Cavallo vincente

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Cavallo vincente
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Barney Curley
Cavallo vincente
The Economist, Regno Unito. Foto di Robert Hallam
È il trufatore più famoso nel
mondo delle scommesse
ippiche britanniche. I suoi
raggiri sono costati ai
bookmaker milioni di sterline,
ma non hanno mai violato le
leggi e i regolamenti delle corse
ndus Valley è un cavallo medio­
cre. O almeno è quello che hanno
pensato gli scommettitori quando
si è presentato alla corsa delle
16.25 a Kempton Park, un ippo­
dromo alla periferia di Londra, il
22 gennaio 2014. Considerando che Indus
Valley era stato staccato per un totale di 104
lunghezze nelle precedenti quattro corse e
non gareggiava da due anni, la quotazione
di 25 a 1 sembrava perino generosa. Alla i­
ne, però, Indus Valley ha vinto. Quello stes­
so mercoledì altre due corse si sono conclu­
se con la rimonta imprevista di cavalli che
erano fuori dal giro da mesi. Poi alle 18.25
Kempton Park ha regalato l’ultimo colpo di
scena: Low Key, un cavallo senza pedigree
e alla prima corsa dopo la castrazione, ha
staccato tutti sul rettilineo. Le corse di metà
inverno sono spesso imprevedibili, ma
quante probabilità ci sono che quattro ca­
valli che non vincono una gara dal 2010
trionino nella stessa giornata?
Precisamente una su novemila, come
hanno scoperto presto i bookmaker. Sareb­
be bastato puntare 112 sterline su tutti e
quattro i cavalli per vincerne un milione. Di
sterline, però, ne erano state scommesse
migliaia, in diverse puntate che indicavano
due, tre o addirittura tutti e quattro i cavalli.
La voce si era difusa ancor prima che Low
Key tagliasse il traguardo: gli allibratori
erano stati fregati, e non è stato diicile in­
dividuare il colpevole. Barney Curley, 75
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anni, nordirlandese, ex seminarista gesui­
ta, allenatore dilettante e scommettitore
professionista. Era l’ex proprietario di tre
dei quattro cavalli incriminati, e gli attuali
allenatori erano tutti legati a lui. Scommet­
tere su cavalli che miglioravano all’improv­
viso le loro prestazioni era tipico di Curley,
almeno quanto il fedora beige sulla sua te­
sta pelata.
I bookmaker hanno denunciato una
perdita complessiva di 15 milioni di sterline,
anche se la cifra reale è probabilmente più
vicina ai due milioni (spesso gli allibratori
esagerano le perdite per attirare gli scom­
mettitori). Come era già successo per gli
altri colpi messi a segno da Curley negli ul­
timi quarant’anni, nessuno è riuscito a tro­
vare una scusa per non pagare. Parte della
sua genialità è che mescola il sotterfugio
con il rispetto delle regole. La sua è stata
una trufa, ma perfettamente legale.
Quando si tratta d’indovinare le puntate
su cavalli improbabili, Curley è un maestro.
“Raggiri, colpi a sorpresa, chiamateli come
volete”, spiega con una certa soddisfazione
per l’alone mistico che lo circonda. Il piano
è semplice. Si acquista un cavallo con gran­
di potenzialità, il più delle volte all’estero.
Poi il cavallo sparisce per mesi o perino per
anni, magari per riprendersi da un infortu­
nio. Quando torna a competere, le sue pre­
stazioni sono scadenti. Dato che nella mag­
gior parte delle corse meno prestigiose i
cavalli più veloci vengono appesantiti per
Biograia
◆ 1939 Nasce nella contea di Fermanagh, in
Irlanda del Nord.
◆ 1956 Suo padre perde tutto alle corse dei
cani e lui è costretto a lasciare la scuola.
◆ 1975 Organizza la sua prima trufa.
◆ Gennaio 2014 Vince almeno due milioni
di sterline a Kempton Park.
dargli uno svantaggio, perdere malamente
una gara può rivelarsi utile in quelle succes­
sive. I bookmaker (che non hanno mai sen­
tito parlare di quel cavallo) cercheranno di
attirare gli scommettitori con quote di 20 a
1 o anche più alte. A quel punto il cavallo ri­
trova la forma isica e stacca gli inseguitori,
facendo la fortuna di chi ha puntato sulla
sua vittoria, cioè Curley.
Telefono occupato
Il suo primo colpo risale al 1975. A Bellews­
town, un circuito irlandese noto più per il
suo incantevole scenario che per il livello
delle gare, Curley presentò Yellow Sam, un
cavallo che non iniva tra i primi otto da due
anni. A preoccupare Curley, però, non era
tanto la performance di Yellow Sam, ma le
quote. Il problema delle quote è che oscilla­
no come le azioni in borsa. I bookmaker le
adeguano a seconda delle puntate: se un
cavallo attira grosse somme le quote cala­
no. I botteghini possono riiutarsi di accet­
tare una scommessa se sentono puzza
d’imbroglio, e nel 1975 conoscevano Curley
abbastanza da non idarsi di lui.
Per confonderli, Barney mise a punto
una doppia strategia. Dato che una serie di
piccole scommesse è più diicile da identi­
icare rispetto a una puntata singola, la sua
prima mossa fu suddividere la puntata in
piccole scommesse aidate a dei complici
in centinaia di sportelli in tutta l’Irlanda.
Per farlo ci voleva un’organizzazione per­
fetta: decine di uomini di Curley puntarono
ognuno 50 o 100 sterline irlandesi presso
un totale di circa 150 sportelli, il tutto a po­
chi minuti dall’inizio della corsa. “Ero come
un generale che dispone le sue truppe pri­
ma della battaglia”, ricorda Curley nella sua
autobiograia. “O forse il paragone più cal­
zante è con una rapina in banca”. Bastava
che a qualcuno sfuggisse una parola per ro­
vinare le quote e di conseguenza il piano.
Barney, aveva messo da parte un gruzzolo
attraverso un rispettabile commercio di alimentari e una molto meno rispettabile attività di contrabbando tra l’Irlanda del Nord
e l’Irlanda. Per sperperare tutto ci vollero
dieci anni di scommesse scriteriate sulle
corse dei cani. Nel 1956 Charlie aveva bisogno di una grossa vincita per ripagare i debiti e puntò tutto su un cane che in precedenza era stato “frenato” per aumentarne
la quotazione alla gara successiva. Il cane
però scivolò a metà della corsa, lasciando i
Curley sul lastrico. A 16 anni Barney fu costretto a lasciare la scuola. Come milioni di
altri poveri irlandesi, padre e iglio attraversarono il mare d’Irlanda in cerca di lavoro
inendo a Urmston, alla periferia di Manchester.
REx
Dai gesuiti al contrabbando
Le quote, però, nascondevano un’altra insidia. Le proporzioni usate per calcolare le
vincite sono issate al momento del via, e
per fare in modo che Yellow Sam mantenesse la quotazione di 20 a 1 era fondamentale che in pista non si sapesse quanti soldi
erano stati scommessi. Qui scattò la seconda fase del piano.
L’ippodromo di Bellewstown era stato
scelto perché era collegato al mondo esterno da un solo telefono. Un uomo di Curley
tenne occupato l’apparecchio prima
dell’inizio della corsa. Con la scusa di una
vecchia zia moribonda, riuscì a bloccare i
bookmaker per 25 minuti, impedendogli di
adeguare i prezzi. Quando riattaccò i cavalli erano già partiti, e ai botteghini non restò
altro che osservare Yellow Sam vincere con
due lunghezze e mezza di vantaggio. Al
momento di pagare la vincita, una somma
record di 306mila sterline irlandesi, alcuni
allibratori tergiversarono. Altri pagarono in
biglietti da una sterlina. Anche se sapevano
che Yellow Sam poteva essere un ringer (un
cavallo di razza mascherato da brocco),
non potevano fare nulla per contestare la
vincita.
Il colpo aiutò Curley a riprendersi da
una serie di scommesse sbagliate, ma non
era quello il suo obiettivo principale. Per lui
i soldi non sono importanti, spiega nel delicato accento della contea di Fermanagh
(che diventa molto meno delicato durante
le sue famose sfuriate a bordo pista). Vale
molto di più la soddisfazione di fare uno
sgarro ai bookmaker. Barney li detesta ed è
convinto che dissanguino il suo sport. Ma
c’è anche una questione personale. “Una
parte di me”, confessa nella sua autobiograia, “considerava quel piano una vendetta per quello che avevano fatto a mio padre
vent’anni prima”. Charlie Curley, il padre di
Guadagnando venti sterline al giorno, gli ci
volle un anno intero di doppi turni in una
fabbrica di plastica per ripagare il debito.
Quel periodo di sacriici convinse Barney a
farsi prete una volta tornato in Irlanda. Entrò in un seminario nella speranza di diventare gesuita. Oggi ricorda quel periodo come i “giorni felici”, nonostante le privazioni
della formazione spirituale (o forse proprio
a causa loro). Ironia della sorte, fu proprio
in seminario che Barney si avvicinò alle
corse dei cavalli, con le gite del lunedì all’ippodromo di Limerick. In ogni caso non furono i cavalli ad allontanarlo dalla chiesa,
ma la tubercolosi, che a 22 anni lo costrinse
a restare a casa per un anno. Non tornò più
in seminario, anche se va ancora a messa
tutti i giorni.
Cominciò a cambiare un lavoro dopo
l’altro: contrabbando di lamette da barba e
pneumatici, vendita di assicurazioni per
auto a Londra (senza pagare i risarcimenti),
un pub in perdita costante a Omagh, in Irlanda del Nord, un allevamento di maiali.
Per un po’ fece anche l’impresario di gruppi
pop, cercando di cavalcare la beatlemania.
Una delle sue band, Frankie McBride and
the Polka Dots, entrò nella top 20 britannica nel 1967. Quel lavoro gli lasciava abbastanza tempo libero per scommettere sui
cavalli, e per un po’ fece anche l’allibratore.
Conobbe la moglie Maureen nel 1968 all’ippodromo di Killarney, e ricorda ancora i
nomi e i piazzamenti dei cavalli su cui
scommise quel giorno.
Allenare i cavalli e scommettere sulle
corse diventò la sua occupazione principale. Cominciò a elaborare stratagemmi per
ingannare i bookmaker, che presto cominciarono a riiutarsi di accettare le sue puntate. Non era un problema, perché Barney
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poteva sempre incaricare un prestanome.
Per uno dei suoi piani riuscì a corrompere
un ingegnere della British Telecom che aveva conosciuto in un pub perché staccasse le
linee telefoniche dell’ippodromo di
Thirsk.
Secondo i documenti processuali, nel
1978 Curley aveva un patrimonio di 1,2 milioni di sterline irlandesi. All’inizio degli
anni ottanta, quando il colpo con Yellow
Sam gli aveva reso impossibile scommettere in Irlanda, Barney si trasferì a Newmarket, una città a nord di Londra con un grande ippodromo. Era l’epoca d’oro delle corse,
l’unico sport su cui si poteva scommettere.
Curley possedeva più di cinquanta cavalli,
alcuni abbastanza forti da competere in
eventi importanti come Ascot e Cheltenham. Ma fare soldi con i premi era diicile.
Per arricchirsi bisognava scommettere.
Barney Curley è molto rispettato come
allenatore, anche se i suoi successi sono arrivati in circuiti di secondo piano. Ma i problemi con le autorità gli hanno impedito di
entrare nell’élite delle corse, che comprende gli sceicchi arabi e la regina.
La maggior parte degli sport si basa su
regole che impediscono ai partecipanti di
scommettere sui propri risultati. L’idea di
un allenatore di calcio che scommette sulla
sua squadra, per esempio, è inconcepibile.
Ma il mondo dei cavalli è diverso. Più che
uno sport, è un meccanismo per dare agli
scommettitori qualcosa su cui puntare. Nel
Regno Unito, fatta eccezione per le corse
più importanti, i premi per la vittoria non
bastano mai a mantenere i cavalli. I proprietari accettano questo paradosso in cambio
della possibilità di passare una giornata
all’ippodromo a scommettere. Ma ci sono
dei limiti. Gli allenatori e i fantini non possono scommettere contro se stessi, e ci si
aspetta che cerchino di vincere. I fantini e i
loro datori di lavoro devono “rispettare il
valore del cavallo” per non incorrere nell’ira
della British horseracing authority (Bha).
Eppure c’è una diferenza sottile tra “rispettare il valore del cavallo” e cercare di
vincere una corsa. Un animale adatto alle
corse lunghe può essere presentato a una
corsa di scatto, dove faticherebbe come
Usain Bolt alla maratona. Un cavallo infortunato può essere montato “rispettando il
suo valore”, ma inirebbe comunque ultimo
e agli allibratori sembrerebbe un brocco.
Solo l’allenatore conosce il suo cavallo, e
usare queste informazioni a proprio vantaggio rientra nel regolamento. “Fermare il
proprio cavallo, scommettere sulla sua
sconitta e perdere intenzionalmente: questo per me è rubare”, spiega Curley. Ma
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Il mondo delle corse
dei cavalli è diverso.
Più che uno sport, è un
meccanismo per dare
agli scommettitori
qualcosa su cui
puntare
questo non equivale a sperare che il cavallo
vinca ogni volta. “Non ho mai nascosto di
gestire i cavalli a mio vantaggio”, aggiunge.
Solo Barney sa se fa davvero il tifo per i suoi
cavalli.
In realtà una volta la Bha lo ha accusato
di aver fermato un cavallo. Nel 2007 l’Authority ha stabilito che c’era stato un “tentativo deliberato di nascondere la reale capacità” di un cavallo, Zabeel Palace, che era
stato staccato di tre lunghezze in una corsa
apparentemente facile a Nottingham. La
commissione decretò che il cavallo era stato “usato in modo preparatorio in vista di
un’altra corsa”. Curley fu multato di tremila
sterline e il fantino sospeso per 28 giorni.
Zabeel Palace sparì per due anni. Al suo rientro vinse nonostante una quotazione sfavorevole.
Ippodromi digitali
Oggi la maggior parte degli allibratori britannici non accetta le puntate di Curley, e
quasi tutti ofrono quote svantaggiose su
qualsiasi cavallo che sia anche lontanamente legato a lui. Bloccare le comunicazioni
ormai è impossibile, ma ci sono altri metodi. Per esempio, si possono far gareggiare
più cavalli nella stessa giornata e scommettere sulla loro vittoria. Anche se i bookmaker possono contare su soisticati modelli
di valutazione del rischio, è diicile che riescano a individuare le scommesse combinate. Una serie di puntate da poche sterline
fatte in numerosi sportelli (e sempre più
spesso anche online) può fruttare una grossa somma, senza destare sospetti.
Il segreto, naturalmente, è avere diversi
cavalli vincenti in un giorno solo. Nell’aprile del 2009 un tentativo è fallito perché solo
due cavalli su cinque hanno tagliato il traguardo per primi. Nel maggio del 2010 un
progetto ancora più ambizioso si è concluso
con la vittoria di tre cavalli su quattro, abbastanza da far guadagnare 4 milioni di sterline. Due siti di scommesse hanno pagato
solo dopo 21 mesi di contenzioso. Nel 2010
Curley ha guadagnato di più perché i bookmaker si sono resi conto di cosa stava suc-
cedendo quando ormai era troppo tardi.
Nel gennaio del 2014, invece, le voci su un
colpo con quattro cavalli circolavano su internet prima ancora dell’apertura delle
scommesse, e questo ha fatto scendere le
quote. Nonostante questo, il colpo – che
Barney giura essere l’ultimo della sua carriera – è stato molto più soddisfacente.
“Nessuno riuscirà a ripeterlo”, spiega.
Nella sua casa di Newmarket, Curley
dice che ormai ha chiuso. “Le scommesse e
i cavalli non sono così importanti”. Le stalle
della sua proprietà sono vuote, sorvegliate
da Arney, un gigantesco sanbernardo. I posacenere che un tempo traboccavano di
mozziconi di Silk Cut sono stati sostituiti
dalle sigarette elettroniche. Curley giura
che non frequenta le corse da oltre due anni, con un paio di eccezioni. Quel mondo
non gli manca. Qualcuno è convinto che a
occuparsi delle sue manovre siano i collaboratori più giovani, ma Barney spiega che
insegnare qualcosa alla sua età è impossibile. “Per organizzare queste cose ci vogliono
anche tre o quattro anni”. Questo disinteresse contrasta con la copia del Racing Post
in bella vista a casa sua.
Curley è ansioso di parlare di Direct aid
to Africa, un’associazione beneica che ha
fondato nel 1996 dopo la morte del iglio
Charlie in un incidente stradale. Tutto quello che ha guadagnato con i cavalli è servito
per inanziare scuole e ospedali in Zambia,
racconta. Molti dei suoi progetti sono legati
a missioni cattoliche, le stesse di cui avrebbe potuto far parte se fosse diventato un
gesuita. Salute permettendo, visita le missioni diverse volte all’anno.
Il mondo delle corse ha opinioni contrastanti su di lui. Molti pensano che i suoi
stratagemmi ravvivino l’ambiente. Ormai
gli scommettitori sono più interessati al calcio che ai cavalli. Le corse sono in declino, e
il pubblico va all’ippodromo più per il bufet
che per le corse. Le grandi agenzie come
Ladbrokes e William Hill si sono ormai allontanate dal mondo delle corse. Entrando
in una delle loro ricevitorie scoprirete che
tutto gira attorno alle macchinette elettroniche. Spesso gli unici cavalli su cui è possibile puntare sono quelli delle “corse virtuali”, in cui fantini e cavalli sono generati dal
computer. In questo modo i clienti non devono studiare la forma di un cavallo, la stabilità del terreno o l’aspetto del fantino. I
cavalli quotati 20 a 1 rispettano la matematica e vincono in media una volta su venti.
Non c’è il minimo fascino, ma almeno non
dovrete preoccuparvi di scoprire se Barney
Curley è mai stato il proprietario di uno dei
cavalli in gara. u as