio Epidemiologico Regionale Veterinario al fine di condividere le informazioni con
valenza sanitaria ed epidemiologica.
L’esempio di Napoli
corpo
di polizia,
altre asl
1%
enti/associazioni
21%
corpo di polizia,
enti/associazioni
4%
Figura 1. Tipologia di conferitori.
• Soccorso di primo livello
Requisiti strutturali minimi, presenza di un medico veterinario
responsabile e di un addetto qualificato di comprovata esperienza.
• Soccorso di secondo livello
Oltre ai requisiti strutturali minimi, deve essere dotato di un
pronto soccorso veterinario 24h, servizi di diagnostica e di
chirurgia specialistica. Altresì deve disporre di strumenti per
la diagnostica delle malattie infettive anche ai fini del monitoraggio sanitario.
• Strutture periferiche collegate ai CRAS
Le strutture periferiche collegate ai CRAS, in quanto non destinate al soccorso, bensì all’esclusiva degenza per fini riabilitativi, non prevedono strutture ambulatoriali.
Esse devono garantire, oltre ai requisiti minimi relativi alle gabbie
e ai locali per lo stoccaggio di materie alimentari e attrezzature,
la presenza di un addetto di comprovata esperienza biennale.
Tali strutture, devono essere funzionali alle attività del CRAS
di riferimento attraverso la sottoscrizione di appositi accordi
funzionali. Le informazioni e i dati relativi alle attività dei
CRAS e delle strutture relative periferiche devono essere rac-
Figura 2. Tunnel di volo.
56
Il CRAS di Napoli di II livello accoglie la fauna selvatica
proveniente dall’intero territorio regionale anche attraverso
la collaborazione con il Corpo forestale dello Stato, la Polizia
provinciale, le Associazioni ambientaliste, le Forze dell’Ordine, che garantiscono il recupero e il trasporto verso il
Centro stesso della fauna selvatica bisognosa di soccorso. Si
è altresì riscontrata un’importante risposta da parte dei privati
cittadini sul delicato tema del recupero della fauna selvatica
rinvenuta in difficoltà (figura 1).
Gli esemplari selvatici rinvenuti in stato di difficoltà giungono
al centro di recupero dove vengono sottoposti a visita medica
- in regime di pronto soccorso - a cura del personale medico
veterinario specializzato, tenuti in condizioni di isolamento
prima della diagnosi definitiva e, se necessario, sottoposti a
prestazioni specialistiche di II livello erogate presso il Presidio
Ospedaliero Veterinario (POV).
Quando opportuno, si procede alla raccolta di campioni biologici finalizzata alla ricerca di agenti patogeni eventualmente
ospitati dall’animale selvatico ricoverato. A seguito della fase
strettamente clinica o del trattamento chirurgico della patologia diagnosticata, inizia il percorso riabilitativo che termina
con un periodo di degenza in apposite voliere denominate
“tunnel di volo” (figura 2)
Questi tunnel sono strutture congeniali adibite ad ottenere
un graduale e costante esercizio fisico dei pazienti. Successivamente, accertato il pieno recupero degli esemplari ricoverati, viene programmata la fase di rilascio in natura, i cui
tempi e luoghi sono individuati dai medici veterinari afferenti
alla struttura. Questa fase si avvale anche del parere formulato dagli inanellatori, autorizzati dall’ISPRA a prestare la
propria opera presso il CRAS.
Numero 1/2015
Figura 3. Andamento dei ricoveri dall’anno 2010 al 2014.
Figura 4. Classi animali ricoverate al CRAS espresse in percentuale.
Cause antropiche Consegnato
deceduto Starvation Cucciolo
5%
2%
1%
1%
Ferite arma da fuoco
5%
Subadulto
6%
Altre
cause
cliniche
8%
Pullus
25%
Sequestro
36%
Trauma
25%
Figura 5. Le specie più frequentemente ricoverate nel 2014.
Figura 6. Cause di ricovero al CRAS nel 2014 espresse in percentuale.
Nel corso dei 5 anni di attività si è assistito a un progressivo aumento dei ricoveri, dovuto presumibilmente al consolidamento del sistema di collaborazione in rete che si è
gradualmente sviluppato sul territorio e a una crescente
coscienza ecologica e conservazionistica dei privati cittadini (figura 3).
Nei primi 5 anni di attività sono stati ricoverati più di
6.000 animali tra i quali la classe animale più rappresentata è quella degli Uccelli (figura 4).
Questa tendenza è confermata anche dai numeri riferiti
all’anno 2014, dove le dieci specie ricoverate con maggiore
frequenza sono rappresentate da volatili, tra le quali prevale il Cardellino (Carduelis carduelis), vittima di attività
di uccellagione legata al commercio illecito (figura 5).
Infatti, tra le diverse cause di ricovero presso il CRAS, la
principale è dovuta all’attività di Polizia giudiziaria, esercitata
soprattutto in ordine alla detenzione e traffico di specie particolarmente protette ai sensi della Legge 157 del 1992, seguita dalle cause traumatiche e dal ricovero di esemplari immaturi rinvenuti anche in aree urbanizzate.
Una quota più che significativa di ricoveri è dovuta a lesioni da
arma da fuoco, riferibili alla pratica del bracconaggio, purtroppo
ancora ben radicata in alcuni contesti regionali (figura 6).
Le diverse cause di ricovero indicano una costante influenza
delle attività antropiche su queste specie. Infatti, numerosi
dei traumi riportati in questi pazienti sono da ricondurre ad
impatti contro autoveicoli e strutture in contesti urbanizzati,
o ancora, contro pale eoliche e cavi elettrici ad alta tensione.
Anche il ricovero dei nidiacei (pulli) e dei cuccioli, spesso è una
conseguenza di un improvvido intervento da parte dell’uomo o
è la diretta conseguenza della consolidata abitudine di alcune
specie sinantropiche, come il Gabbiano reale, di nidificare in
aree ad alta urbanizzazione, dove la prole, una volta lasciato il
nido, non può più usufruire delle cure parentali come avviene
in ambiente naturale. Questo fenomeno, osservato da tempo, è
da addebitare in maniera preponderante all’aumento delle fonti
alimentari disponibili presso gli insediamenti umani o nelle aree
periurbane, come le discariche, che hanno contribuito, insieme
alla frammentazione degli habitat naturali, a un incontrollato
aumento demografico di dette specie.
57
Numero 1/2015
Foto 1. Rx di un esemplare di Falco pellegrino ricoverato per lesioni
da arma da fuoco. Si notano la rosa di pallini da caccia e la frattura
dell’ulna destra.
ra
ttu
ru
Tr
a
sf
er
C
im
on
en
se
to
in
gn
at
al
o
tra
de
st
ce
Af
fid
o
en
eg
D
du
te
to
a
si
Eu
ta
na
io
sc
la
Ri
D
ec
es
so
La pratica del bracconaggio provoca ancora numerosi ricoveri, soprattutto tra i rapaci che molto frequentemente sono
rinvenuti con gravi ferite da arma da fuoco, spesso con fratture, e al momento del ricovero vengono sottoposti all’opportuno esame radiografico per il rilievo dei pallini da caccia,
indispensabile anche ai fini delle comunicazioni di reato all’A.G. (foto 1)
I dati elaborati, riferiti all’attività di recupero finora effettuata,
rivelano una significativa quota di esemplari rilasciati in natura, considerate anche le condizioni critiche in cui versano
molti degli animali al momento del conferimento presso il
centro di recupero (figura 7).
Il CRAS di Napoli opera, nell’ambito delle sue attività, in sinergia
con il Centro di Riferimento Regionale per l’Igiene Urbana Veterinaria (CRIUV), istituito dalla Giunta regionale della Campania con la delibera n. 1940 del 30/12/2009, già inserito nel Piano
Figura 7. Esiti dei ricoveri nel quadriennio 2010-2014.
58
sanitario regionale 2011/2013 quale strumento operativo di approfondimento e analisi del rischio in materia di igiene urbana
veterinaria. Il CRIUV ha tra gli obiettivi lo sviluppo di modelli
di gestione del rischio legato alla presenza, negli agglomerati urbani, di animali sinantropici e la messa a punto di strategie ecoepidemiologiche applicabili in tutte le ASL della Regione utilizzando gli animali come sentinelle ambientali.
Gli esemplari deceduti nel corso del ricovero vengono conferiti, ai sensi del Regolamento regionale n. 4 del 2012,
all’IZS del Mezzogiorno o al CRIUV per l’accertamento
delle cause di morte.
Il Regolamento regionale n. 4/2012 nel definire i criteri di
funzionamento dei centri di recupero della fauna selvatica
ha istituzionalizzato, a cura del CRIUV, la funzione di supporto sanitario ai CRAS, funzione di fatto già operativa dal
2010 e che prevede sia l’erogazione agli animali selvatici ricoverati di prestazioni assistenziali di elevata specialità (clinica, chirurgica e diagnostica), sia indagini sulle patologie
infettive e parassitarie, con particolare riferimento alle malattie con rischio zoonotico.
Pertanto, il CRAS, in coessenzialità con il CRIUV riveste un
ruolo di osservatorio privilegiato per quanto concerne la raccolta
dei dati epidemiologici finalizzati alla tutela della salute pubblica
partecipando attivamente anche all’attuazione del “Piano di gestione e monitoraggio ai fini epidemiologici della fauna selvatica
in Regione Campania”, fornendo i dati epidemiologici relativi
al campionamento eseguito, quando opportuno, sugli esemplari
ricoverati. Gli stessi, assumono alla luce di quanto espresso in
precedenza, il ruolo di “sentinelle ambientali”.
Inoltre, il CRAS, attraverso i medici veterinari specialisti che
vi afferiscono, collabora con il personale veterinario CRIUV,
al campionamento mediante il prelievo di tamponi cloacali,
tamponi tracheali e feci sulle specie ornitiche individuate dal
succitato piano monitoraggio sanitario per la ricerca dei virus
influenzali presso le Stazioni di Cattura di Inanellamento, autorizzate dalla Regione Campania su parere dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA). Nell’ambito del medesimo piano si effettua la raccolta di campioni
ematici dagli esemplari di Lepre europea destinati al ripopolamento nelle 5 Provincie campane per il monitoraggio della
Tularemia e della Sindrome della Lepre Bruna (EBHS).
Inoltre, sono numerosi gli incontri con gli addetti al settore e
con i medici veterinari dei Distretti delle ASL campane, referenti
per il piano di monitoraggio, finalizzati alla messa in atto dei
campionamenti sulla popolazione di cinghiali abbattuti durante
l’attività venatoria per la ricerca della trichinella.
Ringraziamenti
Le molteplici e diversificate attività del CRAS di Napoli si avvalgono della preziosa partecipazione dei medici veterinari tirocinanti e dei volontari che vi afferiscono, il cui contributo è
sostanziale ai fini del perseguimento degli obiettivi prefissati.
A loro va rivolto un doveroso ringraziamento per la passione
e la competenza con le quali si impegnano quotidianamente
nella gestione del centro di recupero.
Numero 1/2015
AGGRESSIVITÀ CANINA
Gestione dei cani pericolosi:
una proposta di linee guida
per i servizi veterinari
MARIO MARINO, MAURO GNACCARINI, MAURO MORETTA, PATRIZIA MORERO
Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva - ASL TO 3
L
a necessità di tutelare sia la sicurezza delle persone
sia il benessere degli animali nei casi di aggressività
impropria e conseguente pericolosità dei cani, rappresenta oggi un tema che sempre più spesso coinvolge i
servizi veterinari e che può porre il veterinario ufficiale di
fronte a processi decisionali assai problematici, anche a
causa di un quadro normativo complesso, variegato e non
esaustivo, oltre che del grande rilievo mediatico che l’argomento suscita. Argomento che, peraltro, non è scevro
da delicate valutazioni di tipo etico; infatti, qualora divenisse inevitabile giungere alla certificazione di “irrecuperabilità” dei cani pericolosi, quale condizione oggi indispensabile - come sarà meglio di seguito argomentato per
poter procedere in taluni casi, all’eutanasia per “comprovata pericolosità” -, occorrerebbe aver già validamente definito i criteri e i metodi per un corretto compimento di
tale percorso.
La scelta estrema della soppressione eutanasica è naturalmente soggetta alla sempre più rilevante sensibilità dell’opinione pubblica oltre che, evidentemente, del “mondo
animalista”. Una sensibilità già da tempo ben percepita e
conseguentemente “tradotta” dal legislatore nei codici; sicché scelte avventate o comunque non validamente motivate,
potrebbero esitare nella contestazione di gravi responsabilità penali; giova in proposito ricordare come il quadro
normativo, complessivamente esaminato, indica l’eutanasia
come pratica ammessa solo nel caso sia inevitabile, quindi
sostanzialmente attuabile solo “nell’interesse dell’animale”,
mentre il cagionarne la morte “senza necessità” concretizza
la fattispecie contemplata dall’art. 544-bis del vigente Codice penale, illecito per il quale è prevista la condanna da
tre a diciotto mesi di reclusione.
Com’è noto le cause di necessità che possono giustificare
la scelta eutanasica sono state inizialmente contemplate
nella Legge quadro in materia di animali di affezione (L.
281/91 - art. 2 c. 6) e prevedono le condizioni di malattia
grave, incurabile e, appunto, la comprovata pericolosità.
Quest’ultima circostanza, alla luce della notevole evoluzione
normativa in materia e dei progressi scientifici realizzati
con l’avvento e lo sviluppo delle scienze veterinarie comportamentali, oltre a richiedere criteri diagnostici specialistici, diviene di per sé insufficiente a giustificare l’eutanasia
poiché, qualora ci fossero possibilità di recupero terapeutico/comportamentale, verrebbe meno quella stessa “necessità” posta dal legislatore alla base dell’eventuale legittimità a cagionar la morte dell’animale.
Non meno insidiose possono risultare le decisioni da intraprendere per definire procedure atte a promuovere e garantire una corretta e sicura gestione dei cani potenzialmente pericolosi al fine di garantire l’incolumità delle
persone, oltre che per tutelare e delimitare legalmente gli
ambiti di responsabilità del veterinario pubblico chiamato
a visitare cani morsicatori - o comunque pericolosi - che
potrebbero causare ulteriori incidenti con effetti anche
gravi.
Proprio in considerazione delle succitate rilevanti difficoltà
che il veterinario ufficiale può essere chiamato ad affrontare
per la parte di competenza, affatto rilevante, nella gestione
del “cane pericoloso”, gli autori, tutti veterinari dirigenti
ASL impegnati nel settore, hanno ritenuto utile e opportuno
cimentarsi preventivamente sul tema e con il presente articolo proporre all’attenzione e alla discussione indicazioni
operative che possano assumere la caratteristica delle “linee
guida”, essendo il frutto di uno studio condotto con approccio pratico e sulla base di “esperienze vissute” e che,
almeno nelle intenzioni, potrebbero rappresentare il punto
di partenza per un documento più ampiamente condiviso
ed accreditato, finalizzato a promuovere comportamenti e
modalità operative coerenti ed applicabili alle varie realtà
territoriali, fermi restando gli eventuali necessari adeguamenti alle rispettive normative regionali.
È peraltro fondamentale, in genere, ma ancor più nel caso
in questione, la condivisione delle scelte operative, poiché
gli Enti che possono essere coinvolti a vario titolo nei processi decisionali sono diversi così come molteplici potrebbero essere gli stakeholders di volta in volta presenti o po59
Numero 1/2015
Riquadro 1. Cronologia delle OM contingibili e urgenti concernenti
la tutela dell'incolumità pubblica dall'aggressione dei cani.
O.M. 27 agosto 2004
O.M. 28 marzo 2007
O.M. 22 marzo 2011
O.M. 3 ottobre 2005
O.M. 14 gennaio 2008
O.M. 6 agosto 2013
tenziali. Tale condivisione perciò, laddove si intendesse
adottare un documento costituente “linee guida” in sintonia
con la proposta operativa qui esposta, dovrebbe certamente
tradursi almeno in una nota esplicativa (meglio se seguita
da approfondimenti in specifici incontri) finalizzata a illustrarne sinteticamente lo spirito e la ratio, rivolta ai Sindaci
del territorio, ai canili pubblici, al 118 e alle Forze dell’Ordine operanti sul territorio, all’Ente Regione, alla Facoltà
ovvero al Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di riferimento, all’Ordine dei Medici Veterinari della
Provincia, ai veterinari comportamentalisti che eventualmente possano trovarsi a collaborare a vario titolo con
l’ASL.
Al fine di evitare fraintendimenti, pare opportuno osservare
come, in termini generali, s’intendono “linee guida” l’insieme delle raccomandazioni sviluppate sistematicamente,
sulla base di conoscenze e riferimenti normativi continuamente aggiornati e validi, redatte allo scopo di rendere anche appropriati, oltre che dotati di un apprezzabile standard
di qualità, comportamenti adeguati e sostenibili. Tali raccomandazioni, in quanto modelli di riferimento, non sono
e non devono essere considerati “protocolli”, la cui caratteristica precipua è invece l’interpretazione univoca delle
informazioni all’interno di uno strumento metodologico
rigoroso, né tanto meno “procedure”, contraddistinte dall’elencazione di azioni dettagliate e specifiche. Gli autori
hanno voluto in tale ottica considerare le linee guida più
propriamente come principi ispiratori ed orientamenti di
massima che, per quanto possibile, dal piano teorico si
possano calare nella realtà analizzando casi concreti con
diagrammi di flusso semplificativi. L’idea è quella di fornire
un supporto ai veterinari pubblici nella loro qualità di professionisti con specifiche competenze, ferma restando la
professionalità propria di ciascuno e senza che la linea
guida possa limitarne l’irrinunciabile discrezionalità.
La tutela dell’incolumità pubblica dall’aggressione dei cani
è un argomento che ha preoccupato in modo evidente il legislatore nazionale sin dall’anno 2004 quando, visti gli episodi verificatisi sul territorio e ritenuta la necessità e l’urgenza di adottare, «in attesa della emanazione di una
disciplina normativa organica in materia», disposizioni
cautelari a tutela della salute pubblica, ha emanato la prima
di una lunga serie di Ordinanze contingibili e urgenti con
relative modifiche, aggiornamenti, reiterazioni e proroghe
di cui l’ultima, datata 6 agosto 2013, è ancora vigente in
60
O.M. 12 dicembre 2006
O.M. 3 marzo 2009
D.M. 28 agosto 2014
virtù del DM 28 agosto 2014 (riquadro 1). Ad oggi tuttavia
non è ancora stata emanata la preannunciata “specifica
normativa organica”; è necessario quindi fare riferimento
alla citata attuale Ordinanza e alle eventuali specifiche normative regionali che comprendano provvedimenti pertinenti; come è il caso, ad esempio, delle regioni Piemonte e
Toscana che già dal 2009 si sono dotate di leggi regionali
che disciplinano l’argomento.
In particolare la Regione Piemonte ha emanato una legge
regionale specificatamente dedicata alla disciplina del rapporto persone-cani per la prevenzione della salute pubblica
e del benessere animale; la regione Toscana ha invece provveduto inserendo specifici articoli inerenti i temi della valutazione e gestione dei cani pericolosi all’interno della
norma generale per la tutela degli animali (riquadro 2 e 3).
Gli elementi salienti dell’OM 6/8/13 prevedono il principio
di responsabilità del proprietario/detentore del cane (anche
relativamente all’adeguatezza del suo comportamento alle
specifiche esigenze di convivenza con le persone e gli animali
rispetto al contesto in cui vive), la disciplina dell’uso del
guinzaglio e della museruola, l’istituzione di percorsi formativi
per i proprietari di cani (patentino) da rendersi obbligatori
in determinati casi, gli obblighi per i proprietari di cani classificati a rischio elevato; ai Servizi veterinari compete la valutazione del rischio aggressività mediante l’accertamento
delle condizioni psicofisiche dell’animale e della corretta gestione da parte del proprietario, l’eventuale adozione di misure di prevenzione e la prescrizione della valutazione comportamentale e/o dell’intervento terapeutico da parte di medici
veterinari esperti in comportamento animale.
D’altra parte è necessario tener presente che rimane sempre
vigente l’obbligo di osservazione sanitaria dei cani morsicatori
per il controllo della rabbia ai sensi dell’art. 86 DPR
320/1954; quindi, pur in considerazione dell’attuale favorevole situazione epidemiologica della rabbia nel nostro Paese,
è opportuno mantenere una soglia di attenzione sufficiente
nei confronti del possibile rischio di diffusione della malattia
legato in particolar modo al fluente commercio di cani e
gatti provenienti dall’Est Europa, nonché ai sempre più frequenti spostamenti di animali da compagnia a seguito dei
viaggiatori da e verso luoghi dove il virus è endemico. La visita dei cani morsicatori diviene quindi il momento centrale
per valutare sia il “rischio rabbia” sia il “rischio pericolosità
comportamentale”. A tal fine si dovrà sempre procedere ad
eseguire una specifica visita e un’indagine epidemiologica.
Numero 1/2015
Riquadro 2. Sintesi della Legge regionale Piemonte n. 27 del 4 novembre 2009 “Disciplina del
rapporto persone-cani per la prevenzione della salute pubblica e del benessere animale”(*)
(*) Manca il provvedimento attuativo che ai sensi dell’art. 9 della medesima LR 27/09 avrebbe dovuto essere emanato entro 120 giorni dalla
sua entrata in vigore ovvero entro il 13 marzo 2010
• Si definisce “cane ad aggressività non controllata” il soggetto che lede o che inequivocabilmente attenta all’integrità fisica di
una persona o di altri animali attraverso un comportamento aggressivo non controllato dal proprietario o detentore dell’animale.
• Si definisce “addestratore cinofilo”, ai sensi del disciplinare degli addestratori cinofili e dei valutatori cinofili approvato con
decreto del direttore generale del ministero delle politiche agricole e forestali dell’8 marzo 2005, il tecnico abilitato:
a) a educare i cani ed a prepararli al superamento delle verifiche zootecniche previste dalle differenti prove di lavoro in modo da esaltarne le specifiche qualità naturali a seconda dell’impiego e della loro affidabilità;
b) a impartire insegnamenti aventi la finalità di favorire la convivenza tra uomo e cane, l’inserimento del cane nella vita sociale, sviluppandone le capacità di apprendimento e indirizzandole verso l’impiego specifico di ciascuna razza;
c) a migliorare la responsabilizzazione dei proprietari nella gestione dei loro cani con insegnamenti finalizzati all’ottenimento di affidabilità, equilibrio e docilità dei cani medesimi.
• Si definisce “valutatore cinofilo”, ai sensi del disciplinare di cui al comma 3, l’esperto abilitato a valutare, attraverso test comportamentali, il controllo dell’affidabilità e dell’equilibrio psichico dei cani.
Il detentore di cani ad aggressività non controllata ha l’obbligo di vigilare con particolare attenzione sulla detenzione degli stessi al
fine di evitare ogni possibile aggressione a persone, ottemperando alle prescrizioni di seguito riportate nonché a tutte le disposizioni
specifiche di livello nazionale e locale per la gestione di cani a rischio.
• La visita veterinaria comportamentale
La visita veterinaria comportamentale è obbligatoriamente disposta per tutti i cani giudicati “ad aggressività non controllata” ed è
mirata ad esprimere un giudizio sulla pericolosità del cane non oltre i quaranta giorni dall’evento.
Se necessario si può prescrivere un percorso formativo per i proprietari di cani ad aggressività.
• Il percorso formativo per proprietari di cani ad aggressività non controllata
a) È organizzato dal comune, in collaborazione con l’ASL, l’ordine professionale dei medici veterinari, la Facoltà di Medicina Veterinaria,
le associazioni veterinarie e le associazioni di protezione degli animali.
b) Deve avvalersi di una equipe composta da un veterinario comportamentalista, da un valutatore e da un addestratore cinofilo.
c) Deve prevedere un esame valutativo esteso alla relazione uomo-animale.
d) Deve certificare il controllo dell’affidabilità e dell’equilibrio psichico del cane.
• Le prescrizioni sino al superamento del test di affidabilità del cane
Fino al superamento del test il detentore di cani ad aggressività non controllata ha i seguenti obblighi:
a) Applicare sia il guinzaglio sia la museruola ai cani quando si trovano nelle vie o in un altro luogo aperto al pubblico;
b) Stipulare una polizza di assicurazione di responsabilità civile per i danni a terzi causati dal proprio cane.
• La possibilità di rinuncia
Il detentore dei cani ad aggressività non controllata ha facoltà di rinunciare all’animale, ma è obbligato a sostenere le spese di mantenimento e rieducazione sino a un nuovo affidamento.
• Il mancato superamento del test di affidabilità del cane
Qualora il detentore dei cani ad aggressività non controllata non superi il test o non vi si sottoponga e i servizi veterinari ne certifichino
l’incapacità di gestione del cane, il Comune, su richiesta dell’ASL competente, adotta un provvedimento di sequestro del cane e, qualora
ne ricorrano i presupposti, l’ASL ne certifica l’irrecuperabilità.
• Gli oneri
Gli oneri economici connessi al mantenimento, alle visite veterinarie comportamentali e alla rieducazione dell’animale sono interamente a carico del detentore dello stesso.
• Le sanzioni
I detentori di cani che violano le disposizioni di cui all’articolo 5 («obbligo di vigilanza, di visita veterinaria comportamentale, adozione
di guinzaglio e museruola e stipula polizza assicurativa»), sono puniti con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma compresa tra un minimo di 1.000,00 euro e un massimo di 5.000,00 euro (1.667,00 euro in caso di pagamento in misura ridotta). La recidiva comporta un aumento di un terzo della sanzione pecuniaria.
Esistono molti protocolli operativi adottati nelle varie
Regioni per il controllo sanitario dei cani morsicatori,
ciascuno corredato da propria specifica modulistica.
Quello della regione Piemonte, cui qui si accenna per
utile esemplificazione, fornisce alcuni criteri per la valutazione dei rischi, individuando gli elementi rilevanti per
61
Numero 1/2015
Riquadro 3. Sintesi della Legge regionale Toscana n. 59 del 20 ottobre 2009
“Norme per la tutela degli animali” e relativo Regolamento (DPGR 4 agosto 2011, n. 38/R)
• Controllo cani morsicatori
Ai fini della valutazione del rischio e dei successivi provvedimenti di prevenzione e di polizia veterinaria, le morsicature e le aggressioni
di cani devono essere segnalate al servizio veterinario dell’azienda USL di riferimento che sottopone a controllo veterinario i cani
morsicatori.
• Misure di prevenzione e intervento terapeutico comportamentale
I medici veterinari del servizio veterinario regionale, nel caso di rilevazione di rischio potenziale elevato, in base alla gravità
delle lesioni provocate a persone, animali o cose, stabiliscono le misure di prevenzione e la eventuale necessità di un intervento
terapeutico comportamentale da parte di medici veterinari esperti in comportamento animale, con spese a carico del proprietario
o del detentore.
• Accertamento della pericolosità dell’animale
La condizione di comprovata pericolosità dell’animale per l’incolumità delle persone è attestata da una commissione composta da tre
medici veterinari, tra cui un veterinario comportamentalista, ove presente all’interno dell’azienda unità sanitaria locale.
• Incapacità di gestione e sequestro
Qualora, al termine dell’intervento terapeutico comportamentale, i servizi veterinari dell’azienda USL accertino l’incapacità di gestione
del cane da parte del proprietario o del detentore, l’autorità sanitaria territorialmente competente adotta un provvedimento di sequestro finalizzato alla confisca del cane.
• Possibilità di rinuncia
Il proprietario o il detentore ha la facoltà di rinunciare alla custodia del cane dichiarato a rischio potenziale elevato, tuttavia è obbligato
a sostenere le spese di mantenimento e dell’intervento terapeutico comportamentale, sino al momento di un’eventuale cambiamento
di proprietà.
• Cani irrecuperabili
Qualora un cane venga certificato come “irrecuperabile” può essere mantenuto, a spese del proprietario o del detentore, presso strutture autorizzate che garantiscano l’incolumità a persone e altri animali nonché le condizioni di cui alla presente legge, o con le stesse
garanzie ceduto a un’associazione per la protezione degli animali.
• Registro cani a rischio potenziale elevato
I servizi veterinari devono tenere un registro aggiornato dei cani identificati a rischio potenziale elevato.
• Divieto di soppressione
- È vietato sopprimere gli animali se non perché gravemente malati e incurabili.
- È consentita la soppressione di soggetti ritenuti di comprovata pericolosità per l’incolumità delle persone.
- La soppressione è effettuata in modo eutanasico; provvedono alla soppressione degli animali solo i medici veterinari che rilasciano
al responsabile dell’animale un certificato dal quale risulti la causa della soppressione.
• Promozione delle competenze comportamentali
La Regione promuove, nel quadro dell’educazione continua dei medici veterinari del servizio sanitario regionale, lo sviluppo di competenze tecniche di medicina comportamentale.
la valutazione sia del rischio rabbia («la posizione anagrafica del cane, gli eventuali soggiorni in zone a rischio
o smarrimenti dell’animale negli ultimi 6 mesi, la copertura vaccinale antirabbica, la presenza di lesioni con soluzione di continuo della cute del morsicato, la presenza
di aspetti comportamentali anomali riferiti dal proprietario e l’ipotesi riferita sull’evento scatenante la morsicatura, eventuali precedenti episodi di morsicatura inferta
e/o subita dall’animale») sia del rischio pericolosità («caratteristiche del cane morsicatore, contesto in cui si è
svolto l’evento, caratteristiche del morsicato, ambito familiare, precedenti episodi di morsicatura inferta dal
cane, la presenza di aspetti comportamentali anomali riferiti dal proprietario e l’ipotesi riferita sull’evento scatenante la morsicatura»).
62
Per quanto concerne i criteri di valutazione dei cani aggressivi si può ormai fare riferimento a un’ampia bibliografia esistente anche in rete, così come, analogamente,
sono rese facilmente disponibili varie tipologie di schede
a punti finalizzate ad oggettivare il livello di rischio di
ciascun cane.
Le Linee guida qui proposte non intendono dunque entrare
nel merito delle singole valutazioni professionali, ma si
propongono come ausilio e supporto nei percorsi decisionali; a partire dalla situazione normativa vigente integrano
i protocolli esistenti nelle varie realtà con flow chart che in
modo semplice (anche per il codice colore ispirato al semaforo stradale) possono suggerire quali scenari risultino
più congeniali e meno problematici in ciascuna fase del
processo, fornendo anche i facsimile di ordinanze sindacali
Numero 1/2015
proponibili alle amministrazioni comunali per ogni caso
contemplato dai diagrammi stessi.
Una considerazione particolare deve essere rivolta al percorso formativo “obbligatorio” previsto per i proprietari
di cani a rischio potenziale elevato. In questo caso, infatti,
ai sensi del DM 26/11/2009, la formazione prevede pure
la consulenza di un medico veterinario esperto in comportamento animale per una valutazione comportamentale sul
cane volta a individuare il percorso formativo e terapeutico
più idonei, e deve comprendere anche moduli didattici pratici sull’interazione cane-proprietario. Al termine del percorso il proprietario deve effettuare un test di verifica predisposto dal servizio veterinario volto a valutare le
conoscenze (ed evidentemente anche le competenze) acquisite. Questa percorso deve necessariamente essere mirato e
personalizzato per la specifica coppia detentore/cane e deve
essere inserito nell’iter diagnostico/prognostico/terapeutico/riabilitativo/formativo (come di seguito definito nelle
linee guida) attuato, su specifica prescrizione del veterinario
ufficiale, dal veterinario specialista in Medicina veterinaria
comportamentale eventualmente coadiuvato da collaboratori con la qualifica di educatori/addestratori/istruttori cinofili.
Al fine della corretta adozione delle flow chart che qui si
propongono, occorre infine considerare che, qualunque protocollo operativo si adotti nella fase di prima visita e valutazione del cane morsicatore - o comunque segnalato come
problematico e/o pericoloso, è necessario che il medico veterinario coinvolto (che potrebbe anche non essere un esperto
in materia) possa comunque giungere a definire almeno se
l’episodio sia da considerarsi del tutto accidentale, ovvero se
sia necessario e sufficiente prescrivere particolari modalità
di detenzione e gestione, oppure se si ritiene necessaria la
prescrizione di una visita veterinaria comportamentale.
Linee guida per la gestione dei cani pericolosi
1. In base ai criteri di rischio aggressività valutati durante la
visita veterinaria e contestuale indagine epidemiologica («specificando che tale visita potrà avvalersi anche dell’intervista
alla persona morsicata e si potrà eseguire non soltanto a seguito di segnalazione di morsicatura, ma anche nei casi di
segnalazioni di comportamenti aggressivi impropri e/o non
controllati») si può determinare che (figura 1):
a) l’episodio morsicatura è avvenuto con modalità e in contesti tali da far escludere un reale rischio di potenziale pericolosità del cane;
b) è sufficiente prescrivere modalità di detenzione e gestione
particolari (guinzaglio, museruola, recinto, gestione del
cancello ecc.), ma non si reputa necessaria una valutazione
specialistica mediante prescrizione di una visita veterinaria
comportamentale;
c) è necessario prescrivere una visita veterinaria comportamentale.
Figura 1. Linee guida per la gestione dei cani pericolosi: punto 1.
63
Numero 1/2015
Figura 2. Linee guida per la gestione dei cani pericolosi: punto 2.
Figura 3. Linee guida per la gestione dei cani pericolosi: punto 3.
64
Numero 1/2015
Figura 4. Linee guida per la gestione dei cani pericolosi: punto 4.
2. Nel caso di prescrizione di visita veterinaria comportamentale si può verificare che (figura 2):
d) il proprietario del cane provveda;
e) il proprietario del cane si rifiuti di provvedere;
f) il proprietario decida di rinunciare al cane.
3. Nel caso di visita medico veterinaria comportamentale
si può verificare che (figura 3):
g) il veterinario specialista certifichi che il cane non è potenzialmente pericoloso;
h) il veterinario specialista certifichi che il cane necessita
di ulteriori approfondimenti/trattamenti/percorsi riabilitativi e/o il proprietario necessiti di un percorso formativo
mirato al binomio uomo/cane;
i) il veterinario specialista certifichi che il cane è pericoloso
e non recuperabile;
J) il veterinario specialista certifichi l’incapacità di gestione
del cane da parte del proprietario.
4. Nell’eventualità in cui il veterinario specialista in Medicina
veterinaria comportamentale abbia prescritto un ulteriore
iter diagnostico/prognostico/terapeutico/riabilitativo/formativo si possono verificare i seguenti casi (figura 4):
k) il proprietario decide di interrompere oppure non è in
condizioni di proseguire l’iter proposto;
l) l’iter si conclude con la certificazione del controllo dell’affidabilità e dell’equilibrio psichico del cane nel contesto
in cui viene gestito (anche, eventualmente, condizionata al
rispetto di piani terapeutici e/o programmi riabilitativi);
m) l’iter si conclude con la certificazione di non recuperabilità del cane;
n) l’iter si conclude con la certificazione di l’incapacità di
gestione del cane da parte del proprietario;
5. Nell’eventualità in cui il cane sia dichiarato irrecuperabile e
sottoposto a sequestro con provvedimento del sindaco (facsimile
all. “D”), si possono verificare i seguenti casi (figura 5):
o) è possibile la detenzione in sicurezza e rispettosa del benessere
animale presso una struttura adeguata e il proprietario (oppure
65
Numero 1/2015
Figura 5. Linee guida per la gestione dei cani pericolosi: punto 5.
- in alternativa - amministrazione comunale, associazione/i animalista/e o altri soggetti) è in grado di sostenere le spese;
p) non è possibile o sostenibile (anche dal punto di vista
economico) la detenzione in sicurezza e rispettosa del be-
nessere animale presso una struttura adeguata1. Tenuto
conto delle ipotesi di cui al punto “o” l’eventuale eutanasia di cui al punto “p” rimane dunque un’evenienza del
tutto marginale.
Allegati
©Fotolia .com
Si riportano di seguito gli allegati “A”, “B”, “C”, “C1”, “D”, “E” alle linee guida.
1
Questa decisione deve essere determinata da una Commissione composta dal proprietario del cane, dal gestore del canile ospitante, da un rappresentante delle Associazioni animaliste e dal veterinario ufficiale competente alla vigilanza sulla struttura di ricovero del cane. In particolare il proprietario del cane dovrà essere formalmente convocato e la sua eventuale assenza non invaliderà le determinazioni della Commissione, ma di tale circostanza dovrà essere dato atto nel verbale.
66
Numero 1/2015
67
©Fotolia .com
Numero 1/2015
68
Numero 1/2015
69
Numero 1/2015
70
©Fotolia .com
Numero 1/2015
71
PRINCIPI
DI MICROECOLOGIA
DEGLI ALIMENTI
Valerio Giaccone
Giampaolo Colavita
Q
uesto volume è un valido mezzo di consultazione per tutti coloro che, operando nel settore dell’Igiene degli alimenti, hanno la necessità di trovare un
valido mezzo di di consultazione che riporti nozioni essenziali, ma aggiornate sui
microrganismi degli alimenti e soprattutto sugli effetti che le varie flore microbiche possono procurare alla salute umana o alla qualità delle derrate alimentari.
Gli autori, come Docenti che si occupano di Salute Pubblica e di Igiene delle produzioni alimentari, hanno portato al centro dell’attenzione, gli alimenti, perché
sono essi che determinano nel bene o nel male il destino dei microrganismi, che
più o meno occasionalmente li popolano.
L’Ecologia è quella scienza che studia i rapporti tra l’uomo e l’ambiente che lo circonda. Grazie alle conoscenze raccolte negli ultimi anni, oggi sappiamo che anche
i microrganismi che popolano gli alimenti, nel loro insieme, si possono vedere
come un essere vivente unitario. Per traslato, quindi, la Scienza che studia i rapporti
tra il microbiota e l’ambiente in cui esso si trova (l’alimento) non può che chiamarsi Ecologia microbica degli alimenti o, per crasi, Microecologia degli alimenti.
Il testo, che non è infarcito di troppi tecnicismi, è semplice, agile, fruibile e di facile
lettura.
Edizione aprile 2015 - Brossura, 160 x 240 mm - 224 pagine
SCONTO
15%
Prezzo di copertina: € 35,00
Prezzo scontato*: € 29,75
* spese di spedizione escluse
PER ORDINARE IL VOLUME
Direttamente on line sul sito www.pointvet.it
Presso le librerie fiduciarie PVI (elenco consultabile sul sito www.pointvet.it)
@ Inviando una mail a: [email protected]
Telefonando allo 02/60 85 23 32
(dal lunedì al venerdì dalle 9.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 18.00)
Inviando un fax allo 02/668 28 66
PER ORDINI E INFORMAZIONI:
tel. 02 - 60.85.23.32 - www.pointvet.it
e-mail: [email protected]
Numero 1/2015
RISCHIO ZOONOTICO
Prevenzione negli impianti
di macellazione
ARNALDO D’ORAZIO1, GIAMPAOLO COLAVITA2
1
Tecnico della prevenzione, Dipartimento di Prevenzione, SIAN, ASL 2 Abruzzo.
Docente di Ispezione e Controllo degli Alimenti - Dipartimento di Medicina e Scienze della Salute “V. Tiberio”, Università del Molise, Campobasso.
2
P
er il fatto di essere degli spazi confinati, gli impianti di
macellazione degli animali comportano, per il personale
che vi lavora, il rischio di contrarre malattie zoonotiche in
quanto, spesso, tanti animali sono a stretto contatto con molte
persone e questo può favorire la trasmissione di agenti infettivi
dagli animali agli esseri umani. Negli impianti di macellazione
il rischio biologico può interessare tutte le figure professionali:
addetti e veterinario ispettore che opera negli stessi ambienti lavorativi e riveste il doppio ruolo di tutore della sicurezza alimentare e di tutore della sicurezza dei lavoratori, soprattutto
per quanto concerne i rischi da agenti zoonotici.
Le zoonosi, quindi, rappresentano una parte significativa
delle malattie professionali nel contesto lavorativo dei macelli.
Già nel 1886, a Vienna, il carbonchio ematico veniva riconosciuto come malattia professionale e il primo documento
di una certa rilevanza, riguardo tali malattie di interesse veterinario, dal titolo “Considerazioni generali sopra l’importanza della Medicina veterinaria nel campo assicurativo” è
stato redatto da Barboni e Monesini nel 1955 [18].
Nella filiera produttiva delle carni le condizioni e le modalità
di lavoro espongono il personale e gli stessi veterinari addetti
ai controlli ufficiali, al contatto con urine, feci, sangue, visceri
e altri materiali di animali potenzialmente infetti. Il lavoratore
può contagiarsi per via cutanea, in presenza di lesioni anche
minime, oppure l’agente zoonotico può penetrare attraverso la
mucosa orale, congiuntivale e nasale. Le conseguenze dell’esposizione ai più comuni agenti zoonotici possono variare dalla
semplice siero-conversione, alla malattia con manifestazioni
estremamente variabili in quanto a sintomatologia e gravità.
Il livello di rischio può variare in relazione alle specifiche
mansioni, alla tipologia dei contatti con gli animali e alle
condizioni ambientali, e sovente gli stessi operatori hanno
una scarsa percezione dei rischi a cui possono essere esposti.
Da uno studio condotto nel 2009 in Corea del Sud, in 73
mattatoi e 62 impianti dove si lavoravano scarti di macellazione, il grado di consapevolezza da parte degli addetti, circa
il rischio di contrarre zoonosi, era più basso rispetto ad altri
lavoratori, anche se il livello di informazione tendeva ad aumentare proporzionalmente al livello di scolarizzazione. La
principale ragione per cui gli addetti nei mattatoi sottovalutano il rischio zoonosi è data dalla mancata conoscenza degli
agenti infettivi implicati [17, 22].
Le zoonosi occupazionali nei macelli
Tradizionali agenti di zoonosi sono: Brucelle, Leptospire,
Mycobatteri, Erysipelotrix rhusiopatiae, Bacillus anthracis,
ma particolare attenzione va posta nei confronti di agenti
zoonotici emergenti quali: prioni (TSE, BSE), virus dell’influenza aviaria e Streptococcus suis, dei quali va meglio definita la trasmissibilità per cause professionali.
Il materiale biologico a rischio di contaminazione per l’uomo
varia in base al tipo di agente biologico, ad esempio, l’urina
dei suini nel caso di Leptospira spp., l’utero e le mammelle
di bovini e ovini per Brucella spp.
Il D.lgs. 81/2008, inerente la sicurezza sul lavoro, prevede
norme di protezione verso gli agenti biologici, che sono classificati in base a indici di pericolosità e ripartiti in 4 gruppi:
- gruppo 1: agenti con poche probabilità di causare malattia;
- gruppo 2: agenti che possono causare malattia e rappresentano
un rischio per i lavoratori, ma per i quali sono di norma disponibili efficaci misure profilattiche e terapeutiche;
- gruppo 3: possono causare malattia grave e costituire un
serio rischio per i lavoratori. Sono di norma disponibili efficace misure profilattiche e terapeutiche;
- gruppo 4: possono causare malattia grave e costituiscono
un serio rischio per i lavoratori, con elevata probabilità di
propagazione nella comunità. Non esistono efficaci misure
profilattiche e terapeutiche [26].
I principali agenti zoonotici, che in qualche modo possono implicare un rischio di esposizione per i lavoratori a contato con
animali o prodotti di origine animale, sono riportati in tabella 1.
In generale, se le conoscenze circa i principali agenti di zoonosi sono ben note, l’individuazione degli altri elementi, im73
Numero 1/2015
Tabella 1. Principali agenti di zoonosi occupazionale nei macelli.
A: possibili effetti allergici; T: produzione di tossine; V: vaccino efficace disponibile.
(**) agenti classificati nel gruppo 3 che possono comportare un rischio di infezione limitato, perché normalmente non sono veicolati dall'aria
Malattia
Agente responsabile
Actinobacillosi
Actinobacillus spp.
Actinomicosi
Actinomyces pyogenes
Classe di rischio
Principale serbatoio animale
Trasmissione
2
Bovini, ovi-caprini
Indiretta
2
Bovini
Indiretta
Carbonchio ematico Bacillus anthracis
3
Bovini, ovi-caprini, equini
Diretta, indiretta
Brucellosi
Brucella spp.
3
Bovini, bufalini, ovi-caprini, suini
Diretta, indiretta
Morva
Burkholderia mallei
3
Equidi
Diretta, indiretta
Campylobacteriosi
Campylobacter spp.
2
Bovini, ovini, suini, volatili
Diretta, indiretta
Psittacosi/Ornitosi
Chlamydia psittaci (ceppi aviari) 3
3
Volatili, bovini, ovini
Diretta
Febbre Q
Coxiella burnetii
3
Bovini, ovi-caprini
Diretta, indiretta
Mal rossino
Erysipelothrix rhusopathiae
2
Suini, volatili
Diretta
Sindrome Emolitica
Uremica
Escherichia coli,
ceppi verocitotossici
(es. O157:H7 oppure O103)
3 (**) T
Bovini, suini
Diretta
Tularemia
Francisella tularensis (Tipo A)
3
Lagomorfi
Diretta, indiretta
Leptospirosi
Leptospira interrogans
Tutti i mammiferi
Diretta, indiretta
Tubercolosi
Mycobacterium avium/intracellulare
volatili
Diretta, indiretta
Tubercolosi
Mycobacterium bovis
(ad eccezione del ceppo BCG)
3V
Bovini, bufalini
Diretta, indiretta
Tubercolosi
Mycobacterium tuberculosis
3V
Bovini, bufalini
Diretta, indiretta
Salmonellosi
Salmonella spp.
2
Tutte le specie animali
Diretta, indiretta
Streptococcosi
Streptococcus suis
2
Suini
Diretta
Epatite E
Virus dell'epatite E
3(**)
suini
Diretta, indiretta
Influenza aviaria
Orthomyxovirus, tipo A
Uccelli domestici e selvatici
Diretta, indiretta
BSE e TSE
Agenti di Encefalite spongiforme
ed altre TSE
3(**)
Bovini, ovi-caprini
Diretta, indiretta
Echinococcosi
Echinococcus granulosus;
Echinococcus multilocularis;
Echinococcus vogeli
3(**)
Bovini, ovi-caprini Suini
Diretta
Dermatomicosi
Microsporum spp.
2A
Equini, suini, avicoli
Diretta
Dermatomicosi
Trichophyton spp.
2
Bovini, equini, avicoli lagomorfi
Diretta
2
portanti per una corretta valutazione del rischio, presenta
delle lacune dovute ai pochi dati sulle zoonosi professionali,
alla frammentarietà delle indagini epidemiologiche svolte sui
lavoratori e, in alcuni casi, alla mancata diagnosi eziologia
di alcune forme infettive [21, 27].
Brucellosi
Nella specie umana la brucellosi è caratterizzata da sintomi
simil-influenzali come febbre, mal di testa e spossatezza. Tuttavia possono aversi gravi infezioni a carico del sistema nervoso centrale ed endocarditi. In alcuni casi si hanno sintomi
di lunga durata o cronici con febbre ondulante, dolori articolari e stanchezza. Delle 5 specie note la più virulenta per
74
l’uomo è Brucella melitensis. La brucellosi è una delle zoonosi
più note per allevatori, veterinari, macellatori e addetti ai laboratori diagnostici. Infatti, indagini sierologiche hanno evidenziato elevati tassi anticorpali in queste categorie professionali, spesso in assenza di sintomi clinici [30]. Piuttosto
elevato è il rischio di contrarre l’infezione da parte del personale degli impianti di macellazione, specialmente durante le
operazioni di toelettatura delle carcasse di animali sieropositivi. Gli organi genitali, la ghiandola mammaria e i relativi
linfonodi devono essere manipolati con ganci e il loro sezionamento deve essere evitato. Il contagio avviene in seguito al
contatto con materiale infetto attraverso lesioni della cute,
della mucosa buccale, o per via respiratoria.
Numero 1/2015
Uno studio effettuato in Australia, in 3 macelli bovini e ovini,
ha evidenziato che il 25% degli addetti presentava una positività alla siero-agglutinazione-rapida per Brucella [12].
Clamidiosi
Clamydia psittaci è responsabile della psittacosi (chiamata anche
ornitosi o clamidiosi aviare). L’uomo si infetta venendo a contatto
con diverse specie di volatili domestici (tacchini, oche, anatre) e
selvatici (fagiani, coturnice o animali a vita libera, come i rapaci).
Altri casi sono imputabili al contatto con mammiferi quali pecore
e capre. In uno studio siero-epidemiologico è stato testato il personale addetto in un impianto di macellazione di anatre, in
seguito a isolamento di Chlamydia psittaci negli animali; il 76%
del personale è risultato sieropositivo [15].
Casi di ornitosi sono stati descritti anche in veterinari operanti
in un impianto di macellazione di anatre [23], il che dimostra
che la clamidiosi nelle anatre è molto comune e rappresenta
un rischio professionale soprattutto per il personale a contatto
con tali animali.
Nel 1986 un’epidemia ha interessato alcuni addetti in un impianto di macellazione di tacchini, nel quale i lavoratori
colpiti erano esposti direttamente ai visceri degli animali. In
tale occasione come misura di prevenzione è stato introdotto
l’uso di guanti e mascherine [14].
©Vito Perrone
Lesioni di mal rossino (Erysipelothrix rhusopathiae).
La brucellosi in Italia è una malattia a bassa prevalenza negli
allevamenti bovini di molte regioni, grazie ai piani di profilassi
ed eradicazione dell’infezione. La sua importanza in questo
settore è senza dubbio diminuita, mentre persiste elevata negli
allevamenti ovi-caprini di alcune regioni, dove l’infezione tra
gli animali è più diffusa. In Sicilia, nel 1995, si sono verificati 5
casi di brucellosi che hanno interessato 4 operatori e un veterinario, i quali lavoravano in un macello ovi-caprino nel Sud
dell’isola. In seguito a questi casi è stato condotto uno studio
per individuare le operazioni maggiormente a rischio di trasmissione della malattia. Le fasi a rischio sono risultate: la consegna degli animali, il trasporto al macello, il dissanguamento,
lo scuoiamento, l’asportazione della mammella, la rimozione e
manipolazione dei visceri addominali, l’esame post mortem e
le operazioni di lavaggio e sanificazione degli impianti [24].
Inoltre, il rischio di malattia professionale potrebbe essere maggiormente atteso nel periodo pasquale, durante il quale tradizionalmente si ha un picco nella macellazione degli agnelli [9].
Campylobacteriosi
Campylobacter jejuni e C. coli sono i responsabili della maggior
parte delle diarree da Campylobacter nell’uomo. Un caso di
campylobacteriosi, come malattia occupazionale, è stato osservato in un lavoratore che da poco tempo prestava servizio
in un’azienda avicola. Il soggetto ha sviluppato la malattia con
severe complicazioni. L’origine dell’infezione è stata ricondotta
all’aerosol contaminato dal microrganismo [33]. Un focolaio
ha interessato lo staff di un macello avicolo nel Sud della Svezia.
In 24 soggetti dei 37 colpiti da gastroenterite acuta è stato isolato C. jejuni. Inoltre, il 71% di essi erano ragazzi non esperti,
che durante le vacanze sostituivano il personale ordinario [6].
Una forma di endocardite da Campylobacter fetus è stata segnalata in un lavoratore di un impianto di macellazione, il
quale aveva contratto l’infezione attraverso una ferita da coltello
[34]. Un’altra segnalazione è riferita a un lavoratore, operante
in un macello, che presentava febbre e versamento pleuro-pericardico. L’esame batteriologico ha confermato la presenza di
Campylobacter fetus [11].
Helicobacter pylori (Campylobacter pylori) è stato isolato
da 98 persone che lavoravano in un impianto di macellazione,
in particolar modo in quelle a contatto con parti di animali
appena sezionati e 28 di esse hanno accusato anche sintomi
di gastrite [32].
Febbre Q
È una zoonosi causata da Coxiella burnetii. Bovini e ovi-caprini rappresentano i principali serbatoi del microrganismo.
Spesso negli animali non si hanno segni clinici evidenti e la
diffusione dell’infezione avviene tramite: latte, urine, feci, re75
Numero 1/2015
sidui placentari, aerosol infetto proveniente da materiale placentare, fluidi organici, escreti e carcasse [35].
Nell’uomo il primo caso di malattia è stato segnalato da
Derrik, nel 1937, proprio tra il personale addetto alla macellazione. Una ricerca condotta negli USA ha censito i casi di
febbre Q dal 1948 al 1986, stimandone 1.396. Prevalentemente si trattava di persone a stretto contatto con gli animali
(allevatori, macellatori). Inoltre, lo studio ha evidenziato che,
tra le specie domestiche coinvolte, gli ovi-caprini rappresentavano la principale fonte di infezione [19].
Anche in Australia la febbre Q rappresenta un’importante malattia occupazionale, che ha interessato soprattutto i macellatori, con diversi casi clinici ed elevata positività ai test sierologici
[20]. In Romania sono stati descritti casi di febbre Q nell’uomo
e un grave focolaio ha colpito 149 macellatori in uno stesso
macello. A seguito di tale evento il personale a rischio è stato
sottoposto a profilassi vaccinale [2]. Altri casi di febbre Q, riconducibili all’ambito lavorativo, provengono dal New South
Wales e anche in questo caso la categoria maggiormente colpita
è stata quella degli addetti alla macellazione [13]. La trasmissione del microrganismo dagli animali all’uomo avviene per
via orale, o tramite le mucose o parti abrase della cute, in seguito al contatto con materiale contaminato. Visto che le urine
degli animali infetti costituiscono la principale fonte di infezione, a rischio sono proprio quelle operazioni che comportano
la formazione di aerosol, quali il lavaggio di capannoni, dei
mezzi di trasporto e delle sale di macellazione.
Leptospirosi
La leptospirosi è una zoonosi trasmessa da batteri del genere
Leptospira. Oltre che per gli allevatori, il rischio è molto elevato anche per gli addetti negli impianti di macellazione nelle
varie fasi: sosta degli animali, eviscerazione, asportazione dei
reni e manipolazione dei visceri nelle tripperie.
Al fine di valutare il rischio di esposizione dei lavoratori a
tale agente zoonotico, sono state effettuate diverse indagini
sierologiche tra gli operatori di impianti di macellazione di
suini. Due studi effettuati in Italia hanno permesso di rilevare
una positività pari al 32,3%, dimostrando che gli addetti
alla macellazione dei suini sono fortemente esposti al rischio
di contrarre la leptospirosi e la significativa differenza di positività sierologia tra macellatori e un gruppo controllo (persone non esposte) ha confermato che il rischio è legato all’attività lavorativa [5]. In Australia sono stati segnalati 8
casi di leptospirosi in persone che lavoravano in un macello
e i sierotipi isolati sono risultati L. pomona e L. hardjo. Tutti
i soggetti erano esposti alle urine degli animali durante la
macellazione [29].
In un grande mattatoio di suini è stata valuta la siero-conversione per Leptospira spp. negli addetti, allo scopo di valutare la prevalenza e l’incidenza dell’infezione tra il personale.
Gli operatori risultati positivi al primo saggio sono stati il
12% e dopo 20 mesi sono saliti al 22%. In tal modo sono
stati svelati casi di probabile infezione in atto e casi di infezione relativamente recenti senza manifestazioni cliniche evi76
©Giampaolo Colavita
Lesioni da tricofitosi.
denti. Questi dati confermano l’elevato rischio di infezione
da Leptospira spp. per gli operatori di macelli suini, in conseguenza della larga diffusione dell’infezione negli animali.
Considerando che l’infezione nell’uomo spesso non è seguita
da manifestazioni cliniche evidenti, non bisogna sottovalutare
il problema, considerato anche che nel suino è frequente il
riscontro di nefrite interstiziale da Leptospira spp. come reperto di macellazione [12, 8].
Streptococcosi
Nella specie suina Streptococcus suis può causare meningite,
setticemia, polmonite, artrite, pericardite, endocardite, polisierosite. L’infezione si può presentare anche in forma asintomatica, con localizzazione del germe a livello delle tonsille
e delle cavità nasali. Casi umani sono stati associati a infezione da parte di ceppi del sierotipo 2, con meningite e occasionalmente shock settico [10].
La maggior parte dei casi descritti in letteratura hanno interessato persone con esposizione professionale ai suini o alle loro
carni, quali: allevatori, trasportatori, lavoratori di macelli o
Numero 1/2015
impianti di sezionamento e lavorazione carni [1]. Nel 2005 si
sono diffuse notizie allarmanti dalla provincia del Sichuan, in
Cina, dove si sono verificati numerosi casi di infezione da Streptococcus suis e nello stesso anno, l’Organizzazione Mondiale
della Sanità ha confermato l’esistenza di una epidemia [16].
Tubercolosi
Negli anni passati numerosi casi di tubercolosi (TBC) umana
sono stati oggetto di contenzioso con l’INAIL per il riconoscimento di malattia contratta per motivi di lavoro. Uno di
questi ha riguardato, nel febbraio 1999, una signora che lavorava in un macello bovino. Nel corso degli 8 anni precedenti, nello stesso macello erano stati riscontrati altri 5 casi.
L’impianto in questione aveva l’autorizzazione a macellare
bestiame infetto per TBC. Casi di TBC sono stati segnalati
nel Sud dell’Australia, dove sono stati colpiti dall’infezione 5
operatori di un impianto di macellazione per bovini; la trasmissione è stata ricondotta alla inalazione del microrganismo
durante le fasi di macellazione [25].
Influenza aviaria
È una malattia infettiva che colpisce gli uccelli domestici (polli,
tacchini ecc.) e selvatici. L’agente eziologico è rappresentato da
un virus appartenente al genere Orthomyxovirus, tipo A. I vari
ceppi sono suddivisi in 15 sottotipi sulla base dell’antigene HA e
9 sottotipi per l’antigene NA. Normalmente i virus dell’influenza
aviaria non infettano l’uomo, ma in questi ultimi anni si è visto
che il passaggio del virus alla specie umana (allevatori, macellatori, veterinari) può avvenire attraverso uno stretto contatto con
animali malati, mentre allo stato attuale non vi è evidenza di
trasmissione inter-umana o per via alimentare.
Il virus è largamente presente negli espettorati e nelle feci
degli animali, per cui una via di trasmissione all’uomo è rappresentata dal materiale infetto che si solleva come aerosol,
soprattutto in ambienti confinati. A Hong Kong è stata effettuata una indagine sierologia per testare il tasso anticorpale
per l’antigene H5 (ceppo H5N1) nel siero di allevatori e macellatori di pollame. Su un totale di 1.525 allevatori è stata
riscontrata una positività del 10%, mentre per i 293 addetti
ai macelli si è avuta una positività del 3% [3].
Bse
Le Encefalopatie Spongiformi Trasmissibili (TSE) sono un
gruppo di malattie umane e animali neuro-degenerative, caratterizzate dalla formazione di vacuoli con accumulo di proteine amiloidi nella materia grigia del cervello. Gli agenti infettivi sono denominati “prioni”, proteine prodotte dalle
cellule dell’ospite, che in forma patologica assumono una diversa conformazione [7]. In seguito all’emergenza BSE, in
Gran Bretagna nel 1986, ci si è posto l’interrogativo circa la
possibile trasmissione della malattia all’uomo. Allora il rischio
fu ritenuto improbabile se non remoto, ma già nei primi anni
‘90 l’attenzione è stata posta su diversi casi di CreutzefeldtJakob disease (CJD) che riguardavano allevatori nei cui allevamenti si erano verificati casi di BSE, anche se le modalità
di un eventuale contagio bovino-uomo rimanevano a livello
di ipotesi [28]. Nel 1995 in Gran Bretagna furono registrati
2 casi della cosiddetta Nuova Variante (Nv) di CJD, ritenuta
la variante umana della malattia, che aveva colpito due persone in età giovanile. Nel ‘96 i casi erano 10, e quando le autorità del Regno Unito hanno riconosciuto ufficialmente che
l’agente eziologico della BSE poteva aver infettato gli esseri
umani, la malattia è stata inclusa tra le zoonosi. Nel febbraio
del 1999, sempre nel Regno Unito, sono stati confermati
complessivamente 38 casi sicuri di Nv e 2 probabili [4].
Nella macellazione dei bovini ci sono operazioni che espongono gli operatori al rischio di infezione da BSE come, ad
esempio, tagli in vicinanza della testa o della colonna vertebrale. Altra fase a rischio può essere rappresentata dal disosso
manuale delle carcasse [31].
In base al D.lgs. 81/08, l’attività di macellazione è considerata a
rischio di esposizione ad agenti biologici tra cui la BSE, soprattutto in alcune operazioni quali il controllo e l’asportazione del
cervello e del midollo spinale. Il datore di lavoro è responsabile
delle misure atte a eliminare o ridurre i rischi. I lavoratori devono
essere dotati di dispositivi di protezione individuali (DPI) che
comprendono: guanti in lattice, mascherine, occhiali, grembiuli,
calzature ecc., che devono essere certificati ai sensi delle norme
comunitarie. Il camice è da ritenersi un indumento protettivo
da eventuali rischi biologici soprattutto durante le operazioni
di asportazione della colonna vertebrale e come tale è da considerarsi un dispositivo di protezione individuale.
Stafilococcosi
Recentemente l’EFSA ha richiamato l’attenzione su un ceppo
di Staphylococcus aureus meticillino-resistente (MRSA), in
grado di trasmettersi all’uomo in seguito al contatto con gli
animali. Staphylococcus aureus è un comune batterio presente
sulla cute e sulle mucose nel 20-30% delle persone sane.
Nell’uomo, solitamente causa infezioni della cute e suppurative a livello locale, ma anche infezioni più gravi a carico di
diversi distretti dell’organismo.
Alcuni ceppi hanno sviluppato una resistenza agli antibiotici
beta-lattamici, tra cui le penicilline, utilizzati nella cura di numerose infezioni. Questi ceppi sono noti con il nome di Staphylococcus aureus meticillino-resistenti (MRSA). Un ceppo
specifico (CC398) di Staphylococcus aureus meticillino-resistente, che può essere trasmesso mediante contatto con animali
vivi, è stato rinvenuto negli animali destinati alla produzione
di alimenti, più frequentemente nei suini, vitelli e polli allevati
con metodi intensivi, oltre che in cavalli e animali da compagnia. Il gruppo di esperti scientifici sui pericoli biologici dell’EFSA ha rilevato che gli alimenti possono essere contaminati
da CC398, ma che in alcuni casi la malattia non è associata a
intossicazione di origine alimentare. Infatti, nelle zone in cui
la prevalenza di MRSA negli animali destinati alla produzione
di alimenti è elevata, le persone che sono a contatto con gli
animali vivi sono maggiormente a rischio di contrare l’infezione
da CC398, rispetto alla popolazione generale, anche se c’è da
dire che i casi sono abbastanza rari [36].
77
Numero 1/2015
Il rischio biologico nel D.lgs. 81/2008
In base all’art. 271 del D.lgs. 81/08, il datore di lavoro (DDL)
deve applicare i principi di buona prassi microbiologica e
deve adottare, in relazione ai rischi accertati, le misure preventive e protettive, adattandole alle particolari situazioni
lavorative. Naturalmente gli impianti di macellazione rientrano in queste attività, per le quali deve essere fatta una valutazione del rischio biologico (artt. 17 e 28).
Nei macelli i principali rischi biologici sono dovuti alla possibilità di contrarre le zoonosi da parte degli addetti e il sistema di prevenzione si deve basare sui seguenti punti:
- identificazione dei pericoli;
- quantificazione dei danni prevedibili;
- probabilità che si verifichino eventi negativi (in ordine crescente di gravità): contaminazione, infezione, malattia e infine morte dell’addetto.
Per effettuare la valutazione del rischio biologico negli impianti
di macellazione sono necessari conoscenze e dati relativi a:
- zoonosi occupazionali verificatesi nell’arco degli anni in
base alle diverse mansioni dei lavoratori;
- tipologia della malattia;
- mansione dell’addetto;
- tipo di esposizione che ha portato alla contaminazione e
alla malattia;
- giorni di inabilità al lavoro a causa della malattia;
- numero di decessi;
- numero di persone colpite da invalidità in seguito alla malattia professionale.
Al fine di predisporre corrette misure preventive per ogni pericolo individuato, occorre una buona conoscenza dell’epidemiologia veterinaria.
Un esempio classico è quello della leptospirosi, che nella
filiera delle carni suine rappresenta il principale rischio
biologico occupazionale [8]. Dato che i suini eliminano
le leptospire soprattutto con le urine, è necessario individuare le fasi in cui gli operatori possono venire a contatto
con l’urina degli animali; tra queste il lavaggio delle sale
di macellazione, dei capannoni e dei mezzi utilizzati per
il trasporto, in quanto si produce una elevata quantità di
aerosol.
L’esposizione agli agenti biologici degli addetti
alla macellazione
Atteso che la mera esistenza di un pericolo non significa automaticamente il configurarsi di un rischio, è necessario fare
riferimento ai reali rischi per gli operatori, che si configurano
solamente se si verificano due condizioni:
1. presenza dell’agente biologico nell’animale o nei prodotti
derivati;
2. modalità e condizioni di lavoro che possono favorire un’esposizione efficace. Per “esposizione efficace” si intende il contatto
fra l’agente biologico e l’organismo umano e che la carica infettante sia sufficiente a provocare danni biologici.
78
Gli agenti biologici possono penetrare nell’organismo umano
attraverso varie vie: il tratto respiratorio, le mucose (congiuntiva), la cute lesa, il cavo orale. L’esposizione dipende,
quindi, da una serie di fattori:
- specie animale da macellare;
- stato sanitario degli animali;
- tipo di mansione e manualità svolte dall’operatore;
- frequenza dei contatti;
- utilizzo dei DPI e misure di protezione ambientale adottate;
- igiene generale degli ambienti di lavoro e delle lavorazioni;
- formazione professionale/informazione;
- automazione dell’impianto.
Inoltre, le conseguenze dell’interazione agente zoonoticouomo possono variare in base a:
- stato di salute dell’addetto e del suo sistema immunitario;
- efficacia della sorveglianza sanitaria effettuata sui lavoratori.
La verifica del livello di esposizione efficace deve essere fatta
attraverso un’analisi del processo produttivo, considerando:
- fase dell’attività lavorativa;
- tipologia delle manualità necessarie;
- procedure adottate;
- rispetto delle norme igieniche generali;
- corretto utilizzo dei DPI;
- organizzazione del lavoro (a catena continua, a postazione
fissa ecc.).
Possiamo definire “punto critico” la fase in cui abbiamo: 1)
la probabile presenza di un agente patogeno e 2) l’esposizione
efficace del lavoratore.
Dato che negli impianti di macellazione le fasi di lavoro in
cui l’addetto si trova a contatto con materiali biologici sono
molte, l’individuazione delle fasi a rischio va fatta in base ai
dati sulle condizioni sanitarie degli animali macellati.
Misure preventive
Nell’ambito della prevenzione dei rischi zoonotici molta importanza rivestono le misure di protezione collettiva, intese generalmente come quei sistemi che possono intervenire, in maniera più o meno efficace, direttamente sulla fonte di
contaminazione primaria, con una mitigazione dell’impatto degli agenti pericolosi sui lavoratori. I principali sistemi riguardano
la ventilazione degli ambienti e nel caso dei macelli, si fa riferimento alle profilassi negli allevamenti, alla visita sanitaria ante
mortem e post mortem, alla macellazione separata di animali
sospetti di infezione ecc. Così pure, le misure di Polizia Veterinaria, adottate negli allevamenti, fanno sì che il rischio biologico
possa essere ridotto in tutte le fasi successive.
Misure igieniche
L’osservanza delle buone prassi igieniche durante le varie fasi
della macellazione, le corrette operazioni di sanificazione
ambientale/strumentale, la lotta agli animali infestanti e la
corretta gestione dei rifiuti di origine animale possono ridurre
significativamente la contaminazione ambientale.
Numero 1/2015
Altre misure importanti sono quelle che riguardano l’obbligo
per il personale di un corretto utilizzo del vestiario da lavoro,
il rispetto delle norme igieniche, il corretto lavaggio delle
mani, l’utilizzo di lavabi con rubinetteria ad azionamento
non manuale, l’uso di sapone liquido e di asciugamani monouso e, infine, la dotazione obbligatoria di armadietti a doppio
scomparto.
Il lavaggio centralizzato degli abiti da lavoro può evitare
l’eventuale contaminazione di automobili e abitazioni dei lavoratori, garantendo alla sanificazione degli indumenti lo
stesso standard.
Formazione
Il datore di lavoro deve assicurare che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente e adeguata in merito: a) ai
rischi specifici (art. 37, c. 3); b) alle precauzioni da prendere
per evitare l’esposizione; c) alle misure igieniche da osservare;
d) alla funzione degli indumenti di lavoro e dei DPI, nonché
il loro corretto impiego. L’informazione e la formazione devono essere svolte prima che i lavoratori siano adibiti alle
loro specifiche mansioni e ripetute con frequenza almeno
quinquennale (art. 278, c. 3).
Il veterinario ufficiale può coadiuvare efficacemente il DDL, nel
non semplice compito di rendere i lavoratori consci del “percorso
della sicurezza”, facendo superare loro atteggiamenti di superficialità verso le malattie zoonotiche, mantenendo alto il livello
di attenzione verso i fattori di rischio ed evitando possibilmente
attività routinarie nella catena di macellazione, bensì “ruotando”
i lavoratori nelle varie mansioni.
Un elemento importante a cui si deve porre attenzione è costituito dall’eterogeneità dei lavoratori, da sempre più anni
provenienti da Paesi extraeuropei, di etnie e culture differenti
e spesso con problemi nella comprensione della lingua italiana.
DPI
Il DDL ha l’obbligo di fornire ai lavoratori i DPI necessari e
ottimizzati a seconda del tipo di mansione. Classici DPI sono
i guanti lunghi fino al gomito, gli occhiali con protezioni laterali, le maschere emi-facciali oppure intere, i grembiuli plastificati e gli stivali di gomma. Il lavoratore ha l’obbligo di
indossarli, tenerli in buono stato di funzionamento e, una
volta usurati oppure inefficienti, sostituirli (art. 78, D.lgs.
81/2008). Anche se ciò sembrerebbe apparentemente semplice, sovente non viene applicato per:
- il fastidio, anche soggettivo, di un uso prolungato, quale
può essere un intero turno di lavoro;
- il microclima di alcuni reparti, quali le vasche di scottatura,
dove la temperatura e l’umidità sono elevate;
- la scarsa disponibilità dei lavoratori al loro utilizzo;
- la scarsa percezione del rischio;
- la diffusa convinzione fra i lavoratori che l’utilizzo dei DPI
sia incompatibile con alcune mansioni.
Considerazioni conclusive
Sebbene l’introduzione negli allevamenti di standards di medicina veterinaria preventiva, sempre più elevati, ha ridotto
di molto la prevalenza di alcune importanti zoonosi e di conseguenza il rischio professionale nelle attività lavorative connesse, c’è ancora molto da fare, tenendo presente che:
- i macelli restano comunque strutture con condizioni ambientali e lavorative particolari;
- le lavorazioni comportano sempre un continuo e diretto
contatto con animali vivi e i loro fluidi organici;
- l’utilizzo dei DPI è spesso limitato dalle particolari situazioni
di lavoro;
- la sensibilità dei lavoratori verso la percezione del rischio
biologico è generalmente scarsa;
- la ripetitività del lavoro nei macelli industriali porta i lavoratori a manipolare giornalmente anche fino a migliaia di
animali e/o carcasse;
- la siero-positività dei lavoratori verso agenti zoonotici in
alcuni casi risulta elevata.
Alla luce di quanto sopra, resta l’importanza di una maggiore
tutela degli addetti nel settore dalle zoonosi professionali e
la necessità di acquisire maggiori conoscenze scientifiche al
fine di colmare le attuali lacune. Sebbene le responsabilità in
materia di sicurezza sul lavoro attengono al datore di lavoro
e al medico competente, un ruolo importante lo può svolgere
comunque il veterinario ufficiale il quale, oltre alle competenze sanitarie in tema di zoonosi, è anche la figura professionale che è costantemente presente negli stabilimenti di
macellazione. Il controllo del rischio biologico da parte del
veterinario interessa tutta la filiera produttiva e può risultare
estremamente importante per valutare i rischi per allevatori,
macellatori e addetti all’industria alimentare [12].
Inoltre, la cooperazione interdisciplinare tra veterinari, medici, tecnici della prevenzione, tutte figure professionali afferenti al Dipartimento di Prevenzione, potrà sicuramente giovare a un più efficace sistema di controllo del rischio
zoonotico.
Bibliografia
1. Arends JP, Zanen HC, 1988. Meningitis causated by Streptococcus suis in humans. Reviews of Infectious Diseases,
10:131-7.
2. Blindam I, Lomba N, Petrescu C, Drumea C, Ghica M,
Mateescu G, Plesanu M, Purnichescu M, Pavel A, 1982. Outbreak of Q fever in a municipal abattoir. Rev Ig Bacteriol Virusol Parassitol Epidemiol Pneumoftiziol, 27(3): 179-84.
3. Bridges C. B., Lim W., Hu-Primmer J., Sims L., Fukuda
K., Mak K. H., Rowe T., Thompson W. W., Comm L., Lu
X., Cox N. J., Katz J. M., 2002. Risk of influenza A (H5N1)
infection among poultry workers, Hong Kong 1997-1998.
Journal of Infectious Diseases, 185 (8): 1005-1010.
4. Cantoni C, Stella S, 2001. La BSE: suoi riflessi sulla salute
umana. Eurocarni, 3.
79
Numero 1/2015
5. Castagnari L, Cinco M, Delia S, Banfi E, 1984. On the
priority of Leptospira infection in risk subjects of the province
of Ferrara. Giornale di Malattie Infettive e Parassitarie, 36
(9): 914-919.
6. Christenson B, Ringner A, Blucher C, Billandelle H, Gundtoft KN, Eriksson G, Bottiger M, 1983. An autbreak of
Campylobacter enteritis among the staff of a poultry abattoir
in Sweden. Scandinavian Journal of Infection Disesae, 15
(2): 167-72.
7. Clarke AR, Jackson GS, Collinge J, Pepys MB, Barron
LD, Masel J, Tahari-Alaoui A, Lansbury P, Dobson CM,
Exley C, Feizi T, 2001. The molecular biology of prion propagation. Philosophical Transactions of the Royal Society of
London Series B Biological Sciences, 356 (1406): 185-195.
8. Colavita G, Paoletti M, 2007. Leptospirosi: rischio professionale nella filiera degli alimenti di origine animale. Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed ergonomia, 29 (1): 21-24.
9. De Massis F, Di Girolamo A, Petrini A, Pizzigallo E, Giovannini A, 2005. Correlation between animal and human
brucellosis in Italy during the period 1997-2002. Clinical
Microbiology & Infection, 11 (8): 632-636.
10. Donsakul K, Dejthevaporn C, Wintoonpanich R, 2003.
Streptococcus suis infect clinical features and diagnostic pitfalls. Southeast Asian Tropical Medicine and Public Healt,
34: 154-8.
11. Ganeshram KN, Ross A, Cowel RP, Cefai C, Woodward
MJ, 2003. Recurring febrile illness in a slaughterhouse worker. Post Graduate Medical Journal, 76 (902): 790-1.
12. Ghinzelli M, Cancellotti FM, 2000. La tutela della salute
e sicurezza dei lavoratori nel settore agro-zootecnico: il ruolo
del veterinario. Professione Veterinaria, 10: 11-18.
13. Gilray N, Formica N, Beers M, Egon A, Canaty S, Marmion B, 2001. Abbattoir associated Q Fever: a Q Fever outbreak during Q Fever vaccination program. Australian and
New Zeland Journal Of Public Healt, 25, (4): 362-367.
14. Hedberg K, White KE, Forfang JC, Korlath JA, Frienshuh
KA, Hedberg CW, MacDonald KL, Osterholm MT, 1989.
An outbreak of psittacosis in Minnesota turkey industry workers: implications for modes of trasmission and control. America Journal of Epidemiology, 130 (3): 569-577.
15. Hinton DG, Shipley A, Galvin JW, Harkin JT, Brunton
RA, 1993. Chlamydiosis in workers at a duck farm and processing plant. Australian Veterinary Journal, 70 (5): 174-6.
16. Huang YT, Teng LJ, Ho SW, Husueh PR, 2005. Streptococcus suis infection. Journal of Microbiology, Immunology
and Infection, 38, (5): 306-313.
17. Lim, Hyun-Sul Yoo, Seok-Ju Lee, Kwan, 2009. Awareness
of Zoonoses among Cattle Slaughterhouse Workers in Korea.
Journal of Agricultural Medicine and Community Health,
34 (1): 101-112.
18. Mantovani A, 2003. Considerazioni sul concetto di zoonosi. Argomenti SIVeMP, anno VI.
19. McQuiston JH, Childs JE, 2002. Q fever in humans and
animal in the United States. Vector Borne Zoonotic Diesese,
2 (3): 179-91.
80
20. Murphy AM, Hunt JC, 1981. Retrospective diagnosis of
Q fever in a country abattoir by use of specific IgM globulin
estimations. Medical Journal of Austriala, 2 (7): 326-7.
21. Newton CP, Palmer SR, Kirby FD, Caul EO., 1992. A
prolonged outbreak of ornithosis in duck processor. Epidemiology and Infection, 108, (1), 203-210.
22. Nienhaus A, Skudlik C, Seidler A, 2005. Work-related
accidents and occupational diseases in veterinarians and their
staff. International Archives of Occupational and Environmental Health, 78, 230-238.
23. Palmer SR, Andrews BE, Major R, 1981. A common
source outbreaks of ornithosis in veterinary surgeons. The
Lancet, 2 (8250), 798-799.
24. Rapisarda V, Valentino M, Ravalli P, Fenga C, Duscio D,
2005. Occupational brucellosis in slaughtering a municipal
abattoir in south- eastern Sicily. Medicina del Lavoro, 96,
(2), 134-147.
25. Robinson P, Morris D, Antic R, 1988. Mycobacterium
bovis a san occupational hazard in abattoir workers. Australian & New Zealand Journal of Medicine, 18 (5): 701-3.
26. Ruina A, Mancini S. 2003 Rischi professionali e medicina
veterinaria. Webzine Sanità Pubblica Veterinaria, n. 21: www.
pg. izs. it/webzine. html.
27. Sergevmin VI, Khasanov RKH, Perfenova KT, Vorobeva
VV, Novgoradova SD, 1992. An evaluation of the scope of
the circulation of Salmonella among the workers of commercial poultry and meat packing enterprises based on serological study data in the PHA test. Zhurnal Mikrobiologii,
Epidemiologii i Immunobiologii, 92 (2): 51-4.
28. Shaw IC, 1995. BSE and farmworkers. The Lancet, 346
(18): 1365.
29. Terry J, Trent M, Bartlet M, 2000. A cluster of leptospirosis among abattoir workers. Communicable Diseases Intelligence, 24 (6): 158-60.
30. Tiecco G. 1997 “Igiene e Tecnologia Alimentare”. Edagricole Bologna.
31. Troeger K, 2002. BSE_conseguences for slaughtering,
cutting and emploier’s protection. Dutsch Tierarztl Wochenschr, 109 (8): 368-71.
32. Varia D, D’Anastasio C, Holton J, Dowsett JF, Londei
M, Bretoni F, Beltrondi E, Grauenfels P, Salmon Pr, Gandolfi
L, 1988. Campylobacter pylori in abattoir workers: is it a
zoonosis? The Lancet, 24 (2): 725-6.
33. Wilson IG, 2004. Airbone Campylobacter infection in a
poultry worker: case report and rewiew of the literature.
Communicable Disease and Public Healt, 7, (4): 349-353.
34. Wong PL, Fedder G, Heilmann FG, 2003. A man whith
Campylobacter endocarditis, treatable as Campylobacter fetus following identification. Nederlands Tijdschrift voor Geneeskunde, 147: 399-403.
35. Zerai W, 2004. “Q fever: epidemiology and pathogenesis”. Research in Veterinary Science 77: 93-10.
36. http: //www.efsa.europa.eu/it/topics/topic/mrsa.htm
S
egreteria
nazionale
Via Nizza, 11 - 00198 Roma
Tel. 06/8542049 - Fax 06/8848446
e-mail: [email protected]
DOTT. ALDO GRASSELLI
Segretario Nazionale
e-mail: [email protected]
DOTT. ZACCARIA DI TARANTO
Vicesegretario
Cell. 348/2548776
e-mail: [email protected]
DOTT. MARIO FACCHETTI
Segretario Amministrativo
Cell. 348/4108086
e-mail: [email protected]
DOTT. MAURO GNACCARINI
Responsabile Ufficio Legale
Cell. 335/8355910
e-mail: [email protected]
DOTT. ANTONIO GIANNI
Cell. 340/5213498
e-mail: [email protected]
DOTT. ENRICO LORETTI
Cell. 335/6668251
e-mail: [email protected]
DOTT. LUIGI MORENA
Cell. 348/2548774
e-mail: [email protected]
DOTT. ANTONIO SORICE
Cell. 320/4393933
e-mail: [email protected]
DOTT. GIUSEPPE TORZI
cell. 328/6994490
e-mail: [email protected]
DOTT. PIERLUIGI UGOLINI
cell. 347/7526192
e-mail: [email protected]
D
irettivo
nazionale
Presidente
DOTT. DIEGO CAROBBI
Via M. Polo, 4 - 42020 Veggia Casalgrande (RE)
Cell. 333/4543633
e-mail: [email protected]
MOLISE
DOTT. NICOLA ROSSI
Via Pietro Nenni, 12 - 86035 Larino (CB)
Cell. 347/6525148
e-mail: [email protected]
ABRUZZO
DOTT. EUGENIO BALLONE
Via Regina Margherita, 78
65123 Pescara - Cell. 347/6228034
e-mail: [email protected]
PIEMONTE
DOTT. MAURIZIO BOLOGNA
Casella Postale n. 56 - 10064 Pinerolo (TO)
Cell. 334/3896127
[email protected]
BASILICATA
DOTT. ROCCO MARTOCCIA
C/da Braida - 85014 - Laurenziana (PZ)
Cell. 347/9062953
e-mail: [email protected]
PUGLIA
DOTT. NATALE ZINNI
Via Cattedrale 61 - 70037 Ruvo di Puglia (BA)
Cell. 347/3807384
e-mail: [email protected]
BOLZANO
DOTT. THOMAS PARATSCHA
Via V. Vintler, 34 - 39042 Bressanone (BZ)
Cell. 347/3819954
e-mail: [email protected]
SARDEGNA
DOTT. ANGELA VACCA
Via Torino 6 - 09040 Sernobì (CA)
Cell. 328/4143725
e-mail: [email protected]
CALABRIA
DOTT. GIANLUCA GRANDINETTI
Via S. Domenico, 27 - 88046 Lamezia T. (CZ)
Cell. 337/871207
e-mail: [email protected]
SICILIA
DOTT. MARCELLO GRASSO
Via Don Ignazio 15 - 95024 Acireale (CT)
Cell. 335/6261338
e-mail: [email protected]
CAMPANIA
DOTT. GIOVANNI BRUNO
Via G. Petti, 21 - 84083
Castel S. Giorgio (SA)
Cell. 335/6644597
e-mail: [email protected]
TOSCANA
DOTT. CAMILO DUQUE
Loc. Comezzano 49 - 52020 Piandiscò (AR)
Cell. 338/8089062
e-mail: [email protected]
EMILIA ROMAGNA
DOTT. LUCA TURRINI
Via C.A. Dalla Chiesa, 21
40050 Monteveglio (BO) - Cell. 347/1574419
e-mail: [email protected]
FRIULI VENEZIA GIULIA
Dott. MARCO D’AGOSTINI
Via della Latteria, 8 - 33034 Faganga (UD)
Cell. 338/1875800
e-mail: [email protected]à.fvg.it
LAZIO
DOTT. MARIANO SIGISMONDI
Via Sannibale 10/12 - 00041 Albano Laziale (RM)
Cell. 347/9912564
e-mail: [email protected]
LIGURIA
DOTT. VINCENZO SESTITO
Via Passaggi, 14 int. 2 - 16131 Genova
Cell. 329/0176146
e-mail: [email protected]
LOMBARDIA
DOTT. GIANCARLO BATTAGLIA
Borgo Olcese 68 - 25040 Cividate Camuno (BS)
Cell. 335/6850231
e-mail: [email protected]
MARCHE
DOTT. ANTONIO ANGELOTTI
Viale della Vittoria, 7 - 63822 Porto S. Giorgio (FM)
Cell. 330/645749
e-mail: [email protected]
TRENTO
DOTT. SANDRO GUELLA
Via Stumiaga - 38075 Fiavè (TN)
Cell. 335/6546983
e-mail: [email protected]
UMBRIA
DOTT. GIOVANNI LO VAGLIO
Via Cavallotti, 29 - Loc. S. Mariano
06070 Corciano (PG) - 348/2517942
e-mail: [email protected]
VAL D’AOSTA
DOTT. SERGIO GAL
Via Monte Pasubio, 7 - 11100 Aosta
Cell. 335/7756287
e-mail: [email protected]
VENETO
DOTT. FRANCO CICCO
Via Po 6 - 37017 Lazise (VR)
Cell. 347/2217372
e-mail: [email protected]
PRECARI E CONVENZIONATI
DOTT. CRISTOFORO LOPEZ
Via Ceppaloni, 73 - 00143 Roma
Cell. 368/3716987
e-mail: [email protected]
II.ZZ.SS.
DOTT.SSA PAOLA NICOLUSSI
Via Duca degli Abruzzi 8 - 07100 Sassari
Cell. 339/1177219
e-mail: [email protected]