di Sanità Pubblica, Medicina Veterinaria e Sicurezza
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di Sanità Pubblica, Medicina Veterinaria e Sicurezza Alimentare SIVeMP - SIMeVeP 2015 1 Il 2015 porta un nuovo… DA OGGI LA NOSTRA RIVISTA È ANCHE IN VERSIONE SFOGLIABILE DISPONIBILE PER TABLET, SMARTPHONE, PC E MAC IL VANTAGGIO? Puoi leggerla subito in attesa di ricevere la copia cartacea ATTIVA SUBITO IL SERVIZIO GRATUITO SCRIVENDO A [email protected] (oggetto: Argomenti online) indicando l’indirizzo e-mail su cui vuoi ricevere la rivista sommario Organo ufficiale del S.I.Ve.M.P. Sindacato Italiano Veterinari Medicina Pubblica ANNO XVIII - NUMERO 1 - 2015 EDITORE Point Vétérinaire Italie srl Edizioni Veterinarie e Agrozootecniche Via Medardo Rosso, 11 20159 Milano DIRETTORE Aldo Grasselli DIRETTORE RESPONSABILE Antonio Gianni COMITATO DI REDAZIONE Antonio Gianni Nevio Guarini Mario Latini Vitantonio Perrone Addolorato Ruberto Angela Vacca SEGRETERIA DI REDAZIONE Stefania Alesii Valentina Ceci DIREZIONE, REDAZIONE AMMINISTRAZIONE S.I.Ve.M.P. Via Nizza, 11 - 00198 Roma Tel. 06/8542049 Fax 06/8848446 E-mail: [email protected] COORDINAMENTO EDITORIALE Ursula Ongaro GRAFICA E IMPAGINAZIONE Patrizia Zagni STAMPA Pinelli Printing Srl Seggiano di Pioltello - Milano Registrazione n° 141 Tribunale di Milano 19/3/2001 Registro Naz. Stampa 4820 16/5/95 Poste Italiane Spa Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Brescia L’informativa sul trattamento dei dati personali è consultabile sul sito: www.sivemp.it/index.php?a=infoprivacy Editoriale Turn-over. Nuovi modelli organizzativi. Nuovi percorsi formativi. Trasferimento competenze. Che fare?............................2 COSMeD. Prosegue l’impegno per la difesa della dirigenza ....................6 Legge di stabilità: novità per la contrattazione aziendale..............7 DPCM precari: raggiunta l’intesa ..........8 La Regione Liguria ristabilisce le 3 UO distinte dei servizi veterinari ................................................10 Circolare Madia 2/2015........................13 Servizio veterinario britannico e italiano a confronto............................15 Osservazioni della SIMeVeP sulla bozza del nuovo Regolamento europeo del farmaco veterinario ........................42 ■ Rubriche Criticità e prospettive nella gestione dei selvatici. Intervista a Roberto Zuccarini ............45 Dal territorio..........................................23 Rubrica legale ........................................27 Sentenze e pareri ..................................32 L’altra informazione..............................34 Veterinaria nel mondo..........................35 Parliamo anche di..................................37 Sperimentazione scientifica e macellazione incosapevole. Quo tendimus? ........................................48 Animali selvatici: il CRAS di Napoli ..................................55 ■ Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva Gestione dei cani pericolosi: una proposta di linee guida per i servizi veterinari ..........................59 Secondo premio di laurea in sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare ..............................................41 Prevenzione del rischio zoonotico negli impianti di macellazione ......................................73 www.sivemp.it La redazione di “Argomenti” S.I.Ve.M.P. invita i lettori a inviare e-mail, articoli, riflessioni, commenti e informazioni sull’attività o sui problemi della nostra Categoria a: S.I.Ve.M.P/e-mail: [email protected] Via Nizza, 11 - 00198 Roma Tel. 06/8542049 - Fax 06/8848446 Numero 1/2015 Turn-Over. Nuovi modelli organizzativi. Nuovi percorsi formativi. Trasferimento di competenze. Che fare? Aldo Grasselli È Editoriale il momento di ri-aprire l’accesso dei veterinari nel sistema sanitario anche in assenza del titolo di specializzazione? Possiamo accettare la sostituzione dei veterinari dirigenti con colleghi specialisti ambulatoriali? Quale futuro vogliamo progettare per la Sanità pubblica veterinaria? Un considerevole invecchiamento del personale che presenta una voluminosa “gobba generazionale” tra i dirigenti che hanno superato i 55 anni e guardano con interesse alla pensione, un blocco persistente del turn-over che impedisce di sostituire i pensionati, dimensioni delle aziende sanitarie che assumono proporzioni paragonabili a piccole Regioni, necessità di implementare i servizi con nuove competenze professionali, urgenza di ridurre la spesa sanitaria anche spostando competenze mediche e veterinarie su professioni sanitarie più a buon mercato, tutto questo impone al sindacato una attenta riflessione, a cominciare dai requisiti per l’accesso dei veterinari nel SSN. Non è in discussione il ruolo dirigenziale dei medici, dei medici veterinari e dei sanitari, ma l’idea stramba che un atto attribuito oggi alla dirigenza debba essere di particolare complessità specialistica o, in caso perda questa caratteristica molto manipolabile, che debba essere affidato a infermieri e tecnici mini-laureati, in quanto i medici, i medici veterinari e i sanitari in possesso della sola laurea sembrerebbero inidonei per svolgerli. 2 Abbiamo iniziato a ragionare nel Direttivo nazionale del SIVeMP, e continueremo a discutere serenamente, sulla logica che determina la inutilizzabilità dei medici laureati dopo sei anni di università o dei veterinari che si laureano dopo cinque, mentre grazie all’innovativo principio del task shifting - e al comma 566 della Legge di stabilità così come dall’art. 22 del Patto per la salute - Governo e Regioni si apprestano ad affidare compiti tolti ai medici e veterinari specializzati per affidarli a infermieri e tecnici laureati. Decretando inutilizzabili, per legge, e disoccupati medici e veterinari anch’essi laureati. Il task shifting è la ridistribuzione razionale dei compiti all’interno di un gruppo di lavoro sanitario grazie alla quale competenze tecniche specifiche sono spostate da operatori sanitari a qualificazione formale più elevata ad altri di qualificazione formale meno elevata ma specificamente formati e certificati con l’obiettivo di raggiungere un utilizzo più efficiente delle risorse disponibili. Secondo alcuni “esperti” si tratta di «Una modalità razionale di organizzare il lavoro che deve trovare applicazione anche nelle attività di prevenzione del nostro Paese che presenta una situazione di “ingessamento” corporativo particolarmente elevato a causa del peso che viene attribuito al conseguimento di un titolo di studio». Il DPR 20 dicembre 1979, n. 761 - Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali, definiva i Ruoli del personale come riportato integralmente di seguito. Si può Numero 1/2015 facilmente comprendere dalle diverse attribuzioni che il decreto prevedeva come, già allora, che atti più semplici - i quali esisteranno sempre in un processo preventivo, diagnostico, terapeutico, riabilitativo - fossero attribuiti ai giovani medici, veterinari e sanitari laureati nei primi anni di servizio. Ed era previsto che le responsabilità fossero graduate e proporzionali al livello gerarchico e conseguentemente, come è ovvio, alla retribuzione. Sorprendentemente oggi ci si attarda a discutere se e quali siano gli atti di “non elevata complessità” che i medici e i veterinari dirigenti specializzati possono lasciare ai tecnici della prevenzione o agli infermieri, senza renderci conto che la “complessità” - se segmentata in atti sanitari sempre più semplici - può essere erosa all’infinito e che le professioni sanitarie stanno assumendo ruoli sempre più ampi, ma le responsabilità, specialmente quelle che imputa la magistratura, pare siano sistematicamente ricercate nella dirigenza apicale medica e veterinaria. Che senso avrebbe altrimenti essere dirigenti e addirittura in taluni casi responsabili di strutture semplici e complesse? Ma rileggiamo il “vecchio” 761: «2. Ruolo sanitario. - Nel ruolo sanitario sono iscritti in distinte tabelle, per i rispettivi profili, i medici, i farmacisti, i veterinari, i biologi, i chimici, i fisici, gli psicologi, nonché gli operatori in possesso dello specifico titolo di abilitazione professionale per l’esercizio di funzioni didattico-organizzative, infermieristiche, tecnico-sanitarie, di vigilanza e ispezione, e di riabilitazione. Le tabelle del personale laureato sono articolate in quadri corrispondenti agli specifici settori di attività. Le tabelle del personale infermieristico, tecnico-sanitario, di vigilanza e ispezione e di riabilitazione sono articolate in quadri corrispondenti al livello di qualificazione professionale degli iscritti. Il personale iscritto nei quadri relativi alla qualificazione più elevata è classificato in due posizioni funzionali. Il personale laureato del ruolo sanitario è classificato in tre posizioni funzionali. 17. Assunzione nelle posizioni funzionali di assistente medico e di veterinario collaboratore. - Alla posizione funzionale di assistente medico si accede mediante pubblici concorsi per titoli ed esami, ai sensi dell’art. 12, distinti per le aree funzionali di medicina, di chirurgia, di prevenzione e di sanità pubblica. Alla posizione funzionale di veterinario collaboratore si accede mediante pubblici concorsi per titolo ed esami, ai sensi dell’art. 12, distinti per l’area funzionale della sanità animale e igiene dell’allevamento e delle produzioni animali per l’area funzionale dell’igiene della produzione e commercializzazione degli alimenti di origine animale. I concorsi sono indetti per ciascuna area funzionale nei limiti dei posti complessivamente vacanti negli organici dei diversi reparti di specialità, servizi e settori di attività. Gli assistenti medici e i veterinari collaboratori durante il primo anno di servizio sono utilizzati in servizi, reparti e settori delle aree funzionali, anche diverse da quella di appartenenza, secondo criteri di avvicendamento che devono favorire la formazione interdisciplinare e l’acquisizione di esperienze professionali di carattere generale. Nel successivo biennio sono utilizzati esclusivamente nell’ambito dell’area funzionale di appartenenza. Al termine del triennio di formazione gli assistenti medici e i veterinari collaboratori sono, a domanda, inquadrati defini3 Numero 1/2015 tivamente nei posti di organico vacanti dei diversi reparti di specialità, servizi e settori di attività nei quali si articola l’area funzionale di appartenenza, sulla base di obiettivi criteri di precedenza, che devono tener conto del servizio prestato, delle attitudini dimostrate e dei titoli professionali e scientifici posseduti. Ai fini dell’inquadramento nella posizione funzionale di assistente radiologo e anestesista è richiesto comunque un servizio continuativo nella disciplina di almeno un anno. La dotazione organica dei medici assistenti è, nell’ambito dei servizi ospedalieri, di norma pari alla dotazione organica complessiva degli aiuti corresponsabili e vice-direttori sanitari. 18. Concorsi a coadiutore sanitario o vice direttore sanitario o aiuto corresponsabile ospedaliero e a veterinario coadiutore. Alle posizioni funzionali di coadiutore sanitario o vice direttore sanitario o aiuto corresponsabile ospedaliero e di veterinario coadiutore si accede mediante pubblici concorsi per titoli ed esami, ai sensi dell’art. 12, ai quali sono ammessi coloro che abbiano prestato, dopo il triennio di formazione interdisciplinare di cui al precedente art. 17, due anni di servizio nella disciplina per la quale il concorso è bandito, coloro che abbiano prestato cinque anni complessivi di servizio in detta disciplina e coloro che siano in possesso della libera docenza o specializzazione nella disciplina stessa. Per i concorsi ad aiuto radiologo e aiuto anestesista è comunque richiesta la libera docenza o la specializzazione nella corrispondente disciplina. 19. Concorsi a dirigente sanitario o sovrintendente sanitario o direttore sanitario o primario ospedaliero, a veterinario dirigente e a farmacista dirigente. - Alle posizioni funzionali di dirigente sanitario o sovrintendente sanitario o direttore sanitario o primario ospedaliero, di veterinario dirigente e di farmacista dirigente si accede mediante concorsi pubblici per titolo ed esami, ai sensi dell’art. 12, ai quali sono ammessi coloro che siano in possesso dell’idoneità della disciplina per la quale il concorso è bandito, conseguita mediante l’esame previsto dal successivo art. 20.». Era inoltre stabilito che il veterinario appartenente alla posizione iniziale svol4 gesse funzioni di supporto e funzioni di studio, di didattica e di ricerca, nonché attività finalizzate alla sua formazione, all’interno dell’area dei servizi alla quale è assegnato, secondo le direttive dei medici veterinari appartenenti alle posizioni funzionali superiori. Il veterinario collaboratore, assunto senza essere specialista, aveva la responsabilità per le attività professionali a lui direttamente affidate e per le istruzioni e direttive impartite nonché per i risultati conseguiti. La sua attività è soggetta a controllo e gode di autonomia vincolata alle direttive ricevute. Come è facilmente intuibile le cose, nei fatti, non sono molto cambiate. Il DPR 761 ha 40 anni, ma non disegna scenari obsoleti e totalmente desueti e abbandonati, dice con un lessico solo un po’ diverso come funzionano nella realtà i servizi e le strutture. Ma è acqua passata che non macina più. Quando nel 1992 si inaugurava il processo di aziendalizzazione del SSN e soprattutto la “dirigenza” acquisiva una particolare enfasi anche nel mondo sanitario non era possibile prevedere gli attuali problemi di grave recessione e di riduzione delle disponibilità per il pubblico impiego e per la sanità pubblica. La precedente organizzazione piramidale e gerarchica stava per essere “demolita” in vista di un processo di corresponsabilizzazione collettiva dei sanitari diventati tutti dirigenti, quindi professionisti autonomi nelle personali decisioni operative durante le attività istituzionali loro affidate. Si trattò di una prospettiva entusiasmante, portatrice di una svolta culturale e professionale storica. Ma non sempre le leopardiane «magnifiche sorti e progressive» trascinano automaticamente e con la dovuta convinzione verso nuovi abiti culturali, specialmente se si tratta di esercitare autonomia professionale e assumere responsabilità giuridicamente rilevante. Quel grande cambiamento è stato utile ai fini contrattuali e al fine di «mettere a tutta la dirigenza il bastone del comando nello zaino». Ma tutto questo ha progressivamente perso valore, perché il lavoro in sanità segue strade che non vengono segnate dai decreti e spesso ciò che cambia nome non cambia in realtà natura e modo di essere. La Dirigenza, anche dopo le riforme del 1992, si articolava in due distinti livelli (I e II) che, pur lasciando sufficienti spazi di autonomia professionale per i singoli, manteneva di fatto ferma la differenza di responsabilità col Direttore di Struttura (II livello) che a tutti gli effetti assumeva su di sé il peso maggiore delle responsabilità correlate agli aspetti organizzativi e gestionali. Questo tipo di gerarchia riproduceva di fatto il modello con un “capo” contornato da una schiera di collaboratori più o meno indipendenti. Ben presto, però, si giunge alla vera svolta che avrebbe dovuto risolvere ogni problema, in particolare quello dei medici non apicali/primari che smaniavano di ottenere la piena autonomia clinica. Nel 2000 il livello dirigenziale diviene quindi unico e ciò che differenzia i medici e i veterinari sono il contratto individuale e gli incarichi assegnati a ogni singolo dirigente. Divisioni e Servizi, articolati gerarchicamente, avrebbero dovuto diventare per decreto vere e proprie équipe democratiche e paritetiche. Ma qui inizia il problema dell’attribuzione delle responsabilità e dello svolgimento del lavoro di base. Il Direttore di servizio o struttura complessa diventa un coordinatore incaricato di lavorare per obiettivi, organizzare l’Unità operativa per linee di attività, stimolare e motivare il gruppo, valutare ed esaltare le attitudini individuali nel rispetto della massima autonomia professionale di ciascuno. In sintesi il suo compito è armonizzare le attività attraverso una “programmazione” adeguata alle reali esigenze gestionali e ai veri bisogni dell’utenza. Nasce così la necessità di definire e concordare con la direzione strategica il cosiddetto budget. Con questo passaggio si determina la necessità di un confronto tra direzione strategica e unità operative per una valutazione obiettiva delle risorse necessarie a attivare le linee di attività e volumi prestazionali da garantire nelle diverse strutture. Questa valutazione avrebbe dovuto anche essere preliminare alla definizione, condivisa e programmata, delle risorse strutturali e di personale da assegnare alle singole unità operative. Un sistema così concepito doveva, quindi, fondarsi su organici ade- Numero 1/2015 guati costituiti da personale specialista, assolutamente ben formato ed esperto, in grado di affrontare adeguatamente l’impegno richiestogli dal SSN sin dal momento del primo ingresso in servizio. L’accesso al SSN, regolamentato dalla normativa concorsuale dei decreti 483/97 e 484/97, tiene infatti conto di tutto questo. Tutto questo però non tiene conto dei diversi percorsi formativi specializzanti che, per quanto riguarda i veterinari, non hanno la copertura delle borse di studio invece attive per i medici, non tiene conto della necessità di una formazione specialistica adeguata alle innovazioni dei sistemi agro-zootecnico-alimentari, adeguata a gestire le novità e le criticità epidemiologiche emergenti delle patologie infettive globali, o delle sensibilità etiche verso il benessere animale, né delle complesse innovazioni giuridiche di origine nazionale ed europea. Qualcosa di nuovo, però, si sta purtroppo profilando. Nell’ambito della discussione sull’ex articolo 22 del Patto della Salute, il Governo, in una prima bozza, aveva previsto che al SSN si potesse accedere direttamente anche senza specializzazione con il solo possesso, quindi, del diploma di laurea e abilitazione, ma con un trattamento economico inferiore e senza qualifica dirigenziale. In una bozza successiva, è stata cassata questa possibilità del “doppio canale” di accesso (con e senza specializzazione) prevedendo un nuovo iter per le specializzazioni con creazione di reti regionali formative ospedale/università e realizzazione di un nuovo contratto di formazione e lavoro a partire dall’ultimo anno di specializzazione. Inutile sottolineare che verrebbe necessariamente cambiata anche la normativa di accesso alla dirigenza che, come ricordato, è regolamentata dai Decreti 483/97 e 484/97. Le Regioni ripropongono il doppio canale d’accesso con inquadramento non dirigenziale e con percorsi di carriera e livelli retributivi determinati dai CCNL. Tutte queste novità, però, riguarderebbero solo i medici. Dimenticanza o esclusione voluta? Nonostante due nostre richieste inviate al Ministro della Salute, al Ministro dell’Istruzione, alle Regioni e alle Direzioni generali non ci è dato di sapere. O me- glio: ci è stato fatto intendere che i veterinari avranno un loro provvedimento specifico, insieme ad altre professioni dirigenziali non mediche. In ogni caso, nella considerazione che ciò che è stato previsto per i medici dovrà concettualmente essere esteso anche ai medici veterinari è necessario elaborare la nostra posizione su una problematica che è di importanza decisiva per il futuro della nostra professione all’interno del SSN. Si tratta in primo luogo di non subire una reformatio in peius, ma anche di non resistere arroccati su qualche posizione ormai antistorica. Il doppio canale ci rimanda a una dirigenza veterinaria più esigua, riservata esclusivamente ai responsabili di struttura? Conservando il modello attuale, ma dopo i massicci pensionamenti che la gobba generazionale ci consegnerà nei prossimi 5-10 anni pensiamo di ristabilire i numeri dell’attuale dirigenza o aumenteranno a dismisura i tecnici della prevenzione mentre i colleghi veterinari perderanno la possibilità di essere assunti da semplici laureati, e molto probabilmente anche da laureati specializzati? Difendere il modello attuale con dipendenti solo veterinari specializzati si basa su un’idea qualitativa e anche quantitativa degli organici veterinari futuri? Aprire una riflessione su questo tema è di rilevanza storica, come lo furono altre che abbiamo affrontato in questi decenni. Non si tratta di demonizzare semplicisticamente e sbrigativamente questo o quel modello. Si tratta di cogliere le possibilità e governare il cambiamento con intelligenza professionale e sindacale. Quello che viene confusamente prospettato rappresenta plasticamente una delle tante facce della crisi del sistema. L’assunzione di veterinari non specializzati da collocare in un limbo normo-economico dal quale forse mai potranno uscire per approdare alla dirigenza ci pone ovviamente degli interrogativi. È meglio un servizio veterinario popolato da molti veterinari di base con uno stipendio inferiore a quello della dirigenza, ma comunque a tempo indeterminato e con la prospettiva di reintegrare i ranghi della dirigenza o è meglio rinunciare da subito a questi posti di lavoro per mantenere solo le figure dirigenziali e sbolognare il lavoro di base ai tecnici della prevenzione? Non dimentichiamo che i veterinari sono professionisti della prevenzione mentre i tecnici sono prevalentemente operatori della repressione. Oppure accettare, più o meno dichiaratamente, una composizione dei servizi in cui la Veterinaria dirigente si restringe a favore della Veterinaria convenzionata che eroga prestazioni specialistiche, ma mantiene una identità libero professionale a tempo indeterminato? Occorrerà fare anche valutazioni di opportunità sindacale e di rappresentatività in sede contrattuale. È infatti da definire se i veterinari non dirigenti possano costituire rappresentatività per le sigle sindacali dei dirigenti o miste, se il nuovo contratto che si dovrà fare li contemplerà o meno, se il CCNQ delle prerogative sindacali della dirigenza si possa applicare per contiguità anche a loro ecc.. Gli attori sulla scena sono molti, ma poco attivi e spesso ondivaghi. Ministero della Salute e Università tardano a creare corsi di specializzazione in cui siano attivate in convenzione borse di studio come quelle dei medici e convenzioni con i servizi veterinari e con gli IZS per specializzare i veterinari con robuste esperienze sul campo. Il Ministero della salute non apre un tavolo di confronto sul futuro della nostra professione e, forse, ci riserva una coda applicativa di criteri decisi per i medici. Le regioni sembrano interessate solo a risparmiare abbassando il costo delle prestazioni, quindi ad abbassare il livello degli operatori che devono produrle. Nonostante il problema del turn-over professionale dei servizi del SSN sia all’ordine del giorno, la medicina veterinaria, nelle diverse istituzioni, è in grande difficoltà e non ha ancora provato a darsi un progetto di innovazione e potenziamento sia a livello centrale che periferico. Si tratta quindi di assumere un ruolo proattivo, non solo per offrire uno sbocco lavorativo e professionale ai giovani colleghi, ma anche per garantire l’ingresso nel SSN a giovani veterinari adeguatamente formati e le condizioni perché possano essere specializzati per assolvere il compito sempre più delicato e complesso di tutela della salute umana e animale. 5 Numero 1/2015 COSMeD Prosegue l'impegno per la difesa della dirigenza Rinnovate le cariche direttive, Giorgio Cavallero il nuovo segretario generale L a Confederazione Sindacale Medici e Dirigenti (COSMeD) ha rinnovato le cariche statutarie per il triennio 2015-2017, dopo aver visto ampliare, durante il precedente mandato del Segretario generale Costantino Troise, la propria rappresentatività fino a raggiungere il massimo livello dalla sua costituzione con le nuove adesioni di Aaroi–Emac, Fedir Sanità e Direr. La COSMeD costituisce attualmente la principale Confederazione sindacale della dirigenza del pubblico impiego, alla quale aderiscono: • ANAAO ASSOMED (Area III e IV) • AAROI-EMAC (Area IV) • FVM (Area IV) • FEDIR SANITÀ (Area III) • ANMI ASSOMED SIVEMP FPM (Area I e VI) • DIRER (Area II) • S.I.Dir.S.S. (Area III) Con circa 33.000 iscritti, certificati dall’Aran, COSMeD rappresenta il 32,31% di tutta la dirigenza pubblica sindacalizzata, e il 37,17% se si considerano le confederazioni rappresentative, staccando nettamente le altre confederazioni della dirigenza, compreso CGIL, CISL e UIL i cui iscritti all’ultima rilevazione erano in totale pari a circa 29.000 aderenti. COSMeD, attraverso i nuovi organismi statutari, intende: - riaffermare la necessità di una forte valorizzazione della dirigenza pubblica, indispensabile per il rilancio del Paese e componente fondamentale per la qualità dei servizi resi al cittadino; - ribadire il proprio impegno per perseguire l’indipendenza e l’autonomia della dirigenza pubblica dal potere politico, requisito necessario per una pubblica amministrazione credibile, competente e trasparente; - respingere politiche di ridimensionamento dei servizi pubblici che portano inesorabilmente alla riduzione dei diritti fondamentali del cittadino, costituzionalmente garantiti. Il nuovo organigramma Segretario generale: Giorgio Cavallero Segretari generali aggiunti: Aldo Grasselli, Giulio Liberatore, Alberto Spanò, Alessandro Vergallo Segretario organizzativo: Franco Socci Tesoriere: Mario Facchetti 6 Numero 1/2015 LEGGE DI STABILITÀ Novità per la contrattazione aziendale Pierluigi Ugolini, Mauro Gnaccarini* Sbloccate alcune voci L a Legge di stabilità 2015 (Legge 190/2014) determina lo sblocco parziale di alcuni vincoli, consentendo il superamento di alcune gravi criticità da sempre stigmatizzate anche dalla nostra organizzazione; in estrema sintesi consente nuovamente la gestione dei fondi contrattuali, rendendo possibile intervenire sui medesimi anche aumentando i valori degli incarichi dirigenziali e delle complessive retribuzioni individuali. I commi 254, 255 e 256 dell’art. 1 della Legge di stabilità 2015 prorogano l’efficacia di alcune norme del DL 78/2010 (conv. L. 122/2010) solo limitatamente ad alcuni punti. Se da un lato rimangono congelati i rinnovi contrattuali (comunque con l’esclusione della parte normativa), fatta salva l’erogazione della indennità di vacanza contrattuale nelle misure previste a decorrere dall’anno 2010 (articolo 2, comma 35, legge 22 dicembre 2008 n. 203), ma senza alcuna possibile implementazione per gli anni successivi, fatta salva altresì la disciplina parzialmente diversa per il personale non contrattualizzato in regime di diritto pubblico di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, per quanto riguarda in particolare il personale del SSN ogni precedente “blocco” non espressamente prorogato è da considerare, dal 1° gennaio 2015, libero da ulteriori vincoli. Rimane tuttavia ferma anche la disciplina inerente la decurtazione annuale, proporzionale al personale cessato, delle risorse destinate al trattamento accessorio (già prorogata sine die -!!- dalla Legge 147/2013 art. 1 comma 456), ma la cui interpretazione fornita dal MEF continua a trovare la nostra ferma opposi- zione per la parte che vorrebbe includere nei trattamenti accessori anche quelle voci che, pur gravanti sul fondo di posizione, sono invece da annoverare chiaramente nel trattamento fondamentale. Quanto alle voci “svincolate”, si tratta di diverse materie regolate dall’art. 9 del citato DL 78/2010 e successive modificazioni (di cui, in particolare, al DPR 122/2013 e alla Legge 147/2013) e precisamente: - tetto del trattamento ordinariamente spettante al dipendente, finora bloccato a quello del 2010 (comma 1); - definizione del trattamento economico complessivo del dirigente rispetto al predecessore (comma 2); - ammontare dei fondi per il trattamento accessorio (comma 2-bis); - progressioni di carriera comunque denominate (comma 21, quarto periodo - per il personale contrattualizzato). Uno fra gli effetti più attesi è, in specie, lo sblocco del riconoscimento, pure economico, con decorrenza 1/1/2015, della superiore fascia dell’indennità di esclusività per coloro i quali abbiano maturato non solo i 5 anni, ma anche i 15 anni di esperienza professionale. Un altro e non secondario aspetto è la possibilità di poter rivalutare, anche a invarianza di incarico e in caso di disponibilità economica dei fondi, la retribuzione di posizione aziendale. La palla passa ora ai livelli territoriali, che potranno finalmente e con maggiore efficacia riprendere relazioni sindacali in cui i precedenti vincoli economici possano finalmente essere considerati superati dalla nuova impostazione della norma. *Segreteria Nazionale 7 Numero 1/2015 DPCM PRECARI Raggiunta l’intesa Pierluigi Ugolini* Indicazioni e riflessioni a margine 8 D opo oltre un anno di gestazione ha finalmente visto la luce il DPCM che disciplina le procedure di accesso del personale precario alle procedure selettive utili alla stabilizzazione del personale precario in sanità. I punti salienti prevedono: - la possibilità di proroga dei contratti a tempo determinato fino al 31/12/ 2018; - la data ultima per bandire tali procedure concorsuali riservate è il 31/12/2018; - la riserva dei posti del 50% a chi sia stato titolare, anche con contratti diversi, di contratti a tempo determinato per almeno un triennio nel quinquennio fino al 30/10/2013, nel medesimo ambito regionale, ma anche presso enti diversi da quello che indirà la procedura; - la possibilità per le Regioni in piano di rientro di derogare al blocco del turnover per una quota pari al 15% e la conseguente possibilità anche in questo caso di attivare le procedure di selezione con riserva del 50% dei posti, a condizione che sia certificato dai competenti tavoli tecnici il rispetto anche parziale degli obiettivi previsti dai piani di rientro. Tale deroga verrà rilasciata previo apposito decreto emanato di concerto da Ministero dell’Economia, Ministero della Salute e Ministero per gli affari regionali. Il DPCM si applica anche al personale che opera nella ricerca, con le medesime modalità e scadenze. In questo ambito il possesso del titolo di dottorato di ricerca è equiparato alla specializzazione, ai fini dell’accesso. Infine si applica e in questo caso sancisce l’equipollenza tra lavoro prestato e diploma di specializzazione, ai medici che operano nella rete di emergenza urgenza; inoltre, il titolo lavorativo di cinque anni consecutivi (fatti salvi i periodo di interruzione previsti dal DL 368/2001) è equiparato al possesso del titolo di specializzazione in medicina e chirurgia d’accettazione e d’urgenza. Nulla è previsto invece per la molto più ampia platea di precari c.d. “atipici” titolari di contratti di altro genere. Il commento del segretario Nazionale, dott. Aldo Grasselli : «In un Paese nel quale spesso non c’è nulla di più stabile della precarietà dei lavoratori, l’Intesa raggiunta in Conferenza Stato-Regioni sullo schema di DPCM predisposto dal ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, con cui si dà una prima risposta alla stabilizzazione dei migliaia di precari del Servizio sanitario nazionale, non può che essere accolta come una notizia positiva. Si tratta di un primo passo in avanti al quale devono seguirne altri. Verificheremo se nel corso della sua applicazione concreta si tratterà di una inversione di tendenza o di un provvedimento tampone che perderebbe ogni efficacia senza lo sblocco del turnover. Siamo alla vigilia di un esodo di grandi proporzioni, dalla sanità pubblica nei prossimi anni uscirà un numero molto rilevante di dirigenti che erano stati fermati dalla riforma Fornero. Il testo sul quale è stata raggiunta l’Intesa è un primo step, ma non basta. Le forme di precariato sono peraltro molteplici e non tutte considerate nel provvedimento in oggetto. Non solo. Il Numero 1/2015 pensionamento della coorte più affollata di medici, veterinari e dirigenti sanitari pubblici riproporrà a breve il problema della sostenibilità dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Attendiamo dal Governo un passo avanti anche per affrontare questa emergenza generazionale». Parallelamente all’emanazione del decreto tuttavia, prosegue l’azione di tutela dei colleghi. Il nostro ufficio legale sta, infatti, valutando quali siano le ulteriori azioni esperibili. Di seguito l’informativa presente anche sul nostro sito cui rimandiamo per l’eventuale aggiornamento delle relative indicazioni. «L’ormai nota Sentenza della Corte di Giustizia Europea del 26 novembre 2014 ha ingenerato molte aspettative in tutti i precari delle pubbliche amministrazioni, ivi compreso il SSN, non ultimo nei dirigenti medici e veterinari; aspettative che hanno trovato massima attenzione da parte del SIVeMP così come da parte di numerose altre OO.SS. di categoria. L’Ufficio legale del SIVeMP, in accordo con la Segreteria nazionale e con l’ausilio dei nostri legali, ha tuttavia ritenuto prudente svolgere una più attenta disamina della problematica, considerate le non poche variabili che quasi subito sono emerse quali ragionevoli elementi di dubbio rispetto alle possibili azioni validamente esperibili in sede giurisdizionale. Già il 4 dicembre 2014 su il Sole 24 Ore Sanità compariva un’articolata riflessione di Stefano Simonetti la quale poneva dubbi, la cui fondatezza è stata confermata anche dai nostri legali, circa la possibilità, per i pubblici dipendenti precari, ivi compresi quelli del SSN, di ottenere l’auspicata “stabilizzazione” per via giudiziaria, seppure molti possano vantare periodi di “precariato continuativo” ben superiore ai 36 mesi. I nostri legali evidenziano in proposito come, allo stato, risulti difficilmente superabile il vincolo costituzionale (art. 97 comma 3) che, “tradotto” anche nel D.Lgs. 165/2001 art. 36 comma 5, impedisce l’accesso a tempo indeterminato nei ruoli della P.A. per via diversa da quella del pubblico concorso; impedimento che, in quanto “costituzionale”, seppure “contraddetto in via generale” dal legislatore con il D.lgs. 368/2001, ben difficilmente potrebbe essere disatteso in sede giurisdizionale, nonostante anche il l’orientamento del legislatore e del Giudice dell’Unione Europea, per noi chiaramente condivisibile, oltre che conforme ai menzionati principi generali sanciti dal nostro legislatore. Sicché, in detta sede giurisdizionale, i veterinari dirigenti e specialisti ambulatoriali (la posizione affermata dalla CGE tenderebbe ad escludere, per quanto ci riguarda, i rapporti di lavoro di altra tipologia) che abbiano subito ovvero stiano subendo situazioni di “illegittimo precariato” (rapporti di lavoro a tempo determinato protratti per oltre 36 mesi continuativi), ferme restando le ulteriori considerazioni proposte dal succitato articolo, relative specificamente - al personale sanitario, per quanto applicabili alla dirigenza, non potrebbero chiedere, con sufficienti prospettive di successo, alcuna “stabilizzazione”; potrebbe invece essere a buon titolo vantato, da parte dei citati soggetti, fermi i termini prescrizionali decennali, il risarcimento del danno (morale, esistenziale, per perdita di chance). Non ultimo, ma previo esame individuale di ciascuna situazione, poiché la Corte europea ha individuato come specificamente risarcibile il danno derivante dalla mancata maturazione di scatti di anzianità ovvero istituti assimilabili, i nostri legali ritengono comunque possibile lamentare, per le situazioni di “lungo precariato”, anche la mancata maturazione dello scatto quinquennale dell’indennità di esclusività e la correlata retribuzione dello stesso che, pure nel cosiddetto periodo di “blocco stipendiale”, non poteva essere negata. Alla luce di quanto sopra, i colleghi veterinari interessati ad avviare azioni legali, trovandosi in possesso dei succitati requisiti, possono rappresentare, entro il 31 marzo p.v., la propria posizione e il correlato interesse a mezzo e-mail all’indirizzo [email protected] . Soltanto dopo che sia stato acclarato il numero degli interessati e, da parte dei nostri legali, sia stata verificata la sussistenza di una concreta e valida legittimazione ad agire in capo a ciascuno, risulterà definibile la misura del sostegno che il Sindacato potrà offrire, nel massimo possibile, agli iscritti danneggiati». *Segreteria Nazionale 9 Numero 1/2015 DIPARTIMENTI DI PREVENZIONE La Regione Liguria ristabilisce le 3 UO distinte dei servizi veterinari Aldo Grasselli Si è finalmente aperta una rivalutazione complessiva dell’impostazione strutturale e organizzativa 10 C on la delibera 865 del 29 dicembre 2014, l’ASL 3 “Genovese” della Regione Liguria aveva bandito un avviso per incaricare un responsabile della struttura complessa denominata “Sicurezza alimentare”. Tale deliberazione, nelle motivazioni, aveva anche prefigurato l’unificazione del Sian con il servizio veterinario di Igiene degli alimenti di origine animale. Evidentemente non si era chiusa una controversia sull’organizzazione dei Dipartimenti di Prevenzione Liguri e questo nuovo atto ha nuovamente costretto il SIVeMP a prendere una decisa posizione contro un progetto lesivo, irrazionale e incoerente con le norme generali in materia. La Regione, opportunamente sollecitata ha valutato giuste le nostre richieste e ha ristabilito un quadro di legittimità richiamando quanto il Parlamento ha ribadito in merito all’articolazione essenziale dei Dipartimenti di Prevenzione, elencandone distintamente - lettera per lettera - ogni struttura e distinguendo per ciascuna l’esclusivo e non “interpretabile” profilo disciplinare. La normativa statale sopravvenuta, con la Legge di Stabilità 2015 del 23 dicembre 2014 n. 190 - che è di rango superiore a qualsiasi altra norma salva la Costituzione - non ha fatto che ribadire nell’art. 1 comma 582 l’autonomia delle diverse discipline che animano professionalmente i Dipartimenti di Prevenzione e la loro distinta articolazione strutturale. La logica che sostiene la nuova norma di cui siamo stati forti sostenitori sia come FVM sia come Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva insieme alla SItI - ribadisce quali sono le strutture (semplici o complesse a seconda delle dimensioni dei processi prestazionali e degli output) in cui operano medici o veterinari (e biologi e chimici per i Servizi di Igiene degli Alimenti e della Nutrizione). A queste strutture si accede per specifici concorsi banditi per specifiche e non fungibili discipline, e di conseguenza se ne può affidare la responsabilità gestionale solo rispettando l’autonomia di ciascuna specifica disciplina. È il Dipartimento, infatti, l’unica sede dell’integrazione professionale delle strutture che lo compongono. Pertanto il Bando della ASL 3 Genovese per la direzione della struttura complessa “Sicurezza alimentare”, è stato dal SIVeMP denunciato per essere apertamente illegittimo, e non solo perché riservava l’incarico esclusivamente ai medici specialisti in “Igiene degli alimenti e della nutrizione” quando tale incarico può essere ricoperto anche dai biologi e chimici con analoga specializzazione (vedasi il DPR 484/97) i quali non possono essere estromessi aprioristicamente, ma soprattutto perché annichiliva la professionalità e l’autonomia dei veterinari che devono avere strutture indipendenti per assicurate l’igiene degli alimenti di origine animale. Numero 1/2015 La Regione Liguria con la disposizione dell’Assessorato qui riprodotta ha indotto la ASL3 Genovese a ritirare la delibera in cui bandiva il concorso per la direzione della struttura complessa “sicurezza alimentare” ed eventualmente a riformularla per incaricare un direttore di struttura complessa di “Igiene degli alimenti e della nutrizione”. Proprio le Regioni hanno difeso la letterale originaria stesura del comma 582, che era stata adottata nel Patto della salute sottoscritto con il Governo, dai diversi emendamenti che in Commissione Sanità e Affari Sociali sono stati presentati ripetutamente. Stesura che oggi è riportata integralmente dalla Legge di stabilità e che le Regioni devono - ora - rispettare letteralmente, salvo non abbiano previsto organizzazioni dipartimentali più evolute come nelle Regioni Lombardia e Sicilia. Oggetto: Dipartimenti di Prevenzione delle AA.SS,LL del Servizio Sanitario Regionale. Nuove disposizioni ex art, 1, comma 582, della Legge 23 dicembre 2014, n, 190 ("Legge di stabilità 2015"). La Legge 23 dicembre 2014, n, 190 ("legge di stabilità 2015"), pubblicata sulla G.U. n. 300 del 29.12.2014 - Suppl. Ordinario n. 99 - e vigente dal 01.01.2015, ha previsto alcune disposizioni di portata innovativa riguardanti i Dipartimenti di Prevenzione, che assumono particolare rilievo in questa sede e che si ritiene, pertanto, opportuno condividere con le Aziende in indirizzo. La Regione Liguria, in data 3 marzo 2015, con un provvedimento legislativo ha ristabilito che le strutture operative veterinarie dei dipartimenti di prevenzione siano nuovamente tre: Sanità animale; Igiene degli allevamenti e delle produzioni zootecniche e Igiene della produzione, trasformazione, commercializzazione, conservazione e trasporto degli alimenti di origine animale e loro derivati. Genova, 19 gennaio 2015 Prot. n. PG/2015/8199 Ai Signori Direttori Generali ASL 1 Imperiese ASL 2 Savonese ASL 3 Genovese ASL 4 Chiavarese ASL 5 Spezzino LORO SEDI La Legge 23 dicembre 2014, n, 190 ("legge di stabilità 2015"), pubblicata sulla G.U. n. 300 del 29.12.2014 - Suppl. Ordinario n. 99 - e vigente dal 01.01.2015, ha previsto alcune disposizioni di portata innovativa riguardanti i Dipartimenti di Prevenzione, che assumono particolare rilievo in questa sede e che si ritiene, pertanto, opportuno condividere con le Aziende in indirizzo. In particolare, l’art. 1 comma 582, delle citata Legge n. 190/2014, ha previsto testualmente quanto segue: “Dopo il comma 4 dell'articolo 7-quater del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, sono inseriti i seguenti: «4-bis. L'articolazione delle aree dipartimentali nelle strutture organizzative di cui al comma 2 rappresenta il livello di organizzazione che le regioni assicurano per garantire l'esercizio delle funzioni comprese nei livelli essenziali di assistenza, nonché l'osservanza degli obblighi previsti dall'ordinamento dell'Unione europea. 4-ter. Le regioni assicurano che le strutture organizzative di cui alle lettere b), d), e) e f) del comma 2 siano dotate di personale adeguato, per numero e qualifica, a garantire le finalità di cui al comma 4-bis, nonché l'adempimento degli obblighi derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea in materia di controlli ufficiali, previsti dal regolamento (CE) n. 882/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004. 4-quater. Le strutture organizzative di cui al comma 2 sono possibilmente individuate quali strutture complesse». All'attuazione delle disposizioni di cui al presente comma in materia di personale si provvede nel rispetto dei vincoli di spesa previsti dalla legislazione vigente e, per le regioni sottoposte ai piani di rientro, anche nel rispetto di quelli fissati in materia da tali piani nonché dei vigenti parametri standard per la definizione delle strutture complesse e semplici”. Il comma 2 dell'art. 7 quater (rubricato “Organizzazione del dipartimento di prevenzione”) del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502', già disponeva espressamente che: “Le regioni disciplinano l'articolazione delle aree dipartimentali di sanità pubblica, della tutela della salute negli ambienti di lavoro e della sanità pubblica veterinaria, prevedendo strutture organizzative specificamente dedicate a: 11 Numero 1/2015 a) igiene e sanità pubblica; b) igiene degli alimenti e della nutrizione; c) prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro; d) sanità animale; e) igiene della produzione, trasformazione, commercializzazione, conservazione e trasporto degli alimenti di origine animale e loro derivati; f) igiene degli allevamenti e delle produzioni zootecniche”. A ben vedere la "Legge dì stabilità 2015" ha, quindi, configurato una corrispondenza biunivoca tra strutture e profilo disciplinare, tra l’altro con specifico riguardo alla struttura "Igiene degli alimenti e della nutrizione, sanità animale, igiene della produzione, trasformazione, commercializzazione, conservazione e trasporto degli alimenti di origine animale e loro derivati" (di cui alla summenzionata lettera e) ed "igiene degli allevamenti e delle produzioni zootecniche" (di cui alla summenzionata lettera f). Orbene, alla luce dello ius superveniens generato dalla "Legge di stabilita 2015", secondo quanto sin qui esposto, l'Ente Regione intende procedere quanto prima: a) ad una rivisitazione delle proprie direttive emanate a suo tempo (D.G.R. n. 809 del 08. 07.2011 e D.G.R. n.1440 del 25.11.2011) con le quali, tra le altre cose, si optava per l'unificazione delle funzioni di riferimento in un'unica struttura di "Igiene degli alimenti e della nutrizione e igiene della produzione, trasformazione, commercializzazione, conservazione e trasporto degli alimenti di origine animale e loro derivati", b) alla concomitante modifica del vigente art. 43 della L.R. n. 41/2006 (ipotizzando in quella sede apposita clausola di salvaguardia rispetto agli incarichi medio tempore conferiti, stabilendo in proposito che le nuove disposizioni si applichino, per tali fattispecie, alla scadenza dei contratti Individuali). II quadro normativo sin qui delineato, infatti, non lascia spazio a interpretazione rispetto alle necessità di dover prevedere che: a) le due strutture sopra citate siano separate; . b) la titolarità dell'incarico sia conferita esclusivamente a coloro che risultino dotati, per ciascuna struttura, dello specifico e corrispondente profilo disciplinare. Orbene, in ragione di quanto sin qui esposto, e tenuto conto, altresì, che in relazione a specifiche delibere di alcune Aziende risultano pendenti ricorsi innanzi al competente organo giurisdizionale amministrativo (la discussione dei quali potrebbe profilarsi nel breve periodo), si invitano tutte le Aziende in indirizzo, nelle more della rivisitazione delle disposizioni normative da parte dell'ente Regione, come sopra prospettate, ad adottare gli opportuni provvedimenti, in regime di autotutela, in ordine ad eventuali procedure concorsuali già bandite che presentino difformità rispetto al nuovo quadro normativo, in attesa dell'emanazione delle necessarie determinazioni regionali sulla materie di cui si verte. È appena il caso di evidenziare che l'esigenza di agire in autotutela si ravvisa specialmente qualora l'Azienda abbia già emanato eventuali bandi per il conferimento di incarichi di strutture, posto che la nuova disciplina nazionale, cosi come risultante dalla prefata "legge di stabilità" non solo - come detto - è: vigente dal 01.01.2015, ma riconferma equiparazioni con analoghe specializzazioni previste da altre norme (ad esempio, dal D.P.R. n. 484/97), la cui violazione potrebbe viziare gli atti ed i provvedimenti già posti in essere. Infine, si rappresenta che, per quanto concerne la previsione del novellato comma 4-quater dell’art. 7-quater del D.Lgs. n. 502/1992, inserito dal comma 582 dell'art. 1 della L 190/2014, in premessa richiamato, questa Amministrazione provvederà ad emanare quanto prima opportune direttive circa le modalità di graduazione e qualificazione delle posizioni dirigenziali afferenti alle strutture organizzative ivi contemplate. Confidando nella piena condivisione ed osservanza dei contenuti della presente, è gradita l'occasione per porgere i migliori saluti. Il Direttore Generale Dipartimento Salute e Servizi Sociali 12 Il Direttore Generale Agenzia Sanitaria Regionale Numero 1/2015 PENSIONAMENTO DEI PUBBLICI DIPENDENTI Circolare Madia 2/2015 Giuseppe Torzi* Si promuove il ricambio e il ringiovanimento del personale della P.A. I l Dipartimento della Funzione Pubblica ha pubblicato la circolare n. 2/2015 relativa alla “Soppressione del trattenimento in servizio e modifica della disciplina della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro”. L’intervento legislativo è volto a favorire il ricambio e il ringiovanimento del personale nelle pubbliche amministrazioni. Con l’entrata in vigore delle recenti modifiche il sistema prevede la risoluzione del rapporto di lavoro: obbligatoria, per coloro che hanno maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia ovvero il diritto alla pensione anticipata, avendo raggiunto l’età limite ordinamentale; rimessa alla determinazione dell’amministrazione, per coloro che hanno maturato il diritto alla pensione anticipata secondo i requisiti della legge Fornero, aggiornati con l’adeguamento alla speranza di vita, e senza penalizzazione della pensione. La normativa tuttavia non coinvolge il trattenimento dei dirigenti medici e del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale previsto dall’articolo 22 della Legge 183/2010 (il c.d. collegato lavoro) in quanto viene riconosciuta la specialità di tale normativa rispetto alla disciplina generale. La norma citata individua il limite massimo di età per il collocamento a riposo di questi soggetti, inclusi i responsabili di struttura complessa, al compimento del sessantacinquesimo anno di età, ovvero, su istanza del- l’interessato, al maturare del quarantesimo anno di servizio effettivo, in ogni caso con il limite massimo di permanenza del settantesimo anno di età. Continua quindi a valere per tutti i dirigenti medici e del ruolo sanitario (dirigenti delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche della riabilitazione, della prevenzione e della professione di ostetrica) la possibilità, previa istanza, di permanere in servizio oltre i sessantacinque anni di età per raggiungere i 40 anni di servizio effettivo, purché non sia superato il limite dei 70 anni di età. La Circolare ricorda che l’amministrazione potrà accordare tale prosecuzione a patto che la permanenza in servizio non dia luogo a un aumento del numero dei dirigenti. È utile ricordare che nella nozione di servizio effettivo sono da ricomprendere tutte le attività lavorative effettivamente rese sia nei confronti dell’amministrazione di appartenenza sia nei confronti dello Stato (quindi con l’inclusione della contribuzione derivante dal servizio militare). Esclusi invece gli anni valorizzati attraverso il riscatto degli studi. I Limiti. Salvo che si tratti di dirigente di struttura complessa (cioè il primario) la volontà del dirigente di proseguire il rapporto di lavoro fino al quarantesimo anno di servizio effettivo e oltre il sessantacinquesimo anno di età può tuttavia trovare un limite nell’esigenza dell’amministrazione di risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro una 13 Numero 1/2015 volta maturati i nuovi requisiti contributivi per l’accesso alla pensione anticipata (42 anni e 6 mesi gli uomini e 41 ani e 6 mesi le donne), purché dopo il compimento del sessantacinquesimo anno di età. In pratica questi medici possono comunque presentare istanza di proseguire il rapporto di lavoro fino al compimento del quarantesimo anno di servizio effettivo (sempre che tale prosecuzione non comporti un aumento del numero dei dirigenti) ai sensi dell’articolo 15-nonies del citato decreto legislativo n. 502 (che riguarda i “dirigenti medici e del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale, ivi compresi i responsabili di struttura complessa”). L’amministrazione potrà tuttavia non accogliere l’istanza stessa ove decida di procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro, anche in relazione ai criteri adottati per l’utilizzo della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro, tenendo presenti le esigenze organizzative e funzionali e rispettando la parità di trattamento, anche per evitare l’indebita lesione dell’affidamento degli interessati. Archiviato il Jobs Act, come promesso anche dal Ministro Poletti, l’esecutivo finalmente metterà mano al cantiere della previdenza. Flessibilità è la parola chiave: obiettivo primario, almeno nelle intenzioni, è concedere il pensionamento anticipato ai lavoratori prossimi a maturare i requisiti. Sono tanti che purtroppo sono rimasti disoccupati in età avanzata o che, dopo tanti anni di lavoro, auspicano di godersi la pensione. Quota 100, pensione flessibile e prestito pensionistico sono le tre ipotesi più gettonate. Quota 100 Il presidente della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati Cesare Damiano ha chiesto all’esecutivo un tavolo per dibattere di pensioni: probabile che voglia portarvi la quota 100, la sua proposta di consentire il pensionamento già a partire da 60 anni con 40 anni di contributi. Ciò allenterebbe in parte le maglie dell’Istituto che, oggi, consente di lasciare l’impiego con almeno 42 anni e 6 mesi di versamenti contributivi, uno in meno per le signore. Prestito pensionistico Il prestito pensionistico è la soluzione meno costosa per le casse pubbliche e non a caso, è stata caldeggiata da alcuni esponenti vicini al governo Renzi come Yoram Gutgeld, consigliere economico del PD. Questa strategia, che vedrebbe l’INPS erogare un assegno mensile di circa 700 euro, restituito poi negli anni appena maturati i requisiti per la pensione. Pensione flessibile L’ipotesi della pensione flessibile, invece, vedrebbe la costruzione di un sistema di penalizzazioni decrescenti e incentivi: ciò favorirebbe l’uscita anticipata e il progressivo innalzamento della pensione man mano che si raggiunge l’età pensionabile fissata dalla legge. *Segreteria Nazionale ASSICURAZIONE IN CONVENZIONE PER GLI ISCRITTI Ora anche i ricercatori possono attivare una specifica copertura Le già ampie e specifiche coperture garantite dall'assicurazione stipulata in convenzione con "G.eA. Broker" ormai da alcuni anni (responsabilità civile per danni materiali o perdite patrimoniali causati con colpa grave), per i soli iscritti al SIVeMP (di ogni profilo contrattuale!), sono state ulteriormente implementate nello spirito di offrire un servizio sempre più aderente alle peculiari funzioni che i veterinari di sanità pubblica svolgono con diversi ruoli e nei diversi enti del SSN. L'assicurazione, che fin dall'inizio è stata strutturata con una copertura base, alla quale possono essere aggiunte opzioni modulari secondo le esigenze dei singoli professionisti, caratterizzandosi così per flessibilità ed economicità, è stata implementata con la possibilità, a partire da quest'anno, di garantire specifica copertura per le responsabilità derivanti da attività di ricerca. Tale copertura potrà essere attivata mediante la sottoscrizione della nuova clausola "G" e il pagamento di una quota modulare assai ragionevole; fermo restando che il ricercatore, nel caso di responsabilità derivanti dalla propria attività, ma non direttamente e specificamente riconducibili a "ricerca", potrà chiaramente continuare a godere dei più elevati massimali previsti dalla quota base, eventualmente raddoppiati con la sottoscrizione della clausola "C". Le nuove condizioni complete sono consultabili nell'area "servizi" del nostro sito. Per ogni eventuale chiarimento rimangono disponibili l'Ufficio legale unitamente al broker che fornisce il servizio. 14 Numero 1/2015 BEST VETERINARY PRACTICES Servizio veterinario britannico e italiano a confronto Andrea Domenichini1 Due modelli, due realtà: ma ci sono punti di incontro? I servizi governativi veterinari britannici e italiani, pur nelle loro differenze, agiscono con gli stessi parametri e sono in grado di ottenere risultati analoghi seguendo quelle che sono considerate le best practices veterinarie? Lo scopo di questo lavoro è quello di comparare il modello britannico, che pur essendo stato il primo servizio veterinario pubblico istituito al mondo (1898) negli ultimi anni ha subito una privatizzazione sempre più marcata, e quello italiano che, al contrario, ancora conserva ancora una forte impronta pubblica. Best Veterinary Practices Le buone pratiche nei servizi veterinari pubblici riguardano fondamentalmente l’insieme delle norme sanitarie che i veterinari devono far rispettare per garantire un’elevata qualità e sicurezza nella produzione degli alimenti di origine animale e comprendono anche le misure di protezione riguardanti il benessere animale e quelle che assicurano il controllo delle patologie (infettive e non) nelle popolazione animali per evitare la possibile insorgenza di epidemie e zoonosi. Per assicurare i consumatori dell’alto livello delle loro attività, i servizi veterinari pubblici devono dedicarsi al raggiungimento di obiettivi qualitativi ed essere in grado di documentarli a tutti i livelli dell’organizzazione. I veterinari ufficiali a tempo pieno o parziale, il personale amministrativo e i tecnici che ne fanno parte devono essere propriamente qualificati e possedere un grado elevato di esperienza tale da consentirgli di prendere decisioni lavorative corrette. L’OIE (Office International de Epizoozie) ha definito standards e linee guida per aiutare i diversi Paesi membri a valutare i loro servizi veterinari e il personale che ne fa parte. Le linee guida che consentono di valutare l’efficacia e l’efficienza dei diversi servizi veterinari sono contenute nel Terrestrial Animal Health Code che comprende anche i veterinari liberi professionisti che lavorano a contratto per il Governo e che perciò sono soggetti agli stessi obblighi legislativi dei veterinari dipendenti. L’autorità competente nazionale deve provvedere affinché sia creato un appropriato quadro istituzionale che consenta al servizio veterinario di sviluppare e migliorare gli standard richiesti e che gli siano garantite risorse adeguate per effettuare nel modo migliore i compiti che gli sono stati assegnati Le best veterinary practices richiedono che: - i veterinari pubblici debbano essere liberi da ogni interesse di natura commerciale e finanziaria e inoltre svincolati da pressioni gerarchiche o politiche, che potrebbero influire sul risultato delle loro decisioni. In aggiunta veterinari pubblici devono sempre comportarsi in maniera trasparente, oggettiva e non discriminatoria; - i compiti lavorativi del personale veterinario vadano chiaramente definiti, in modo da assicurare che solo personale sufficientemente qualificato venga utilizzato nello svolgimento di compiti di particolare delicatezza e impegno. 15 Numero 1/2015 Glossario AHOs - Animal Health Officers APHA - Animal and Plant Health Agency AHVLA - Animal Health Veterinary Laboratory Agency DEFRA- Department of Enviroment Food and Rural affaire DVM - Divisional Veterinary Managers FAO - Food Agriculture Organization FSA - Food Standard Agency HIVSS - Highlands and Islands Veterinary Service Scheme MAFF - Ministry of Agriculture, Fisheries and Food OIE - Office International de Epizoozie OV - Official Veterinarian SVS - State Veterinary Service TVIs - Temporary Veterinary Inspectors VA - Veterinary Advisers VLA - Veterinary Laboratory Agencies VOs - Veterinary Officers Tale personale dovrà anche essere sottoposto a periodi di training adeguato (ECM) in modo che possa prepararsi in maniera idonea alle sfide che via via gli si presenteranno. In pratica, quindi, la qualità del servizio veterinario di un Paese dipende da un insieme di fattori che includono principi fondamentali di etica e fattori di natura organizzativa e tecnica. La compliance con questi principi dipende fondamentalmente dalla qualità del personale che ne fa parte, personale che dovrebbe possedere le necessarie conoscenze accademiche, ed essere sufficientemente esperto e indipendente nel prendere decisioni. Ma quale dei due sistemi veterinari, con le loro profonde differenze organizzative e di personale, è in grado di offrire tramite le best practices, un servizio migliore ai propri utenti e ai consumatori: quello britannico o quello italiano? I servizi veterinari pubblici Storicamente i servizi veterinari hanno 16 da sempre fatto parte del servizio pubblico. Originariamente vennero creati come una branca sanitaria dell’esercito che aveva come scopo quello di proteggere i cavalli e altri animali da lavoro (asini, muli), dato che in caso di attività belliche, il loro utilizzo era di primaria importanza; fino agli anni 60-70 del secolo scorso erano quasi del tutto in mano pubblica, ora invece, specialmente nel Nord Europa, la maggior parte ha delegato molte delle loro funzioni al settore privato. La veterinaria pubblica ha il ruolo di promuovere la sanità e il benessere animale, di partecipare alla protezione dell’ambiente, di assicurare la qualità dei prodotti di origine animale e di difendere la popolazione umana dalle zoonosi. I veterinari sia pubblici sia privati devono aderire a elevati standard etici ed essere preparati ad applicare le loro conoscenze specialistiche e a utilizzare le loro abilità pratiche al meglio (best practices) nell’interesse dei loro pazienti e della comunità. Circa il 50% dei veterinari nei Paesi più ricchi sono coinvolti esclusivamente con piccoli animali come cani, gatti, volatili da voliera, rettili. Altri invece lavorano con gli animali da reddito, ma il loro numero è in costante calo e i veterinari che si occupano esclusivamente di cavalli, animali da zoo e selvatici rappresentano un’esigua minoranza. Esistono inoltre veterinari che sono impiegati direttamente o indirettamente dai servizi veterinari pubblici, svolgendo attività di sorveglianza e di controllo delle principali malattie infettive del bestiame, di protezione del benessere animale, di ispezione e certificazione dei prodotti di origine animale in modo tale da assicurare un’ottimale protezione del consumatore da eventuali rischi di tossinfezioni. L’organizzazione del servizio veterinario britannico Bisogna prima di tutto premettere che il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord (UK and Northern Ireland) è composta da quattro entità amministrative: l’Inghilterra la Scozia e il Galles e l’Irlanda del Nord, che anche in campo sanitario, hanno ampi livelli di autonomia dal governo centrale di Westminster. Specialmente la Scozia ha raggiunto livelli di devolution molto marcati, infatti, recentemente ha creato la propria Food Safety Agency (Agenzia di sicurezza alimentare) che è totalmente autonoma dalla UK Food Safety Agency che in precedenza aveva giurisdizione su tutto il territorio britannico. Il servizio veterinario Britannico, a differenza di quello Italiano, impiega direttamente, a tempo pieno, un numero assai esiguo di veterinari (circa 300). Le due aree principali della sanità pubblica veterinaria sono rappresentate dalla sanità animale, che si occupa della prevenzione delle malattie diffusive del bestiame e del benessere animale, e dalla area di ispezione degli alimenti. Le due aree sono nettamente separate. I veterinari che vi lavorano sono dipendenti di due diverse agenzie (agencies). L’area sanità animale I veterinari attraverso la loro costante presenza negli allevamenti, assicurano la possibilità di individuare precocemente la comparsa di malattie che potrebbero trasmettersi anche agli esseri umani (zoonosi) e spesso svolgono un’azione di consulenza informando i produttori in merito alle corrette procedure da seguire per ridurre i rischi legati all’utilizzo di farmaci, ai residui dei pesticidi, alle micotossine ecc. In molti Paesi europei, inclusa la Gran Bretagna, il servizio veterinario dell’Area della sanità animale è sempre stato inserito nell’ambito dell’agricoltura. Fino a maggio del 2001, nel Regno Unito, il personale del Servizio Veterinario Britannico Statale (SVS State Veterinary Service) era alle dirette dipendenze del Ministero dell’Agricoltura (MAFF - Ministry of Agriculture, Fisheries and Food), mentre dopo il 2001 l’organizzazione del servizio veterinario britannico è andato incontro a numerosi cambiamenti. In seguito alla terribile crisi aftosa del 2001, tutto il personale facente parte dello SVS venne Numero 1/2015 trasferito a un nuovo dipartimento ministeriale chiamato Dipartimento per l’ambiente, la nutrizione e gli affari rurali (DEFRA- Department of Enviroment Food and Rural Affairs). Il DEFRA è un dipartimento ministeriale con 36 agenzie e un segretario di Stato al suo vertice che si occupano, fra le altre cose, di protezione ambientale e difesa delle produzioni rurali ecc. Da qui si capisce come lo SVS che prima rappresentava la punta di diamante del MAFF sia stato declassato e inserito in un dipartimento a pari livello con altre agencies. Lo scopo dichiarato dal Governo britannico è quello tramite le agencies di separare fisicamente la creazione e lo sviluppo di una norma (policy), da quella che poi sarà la sua applicazione pratica. In realtà le agencies sono enti misti pubblico-privato che permettono al Governo di ridurre in maniera significativa le spese (vantaggi finanziari), in quanto si tratta di strutture con un elevato grado di flessibilità e autonomia. A questo primo rimodellamento ne sono seguiti altri con il cambiamento del nome del servizio veterinario (State Veterinary Service) in Animal Health (sanità animale) nel 2007, poi nell’aprile del 2011 si è deciso di unire il personale facente parte di Animal Health insieme al personale facente parte dei Veterinary Laboratory Agencies (paragonabili ai nostri istituti zooprofilattici) costituendo una nuova agency chiamata AHVLA (Animal Health Veterinary Laboratory Agency) . Ora, da pochi mesi è partita una nuova riorganizzazione che ha portato alla creazione di una nuova agency che è stata chiamata APHA (Animal and Plant Health Agency) in cui sono stati riuniti i veterinari e le altre professionalità contenute nella precedente agenzia assieme all’ispettorato delle api, all’ispettorato che si occupa dello stato di salute delle sementi e delle piante e a quello che si occupa delle sementi geneticamente modificate. Quando si trattò di unire l’AHVLA, una certa logica c’era, in quanto si trattava di unire i veterinari territoriali ai veterinari operanti nei laboratori. Ma ora la ragione di unire due compartimenti così diversi, come il settore veterinario e quello botanico francamente lascia perplessi. Le motivazioni vanno ricercate nella volontà di ridurre ulteriormente i costi dei dipartimenti governativi e di volerli ulteriormente privatizzare. Comunque, la perdita della parola “veterinary” potrebbe essere indice che nuove priorità diventano più importanti di quelle veterinarie. Così è successo nel 2001 quando il Governo Britannico ha sostituito il MAFF con il DEFRA e la parola “agricoltura” è sparita. Questi continui cambiamenti con ridimensionamento del ruolo del settore pubblico veterinario potrebbero portare a inconvenienti gravi quali la minore efficienza dei servizi forniti agli allevatori e un maggior rischio di possibili insorgenze di epidemie. Nella nuova agenzia appena formatisi la catena di comando del settore del servizio veterinario britannico che si occupa di sanità animale ha al suo vertice un Chief Veterinary Officer per tutta la Gran Bretagna (che è anche il responsabile per l’Inghilterra), poi esistono tre Chief Veterinary Officers uno per la Scozia, uno per il Galles e uno per l’Irlanda del Nord. Sotto di loro ci sono i Veterinari responsabili dei vari distretti (Divisional Veterinary Managers DVM) che oltre ad aver funzioni di coordinamento del personale veterinario gestiscono in proprio un certo budget (responsabilità sia tecniche sia finanziarie) e sono a capo degli uffici veterinari periferici di Sanità animale (Animal Health Offices) dislocati in varie parti della Gran Bretagna che occupano un numero variabile di veterinari ufficiali (Veterinary Officers - VOs), impiegati a tempo pieno, affiancati da personale veterinario a tempo determinato (Temporary Veterinary Inspectors - TVIs) e da tecnici veterinari (Animal Health Officers - AHOs) quest’ultimi sono abilitati, a differenza dell’Italia, a prelevare sangue in tutte le specie di interesse zootecnico con la sola esclusione del cavallo. Questo li rende estremamente utili in caso sia necessario prelevare numerosi campioni di sangue, come ad esempio in caso epidemie. Inoltre, per aiutare i veterinari che agiscono sul campo esistono una ventina di veterinari altamente specializzati che svolgono un ruolo di consulenza chiamati VA (Veterinary Advisers). A tali figure professionali possono rivolgersi i colleghi che lavorano nei distretti per chiedere consiglio di fronte a situazioni lavorative particolarmente delicate. Accanto agli ufficiali veterinari governativi a tempo pieno (circa 250) ci sono in Gran Bretagna circa 11.000 veterinari libero professionisti che hanno scelto di essere accreditati come OV (Official Veterinarian) dopo aver seguito un corso e che esercitano per un determinato numero di ore alla settimana le funzioni normalmente eseguite dai veterinari pubblici. La partnership fra il servizio veterinario pubblico e i liberi professionisti ha funzionato bene nel passato, ma adesso il sistema per un progressivo e inevitabile minor coinvolgimento finanziario del governo rischia di non essere più in grado di assicurare gli stessi tipi di servizi forniti nel passato alle comunità rurali. Per riuscire ad assicurare la possibilità di prevenire e controllare l’insorgenza di eventuali epidemie anche in zone estremamente lontane dai maggiori centri abitati, come le isole scozzesi e le Highlands il Governo Scozzese, che da sempre ha una struttura veterinaria pubblica più evoluta rispetto alle altre aree della Gran Bretagna, ha istituito uno schema chiamato Highlands and Islands Veterinary Service Scheme (HIVSS) che ha lo scopo di assicurare un servizio veterinario ad allevatori che senza tale aiuto non avrebbero alcuna copertura sanitaria. Lo schema prevede un supporto economico per i veterinari che vi aderiscono, ai professionisti vengono rimborsati i costi per le visite e per le miglia percorse. Quindi si tratta di una sovvenzione governativa estremamente utile, che ha lo scopo di permettere la sorveglianza e il monitoraggio di aree estremamente marginali, dove potrebbero insorgere problemi, se non fosse assicurato un servizio veterinario di prevenzione e di controllo. 17 Numero 1/2015 Fanno parte de Servizio Veterinario Pubblico anche i veterinari che lavorano nei VLA (Veterinary Laboratory Agencies) che sono strutture simili ai nostri zooprofilattici che svolgono un ruolo molto importante nella sorveglianze e monitoraggio delle malattie nel territorio di loro competenza. I veterinari dipendenti dei VLAs sono circa 50 al momento, ma sembra che nel prossimo anno verranno ridotti a 35. L’area ispezioni degli alimenti Per quanto riguarda invece l’altro grande ambito delle veterinaria pubblica che si occupa della ispezione degli alimenti, la Gran Bretagna solo dopo la crisi della “mucca pazza” ha cominciato a impiegare stabilmente nei macelli e negli stabilimenti di lavorazione delle carni personale veterinario. Nell’aprile del 1995 venne creato il Meat Hygiene Service (Servizio di Ispezione delle carni) come agenzia esecutiva del MAFF per poi passare dopo l’abolizione del Ministero della Agricoltura nel 2001 al dipartimento del DEFRA. Lo staff del Meat Hygiene Service era composto da un core di una quarantina di veterinari direttamente impiegati dalla Agency insieme a diverse decine di meat inspectors (tecnici della carne) e da numerosi veterinari libero professionisti che svolgevano per un certo numero di ore al giorno le funzioni di controllo governativo. Il costo operativo del MHS nel 2009 è stato di 69 milioni di Sterline, a cui hanno contribuito per 24 milioni l’industria delle carni, DEFRA per 20 milioni e la Food Standard Agency per 25 milioni. A partire dal mese di marzo del 2010 le funzioni svolte dal MHS e il suo staff sono state inglobate nel nuovo gruppo operativo della Food Standard Agency (FSA). La scomparsa del MHS avrebbe lo scopo secondo il Governo Britannico di portare a un miglioramento della fornitura dei servizi richiesti all’ex MHS e alla riduzione dei costi (circa 2 milioni di sterline in meno). Quindi al momento nel Regno Unito (con l’eccezione della Scozia) l’autorità centrale competente per la programma18 zione e l’esecuzione dei controlli veterinari negli stabilimenti carnei è la UK FSA, dato che il governo scozzese nel 2013 ha deciso di costituire una propria FSA che è completamente autonoma dalla precedente. L’organizzazione del servizio veterinario italiano Il servizio veterinario italiano si caratterizza per la forte impronta pubblica e rappresenta assieme all’Austria una felice eccezione in Europa in quanto fa parte del Servizio Sanitario Nazionale. I servizi veterinari, a livello locale, fanno parte assieme ad altre professionalità dei Dipartimenti di prevenzione delle ASL e sono dislocati su tutto il territorio nazionale. Sono circa 5.000 i veterinari italiani impiegati direttamente dallo Stato, dalle Regioni e dalle Aziende Sanitarie Locali (ASL). Nell’organizzazione del servizio veterinario Italiano si distinguono tre livelli, quello centrale, quello regionale e il livello locale. Il Livello Centrale • Ministero della Salute Il Ministero della Salute ha subito recentemente una profonda riorganizzazione con il Dpcm n. 59 dell’11 febbraio 2014. Sono stati eliminati dei dipartimenti fra i quali quello di sanità pubblica veterinaria, della sicurezza alimentare e degli organi collegiali per la tutela della salute. La direzione generale per l’igiene e la sicurezza degli alimenti è la nutrizione è stata affidata un medico e non più a un veterinario, come era sempre stato in passato considerata la prevalenza degli alimenti di origine animale. Resta di pertinenza veterinaria solo la direzione generale della sanità animale e dei farmaci veterinari. • L’Istituto Superiore di Sanità (ISS), che è l’organo tecnico del Ministero della Salute, ha funzioni consultive di vigilanza e di revisione delle attività degli Istituti zooprofilattici e svolge attività di ricerca di formazione. • Gli Uffici Veterinari per gli Adempimenti Comunitari (UVAC) sono uffici periferici del Ministero della Salute che hanno la responsabilità dei controlli a destinazione sulle merci di provenienza comunitaria. • I Posti di Ispezione Frontaliera (PIF) sono anch’essi uffici periferici del Ministero della Salute effettuano controlli su animali prodotti di origine animale provenienti da Paesi terzi e destinati al mercato comunitario o in transito verso altri Paesi terzi. Sono ubicati sui confini stradali, ferroviari, aeroportuali e portuali. Il Livello Regionale I Servizi Veterinari Regionali (SVR) hanno funzioni di coordinamento e di emanazione di normative e ordinanze con efficacia estesa a tutta la Regione o parte del suo territorio. In certe regioni quali l’Emilia Romagna il servizio veterinario è composto da un nucleo di veterinari direttamente impiegati dalla Regione e da un certo numero di veterinari distaccati dalle varie ASL a tempo pieno o parziale. In Emilia Romagna si tratta di una decina di colleghi in tutto. Invece, in altre Regioni il SVR è numericamente assai ridotto; 1-2 colleghi con conseguente maggiore difficoltà nel coordinare efficacemente i servizi veterinari locali. Il Livello Locale Il C.vo n. 502/1992 e successive modifiche (D.lgs. n. 517/1993) prevede l’organizzazione dei servizi veterinari nell’ambito delle aziende sanitarie locali in tre aree funzionali: - Area A - Sanità animale; - Area B - Igiene degli alimenti di origine animale; - Area C - Igiene degli allevamenti e delle produzioni zootecniche; questa area è nata dallo scorporo di competenze già attribuite alla pre-esistente Area funzionale A. A livello locale l’autorità sanitaria è il Sindaco al quale spettano i provvedimenti che comportano autorizzazioni Numero 1/2015 e ordinanze aventi efficacia sul territorio del proprio comune. I servizi veterinari fanno parte dei Dipartimenti di Prevenzione. In Emilia Romagna tali dipartimenti sono stati rinominati Dipartimenti di Sanità Pubblica (DSP). • Gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali (IZS) sono un istituzione di diritto pubblico che, grazie al loro patrimonio di ricerche, analisi di laboratorio e monitoraggio forniscono servizi per difendere la salute del cittadino attraverso il controllo dell’ambiente, degli alimenti, del benessere animale. L’Ente si rivolge sia all’utenza pubblica sia privata. Negli Istituti lavorano veterinari, chimici, biologi, statistici, tecnici di laboratorio e altre professionalità ad elevata specializzazione. Gli IZS sono enti sanitari erogatori di servizi dotati di autonomia gestionale ed amministrativa e rappresentano strumenti tecnicioperativi del SSN nei seguenti ambiti di competenze: - sanità animale; - compiti di salubrità degli alimenti di origine animale; - igiene degli allevamenti; - benessere animale; Sul territorio nazionale sono presenti 10 sedi centrali degli IZS che coprono il territorio di una o più Regioni e nella maggior parte delle province sono presenti sezioni diagnostiche. Presso gli IZS sono condotte le seguenti attività: - analisi di laboratorio microbiologiche e chimiche su alimenti di origine animale e su mangimi zootecnici; - diagnostica di laboratorio delle malattie trasmissibili per i servizi veterinari pubblici locali; - produzione di prodotti biologici (vaccini e diagnostici); - sorveglianza epidemiologica; - ricerca sperimentale; - formazione ed aggiornamenti di veterinari ed operatori. Nei diversi IZS si trovano laboratori di elevata specializzazione che fungono da centri di referenza nazionale (CERN) per particolari malattie o gruppi di malattie. L’ente si rivolge sia all’utenza pubblica che privata. Negli Istituti lavorano veterinari, chimici, biologi, statistici, tecnici di Laboratorio e altre professionalità ad elevata specializzazione. Dalle fonti disponibili, nell’anno 2010 risultavano essere dipendenti del SSN: 5.704 veterinari a tempo indeterminato di cui, 5.261 nelle ASL e 443 negli IZS, cui si aggiungono1.295 veterinari a tempo determinato nella specialistica ambulatoriale (1279 nelle ASL e 16 negli IZS). Come è possibile notare da queste cifre, il numero di veterinari pubblici in Italia è media 15 volte superiore a quello dei veterinari britannici. Quality management system in una organizzazione veterinaria Un sistema di qualità all’interno di una organizzazione veterinaria ha lo scopo di migliorare la soddisfazione dell’utente finale (il consumatore), di incoraggiare l’organizzazione ad analizzare quali siano i requisiti richiesti dai suoi clienti, di definire e controllare le sue attività, il che contribuisce alla elargizione di servizi che risulteranno accettabili agli utenti. Nel caso dei servizi veterinari pubblici i veterinari devono cercare di assicurare la migliore protezione possibile ai consumatori cercando di minimizzare i rischi di esposizione ad agenti zoonosici, intossicazioni alimentari, residui, contaminazioni da agenti biologici e chimici e di limitare la comparsa di ceppi antibiotico resistenti mediante un appropriato utilizzo degli antimicrobici negli allevamenti. Inoltre i veterinari devono diventare abili comunicatori per enfatizzare ai clienti quanto sia importante il loro ruolo nella protezione dei consumatori. Sistema di sorveglianza e monitoraggio Prendendo in considerazione un aspetto estremamente importante dell’attività veterinaria, sia pubblica sia privata, quale la sorveglianza veterinaria con monitoraggio nelle popolazioni animali è possibile vedere come tale attività svolga, sul territorio, un ruolo fondamentale nel controllo dell’andamento di malattie esistenti e nel rilevamento di nuove. La sorveglianza sanitaria ha un costo economico apparentemente elevato, ma giustificato perché, se ben eseguita, consente di prevenire danni assai più gravi. Un problema della sorveglianza attuata per cercare di scoprire se nuove malattie sono comparse nel territorio è che bisogna spesso cercare a lungo con costi economici elevati. Inoltre una volta identificata la malattia l’organizzazione veterinaria deve avere la capacità infrastrutturale di creare ad esempio test diagnostici e vaccini. Il problema è quindi quanti soldi vanno spesi in tale attività soprattutto in tempi di forti restrizioni finanziarie come il periodo in cui ci troviamo. Il Governo Britannico dimentico di come il sistema di sorveglianza territoriale gli abbia permesso di identificare l’insorgenza della BSE (vacca pazza) alla fine degli anni ‘80 e solo pochi mesi fa gli abbia consentito di scoprire la presenza di una nuova patologia che colpisce i ruminanti (malattia di Schmallemberg) causando pesanti perdite economiche, ha deciso di ridurre nei prossimi anni il budget destinato a tale attività da 8 milioni di sterline a 5 milioni. L’autorità competente sostiene che, nonostante i tagli, la qualità del sistema di sorveglianza epidemiologica non verrà compromessa. La spending review comporterà la chiusura di diversi laboratori veterinari (Veterinary Laboratories Agencies) consentendo così di ridurre i costi. L’autorità centrale pensa che nonostante i pesanti tagli programmati la qualità del sistema di sorveglianza epidemiologica non verrà compromesso, anzi il contrario. L’AHVLA in Inghilterra e in Galles ha quindi recentemente invitato diverse organizzazioni private a presentare un offerta per la fornitura di servizi veterinari, l’offerta di collaborazione è stata estesa anche ai dipartimenti universitari e al settore zootecnico. Il pro19 ©Fotolia .com Numero 1/2015 blema che prima che siano stati trovati gli eventuali sostituti si è già provveduto a smantellare il sistema di sorveglianza pubblico. I Veterinary Laboratory Agencies (tipo i nostri IZS) sono già passati da 15 a 6, lo staff veterinario che si occupa di esami post mortem che sono fondamentali per la comprensione dell’andamento delle patologie nel territorio è stato ridotto da 44 a 35 unità. Si tratta di veterinari estremamente specializzati e di difficile rimpiazzo in quanto i professionisti privati che dovrebbero prenderne il posto non sono ancora sufficientemente formati. Il sistema di trasporto delle carcasse ai centri potrebbe subire forti ritardi a causa delle maggiori distanze e questo potrebbe pregiudicare l’esito di certe analisi, in quanto per riuscire a isolare virus o batteri, si ha spesso la necessità gli animali sia inviati entro poche ore dalla morte. Lo scenario potrebbe rile20 varsi disastroso nel senso che essendoci ora meno laboratori, meno ufficiali veterinari specializzati, i costi per le analisi potrebbero aumentare e gli allevatori finirebbero per essere penalizzati dai tagli governativi non potendo più permettersi di richiedere determinati esami, come succedeva in passato, per i maggiori costi da sostenere. Quindi qui è evidente come non siano stati seguiti i criteri delle best practices veterinarie che richiedono che compiti a elevata specializzazione siano affidati solo a personale esperto. In Italia per fortuna nonostante la grave crisi economica il sistema pubblico degli IZS finora è rimasto indenne. Si è quindi capito che era indispensabile che fosse assicurata la piena sopravvivenza di un importantissimo sistema di qualità veterinario in grado di esercitare un azione di monitoraggio delle malattie esistenti e di quelle emergenti sull’intero territorio nazionale. Inoltre, il personale che vi lavora è dotato di elevatissime competenze tecniche con ricercatori di competenza internazionale. Il costo per tali strutture, quindi, è pienamente recuperato grazie all’azione preventiva e di controllo delle patologie di origine animale esercitato dagli IZS che rappresentano uno dei punta di eccellenza della ricerca veterinaria sia in Italia sia in Europa. Modello di ispezione delle carni La carne è un alimento estremamente importante, che ha un enorme valore commerciale. Per cui è interesse delle società civili che il Governo svolga un ruolo nel assicurarne la qualità, in modo tale da limitare la possibilità di tossinfezioni alimentari pericolose per la popolazione. I servizi veterinari governativi giocano un ruolo chiave nella ispezione delle carni, tali servizi devono provvedere a Numero 1/2015 un numero sufficiente di personale qualificato in grado di svolgere determinati compiti. Le risorse richieste per l’espletamento di tali compiti includono la fornitura di equipaggiamento, trasporti, laboratori e programmi di training. Il supporto dei laboratori è essenziale per poter esercitare l’attività ispettiva. Tutti i laboratori dovrebbero essere valutati e accreditati in maniera tale da assicurare che sono utilizzati adeguate metodologie di controllo e validazione. L’autorità competente deve assicurare inoltre che il servizio ispettivo segua in toto i criteri fissati dai regolamenti e che il personale venga sottoposto a verifiche e audit. La capacità di provvedere informazioni scritte (certificati) che la carne risponde ai criteri richiesti dai regolamenti è una funzione essenziale svolta dai servizi veterinari e permette il riconoscimento internazionale reciproco dei certificati sanitari. In diversi Stati Nord europei, fra i quali la Gran Bretagna l’organizzazione dei controlli degli alimenti di origine animale (inclusa l’ispezione delle carni) a livello nazionale non ricade sotto una singola autorità come in Italia (servizi veterinari delle ASL) che ha responsabilità per tutta la catena alimentare, ma è sottoposta ai controlli di diversi enti. Ad esempio il controllo dei sezionamenti è di pertinenza dei veterinari impiegati direttamente o indirettamente dalla FSA, mentre il controllo degli stabilimenti di prodotti carnei e delle macellerie è di pertinenza della agenzie per l’ambiente (Enviromental Health Agency) che svolgono tali attività in ambito municipale, mediante l’impiego di tecnici laureati in scienze ambientali. Questa parcellizzazione delle attività di controllo può comportare confusione nei ruoli, una sovrapposizione di responsabilità che si traduce alla fine in un possibile danno ai consumatori. Inoltre, il progressivo taglio della spesa sanitaria ha portato al ricorso sempre maggiore all’outsourcing, specialmente per quanto riguarda l’impiego di veterinari libero professionisti impiegati a contratto per un certo numero di ore a settimana. Infatti, il numero di veterinari impiegati a tempo indeterminato nel settore della ispezioni delle carni è assai limitato (una quarantina), mentre diverse centinaia sono i veterinari impiegati con contratti a tempo determinato per un certo numero di ore a settimana. Gli stabilimenti carnei (macelli, sezionamenti) in Gran Bretagna, a differenza del nostro Paese sono per la quasi totalità appaltati (tendering), dati in gestione per un certo numero di anni a gruppi di veterinari (practices) che sottoscrivono un contratto con la FSA in cui assicurano in cambio di un certo compenso la copertura ispettiva delle strutture agendo come ufficiali governativi. Quindi, il sistema ispettivo è stato fortemente privatizzato garantendo da un lato una netta riduzione dei costi, ma causando problematiche per quanto riguarda la gestione corretta del sistema. Negli anni passati si è arrivati al punto che grosse compagnie private hanno assunto una importanza tale da dettare loro quello che si doveva fare al governo. Sono stati assunti veterinari appena laureati provenienti per lo più dall’estero, sottopagati e costretti a orari massacranti. In più, in diversi casi la practice che ha vinto il contratto ha tutto l’interesse a non causare troppi problemi all’operatore per potere conservare il più a lungo possibile. Questo sistema estremamente liberalizzato, a mio parere, comporta che la qualità delle attività ispettive ne viene alla fine compromessa con possibili danni per il consumatore finale. La estrema frammentazione del servizio ispettivo veterinario britannico con diversi enti responsabili per la sicurezza delle carni non risponde adeguatamente alla elevata complessità della moderna catena di distribuzione delle carni e al bisogno di avere sistemi affidabili che assicurino la sicurezza degli alimenti. Inoltre le risorse devono essere adeguate a garantire il rispetto delle regole. Se questo non accade è facile che organizzazioni criminali ne approfittino per organizzare frodi alimentari, tipo la sostituzione di carni bovine con carni di cavallo che sono più economiche. Questa frode avvenuta in Gran Bretagna nel 2013 ha avuto un enorme impatto mediatico a livello europeo, perché ha macchiato la reputazione di diverse grandi catene di supermercati che inconsapevolmente fornivano ai propri clienti carni macinate che non erano interamente di carne bovina, come dichiarato sull’etichetta, ma contenevano anche carni equine. Tale carne poteva essere pericolosa per la salute umana, perché essendo di provenienza sconosciuta e perciò non testata, avrebbe potuto contenere residui di fenilbutazone, un antinfiammatorio largamente usato come farmaco per i cavalli da corsa, che se ingerito dall’uomo potrebbe causare gravi reazioni allergiche con possibili danni neurologici, midollari, gastrointestinali. Il sistema italiano si basa invece su una maggiore indipendenza del servizio veterinario dai produttori e su una catena di comando più chiara, cosa che indubbiamente risulta essere un vantaggio. Il problema è che nel nostro Paese molti colleghi hanno superato i cinquanta anni e questo spesso si traduce in una perdita d’entusiasmo e in un progressivo appiattimento professionale che porta, in certi casi, a una lenta deriva professionale. Sarebbe necessario un turn-over, un ricambio generazionale. Nei nostri servizi dovrebbero ricomparire i giovani con idee nuove ed entusiasmo. A questo problema si viene a sommare la mancata rotazione del personale. Si sa, infatti, che l’eccessiva permanenza in uno stabilimento o in un distretto comporta inevitabilmente la perdita di interesse nel lavoro che si sta svolgendo. I principali problemi dei servizi veterinari periferici (ASL) sono rappresentati dall’eccessivo localismo, dall’inarrestabile burocratizzazione del personale sanitario che ormai dedica buona parte della giornata lavorativa a compilare check list e a inserire dati al computer, lavori che, prima dei tagli, erano di appannaggio del personale amministra21 Numero 1/2015 tivo. Il personale medico veterinario deve invece tornare ad operare pienamente sul campo, a sporcarsi le mani, ad esercitare la professione per la quale si è formato. Costo malattie animali Qual è il costo di una malattia in una popolazione animale? La questione è importante soprattutto in un periodo di crisi economica quando i costi e i benefici di ogni azione devono essere accuratamente valutati in termini finanziari. Un report recente commissionato dalla Federazione Internazionale per la Sanità animale (International Federation of Animal Health - IFAH) ha cercato di quantificare il costo di una malattia animale non solo per gli animali, ma anche per l’intera società. Il report evidenzia come le malattie animali abbiano un impatto economico che si estende ben al di là dei costi diretti dovuti alla malattia stessa e che per fare progressi nel controllare le malattie e ridurne gli impatti negativi dal punto di vista socioeconomico, sia necessario migliorare gli sforzi e gli investimenti nel campo della sorveglianza veterinaria, come abbiamo visto in precedenza, e quindi migliorare le infrastrutture che devono fronteggiare tali pericoli. Il problema è che sempre meno i governi sono in grado di destinate le risorse economiche necessarie per mantenere l’efficienza dei servizi veterinari. In Gran Bretagna, ad esempio l’AHVLA ora APHA per ridurre i costi ha deciso di appaltare ai privati (tendering process) dal 2013 una serie di servizi che prima erano svolti dall’agenzia stessa. I servizi offerti all’esterno riguardano il personale veterinario, gli edifici da utilizzare in caso di emergenze, i servizi di sorveglianza e diagnostici, le vaccinazioni, la pronta disponibilità veterinaria per problemi di sanità o di benessere animale, i programmi di training, i servizi di consulenza e la ricerca veterinaria. Insomma più o meno tutto. Questo comporterebbe sicuramente a breve termine una riduzione delle spese, ma reggerebbe tale 22 sistema, quasi completamente privatizzato nel caso di una epidemia generalizzata? Il sistema veterinario britannico è già collassato una volta nel 2001, quando una spaventosa epidemia aftosa ha portato all’abbattimento di 8 milioni di animali (un ottavo dell’intero patrimonio zootecnico della Gran Bretagna) e a un costo per la collettività di 11 miliardi di sterline, di cui 3 di costi diretti (personale, attrezzature, disinfettanti ecc.) e 8 indiretti (danni all’industria alimentare per blocco dell’export delle carni, al turismo ecc.). Possibile che non ci si ricordi di che cosa è avvenuto? Sembra di no perché il Governo britannico ha deciso di tagliare il budget del DEFRA (di 300 milioni di sterline nei prossimi anni che si vanno ad aggiungere a un precedente taglio di 500 milioni e questo non potrà non avere impatto sulla gestione delle emergenze. Bisogna ricordare inoltre che il 60% delle malattie infettive emergenti che colpiscono l’uomo provengono dal mondo animale e che quindi il miglior modo possibile per ridurre i rischi per la popolazione umana è quello di identificare tale minacce il prima possibile nelle popolazioni animali da dove originano. Risulta molto difficile stimare quale sia il tipo di costi, diretti e indiretti, visibili e invisibili, di una malattia in una popolazione animale a livello mondiale, in quanto per ogni Paese cambiano i prezzi della carne, la produttività, i costi necessari a mettere in campo le risorse necessarie per esercitare l’attività di monitoraggio e controllo. Lo sforzo che deve essere fatto è quello di persuadere i governi a continuare ad investire somme adeguate di denaro per prevenire la comparsa di focolai epidemici investendo in attività di monitoraggio e controllo sul territorio. Conclusioni In base all’esperienza personale di chi scrive - che ha lavorato per lunghi periodi come dipendente a tempo pieno in entrambi i servizi ed è stato diret- tamente coinvolto nella più grande epidemia aftosa mai verificatisi nel mondo occidentale (Gran Bretagna 2001) - è il servizio veterinario italiano, pur con tutti i suoi problemi, quello che al momento fornisce le maggiori garanzie. I punti di forza sono una capillare distribuzione del personale a livello locale e una catena di comando più strutturata, anche se in parte oscurati da una crescente burocratizzazione e da un eccessivo invecchiamento del personale. Il futuro della Veterinaria pubblica è a rischio per la corrente difficile situazione economica con tagli che potrebbero colpire i dipartimenti di prevenzione, di cui i servizi veterinari fanno parte. Bisogna far capire ai politici che i costi sostenuti per la prevenzione non sono una perdita di risorse, ma rappresentano il modo migliore per garantire che non accadano disastri sanitari quali la vacca pazza o epidemie infettive che hanno causato danni economici enormi. La FAO sostiene l’approccio “one health” “unica salute” guardando all’interazione fra fattori ambientali, salute degli animali e salute umana chiedendo ai medici, ai veterinari, ai sociologi, agli economisti e agli ecologisti di lavorare assieme nell’ambito di un quadro olistico. Allo stesso tempo la FAO afferma che “la salute degli animali è l’anello debole della nostra catena di salute globale”. I primi alimenti nella classifica di rischiosità sono le carni fresche e i derivati, i secondi sono i prodotti della pesca e dell’agricoltura. Seguono il latte e i prodotti lattiero caseari, uova e sottoprodotti e poi per ultimi i prodotti di gastronomia e i vegetali. Il 75% delle nuove malattie infettive che hanno colpito l’uomo negli ultimi 10 anni sono state trasmesse da animali e fra un terzo e la metà di tutte le malattie infettive dell’uomo hanno un’origine zoonosica. Questi dati fanno capire quanto sia importante far capire ai politici che vanno destinate risorse ai servizi veterinari pubblici, investimenti tali da garantire loro un brillante futuro. *Veterinario Dirigente, ASL di Modena Numero 1/2015 Dal territorio Pet-therapy e sperimentazione ufficiale della ASL di Foggia I l progetto messo in atto, concernente le TAA (Terape Assistite dall’Animale), si è fondato su di una vera e propria riabilitazione attraverso il coinvolgimento di cani ed è stato realizzato presso l’Istituto di Incremento Ippico di Foggia e l’Ex Sert di Cerignola. La visione sistemica del rapporto uomo-animale è stata ampliata procedendo verso una relazione che tutela la salute e il benessere animale, l’etica ambientale e la deontologia dell’uomo portatore di fragilità. In sintesi è stata valorizzata la “bioetica della vita”. Si è passati da un percorso storico scientifico-tecnico, dove l’uomo aveva la supremazia assoluta, a uno post moderno che dichiara il fallimento della visione antropocentrica dell’uomo per i suoi metodi inadeguati e riconosce l’interdipendenza tra l’uomo e i suoi componenti naturali risvegliando una coscienza collettiva o sociale. La sperimentazione è proseguita per ben tre step, della durata di quattro mesi ciascuno, che hanno visto il susseguirsi di circa 50 bambini e adolescenti con difficoltà eterogenee quali, disturbi dello spettro autistico, ritardi mentali, postumi di paralisi cerebrali infantili, disturbi comportamentali, iperattività, auto ed etero aggressività, disturbi oppositivi/provocatori, della condotta e impulsivi-intermittenti. Elementi innovativi sperimentati Primo elemento innovativo è l’equipe strutturata ad hoc per questa nuova modalità riabilitativa che delinea al suo interno operatori garanti del benessere sia del paziente sia dell’animale coinvolto. L’asse di studio e di riferimento è il dinamismo relazionale uomo-ambiente-animale una vera e propria etica della vita. Le figure contemplate sono: un direttore progettuale, un medico veterinario, uno psicologo responsabile dell’equipe, un fisioterapista della riabilitazione come referente d’intervento individuato, il nostro amico a quattro zampe, un coadiutore dell’animale e un educatore cinofilo (utili a identificare livelli di stress dell’animale, e creare allo stesso tempo apprendimenti favorevoli). Sintetizzando abbiamo potenziato l’efficacia dell’equipe introducendo nel setting, una figura stabile, quella del fisioterapista (che si occupa della parte umana della terapia), in quanto è stato provato che se il coadiutore (che il più delle volte non possiede conoscenze scientifiche adeguate) è da solo nel setting si troverà sicuramente costretto a improvvisarsi anche psicologo, terapista riabilitatore, veterinario ecc.; in questo modo non solo la terapia risulterà povera e inconcludente, ma l’operatore potrebbe trovarsi ad affrontare una terapia complicata, provare sentimenti fallimentari e quindi andare incontro a un depauperamento delle risorse umane. In letteratura fino ad oggi si contemplano protocolli che prevedono molte figure professionali e affini senza fare un distinguo tra EAA (Educazione Assistita dagli Animali), AAA (Attività Assistita dagli Animali) e TAA, considerandole omogenee, metodo alquanto improbabile proprio per le diverse soluzioni che questi diversi percorsi offrono a diverse utenze. A differenza di altre équipe proposte in pet-therapy, quella proposta dal nostro modello teorico/pratico garantisce: coesione interna al gruppo (eliminando contrapposizione di ruoli); armonia lavorativa; obiettivi da raggiungere. 23 © Fotolia.com Numero 1/2015 Altro elemento innovativo è la centralità dell’utente. Un’equipe così strutturata non pone al centro l’interesse solo l’animale - al quale in letteratura viene dato esclusivo risalto - ma parte dal superamento dei limiti fisici e psichici imposti dalla “malattia” del paziente che viene accolto sin dall’ingresso e accompagnato attraverso tutto il percorso riabilitativo. Il setting deve possedere soprattutto tre aspetti che sono fondamentali e che favoriscono la motivazione: la fissità, cioè deve garantire stabilità e continuità per il paziente (sensazione di familiarità), la riservatezza (il tempo e lo spazio della terapia deve essere posseduto in modo esclusivo dal paziente in inter-relazione con l’animale) e la ludicità. Questi condizioni permettono all’utente di sentirsi libero di esprimersi e di creare un sentimento di fiducia. Lo spazio e l’organizzazione della stanza, che caratterizza il setting, 24 è stato formulato per avere una migliore visione del problema del soggetto, correggere gli elementi disturbanti, amplificare al massimo le potenzialità terapeutiche della pet-therapy attraverso comunicazioni efficaci e persuasive e un clima relazionale simmetrico. La finalità è quella di promuovere nuove dinamiche psicologiche, cioè un cambiamento interno al soggetto. Nel setting il paziente si sente al sicuro a proprio agio, si sente compreso nei propri bisogni e non viene disturbato da elementi ambientali che interferirebbero e che ne devierebbero l’attenzione. Quanto più il setting propone un ambiente protetto tanto più il soggetto esprimerà tutto se stesso e qualitativamente migliori saranno i suoi apprendimenti, si porranno presupposti psicoterapeutici transferiali, e si potrà favorire la concentrazione dell’utente che, in alcuni casi risulta essere davvero ridotta. Il setting deve possedere elementi ludici di tipo psicomotorio dove colori, forme, percorsi devono costituire il substrato facilitatorio motivazionale, relazionale, emozionale e di costruzione di conoscenze; deve rappresentare un vero e proprio laboratorio delle emozioni, con una propria connotazione identitaria, dove trovano spazio intelligenze parallele come la creatività e l’intuito, e dove si predispone il paziente al recupero funzionale sia psichico sia fisico. Il setting in ultima analisi: rappresenta e drammatizza l’area transizionale dei legami; rappresenta una madre sufficientemente buona e accogliente; permette il rispecchiamento emotivo; crea legami, struttura e recupera percorsi evolutivi preservando quelli positivi esistenti; stabilizza legami sicuri e promuove una ri-conversione di attaccamenti fallimentari; disambigua il concetto di attaccamento (arricchendolo attraverso il problem solving); permette un più Numero 1/2015 Riquadro 1. In sintesi, il contatto con l'animale cosa modifica? - La percezione temporale - La percezione visiva: ci permette di guardare al globale invece di focalizzare l'attenzione su elementi effimeri e di poco significato - L'attenzione - La ritenzione mnestica; - L'umore subisce un miglioramento - La sensazione di "piacere percepita soggettivamente" aumenta: attraverso l'aumento dei momenti di ludicità "finalizzata" all'esperire esperienza simbolica e di felicità, quindi riduce l'anedonia nell'adulto (come incapacità di provare piacere nelle relazioni sociali che in quelle "fisiche", come mangiare, dormire...) - Le dipendenze morbose affettive precursori di dipendenze adulte patologiche sono ridotte - Il senso di realtà aumenta - La comprensione emotiva migliora - La sensibilità nei confronti del diverso, della vita, aumenta e riduce gli effetti emarginativi causati da preconcetti ed etichette sociali - La catarsi, cioè la reinterpretazione di sensazioni negative viene attivata - Il contatto con i nostri bisogni emotivi viene facilitato - Il ragionare diversamente su situazioni "fossili", che reputavamo senza alcuna via d'uscita diventa possibile - L'emisfero sinistro deputato maggiormente all'aspetto organizzativo spaziale (dove tutto è permeato dall'abitudinarietà dal giusto, dal corretto e da quello che reputiamo sbagliato, che maggiormente si fa influenzare dal bagaglio esperenziale frustrante, dal fallimento, dall'errore irrimediabile...) viene distratto ed è quindi favorito l'accesso soggettivo all'interiorità - L’accesso all'emisfero della creatività, della fantasia, dei significati immaginativi è attivato - I contenuti emotivi hanno maggiore facilità di essere espressi - I legami migliorano; - Il carico ansioso patologico è ridotto - Il conflitto con se stessi è ridotto - L'autonomia aumenta - Le condotte autolesioniste ed eteroaggressive si riducono - La compulsività si riduce - La sicurezza interpersonale e la relazione migliorano - Gli apprendimenti aumentano soprattutto in età scolare, per il meccanismo di sincronizzazione cognitivo-emotiva; - Il linguaggio e la comunicazione subiscono un miglioramento. rapido ridimensionamento di disturbi comportamentali quali iperattività, aggressività, oppositività; crea i presupposti per lo sviluppo della giusta distanza inter-relazionale e per la mentalizzazione. La non età del paziente rappresenta la novità principale della pet-therapy. Questa componente fa diagnosi differenziale e rappresenta l’elemento che la privilegia. In riabilitazione (intesa in senso tradizionale) si interviene su disturbi comportamentali, cognitivi, emotivo-relazionali fino alla soglia degli undici anni, età che corrisponde all’emersione del pensiero cosiddetto “astratto” e che porta con sé il concetto di “plasticità mentale”. La pet-therapy potenzia le risorse individuali favorendo l’apprendimento al di là dell’età di riferimento ritenuta favorevole e, a differenza della terapia riabilitativa convenzionale, si avvale di un canale comunicativo privilegiato con il paziente che va pure a stimolare la parte cognitivo-razionale, però attraverso un ingresso alternativo che non è condizionato né dall’età né tantomeno dalla sola “ragione”, passando dalla parte più arcaica del cervello fatta di ricordi, vissuti, emozioni e affetti. Si tratta di una vera rivoluzione in campo terapeutico. La lettura che viene fatta dell’animale può pretendere un posto di importanza scientifica poiché, nel percorso riabilitativo, rappresenta l’elemento di collegamento “individuale” tra corpo e mente, in pratica è l’impulso tra pensiero ed emozione. La novità che emerge dal progetto sperimentale è il ruolo dell’animale stesso visto non più come assistente, ma come promotore attivo di conoscenza e trasformatore di esperienza oltre che regolatore emotivo e interattivo. La terapia con il pet assume forme diverse oltre a garantire caratteristiche di plasticità e simmetria dei ruoli. È proprio dal contatto con l’animale che viene favorita la regressione, l’abbandono corporeo e psichico necessari a favorire l’intervento terapeutico (riquadro 1). Risultati I bambini che hanno frequentato il centro rientravano nelle seguenti categorie diagnostiche: disturbo disintegrativo dell’infanzia, disturbo d’ansia generalizzato dell’infanzia; disturbo dell’umore, DDA/I di tipo combinato, disturbo impulsivo intermittente, disturbo d’apprendimento NAS, grave 25 Numero 1/2015 - aumento delle associazioni logiche; - aumento del linguaggio e della comunicazione; - riduzione della componente ansiogena generalizzata; - miglioramento dell’abilità manuale e grafica; - miglioramento della coordinazione motoria; - diminuzione della goffagine; - mentalizzazione dei legami. © Fotolia.com Un caso…in particolare disturbo della relazione, ritardo mentale, disturbo del comportamento, fobia sociale, caratterialità, disturbo di personalità dirompente, disturbo ansioso di tipo ossessivo-compulsivo, oltre che di tutti i tipi di recupero neurologici-ortopedici. Ogni soggetto ha frequentato il nostro centro una volta alla settimana per 50 minuti, per un periodo di 4 mesi. I follow-up già a un mese dal primo giorno di trattamento hanno messo in luce: un’abbattimento delle manifestazioni di iperattività, in alcuni casi, l’aumento della collaboratività, la riduzione della distraibilità, maggiore tempo di ascolto, l’aumento significativo dei livelli attentivi, una maggiore reciprocità nella relazione: ad esempio mentre inizialmente il bambino non cedeva al coinvolgimento del terapista, successivamente lo stesso bimbo non vedeva più lo scambio interattivo come un’attività di prevaricazione o di obbligo, ma la viveva con entusiasmo e con partecipazione attiva. Anche le manifestazioni di eteroaggressività e autopunizione si sono ridotte nell’arco di due-tre sedute. Alla fine dei quattro mesi si osserva: - riduzione drastica dei comportamenti ticcosi, strutturati in un’organizzazione nevrotica e di dualismo pulsionale (la latenza, già dopo quattro sedute, è arrivata ad almento un’ora tra un episodio ticcoso e l’al26 tro; mentre alla fine dei quattro mesi non si sono più osservati tali comportamenti); - riduzione drastica della componente seduttiva e manipolativa anche in soggetti con ritardo mentale, che comprendeva il non ascolto degli altri, un comportamento di non interesse nei confronti degli altri e autoritario nei confronti di tutti, che si ripercuoteva sia a casa, sia a scuola oltre che nel setting, (in pratica, si è passati da una fase in cui il paziente non si faceva coinvolgere in modo assoluto in qualsiasi attività proposta a una fase in cui il bambino si faceva coinvolgere completamente per tutti i cinquanta minuti, manifestando entusiasmo, interesse e divertimento, rispettando le regole del gioco e dei turni); - emersione del senso di colpa in soggetti autoritari e disinteressati agli altri, prima per nulla presente; - migliorata la qualità del gioco, nel bambino impulsivo: dopo un mese il gioco viene governato da un minimo di regole; - aumento della sicurezza personale; - abbattuta l’ansia da separazione in un bambino di anni 10, che già dalla seconda seduta ha mostrato l’acquisizione del concetto di permanenza dell’oggetto libidico; non solo questo bambino, ma anche in una ragazza di sedici anni si è arrivati alla mentalizzazione dei legami; Nel corso della sperimentazione, dal nostro centro sono passati tanti visi, tante storie e tanti casi, ma forse, uno in particolare può evidenziare maggiormente la validità di questa nuova modalità riabilitativa. Si tratta di un bimbo, di nove anni, con un grave deficit mentale, senza quasi nessun contatto con la realtà. Precedentemente era stato sottoposto a innumerevoli sedute di fisiokinesiterapia, psicomotricità e logopedia, ma nessuna di queste era riuscita ad aprire un varco nel “suo mondo”; non dimostrava nessuna intenzione a deambulare, il massimo risultato era rimanere per qualche secondo in piedi appoggiato a un piano, con le gambe divaricate a base allargata. Dopo il terzo mese di riabilitazione con la pet-therapy, mentre era a casa, il bambino si è alzato da solo dalla carrozzella per andare a prendere l’acqua. Da quel momento in poi si è dimostrato più attento e più motivato a intraprendere qualche piccola e semplice azione per soddisfare i propri bisogni. Questa sperimentazione ufficiale è stata promossa dal direttore generale dell’ASL di Foggia, Ing. Attilio Manfrini, che con spirito di innovazione ha accolto l’idea progettuale del direttore del servizio Veterinario provinciale area C dell’ASL Dott. Luigi Urbano. Luigi Urbano1, Giovanna Dicarlo2 Servizio Veterinario ASL FG, Direttore del Progetto ufficiale sperimentale di Pet-Therapy 2 Psicologa e Responsabile dell’Equipe Operativa di Pet-Therapy 1 Numero 1/2015 Rubrica legale a cura di Mauro Gnaccarini Responsabile Ufficio Legale DISSOLVIMENTO DELL'AMMINISTRAZIONE E DELLA SANITÀ PUBBLICA? Diritto alla salute, certezza del diritto, equa e razionale gestione della P.A., responsabilità dirigenziale e degli Organi di vertice. Frammenti, o frantumi P iccole parti, minute e irregolari, nelle quali si riduce un oggetto fragile rompendosi improvvisamente o progressivamente. Si tratta, secondo il dizionario, dei frammenti, o dei frantumi; nei quali pare oggi dissolversi la pubblica amministrazione, perciò sia la res publica sia il governo realmente democratico della stessa, che sulla stessa P.A. poggiano le loro basi; un sistema costituito da delicati equilibri, perciò allo stesso momento tanto bello quanto fragile. Succede, nel nome della madre di tutte le battaglie per l’efficientamento (sulla bocca di tutti, ma non sul dizionario!) dello Stato: abbattere la corruzione e tutte le corruttele, espellendo e cancellando dal novero dei profittatori «quella massa di funzionari e dirigenti pubblici fannulloni e inefficienti»; tale il leitmotif inaugurato da taluni soloni e dai medesimi propu- gnato e perseguito fin dall’inizio della crisi; un modo per nasconderla, per negarne l’esistenza, ovvero per non doverne dichiarare le reali ragioni e non dovere infine ammettere di non aver trovato perlomeno rimedi ragionevoli. Sicché, osservando basiti l’incapacità di comprendere da parte dei Governi quale portata abbia la trasversale e generale delegittimazione della propria P.A., nella frammentazione del “sistema Paese” appare sempre più evidente la frantumazione del Sistema sanitario nazionale, universalistico e solidaristico, che abbiamo conosciuto, insieme a quello dello Stato di diritto che volle scrivere nelle aule dei tribunali che la legge è uguale per tutti. E con tutta la fiducia che vogliamo ancora porre nella magistratura, dobbiamo osservare come molti ormai non riescano tuttavia più a credere, se non nell’equità della legge, che nel suo e enunciato è naturalmente uguale per tutti, nell’equità della giustizia; per quanto ci riguarda, in particolare, nell’equità dei giudicati che interessano il mondo sanitario; dove per equità, specie in tale contesto, non possiamo intendere soltanto l’equanime applicazione della legge, ma anche e specialmente un modo onesto ed etico oltre che di legiferare anche di applicare la legge stessa. Testimoniano ormai, purtroppo largamente e diffusamente, del suddetto stato di cose gli innumerevoli procedimenti e provvedimenti applicativi della legge che di equo, nel suddetto senso e in troppe sedi e circostanze, non paiono aver granché. Vogliamo perciò in questo numero portare all’attenzione del lettore alcuni dei summenzionati frammenti, o frantumi, seppure in estrema sintesi - “in quattro 27 Numero 1/2015 pillole” - con l’intento e l’auspicio di sostenere la vivacità del dibattito su tali temi contribuendo, almeno un poco, a combattere l’anestesia e l’acinesia che rischia di affliggere, non incomprensibilmente, una platea sempre più vasta della dirigenza veterinaria e medica del nostro vituperato SSN. UNO. Una devastante sentenza del Consiglio di Stato Nel numero 3/2014 avevamo segnalato la gravità dell’Ordinanza n. 1894 dell’8/5/2014 con la quale il Consiglio di Stato definiva il principio, ormai “costituzionalizzato”, dell’equilibrio di bilancio (erratamente indicato come “pareggio”), come principio generale, inderogabile e pervasivo, capace perciò, in qualche modo, di superare ogni esigenza di bilanciamento con gli altri principi costituzionali, in particolare con il nucleo essenziale del diritto alla salute, di cui all’art. 32 della Costituzione stessa. Francesco Pallante già allora suggeriva alcune riflessioni sulla perniciosità di quanto statuito, rilevando che «l’ordinanza del Consiglio di Stato […] - qualificando l’equilibrio di bilancio “principio costituzionale inderogabile”, idoneo a prevalere anche sui LEA - fa sorgere il dubbio, qualora dovesse trovare conferma in ulteriori pronunce (eventualmente anche della Corte costituzionale), che si stia per entrare in una nuova fase, nella quale a essere inderogabili saranno non più i diritti - o, quanto meno, il loro nucleo essenziale - ma le esigenze finanziarie. Se così fosse, si tratterebbe […] di un completo ribaltamento del punto di partenza, del momento conclusivo di una parabola, quella dei diritti, suscettibile di rimettere in discussione l’idea stessa di Stato costituzionale contemporaneo” [“Il Consiglio di Stato: dall’inderogabilità dei diritti (sociali) all’inderogabilità dell’equilibrio di bilancio?” di Francesco Pallante (Ricercatore di Diritto costituzionale, Università di Torino), in “Democrazia e Diritto” n. 1/2014]. Ora il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 604/2015, che dobbiamo osservare come “devastante” rispetto all’impianto costituzionale classico, ha so28 stanzialmente confermato quanto alla precedente Ordinanza; pur argomentando come, nel caso concreto, l’equilibrio di bilancio tutelato (quello regionale, operato dalla Regione Piemonte con DGR n. 45-4248/2012), si limitava (!!) a differire l’erogazione di prestazioni rientranti nei LEA; sicché, non essendo previsti dalla norma nazionale i tempi di erogazione delle stesse prestazioni LEA, allora legittimamente può la Regione determinare tali tempi (fino al punto di differire per ben 90 giorni - nel caso de quo - la valutazione di idoneità all’inserimento in adeguata struttura di pazienti anziani, non autosufficienti, totalmente indigenti e in condizioni di isolamento sociale). Lasciamo al lettore immaginare la portata di una tale pronuncia ove applicata a tutte le prestazioni LEA, in relazione alla loro cogenza, impellenza, necessità, rapportata all’urgenza delle prestazioni stesse, ivi e in particolare comprese quelle della prevenzione primaria; lasciamo immaginare i possibili effetti sulle liste d’attesa esistenti, sulla - possibile - creazione di nuove liste di attesa, sull’inevitabile trasferimento di talune prestazioni ad altri organismi non appartenenti alle PP.AA. Sanitarie, sulla conseguente privatizzazione dei profitti sanitari e sulla corrispondente socializzazione della spesa sanitaria “non privatizzabile”; in definitiva sulla temibile strada dei tagli al SSN che viene proposta per “risanare” il Paese e, più vicino al nostro quotidiano, su ciò che potrebbe accadere ai servizi che, per ora, eroghiamo ancora come attori; o che forse, già ora, vanno in frantumi. DUE. “Singolari effetti” di una sentenza della Corte Costituzionale La Corte Costituzionale, con sentenza n. 193/2014, ha sostanzialmente dichiarato incostituzionale la composizione della CCEPS (Commissione Centrale Esercenti Professioni Sanitarie), per quanto attiene tutte le professionalità sottoposte a tale Commissione ivi compresa perciò quella riguardante i veterinari. Senza entrare nel merito tecnico delle ragioni per le quali risulta illegit- tima la composizione di detta CCEPS, ci pare dover formulare perlomeno due osservazioni: 1) tale sentenza giunge ora, nel 2014 (!) a conclusione di un procedimento datato di oltre sei anni (!!), in riferimento alla composizione di un Organo giudicante in sede giurisdizionale pure speciale, istituito con D.lgs.CPS. n. 233 già nel 1946, rimasto immutato per così tanti anni nonostante numerosissime obiezioni siano state nel tempo sollevate (nel procedimento disciplinare rimane prevista una sola giurisdizione di merito - la CCEPS - con la realizzazione di fatto, avvenuta nel mese di settembre 1946, di una giurisdizione speciale in tale Commissione, laddove la stessa Costituzione all’art. 102, in vigore dal gennaio 1948, ha poi e invece vietato la formazione di giurisdizioni speciali); 2) nonostante la portata della sentenza in questione, appare dunque assordante, dopo mesi dalla pronuncia, il silenzio degli Organismi ordinistici che dovrebbero garantire, non solo nella prima fase del procedimento disciplinare (non giurisdizionale, presso gli Ordini), ma anche e in particolare presso la Commissione de quo (data la rilevanza della stessa e soprattutto l’illegittimità della stessa, spesso ipotizzata in quanto giurisdizione speciale, ora dichiarata tale in riferimento alla sua composizione), un procedimento che possa sempre risultare rispettoso di tutti i canoni del “giusto processo”, in particolare in termini di equità e terzietà del collegio giudicante in ogni fase del giudizio, sia essa di prima istanza sia di eventuale cassazione con rinvio. Non possiamo perciò, al riguardo, non chiederci se e con quale legittimità possa operare la CCEPS in assenza, almeno, della necessaria revisione della propria composizione; una revisione che, per le suddette ragioni, dovendo passare attraverso l’emendamento di una fonte di legge primaria, dovrebbe essere attuata previo confronto e coinvolgimento di tutte le componenti professionali di ciascuna professione interessata. O, forse, permettendoci di dissentire sulla - pur sostenuta - compatibilità della CCEPS con l’anzidetta previsione Numero 1/2015 costituzionale, occorrerebbe finalmente ragionare più ampiamente sull’opportuna, se non necessaria, riconduzione dell’eventuale procedimento giurisdizionale di opposizione alla sanzione disciplinare al giudice ordinario, in ossequio alla ratio ed allo spirito della Costituzione della Repubblica? Ci pare, in proposito, valga la pena qui rammentare e riportare, anche per il valore generale delle affermazioni, quanto sostenuto dal relatore Calamandrei in seno ai lavori preparatori della Costituzione: «il principio della indipendenza della Magistratura viene affermato, non per favorire i magistrati, bensì per garantire ai cittadini la tutela dei loro diritti e soprattutto per mantenere fermo quel grande vantaggio che è rappresentato dalla certezza relativa del diritto, cioè la possibilità di trovare, con un certo calcolo approssimativo di probabilità, una tutela nel giudice quando si crede di aver ragione. Lasciando al Governo la potestà di creare organi speciali di giurisdizione, la Magistratura potrebbe in effetti rimanere indipendente, ma con l’andar del tempo tutta la materia ad essa demandata potrebbe essere via via affidata a Tribunali speciali e i cittadini perderebbero così la garanzia della tutela dei loro diritti» (discussione sul potere giudiziario svolta il 17 dicembre 1946 dalla seconda Sezione della seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione). Ma quanto di quel “grande vantaggio” ancora resiste? Frammenti, o forse frantumi. TRE. La mobilità interna e la “roteazione utile” nelle aziende sanitarie La trattazione dell’argomento necessita di richiamare all’attenzione del lettore l’integrale dettato dell’art. 4 comma 2 D.L. 90/2014 (conv. L. 114/2014): «Nell’ambito dei rapporti di lavoro di cui all’art. 2, comma 2, i dipendenti possono essere trasferiti all’interno della stessa amministrazione o, previo accordo tra le amministrazioni interessate, in altra amministrazione, in sedi collocate nel territorio dello stesso comune ovvero a distanza non superiore a cinquanta chilometri dalla sede cui sono adibiti. Ai fini del presente comma non si applica il terzo periodo del primo comma dell’art. 2103 del codice civile. Con decreto del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, previa consultazione con le confederazioni sindacali rappresentative e previa intesa, ove necessario, in sede di conferenza unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, possono essere fissati criteri per realizzare i processi di cui al presente comma, anche con passaggi diretti di personale tra amministrazioni senza preventivo accordo, per garantire l’esercizio delle funzioni istituzionali da parte delle amministrazioni che presentano carenze di organico. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano ai dipendenti con figli di età inferiore a tre anni, che hanno diritto al congedo parentale, e ai soggetti di cui all’art. 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni, con il consenso degli stessi alla prestazione della propria attività lavorativa in un’altra sede». Rammentiamo inoltre che il comma 2.2 aggiunge che «sono nulli gli accordi, gli atti o le clausole dei contratti collettivi in contrasto con le disposizioni di cui ai commi 1 e 2». Ciò posto in molte, troppe Amministrazioni, risulta che tale norma sia stata letta come un “liberi tutti”; ovvero tutti liberi di disporre della vita dei dipendenti a piacimento, con l’adozione di provvedimenti di mobilità interna spesso autoritari e privi dei requisiti argomentativi, in ordine alla motivazione e all’applicazione delle norme, senza i quali non può esservi legittimità in alcun provvedimento, nemmeno quando espressione del potere datoriale dell’Amministrazione. Del resto, rispetto a questo tema (e non solo!), al contrario di troppa demagogica “fanfara”, risulta in diverse circostanze più tutelato il lavoratore privato rispetto a quello pubblico (in proposito vedasi proprio la tutela della sede di lavoro ex art. 2103 C.C., espressamente e vergognosamente sottratta al lavoratore pubblico dal summenzionato dispositivo). Ma, in ogni caso, la lettura della norma in questione non può essere “libertina”; non può, infatti, prescindere dall’applicazione dell’art. 13 CCNL 8/6/2000 e dell’art. 16 CCNL 10/2/2004, entrambi vigenti e per nulla in contrasto con la spravvenuta normativa; invero, l’applicazione di quest’ultima non è nemmeno possibile se non previa individuazione della sede di lavoro nel C.I. (obbligo largamente disatteso); inoltre, se da un lato l’eventuale mobilità d’urgenza rimane disciplinata esclusivamente dal citato art. 16, ogni altra tipologia di mobilità, seppure più estesamente attuabile “in termini chilometrici” secondo il dettato del D.L. 90/14, deve necessariamente essere ancora inquadrata fra le tipologie di cui al medesimo art. 16 e ne deve rispettare termini e modi, giacché questi non confliggono in alcun modo con quanto disposto dal secondo comma del riportato articolo di legge. Poi: la mobilità interna non può e non deve essere confusa con la rotazione, né la rotazione può essere legittimamente utilizzata come fattore di mobilità; né, tantomeno, rotazione e mobilità possono surrogare l’applicazione di provvedimenti disciplinari altrimenti discutibili (vd. infra). Eppure niente affatto marginali sono i provvedimenti, vieppiù adottati nelle aziende sanitarie, che si caratterizzano per una malintesa lettura (se artata l’aggettivo diventa improprio!) del dettato normativo. Così che: da un lato la mobilità viene attuata con ordini di servizio privi di motivazione (“esigenze di servizio” non - ! - costituiscono valida motivazione, come affermato da consolidata giurisprudenza e dottrina), disposti oggi per domani, anche nei confronti di dipendenti tutelati persino dal summenzionato secondo comma D.L. 90/14, nonché in modo arbitrario per l’assenza pure della sede di lavoro nei C.I.; dall’altro il principio della rotazione viene attuato in assenza di qualsivoglia dialettica, mediante provvedimenti ancora una volta fondati su postulati, in quanto concretamente privi delle motivazioni e delle argo29 © Fotolia.com Numero 1/2015 mentazioni richieste dalla legge. Ma detto principio, se fino a poco tempo fa risultava in alcuni dispositivi di legge e contrattuali solo e meramente affermato, in ultimo è stato invece oggetto di chiare disposizioni applicative derivanti dell’attuazione della Legge 190/2012 che ha previsto la formulazione del Piano Nazionale Anticorruzione (PNA) e di corrispondenti Piani triennali di prevenzione della corruzione (PTPC). E il PNA ha in materia previsto: 1) che la rotazione possa essere attuata soltanto previa identificazione degli uffici e servizi che svolgono attività nelle aree a piu elevato rischio di corruzione, da individuarsi mediante uno specifico procedimento di analisi del rischio definito nello stesso PNA; 2) l’individuazione, nel rispetto della partecipazione sindacale, delle modalita di attuazione della rotazione in modo da contemperare le esigenze dettate dalla legge con quelle dirette a garantire il buon andamento dell’amministrazione, mediante adozione di criteri generali e definizione dei tempi di rotazione; 3) che per quanto riguarda gli incarichi dirigenziali, il criterio di rotazione deve essere individuato nell’ambito dell’atto azien30 dale, laddove si declinano i criteri di conferimento degli incarichi dirigenziali medesimi. Abbiamo, al contrario, assistito alla redazione di numerosissimi PTPC nel noto stile “copia-incolla”, in relazione ai quali, in sede attuativa, la rotazione, che doveva costituire uno fra gli strumenti utili alla prevenzione della corruzione, è assurta a panacea unica della corruzione stessa (che certo è tra i mali peggiori del nostro Paese, non della PA), con buona pace dell’analisi del rischio condotta con oggettiva oculatezza; dunque con l’applicazione del “metodo rotativo” nei confronti di taluni dirigenti piuttosto che altri, non si comprende sulla base di quali criteri (eufemisticamente argomentando), perciò - chissà perché - andando a destabilizzare servizi medici e veterinari nei quali la specializzazione professionale dei dirigenti ivi operanti non può essere costruita e ricostruita se non con grande dispendio di pubbliche risorse. Ma, nell’immaginifico collettivo, il mero annuncio a mezzo stampa dell’adozione del provvedimento “correttivo” e di certa - ? efficacia («finalmente la nuova legge capace di risolvere il problema corruzione è stata severamente applicata!») risulta rasserenante, in particolare per tutti coloro i quali abbiano “efficacemente subito” la preventiva anestesia operata dai demagoghi succedutesi negli ultimi lustri. Così che, in definitiva, la mobilità, ineludibile presupposto, quando razionale, ragionevole, motivata e legittima, di una necessaria maggiore flessibilità lavorativa e operativa, nonché la rotazione, ottimo principio, fra i tanti, da attuarsi oculatamente nella gestione della “cosa pubblica”, prima ancora di poter svolgere benefici effetti sono già stati svuotati della loro efficacia; ne residua una “roteazione” dei dirigenti sanitari, utile soltanto secondo la logica del saper fare [...] vedere; logica mai defunta, temiamo, nemmeno nella quarta repubblica. Per il Paese, per la res publica, altri frantumi. QUATTRO. Responsabilità dirigenziale? Una nuova via verso il malgoverno delle PP.AA. Nel governo della res publica, dunque delle PP.AA., la selezione dei migliori dirigenti deve avvenire mediante una corretta verifica di quanto svolto in periodi di adeguata e preordinata durata (quella del loro incarico), attraverso una valutazione circa la capacità di corrispondere alle responsabilità dirigenziali conferite ai medesimi. Questa fu la ratio ispiratrice della nuova stagione della dirigenza pubblica e sanitaria in particolare, inaugurata con il D.lgs. 502/1992 e concretizzata con la contrattualizzazione del rapporto di lavoro dei medesimi, a partire dal successivo CCNL 1994-1997 del 5/12/1996. I dirigenti sanitari hanno perciò voluto, non accettato, che la loro attività fosse valutata, come correttamente doveva essere, sotto il profilo della responsabilità dirigenziale. Tale responsabilità, nel contesto di nostro interesse, è imputabile al pubblico dirigente quale conseguenza sia del mancato o insufficiente raggiungimento degli obiettivi annuali (legati alla retribuzione di risultato che, nel caso, può essere decurtata), sia del mancato o insufficiente raggiungimento degli obiettivi “di mandato” (indicati nel contratto individuale quale oggetto dell’incarico Numero 1/2015 affidato, cui può pertanto conseguire l’impossibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale e la conseguente riduzione retributiva), sia di accertate “incapacità” professionali e/o organizzative, sia della colpevole violazione del dovere di vigilanza sul rispetto, da parte del personale assegnato ai propri uffici, degli standard quantitativi e qualitativi fissati dall’amministrazione (con le stesse possibili conseguenze sopra enunciate). Il rilievo di responsabilità dirigenziale può perciò comportare effetti rilevanti sia di tipo economico sia soprattutto incidenti sulla posizione e sulle funzioni accordabili ai dirigenti stessi, per tale ragione con chiara efficacia sul buon andamento della pubblica amministrazione sanitaria; può del resto anche comportare, nei casi più gravi, il recesso dal rapporto di lavoro. La nuova stagione, inaugurata dai “provvedimenti Brunetta”, nella quale si è assistito alla schizofrenica decontrattualizzazione del pubblico impiego nel nome di una maggiore privatizzazione del potere datoriale delle pubbliche ammnistrazioni, è stata fra l’altro caratterizzata dall’introduzione di una pervasiva responsabilità disciplinare nei confronti della dirigenza pubblica, con la previsione delle sanzioni conservative anche per tale livello, invero mai previste nel sistema aziendale privato (!!). La pericolosa pervasività del nuovo sistema disciplinare è stata subito percepita dai dirigenti che storicamente vollero invece essere valutati in quanto dirigenti; tanto che nell’ultima tornata contrattuale, prima del noto “blocco”, il CCNL ha chiaramente precisato che «Costituisce principio generale la distinzione tra le procedure ed i criteri di valutazione dei risultati e quelli relativi alla responsabilità disciplinare, anche per quanto riguarda gli esiti delle stesse. La responsabilità disciplinare attiene alla violazione degli obblighi di comportamento, [...] e resta distinta dalla responsabilità dirigenziale, [...] che invece riguarda il raggiungimento dei risultati in relazione agli obiettivi assegnati, nonché la capacità professionale, le prestazioni e le competenze organizzative dei dirigenti [...] (CCNL 2006-2009 sequenza 6/5/2010 art. 5). Ma dobbiamo osservare come ciò sia rimasto diffusamente “lettera morta”; anche perché la confusione è stata generata in radice nel dettato degli stessi codici disciplinari ex D.lgs. 150/2009 come inevitabilmente declinati nei contratti collettivi di categoria. Infatti, ai sensi dell’art. 8 della succitata “sequenza contrattuale”, risponde in via disciplinare il dirigente imputabile anche e soprattutto delle seguenti fattispecie: 1) inosservanza della normativa contrattuale e legislativa vigente, nonché delle direttive, dei provvedimenti e delle disposizioni di servizio; 2) comportamento negligente nella compilazione, tenuta e controllo delle cartelle cliniche, referti e risultanze diagnostiche; 3) inosservanza degli obblighi previsti in materia di prevenzione degli infortuni o di sicurezza del lavoro; 4) violazione del segreto d’ufficio; 5) tolleranza di irregolarità in servizio, di atti di indisciplina, di contegno scorretto o di abusi di particolare gravità da parte del personale dipendente; 6) mancato rispetto delle norme di legge e contrattuali e dei regolamenti aziendali in materia di espletamento di attività libero professionale; 7) comportamenti omissivi o mancato rispetto dei compiti di vigilanza, operatività e continuità dell’assistenza al paziente, nell’arco delle ventiquattro ore, nell’ambito delle funzioni assegnate e nel rispetto della normativa contrattuale vigente; 8) qualsiasi comportamento negligente, dal quale sia derivato grave danno all’azienda o a terzi. Si tratta tuttavia di eventi negativi tutti derivanti da inadeguatezza del dirigente nell’espletamento delle funzioni proprie dello stesso, ivi comprese le tipiche responsabilità in eligendo e in vigilando. Il “nuovo corso” ha perciò attribuito un forte profilo disciplinare a comportamenti che, ove inadeguati, dovrebbero determinare - invece ed evidentemente una responsabilità dirigenziale; e ora, a distanza di alcuni anni, assistiamo nella maggior parte dei casi all’attivazione di procedimenti disciplinari il cui oggetto risultano essere proprio mancanze delle tipologie sopra prospettate, non certo inadeguatezze prettamente comportamentali (le sole che, a buon titolo e correttamente, potrebbero e dunque dovrebbero essere perseguite in sede disciplinare). La giurisprudenza inizia a darne atto e, nel constatare l’incremento devastante del contenzioso, causato per lo più da tale confusione, risulta evidente come si vada in tal modo ad aggravare il carico giudiziario costringendo il Giudice a occuparsi di situazioni che ben potrebbero trovare soluzione internamente alle stesse Amministrazioni; in particolare ove malaccorti demolitori della P.A. non avessero provveduto ad un’accurata delegittimazione della dialettica sindacale che, proprio nel caso della dirigenza, fu invece il motore del suddetto sistema della responsabilità dirigenziale correlata agli incarichi (né si può affermare, se non in malafede, che il sistema non abbia funzionato perché inefficace, giacché il contenzioso giudiziario derivante dalla non corretta applicazione dei contratti collettivi testimonia casomai, laddove presente, di una probabile inadeguatezza dell’Organo di vertice). Non è la prima volta che trattiamo in questa rubrica di questo tema; ma vituperare il dirigente sanitario, aggredendo presunte responsabilità disciplinari “manuale alla mano”, è chiaramente più comodo che valutare il dirigente stesso per quello che fa e per come lo fa; procedimento assai più faticoso per le direzioni delle aziende sanitarie, soprattutto qualora, come necessario, il percorso venga correttamente attuato mediante la previsione condivisa di criteri oggettivi e applicabili e di indicatori credibili e misurabili, tutti fattori che constatiamo frequentemente elusi nell’ambito dei procedimenti di valutazione. Del resto, se l’obiettivo è quello di affidarsi a comodi sistemi di gestione ad personam della dirigenza, il sistema disciplinare appare (pare!) certamente funzionale (“tanto poi, eventualmente, ci pensano i Giudici” - vd. punto 2 - [...], costi ed efficacia ovviamente a parte); peccato che all’implementazione del sistema disciplinare corrisponda la proporzionale demolizione del sistema della responsabilità dirigenziale, con il conseguente degrado del buon governo. 31 Numero 1/2015 Sentenze e pareri a cura di Domenico D’Addario Giurisdizione e competenza - Impiego pubblico - Sanitario USL - Conferimento incarico struttura complessa Controversie - Giurisdizione A.G.O. La procedura di selezione per il conferimento dell’incarico di dirigente di struttura sanitaria complessa prevista dall’art. 15 del D.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, non ha carattere concorsuale in quanto si articola secondo uno schema che prevede non lo svolgimento di prove selettive con formazione di graduatoria finale e individuazione del candidato vincitore, ma la scelta di carattere essenzialmente fiduciario di un professionista ad opera del direttore generale di una Azienda sanitaria locale nell’ambito di un elenco di soggetti ritenuti idonei da un’apposita commissione sulla base di requisiti di professionalità e capacità manageriali; pertanto, tutte le controversie attinenti a detta procedura di selezione rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, in quanto hanno ad oggetto atti adottati in base alla capacità e ai poteri propri del datore di lavoro privato ai sensi dell’art. 5 T.U. 30 marzo 2001, n. 165. Conferma: Cass. Civile SS.UU. 5 marzo 2008, n. 5920 Sez. Lavoro 13 maggio 2009 n. 11009 Tar Lecce, Sez. II, 30 gennaio 2010, n. 383. Tar Puglia Lecce, Sez. II, 14 marzo 2013, n. 588. Animali-Cani - Cani pericolosi - Trattenimento in osservazione - Presupposti - Fattispecie - Illegittimità È illegittima l'ordinanza con la quale il Comune trattiene un cane in osservazione dal servizio veterinario (e impone al proprietario di seguire un corso di accrescimento di educazione civica e 32 senso di responsabilizzazione), nel caso in cui l’animale non faccia parte della lista di razze pericolose, non abbia morso o commesso aggressioni nei confronti di persone non potendo l’amministrazione procedere alla rieducazione del cane a cagione del fatto che il suo proprietario lo porti al guinzaglio o con la museruola, senza peraltro indicare nel provvedimento quali episodi da imputarsi al comportamento dell'animale (rectius cattiva condotta del suo padrone), avrebbero creato gli asseriti problemi di incolumità e di sanità pubblica (nella specie si trattava di un cane di razza meticcio Malamute). TAR Lazio-Roma, Sez. II ter, 3 luglio 2013,n. 6575. 1. Ricorso giurisdizionale - Legittimazione - Attività-Estensione 2. Animali - Colombi - Cattura o soppressione con eutanasia - Ordinanza sindacale - Impugnazione Lega antivivisezione - È llegittimata. 1. In tema di impugnativa giurisdizionale, oltre alla legittimazione riconosciuta ex lege alle Associazioni ambientalistiche dagli art. 13 e 18 L. 8 luglio 1986, n. 349 e dall’art. 310 D.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, continuano ad applicarsi a tutte le Associazioni, anche se sprovviste della suddetta legittimazione legale, i criteri fondati sull’effettivo e non occasionale impegno a favore della tutela di determinati interessi diffusi o superindividuali, sull’esistenza di una previsione statutaria che qualifichi detta protezione come un istituzionale compito dell’associazione, nonché sulla rispondenza del paventato pregiudizio agli interessi giuridici protetti posti al centro principale dell’attività dell’associazione. 2. La Lega antivivisezione può impugnare l’ordinanza con la quale il Sindaco dispone il prelievo di esemplari di colombi mediante cattura e loro soppressione mediante eutanasia, in quanto associazione non occasionale avente lo scopo della opposizione ad ogni forma di violenza sul mondo animale e della tutela del diritto alla vita di ogni essere vivente. Consiglio di Stato - Sez. V, 15 luglio 2013 n. 3808. Animali - Gatti di razza - Istituzione libro genealogico - Diniego di autorizzazione - Illegittimità - Fattispecie È illegittimo il diniego dell’autorizzazione a istituire e gestire un nuovo libro genealogico (rispetto ad altro già rilasciato solo parzialmente coincidente) del gatto di razza, in assenza di accertata carenza di requisiti in capo all’associazione richiedente TAR Lazio, Roma, Sez. II ter, 15 maggio 2014, n. 5134. Industria e commercio - Industrie e lavorazioni insalubri. Nocività della lavorazione - Accertamento in concreto - Necessità In applicazione dell’art. 216 T.U. 27 luglio 1934, n. 1265, l’industria nociva, per il cui insediamento devono essere riservate apposite zone da parte dello strumento urbanistico generale, richiede espressamente che detta “nocività” sia accertata in concreto, vale a dire che il processo produttivo in essa destinato a svolgersi determini un inquinamento ambientale “mediante fumi, polveri, umori, sostanze tossiche ed acque inquinanti”. Consiglio di Stato, Sez. V, 4 settembre 2013, n. 4409. Numero 1/2015 Animali - Cani randagi - Divieto di somministrazione cibo - Illegittima È illegittima l’ordinanza con la quale il Sindaco ha vietato la somministrazione di cibo ai cani randagi, in città, tenendo presente che se è vero che il randagismo è un fenomeno deteriore, una problematica sociale da prevenire e risolvere, è altresì vero che non è consentito a nessuno di farlo mediante trattamenti contrari al senso umano e al rispetto dovuto agli animali domestici che, come il cane, vivono da millenni uno speciale rapporto simbiotico con l’uomo, dovendosi considerare che privare i cani randagi del cibo somministrato da occasionali fornitori della strada equivale a ridurli alla fame, a costringerli a rovistare tra i rifiuti, o addirittura a diventare aggressivi per procurarsi cibo. TAR Molise, 17 settembre 2013, n. 527. 1. Caccia - Cani da caccia - Addestramento - Art. 1 comma 1 lett- b) L. reg. Lombardia n. 15 del 2012 - Incostituzionalità 2. Caccia - Cani da caccia - Addestramento - Art. 2 comma 3 L. reg. Veneto n. 31 del 2012 - Incostituzionalità in parte qua 3. Animali - Cani - Identificazione mediante tatuaggio - Art. 2 comma 2 L. reg. Veneto n. 31 del 2012 - Incostituzionalità in parte qua 1. L’art. 1 comma 1 lett- b) L. Reg. Lombardia 31 luglio 2012 n. 15, che disciplina l’allenamento e l’addestramento dei cani da caccia con legge regionale, e quindi al di fuori della pianificazione faunistico-venatoria prevista dall’art. 10 L. 11 febbraio 1992, n. 157, e senza relative garanzie procedimentali imposte dalla stessa legge (art. 18), integra una violazione degli standard minimi e uniformi di tutela della fauna fissati dal legislatore statale nell’esercizio della sua competenza esclusiva in materia, ai sensi dell’art. 117 comma 2 lett. s) Cost. 2. L’art. 2 comma 3 L. reg. Veneto 10 agosto 2012, n. 31, nella parte in cui prevede che le attività di movimento di giovani cani da esso consentite possano riguardare i giovani cani destinati all’esercizio dell’attività venatoria, disciplinando l’allenamento e l’addestramento dei cani da caccia con legge regionale, e quindi al di fuori della pianificazione faunistico-venatoria prevista dall’art. 10 L. 11 febbraio 1992, n. 157, e senza relative garanzie procedimentali imposte dalla stessa legge (art. 18), integra una violazione degli standard minimi e uniformi di tutela della fauna fissati dal legislatore statale nell’esercizio della sua competenza esclusiva in materia, ai sensi dell’art. 117 comma 2 lett. s) Cost. 3. L’art. 2 comma 2 L. reg. Veneto 10 agosto 2012, n. 31, nella parte in cui, attraverso il rinvio all’art. 4 L. reg. 28 dicembre 1993, n. 60, ammette il sistema di identificazione dei cani mediante tatuaggio, viola dell’art. 117 comma 1 Cost., in quanto è in palese contrasto con l’art. 4 comma 1 Regolamento del Parlamento europeo e del Cosiglio n. 998/2003 del 26 maggio 2003, il quale prevede che dopo un periodo transitorio (di otto anni) nel corso del quale sono consentiti quali mezzi di identificazione dei cani sia il tatuaggio sia il sistema elettronico di identificazione (così trasponditore o microchip), a decorrere dal 3 luglio 2012 i cani i identificano solo con il microchip. Corte Costituzionale, 17 luglio 2013, n. 193. Giurisdizione e competenza - Impiego pubblico - Concorso - Scorrimento graduatoria - Controversia - Giurisdizione A.G.O. La controversia avente per oggetto lo scorrimento di una graduatoria concorsuale rientra nella giurisdizione del giudice ordinario in quanto non appartiene alla fase della procedura selettiva ovvero al controllo giudiziale sulla legittimità della scelta discrezionale operata dall’Amministrazione la cui tutela è demandata al giudice cui spetta il controllo del potere amministrativo ma alla fase successiva e connessa relativa agli atti di gestione del rapporto di lavoro. TAR Puglia, Lecce, Sez. II, 27 settembre 2013, n. 2049. Cfr. Cons. Stato, Sez III. Le massime sono tratte dalla Rassegna mensile Giurisdizione Amministrativa per gentile concessione della Soc. Edizioni Libra. www.sentenzeitalia.it 33 Numero 1/2015 L’altra informazione Pensieri critici di Caterina Pennesi Pecorino e corna L assù sui Monti Azzurri, dove il verde dei pascoli è interrotto da qualche macchia bianca che improvvisamente cambia forma e dimensioni e il silenzio è molestato dai fischi dei pastori, che richiamano le greggi e dall’abbaiare dei cani, qualcosa di magico si compie. Sono luoghi incantati, dove Guerrin Meschino cercava risposte dalla Sibilla nelle grotte buie e scure. Tutto trova una sua quiete nell’equilibrio della natura con prati appiccicati ai monti come il muschio dei presepi. Le pecore avanzano verso le vette alte alla ricerca di nuove foglioline da assaggiare e nelle ore più calde si accalcano al riparo di una grande pianta ombrosa in attesa del pastore che porti loro acqua per sedare la sete. La montagna con calma serafica e bucolica accoglie i suoi ospiti temporanei per poi rinchiudersi a dormire sotto la bianca coltre della neve. La vita scorre lenta e con ritmi precisi. La mattina presto c’è la mungitura. Gli ovini conoscono bene gli orari e si lasciano tranquillamente raggruppare per essere incanalati in corridoi stretti fatti al momento, dove il pastore li blocca, li munge a uno a uno e poi di nuovo li lascia liberi di pascolare, dopo avere raccolto in grosse taniche di alluminio un latte speziato e profumato pronto ad essere trasformato in pecorini e ricotte, che riassumono tutti gli odori della montagna. Il casaro sa bene che ad ogni stagione avrà un mutare di sapori nei propri prodotti e sapientemente doserà tempi e temperature nel lavorare il latte con il caglio e alla fine aggiungerà il sale e i formaggi traboccheranno di aromi. E nella sacralità di questi gesti e questi ritmi nascono gli amori che a volte ignorano la legittimità delle unioni. Così il pastorello Titiro, stufo di ripararsi sotto l’ombra di un faggio, cer- 34 cherà e consumerà amori furtivi e clandestini, ben sapendo che quando le cime più alte dei monti cominceranno a incanutire e il freddo renderà gelide le notti, egli tornerà con il suo gregge stanco a valle al calore tranquillo della sua casa, dove l’aspettano felici e ignari la moglie e i figli raccolti intorno al desco familiare. Ma nel buio delle tenebre egli non sa che l’amore furtivo e clandestino gli è dato da un’amante avida e crudele che si tramuta in strega e di nascosto prepara una pozione velenosa per le sue pecore da vendere al suo amante come dono prezioso per guarirle da ogni male. Il pastorello compra la pozione, ma è confuso. I suoi animali stanno bene e producono un latte profumato e in grande abbondanza. Allora l’amante avida e crudele gli dice che se le sue pecore prenderanno la pozione magica non si ammaleranno mai più e avranno tanti agnelli e tanto latte. E allora il pastorello innamorato dà la pozione ai suoi animali pensando che presto essi saranno immuni da ogni male. Ma dopo pochi giorni, tutte le pecorelle si ammalano, alcune perdono i loro figli, perché non hanno più latte, altre muoiono, i piccoli che nascono sono mostri a due teste e sei zampe. Il pastorello non capisce, è rovinato, è furioso con la sua amante, ma lei dice che deve continuare, perché poi tutto andrà bene. E così muoiono tutte le pecore. Allora il pastore segue di nascosto l’avida amante fino alla sua grotta e vede che questa si tramuta in un orrido enorme camaleonte che balla con altri orchi che bevono e ridono e si spartiscono il bottino di morte. Ma qualcosa attira di più la sua attenzione. L’orrido camaleonte fa vibrare la sua lunga lingua per bere dal calice. È una grande lunga lingua blu. Numero 1/2015 Veterinaria nel mondo a cura di Vitantonio Perrone e Valentina Ceci Corea del Sud: caso di influenza aviaria in un cane A febbraio la Repubblica di Corea ha confermato un raro caso di influenza aviaria in un cane nel Sud del Paese e più precisamente nella contea di Goseong. Il virus è stato riscontrato in uno dei tre cani presenti in un allevamento di anatre in cui alla fine di gennaio 2015 era stata confermata la presenza del virus H5N8. «Nessuno dei tre cani mostrava i sintomi del virus dell’influenza aviaria quando i loro campioni di DNA sono stati sottoposti ai test, e due di loro non avevano né gli antigeni né gli anticorpi al virus, confermando in parte che non c’è stata trasmissione da cane a cane» ha affermato il Ministro dell’agricoltura, alimenti e affari rurali, secondo il quale il cane potrebbe aver consumato animali infetti. Non è il primo caso di questo tipo: a marzo 2014 undici cani in due differenti allevamenti risultarono positivi al virus dell’influenza aviaria. Per i funzionari del Ministero le possibilità che il virus colpisca gli uomini sono quasi nulle, considerato anche che nessun caso umano di infezione da H5N8 è stato riportato a livello mondiale. Tutti i lavoratori dell’allevamento colpito sono stati sottoposti a controlli e nessuno è risultato positivo. Scoperto un nuovo Borna virus in Germania Tra il 2011 e il 2013 tre uomini, tutti allevatori di scoiattoli della specie Sciurus variegatoides sono deceduti per encefalite nel lander di Sassonia-Anhalt e tali episodi hanno dato il via a una serie di indagini approfondite per individuarne l’eziologia. Il Centro nazionale di ricerca per la salute degli animali “Friedrich Loeffler Institute” (FLI) ha annunciato di aver individuato un nuovo Bornavirus attraverso l’analisi genetica di campioni organici provenienti da scoiattoli presenti in uno dei tre allevamenti, che potrebbe aver infettato gli allevatori. Il virus è stato infatti successivamente rinvenuto anche in campioni organici prelevati da uno degli allevatori deceduti. La via di trasmissione del virus all’uomo rimane sconosciuta anche se appare plausibile che il contagio possa essere avvenuto attraverso morsi e graffi provocati dagli scoiattoli. In ogni caso l’Istituto avverte che al momento sono da evitare contatti diretti con gli scoiattoli variegati. Resta inoltre da chiarire se e come il nuovo virus, potenzialmente zoonotico, sia giunto in Germania e se abbia colpito gli scoiattoli per il tramite di altre specie. La prima GELATINA HALAL di origine Animale in Europa Per la prima volta in Europa una gelatina di origine animale, in questo caso di pesce, ha ottenuto la certificazione Halal. L’authority di certificazione HIA - Halal International Authority - ha monitorato tutti i metodi di produzione, le norme di igiene, sicurezza e qualità con un occhio particolare al rischio di contaminazione incrociata. Almeno l’80% della Gelatina usata in Europa è prodotta da pelli suine, solo una piccola quantità deriva da ossa di bovino e di pesce. La gelatina animale è un prodotto largamente utilizzato nelle filiere di produzione per le sue proprietà leganti, gelificanti e stabilizzanti. Ad esempio l’industria alimentare usa la Gelatina nelle caramelle gommose, nelle creme, negli yogurt e formaggi mentre l’industria farmaceutica la utilizza nei rivestimenti delle capsule in quanto queste proteggono i principi attivi e le vitamine dall’ossigeno e dalla luce. Completato il progetto STEP, un passo decisivo per proteggere gli impollinatori europei Si è concluso il progetto Status and Trends of European Pollinators (STEP) avviato nel 2010 con un finanziamento 35 Numero 1/2015 della Commissione europea e finalizzato a comprendere meglio le cause, la natura e l’estensione del declino degli impollinatori - che rappresenta una minaccia per la biodiversità, la disponibilità alimentare e l’economia - capire di quali specie abbiamo più bisogno e perché e quali sono le principali forze motrici che influenzano i livelli della popolazione È stata annunciata la pubblicazione di un ’“Atlante del rischio climatico e della distribuzione dei bombi europei”, nel quale i cambiamenti climatici sono identificati come una delle principali minacce per questo gruppo di impollinatori. La relazione, ultima di una serie di oltre 50 pubblicazioni, prevede le conseguenze di diversi scenari di riscaldamento globale per gli anni 2050 e 2100. Nello scenario intermedio e più grave, secondo le previsioni, tra le 14 e 25 specie perderanno quasi tutte le zone a loro adatte dal punto di vista climatico, saranno quindi necessarie strategie di mitigazione forti per conservare queste importanti specie e assicurare un’appropriata fornitura dei servizi di impollinazione. Una delle possibili soluzioni consisterebbe nella copertura del terreno confinante con un terreno coltivato, con un misto di fiori per attrarre gli impollinatori e aiutarli a colonizzare nuovi spazi. Il team ha osservato una crescita del 500% nell’abbondanza di impollinatori grazie a questa iniziativa. Il documento conclusivo del progetto comprende una Lista rossa delle api, una serie di strumenti e metodologie per guidare il monitoraggio e la valutazione degli impollinatori e informazioni utili ai responsabili delle decisioni. Secondo il team, i decisori europei dovrebbero concentrarsi sullo sviluppo di valide prove scientifiche a sostegno dei provvedimenti politici e pratici mirati alla salvaguardia degli impollinatori. Salmonella e Campylobacter mostrano significativi livelli di resistenza ai comuni antimicrobici in esseri umani e animali EFSA-ECDC hanno pubblicato una relazione sulla resistenza agli antimicrobici 36 in batteri zoonotici e indicatori provenienti da esseri umani, animali e alimenti nell’UE, sui dati raccolti nel 2013. Per la prima volta sono stati utilizzati criteri analoghi per interpretare i dati: «I risultati sulla resistenza agli antimicrobici in esseri umani, animali e alimenti sono ora meglio confrontabili. E questo è un passo avanti nella lotta contro la resistenza agli antimicrobici», ha dichiarato Marta Hugas, del dipartimento “Valutazione del rischio e assistenza scientifica” dell’EFSA. Fra le conclusioni principali del rapporto si segnala: La resistenza in Salmonella ad antimicrobici di uso comune è stata rilevata di frequente in esseri umani e animali (soprattutto in polli da carne e tacchini) e nei prodotti a base di carne da essi derivati. La multiresistenza si è rivelata elevata (negli esseri umani 31,8%, nei polli da carne 56,0%, nei tacchini 73,0%, e nei suini da ingrasso 37,9%), e la persistente diffusione di cloni particolarmente multiresistenti riferiti in isolati sia da esseri umani sia da animali (polli, suini e bestiame) costituisce motivo di preoccupazione. Negli alimenti la resistenza è stata rilevata nella carne di pollo. La resistenza alla ciprofloxacina, un antimicrobico di importanza primaria, si è rivelata particolarmente elevata negli esseri umani (il che implica che le opzioni di trattamento per infezioni gravi da tali batteri zoonotici siano ridotte). In Campylobacter jejuni oltre la metà degli isolati sia umani sia da pollo (54,6% e 54,5% rispettivamente) si sono rivelati resistenti, insieme al 35,8% nei bovini. In Campylobacter coli due terzi degli isolati da esseri umani e da polli (rispettivamente il 66,6% e il 68,8%) si sono rivelati resistenti, assieme al 31,1% di isolati da suini. I livelli di co-resistenza ad antimicrobici di importanza primaria in Salmonella si sono rivelati bassi (lo 0,2% negli esseri umani, lo 0,3%, nei polli da carne, assenti invece in suini da ingrasso e tacchini). I livelli di multiresistenza e co-resistenza ad antimicrobici di importanza primaria in isolati di Campylobacter sono stati generalmente segnalati da bassi a moderati negli animali (in isolati di C. jejuni da polli da carne e bovini rispettivamente lo 0,5% e l’1,1%; in isolati di C. coli da polli da carne e suini da ingrasso rispettivamente lo 12,3% e il 19,5%,) e a livelli bassi in esseri umani (1.7% in C. jejuni e il 4.1% in C. coli). World Veterinary Day Award: le malattie da vettori con potenziale zoonotico Le malattie da vettore con potenziale zoonotico sono il tema selezionato per il World Veterinary Day Award 2015, il premio ideato nel 2008 da World Veterinary Association e OIE per celebrare la professione veterinaria e metterne in risalto il ruolo nella società. Il tema è stato scelto perchè le malattie da vettore zoonotiche stanno diventando sempre di più una minaccia per la sanità pubblica in tutte le regioni del mondo, non solo per le aree tropicali e sub-tropicali. Rappresentano inoltre un esempio significativo dell’interdipendenza esistente tra vettori, animali ospiti, patogeni, popolazione umana suscettibile e condizioni climatiche. I cambiamenti climatici in particolare influenzano l’aumento delle malattie da vettore emergenti e riemergenti. I medici veterinari svolgono un ruolo di primo piano nell’ambito del concetto di One Health, ovvero della correlazione uomoanimale-ambiente e, di conseguenza, un ruolo centrale nella salvaguardia della salute pubblica. La collaborazione e il coordinamento fra veterinari e medici sono fondamentali per la prevenzione e il trattamento delle malattie da vettore. Il WVD 2015 Award sarà assegnato all’associazione che avrà saputo promuovere al meglio il tema. Il vincitore sarà annunciato durante la cerimonia di apertura dell’ 83ª Sessione Generale OIE che si terrà a Parigi il 24 maggio 2015 e sarà invitato al 32° Congresso Wva che si terrà a Istanbul dal 13 al 17 settembre 2015, nell’ambito del quale riceverà il premio di 1.000 $. Numero 1/2015 Parliamo anche di... a cura di Vitantonio Perrone … rabbia e lettiera È indubbio che l’attuale presenza di cani in moltissime case è il frutto di un rinnovato atteggiamento nei loro confronti che, se ora sembra ormai scontato tanto da essere annoverati come d’affezione o familiari (tanto che alcuni avevano ipotizzato il loro inserimento nello stato di famiglia), tanto scontato non era sino a qualche decennio fa, e cioè fino a quando la presenza della rabbia rappresentava quello spettro che faceva ancora vedere i cani come untori di quella tremenda malattia. L’eradicazione della malattia (mai abbassare la guardia!) ha in breve tempo eradicato anche diffidenze e paure verso i cani favorendo così la loro presenza su divani e poltrone delle case italiane. Passaggio simile e anche numericamente più consi- Copertina del libro di Charles Mingus. stente ha riguardato i gatti che da mangiatopi ospitati in granai e cantine sono anch’essi en- rizzazione dei gatti da cosa è stata fatrati nelle case di milioni di italiani, vorita? Sarà decisamente prosaico, in particolare di quelli per cui le cure ma è la lettiera che, rendendo possirichieste dai cani non sono sostenibili bile la soddisfazione dei bisogni priassai spesso per via di ritmi urbani mari dei felini con loro piena sempre più frenetici. Ma la familia- soddisfazione etologica, ha svinco- lato i loro proprietari dalla necessità di accompagnarli a evacuare come è sempre necessario per i cani. La lettiera per gatti fu industrializzata da un americano che trovò così un’insperata miniera d’oro per sé e i suoi 37 Numero 1/2015 eredi, ma il consumo in tutto il mondo sviluppato di milioni di confezioni di tali materiali sta comportando anche problemi di impatto ecologico sia per l’estrazione sempre più imponente delle argille da insaccare e spedire in tutto il mondo sia per il loro smaltimento come quota sempre più significativa tra i rifiuti urbani. Non mancano i tentativi di sostituire le argille minerali con nuovi ritrovati a minor impatto ecologico. Alcuni anni fa si ebbe notizia che l’austra- liana Jo Lapidge aveva brevettato Litter-Kwitter un metodo per far utilizzare al gatto il water del bagno di casa eliminando così l’acquisto della lettiera e tutte le incombenze conseguenti. Ma tale notizia ignorava un illustre precedente visto che il celebre jazzista Charles Mingus aveva adottato, e non solo, tale sistema. Infatti, il musicista non ancora all’apice della sua fama, da poco trasferitosi con la moglie a New York in un piccolo monolocale della 3rd Avenue, al termine di un suo spettacolo incontrò un gatto nero e bianco che, chiamato Nightlife, portò con sé a casa. Ma gli spazi erano così ridotti da non consentire il posizionamento di una cassetta per la lettiera. Il genio, non solo musicale, di Mingus ideò un metodo per addestrare man mano Nigthlife a utilizzare il water di casa e a quel punto il jazzista decise di diffondere tale idea pubblicandola come “The Charles Mingus CAT-alog for Toilet Training Your Cat”. Recensione libri Conoscere gli animali familiari Francesca Bellini, Alessia Liverini, Vincenzo Rosa Aracne editrice, 2013 Brossura, 140 x 210 mm 192 pagine Prezzo di copertina: € 15,00 38 vece solo di traslare a loro formalità umane. Familiari invece perché questo termine accentua ancora di più la responsabilità nei loro confronti, responsabilità che in primo luogo deve assicurare il loro benessere e per far ciò la conoscenza e l’informazione su tanti aspetti, non solo sanitari, è indispensabile e necessaria di aggiornamento costante anche sul piano normativo specie nel Paese dei mille comuni e altrettanti regolamenti. Un altro spunto, sempre presente nella copertina, è costituito dall’immagine che riproduce un mosaico: molte tessere che vanno a formare la testa di un cane a rappresentare proprio quella complessità di conoscenze necessarie per instaurare e quindi mantenere un rapporto corretto e davvero familiare. Recensione libri M olto si è scritto e ancor più si scriverà sugli animali e sul rapporto con essi e quindi ogni testo dedicato a tali argomenti deve possedere un suo quid per interessare il potenziale lettore a condurlo a sceglierlo tra i tanti disponibili. La peculiarità del libro scritto a più mani da tre colleghi Bellini, Liverini e Rosa si percepisce già dalla copertina visto che il titolo presenta gli animali come familiari in un’accezione che quindi supera, aggiornandolo, il concetto di domestico e/o d’affezione rendendolo più congruo con l’attuale sentimento nei loro confronti. Familiari perché entrati appunto a pieno titolo all’interno dei nuclei familiari (a volte, esagerando, addirittura sostituendo e/o integrando alcune figure mancanti, in primis i figli) tanto da far pensare a un loro inserimento nelle certificazioni che il comune rilascia sulla consistenza familiare: un passo rimasto sulla carta e che certo non avrebbe aggiunto nulla di particolarmente utile agli animali rischiando in- Numero 1/2015 NORME PER LA PUBBLICAZIONE DI LAVORI SCIENTIFICI La pubblicazione degli articoli è subordinata al giudizio della redazione ed eventualmente del Comitato Scientifico della Società. Ogni articolo deve essere corredato di nome, cognome, Ente o Istituto d’appartenenza del/degli autore/i, nonché di recapito telefonico e d’indirizzo e-mail cui inviare eventuali comunicazioni. Ogni lavoro deve essere in formato Microsoft Word e redatto secondo il seguente schema: - titolo: breve, chiaro e conciso; - sopratitolo: di massimo tre parole; - testo; - tabelle: ogni tabella deve essere numerata come tabella, identificata da un titolo e richiamata nel testo; - disegni e schemi: devono essere forniti come immagini, numerati come figure, identificati da un titolo (se necessario corredati di un breve testo esplicativo) e richiamati nel testo; -fotografie: devono essere di proprietà del/degli autore/i, oppure accompagnate dall’autorizzazione dell’autore stesso alla pubblicazione , fornite come immagini, numerate come foto, identificate da un titolo e richiamate nel testo; - tutte le immagini devono essere salvate in formato JPG ad alta risoluzione (risoluzione minima 300 DPI) e con una base di 200 mm. Si prega di inviare solo il file della singola immagine evitando d’inserirla in un documento di Word o di Power Point. La bibliografia deve essere in ordine alfabetico, numerata e richiamata nel testo. Per esigenze editoriali, l’eventuale bibliografia potrà essere omessa e sostituita con l’indicazione di un indirizzo di posta elettronica al quale gli interessati potranno rivolgersi. La responsabilità dei dati, delle opinioni espresse, nonché della citazione delle fonti è esclusivamente degli autori. La redazione si riserva a proprio insindacabile giudizio di modificare per esigenze editoriali i contributi proposti per la pubblicazione. PREMIO di LAUREA in Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare II EDIZIONE La SOCIETÀ ITALIANA DI MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA bandisce per l’anno 2015 una selezione per attribuire un premio di € 1.000 a una tesi di laurea in medicina veterinaria di particolare interesse nell’ambito della Sanità Pubblica Veterinaria e della Sicurezza Alimentare. La SIMeVeP vuole così promuovere e incentivare lo studio delle tematiche legate alla Sanità Pubblica Veterinaria e alla Sicurezza Alimentare e sostenere quegli studenti di veterinaria che decidono di approfondirle. La tesi premiata potrà essere pubblicata sulla rivista della società Argomenti. Il regolamento per presentare i lavori e partecipare alla selezione è consultabile sul sito www.veterinariapreventiva.it sezione “premio tesi di laurea”. ISCRIVITI ALLA SIMeVeP Per gli studenti dei corsi di laurea in medicina veterinaria l’iscrizione è gratuita È sufficiente compilare e inviare la scheda presente sul sito www.veterinariapreventiva.it sezione “iscriviti”, specificando “STUDENTE”. SEGUI E PARTECIPA ALLE ATTIVITÀ SIMeVeP Gli studenti iscritti avranno diritto alla frequenza gratuita ai corsi e agli eventi organizzati dalla SIMeVeP, alla partecipazione alle attività dei gruppi di lavoro, all’approfondimento sui temi della Sanità Pubblica Veterinaria e della Sicurezza Alimentare, all’abbonamento alla rivista Argomenti. 2 0 1 5 Numero 1/2015 PREMIO SIMeVeP Secondo premio di laurea in sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare L a Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva, per promuovere e incentivare, già durante il percorso formativo accademico, l’approfondimento delle tematiche relative alla sanità pubblica veterinaria e alla sicurezza alimentare, ha assegnato, anche per il 2014, un premio per la miglior tesi di laurea presentata durante l’anno da studenti in Medicina veterinaria. La seconda edizione del premio ha visto un incremento dei partecipanti (14 tesi) e delle Università di provenienza (7 Atenei). Il lavoro ritenuto complessivamente più significativo e quindi più rispondente ai requisiti previsti dal bando è risultato quello della dott.ssa Sara Mattei, alla quale vanno le nostre congratulazioni, dal titolo “Effect of a formulation of selected dairy starter cultures and probiotics associated with specific ripening conditions on microbiological, chemical and sensory characteristics of swine nitrite-free dry-cured sausages” (Effetti di una formulazione di colture starter di origine lattiero casearia e probiotici sulle caratteristiche microbiologiche, chimiche e sensoriali di salami prodotti senza aggiunta di nitriti). Relatore il prof. Beniamino T. Cenci Goga dell’Università degli Studi di Perugia. Considerato il valore complessivo dei lavori pervenuti, riteniamo opportuno anche a titolo di ringraziamento, riportare in ordine alfabetico il nome dell’autore, titolo e relatore di tutte le altre tesi pervenute. • Marcella Avventaggiato: Presenza di Arcobacter butzleri un “emerging pathogen” in Mytilus gallo provincialis. Relatore Giuseppina M. Tantillo, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”. • Luca Berardi: Mastite da Prototheca zopfii genotipo 2: studio della dinamica di eliminazione nel corso della lattazione. Relatore Alessandro Mannelli, Università degli Studi di Torino. • Alexandra Chiaverini: Aspetti giuridico-normativi della macellazione domiciliare dei suini allevati. Relatore Alberto Vergara, Università degli Studi di Teramo. • Davide Ciccarelli: Valutazione delle lesioni anatomopatologiche finalizzata al monitoraggio del benessere animale nei vitelli bufalini. Relatore Orlando Paciello, Università degli Studi di Napoli “Federico II”. • Daniela D’Angelantonio: Prevalenza e livelli di contaminazione da Campylobacter in carcasse di pollo al macello e caratterizzazione delle popolazioni isolate mediante PFGE. Relatore Alberto Vergara, Università degli Studi di Teramo. • Francesco Debenedetti: L’uso del DNA barcoding per l’identificazione dei prodotti ittici. Relatore Tiziana Civera, Università degli Studi di Torino. • Genni Di Leo: Determinazione di IGF-1 nel siero di caseificio: metodo indiretto per svelare il trattamento fraudolento con Somatotropina ricombinante bovina in Bubalus bubalis. Relatore Edmondo Ceci, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”. • Rosa Lo ponte: Circolazione di Flavivirus in Regione Campania nei cani da caccia. Relatore Giuseppe Iovane, Università degli Studi di Napoli “Federico II”. • Carmela Lovito: Il ruolo del veterinario pubblico nei controlli ufficiali dei prodotti etnici. Relatore Giancarlo Ruffo, Università degli Studi di Milano. • Giulia Molineri: Toxoplasma gondii nella popolazione ovicaprina del territorio lombardo: sieroprevalenza e fattori di rischio. Relatore Maria Teresa Manfredi, Università degli Studi di Milano. • Anna Perrella: Applicazione di un sistema integrato di tracciabilità al latte bovino. Relatore Nicoletta Murru, Università degli Studi di Napoli “Federico II”. • Mattia Pucci: Il ruolo del veterinario ufficiale nel riconoscimento delle frodi nel comparto ittico. Relatore Daniela Gianfaldoni, Università degli Studi di Pisa. • Wendy Wurzburger: L’epidemiologia ambientale veterinaria e il progetto QR code verde. Relatore Orlando Paciello, Università degli Studi di Napoli “Federico II”. A tutti i colleghi neolaureati vanno i migliori e sinceri auguri di un proficuo futuro professionale da parte della SIMeVeP. 41 Numero 1/2015 MEDICINALI VETERINARI Osservazioni della SIMeVeP sulla bozza del nuovo Regolamento Europeo ANTONIO DI LUCA, MAURIZIO FERRI, FRANCO CICCO, ANTONIO SORICE, PAOLA ROMAGNOLI Gruppo di lavoro SIMeVeP – Farmaco A settembre del 2014 la Commissione europea ha reso pubblica la proposta del Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sui medicinali veterinari e il nostro Ministero della Salute nell’ambito del processo di consultazione pubblica, ha richiesto alla parti interessate di esprimere osservazioni utili per il successivo esame del testo sia da parte del Parlamento italiano sia in seno al Consiglio e Parlamento europeo. Anche la SIMeVeP, quale parte interessata, ha espresso il proprio parere sulla base della disamina svolta dal proprio gruppo di lavoro sul farmaco e, il 3 novembre, lo ha trasmesso al Direttore Generale della Sanità Animale e del Farmaco Veterinario del Ministero della Salute, Dr. Silvio Borrello. La proposta di Regolamento, composta da 150 articoli, è la revisione della Direttiva 2001/82/CE e di altri atti legislativi sui medicinali veterinari. Essa ha i seguenti dichiarati obiettivi: - aumentare la disponibilità dei medicinali veterinari; - ridurre gli oneri amministrativi; - stimolare la competitività e l’innovazione; - migliorare il funzionamento del mercato interno; - affrontare il rischio per la sanità pubblica rappresentato dalla resistenza agli antimicrobici (AMR - Antimicrobial Resistance). nell’art. 118 per l’uso in deroga di antimicrobici, nei consideranda 34 e 36. Si auspica però che la Commissione stabilisca un elenco positivo e univoco di antimicrobici che sia di riferimento nella lotta alla resistenza antimicrobica da attuarsi attraverso interventi congiunti e uguali tra i Paesi. Diversamente potrebbe configurarsi un uso/divieto di molecole in maniera diversificata tra i singoli Stati membri, causa di possibili distorsioni del mercato e di grave compromissione della tutela e della protezione dello stato di salute degli animali e dell’uomo in alcuni Paesi UE. L’istituzione di una singola banca dati centrale europea alla quale far confluire tutte le informazioni relative alle singole Affinché gli obiettivi dichiarati possano essere raggiunti si ritiene senz’altro positiva la proposta di una armonizzazione dei riassunti delle caratteristiche del prodotto. Ciò è fondamentale e necessario per evitare il persistere di evidenti difformità tra i Paesi membri relative al dosaggio, uso e avvertenze riportati sui foglietti illustrativi, tali da consentire che lo stesso prodotto di una ditta farmaceutica venga autorizzato con tempi di sospensione diversi in funzione del Paese di commercializzazione. Si ritiene altrettanto positiva l’introduzione di riferimenti specifici agli antimicrobici che denotano una particolare attenzione per il fenomeno dell’antibiotico resistenza, contenuti 42 ©Fotolia .com Il parere della Società scientifica Numero 1/2015 autorizzazioni concesse, congiuntamente alla possibilità di predisporre un fascicolo “ridotto” per ottenere l’autorizzazione per mercati limitati e in circostanze eccezionali e alla attribuzione del sistema di farmacovigilanza in capo ai titolari AIC, sembrano strumenti utili al raggiungimento degli obiettivi dichiarati dal legislatore unionale, sebbene la mancanza di un sistema univoco di tracciabilità elettronica del farmaco dalla produzione alla sua utilizzazione rischia di inficiare, a nostro parere, la possibilità di poter disporre di dati effettivamente ed efficacemente fruibili. La stessa vendita a distanza, così come regolamentata all’art. 108, non appare essere sufficientemente garantista rispetto alla possibilità che si creino mercati paralleli “neri” senza l’implementazione di un valido sistema di tracciabilità. Nell’attesa che ciò si concretizzi sarebbe auspicabile consentire le vendite on line solo per i farmaci OTC (Over The Counter; da banco) e SOP (Senza Obbligo di Prescrizione) in tutti i Paesi membri. È da considerarsi positiva la riconferma del principio dell’uso in deroga come riportato nel considerandum 17, sebbene andrebbe ben definito il significato di “uso in deroga” e di “uso improprio” con conseguente integrazione dell’art. 4 Definizioni. È ferma convinzione di questo gruppo di lavoro che venga inequivocabilmente riconosciuto nella bozza di regolamento, e ancor di più nel futuro provvedimento normativo, il medico veterinario quale unico soggetto professionalmente abilitato alla prescrizione del farmaco veterinario. Nella bozza si parla infatti di “persone autorizzate” a prescrivere medicinale veterinario (art. 107 comma 2) e si afferma che una prescrizione veterinaria può essere emessa solo da una persona abilitata a tal fine secondo la legislazione nazionale applicabile (art. 110 comma 2). Il concetto di persona abilitata a prescrivere viene ripreso nei consideranda 38 (per il problema dell’antibioticoresistenza) e 61, e, con portata più ampia, nel considerandum 62 «[…] prescritti […] da una persona che esercita una professione regolamentata del settore veterinario […]» Si veda anche l’art. 4, punto 24 ove, nella definizione di prescrizione veterinaria, compare la figura del professionista abilitato al rilascio di prescrizioni veterinarie, in conformità alle legislazioni nazionali applicabili. È pur vero che il rinvio alla legislazione nazionale pone, al momento, al riparo la nostra categoria professionale essendo fondamentalmente riconosciuto nel nostro ordinamento che la prescrizione è il risultato di una attività clinico-diagnostica che può essere svolta solo dal medico veterinario in qualsiasi ambito, produttivo e non, che interessi la salute animale, compresa l’acquacoltura. Tuttavia la forza di una previsione normativa sovranazionale chiara e inequivocabile contenuta in un regolamento UE ancor di più ci garantirebbe. Divergenze con la normativa nazionale Di seguito si riportano osservazioni puntuali che riguardano alcune divergenze riscontrate tra la bozza di regolamento e la normativa nazionale attualmente in vigore. Esse stimolano riflessioni sui possibili mutamenti pratico-applicativi che potrebbero aversi nel nostro Paese per gli operatori del settore e per gli organi di controllo. Capo VII – Fornitura e impiego • Sezione 1: Distribuzione all’ingrosso, artt. 104, 105, 106. Non è contemplata, per il grossista, la possibilità di vendita diretta, come previsto nel vigente D.lgs. 193/2006. Non poche potrebbero essere le conseguenze per le attività in esercizio nel nostro Paese autorizzate, in molti casi, per entrambe le tipologie di vendita. • Sezione 2: Vendita al dettaglio, artt. 107, 108, 109, 110. Giova ribadire che in questa sezione non viene definita la posizione del medico veterinario quale unica figura professionalmente abilitata alla prescrizione del farmaco veterinario. Per la vendita al dettaglio viene riconfermata la possibilità che le persone autorizzate a prescrivere possano vendere il farmaco antimicrobico solo per gli animali di cui si occupano e solo nel quantitativo richiesto per il trattamento in questione. Attualmente, con il decreto Balduzzi convertito in legge dalla L. 189/2012, il medico veterinario nel nostro Paese può “cedere” (concetto diverso da “vendita”) confezioni di farmaco veterinario (non solo l’antimicrobico), per la cura di animali nel quantitativo richiesto per il trattamento in essere (nel caso di animali DPA può cedere solo le confezioni da lui utilizzate). Questo aspetto riflette il diverso regime esistente nei Stati membri riguardo alla possibilità di vendita di farmaci da parte dei veterinari con conseguente adozione del decoupling nel nostro Paese così come in altri, es. la Danimarca. Per quanto riguarda la vendita al dettaglio effettuata solo da persone autorizzate secondo la legislazione nazionale (es. farmacisti in Italia) sono previsti obblighi di registrazione della movimentazione impegnativi, con conseguente aggravio delle responsabilità. Trattandosi di farmaci ceduti al consumatore finale è pensabile prevedere che il farmacista trattenga le prescrizioni annotando lotto e scadenza. Le informazioni sul medico veterinario prescrittore e sul destinatario sono riportate sulla ricetta, puntualmente descritta nei suoi elementi costitutivi nell’art. 110: grazie ad essi può desumersi, tra l’altro, se si è nel caso di prescrizione in deroga. Sarebbe sufficiente, nell’ottica di una semplificazione, che per nulla intacca gli obiettivi di sicurezza sanitaria, prevedere esclusivamente il trattenimento da parte del farmacista della prescrizione correttamente compilata in ogni parte. Al contrario dei commi che lo precedono, il comma 4 dell’art. 110 non risulta altrettanto chiaro nella parte in cui prevede che un medicinale veterinario prescritto venga fornito secondo la legislazione nazionale applicabile. Sembrerebbe lasciare spazio a una disciplina nazionale che, se non circoscritta nella portata, potrebbe vanificare l’intendo di uniformità in ambito unionale. 43 ©Fotolia .com Numero 1/2015 • Sezione 3: Impiego, Artt. 111, 112, 113, 114, 115, 116, 117, 118, 119, 120, 121, 122. - Nell’art. 112 - Animali destinati a produrre alimento per l’uomo (DPA), registrazione trattamenti- è prevista la registrazione di TUTTI i trattamenti e la conservazione di una copia della prescrizione da parte del proprietario detentore dell’animale con disponibilità delle informazioni per almeno 3 anni. Tra le registrazioni obbligatorie non sono più previste quelle relative al tempo di sospensione e alla data di fine trattamento. Sembra scomparire la condivisione tra medico veterinario prescrittore e responsabile dei trattamenti della compilazione del registro (attualmente il medico veterinario registra una serie di informazioni e appone la sua firma,), così come non vi è menzione della registrazione di possibili rimanenze, e delle scorte di farmaci. Non è evidente nessun riferimento ai trattamenti ormonali terapeutici e zootecncici (secondo quanto previsto dal nostro D.lgs. 158/2006). - Nell’art. 115 - Impiego, in specie non destinate alla produzione alimentare, di medicinali per specie o indicazioni non previste nei termini dell’autorizzazione all’immissione in commercio - non appare più la cosiddetta cascata così come attualmente disciplinata nel nostro Paese all’art. 10 del D.lgs. 193/2006. - Nell’art. 116 - Impiego, in specie destinate alla produzione alimentare, di medicinali per specie o indicazioni non previste nei termini dell’autorizzazione all’immissione in commercio – viene esclusa per le specie non acquatiche la cosiddetta “cascata” (vedasi art. 11 D. Lvo 193/2006). È 44 prevista la creazione di un elenco di farmaci “terrestri” da utilizzare per le specie acquatiche. In più per le api è prevista la possibilità di ulteriori deroghe qualora si faccia ricorso a farmaci provenienti da determinati Paesi terzi. Sempre per le api, i tempi di attesa possono essere stabiliti dal medico veterinario senza dettare specifici criteri: è sufficiente la valutazione caso per caso dei singoli alveari. Avviandoci verso la conclusione di questo documento, merita attenzione ribadire che nulla viene detto e regolamentato sulla possibilità per gli allevamenti di detenere scorte di farmaco veterinario, né viene regolata la registrazione dell’utilizzo del farmaco per gli allevamenti NDPA, né fatto cenno sul possibile utilizzo di sistemi informatizzati per la registrazione delle informazione sull’effettuazione dei trattamenti. Infine, non vengono dettati i requisiti sulle modalità di gestione della prescrizione veterinaria, in analogia ad esempio con quanto avviene per la ricetta in triplice copia. Su quest’ultimo aspetto occorrerà che il nostro Paese ridefinisca le modalità prescrittive con un intervento normativo specifico di semplificazione, stante le numerose tipologie di ricette attualmente in vigore. I colleghi interessati a partecipare ai Gruppi di lavoro della società scientifica, possono inoltrare la richiesta via mail a - segreteria@veterinariapreventiva. it - allegando il CV, e indicando il GDL; la richiesta verrà sottoposta alla valutazione del Comitato Scientifico. Numero 1/2015 FAUNA SELVATICA Criticità e prospettive nella gestione dei selvatici Intervista a Roberto Zuccarini D urante l’estate la vicenda legata alla morte dell’orsa Daniza ha avuto un’imponente copertura mediatica e le polemiche, allora altrettanto imponenti, sono ancora in corso e le contrapposizioni sono ancora molto alte. L’occasione ci ha dato modo di porre alcune domande a Roberto Zuccarini, in qualità di coordinatore del gruppo di lavoro SIMeVeP sulla fauna selvatica. Argomenti: Aldilà di quanto si ritenga forte e radicato nel nostro Paese un comune sentimento nei confronti dei diritti animali questa vicenda ha appalesato un forte contrasto di atteggiamenti di principio: qual è la sua opinione al riguardo? Roberto Zuccarini: Il caso dell’orsa Daniza impone una serie di riflessioni che inquadrano la problematica del rapporto uomo-animale selvatico in un contesto articolato e complesso. Al di là delle posizioni estremistiche di totale favore o di forte intolleranza nei confronti della presenza dei selvatici e stretta convivenza degli stessi con l’uomo, è opportuno, se non indispensabile, tenere una posizione ragionevole ed equilibrata nella “definizione del giusto rapporto” fra uomo-ambiente-animale che mitighi i conflitti secondo un gradiente di maggiore o minore accettazione degli animali selvatici strettamente connesso alla tipologia e alla vocazione dell’area di riferimento. Il livello di accettazione deve dunque variare necessariamente secondo una scala che tiene conto, da una parte, della naturalità dei contesti di vita dei selvatici (parchi nazionali-regionali, aree naturali protette ecc.) dove la tutela dell’animale assume un valore massimo e, dall’altra, del grado di antropizzazione (aree urbane-periurbane, zone industriali ecc.) legato agli insediamenti urbani che, al contrario, privilegia la sicurezza dell’uomo e delle sue attività. Se gli estremi, anche se tali, risultano di più facile definizione e accettazione, la condizione intermedia (zone agricole, aree boschive-pascolive ecc.) dove il contatto e l’interfaccia fra i due mondi è comunque imprescindibile, risulta l’espressione più critica e di massima difficoltà risolutiva. I parametri che scaturiscono da un tale approccio dovranno, a loro volta, essere connessi a misure e procedure ben definite per il mantenimento degli standard di buona convivenza, sicurezza e tranquillità. In questa dinamica di contrapposizioni, è fondamentale l’istituzione centralizzata (sia a livello regionale che ministeriale di raccordo) di un organismo tecnico super partes composto da esponenti esperti e rappresentativi delle maggiori categorie portatrici di interesse, che fornisca orientamenti fattivi e inneschi le dovute procedure evitando, così, sterili polemiche e dannose pressioni mediatiche. Argomenti: Questa vicenda ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica anche le problematiche collegate ai piani di reintroduzione di fauna selvatica in particolare dei grandi predatori. Paradossalmente a fronte del loro successo alte restano le preoccupazioni, quando non le ostilità, di alcune categorie (in particolare quella degli allevatori) quali i percorsi possibili per la loro risoluzione? Roberto Zuccarini: Va ribadito che ogni progetto finalizzato alla introduzione o reintroduzione di selvatici non può prescindere da uno studio di fattibilità che deve necessariamente valutare se le attività umane produttive e la stessa presenza dell’uomo siano compatibili, per aspetti sociali e non da ultimo culturali, con la specie oggetto dell’azione. La presenza di determinate specie, soprattutto se appartenenti alla categoria dei grandi predatori (lince, lupo, orso), subentranti in contesti geografici inusuali (assenza di memoria storica), dove determinate abitudini di vita e 45 ©Fotolia .com Numero 1/2015 di lavoro sono da tempo condotte nella massima tranquillità per assenza di minacce, esaspera notoriamente i rapporti fra uomo e selvatici. Pertanto, una volta stabilita la fattibilità dell’azione di progetto, appare fondamentale quale possibile misura risolutiva della gestione dei conflitti, attuare prioritariamente una valida campagna di informazione, sensibilizzazione ed educazione delle popolazioni locali portatrici di interessi in quanto uniche destinatarie delle criticità legate alla presenza degli animali reintrodotti. Va da sé che a questa preliminare azione di preparazione vadano affiancate tutte quelle azioni di sostegno e compensazione per i disagi, i danni e comunque tutte le criticità che dovessero derivare dalla presenza degli animali selvatici introdotti. Argomenti: Tra le altre coinvolte, la nostra professione è fortemente chiamata in causa da vicende come questa e spesso non mancano accenti polemici, anche tra le diverse componenti veterinarie, sulla validità degli interventi. 46 Come può cambiare il nostro impegno, con particolare riferimento alla sanità pubblica, di mediatori tra gli interessi del mondo animale e delle attività umane? Roberto Zuccarini: I servizi veterinari di sanità pubblica devono rivestire sicuramente un ruolo centrale nella gestione decisionale delle problematiche sanitarie e non, connesse alla presenza di fauna selvatica, soprattutto se di grande impatto come quello di Daniza. Per la competenza istituzionale e professionale (tutela del benessere animale, salvaguardia della salute umana e animale) e per la diffusione capillare su tutto il territorio nazionale, la Veterinaria pubblica è di fatto sempre più coinvolta nella risoluzione delle criticità di natura faunistica, rimanendo il principale riferimento per la collettività. Tale ruolo andrebbe ulteriormente rafforzato affinché i servizi veterinari pubblici possano formalmente rappresentare la massima autorità di riferimento nel settore specifico e svolgere un’azione di coordinamento fra le altre istituzioni chiamate in causa. Numero 1/2015 PROGETTO Selvatici e buoni. Una filiera alimentare da valorizzare Nell’ambito dell’iniziativa del gruppo di lavoro “AMBIENTE, LEGALITÀ, LAVORO: progetti per una nuova qualità della vita” promossa da Federparchi - Europarc Italia, Università degli Studi di Milano - Dipartimento di Scienze Veterinarie e Sanità Pubblica, Università degli Studi di Napoli Federico II - Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali, Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”, Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva, Anuu Migratoristi, Arcicaccia, CNCN - Comitato Nazionale Caccia e Natura, Federcaccia, la SIMeVeP partecipa al progetto “Selvatici e buoni. Una filiera alimentare da valorizzare” a cura dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, in collaborazione con il Dipartimento di Veterinaria dell’Università di Milano. • A seguito dell’individuazione di due/tre territori specifici idonei, (sulla base di una valutazione che coinvolga associazioni venatorie e ambientaliste che dovranno essere parte integrante del progetto), si procederà a un’indagine per definire i numeri esatti della presenza di fauna selvatica, in particolare di ungulati, sul territorio, alla verifica della qualità e quantità dei possibili prelievi al fine di mantenere l’equilibrio ambientale e un corretto rapporto con le attività agricole e sviluppare un programma di caccia sostenibile. Il progetto prevede inoltre la realizzazione di attività di formazione per operatori della filiera di lavorazione e cacciatori per sviluppare conoscenze e competenze per la corretta gestione degli animali cacciati e delle carcasse. Tracciabilità e sicurezza alimentare diventano i punti centrali per garantire trasparenza e legalità in questo settore. • La seconda area di sviluppo del progetto è relativa allo sviluppo della filiera alimentare e gastronomica e prevede una mappatura di natura storico antropologica di quelle che sono le tradizioni legate alle produzioni artigianali inerenti la cacciagione. Questa mappatura ha lo scopo prioritario di contestualizzare l’utilizzo della selvaggina all’interno di un determinato territorio andando a rispondere a domande specifiche e puntuali, perché un determinato animale veniva cacciato con una determinata tecnica, quali piatti tradizionalmente erano preparati con i tagli di questo animale, perché i piatti venivano composti in una determinata maniera, quanto questa tradizione persiste nelle tradizioni locali e come essa ha influito sulla gastronomia di un’area. Per fare questo si ritiene opportuno procedere con un lavoro di ricerca sia sui testi reperibili riguardanti le aree in oggetto, sia con una ricerca diretta sul campo che procederà con interviste alla popolazione locale focalizzandosi prevalentemente sugli addetti del settore e in particolare quindi cacciatori, macellatori, norcini e ristoratori. • Il secondo passo avrà natura formativa, viene quindi proposto un corso integrativo e complementare a quelli attualmente previsti dalla legge Reg. 853/2004/CE, All. III, Sez. IV, Cap. 1. Per procedere, infatti, a una valorizzazione del prodotto cacciagione bisogna integrare quanto attualmente previsto dalla normativa, oltre alle già puntuali indicazioni riguardo al trattamento della carne nel periodo immediatamente successivo all’abbattimento, ovvero dissanguamento ed eviscerazione, si ritiene utile fornire degli strumenti che permettano al cacciatore stesso di procedere in maniera più completa al trattamento della carcassa. Questo punto va a collegarsi direttamente con quello precedente in quanto a seconda delle ricette di un territorio specifico la carne potrà subire trattamenti specifici e differenti già a partire dalla fase di frollatura e ancor più nella fase di sezionamento. Questa attività formativa vedrà quindi coinvolti a vario titolo tutti gli operatori della filiera della cacciagione, principalmente in un’ottica di scambio dove il ristoratore spiegherà quali sono le sue esigenze per poter creare un piatto, il macellatore e il norcino daranno il proprio parere su come ottenere un determinato prodotto e il cacciatore spiegherà quali possono essere le criticità di una determinata lavorazione. In questo modo si cercherà di creare quelle sinergie necessarie a realizzare una filiera integrata che permetta a tutti i soggetti di trarre vantaggio da questa attività multidisciplinare. • Si procederà quindi all’individuazione, nei vari territori di riferimento, di giovani che possano avviare delle start up inerenti la filiera della cacciagione, in particolare votate alla creazione di posti di lavoro legati alla trasformazione del prodotto. Il know-how dell’Università di Scienze Gastronomiche nella creazione di concept innovativi e sostenibili, verrebbe quindi messo a disposizione dei giovani imprenditori. In questo contesto potrà essere utilizzata sia la didattica dei “Corsi di Alto Apprendistato”realizzati da UNISG che la collaborazione di Project Manager messi a disposizione dall’Ateneo. Questo faciliterà la creazione di nuove aziende andando ad eliminare le problematiche spesso legate al trattamento di prodotti alimentari, in particolare trasformati e conservati, permettendo così di andare a creare nuovi posti di lavoro in aree in cui spesso si assiste a un inesorabile abbandono dei terreni da parte di giovani alla ricerca di opportunità lavorative. • Verrà altresì affrontato lo studio di un modello di comunicazione efficace fruibile dai ristoratori, con il chiaro intento di valorizzare a pieno la materia prima. Anche questo punto va a ricollegarsi direttamente al primo punto trattato; si cercherà infatti di tradurre in racconto e in presentazione quei valori storico culturali che verranno studiati in precedenza, e quindi contestualizzando un piatto nella sua interezza. Allo stesso modo però si cercherà di rendere fruibile anche quanto fatto con gli operatori della filiera al secondo punto di questo programma, fornendo al consumatore e prima ancora al ristoratore quelli che sono i dati relativi alla tracciabilità del prodotto, e quindi rispondendo a richieste del cliente che al giorno d’oggi sono sempre meno trascurabili quali: dove, quando e come è stato cacciato l’animale, che pezzatura aveva, quanto è stata frollata la carne, quali trattamenti ha subito ecc.. 47 Numero 1/2015 BIOETICA VETERINARIA Sperimentazione scientifica e macellazione inconsapevole. Quo tendimus? BENIAMINO CENCI GOGA1, PASQUALINO SANTORI2, GERMANA SALAMANO3 1 Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Perugia Medico Veterinario 3 ASL Torino 4 2 T ornano, a cicli ricorrenti, le polemiche sulla sperimentazione scientifica sugli animali. Se motivi di ordine prettamente scientifico sono ampiamente dibattuti nei forum scientifici, in questa sede vorrei fornire un’analisi del problema sia dal punto di vista emotivo sia da quello scientifico. Il movimento contrario alla sperimentazione animale sta coinvolgendo un numero crescente di veterinari, medici e filosofi. Secondo molti questo è il segno che la sperimentazione sugli animali sta perdendo di credibilità. A favore della sperimentazione sugli animali vengono addotte alcune argomentazioni quali la riduzione delle malattie infettive, della tubercolosi, i controlli obbligatori sui farmaci… Ebbene, nei confronti delle malattie infettive va detto che il frigorifero, l’acqua corrente e le migliori condizioni di illuminazione nelle abitazioni, la migliore densità abitativa con minori rischi di contagio, hanno decisamente contribuito a migliorare le condizioni igieniche. Gli antibiotici sono insostituibili nella cura di alcune malattie, ma non va dimenticato che il declino delle curve di morbilità e mortalità è stato determinato più dai fattori igienici che dai farmaci. Anche nei confronti della tubercolosi va ricordato che la sua discesa era iniziata già un secolo prima della scoperta della streptomicina e dell’idrazide dell’acido isonicotinico [1]. Secondo alcuni, inoltre, i propugnatori della sperimentazione sugli animali scelgono e divulgano notizie relative a pochi degli esperimenti condotti annualmente sugli animali allo scopo di dimostrare le loro teorie. Spesso, quando si vuole bandire un prodotto, le dosi impiegate sugli animali sono elevatissime [9], dosi che avrebbero effetti anche se si trattasse di composti innocui. La talidomide prima di tutti: dopo la scoperta del suo effetto teratogeno fu deciso di estendere la sperimentazione dei farmaci anche agli animali gestanti. Ciò per dimostrare che se il 48 farmaco fosse stato sperimentato su di essi, sarebbe stato provato l’effetto teratogeno. Non fu così: la sperimentazione successiva dimostrò il suo potere soltanto a dosi elevatissime e comunque mai furono riprodotti i sintomi osservati in pazienti umani. Ancora, nonostante i severi protocolli sperimentali per l’autorizzazione di nuovi composti, ogni anno vengono rimossi dal commercio decine di farmaci per i quali la sperimentazione ne aveva indicato l’innocuità e sono segnalati molti casi d’intossicazione da farmaci, di malattie iatrogene. C’è chi invoca la scarsa efficacia delle prove a breve termine (da alcuni chiamate ingenuamente e simpaticamente “metodi alternativi”), ma c’è un’altra verità: come nel caso dei farmaci autorizzati e poi sulla scorta dei dati derivanti dall’impiego pratico rimossi dal commercio, non va nascosto che negli ospedali, sui deboli, sui feti maturi, sui pazienti immunocompromessi, sugli incapaci e sugli abitanti delle regioni povere della terra è condotta una “sperimentazione clinica” che, da un punto di vista etico, in nulla si differenzia dalla sperimentazione sugli animali. Purtroppo non si tratta solo di scegliere tra prove in vivo o in vitro, ma di uno scontro culturale ed etico tra culture diverse. Efficacia ed efficienza dei test a breve termine Nonostante più di venti anni d’impiego dei test genetici a breve termine, il quesito di base sul valore degli stessi nella stima della cancerogenesi resta senza risposta. I primi studi indussero ad affermare che i test a breve termine potessero identificare il 90% di possibili cancerogeni. Gli scettici, invece, hanno sempre sottolineato che vi erano molti punti non chiari nella correlazione tra mutagenesi e cancerogenesi. Molti autori considerano le prove di cancerogenesi in vivo sui roditori molto più rispondenti alla realtà che non quelli in vitro. Numero 1/ 2015 In supporto a questa teoria Tennant et al. nel 1987 [15] pubblicarono un articolo con il quale dimostravano che nessuno dei test a breve termine permetteva di prevedere il potere cancerogeno come ci si sarebbe aspettato sulla base di studi precedenti. Infatti, tutte le quattro prove studiate (mutagenesi in Salmonella Typhimurium e in cellule di linfoma murino; SCE aberrazioni cromosomiche in cellule CHO) furono giudicate come dotate della stessa capacità di previsione, nessuna combinazione delle stesse si rivelò più predittiva di ognuna presa da sola, e tre potenti cancerogeni dettero risposte negative in tutte le prove. Questi risultati ebbero importanti implicazioni nell’impiego dei test genetici a breve termine il cui scopo principale è rivelare i cancerogeni. Ma quanto sono valide le affermazioni di Tennant nei confronti della cancerogenesi nell’uomo e quali sono le loro implicazioni per la tossicologia genetica? Se non vengono evidenziati i limiti di questa ricerca è facile incappare in conclusione inadeguate. Esistono, infatti, due problemi: l’estrapolazione dei dati dai roditori all’uomo e il criterio utilizzato per giudicare l’esito positivo della ricerca. Considerando questi aspetti i risultati sono visti come meno definitivi. Il lavoro di Tennant è molto specifico: le quattro prove a breve termine furono valutate soltanto sulla base della loro concordanza con prove biologiche su roditori. La cancerogenesi nell’uomo è considerata soltanto per il tramite dei roditori. Come si possono trasferire le informazioni circa la cancerogenesi nell’uomo a partire dai dati sui roditori? Tennant et al. analizzarono i loro dati ipotizzando che, in assenza di dati sulla cancerogenesi nell’uomo, le sostanze chimiche devono essere giudicate sulla cancerogenesi nei roditori. Pertanto essi considerarono le prove biologiche sui roditori come predittive al 100% della cancerogenesi dell’uomo. Però se l’estrapolazione da una specie di roditori a un’altra può essere credibile, quella a una specie più distante non lo è più. A questo punto è utile valutare quale previsione danno nei ratti le prove biologiche condotte sui topi (e viceversa). Nel 1988 un articolo di Heddle [8] trattò l’argomento in questi termini: «I shall deal with the data as if rats rather than people were doing the testing and were using the mouse bioassay and the STT (short term test)». Ipotizzò cioè di determinare quale previsione potessero ottenere per loro stessi i ratti nel condurre esperimenti sui topi. Da questo punto di vista la cancerogenesi nei topi, che noi conosciamo, permette di avere la stima di quella nei ratti, nota anche essa, e dalla concordanza fra le due è possibile farsi un idea della bontà di queste prove nel rivelare i cancerogeni per l’uomo. Ebbene “dal punto di vista del ratto” i test condotti sui topi danno i seguenti risultati: sono identificati correttamente il 63% dei cancerogeni e 79% dei non cancerogeni per i ratti, ma c’è il 37% di falsi negativi e il 21% di falsi positivi. «An intelligent rat might be less than satisfied with this result» [8]. Se è così tra due specie affini come sarà nell’uomo? Pertanto è l’insufficienza delle prove biologiche nei roditori a intaccare la validità delle prove a breve termine nell’esperimento di Tennant. Perfino una prova STT ipoteticamente perfetta sarebbe apparsa insufficiente nella convalida dei test effettuata da Tennant. La bassa concordanza tra prove biologiche nei ratti e nei topi indicano che le prove in vivo hanno fallito in alcuni casi [6, 4]. È quindi chiaro, anche se molti autori non sono d’accordo, che una prova di cancerogenesi nei roditori è inadeguata per il sondaggio dei cancerogeni dell’uomo e non affidabile per rivelare cancerogeni negli alimenti, pesticidi etc. [2]. Nell’impossibilità di conoscere il reale potere cancerogeno nell’uomo di molte delle sostanze chimiche impiegate negli studi di concordanza, la validità delle prove a breve termine può solo essere stimata. Ma, considerando le concordanze, le migliori prove a breve termine si comportano come prove di cancerogenesi, ma a costi effettivi e psicologici estremamente inferiori [12]. Il Salmonella microsome test è, sulla base di prove di concordanza [8, 16], migliore della mutazione TK nelle cellule L5178Y, della prova di aberrazione cromosomica nelle cellule CHO o nel SCE sempre nelle cellule CHO. Una singola prova in vitro a breve termine è un buon mezzo per la previsione di cancerogenicità come ognuna delle prove in vitro suddette (ICPEMC, 1988). La scelta di una prova in vitro dipende dalla filosofia del ricercatore: chi è interessato a scovare carcinogeni, anche a costo di falsi positivi, opterà per la prove in vivo, mentre chi desidera minimizzare i falsi positivi o aumentare la discriminazione tra cancerogeni e non-cancerogeni utilizzerà il test di Ames [9]. Bisogna, infatti, riconoscere che né un risultato positivo, né uno negativo sono definitivi. Inoltre, è importante sottolineare che non è possibile affermare che una prova in vivo o una batteria di prove siano più affidabili di una prova in vitro: una convalida realistica è comunque richiesta per ogni prova e per ogni batteria di test [5]. Altre questioni, purtroppo senza risposta e che non concedono nemmeno spazio alle speculazioni etiche e filosofiche, riguardano la specie-specificità, la mancanza di potere cancerogeno di alcuni mutageni, la negatività in vitro di potenti cancerogeni e la tessuto-specificità. La macellazione e le sue sfaccettature Quando si parla di macellazione il prodotto finale da prendere in considerazione è la carne. Tra i prodotti di origine animale, alimentari e non, la carne è il più significativo per le implicazioni morali della sua produzione e del suo consumo, anche più delle pellicce. La carne può subire lavorazioni diverse che ne cambiano aspetto e valore e si può comperare in punti vendita più o meno alla moda. Da piccole strutture, poco curate, a grandi superfici che abbinano ostentatamente qualità gastronomica a messaggi culturali. Comunque, il luogo dove viene prodotta trasformando i muscoli e i visceri di un animale sano e pienamente vitale in carni e frattaglie è lo stesso: il mattatoio o macello. 49 ©Fotolia .com Numero 1/2015 Secondo la religione ebraica e musulmana, la carne, per poter essere consumata dai propri fedeli, deve provenire da un animale macellato in osservanza di determinate regole. In sostanza, se pur con alcune differenze, sia la macellazione islamica (dhabiha) sia quella ebraica (shechità) prevedono che l’animale sia vivo e in perfetta salute al momento della macellazione e che il sezionamento dei grandi vasi del collo, esofago e trachea avvenga tramite la lama di un coltello affilatissimo. Ai sensi dell’art.4 del Reg. CE 1099/2009 sulla protezione degli animali durante l’abbattimento, questa procedura può avvenire in deroga all’obbligo dello stordimento preventivo, purché le macellazioni rituali siano svolte esclusivamente presso macelli autorizzati. Le regole per la macellazione religiosa, formatesi più di 3.000 anni fa, erano all’epoca decisamente all’avanguardia sia dal punto di vista igienico-sanitario (in quanto prevedevano il completo dissanguamento con conseguente miglioramento della salubrità delle carni), sia dal punto di vista della protezione animale. Infatti, l’importanza attribuita all’affilatezza della lama, alle modalità con cui la recisione doveva essere eseguita e alla preparazione tecnica del sacrificatore sottolinea l’attenzione posta nel rendere più rapida e indolore possibile la morte dell’animale, se pur in un periodo storico in cui gli animali non erano di certo considerati esseri senzienti [13]. L’intento di queste complesse e dettagliate regole era, compatibilmente con le conoscenze scientifiche e tecniche del tempo, quello di procurare la morte degli animali destinati all’alimentazione umana con la minor sofferenza possibile, obiettivo condiviso e convergente con quello dell’attuale società occidentale prevalentemente cristiana, dove però la modalità di macellazione si è completamente laicizzata. La pratica di stordire gli animali prima della macellazione si è 50 sviluppata solo verso la fine del XIX secolo e lo stordimento in origine veniva utilizzato prevalentemente come metodo di immobilizzazione, per permettere una più semplice e sicura manipolazione degli animali (soprattutto se di grandi dimensioni) e ottenere un’efficiente iugulazione [3]. Soltanto in epoche più recenti, lo stordimento è ritenuto importante soprattutto dal punto di vista del benessere animale, per minimizzare il dolore e la sofferenza associate alla macellazione [7, 11]. Il principio generale, comune a tutte le normative sulla protezione e sul benessere, è infatti che agli animali siano risparmiati il dolore, l’ansia e tutte le sofferenze evitabili. Con la Direttiva 74/577 CEE del 1974 è stato introdotto il concetto di stordimento, definito come «un procedimento effettuato per mezzo di uno strumento meccanico, dell’elettricità o dell’anestesia con il gas, senza ripercussioni sulla salubrità delle carni e delle frattaglie e che, applicato a un animale, provochi nel soggetto uno stato di incoscienza che persista fino alla macellazione, evitando comunque ogni sofferenza inutile agli animali». Il ruolo del medico veterinario, le fonti del diritto e l’accademia Le fonti del diritto a livello europeo ci indicano chiaramente la strada da seguire. Per esempio nel settore dell’igiene degli alimenti, il Regolamento (CE) n. 854/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, che stabilisce norme specifiche per l’organizzazione di controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano, alla sezione III, capo IV (qualifiche professionali) dell’allegato I, dà precise indicazioni sulle qualifiche professionali, non solo dei veterinari ufficiali, ma anche degli assistenti specializzati. Un altro esempio si trova nel più recente Regolamento (CE) n. 1099/2009 del Consiglio del 24 settembre 2009, relativo alla protezione degli animali durante l’abbattimento, laddove all’articolo 7 sono indicate le competenze di cui devono disporre gli addetti alle operazioni di macellazione e all’articolo 21 sono fornite le indicazioni circa le relative attività formative. Ai fini dell’articolo 7, è stabilito che sono gli Stati membri a designare l’autorità competente responsabile di assicurare la messa a disposizione di corsi di formazione destinati al personale addetto. L’Università, al riguardo, potrebbe giocare un ruolo importante: purtroppo al momento sembra che il Ministero della Salute e le Regioni si stiano orientando diversamente, dando agli Istituti Zooprofilattici Sperimentali un ruolo nella formazione che per tradizione e per effettiva competenza non hanno. La macellazione inconsapevole Una proposta apparentemente sconcertante, ma assolutamente razionale e praticabile nel futuro deriva dal lavoro del Comitato Bioetico per la Veterinaria ulteriormente elaborata da Pasqualino Santori per la rivista Bioetica (2015), che qui citiamo testualmente: «L’aspetto più eclatante del progetto di macella- Numero 1/ 2015 zione inconsapevole è quello di ipotizzare l’uso di sostanze a effetto neurotropo che modifichino a livello di sistema nervoso centrale la percezione degli eventi connessi alla macellazione, dal carico in azienda alla morte. Una via di questo genere costituisce una novità e può comportare una serie di conseguenze che richiedono degli approcci innovativi. Non si dovrebbe escludere un diverso atteggiamento nei confronti di eventuali residui nelle carni. Un rischio che si può correre e da scongiurare assolutamente, è quello di pensare che se si ottiene la padronanza di un metodo per il cambiamento a livello di sistema nervoso centrale della percezione di condizioni spiacevoli, questo possa essere utilizzato in qualsiasi fase della vita dell’animale a discapito del mantenimento di buone condizioni di allevamento. L’attenzione dei consumatori nei confronti di degenerazioni di questo tipo dovrebbe essere sufficiente ad escludere questa ipotesi. È più probabile che in futuro si possa diffondere il consumo, già tentato in precedenza e poi abbandonato, di bistecche artificiali che la produzione di carne da animali a percezione alterata di un ambiente ostile per tutta la vita. La breccia che la visione animalista ha aperto nella società è permanente è saprebbe distinguere filiere che rendono accettabili le condizioni di macellazione al termine di una vita buona, da meccanismi industriali che vedrebbero ancora di più gli animali come trasformatori di materie prime. Riepilogando l’obiettivo è evitare che un animale soffra potenti condizioni di stress nella macellazione e nelle fasi precedenti. Le strade da seguire sono due: ridurre oggettivamente in ogni fase l’ostilità ambientale con interventi strutturali e di management e quando non possibile, individuare un agente che faccia percepire diversamente la realtà. Si pensa all’uso di feromoni, probabilmente solo in combinazione, per contribuire a creare una migliore percezione delle condizioni ambientali. Gli psicofarmaci che si prendono in considerazione potranno essere esaminati per la loro azione, ma dovranno essere considerate le diverse vie di somministrazione e di escrezione. Sicuramente si porrà il problema dei residui nelle carni e si possono ipotizzare diversi scenari. Potrebbero non essere presenti in ragione del particolare metabolismo del particolare farmaco prescelto. Il residuo potrebbe essere presente solo in organi che potranno essere esclusi. Il residuo potrebbe essere presente anche nelle carni e allo stato attuale della evoluzione normativa non potrebbero essere utilizzate. Su questo punto il cambio di paradigma auspicato per dare un vero senso al rispetto per gli animali diventa un interessante ambito di ricerca bioetica. Dobbiamo sempre escludere la presenza di residui di farmaci nelle carni? Anche quando sono conosciuti, individuati e valutati per il rischio che comportano? Anche quando il consumatore è informato, magari addirittura, da una specifica etichetta di marchio di qualità etica? L’esposizione a inquinanti nella vita di tutti i giorni è inevitabile a meno di vivere in una campana di vetro. Alcune sostanze nocive vengono assunte ben conoscendo la loro azione come l’alcol o il fumo o il cibo in eccesso, ma nell’economia della propria vita si è liberi di scegliere. Cambiare le normative nel caso di un’ipotesi di macellazione inconsapevole per quanto comporterebbe in positivo dovrebbe diventare una ipotesi allo studio. Credo sarebbe la prima volta che il beneficio del genere umano farebbe un passo indietro a giovamento di altre specie. Un cambiamento dello spirito dei tempi». Bibliografia 1. Ballarini G, 1989. Veterinaria. Ieri, oggi, domani. Edagricole. Supplemento al n. 12 di Obiettivi e Documenti Veterinari. 2. Benigni R, 1990. Rodent tumor profiles, Salmonella mutagenicity and risk assessment. Mut.Res., 244: 79-91. 3. Bergeaud-Blackler F, 2007. New Challenges for Islamic Ritual Slaughter: A European Perspective. Journal of Ethnic and Migration Studies, 33(6): 965-980. 4. Blake BW, Enslein K, Gombar VK, Borgstedt HH, 1990. Salmonella mutagenicity and rodent carcinogenicity: quantitative structure-activity relationships. Mutation Research, 241: 261-271. 5. Bridges BA, 1988. Genetic toxicology at the crossroads a personal view on the deployment of short-term test for predicting carcinogenicity. Mut.Res., 205: 25-31. 6. Brown LP, Ashby J, 1990. Correlation between bioassay dose-level, mutagenicity to Salmonella, chemical structure and sites of carcinogenesis among 226 chemicals evaluated for cacinogenicity by the U.S. NTP. Mutation Research, 244: 67-76. 7. Fletcher D, 1999. Symposium: Recent Advances in Poultry Slaughter Technology. Poultry Science, 78: 277-281. 8. Heddle JA, 1988. Prediction of chemical carcinogenicity from in vitro genetic toxicity. Mutagenesis, 3(4): 287-291. 9. Lave LB, Omenn GS, 1986. Cost-effectiveness of short-term tests for carcinigenicity. Nature, 324, 6 nov. 1986: 29-34. 10. McConnel EE, 1991. NTP carcinogens - interpretational problems. Mutation Research, 248: 223-237. 11. Raj ABM, 2006. Recent developments in stunning and slaughter of poultry. World’s Poultry Science Journal, 62(03): 467-484. 12. Rosenkranz HS e Ennever FK, 1990. An association between mutagenicity and carcinogenic potency. Mutation Research, 244: 61-65. 13. Salamano G, Cuccurese A, Poeta A, Santella E, Sechi P, Cambiotti V, Cenci-Goga BT, 2013. Acceptability of Electrical Stunning and Post-Cut Stunning Among Muslim Communities: A Possible Dialogue. Society & Animals, 21(5): 443-458. 14. Santori P. Bioetica, rivista interdisciplinare n. 3/4 2014. 15. Tennant RW, Margolin BH, Shelby MD, Zeiger E, haseman JK, Spalding J, Caspary W, Resnick M, Stasiewicz S, Anderson B, Minor R, 1987. Prediction of chemical carcinogenicity in rodents from in vitro genetic toxicity assays. Science 236: 933-941. 16. Trosko JE, 1988. A failed paradigm: cacinogenesis is more than mutagenesis. Su “letters to editor”. Mutagenesis, 3 (4): 363-366. 51 Numero 1/2015 BTSF - uno strumento comunitario per l'aggiornamento professionale nel settore della sicurezza alimentare Il programma Better Training for Safer Food (BTSF), la cui base giuridica è l’articolo 51 del Regolamento 882/2004/CE, è curato dalla Direzione Generale Salute e Consumatori della Commissione Europea (DG SANCO). L’obiettivo generale dell’iniziativa “BTSF” è l’organizzazione e lo sviluppo di una strategia di formazione comunitaria, con le finalità di: assicurare e mantenere un elevato livello di protezione dei consumatori e della salute degli animali, benessere degli animali e salute delle piante; promuovere un approccio armonizzato per il funzionamento dei sistemi di controllo comunitari e nazionali; creare uguali condizioni per tutte le imprese del settore alimentare; migliorare commercio di alimenti sicuri; garantire il commercio equo con i Paesi terzi e in particolare i Paesi in via di sviluppo, per consentire a quest’ultimi di poter adeguare la propria legislazione in materia di Sanità animale e sicurezza alimentare a quella dell’UE. Pur non rientrando strettamente tra gli strumenti di cooperazione internazionale dell’UE, la BTSF può pertanto essere anche inserita a pieno titolo tra le iniziative comunitarie volte sostenere e aiutare i Paesi in via di sviluppo attraverso una costante azione di “Capacity Building” intesa come la capacità di creare un ambiente che favorisce, attraverso opportune strutture politiche e giuridiche, lo sviluppo istituzionale, lo sviluppo delle risorse umane e il rafforzamento dei sistemi di gestione di un Paese. L’iniziativa BTSF, come ricordato, ha tra i suoi obiettivi, infatti, proprio quello di «garantire il commercio equo con i Paesi terzi e in particolare i Paesi in via di sviluppo, per consentire a quest’ultimi di poter adeguare la propria legislazione in materia di sanità animale e sicurezza alimentare a quella dell’UE». Le attività formative non si rivolgono dunque solo alle competenti Autorità dei Paesi Membri, ma coinvolgono anche Stati in fase di pre-adesione all’Unione europea nonché Paesi terzi in via di sviluppo. Attraverso una migliore conoscenza degli standard di sicurezza alimentare previsti dalla rigorosa normativa europea, è possibile agevolare l’esportazione nel mercato unico europeo – che rappresenta circa 500 milioni di potenziali consumatori - di prodotti agricoli e alimentari provenienti dai Paesi in via di sviluppo, creando importanti occasioni di crescita per questi ultimi con ricadute positive in termini di miglioramento della bilancia commerciale e della ricchezza della società nel suo complesso. I corsi di aggiornamento, che includono anche attività pratiche per i partecipanti, vengono organizzati da società specializzate (contractors) in varie località nell’Unione Europea e nei Paesi terzi. Durante le attività formative vengono forniti aggiornamenti sulle norme di legge e la loro attuazione pratica dai migliori specialisti nel campo (tutors), a loro volta coordinati da un Training Coordinator. La gestione complessiva del programma è affidata alla CHAFEA (Agenzia Esecutiva dei Consumatori, della Sanità e dell’Alimentazione) che ha iniziato la propria attività il 1° gennaio 2014 e lavora a stretto contatto con la DG SANCO della Commissione Europea. Periodicamente la CHAFEA pubblica sul proprio sito (http://ec.europa.eu/chafea/food/) dei bandi (tender) per le società o gli organismi interessati all’organizzazione dei corsi formativi nei quali vengono indicate le generalità del progetto BTSF e gli obiettivi che si intendono perseguire. Ogni anno la CHAFEA elabora un report sui principali progressi dell’iniziativa BTSF. I corsi di formazione sono disponibili gratuitamente per i funzionari e tecnici a vario titolo impegnati nei settori di applicazione del programma BTSF, che al fine della partecipazione al programma vengono designati dai rispettivi organismi governativi attraverso le diverse Autorità competenti. Anche operatori del settore e funzionari governativi di Paesi extra UE possono partecipare ai corsi di formazione, nel caso in cui ci siano posti liberi disponibili e con il benestare della Commissione europea. In tutti gli Stati interessati e coinvolti in questi progetti viene individuato un Punto di Contatto Nazionale (NCP), che svolge le funzioni di intermediario tra la Commissione europea, le Autorità nazionali competenti e gli organizzatori dei corsi. L’NCP è coinvolto attivamente, dalla Commissione europea, nella definizione e nello sviluppo del progetto generale, mediante più incontri annuali durante i quali vengono discusse nuove idee ed eventuali punti critici dei corsi. L’NCP per l’Italia è presso il Ministero della Salute ([email protected]). I contractor inviano all’NCP tutte le informazioni e le istruzioni per l’iscrizione ai corsi, le quali devono essere divulgate alle Autorità nazionali competenti, in modo da poter raccogliere le adesioni, procedere ad un’eventuale selezione e comunicare tale selezione ai contractor stessi, in quanto questi non possono accettare iscrizioni che non siano approvate dall’NCP. La lista dei partecipanti viene poi inviata alla Commissione europea per la definitiva approvazione. Damiana Chelli Medico Veterinario 52 Formazione a distanza abbinata a SUMMA SUMMA ANIMALI DA COMPAGNIA ANIMALI DA REDDITO www.pviformazione.it/corsi-fad Abbonati a Summa € 36,00 Abbonati a un periodico PVI € 72,00 Non abbonati € 120,00 DisponibilI dal 15 febbraio 2015 Sponsor: Medicina felina: cosa è cambiato e cosa sta cambiando Buiatria oggi: sfide, problemi e soluzioni • 28 crediti ECM • 28 crediti ECM Provider standard ECM n. 27 da ottobre 2012 abbonamenti@pointvet. it tel. 0260852332 Sponsor: Numero 1/2015 ANIMALI SELVATICI Il CRAS di Napoli VINCENZO CAPUTO1, MARINA POMPAMEO4 PASQUALE RAIA2, VALERIO TOSCANO2, GIUSEPPE ALFIERO1, LUIGI DE LUCA BOSSA1, FRANCESCA CICCARELLI2, ANTONIO GARGIULO2, MARIANGELA SENSALE2, LUDOVICO DIPINETO3, FRANCESCA MENNA3, ALESSANDRO FIORETTI3 1 Centro di Riferimento Regionale per l’Igiene Urbana Veterinaria (C.R.I.U.V.) Centro di Recupero Animali Selvatici di Napoli (C.R.A.S.) 3 Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali, Università di Napoli Federico II 4 Presidio Ospedaliero Veterinario ASL NA 1 Centro 2 I l Centro di Recupero Animali Selvatici di Napoli (CRAS), di cui è titolare il Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali, nasce presso il Presidio Ospedaliero Veterinario dell’ASL Napoli 1 Centro, nell’anno 2010, con Decreto Dirigenziale n. 94 del 06.05.2010. La sua istituzione è stata, in primis, la risposta alla necessità di soccorrere la fauna selvatica rinvenuta in difficoltà in un ambiente altamente urbanizzato come la Regione Campania. La Legge 157/92, che norma la gestione della fauna selvatica in Italia, delega alle Regioni il compito di disciplinarne il soccorso e la detenzione ai fini del rilascio. In Regione Campania la gestione della fauna selvatica è disciplinata dalla L.R. 26/2012 e ss. mm. che, all’art. 4 comma 1, demanda alla Giunta regionale il compito di autorizzare, sentito l’Istituto Superiore Per la Ricerca Ambientale (ISPRA), l’istituzione di centri di recupero della fauna selvatica ai sensi dell’articolo 4, comma 6, della Legge 157/1992 con le finalità di soccorrere, riabilitare e reintrodurre in natura esemplari di fauna selvatica feriti. Tali autorizzazioni possono essere concesse al Corpo forestale dello Stato, ai Dipartimenti scientifici delle Università, alle associazioni venatorie, alle associazioni di protezione ambientale riconosciute dal Ministero dell’ambiente che operano in Campania. La medesima norma regionale, all’art. 4 comma 4, dispone che con apposito regolamento siano definite le disposizioni per l’attuazione delle norme contenute nella L.R. 8/96 che, in particolare, all’art. 5, definisce i criteri e i requisiti tecnico-scientifici concernenti le autorizzazioni relative ai CRAS. Operatività dei CRAS in Campania La Regione Campania con il Regolamento n. 4/2012 pubblicato sul BURC n. 22 del 10 aprile 2012, “Regolamento per il recupero, la detenzione e la reimmissione in natura della fauna selvatica in attuazione dell’articolo 5 della Legge regionale 10 aprile 1996, n. 8 (Norme per la protezione della fauna selvatica e disciplina della attività venatoria in Campania)”, distingue l’operatività dei CRAS in diversi livelli di soccorso: 55 Numero 1/2015 pronto soccorso altre asl 7% 6% privato 33% corpo di polizia 28% colte in un idoneo sistema informativo in grado di interfacciarsi con la banca dati dell’Osservatorio Epidemiologico Regionale Veterinario al fine di condividere le informazioni con valenza sanitaria ed epidemiologica. L’esempio di Napoli corpo di polizia, altre asl 1% enti/associazioni 21% corpo di polizia, enti/associazioni 4% Figura 1. Tipologia di conferitori. • Soccorso di primo livello Requisiti strutturali minimi, presenza di un medico veterinario responsabile e di un addetto qualificato di comprovata esperienza. • Soccorso di secondo livello Oltre ai requisiti strutturali minimi, deve essere dotato di un pronto soccorso veterinario 24h, servizi di diagnostica e di chirurgia specialistica. Altresì deve disporre di strumenti per la diagnostica delle malattie infettive anche ai fini del monitoraggio sanitario. • Strutture periferiche collegate ai CRAS Le strutture periferiche collegate ai CRAS, in quanto non destinate al soccorso, bensì all’esclusiva degenza per fini riabilitativi, non prevedono strutture ambulatoriali. Esse devono garantire, oltre ai requisiti minimi relativi alle gabbie e ai locali per lo stoccaggio di materie alimentari e attrezzature, la presenza di un addetto di comprovata esperienza biennale. Tali strutture, devono essere funzionali alle attività del CRAS di riferimento attraverso la sottoscrizione di appositi accordi funzionali. Le informazioni e i dati relativi alle attività dei CRAS e delle strutture relative periferiche devono essere rac- Figura 2. Tunnel di volo. 56 Il CRAS di Napoli di II livello accoglie la fauna selvatica proveniente dall’intero territorio regionale anche attraverso la collaborazione con il Corpo forestale dello Stato, la Polizia provinciale, le Associazioni ambientaliste, le Forze dell’Ordine, che garantiscono il recupero e il trasporto verso il Centro stesso della fauna selvatica bisognosa di soccorso. Si è altresì riscontrata un’importante risposta da parte dei privati cittadini sul delicato tema del recupero della fauna selvatica rinvenuta in difficoltà (figura 1). Gli esemplari selvatici rinvenuti in stato di difficoltà giungono al centro di recupero dove vengono sottoposti a visita medica - in regime di pronto soccorso - a cura del personale medico veterinario specializzato, tenuti in condizioni di isolamento prima della diagnosi definitiva e, se necessario, sottoposti a prestazioni specialistiche di II livello erogate presso il Presidio Ospedaliero Veterinario (POV). Quando opportuno, si procede alla raccolta di campioni biologici finalizzata alla ricerca di agenti patogeni eventualmente ospitati dall’animale selvatico ricoverato. A seguito della fase strettamente clinica o del trattamento chirurgico della patologia diagnosticata, inizia il percorso riabilitativo che termina con un periodo di degenza in apposite voliere denominate “tunnel di volo” (figura 2) Questi tunnel sono strutture congeniali adibite ad ottenere un graduale e costante esercizio fisico dei pazienti. Successivamente, accertato il pieno recupero degli esemplari ricoverati, viene programmata la fase di rilascio in natura, i cui tempi e luoghi sono individuati dai medici veterinari afferenti alla struttura. Questa fase si avvale anche del parere formulato dagli inanellatori, autorizzati dall’ISPRA a prestare la propria opera presso il CRAS. Numero 1/2015 Figura 3. Andamento dei ricoveri dall’anno 2010 al 2014. Figura 4. Classi animali ricoverate al CRAS espresse in percentuale. Cause antropiche Consegnato deceduto Starvation Cucciolo 5% 2% 1% 1% Ferite arma da fuoco 5% Subadulto 6% Altre cause cliniche 8% Pullus 25% Sequestro 36% Trauma 25% Figura 5. Le specie più frequentemente ricoverate nel 2014. Figura 6. Cause di ricovero al CRAS nel 2014 espresse in percentuale. Nel corso dei 5 anni di attività si è assistito a un progressivo aumento dei ricoveri, dovuto presumibilmente al consolidamento del sistema di collaborazione in rete che si è gradualmente sviluppato sul territorio e a una crescente coscienza ecologica e conservazionistica dei privati cittadini (figura 3). Nei primi 5 anni di attività sono stati ricoverati più di 6.000 animali tra i quali la classe animale più rappresentata è quella degli Uccelli (figura 4). Questa tendenza è confermata anche dai numeri riferiti all’anno 2014, dove le dieci specie ricoverate con maggiore frequenza sono rappresentate da volatili, tra le quali prevale il Cardellino (Carduelis carduelis), vittima di attività di uccellagione legata al commercio illecito (figura 5). Infatti, tra le diverse cause di ricovero presso il CRAS, la principale è dovuta all’attività di Polizia giudiziaria, esercitata soprattutto in ordine alla detenzione e traffico di specie particolarmente protette ai sensi della Legge 157 del 1992, seguita dalle cause traumatiche e dal ricovero di esemplari immaturi rinvenuti anche in aree urbanizzate. Una quota più che significativa di ricoveri è dovuta a lesioni da arma da fuoco, riferibili alla pratica del bracconaggio, purtroppo ancora ben radicata in alcuni contesti regionali (figura 6). Le diverse cause di ricovero indicano una costante influenza delle attività antropiche su queste specie. Infatti, numerosi dei traumi riportati in questi pazienti sono da ricondurre ad impatti contro autoveicoli e strutture in contesti urbanizzati, o ancora, contro pale eoliche e cavi elettrici ad alta tensione. Anche il ricovero dei nidiacei (pulli) e dei cuccioli, spesso è una conseguenza di un improvvido intervento da parte dell’uomo o è la diretta conseguenza della consolidata abitudine di alcune specie sinantropiche, come il Gabbiano reale, di nidificare in aree ad alta urbanizzazione, dove la prole, una volta lasciato il nido, non può più usufruire delle cure parentali come avviene in ambiente naturale. Questo fenomeno, osservato da tempo, è da addebitare in maniera preponderante all’aumento delle fonti alimentari disponibili presso gli insediamenti umani o nelle aree periurbane, come le discariche, che hanno contribuito, insieme alla frammentazione degli habitat naturali, a un incontrollato aumento demografico di dette specie. 57 Numero 1/2015 Foto 1. Rx di un esemplare di Falco pellegrino ricoverato per lesioni da arma da fuoco. Si notano la rosa di pallini da caccia e la frattura dell’ulna destra. ra ttu ru Tr a sf er C im on en se to in gn at al o tra de st ce Af fid o en eg D du te to a si Eu ta na io sc la Ri D ec es so La pratica del bracconaggio provoca ancora numerosi ricoveri, soprattutto tra i rapaci che molto frequentemente sono rinvenuti con gravi ferite da arma da fuoco, spesso con fratture, e al momento del ricovero vengono sottoposti all’opportuno esame radiografico per il rilievo dei pallini da caccia, indispensabile anche ai fini delle comunicazioni di reato all’A.G. (foto 1) I dati elaborati, riferiti all’attività di recupero finora effettuata, rivelano una significativa quota di esemplari rilasciati in natura, considerate anche le condizioni critiche in cui versano molti degli animali al momento del conferimento presso il centro di recupero (figura 7). Il CRAS di Napoli opera, nell’ambito delle sue attività, in sinergia con il Centro di Riferimento Regionale per l’Igiene Urbana Veterinaria (CRIUV), istituito dalla Giunta regionale della Campania con la delibera n. 1940 del 30/12/2009, già inserito nel Piano Figura 7. Esiti dei ricoveri nel quadriennio 2010-2014. 58 sanitario regionale 2011/2013 quale strumento operativo di approfondimento e analisi del rischio in materia di igiene urbana veterinaria. Il CRIUV ha tra gli obiettivi lo sviluppo di modelli di gestione del rischio legato alla presenza, negli agglomerati urbani, di animali sinantropici e la messa a punto di strategie ecoepidemiologiche applicabili in tutte le ASL della Regione utilizzando gli animali come sentinelle ambientali. Gli esemplari deceduti nel corso del ricovero vengono conferiti, ai sensi del Regolamento regionale n. 4 del 2012, all’IZS del Mezzogiorno o al CRIUV per l’accertamento delle cause di morte. Il Regolamento regionale n. 4/2012 nel definire i criteri di funzionamento dei centri di recupero della fauna selvatica ha istituzionalizzato, a cura del CRIUV, la funzione di supporto sanitario ai CRAS, funzione di fatto già operativa dal 2010 e che prevede sia l’erogazione agli animali selvatici ricoverati di prestazioni assistenziali di elevata specialità (clinica, chirurgica e diagnostica), sia indagini sulle patologie infettive e parassitarie, con particolare riferimento alle malattie con rischio zoonotico. Pertanto, il CRAS, in coessenzialità con il CRIUV riveste un ruolo di osservatorio privilegiato per quanto concerne la raccolta dei dati epidemiologici finalizzati alla tutela della salute pubblica partecipando attivamente anche all’attuazione del “Piano di gestione e monitoraggio ai fini epidemiologici della fauna selvatica in Regione Campania”, fornendo i dati epidemiologici relativi al campionamento eseguito, quando opportuno, sugli esemplari ricoverati. Gli stessi, assumono alla luce di quanto espresso in precedenza, il ruolo di “sentinelle ambientali”. Inoltre, il CRAS, attraverso i medici veterinari specialisti che vi afferiscono, collabora con il personale veterinario CRIUV, al campionamento mediante il prelievo di tamponi cloacali, tamponi tracheali e feci sulle specie ornitiche individuate dal succitato piano monitoraggio sanitario per la ricerca dei virus influenzali presso le Stazioni di Cattura di Inanellamento, autorizzate dalla Regione Campania su parere dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA). Nell’ambito del medesimo piano si effettua la raccolta di campioni ematici dagli esemplari di Lepre europea destinati al ripopolamento nelle 5 Provincie campane per il monitoraggio della Tularemia e della Sindrome della Lepre Bruna (EBHS). Inoltre, sono numerosi gli incontri con gli addetti al settore e con i medici veterinari dei Distretti delle ASL campane, referenti per il piano di monitoraggio, finalizzati alla messa in atto dei campionamenti sulla popolazione di cinghiali abbattuti durante l’attività venatoria per la ricerca della trichinella. Ringraziamenti Le molteplici e diversificate attività del CRAS di Napoli si avvalgono della preziosa partecipazione dei medici veterinari tirocinanti e dei volontari che vi afferiscono, il cui contributo è sostanziale ai fini del perseguimento degli obiettivi prefissati. A loro va rivolto un doveroso ringraziamento per la passione e la competenza con le quali si impegnano quotidianamente nella gestione del centro di recupero. Numero 1/2015 AGGRESSIVITÀ CANINA Gestione dei cani pericolosi: una proposta di linee guida per i servizi veterinari MARIO MARINO, MAURO GNACCARINI, MAURO MORETTA, PATRIZIA MORERO Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva - ASL TO 3 L a necessità di tutelare sia la sicurezza delle persone sia il benessere degli animali nei casi di aggressività impropria e conseguente pericolosità dei cani, rappresenta oggi un tema che sempre più spesso coinvolge i servizi veterinari e che può porre il veterinario ufficiale di fronte a processi decisionali assai problematici, anche a causa di un quadro normativo complesso, variegato e non esaustivo, oltre che del grande rilievo mediatico che l’argomento suscita. Argomento che, peraltro, non è scevro da delicate valutazioni di tipo etico; infatti, qualora divenisse inevitabile giungere alla certificazione di “irrecuperabilità” dei cani pericolosi, quale condizione oggi indispensabile - come sarà meglio di seguito argomentato per poter procedere in taluni casi, all’eutanasia per “comprovata pericolosità” -, occorrerebbe aver già validamente definito i criteri e i metodi per un corretto compimento di tale percorso. La scelta estrema della soppressione eutanasica è naturalmente soggetta alla sempre più rilevante sensibilità dell’opinione pubblica oltre che, evidentemente, del “mondo animalista”. Una sensibilità già da tempo ben percepita e conseguentemente “tradotta” dal legislatore nei codici; sicché scelte avventate o comunque non validamente motivate, potrebbero esitare nella contestazione di gravi responsabilità penali; giova in proposito ricordare come il quadro normativo, complessivamente esaminato, indica l’eutanasia come pratica ammessa solo nel caso sia inevitabile, quindi sostanzialmente attuabile solo “nell’interesse dell’animale”, mentre il cagionarne la morte “senza necessità” concretizza la fattispecie contemplata dall’art. 544-bis del vigente Codice penale, illecito per il quale è prevista la condanna da tre a diciotto mesi di reclusione. Com’è noto le cause di necessità che possono giustificare la scelta eutanasica sono state inizialmente contemplate nella Legge quadro in materia di animali di affezione (L. 281/91 - art. 2 c. 6) e prevedono le condizioni di malattia grave, incurabile e, appunto, la comprovata pericolosità. Quest’ultima circostanza, alla luce della notevole evoluzione normativa in materia e dei progressi scientifici realizzati con l’avvento e lo sviluppo delle scienze veterinarie comportamentali, oltre a richiedere criteri diagnostici specialistici, diviene di per sé insufficiente a giustificare l’eutanasia poiché, qualora ci fossero possibilità di recupero terapeutico/comportamentale, verrebbe meno quella stessa “necessità” posta dal legislatore alla base dell’eventuale legittimità a cagionar la morte dell’animale. Non meno insidiose possono risultare le decisioni da intraprendere per definire procedure atte a promuovere e garantire una corretta e sicura gestione dei cani potenzialmente pericolosi al fine di garantire l’incolumità delle persone, oltre che per tutelare e delimitare legalmente gli ambiti di responsabilità del veterinario pubblico chiamato a visitare cani morsicatori - o comunque pericolosi - che potrebbero causare ulteriori incidenti con effetti anche gravi. Proprio in considerazione delle succitate rilevanti difficoltà che il veterinario ufficiale può essere chiamato ad affrontare per la parte di competenza, affatto rilevante, nella gestione del “cane pericoloso”, gli autori, tutti veterinari dirigenti ASL impegnati nel settore, hanno ritenuto utile e opportuno cimentarsi preventivamente sul tema e con il presente articolo proporre all’attenzione e alla discussione indicazioni operative che possano assumere la caratteristica delle “linee guida”, essendo il frutto di uno studio condotto con approccio pratico e sulla base di “esperienze vissute” e che, almeno nelle intenzioni, potrebbero rappresentare il punto di partenza per un documento più ampiamente condiviso ed accreditato, finalizzato a promuovere comportamenti e modalità operative coerenti ed applicabili alle varie realtà territoriali, fermi restando gli eventuali necessari adeguamenti alle rispettive normative regionali. È peraltro fondamentale, in genere, ma ancor più nel caso in questione, la condivisione delle scelte operative, poiché gli Enti che possono essere coinvolti a vario titolo nei processi decisionali sono diversi così come molteplici potrebbero essere gli stakeholders di volta in volta presenti o po59 Numero 1/2015 Riquadro 1. Cronologia delle OM contingibili e urgenti concernenti la tutela dell'incolumità pubblica dall'aggressione dei cani. O.M. 27 agosto 2004 O.M. 28 marzo 2007 O.M. 22 marzo 2011 O.M. 3 ottobre 2005 O.M. 14 gennaio 2008 O.M. 6 agosto 2013 tenziali. Tale condivisione perciò, laddove si intendesse adottare un documento costituente “linee guida” in sintonia con la proposta operativa qui esposta, dovrebbe certamente tradursi almeno in una nota esplicativa (meglio se seguita da approfondimenti in specifici incontri) finalizzata a illustrarne sinteticamente lo spirito e la ratio, rivolta ai Sindaci del territorio, ai canili pubblici, al 118 e alle Forze dell’Ordine operanti sul territorio, all’Ente Regione, alla Facoltà ovvero al Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di riferimento, all’Ordine dei Medici Veterinari della Provincia, ai veterinari comportamentalisti che eventualmente possano trovarsi a collaborare a vario titolo con l’ASL. Al fine di evitare fraintendimenti, pare opportuno osservare come, in termini generali, s’intendono “linee guida” l’insieme delle raccomandazioni sviluppate sistematicamente, sulla base di conoscenze e riferimenti normativi continuamente aggiornati e validi, redatte allo scopo di rendere anche appropriati, oltre che dotati di un apprezzabile standard di qualità, comportamenti adeguati e sostenibili. Tali raccomandazioni, in quanto modelli di riferimento, non sono e non devono essere considerati “protocolli”, la cui caratteristica precipua è invece l’interpretazione univoca delle informazioni all’interno di uno strumento metodologico rigoroso, né tanto meno “procedure”, contraddistinte dall’elencazione di azioni dettagliate e specifiche. Gli autori hanno voluto in tale ottica considerare le linee guida più propriamente come principi ispiratori ed orientamenti di massima che, per quanto possibile, dal piano teorico si possano calare nella realtà analizzando casi concreti con diagrammi di flusso semplificativi. L’idea è quella di fornire un supporto ai veterinari pubblici nella loro qualità di professionisti con specifiche competenze, ferma restando la professionalità propria di ciascuno e senza che la linea guida possa limitarne l’irrinunciabile discrezionalità. La tutela dell’incolumità pubblica dall’aggressione dei cani è un argomento che ha preoccupato in modo evidente il legislatore nazionale sin dall’anno 2004 quando, visti gli episodi verificatisi sul territorio e ritenuta la necessità e l’urgenza di adottare, «in attesa della emanazione di una disciplina normativa organica in materia», disposizioni cautelari a tutela della salute pubblica, ha emanato la prima di una lunga serie di Ordinanze contingibili e urgenti con relative modifiche, aggiornamenti, reiterazioni e proroghe di cui l’ultima, datata 6 agosto 2013, è ancora vigente in 60 O.M. 12 dicembre 2006 O.M. 3 marzo 2009 D.M. 28 agosto 2014 virtù del DM 28 agosto 2014 (riquadro 1). Ad oggi tuttavia non è ancora stata emanata la preannunciata “specifica normativa organica”; è necessario quindi fare riferimento alla citata attuale Ordinanza e alle eventuali specifiche normative regionali che comprendano provvedimenti pertinenti; come è il caso, ad esempio, delle regioni Piemonte e Toscana che già dal 2009 si sono dotate di leggi regionali che disciplinano l’argomento. In particolare la Regione Piemonte ha emanato una legge regionale specificatamente dedicata alla disciplina del rapporto persone-cani per la prevenzione della salute pubblica e del benessere animale; la regione Toscana ha invece provveduto inserendo specifici articoli inerenti i temi della valutazione e gestione dei cani pericolosi all’interno della norma generale per la tutela degli animali (riquadro 2 e 3). Gli elementi salienti dell’OM 6/8/13 prevedono il principio di responsabilità del proprietario/detentore del cane (anche relativamente all’adeguatezza del suo comportamento alle specifiche esigenze di convivenza con le persone e gli animali rispetto al contesto in cui vive), la disciplina dell’uso del guinzaglio e della museruola, l’istituzione di percorsi formativi per i proprietari di cani (patentino) da rendersi obbligatori in determinati casi, gli obblighi per i proprietari di cani classificati a rischio elevato; ai Servizi veterinari compete la valutazione del rischio aggressività mediante l’accertamento delle condizioni psicofisiche dell’animale e della corretta gestione da parte del proprietario, l’eventuale adozione di misure di prevenzione e la prescrizione della valutazione comportamentale e/o dell’intervento terapeutico da parte di medici veterinari esperti in comportamento animale. D’altra parte è necessario tener presente che rimane sempre vigente l’obbligo di osservazione sanitaria dei cani morsicatori per il controllo della rabbia ai sensi dell’art. 86 DPR 320/1954; quindi, pur in considerazione dell’attuale favorevole situazione epidemiologica della rabbia nel nostro Paese, è opportuno mantenere una soglia di attenzione sufficiente nei confronti del possibile rischio di diffusione della malattia legato in particolar modo al fluente commercio di cani e gatti provenienti dall’Est Europa, nonché ai sempre più frequenti spostamenti di animali da compagnia a seguito dei viaggiatori da e verso luoghi dove il virus è endemico. La visita dei cani morsicatori diviene quindi il momento centrale per valutare sia il “rischio rabbia” sia il “rischio pericolosità comportamentale”. A tal fine si dovrà sempre procedere ad eseguire una specifica visita e un’indagine epidemiologica. Numero 1/2015 Riquadro 2. Sintesi della Legge regionale Piemonte n. 27 del 4 novembre 2009 “Disciplina del rapporto persone-cani per la prevenzione della salute pubblica e del benessere animale”(*) (*) Manca il provvedimento attuativo che ai sensi dell’art. 9 della medesima LR 27/09 avrebbe dovuto essere emanato entro 120 giorni dalla sua entrata in vigore ovvero entro il 13 marzo 2010 • Si definisce “cane ad aggressività non controllata” il soggetto che lede o che inequivocabilmente attenta all’integrità fisica di una persona o di altri animali attraverso un comportamento aggressivo non controllato dal proprietario o detentore dell’animale. • Si definisce “addestratore cinofilo”, ai sensi del disciplinare degli addestratori cinofili e dei valutatori cinofili approvato con decreto del direttore generale del ministero delle politiche agricole e forestali dell’8 marzo 2005, il tecnico abilitato: a) a educare i cani ed a prepararli al superamento delle verifiche zootecniche previste dalle differenti prove di lavoro in modo da esaltarne le specifiche qualità naturali a seconda dell’impiego e della loro affidabilità; b) a impartire insegnamenti aventi la finalità di favorire la convivenza tra uomo e cane, l’inserimento del cane nella vita sociale, sviluppandone le capacità di apprendimento e indirizzandole verso l’impiego specifico di ciascuna razza; c) a migliorare la responsabilizzazione dei proprietari nella gestione dei loro cani con insegnamenti finalizzati all’ottenimento di affidabilità, equilibrio e docilità dei cani medesimi. • Si definisce “valutatore cinofilo”, ai sensi del disciplinare di cui al comma 3, l’esperto abilitato a valutare, attraverso test comportamentali, il controllo dell’affidabilità e dell’equilibrio psichico dei cani. Il detentore di cani ad aggressività non controllata ha l’obbligo di vigilare con particolare attenzione sulla detenzione degli stessi al fine di evitare ogni possibile aggressione a persone, ottemperando alle prescrizioni di seguito riportate nonché a tutte le disposizioni specifiche di livello nazionale e locale per la gestione di cani a rischio. • La visita veterinaria comportamentale La visita veterinaria comportamentale è obbligatoriamente disposta per tutti i cani giudicati “ad aggressività non controllata” ed è mirata ad esprimere un giudizio sulla pericolosità del cane non oltre i quaranta giorni dall’evento. Se necessario si può prescrivere un percorso formativo per i proprietari di cani ad aggressività. • Il percorso formativo per proprietari di cani ad aggressività non controllata a) È organizzato dal comune, in collaborazione con l’ASL, l’ordine professionale dei medici veterinari, la Facoltà di Medicina Veterinaria, le associazioni veterinarie e le associazioni di protezione degli animali. b) Deve avvalersi di una equipe composta da un veterinario comportamentalista, da un valutatore e da un addestratore cinofilo. c) Deve prevedere un esame valutativo esteso alla relazione uomo-animale. d) Deve certificare il controllo dell’affidabilità e dell’equilibrio psichico del cane. • Le prescrizioni sino al superamento del test di affidabilità del cane Fino al superamento del test il detentore di cani ad aggressività non controllata ha i seguenti obblighi: a) Applicare sia il guinzaglio sia la museruola ai cani quando si trovano nelle vie o in un altro luogo aperto al pubblico; b) Stipulare una polizza di assicurazione di responsabilità civile per i danni a terzi causati dal proprio cane. • La possibilità di rinuncia Il detentore dei cani ad aggressività non controllata ha facoltà di rinunciare all’animale, ma è obbligato a sostenere le spese di mantenimento e rieducazione sino a un nuovo affidamento. • Il mancato superamento del test di affidabilità del cane Qualora il detentore dei cani ad aggressività non controllata non superi il test o non vi si sottoponga e i servizi veterinari ne certifichino l’incapacità di gestione del cane, il Comune, su richiesta dell’ASL competente, adotta un provvedimento di sequestro del cane e, qualora ne ricorrano i presupposti, l’ASL ne certifica l’irrecuperabilità. • Gli oneri Gli oneri economici connessi al mantenimento, alle visite veterinarie comportamentali e alla rieducazione dell’animale sono interamente a carico del detentore dello stesso. • Le sanzioni I detentori di cani che violano le disposizioni di cui all’articolo 5 («obbligo di vigilanza, di visita veterinaria comportamentale, adozione di guinzaglio e museruola e stipula polizza assicurativa»), sono puniti con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma compresa tra un minimo di 1.000,00 euro e un massimo di 5.000,00 euro (1.667,00 euro in caso di pagamento in misura ridotta). La recidiva comporta un aumento di un terzo della sanzione pecuniaria. Esistono molti protocolli operativi adottati nelle varie Regioni per il controllo sanitario dei cani morsicatori, ciascuno corredato da propria specifica modulistica. Quello della regione Piemonte, cui qui si accenna per utile esemplificazione, fornisce alcuni criteri per la valutazione dei rischi, individuando gli elementi rilevanti per 61 Numero 1/2015 Riquadro 3. Sintesi della Legge regionale Toscana n. 59 del 20 ottobre 2009 “Norme per la tutela degli animali” e relativo Regolamento (DPGR 4 agosto 2011, n. 38/R) • Controllo cani morsicatori Ai fini della valutazione del rischio e dei successivi provvedimenti di prevenzione e di polizia veterinaria, le morsicature e le aggressioni di cani devono essere segnalate al servizio veterinario dell’azienda USL di riferimento che sottopone a controllo veterinario i cani morsicatori. • Misure di prevenzione e intervento terapeutico comportamentale I medici veterinari del servizio veterinario regionale, nel caso di rilevazione di rischio potenziale elevato, in base alla gravità delle lesioni provocate a persone, animali o cose, stabiliscono le misure di prevenzione e la eventuale necessità di un intervento terapeutico comportamentale da parte di medici veterinari esperti in comportamento animale, con spese a carico del proprietario o del detentore. • Accertamento della pericolosità dell’animale La condizione di comprovata pericolosità dell’animale per l’incolumità delle persone è attestata da una commissione composta da tre medici veterinari, tra cui un veterinario comportamentalista, ove presente all’interno dell’azienda unità sanitaria locale. • Incapacità di gestione e sequestro Qualora, al termine dell’intervento terapeutico comportamentale, i servizi veterinari dell’azienda USL accertino l’incapacità di gestione del cane da parte del proprietario o del detentore, l’autorità sanitaria territorialmente competente adotta un provvedimento di sequestro finalizzato alla confisca del cane. • Possibilità di rinuncia Il proprietario o il detentore ha la facoltà di rinunciare alla custodia del cane dichiarato a rischio potenziale elevato, tuttavia è obbligato a sostenere le spese di mantenimento e dell’intervento terapeutico comportamentale, sino al momento di un’eventuale cambiamento di proprietà. • Cani irrecuperabili Qualora un cane venga certificato come “irrecuperabile” può essere mantenuto, a spese del proprietario o del detentore, presso strutture autorizzate che garantiscano l’incolumità a persone e altri animali nonché le condizioni di cui alla presente legge, o con le stesse garanzie ceduto a un’associazione per la protezione degli animali. • Registro cani a rischio potenziale elevato I servizi veterinari devono tenere un registro aggiornato dei cani identificati a rischio potenziale elevato. • Divieto di soppressione - È vietato sopprimere gli animali se non perché gravemente malati e incurabili. - È consentita la soppressione di soggetti ritenuti di comprovata pericolosità per l’incolumità delle persone. - La soppressione è effettuata in modo eutanasico; provvedono alla soppressione degli animali solo i medici veterinari che rilasciano al responsabile dell’animale un certificato dal quale risulti la causa della soppressione. • Promozione delle competenze comportamentali La Regione promuove, nel quadro dell’educazione continua dei medici veterinari del servizio sanitario regionale, lo sviluppo di competenze tecniche di medicina comportamentale. la valutazione sia del rischio rabbia («la posizione anagrafica del cane, gli eventuali soggiorni in zone a rischio o smarrimenti dell’animale negli ultimi 6 mesi, la copertura vaccinale antirabbica, la presenza di lesioni con soluzione di continuo della cute del morsicato, la presenza di aspetti comportamentali anomali riferiti dal proprietario e l’ipotesi riferita sull’evento scatenante la morsicatura, eventuali precedenti episodi di morsicatura inferta e/o subita dall’animale») sia del rischio pericolosità («caratteristiche del cane morsicatore, contesto in cui si è svolto l’evento, caratteristiche del morsicato, ambito familiare, precedenti episodi di morsicatura inferta dal cane, la presenza di aspetti comportamentali anomali riferiti dal proprietario e l’ipotesi riferita sull’evento scatenante la morsicatura»). 62 Per quanto concerne i criteri di valutazione dei cani aggressivi si può ormai fare riferimento a un’ampia bibliografia esistente anche in rete, così come, analogamente, sono rese facilmente disponibili varie tipologie di schede a punti finalizzate ad oggettivare il livello di rischio di ciascun cane. Le Linee guida qui proposte non intendono dunque entrare nel merito delle singole valutazioni professionali, ma si propongono come ausilio e supporto nei percorsi decisionali; a partire dalla situazione normativa vigente integrano i protocolli esistenti nelle varie realtà con flow chart che in modo semplice (anche per il codice colore ispirato al semaforo stradale) possono suggerire quali scenari risultino più congeniali e meno problematici in ciascuna fase del processo, fornendo anche i facsimile di ordinanze sindacali Numero 1/2015 proponibili alle amministrazioni comunali per ogni caso contemplato dai diagrammi stessi. Una considerazione particolare deve essere rivolta al percorso formativo “obbligatorio” previsto per i proprietari di cani a rischio potenziale elevato. In questo caso, infatti, ai sensi del DM 26/11/2009, la formazione prevede pure la consulenza di un medico veterinario esperto in comportamento animale per una valutazione comportamentale sul cane volta a individuare il percorso formativo e terapeutico più idonei, e deve comprendere anche moduli didattici pratici sull’interazione cane-proprietario. Al termine del percorso il proprietario deve effettuare un test di verifica predisposto dal servizio veterinario volto a valutare le conoscenze (ed evidentemente anche le competenze) acquisite. Questa percorso deve necessariamente essere mirato e personalizzato per la specifica coppia detentore/cane e deve essere inserito nell’iter diagnostico/prognostico/terapeutico/riabilitativo/formativo (come di seguito definito nelle linee guida) attuato, su specifica prescrizione del veterinario ufficiale, dal veterinario specialista in Medicina veterinaria comportamentale eventualmente coadiuvato da collaboratori con la qualifica di educatori/addestratori/istruttori cinofili. Al fine della corretta adozione delle flow chart che qui si propongono, occorre infine considerare che, qualunque protocollo operativo si adotti nella fase di prima visita e valutazione del cane morsicatore - o comunque segnalato come problematico e/o pericoloso, è necessario che il medico veterinario coinvolto (che potrebbe anche non essere un esperto in materia) possa comunque giungere a definire almeno se l’episodio sia da considerarsi del tutto accidentale, ovvero se sia necessario e sufficiente prescrivere particolari modalità di detenzione e gestione, oppure se si ritiene necessaria la prescrizione di una visita veterinaria comportamentale. Linee guida per la gestione dei cani pericolosi 1. In base ai criteri di rischio aggressività valutati durante la visita veterinaria e contestuale indagine epidemiologica («specificando che tale visita potrà avvalersi anche dell’intervista alla persona morsicata e si potrà eseguire non soltanto a seguito di segnalazione di morsicatura, ma anche nei casi di segnalazioni di comportamenti aggressivi impropri e/o non controllati») si può determinare che (figura 1): a) l’episodio morsicatura è avvenuto con modalità e in contesti tali da far escludere un reale rischio di potenziale pericolosità del cane; b) è sufficiente prescrivere modalità di detenzione e gestione particolari (guinzaglio, museruola, recinto, gestione del cancello ecc.), ma non si reputa necessaria una valutazione specialistica mediante prescrizione di una visita veterinaria comportamentale; c) è necessario prescrivere una visita veterinaria comportamentale. Figura 1. Linee guida per la gestione dei cani pericolosi: punto 1. 63 Numero 1/2015 Figura 2. Linee guida per la gestione dei cani pericolosi: punto 2. Figura 3. Linee guida per la gestione dei cani pericolosi: punto 3. 64 Numero 1/2015 Figura 4. Linee guida per la gestione dei cani pericolosi: punto 4. 2. Nel caso di prescrizione di visita veterinaria comportamentale si può verificare che (figura 2): d) il proprietario del cane provveda; e) il proprietario del cane si rifiuti di provvedere; f) il proprietario decida di rinunciare al cane. 3. Nel caso di visita medico veterinaria comportamentale si può verificare che (figura 3): g) il veterinario specialista certifichi che il cane non è potenzialmente pericoloso; h) il veterinario specialista certifichi che il cane necessita di ulteriori approfondimenti/trattamenti/percorsi riabilitativi e/o il proprietario necessiti di un percorso formativo mirato al binomio uomo/cane; i) il veterinario specialista certifichi che il cane è pericoloso e non recuperabile; J) il veterinario specialista certifichi l’incapacità di gestione del cane da parte del proprietario. 4. Nell’eventualità in cui il veterinario specialista in Medicina veterinaria comportamentale abbia prescritto un ulteriore iter diagnostico/prognostico/terapeutico/riabilitativo/formativo si possono verificare i seguenti casi (figura 4): k) il proprietario decide di interrompere oppure non è in condizioni di proseguire l’iter proposto; l) l’iter si conclude con la certificazione del controllo dell’affidabilità e dell’equilibrio psichico del cane nel contesto in cui viene gestito (anche, eventualmente, condizionata al rispetto di piani terapeutici e/o programmi riabilitativi); m) l’iter si conclude con la certificazione di non recuperabilità del cane; n) l’iter si conclude con la certificazione di l’incapacità di gestione del cane da parte del proprietario; 5. Nell’eventualità in cui il cane sia dichiarato irrecuperabile e sottoposto a sequestro con provvedimento del sindaco (facsimile all. “D”), si possono verificare i seguenti casi (figura 5): o) è possibile la detenzione in sicurezza e rispettosa del benessere animale presso una struttura adeguata e il proprietario (oppure 65 Numero 1/2015 Figura 5. Linee guida per la gestione dei cani pericolosi: punto 5. - in alternativa - amministrazione comunale, associazione/i animalista/e o altri soggetti) è in grado di sostenere le spese; p) non è possibile o sostenibile (anche dal punto di vista economico) la detenzione in sicurezza e rispettosa del be- nessere animale presso una struttura adeguata1. Tenuto conto delle ipotesi di cui al punto “o” l’eventuale eutanasia di cui al punto “p” rimane dunque un’evenienza del tutto marginale. Allegati ©Fotolia .com Si riportano di seguito gli allegati “A”, “B”, “C”, “C1”, “D”, “E” alle linee guida. 1 Questa decisione deve essere determinata da una Commissione composta dal proprietario del cane, dal gestore del canile ospitante, da un rappresentante delle Associazioni animaliste e dal veterinario ufficiale competente alla vigilanza sulla struttura di ricovero del cane. In particolare il proprietario del cane dovrà essere formalmente convocato e la sua eventuale assenza non invaliderà le determinazioni della Commissione, ma di tale circostanza dovrà essere dato atto nel verbale. 66 Numero 1/2015 67 ©Fotolia .com Numero 1/2015 68 Numero 1/2015 69 Numero 1/2015 70 ©Fotolia .com Numero 1/2015 71 PRINCIPI DI MICROECOLOGIA DEGLI ALIMENTI Valerio Giaccone Giampaolo Colavita Q uesto volume è un valido mezzo di consultazione per tutti coloro che, operando nel settore dell’Igiene degli alimenti, hanno la necessità di trovare un valido mezzo di di consultazione che riporti nozioni essenziali, ma aggiornate sui microrganismi degli alimenti e soprattutto sugli effetti che le varie flore microbiche possono procurare alla salute umana o alla qualità delle derrate alimentari. Gli autori, come Docenti che si occupano di Salute Pubblica e di Igiene delle produzioni alimentari, hanno portato al centro dell’attenzione, gli alimenti, perché sono essi che determinano nel bene o nel male il destino dei microrganismi, che più o meno occasionalmente li popolano. L’Ecologia è quella scienza che studia i rapporti tra l’uomo e l’ambiente che lo circonda. Grazie alle conoscenze raccolte negli ultimi anni, oggi sappiamo che anche i microrganismi che popolano gli alimenti, nel loro insieme, si possono vedere come un essere vivente unitario. Per traslato, quindi, la Scienza che studia i rapporti tra il microbiota e l’ambiente in cui esso si trova (l’alimento) non può che chiamarsi Ecologia microbica degli alimenti o, per crasi, Microecologia degli alimenti. Il testo, che non è infarcito di troppi tecnicismi, è semplice, agile, fruibile e di facile lettura. Edizione aprile 2015 - Brossura, 160 x 240 mm - 224 pagine SCONTO 15% Prezzo di copertina: € 35,00 Prezzo scontato*: € 29,75 * spese di spedizione escluse PER ORDINARE IL VOLUME Direttamente on line sul sito www.pointvet.it Presso le librerie fiduciarie PVI (elenco consultabile sul sito www.pointvet.it) @ Inviando una mail a: [email protected] Telefonando allo 02/60 85 23 32 (dal lunedì al venerdì dalle 9.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 18.00) Inviando un fax allo 02/668 28 66 PER ORDINI E INFORMAZIONI: tel. 02 - 60.85.23.32 - www.pointvet.it e-mail: [email protected] Numero 1/2015 RISCHIO ZOONOTICO Prevenzione negli impianti di macellazione ARNALDO D’ORAZIO1, GIAMPAOLO COLAVITA2 1 Tecnico della prevenzione, Dipartimento di Prevenzione, SIAN, ASL 2 Abruzzo. Docente di Ispezione e Controllo degli Alimenti - Dipartimento di Medicina e Scienze della Salute “V. Tiberio”, Università del Molise, Campobasso. 2 P er il fatto di essere degli spazi confinati, gli impianti di macellazione degli animali comportano, per il personale che vi lavora, il rischio di contrarre malattie zoonotiche in quanto, spesso, tanti animali sono a stretto contatto con molte persone e questo può favorire la trasmissione di agenti infettivi dagli animali agli esseri umani. Negli impianti di macellazione il rischio biologico può interessare tutte le figure professionali: addetti e veterinario ispettore che opera negli stessi ambienti lavorativi e riveste il doppio ruolo di tutore della sicurezza alimentare e di tutore della sicurezza dei lavoratori, soprattutto per quanto concerne i rischi da agenti zoonotici. Le zoonosi, quindi, rappresentano una parte significativa delle malattie professionali nel contesto lavorativo dei macelli. Già nel 1886, a Vienna, il carbonchio ematico veniva riconosciuto come malattia professionale e il primo documento di una certa rilevanza, riguardo tali malattie di interesse veterinario, dal titolo “Considerazioni generali sopra l’importanza della Medicina veterinaria nel campo assicurativo” è stato redatto da Barboni e Monesini nel 1955 [18]. Nella filiera produttiva delle carni le condizioni e le modalità di lavoro espongono il personale e gli stessi veterinari addetti ai controlli ufficiali, al contatto con urine, feci, sangue, visceri e altri materiali di animali potenzialmente infetti. Il lavoratore può contagiarsi per via cutanea, in presenza di lesioni anche minime, oppure l’agente zoonotico può penetrare attraverso la mucosa orale, congiuntivale e nasale. Le conseguenze dell’esposizione ai più comuni agenti zoonotici possono variare dalla semplice siero-conversione, alla malattia con manifestazioni estremamente variabili in quanto a sintomatologia e gravità. Il livello di rischio può variare in relazione alle specifiche mansioni, alla tipologia dei contatti con gli animali e alle condizioni ambientali, e sovente gli stessi operatori hanno una scarsa percezione dei rischi a cui possono essere esposti. Da uno studio condotto nel 2009 in Corea del Sud, in 73 mattatoi e 62 impianti dove si lavoravano scarti di macellazione, il grado di consapevolezza da parte degli addetti, circa il rischio di contrarre zoonosi, era più basso rispetto ad altri lavoratori, anche se il livello di informazione tendeva ad aumentare proporzionalmente al livello di scolarizzazione. La principale ragione per cui gli addetti nei mattatoi sottovalutano il rischio zoonosi è data dalla mancata conoscenza degli agenti infettivi implicati [17, 22]. Le zoonosi occupazionali nei macelli Tradizionali agenti di zoonosi sono: Brucelle, Leptospire, Mycobatteri, Erysipelotrix rhusiopatiae, Bacillus anthracis, ma particolare attenzione va posta nei confronti di agenti zoonotici emergenti quali: prioni (TSE, BSE), virus dell’influenza aviaria e Streptococcus suis, dei quali va meglio definita la trasmissibilità per cause professionali. Il materiale biologico a rischio di contaminazione per l’uomo varia in base al tipo di agente biologico, ad esempio, l’urina dei suini nel caso di Leptospira spp., l’utero e le mammelle di bovini e ovini per Brucella spp. Il D.lgs. 81/2008, inerente la sicurezza sul lavoro, prevede norme di protezione verso gli agenti biologici, che sono classificati in base a indici di pericolosità e ripartiti in 4 gruppi: - gruppo 1: agenti con poche probabilità di causare malattia; - gruppo 2: agenti che possono causare malattia e rappresentano un rischio per i lavoratori, ma per i quali sono di norma disponibili efficaci misure profilattiche e terapeutiche; - gruppo 3: possono causare malattia grave e costituire un serio rischio per i lavoratori. Sono di norma disponibili efficace misure profilattiche e terapeutiche; - gruppo 4: possono causare malattia grave e costituiscono un serio rischio per i lavoratori, con elevata probabilità di propagazione nella comunità. Non esistono efficaci misure profilattiche e terapeutiche [26]. I principali agenti zoonotici, che in qualche modo possono implicare un rischio di esposizione per i lavoratori a contato con animali o prodotti di origine animale, sono riportati in tabella 1. In generale, se le conoscenze circa i principali agenti di zoonosi sono ben note, l’individuazione degli altri elementi, im73 Numero 1/2015 Tabella 1. Principali agenti di zoonosi occupazionale nei macelli. A: possibili effetti allergici; T: produzione di tossine; V: vaccino efficace disponibile. (**) agenti classificati nel gruppo 3 che possono comportare un rischio di infezione limitato, perché normalmente non sono veicolati dall'aria Malattia Agente responsabile Actinobacillosi Actinobacillus spp. Actinomicosi Actinomyces pyogenes Classe di rischio Principale serbatoio animale Trasmissione 2 Bovini, ovi-caprini Indiretta 2 Bovini Indiretta Carbonchio ematico Bacillus anthracis 3 Bovini, ovi-caprini, equini Diretta, indiretta Brucellosi Brucella spp. 3 Bovini, bufalini, ovi-caprini, suini Diretta, indiretta Morva Burkholderia mallei 3 Equidi Diretta, indiretta Campylobacteriosi Campylobacter spp. 2 Bovini, ovini, suini, volatili Diretta, indiretta Psittacosi/Ornitosi Chlamydia psittaci (ceppi aviari) 3 3 Volatili, bovini, ovini Diretta Febbre Q Coxiella burnetii 3 Bovini, ovi-caprini Diretta, indiretta Mal rossino Erysipelothrix rhusopathiae 2 Suini, volatili Diretta Sindrome Emolitica Uremica Escherichia coli, ceppi verocitotossici (es. O157:H7 oppure O103) 3 (**) T Bovini, suini Diretta Tularemia Francisella tularensis (Tipo A) 3 Lagomorfi Diretta, indiretta Leptospirosi Leptospira interrogans Tutti i mammiferi Diretta, indiretta Tubercolosi Mycobacterium avium/intracellulare volatili Diretta, indiretta Tubercolosi Mycobacterium bovis (ad eccezione del ceppo BCG) 3V Bovini, bufalini Diretta, indiretta Tubercolosi Mycobacterium tuberculosis 3V Bovini, bufalini Diretta, indiretta Salmonellosi Salmonella spp. 2 Tutte le specie animali Diretta, indiretta Streptococcosi Streptococcus suis 2 Suini Diretta Epatite E Virus dell'epatite E 3(**) suini Diretta, indiretta Influenza aviaria Orthomyxovirus, tipo A Uccelli domestici e selvatici Diretta, indiretta BSE e TSE Agenti di Encefalite spongiforme ed altre TSE 3(**) Bovini, ovi-caprini Diretta, indiretta Echinococcosi Echinococcus granulosus; Echinococcus multilocularis; Echinococcus vogeli 3(**) Bovini, ovi-caprini Suini Diretta Dermatomicosi Microsporum spp. 2A Equini, suini, avicoli Diretta Dermatomicosi Trichophyton spp. 2 Bovini, equini, avicoli lagomorfi Diretta 2 portanti per una corretta valutazione del rischio, presenta delle lacune dovute ai pochi dati sulle zoonosi professionali, alla frammentarietà delle indagini epidemiologiche svolte sui lavoratori e, in alcuni casi, alla mancata diagnosi eziologia di alcune forme infettive [21, 27]. Brucellosi Nella specie umana la brucellosi è caratterizzata da sintomi simil-influenzali come febbre, mal di testa e spossatezza. Tuttavia possono aversi gravi infezioni a carico del sistema nervoso centrale ed endocarditi. In alcuni casi si hanno sintomi di lunga durata o cronici con febbre ondulante, dolori articolari e stanchezza. Delle 5 specie note la più virulenta per 74 l’uomo è Brucella melitensis. La brucellosi è una delle zoonosi più note per allevatori, veterinari, macellatori e addetti ai laboratori diagnostici. Infatti, indagini sierologiche hanno evidenziato elevati tassi anticorpali in queste categorie professionali, spesso in assenza di sintomi clinici [30]. Piuttosto elevato è il rischio di contrarre l’infezione da parte del personale degli impianti di macellazione, specialmente durante le operazioni di toelettatura delle carcasse di animali sieropositivi. Gli organi genitali, la ghiandola mammaria e i relativi linfonodi devono essere manipolati con ganci e il loro sezionamento deve essere evitato. Il contagio avviene in seguito al contatto con materiale infetto attraverso lesioni della cute, della mucosa buccale, o per via respiratoria. Numero 1/2015 Uno studio effettuato in Australia, in 3 macelli bovini e ovini, ha evidenziato che il 25% degli addetti presentava una positività alla siero-agglutinazione-rapida per Brucella [12]. Clamidiosi Clamydia psittaci è responsabile della psittacosi (chiamata anche ornitosi o clamidiosi aviare). L’uomo si infetta venendo a contatto con diverse specie di volatili domestici (tacchini, oche, anatre) e selvatici (fagiani, coturnice o animali a vita libera, come i rapaci). Altri casi sono imputabili al contatto con mammiferi quali pecore e capre. In uno studio siero-epidemiologico è stato testato il personale addetto in un impianto di macellazione di anatre, in seguito a isolamento di Chlamydia psittaci negli animali; il 76% del personale è risultato sieropositivo [15]. Casi di ornitosi sono stati descritti anche in veterinari operanti in un impianto di macellazione di anatre [23], il che dimostra che la clamidiosi nelle anatre è molto comune e rappresenta un rischio professionale soprattutto per il personale a contatto con tali animali. Nel 1986 un’epidemia ha interessato alcuni addetti in un impianto di macellazione di tacchini, nel quale i lavoratori colpiti erano esposti direttamente ai visceri degli animali. In tale occasione come misura di prevenzione è stato introdotto l’uso di guanti e mascherine [14]. ©Vito Perrone Lesioni di mal rossino (Erysipelothrix rhusopathiae). La brucellosi in Italia è una malattia a bassa prevalenza negli allevamenti bovini di molte regioni, grazie ai piani di profilassi ed eradicazione dell’infezione. La sua importanza in questo settore è senza dubbio diminuita, mentre persiste elevata negli allevamenti ovi-caprini di alcune regioni, dove l’infezione tra gli animali è più diffusa. In Sicilia, nel 1995, si sono verificati 5 casi di brucellosi che hanno interessato 4 operatori e un veterinario, i quali lavoravano in un macello ovi-caprino nel Sud dell’isola. In seguito a questi casi è stato condotto uno studio per individuare le operazioni maggiormente a rischio di trasmissione della malattia. Le fasi a rischio sono risultate: la consegna degli animali, il trasporto al macello, il dissanguamento, lo scuoiamento, l’asportazione della mammella, la rimozione e manipolazione dei visceri addominali, l’esame post mortem e le operazioni di lavaggio e sanificazione degli impianti [24]. Inoltre, il rischio di malattia professionale potrebbe essere maggiormente atteso nel periodo pasquale, durante il quale tradizionalmente si ha un picco nella macellazione degli agnelli [9]. Campylobacteriosi Campylobacter jejuni e C. coli sono i responsabili della maggior parte delle diarree da Campylobacter nell’uomo. Un caso di campylobacteriosi, come malattia occupazionale, è stato osservato in un lavoratore che da poco tempo prestava servizio in un’azienda avicola. Il soggetto ha sviluppato la malattia con severe complicazioni. L’origine dell’infezione è stata ricondotta all’aerosol contaminato dal microrganismo [33]. Un focolaio ha interessato lo staff di un macello avicolo nel Sud della Svezia. In 24 soggetti dei 37 colpiti da gastroenterite acuta è stato isolato C. jejuni. Inoltre, il 71% di essi erano ragazzi non esperti, che durante le vacanze sostituivano il personale ordinario [6]. Una forma di endocardite da Campylobacter fetus è stata segnalata in un lavoratore di un impianto di macellazione, il quale aveva contratto l’infezione attraverso una ferita da coltello [34]. Un’altra segnalazione è riferita a un lavoratore, operante in un macello, che presentava febbre e versamento pleuro-pericardico. L’esame batteriologico ha confermato la presenza di Campylobacter fetus [11]. Helicobacter pylori (Campylobacter pylori) è stato isolato da 98 persone che lavoravano in un impianto di macellazione, in particolar modo in quelle a contatto con parti di animali appena sezionati e 28 di esse hanno accusato anche sintomi di gastrite [32]. Febbre Q È una zoonosi causata da Coxiella burnetii. Bovini e ovi-caprini rappresentano i principali serbatoi del microrganismo. Spesso negli animali non si hanno segni clinici evidenti e la diffusione dell’infezione avviene tramite: latte, urine, feci, re75 Numero 1/2015 sidui placentari, aerosol infetto proveniente da materiale placentare, fluidi organici, escreti e carcasse [35]. Nell’uomo il primo caso di malattia è stato segnalato da Derrik, nel 1937, proprio tra il personale addetto alla macellazione. Una ricerca condotta negli USA ha censito i casi di febbre Q dal 1948 al 1986, stimandone 1.396. Prevalentemente si trattava di persone a stretto contatto con gli animali (allevatori, macellatori). Inoltre, lo studio ha evidenziato che, tra le specie domestiche coinvolte, gli ovi-caprini rappresentavano la principale fonte di infezione [19]. Anche in Australia la febbre Q rappresenta un’importante malattia occupazionale, che ha interessato soprattutto i macellatori, con diversi casi clinici ed elevata positività ai test sierologici [20]. In Romania sono stati descritti casi di febbre Q nell’uomo e un grave focolaio ha colpito 149 macellatori in uno stesso macello. A seguito di tale evento il personale a rischio è stato sottoposto a profilassi vaccinale [2]. Altri casi di febbre Q, riconducibili all’ambito lavorativo, provengono dal New South Wales e anche in questo caso la categoria maggiormente colpita è stata quella degli addetti alla macellazione [13]. La trasmissione del microrganismo dagli animali all’uomo avviene per via orale, o tramite le mucose o parti abrase della cute, in seguito al contatto con materiale contaminato. Visto che le urine degli animali infetti costituiscono la principale fonte di infezione, a rischio sono proprio quelle operazioni che comportano la formazione di aerosol, quali il lavaggio di capannoni, dei mezzi di trasporto e delle sale di macellazione. Leptospirosi La leptospirosi è una zoonosi trasmessa da batteri del genere Leptospira. Oltre che per gli allevatori, il rischio è molto elevato anche per gli addetti negli impianti di macellazione nelle varie fasi: sosta degli animali, eviscerazione, asportazione dei reni e manipolazione dei visceri nelle tripperie. Al fine di valutare il rischio di esposizione dei lavoratori a tale agente zoonotico, sono state effettuate diverse indagini sierologiche tra gli operatori di impianti di macellazione di suini. Due studi effettuati in Italia hanno permesso di rilevare una positività pari al 32,3%, dimostrando che gli addetti alla macellazione dei suini sono fortemente esposti al rischio di contrarre la leptospirosi e la significativa differenza di positività sierologia tra macellatori e un gruppo controllo (persone non esposte) ha confermato che il rischio è legato all’attività lavorativa [5]. In Australia sono stati segnalati 8 casi di leptospirosi in persone che lavoravano in un macello e i sierotipi isolati sono risultati L. pomona e L. hardjo. Tutti i soggetti erano esposti alle urine degli animali durante la macellazione [29]. In un grande mattatoio di suini è stata valuta la siero-conversione per Leptospira spp. negli addetti, allo scopo di valutare la prevalenza e l’incidenza dell’infezione tra il personale. Gli operatori risultati positivi al primo saggio sono stati il 12% e dopo 20 mesi sono saliti al 22%. In tal modo sono stati svelati casi di probabile infezione in atto e casi di infezione relativamente recenti senza manifestazioni cliniche evi76 ©Giampaolo Colavita Lesioni da tricofitosi. denti. Questi dati confermano l’elevato rischio di infezione da Leptospira spp. per gli operatori di macelli suini, in conseguenza della larga diffusione dell’infezione negli animali. Considerando che l’infezione nell’uomo spesso non è seguita da manifestazioni cliniche evidenti, non bisogna sottovalutare il problema, considerato anche che nel suino è frequente il riscontro di nefrite interstiziale da Leptospira spp. come reperto di macellazione [12, 8]. Streptococcosi Nella specie suina Streptococcus suis può causare meningite, setticemia, polmonite, artrite, pericardite, endocardite, polisierosite. L’infezione si può presentare anche in forma asintomatica, con localizzazione del germe a livello delle tonsille e delle cavità nasali. Casi umani sono stati associati a infezione da parte di ceppi del sierotipo 2, con meningite e occasionalmente shock settico [10]. La maggior parte dei casi descritti in letteratura hanno interessato persone con esposizione professionale ai suini o alle loro carni, quali: allevatori, trasportatori, lavoratori di macelli o Numero 1/2015 impianti di sezionamento e lavorazione carni [1]. Nel 2005 si sono diffuse notizie allarmanti dalla provincia del Sichuan, in Cina, dove si sono verificati numerosi casi di infezione da Streptococcus suis e nello stesso anno, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha confermato l’esistenza di una epidemia [16]. Tubercolosi Negli anni passati numerosi casi di tubercolosi (TBC) umana sono stati oggetto di contenzioso con l’INAIL per il riconoscimento di malattia contratta per motivi di lavoro. Uno di questi ha riguardato, nel febbraio 1999, una signora che lavorava in un macello bovino. Nel corso degli 8 anni precedenti, nello stesso macello erano stati riscontrati altri 5 casi. L’impianto in questione aveva l’autorizzazione a macellare bestiame infetto per TBC. Casi di TBC sono stati segnalati nel Sud dell’Australia, dove sono stati colpiti dall’infezione 5 operatori di un impianto di macellazione per bovini; la trasmissione è stata ricondotta alla inalazione del microrganismo durante le fasi di macellazione [25]. Influenza aviaria È una malattia infettiva che colpisce gli uccelli domestici (polli, tacchini ecc.) e selvatici. L’agente eziologico è rappresentato da un virus appartenente al genere Orthomyxovirus, tipo A. I vari ceppi sono suddivisi in 15 sottotipi sulla base dell’antigene HA e 9 sottotipi per l’antigene NA. Normalmente i virus dell’influenza aviaria non infettano l’uomo, ma in questi ultimi anni si è visto che il passaggio del virus alla specie umana (allevatori, macellatori, veterinari) può avvenire attraverso uno stretto contatto con animali malati, mentre allo stato attuale non vi è evidenza di trasmissione inter-umana o per via alimentare. Il virus è largamente presente negli espettorati e nelle feci degli animali, per cui una via di trasmissione all’uomo è rappresentata dal materiale infetto che si solleva come aerosol, soprattutto in ambienti confinati. A Hong Kong è stata effettuata una indagine sierologia per testare il tasso anticorpale per l’antigene H5 (ceppo H5N1) nel siero di allevatori e macellatori di pollame. Su un totale di 1.525 allevatori è stata riscontrata una positività del 10%, mentre per i 293 addetti ai macelli si è avuta una positività del 3% [3]. Bse Le Encefalopatie Spongiformi Trasmissibili (TSE) sono un gruppo di malattie umane e animali neuro-degenerative, caratterizzate dalla formazione di vacuoli con accumulo di proteine amiloidi nella materia grigia del cervello. Gli agenti infettivi sono denominati “prioni”, proteine prodotte dalle cellule dell’ospite, che in forma patologica assumono una diversa conformazione [7]. In seguito all’emergenza BSE, in Gran Bretagna nel 1986, ci si è posto l’interrogativo circa la possibile trasmissione della malattia all’uomo. Allora il rischio fu ritenuto improbabile se non remoto, ma già nei primi anni ‘90 l’attenzione è stata posta su diversi casi di CreutzefeldtJakob disease (CJD) che riguardavano allevatori nei cui allevamenti si erano verificati casi di BSE, anche se le modalità di un eventuale contagio bovino-uomo rimanevano a livello di ipotesi [28]. Nel 1995 in Gran Bretagna furono registrati 2 casi della cosiddetta Nuova Variante (Nv) di CJD, ritenuta la variante umana della malattia, che aveva colpito due persone in età giovanile. Nel ‘96 i casi erano 10, e quando le autorità del Regno Unito hanno riconosciuto ufficialmente che l’agente eziologico della BSE poteva aver infettato gli esseri umani, la malattia è stata inclusa tra le zoonosi. Nel febbraio del 1999, sempre nel Regno Unito, sono stati confermati complessivamente 38 casi sicuri di Nv e 2 probabili [4]. Nella macellazione dei bovini ci sono operazioni che espongono gli operatori al rischio di infezione da BSE come, ad esempio, tagli in vicinanza della testa o della colonna vertebrale. Altra fase a rischio può essere rappresentata dal disosso manuale delle carcasse [31]. In base al D.lgs. 81/08, l’attività di macellazione è considerata a rischio di esposizione ad agenti biologici tra cui la BSE, soprattutto in alcune operazioni quali il controllo e l’asportazione del cervello e del midollo spinale. Il datore di lavoro è responsabile delle misure atte a eliminare o ridurre i rischi. I lavoratori devono essere dotati di dispositivi di protezione individuali (DPI) che comprendono: guanti in lattice, mascherine, occhiali, grembiuli, calzature ecc., che devono essere certificati ai sensi delle norme comunitarie. Il camice è da ritenersi un indumento protettivo da eventuali rischi biologici soprattutto durante le operazioni di asportazione della colonna vertebrale e come tale è da considerarsi un dispositivo di protezione individuale. Stafilococcosi Recentemente l’EFSA ha richiamato l’attenzione su un ceppo di Staphylococcus aureus meticillino-resistente (MRSA), in grado di trasmettersi all’uomo in seguito al contatto con gli animali. Staphylococcus aureus è un comune batterio presente sulla cute e sulle mucose nel 20-30% delle persone sane. Nell’uomo, solitamente causa infezioni della cute e suppurative a livello locale, ma anche infezioni più gravi a carico di diversi distretti dell’organismo. Alcuni ceppi hanno sviluppato una resistenza agli antibiotici beta-lattamici, tra cui le penicilline, utilizzati nella cura di numerose infezioni. Questi ceppi sono noti con il nome di Staphylococcus aureus meticillino-resistenti (MRSA). Un ceppo specifico (CC398) di Staphylococcus aureus meticillino-resistente, che può essere trasmesso mediante contatto con animali vivi, è stato rinvenuto negli animali destinati alla produzione di alimenti, più frequentemente nei suini, vitelli e polli allevati con metodi intensivi, oltre che in cavalli e animali da compagnia. Il gruppo di esperti scientifici sui pericoli biologici dell’EFSA ha rilevato che gli alimenti possono essere contaminati da CC398, ma che in alcuni casi la malattia non è associata a intossicazione di origine alimentare. Infatti, nelle zone in cui la prevalenza di MRSA negli animali destinati alla produzione di alimenti è elevata, le persone che sono a contatto con gli animali vivi sono maggiormente a rischio di contrare l’infezione da CC398, rispetto alla popolazione generale, anche se c’è da dire che i casi sono abbastanza rari [36]. 77 Numero 1/2015 Il rischio biologico nel D.lgs. 81/2008 In base all’art. 271 del D.lgs. 81/08, il datore di lavoro (DDL) deve applicare i principi di buona prassi microbiologica e deve adottare, in relazione ai rischi accertati, le misure preventive e protettive, adattandole alle particolari situazioni lavorative. Naturalmente gli impianti di macellazione rientrano in queste attività, per le quali deve essere fatta una valutazione del rischio biologico (artt. 17 e 28). Nei macelli i principali rischi biologici sono dovuti alla possibilità di contrarre le zoonosi da parte degli addetti e il sistema di prevenzione si deve basare sui seguenti punti: - identificazione dei pericoli; - quantificazione dei danni prevedibili; - probabilità che si verifichino eventi negativi (in ordine crescente di gravità): contaminazione, infezione, malattia e infine morte dell’addetto. Per effettuare la valutazione del rischio biologico negli impianti di macellazione sono necessari conoscenze e dati relativi a: - zoonosi occupazionali verificatesi nell’arco degli anni in base alle diverse mansioni dei lavoratori; - tipologia della malattia; - mansione dell’addetto; - tipo di esposizione che ha portato alla contaminazione e alla malattia; - giorni di inabilità al lavoro a causa della malattia; - numero di decessi; - numero di persone colpite da invalidità in seguito alla malattia professionale. Al fine di predisporre corrette misure preventive per ogni pericolo individuato, occorre una buona conoscenza dell’epidemiologia veterinaria. Un esempio classico è quello della leptospirosi, che nella filiera delle carni suine rappresenta il principale rischio biologico occupazionale [8]. Dato che i suini eliminano le leptospire soprattutto con le urine, è necessario individuare le fasi in cui gli operatori possono venire a contatto con l’urina degli animali; tra queste il lavaggio delle sale di macellazione, dei capannoni e dei mezzi utilizzati per il trasporto, in quanto si produce una elevata quantità di aerosol. L’esposizione agli agenti biologici degli addetti alla macellazione Atteso che la mera esistenza di un pericolo non significa automaticamente il configurarsi di un rischio, è necessario fare riferimento ai reali rischi per gli operatori, che si configurano solamente se si verificano due condizioni: 1. presenza dell’agente biologico nell’animale o nei prodotti derivati; 2. modalità e condizioni di lavoro che possono favorire un’esposizione efficace. Per “esposizione efficace” si intende il contatto fra l’agente biologico e l’organismo umano e che la carica infettante sia sufficiente a provocare danni biologici. 78 Gli agenti biologici possono penetrare nell’organismo umano attraverso varie vie: il tratto respiratorio, le mucose (congiuntiva), la cute lesa, il cavo orale. L’esposizione dipende, quindi, da una serie di fattori: - specie animale da macellare; - stato sanitario degli animali; - tipo di mansione e manualità svolte dall’operatore; - frequenza dei contatti; - utilizzo dei DPI e misure di protezione ambientale adottate; - igiene generale degli ambienti di lavoro e delle lavorazioni; - formazione professionale/informazione; - automazione dell’impianto. Inoltre, le conseguenze dell’interazione agente zoonoticouomo possono variare in base a: - stato di salute dell’addetto e del suo sistema immunitario; - efficacia della sorveglianza sanitaria effettuata sui lavoratori. La verifica del livello di esposizione efficace deve essere fatta attraverso un’analisi del processo produttivo, considerando: - fase dell’attività lavorativa; - tipologia delle manualità necessarie; - procedure adottate; - rispetto delle norme igieniche generali; - corretto utilizzo dei DPI; - organizzazione del lavoro (a catena continua, a postazione fissa ecc.). Possiamo definire “punto critico” la fase in cui abbiamo: 1) la probabile presenza di un agente patogeno e 2) l’esposizione efficace del lavoratore. Dato che negli impianti di macellazione le fasi di lavoro in cui l’addetto si trova a contatto con materiali biologici sono molte, l’individuazione delle fasi a rischio va fatta in base ai dati sulle condizioni sanitarie degli animali macellati. Misure preventive Nell’ambito della prevenzione dei rischi zoonotici molta importanza rivestono le misure di protezione collettiva, intese generalmente come quei sistemi che possono intervenire, in maniera più o meno efficace, direttamente sulla fonte di contaminazione primaria, con una mitigazione dell’impatto degli agenti pericolosi sui lavoratori. I principali sistemi riguardano la ventilazione degli ambienti e nel caso dei macelli, si fa riferimento alle profilassi negli allevamenti, alla visita sanitaria ante mortem e post mortem, alla macellazione separata di animali sospetti di infezione ecc. Così pure, le misure di Polizia Veterinaria, adottate negli allevamenti, fanno sì che il rischio biologico possa essere ridotto in tutte le fasi successive. Misure igieniche L’osservanza delle buone prassi igieniche durante le varie fasi della macellazione, le corrette operazioni di sanificazione ambientale/strumentale, la lotta agli animali infestanti e la corretta gestione dei rifiuti di origine animale possono ridurre significativamente la contaminazione ambientale. Numero 1/2015 Altre misure importanti sono quelle che riguardano l’obbligo per il personale di un corretto utilizzo del vestiario da lavoro, il rispetto delle norme igieniche, il corretto lavaggio delle mani, l’utilizzo di lavabi con rubinetteria ad azionamento non manuale, l’uso di sapone liquido e di asciugamani monouso e, infine, la dotazione obbligatoria di armadietti a doppio scomparto. Il lavaggio centralizzato degli abiti da lavoro può evitare l’eventuale contaminazione di automobili e abitazioni dei lavoratori, garantendo alla sanificazione degli indumenti lo stesso standard. Formazione Il datore di lavoro deve assicurare che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente e adeguata in merito: a) ai rischi specifici (art. 37, c. 3); b) alle precauzioni da prendere per evitare l’esposizione; c) alle misure igieniche da osservare; d) alla funzione degli indumenti di lavoro e dei DPI, nonché il loro corretto impiego. L’informazione e la formazione devono essere svolte prima che i lavoratori siano adibiti alle loro specifiche mansioni e ripetute con frequenza almeno quinquennale (art. 278, c. 3). Il veterinario ufficiale può coadiuvare efficacemente il DDL, nel non semplice compito di rendere i lavoratori consci del “percorso della sicurezza”, facendo superare loro atteggiamenti di superficialità verso le malattie zoonotiche, mantenendo alto il livello di attenzione verso i fattori di rischio ed evitando possibilmente attività routinarie nella catena di macellazione, bensì “ruotando” i lavoratori nelle varie mansioni. Un elemento importante a cui si deve porre attenzione è costituito dall’eterogeneità dei lavoratori, da sempre più anni provenienti da Paesi extraeuropei, di etnie e culture differenti e spesso con problemi nella comprensione della lingua italiana. DPI Il DDL ha l’obbligo di fornire ai lavoratori i DPI necessari e ottimizzati a seconda del tipo di mansione. Classici DPI sono i guanti lunghi fino al gomito, gli occhiali con protezioni laterali, le maschere emi-facciali oppure intere, i grembiuli plastificati e gli stivali di gomma. Il lavoratore ha l’obbligo di indossarli, tenerli in buono stato di funzionamento e, una volta usurati oppure inefficienti, sostituirli (art. 78, D.lgs. 81/2008). Anche se ciò sembrerebbe apparentemente semplice, sovente non viene applicato per: - il fastidio, anche soggettivo, di un uso prolungato, quale può essere un intero turno di lavoro; - il microclima di alcuni reparti, quali le vasche di scottatura, dove la temperatura e l’umidità sono elevate; - la scarsa disponibilità dei lavoratori al loro utilizzo; - la scarsa percezione del rischio; - la diffusa convinzione fra i lavoratori che l’utilizzo dei DPI sia incompatibile con alcune mansioni. Considerazioni conclusive Sebbene l’introduzione negli allevamenti di standards di medicina veterinaria preventiva, sempre più elevati, ha ridotto di molto la prevalenza di alcune importanti zoonosi e di conseguenza il rischio professionale nelle attività lavorative connesse, c’è ancora molto da fare, tenendo presente che: - i macelli restano comunque strutture con condizioni ambientali e lavorative particolari; - le lavorazioni comportano sempre un continuo e diretto contatto con animali vivi e i loro fluidi organici; - l’utilizzo dei DPI è spesso limitato dalle particolari situazioni di lavoro; - la sensibilità dei lavoratori verso la percezione del rischio biologico è generalmente scarsa; - la ripetitività del lavoro nei macelli industriali porta i lavoratori a manipolare giornalmente anche fino a migliaia di animali e/o carcasse; - la siero-positività dei lavoratori verso agenti zoonotici in alcuni casi risulta elevata. Alla luce di quanto sopra, resta l’importanza di una maggiore tutela degli addetti nel settore dalle zoonosi professionali e la necessità di acquisire maggiori conoscenze scientifiche al fine di colmare le attuali lacune. Sebbene le responsabilità in materia di sicurezza sul lavoro attengono al datore di lavoro e al medico competente, un ruolo importante lo può svolgere comunque il veterinario ufficiale il quale, oltre alle competenze sanitarie in tema di zoonosi, è anche la figura professionale che è costantemente presente negli stabilimenti di macellazione. Il controllo del rischio biologico da parte del veterinario interessa tutta la filiera produttiva e può risultare estremamente importante per valutare i rischi per allevatori, macellatori e addetti all’industria alimentare [12]. Inoltre, la cooperazione interdisciplinare tra veterinari, medici, tecnici della prevenzione, tutte figure professionali afferenti al Dipartimento di Prevenzione, potrà sicuramente giovare a un più efficace sistema di controllo del rischio zoonotico. Bibliografia 1. Arends JP, Zanen HC, 1988. Meningitis causated by Streptococcus suis in humans. Reviews of Infectious Diseases, 10:131-7. 2. Blindam I, Lomba N, Petrescu C, Drumea C, Ghica M, Mateescu G, Plesanu M, Purnichescu M, Pavel A, 1982. Outbreak of Q fever in a municipal abattoir. Rev Ig Bacteriol Virusol Parassitol Epidemiol Pneumoftiziol, 27(3): 179-84. 3. Bridges C. B., Lim W., Hu-Primmer J., Sims L., Fukuda K., Mak K. H., Rowe T., Thompson W. W., Comm L., Lu X., Cox N. J., Katz J. M., 2002. Risk of influenza A (H5N1) infection among poultry workers, Hong Kong 1997-1998. Journal of Infectious Diseases, 185 (8): 1005-1010. 4. Cantoni C, Stella S, 2001. La BSE: suoi riflessi sulla salute umana. Eurocarni, 3. 79 Numero 1/2015 5. 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Giorgio (SA) Cell. 335/6644597 e-mail: [email protected] TOSCANA DOTT. CAMILO DUQUE Loc. Comezzano 49 - 52020 Piandiscò (AR) Cell. 338/8089062 e-mail: [email protected] EMILIA ROMAGNA DOTT. LUCA TURRINI Via C.A. Dalla Chiesa, 21 40050 Monteveglio (BO) - Cell. 347/1574419 e-mail: [email protected] FRIULI VENEZIA GIULIA Dott. MARCO D’AGOSTINI Via della Latteria, 8 - 33034 Faganga (UD) Cell. 338/1875800 e-mail: [email protected]à.fvg.it LAZIO DOTT. MARIANO SIGISMONDI Via Sannibale 10/12 - 00041 Albano Laziale (RM) Cell. 347/9912564 e-mail: [email protected] LIGURIA DOTT. VINCENZO SESTITO Via Passaggi, 14 int. 2 - 16131 Genova Cell. 329/0176146 e-mail: [email protected] LOMBARDIA DOTT. GIANCARLO BATTAGLIA Borgo Olcese 68 - 25040 Cividate Camuno (BS) Cell. 335/6850231 e-mail: [email protected] MARCHE DOTT. ANTONIO ANGELOTTI Viale della Vittoria, 7 - 63822 Porto S. Giorgio (FM) Cell. 330/645749 e-mail: [email protected] TRENTO DOTT. 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