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Nota bibliografica sul Cardinale Celso Costantini
Tra le figure che certamente non possono essere dimenticate nella storia dell’azione missionaria della Chiesa del XX secolo, emerge con preponderanza quella
del cardinale Celso Costantini (1876-1958). Oggi è possibile affermare questo
grazie alla pubblicazione di tre recenti studi, che sono stati resi possibili dall’infaticabile opera del prof. Mons. Bruno Fabio Pighin, concittadino dello stesso porporato, insieme all’unità di intenti della Facoltà di Diritto Canonico San Pio X di
Venezia presieduta dal prof. Mons. Brian Ferme, e dall’editrice Marcianum Press
di Venezia diretta da Don Roberto Donadoni. Gli studi cui facciamo riferimento
sono i seguenti:
Bruno F. Pighin (a cura di), Chiesa e Stato in Cina. Dalle imprese di Costantini alle
svolte attuali, Marcianum Press, Venezia 2010, 294 pp.
ID., Edizione critica del Diario inedito del Cardinale Celso Costantini. Ai margini della
guerra (1938-1947), Marcianum Press, Venezia 2010, 639 pp.
ID., Il ritratto segreto del Cardinale Celso Costantini in 10000 lettere dal 1892 al 1958,
Coordinatori dell’edizione Christian Gabrieli e Andrea Marcon, Marcianum
Press, Venezia 2012, 650 pp.
Prima di presentare i suddetti studi, e per poterli meglio contestualizzare, riteniamo utile dare – a modo di cronologia – qualche nota biografica di questo
eminente uomo di Chiesa che ne evidenzi la poliedrica personalità “di pastore
sollecito, di scrittore fecondo, di cultore d’arte, di appassionato scultore, di intrepido operatore della carità in campo sociale, di missionario dallo spirito fervente e dagli intuiti geniali in terra cinese e non solo, di fine diplomatico, di politico coraggioso e lungimirante, di abile tessitore di relazioni, di capace uomo di
governo nella Chiesa a livello sia particolare che universale” così come lo stesso
Prof. B.F. Pighin lo descrive.
Celso Benigno Luigi Costantini è nato a Castions di Zoppola (Udine) il 3 aprile
1876, in una famiglia della piccola borghesia, il padre era un imprenditore edile
e la madre casalinga, ambedue profondamente religiosi. Era il secondo di sette
figli, quattro maschi e tre femmine. Uno dei fratelli Giovanni Battista fu Arcivescovo di La Spezia. Compiuti gli studi elementari, a causa di una malattia che lo
colpì verso i quattordici anni, fu costretto ad un periodo di inattività, al termine
del quale confidò ai suoi genitori la volontà di essere sacerdote. A tale scopo, per
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prepararsi meglio, fu inviato da un cugino sacerdote e da un prozio studioso e
seguace di Rosmini – quindi non ben visto dal pensiero dominante tra l’autorità
ecclesiastica del tempo – che gli infusero, il primo, l’amore per l’ideale dell’istruzione della formazione per i giovani di Don Bosco, il secondo, l’esempio di
una vita attenta allo studio, alla cultura alla formazione di una vita interiore profonda e spirituale.
Entrò in seminario a circa quindici anni a Portogruaro, recuperando gli anni del
percorso scolastico con il quinquennio ginnasiale, due anni di biennio filosofico, e
quindi la teologia. Nel 1897, nominato vescovo di Concordia mons. Francesco Isola, riuscì ad ottenere il permesso di andare a studiare a Roma, dove si laureò in filosofia il 10 maggio 1899 e il 14 luglio dello stesso anno in teologia. Celebrava la
sua prima messa solenne nel suo paese natale il 26 dicembre 1899, a soli ventitré
anni di età. Incominciò così il suo ministero in diocesi, come vicario parrocchiale,
ma il suo interesse era diretto soprattutto alla scultura, e alle pubblicazioni scientifiche storico-artistiche. Infatti, nel 1907 pubblicava a Firenze il manuale Nozioni
d’arte per il clero, con un autografo di San Pio X. Il 24 ottobre 1912 fondava a Milano la Società degli Amici dell’Arte Cristiana e il 15 gennaio 1913 dava alla luce la
rivista Arte Cristiana, da lui diretta e tuttora pubblicata. Il 5 luglio 1915 diveniva reggente di Aquileia e conservatore di quella basilica. Il 3 novembre 1918, dopo essere
riuscito a salvare il suo vescovo, che era stato sequestrato, fu nominato vicario generale della diocesi di Concordia. Il 30 aprile 1920 veniva promosso amministratore apostolico di Fiume, in Istria. Benedetto XV lo nominava vescovo titolare di Gerapoli, il 22 luglio 1921, e veniva consacrato il 24 agosto dello stesso anno. Ma la
sua missione non durerà molto in questa terra perché il 12 agosto veniva nominato
primo delegato apostolico in Cina ed elevato alla dignità di Arcivescovo. Verso altri
lidi e continenti, cioè il “Celeste Impero” in Asia – che già allora contava circa
quattrocentocinquanta milioni di abitanti – si dirigeva ora il suo ministero. Nuovi
problemi lo attendevano, ma con lo spirito di autentico missionario, obbedì alla
volontà dei superiori, preparandosi per due mesi a Roma e in Francia. La sua nomina fu tenuta segreta, per non suscitare le reazioni della Francia che, con il suo
agire colonialista, riteneva suo diritto il controllo e la guida indiscriminata delle
missioni cattoliche in Cina, in forza dei “Trattati Ineguali” che mortificavano quel
popolo, e tutti i missionari cristiani di ogni confessione. Il suo incarico divenne ufficiale solo al suo arrivo a Hong Kong. Nonostante la natura prettamente religiosa
del mandato conferitogli, le peculiari circostanze del momento storico gli attribui282
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vano particolari valenze diplomatiche e politiche. Nei circa undici anni di permanenza in quel Paese, il Costantini pose come suo impegno l’attuazione dell’enciclica missionaria del 1919 Maximum Illud di Benedetto XV, cercando di ispirarsi ad alcuni principi fondamentali come la decolonizzazione religiosa, la Plantatio Ecclesiae,
l’inculturazione del messaggio evangelico, in tutti i suoi ambiti non esclusa l’arte
cristiana, la formazione di un clero e laicato autoctono con una propria gerarchia.
Le principali opere compiute dal Costantini si possono così brevemente descrivere.
Pose a Pechino la sua residenza, lontano dagli occhi occidentali, grazie al sostegno economico di alcuni cattolici cinesi.
Dal 14 maggio del 1924 presiedeva il Primo Concilio Plenario Cinese a Shangai
in qualità di Legato Pontificio e il 12 dicembre dello stesso anno si adoperava
per l’erezione della Prefettura apostolica di Puchi, la prima di tante altre circoscrizioni ecclesiastiche affidate a presuli cinesi.
Il 28 ottobre del 1926 presentava a Pio XI i primi sei Vescovi cinesi per la loro
ordinazione episcopale nella basilica di S. Pietro in Vaticano.
Il 4 gennaio dello stesso anno fondava, con l’approvazione di Propaganda, la Congregatio Discipulorum Domini, il primo istituto religioso maschile cinese che prenderà corpo dal 1930 ed è tuttora esistente con una importante fioritura sacerdotale. Il 26 settembre inaugurava a Pechino i corsi dell’Accademia Fu Jen, allora
assurta a Università Cattolica, da lui voluta e sostenuta.
Durante il mese di gennaio veniva ricevuto a Nanchino dal Capo del nuovo Governo Nazionale della Cina, Generale Chiang Kai-shek, con gli onori riservati ai
Ministri degli Esteri, e il 19 maggio inaugurava l’Associazione Generale della
Gioventù Cattolica Cinese nella sede della Delegazione Apostolica. Il 31 maggio
partecipava, come Inviato Straordinario della Santa Sede, alle solenni onoranza
funebri tributate a Nanchino a Sun Yat-sen, fondatore della Repubblica Cinese.
Faceva inoltre pubblicare a Shanghai le norme del primo Concilio Plenario Cinese, approvate da Propaganda Fide e dalla Segreteria di Stato di Sua Santità.
Nell’anno 1930 subiva continui attacchi da organi di stampa occidentale in Cina,
ad opera soprattutto dei colonizzatori francesi, ma veniva difeso dalla Santa Sede.
Il 14 gennaio del 1931 presiedeva a Pordenone gli eventi in onore del B. Odorico da Pordenone a seicento anni dalla morte, da lui considerato suo precursore e
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protettore. Tra giugno e luglio era negli Stati Uniti d’America per un intervento
chirurgico a causa di un tumore, e ritornerà a Pechino il 17 agosto.
Il 15 maggio del 1932 amministrava il battesimo al pittore Tcheng Yuandu, futuro
caposcuola dell’arte cristiana cinese, e il 15 settembre approvava gli statuti definitivi dell’Azione Cattolica in Cina, che sarà presieduta da Giuseppe Lo Pa-Hong.
Nel mese di febbraio del 1933 lasciava la Cina per sottoporsi a cure mediche in Italia. Non vi farà più ritorno perché il 3 novembre 1933 rinunciava al mandato di
Delegato Apostolico in Cina per motivi di salute. Il 3 dicembre dello stesso anno
veniva nominato Consultore della Congregazione de Propaganda Fide, a cui si aggiungeva nel 1934 la carica di Consultore della Congregazione per le Chiese orientali.
Per circa due anni rimarrà senza un incarico preciso, dedicandosi soprattutto alla
cura della sua salute, ma compiendo alcuni viaggi, fino a quando il 17 dicembre
1934 veniva nominato Segretario della Congregazione de Propaganda Fide. Quindi, a
causa di questo suo nuovo ruolo, veniva anche nominato consultore della Congregazione del Sant’Offizio, dei Riti, e in seguito anche degli Affari Ecclesiastici.
Incominciva così un nuovo periodo della sua vita, ai vertici dell’attuale Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e di qui potrà dare impulso alla missio
ad gentes per tutti i territori della Chiesa dei diversi continenti. Tra i suoi diversi
impegni di questo periodo ricordiamo nel 1936 l’assunzione della carica di Rettore Magnifico del Pontificio Ateneo Urbano. Nel 1937 compiva visite in Spagna
e Francia.
L’8 dicembre del 1939 controfirmava l’Istruzione che approvava la partecipazione dei cattolici ai riti in onore di Confucio.
Il 5 maggio del 1940 controfirmava il decreto di abolizione del giuramento contro i riti malabarici, da lui sostenuta.
Il 9 maggio del 1941 otteneva dalla S. Congregazione del Sant’Offizio, la traduzione del Rituale romano nel cinese moderno e in altre lingue indigene.
Il 19 luglio del 1943 rimaneva miracolosamente illeso nel bombardamento aereo
nel quartiere di S. Lorenzo fuori le mura.
Tra febbraio e giugno del 1944 offriva rifugio nel Palazzo di Propaganda all’On.
Alcide De Gasperi, temibile avversario dei fascisti e dei nazisti. Da questo momento incomincerà un’amicizia con la di lui famiglia.
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Il 18 febbraio 1946 esultava per l’internazionalizzazione del Collegio dei Cardinali e per la creazione del primo porporato cinese, da lui chieste a Pio XII; l’11
aprile otteneva l’erezione della Gerarchia Episcopale in Cina, da lui proposta a
Pio XII già dal 9 maggio 1939. Il Costantini fu sempre a favore di un’internazionalizzazione anche di tutta la Curia Romana.
Il 29 giugno 1948 inaugurava a Roma il Collegio S. Pietro per il clero dei territori di missione.
Il 12 aprile del 1949 otteneva dalla S. Congregazione del Sant’Offizio la traduzione del Messale romano nella lingua cinese moderna.
Il 9 luglio del 1950 inaugurava a Roma la Mostra d’Arte Missionaria, da lui diretta, con l’intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri On. A. De Gasperi,
impegno in cui aveva profuso tutta la sua preparazione e genialità di uomo di
cultura e artista. Incominciando a sentire il peso degli anni e del sempre crescente lavoro della Congregazione di Propaganda Fide, il 12 gennaio 1953 Pio XII
lo creava Cardinale diacono dei SS. Nereo e Achille, lasciando così l’incarico di
Segretario della Congregazione di Propaganda Fide.
Nel 1954, tra febbraio e marzo, teneva conferenze, previamente approvate dal Papa,
a Torino, Genova, Milano e Roma sul tema: Il pensiero di S.S. Pio XII contro i crimini di
guerra. Il 22 maggio dello stesso anno veniva promosso Cancelliere di Santa Romana
Chiesa ed elevato al titolo di Cardinale Presbitero di S. Lorenzo in Damaso, ufficio
poi scomparso con la riforma della Curia Romana attuata in seguito da Paolo VI.
Il 19 dicembre del 1955 rappresentava Pio XII alla manifestazione promossa, nel
Palazzetto di Venezia a Roma, dalla Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale, nel decennale dello Statuto delle Nazioni Unite, e per l’occasione teneva
il discorso ufficiale.
Il 30 giugno del 1956 gli veniva conferita l’alta onorificenza della “Grosskreuz”
dal Presidente della Repubblica Federale Tedesca. Durante lo stesso mese veniva
nominato da Papa Pio XII Presidente Onorario della Pontificia Commissione
Centrale per l’Arte Sacra in Italia.
Il 20 novembre dello stesso anno veniva nominato membro della S. Congregazione per gli Affari Ecclesiastici Straordinari, l’attuale sezione per i Rapporti con
gli Stati della Segreteria di Stato già Consiglio per gli Affari pubblici della Chiesa.
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Il 9 ottobre 1958 moriva a Castel Gandolfo il “Pastor Angelicus” Pio XII.
Con lui il cardinale Celso Costantini aveva sempre intrattenuto un rapporto diretto di collaborazione, ispirando e motivando l’azione missionaria della Chiesa
nei suoi diciannove anni di pontificato, come consigliere stimato e apprezzato, e
che a livello di magistero avevano trovato sbocco in ben due encicliche missionarie: Evangelii Praecones del 2 giugno 1951 e Fidei Donum del 21 aprile 1957. Più
volte inoltre il cardinale Costantini, come si sa dalle raccolte dei suoi scritti, aveva sollecitato i Supremi Pastori della Chiesa a compiere un passo profetico con la
indizione di un Concilio Vaticano II, o quanto meno portare a termine il Vaticano I, mai concluso. Ne aveva fatto cenno anche al Patriarca di Venezia, nei giorni
precedenti alla indizione del Conclave, al quale il cardinale Celso Costantini non
potette partecipare. Sorella morte lo colse il 17 ottobre del 1958, per un embolia polmonare. Alcuni mesi dopo il nuovo pontefice Giovanni XXIII, il 25 gennaio 1959 ai cardinali radunati nella Basilica di San Paolo fuori le mura, annuncerà l’indizione di un nuovo Concilio Ecumenico. Uno dei desideri più cari del
cardinale Celso Costantini veniva a concretizzarsi nella volontà di un pontefice
anziano e definito dal popolo come il “papa buono”.
A questi tratti della vita del porporato Costantini, si rifanno le tre opere sopra richiamate, approfondendo periodi, situazioni, circostanze e problemi, esaminate
anche nell’attualità della vita ecclesiale.
Infatti la prima opera Chiesa e stato in Cina. Dalle imprese di Costantini alle svolte attuali, vede la figura del Costantini proiettata verso un insegnamento per il futuro.
L’opera è il frutto di un convegno di studio – a livello internazionale – che si è
tenuto a Venezia il 7-8 maggio 2009, promosso dalla facoltà di Diritto Canonico
San Pio X della stessa città lagunare che aveva per titolo: La Chiesa cattolica in Cina: il nodo della libertà religiosa.
Dopo una Prefazione del cardinale Antonio Cañizares Llovera prefetto della
Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, che auspica
una lungimirante apertura della nazione cinese non solo in campo economico da
parte dell’autorità politiche di quel paese ma anche per la libertà religiosa, e di
una presentazione del Preside della Facoltà di Diritto Canonico Prof. Mons.
Brian Edwin Ferme, che riallaccia alla tradizione veneziana, una delle antiche re286
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pubbliche marinare d’Italia, il suo interesse per la Cina, come attestano i viaggi
di Marco Polo, e nell’apporto che anche il diritto della Chiesa può dare alla tematica delle relazioni Chiesa-Stato in un determinato paese, si entra negli studi
specifici di quest’opera.
La prima parte del volume è articolata in quattro contributi ed è intitolata Dalla
“plantatio Ecclesiae” in Cina alle svolte storiche successive. L’intervento iniziale, steso
dal curatore del libro, il Prof. Mons. Bruno Fabio Pighin, delinea la strategia del
primo Delegato Apostolico tra gli eredi del Celeste Impero. Si evidenzia che
egli operò in piena sintonia con la Sede Apostolica per il raggiungimento di tre
obiettivi. L’impegno prioritario mirava alla decolonizzazione religiosa, che anticipò e favorì quelle di natura politica, economica e culturale, attuate nella seconda metà del secolo XX. In secondo luogo, egli si prodigò per la formazione
di un clero indigeno capace di vita autonoma rispetto ai missionari stranieri
presenti in Cina e per la consacrazione dei primi Vescovi cinesi, avvenuta nel
1926 e proseguita negli anni seguenti con altre ordinazioni. In terzo luogo, il
Delegato Apostolico operò a favore dell‘inculturazione cristiana in molti campi,
soprattutto nella promozione di un’arte sacra cinese e nella fondazione di scuole ed Università che impartissero un insegnamento in piena sintonia con la cultura locale.
La lungimiranza spinse Celso Costantini sul terreno accidentato dei rapporti politici e diplomatici; terreno irto di ostacoli posti soprattutto dalla Francia, che difendeva a spada tratta il suo Protettorato in Cina. La via da lui percorsa è oggetto
del secondo contributo, affidato al ricercatore della Facoltà di Diritto Canonico
veneziana dott. Christian Gabrieli e sviluppato integralmente sulla base di documenti inediti, resi ora disponibili dagli Archivi della Santa Sede. Da essi risulta
che il Costantini concepì il suo incarico come premessa al raggiungimento di
piene relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Repubblica Cinese; le quali, stabilite nel 1942, videro l’arrivo dell’Internunzio a Nanchino nel 1946. Viene finalmente chiarito come si giunse a questo importante risultato, frutto in buona parte del cosiddetto “metodo Costantini”, impostato sul principio della gradualità
mediante il conseguimento di accordi su singoli punti. Dopo due tentativi di stipulare convenzioni parziali tra Santa Sede e Cina, falliti nel 1926 e nel 1929, egli
registrò un esito che andò oltre le aspettative: il 25 febbraio 1943 Pio XII poté
ricevere in Vaticano le lettere credenziali del primo Ambasciatore cinese.
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L’impatto del regime comunista sulla Chiesa cattolica in Cina rappresentò un
trauma di gravissime conseguenze, del quale tratta il terzo contributo, La tremenda tempesta, fattasi particolarmente rovinosa con la “rivoluzione culturale”
(1966-1976), vanificò le attese di una produzione promettente, ancora in fiore.
Tuttavia non riuscì a distruggere la piantagione cristiana – per usare un’immagine cara al Costantini –, la quale aveva ormai messo profonde radici nel terreno
cinese. Su questa fase si basa l’apporto della professoressa Elisa Giunipero, docente di Storia della Cina Contemporanea nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Questa prima parte si conclude con l’intervento di S.E.R. Mons. Robert Sarah,
successore del Costantini quale Segretario della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e oggi cardinale e presidente del Pontificio Consiglio “Cor
Unum”. La competenza, derivatagli dall’alto compito di seguire le vicende della
Chiesa cattolica in Cina, gli permette di presentare la composizione di un quadro
inedito, di estremo interesse, sulla vita attuale dei fedeli sparsi in quell’immenso
territorio e sui programmi di aiuti della Santa Sede e di Chiese particolari a sostegno dei cattolici cinesi. Emerge una situazione in sviluppo in senso positivo,
soprattutto nell’ultimo decennio, la quale registra comunque notevoli problemi
per le interferenze dell’organizzazione civile sulle scelte religiose dei singoli e
delle comunità cristiane.
La seconda parte del volume pone in luce, come ci dice il suo titolo, La situazione attuale e le prospettive del rapporto Chiesa-Stato in Cina nelle relazioni tra la Chiesa cattolica e il più grande Stato dell’Asia. Il rapporto dipende fondamentalmente dagli spazi istituzionali previsti per le reciproche connessioni delle due
entità messe a confronto. Ciascuno dei versanti è illustrato da due illustri giuristi, dal prof. Giuseppe Dalla Torre, costituzionalista ed ecclesiasticista, Rettore
dell’Univerità LUMSA in Roma, e dal canonista S.E.R. Mons. Juan Ignacio Arrieta, Segretario del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi.
Il prof. Dalla Torre tratta il tema La libertà religiosa in Cina. Il relativo diritto è
formalmente ammesso, ma con la dizione restrittiva di “libertà di culto”, riconosciuta per altro ai soli Cinesi, non agli stranieri; ed è assicurata da parte dello
Stato la tutela costituzionale delle “normali attività religiose”. Già dalle espressioni riportate si possono cogliere ambiguità e incertezze – purtroppo confermate dalla normativa ordinaria – sulla concezione di libertà religiosa presente nel288
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l’ordinamento giuridico cinese. Infatti le confessioni religiose che, tra l’altro,
non devono rispondere ad alcun potere straniero, sono soggette alla registrazione
civile ed al successivo controllo governativo, pena la condanna all’illegittimità.
Questa logica dipende, in ultima analisi, dal principio dell’ateismo di Stato, che
privilegia la non credenza alla credenza religiosa e finisce per condizionare negativamente i diritti umani.
Sua Ecc.za Mons. Arrieta prende in considerazione il secondo termine nel confronto Stato-Chiesa in un contributo intitolato L’organizzazione della Chiesa cattolica in Cina: lacune e prospettive. L’autore traccia una interessante “mappa” delle circoscrizioni ecclesiastiche nel Paese, disegnata a seguito dello stabilimento della
gerarchia cattolica nel 1946. Tuttavia il quadro originario è stato sconvolto dalla
rivoluzione nazionale che ha prodotto tre fronti critici: la nascita e l’affermazione
dell’Associazione Patriottica Cattolica, il fenomeno del passaggio di fedeli alla
clandestinità e il riordino delle diocesi da parte dell’Autorità civile, senza alcun
accordo con la Santa Sede. Il dialogo tra le due parti, quella statale e quella religiosa, appare possibile, senza però rinunciare ai principi costituzionali della
Chiesa. Purtroppo due barriere ostacolano attualmente la via negoziale: la legislazione imposta dal Governo alla Chiesa cattolica in Cina nel 2003, riportata in
appendice al volume, e gli statuti della cosiddetta Conferenza Episcopale cinese
voluti dal medesimo Governo nel 2004.
Forse il problema maggiore che si presenta oggi, è quello segnalato dal prof.
Giorgio Feliciani nel suo contributo dal titolo La questione delle nomine episcopali
nella Repubblica Popolare Cinese. L’autore, che è ordinario di Diritto Canonico ed
Ecclesiastico nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, si dimostra grande esperto in materia e aggiornatissimo
sulla vicenda delle ordinazioni episcopali tra gli eredi del Celeste Impero.
L’apporto non si limita a fotografare la controversa situazione esistente, ma si
spinge a proporre, in forma magistrale, le possibili vie di soluzione al nodo
cruciale.
L’ultimo dei contributi, svolto dal prof. Stefano Testa Bappenheim della Facoltà
di Giurisprudenza dell’Università di Camerino, ci riporta a riflettere sulle cause
ultime del dibattito qui presentato, in quanto affronta La “questione religiosa” per il
Partito Comunista Cinese dopo la “rivoluzione culturale”. La trattazione si rivela un
prezioso indicatore dei grandi cambiamenti avvenuti nel “corpo” del regime coIUS MISSIONALE
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munista cinese, che ammettono ulteriori sviluppi. È emblematico, ad esempio,
che la “religione”, termine bandito dalla stampa ufficiale fino al 1978 sia diventata l’anno successivo oggetto di interesse di una specifica istituzione allo scopo
fondata: l’Associazione cinese per gli studi religiosi. Il documento base del Partito Comunista Cinese sulla questione religiosa, che registra dei significativi “distinguo” all’interno dell’organismo politico, risale al 1983. Esso utilizza sempre
l’ottica marxista-leninista, filtrata però da un setaccio cinese. Non è messa in
discussione la “fede” nell’ateismo, al quale è vincolato ogni comunista, convinto
della vittoria finale del marxismo, ma il fenomeno religioso è considerato positivamente sotto il profilo storico e sociale, se armonizza le sue manifestazioni con
l’ordinamento prodotto dal regime. Per questo adeguamento sono stati dettati i
seguenti principi-guida, formulati nel 1993 e integrati nel 2002, imposti pure alla Chiesa cattolica: attuazione della politica del Partito; regolamentazione civile
degli affari religiosi; coesistenza tra socialismo e religione; ancoraggio all’indipendenza, all’autonomia e all’autogestione.
Per completezza di informazione è stata allegata al volume quella che è ritenuta
la “magna charta” della Santa Sede sui rapporti tra Chiesa e Stato in Cina: La Lettera del Santo Padre Benedetto XVI ai Vescovi, ai presbiteri, alle persone consacrate e ai fedeli laici della Chiesa cattolica nella Repubblica Popolare Cinese del 27 maggio 2007. Ad
essa è stata aggiunta la Lettera del Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato del
Santo Padre, ai Sacerdoti nella Repubblica Popolare Cinese del 10 novembre
In appendice si ritrovano inoltre una serie di documenti preziosi, non facilmente reperibili, rappresentati da tre fonti vigenti nell’ordinamento cinese, tradotti
dall’inglese e denominati “Documenti normativi approvati nel mese di aprile
2003 dalla Conferenza Congiunta dei Presidenti dell’Associazione Patriottica
Cattolica Cinese e della Conferenza dei Vescovi della Chiesa Cattolica in Cina”.
Dette norme sono intitolate Statuto delle Diocesi Cattoliche in Cina; Statuto della
Conferenza Congiunta dei Presidenti dell’Associazione Patriottica Cattolica Cinese e della
Conferenza Episcopale della Chiesa Cattolica in Cina; Regolamento dell’Associazione Patriottica Cattolica.
Questi testi danno un’idea molto dettagliata di come lo Stato cinese intervenga
sulle comunità dei fedeli nel Paese. Esse certamente non possono essere accettate dalle autorità cattoliche. Ma la loro conoscenza è opportuna, senza la quale
ogni dialogo tra Chiesa e Stato, sarebbe falsificato.
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La seconda opera Edizione critica del Diario inedito del Cardinale Celso Costantini. Ai
margini della guerra (1938-1947), è il titolo che fedelmente riproduce il testo
preparato dallo stesso porporato, ma che poi per varie vicissitudini, come ci racconta l’introduzione del Prof. Mons. Bruno Fabio Pighin, non poté essere pubblicato. Il volume, oltre alla presentazione del prof. Mons. Brian Edwin Ferme, è
preceduto da alcuni tratti biografici (pp. 21-61), che sono in realtà un approfondimento utile per mostrare gli ideali soprattutto missionari del Costantini, oltre
al suo profilo biografico generale. Il testo poi del diario inedito va dagli anni
1938-1947, gli anni cruciali della seconda guerra mondiale e del suoi primi susseguenti, quando il Costantini era Segretario della Congregazione de Propaganda
Fide e durante i quali l’attività missionaria della Chiesa dovette limitarsi alla ordinaria amministrazione.
Alla fine del volume vi è anche la premessa di Ruggero Simonato preparata per
l’edizione non realizzata del 1987. A dir il vero, quando ancora era vivente il cardinale Costantini, l’allora sostituto della Segreteria di Stato mons. Montini, in seguito divenuto Paolo VI, l’aveva ritenuta inopportuna, al cui giudizio il porporato
si era sempre rimesso.
Ma vi è anche un Appendice all’anno 1945, in cui si descrive l’opera di alcuni
Vescovi durante la guerra, redatta dallo stesso Costantini.
Con questo diario il porporato non si proponeva di esprimere giudizi politici o
diplomatici, sulla seconda guerra mondiale, ma come egli scrive, quanto di essa
era «caduto sotto il breve angolo di visuale di uno spettatore posto ai margini del
conflitto e fuori da ogni partito».
In effetti però le sue pagine ce lo presentano come un uomo che ha vissuto ben
dentro le vicende dell’ultimo conflitto mondiale, dai suoi prodromi al primo dopoguerra. Certo non ci dà una descrizione completa delle vicende belliche, ma
segue attentamente gli eventi, a cominciare da quelli che interessano più direttamente l’Italia. Vive sia in prima persona sia attraverso i suoi innumerevoli
contatti le fasi del conflitto e le sue conseguenze nella vita di tante persone. Non
sembra un caso che i tragici anni 1943 e 1944 siano quelli che occupano la parte
maggiore delle memorie del presule. A testimoniare questa partecipazione agli
eventi stanno, ad esempio, il drammatico racconto del bombardamento di Roma
il 19 luglio 1943, nel quale si trovò personalmente coinvolto, o il resoconto della
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sua visita alla villa del Collegio Urbano di Castel Gandolfo bombardata il 10 febbraio 1944, oltre alle frequenti descrizioni della Roma colpita dai
bombardamenti, invasa da tanti poveri e sfollati, terrorizzata dai nazifascisti e in
lotta contro fame e borsa nera.
Inoltre, il segretario di Propaganda Fide giocò un ruolo non marginale in alcuni
snodi storici, come quello del 25 luglio 1943 (nella sua casa si svolse l’incontro
fra il sostituto Montini e l’onorevole De Stefani, il quale informò così la Santa
Sede sulla seduta del Gran Consiglio che portò alla caduta di Mussolini). Per alcuni mesi, dall’8 febbraio 1944 alla liberazione di Roma, mantenne vari contatti
con i membri dell’opposizione democratica, come Alcide De Gasperi, il quale
però non è l’unico personaggio di spicco il cui nome compare nelle pagine del
diario. Colpiscono infatti gli innumerevoli contatti con uomini politici, diplomatici, intellettuali e artisti, che sono per il Costantini fonte preziosa di informazioni e spunto per analisi e riflessioni sugli eventi della guerra, le sue cause e le prospettive del futuro.
Il diario di Costantini è, soprattutto, ricco di una riflessione “sapienzale” del genere: per lui comprendere il perché di ciò che accade non è meno importante e
interessante che riferirne lo svolgimento. Nel far questo, fra l’altro, egli ricorre
spesso a lunghe citazioni di articoli di stampa – compresa “l’Unità!” –, nei quali
egli vede rispecchiate la sua analisi e il proprio giudizio.
Soffermandosi sulle cause dei conflitto in corso, a più riprese, egli critica i Trattati di Versailles, che posero fine alla prima guerra mondiale e nella cui impostazione dei rapporti fra i popoli egli ravvisa una delle cause della nuova conflagrazione bellica: «Versailles edificò una pace non cristiana, ma ispirata agli
egoismi e agli interessi dei vincitori, quindi su fondamenti precari, minati dalle
correnti del sottosuolo» (1 novembre 1939); altrove usa espressioni forti e colorite, parlando di «sinedrio di Versailles», di «pietra putrida dei Trattato di Versailles», di «pace senza Dio».
Ma è soprattutto il fascismo a essere l’oggetto dell’acuta e spesso amara riflessione del presule friulano. Egli non dimentica certo i meriti, a cominciare
dalla Conciliazione («una delle migliori opere di Mussolini») ma meno oggettivamente riconosce anche una giusta aspirazione a ottenere domini coloniali («Bisognerà che una nazione di 45 milioni di uomini abbia le necessarie risorse vita292
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li», scrive l’11 febbraio 1941). Tuttavia, prevale la condanna di un movimento
politico che «toglieva la libertà e offendeva la dignità umana» e che, invece, secondo il Costantini, avrebbe dovuto «evolversi verso il diritto comune» (10 febbraio 1939), cioè verso la democrazia (lo stesso vale per il comunismo).
Nelle pagine del diario ritornano sovente le critiche alla figura del duce, «un gigante di cartone» (12 aprile 1941), «un falso idolo» (25 luglio 1943), e al suo
«assolutismo sciocco e arbitrario» (18 gennaio 1941). Anche nei suoi confronti
Costantini sa però trovare aspetti di bene e soprattutto, esprime sentimenti di
pietà. Il 25 luglio 1943 scrive del duce: «Lui mi fa pietà. E non si può e non si
deve dimenticare il bene che ha fatto». Non mancano inoltre suoi giudizi sul re
Emanuele III sovrano «scettico e chiuso, (...) assente» (4 aprile 1943), la classe
politica dell’epoca fascista («Si sente vergogna per la Camera, che non fa altro
che applaudire», commenta il 12 giugno 1941), il generale Badoglio, «politicamente un uomo mancato» (11 giugno 1944) e la stessa stampa di regime, «che
ha, tutta, un’intonazione falsa» (12 ottobre 1943).
Ma, dopo l’8 settembre 1943, non mancano osservazioni amare sui nuovi partiti
politici («non si pensa che siano i partiti per l’Italia, ma l’Italia per i partiti»,
commenta il 24 dicembre 1944), su certe frange della Resistenza («peccato che
tra i partigiani, animati da puro patriottismo, si siano intrufolati dei teppisti, che,
sotto colore di patriottismo, compiono atti di crudeltà, di rappresaglia, di ruberie», annota il 9 marzo 1944) e sul meccanismo della «nefanda epurazione»
(«colpire i colpevoli sì; ma lasciar vivere le persone oneste e capaci, anche se sono state fasciste»: è ciò che auspica il 22 marzo 1945).
Le considerazioni del diario si allargano, oltre l’Italia, agli altri attori del conflitto
mondiale. Vi è sia un totale ripudio di Hitler, paragonato all’anticristo (10 aprile
1940), «nuovo Gengis Khan, (...) nuovo Tamerlano» (1 novembre 1939) e del
nazismo con le sue forze repressive («i vampiri della Gestapo»), sia il timore per
la diffusione del comunismo («ma guai a noi – scrive il 30 maggio 1945 – se sorgerà un nuovo fascismo con la dittatura: il comunismo!»), che pure viene
identificato con l’anticristo (7 maggio 1945). Il giudizio del segretario di Propaganda non risparmia gli stessi Alleati, «implacabili e crudeli» (4 settembre 1943),
criticati sia per la loro «strategia-lumaca» (6 dicembre 1943), che ha portato i
combattimenti fino alle porte di Roma sia per l’atteggiamento verso l’Italia durante e dopo il conflitto («continuano a trattare l’Italia come se fosse quella di
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Mussolini e del re») sia per «l’unione delle democrazie dell’America e dell’Inghilterra con quell’altro dittatore, Stalin» (7 maggio 1945).
È significativo che già nel maggio 1945 egli parli di «guerra fredda», che segue a
quella guerreggiata ed è opera degli «spiriti non disarmati». Ritiene necessaria,
invece, «una pace fondata sui principi della giustizia e della carità; altrimenti saremo daccapo» (15 agosto 1945).
Su questo sfondo particolarmente oscuro e triste si staglia nelle pagine di questo
volume la luminosa figura della Chiesa cattolica, di Papa Pio XII e degli altri suoi
pastori: «Sopra la tenebra che si distende sull’Europa brilla la luce inestinguibile
della Chiesa» (17 maggio 1940). In essa il presule vede realizzato il contrario
dell’odio e della contrapposizione che la guerra in corso enfatizza: dopo aver
presieduto il pontificale dell’Epifania al Collegio Urbano, servito da seminaristi
di varie nazioni, alcune in guerra fra loro, Costantini esclama: «Miracolo di armonia in questo selvaggio disordine del mondo!» (6 gennaio 1944).
Per lui è soprattutto il Papa con il suo insegnamento (nel diario si citano ampi
brani dei discorsi di Pio XII) il punto sicuro di riferimento per una società disorientata e afflitta («anche i non credenti guardano al Vaticano», annota nel maggio-giugno 1940): Pio XII è «unico custode e vindice della giustizia, della libertà
e della pace» (22 luglio 1943), e i suoi discorsi sono una vera summa «anche sociale e politica» (3 maggio 1942). Il Pontefice è più volte paragonato a Gregorio
Magno, Consul Dei, è il Defensor Urbis, come il popolo romano – compresa «la
bandiera dei comunisti» – lo acclama il 5 giugno 1944.
Sotto la guida del Pontefice, le istituzioni della Santa Sede e della Chiesa – fra le
quali Propaganda – realizzano un’ammirabile opera per rispondere ai più disparati
bisogni del momento, anche a prezzo dell’ incolumità, verso tutti: ebrei, prigionieri di guerra, vittime dei bombardamenti, sfollati, perseguitati politici, giovani e
lavoratori razziati dai nazifascisti, militari dell’esercito disciolto. «Quando saranno
aperti gli Archivi Vaticani di questi torbidi tempi – scrive Costantini il 29 gennaio
1944 – si potrà constatare la multiforme e sconfinata carità di Pio XII».
Né meno ammirevole, secondo Costantini, fu l’azione dei vescovi: dal coraggioso monsignor von Galen, il «leone di Münster», ai vescovi olandesi, ai
presuli Montalbetti e Bologna caduti sotto i bombardamenti. Nell’appendice al
diario il futuro cardinale raccoglie alcune testimonianze sull’attività svolta nei
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giorni dell’aprile 1945 da Schuster a Milano, Boetto e Siri a Genova, Piazza a
Venezia e Nogara a Udine: «I vescovi, intermediari fra i tedeschi e i vincitori,
hanno fatto una magnifica opera di salvezza e di pace» (29 aprile 1945). E accanto a essi, viene esaltata pure l’opera dei parroci, dei cappellani militari, dei
missionari, di un clero, che, benché esso pure vittima della guerra, fece opere di
carità verso tutti.
Costantini, ben consapevole che il suo ufficio e i tempi difficili della guerra gli
impongono di «tacere e pregare» (è la sua consegna ai seminaristi di Propaganda il
10 giugno 1940, giorno dell’entrata in guerra dell’Italia), non è per questo meno
trepidante e partecipe delle sorti del suo Paese: «Io come segretario della Propaganda, mi pongo al di sopra dei conflitti, su un piano cristiano, in cui tutti, di
qualsiasi nazione, si incontrano e si riconoscono fratelli (...) Però, come persona
privata, io rimango cittadino italiano; e questa agonia dell’Italia mi stringe il cuore. Io l’ho amata l’Italia, e ora mi pare di amarla anche di più, perché più sventurata che colpevole» (23 gennaio 1941). Di questo equilibrato amor di patria è riprova in negativo il suo chiaro rifiuto del nazionalismo, che lo guidò già negli anni trascorsi come primo delegato apostolico in Cina, e, in positivo, l’auspicio di
una realizzata «internazionalizzazione del Sacro Collegio e della Curia Romana»
(25 dicembre 1945), che egli vide con soddisfazione attuarsi, ad esempio, nella
creazione cardinalizia voluta da Pio XII nel 1946, come già si notava. «Dice un
proverbio cinese: quando il sole è basso, anche gli uomini piccoli fanno l’ombra
lunga»: così il presule friulano descriveva la società italiana di quegli anni di guerra (12 giugno 1941). Riprendendo l’immagine, si potrebbe dire che l’ombra
lunga che egli ha lasciato non si deve solo a dei «tempi di incredibile decadenza»,
ma alla reale elevatezza della sua figura!
La terza opera Il ritratto segreto del Cardinale Celso Costantini in 10000 lettere dal
1892 al 1958, ci presenta invece un altro aspetto della vita del Cardinale Costantini, quello che si evince dal suo epistolario, di cui qui si presenta un saggio
di circa ottocento di esse. Il volume gode di tre prefazioni. Quella del cardinale
Fernando Filoni, attuale Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei
Popoli, che nota soprattutto la convinzione inculturativa della fede in tutti i suoi
aspetti che il porporato desiderava realizzare e la sua visione profetica verso alcune situazioni che si sono poi realizzate nella Chiesa; quella di Sua Ecc.za
Mons. Savio Hon Toi Fai, attuale Segretario della Congregazione per l’EvangeIUS MISSIONALE
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lizzazione dei Popoli, che esprime un giudizio sapienziale del lavoro di Costantini, mostrando la sua corrispondenza come una forma di apostolato; quella di
mons. Brian Edwin Ferme, Rettore dello Studium Generale Marcianum e Preside della Facoltà di Diritto Canonico San Pio X di Venezia che pone in risalto
l’importanza della lettera scritta come mezzo per capire più a fondo l’epoca in
cui si vive ma nel caso concreto del Costantini anche quella di uomo grande,
pastore accorto, fine diplomatico, quale fu il porporato. Fa seguito una tavola
cronologica sulla vita del Costantini e una introduzione del Prof. Mons. Bruno
Fabio Pighin, da cui apprendiamo che il suo epistolario rappresenta il corpus più
voluminoso dei suoi scritti ed è costituito dalla sua corrispondenza privata consistente in ben diecimila lettere, da lui custodite gelosamente a partire dal 1892
come il «tesoro» più caro della sua vita. Esso tocca la sua sfera intima, le sue
convinzioni più profonde, le sue amicizie più sentite. Mette in evidenza i suoi
legami con familiari e collaboratori soprattutto le sue relazioni con personaggi
illustri del secolo XX e con persone di diversissima estrazione sociale a raggio
internazionale.
L’opera segue uno sviluppo cronologico, suddiviso in quattro parti. La prima abbraccia l’arco temporale più lungo: Dalla preparazione al sacerdozio all’ordinazione
episcopale (1892-1921).
La seconda parte è intitolata La missione in Cina (1922-1933). È la più densa di
messaggi epistolari, sia perché essi costituivano l’unico modo di comunicare tra
Celso Costantini e la madre patria, sia perché riguardavano l’assoluta originalità
ed i suoi compiti quale primo Delegato Apostolico in Cina. Le ultime due parti
sono incentrate a Roma con incarichi importanti, ma a diversi livelli, indicati dai
rispettivi titoli: Il ministero a Propaganda Fide (1934-1952), in qualità di Segretario
dello stesso dicastero, Il periodo del Cardinalato (1953-1958), come titolare del
primo degli uffici della Curia Romana di allora: Cancelliere di Santa Romana
Chiesa. L’importanza storica della pubblicazione è di alto rilievo, in quanto svela
nella sua globalità e profondità la grande figura del porporato friulano, definito
«di una superiorità assoluta» da Papa Giovanni XXIII.
Tra le figure più eminenti dell’epistolario si ritrovano: uomini di cultura (D’Annunzio, Ojetti, Gemelli, Carnelutti, Maritain); esponenti politici (Ciano, De Gasperi, Cini, Martino, La Pira); artisti (Canonica, De Chirico, Mistruzzi, Messina);
Cardinali e Papi (Sarto, Della Chiesa, Ratti, Pacelli, Roncalli, Montini).
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A quanti poi volessero completare la visione che questi tre volumi ci presentano
dell’esistenza del cardinale Costantini, e a cui spesso fanno riferimento le stesse
opere, si possono vedere P. GOI (a cura di), Il Cardinale Celso Costantini e la Cina.
Un protagonista nella Chiesa e nel mondo del XX secolo, Pordenone 2008; F. METZ (a
cura di), Da Castions di Zoppola alla Cina. Opere e giorni del Cardinale Celso Costantini
(1876-1958), Zoppola 2008.
Dobbiamo inoltre ricordare che al cardinale Celso Costantini nella sua diocesi di
Pordenone sono dedicate uno Studio Teologico, una Fondazione e una Associazione, che vede nella persona del Prof. Mons. Bruno Fabio Pighin, l’animatore
infaticabile, a lui il nostro più ammirevole ringraziamento e in particolare per i
volumi da lui curati, di cui abbiamo potuto gustare la ricchezza storica, spirituale, giuridica.
Vincenzo Mosca
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Federico Marti, I Rutheni negli Stati Uniti. Santa Sede e mobilità umana tra Ottocento e Novecento, Giuffrè Editore, Milano 2009, 633 pp. [pp. I-XXXIII (Introduzione); 1-548 (Testo); 549-602 (Appendici); 603-633 (Fonti e Bibliografia)]
Si è preferito indicare già nel titolo della recensione le varie parti di questo lavoro, durato diversi anni e pubblicato nelle monografie giuridiche (nr. 36) della
Pontificia Università della Santa Croce, in quanto si tratta di uno studio di notevole mole, nel quale la parte essenziale è certo riservata alla configurazione canonico-giuridica della Chiesa rutena negli Stati Uniti d’America, ma contenente
anche una digressione più generale sul costituirsi del cattolicesimo americano.
Le ottanta pagine del secondo capitolo (pp. 49-128) sono infatti riservate al lungo e faticoso cammino di integrazione del cattolicesimo (non solo quindi di
quello ruteno, oggetto della monografia) in America (dove per America si intendono esclusivamente gli Stati Uniti). In esso viene analizzata la complessa problematica derivante dalla ideologia dell’“American Nativism” e dei suoi epigoni.
Per questa ideologia, “native americans” non vanno intesi i discendenti delle tribù che gli europei trovarono quando scoprirono un continente loro sconosciuto,
ma i discendenti dei “pilgrim fathers”, cioé di quegli europei bianchi di pelle, di
origine anglo-sassone e protestanti, nati nelle colonie settentrionali del Nuovo
Mondo a partire dal XVII secolo e che quindi si consideravano nativi nei confronti degli immigranti successivi, quelli del XIX secolo.
Attualmente non li si potrebbero considerare come nativi in rapporto ai veri nativi, precolombiani, che i nuovi “nativi” sterminarono e dei quali rimane attualmente un numero insignificante di sopravvissuti, confinati ancor oggi in riserve
“indiane”, tanto negli Stati Uniti quanto in Canada.
In questo capitolo si mette dunque in evidenza che le difficoltà incontrate con la
gerarchia cattolica statunitense di rito latino dai migranti ruteni non erano molto
diverse da quelle incontrate dai migranti tedeschi o polacchi o italiani e non dipendevano dal fatto che il loro rito fosse diverso e meno prestante di quello latino. Si trattava invece per i cattolici orientali ruteni di una questione di integrazione e di compatibilità della fede cattolica (orientale nel loro caso) con i valori
culturali e politici della società democratica statunitense.
Viene evocata pertanto la questione delle parrocchie nazionali (o quasi parrocchie)
che prescindendo dal territorio rivestono carattere personale legato alla lingua, alla
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nazione, alla cultura del singolo fedele. Si presenta inoltre la questione del cosiddetto americanismo, se cioè la Chiesa cattolica potesse riconciliarsi con la società
del tempo o fosse compatibile con le idee liberali che avevano condotto ad un sistema di separazione tra Stato e Chiesa e si dà conto delle relative controversie tra cattolici conservatori e progressisti. Distinguendo poi tra americanismo – dottrina alla
quale la Santa Sede aveva saputo dare una soluzione soddisfacente – e americanizzazione – controversia sulla quale la Santa Sede non aveva ancora preso posizione.
Viene infine brevemente esaminata la questione del diritto patrimoniale statunitense delle corporazioni religiose in quanto, insieme con la questione del clero uxorato, essa ha avuto particolare rilievo nella questione rutena, oggetto specifico della
monografia. Essendo infatti i laici i proprietari legali e reali dei beni delle loro chiese, essi potevano contrapporsi alle autorità ecclesiastiche del luogo in caso di conflitti. Questa situazione – ove i laici detenendo i mezzi finanziari possono anche
determinare le iniziative pastorali delle autorità canoniche e, se in conflitto, addirittura opporsi ai vescovi – è ancor oggi vigente nelle diocesi elvetiche orientali. I
noti casi del vescovo di Coira e del parroco di Roschenz (diocesi di Basilea) sono
stati le espressioni più acute di uno stato delle cose potenzialmente conflittuale.
I restanti quattro capitoli presentano in primo luogo (cap. 1, pp. 1-49) una panoramica relativa alla genesi e alla storia del cattolicesimo di tradizione rutena.
Certamente le informazioni di carattere storico-politico e culturale ivi presentate
anche se sommariamente (e per il profano in questo ambito storico-geografico
particolarmente complesse) sono il necessario quadro globale per integrare e in
seguito meglio comprendere le implicanze più propriamente religiose, teologiche e giuridico-canoniche.
Dopo la parentesi del secondo capitolo si torna infatti in medias res, trattando del
percorso tormentato dei primi anni dei Ruteni negli Stati Uniti d’ America (cap.
3, pp. 129-251) e delle diverse problematiche connesse alla unicità della giurisdizione (un solo vescovo, latino, per ogni circoscrizione ecclesiastica, prevalenza
pressoché assoluta del principio territoriale rispetto a quello personale, anche indipendentemente dalla diversità dei riti, i tentativi di compromesso messi in atto
dalla Congregazione di Propaganda Fide, più attenta in genere alle esigenze dell’episcopato statunitense, contrario non solo al moltiplicarsi delle giurisdizioni dovute a riti diversi ma anche al semplice costituirsi di quelle strutture pastorali che
vengono oggi definite missioni linguistiche e sono comuni anche in paesi europei
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di immigrazione, quali Svizzera e Germania – si possono ad esempio menzionare
i “missionari” degli emigrati italiani inseriti nel presbiterio delle chiese locali ove
esercitano il loro ministero secondo il principio personale).
Il richiamo al canone IX del Concilio Lateranense IV poteva suscitare una certa
sorpresa nei prelati orientali, essendo la pluralità di giurisdizioni (si pensi alla situazione attuale in Terra Santa ove accanto al patriarca latino esercitano la loro
giurisdizione altri prelati cattolici di rito non latino; o in Siria, a Damasco ed
Aleppo ove si trovano diversi Ordinari orientali cattolici di rito differente con
piena giurisdizione, ma anche, sempre attualmente, in paesi “latini” come Austria e Ungheria) una realtà comune e pacifica nei loro territori.
Più flessibile nei confronti degli orientali (anche se nei princìpi rigorosa) si rivelava Propaganda Fide in ordine alla questione dei sacerdoti di rito orientale, per lo
più uxorati (e che i vescovi statunitensi di rito latino ritenevano incompatibili
con il sacerdozio cattolico nelle loro diocesi, chiedendone il ritorno totale e immediato nelle eparchie di provenienza) optando per un loro graduale ritorno,
compatibilmente con le esigenze pastorali.
A poco a poco comunque si passava da provvedimenti concernenti singole persone a disposizioni più generali che richiedevano una maggiore determinazione
giuridica. Non solo più un accordo tra il vescovo a quo e quello ad quem, non solo
più l’iniziativa personale dei singoli sacerdoti di recarsi negli Stati Uniti, non solo
più la necessità di presentarsi all’Ordinario del luogo di rito latino per ottenere il
permesso di esercitare il ministero, non solo la vidimazione delle lettere dimissorie da parte del Delegato apostolico per evitare frodi, ma un controllo diretto di
Propaganda Fide attraverso la concessione della licentia a recarsi dalla eparchia di
origine in America settentrionale – Stati Uniti e Canada.
Mentre la celebrazione in rito non latino doveva essere consentita in contrasto con
quanto auspicato dall’episcopato statunitense, per contro la Santa Sede conveniva
sulla opinione dei vescovi statunitensi che non si dovesse creare un Vicariato episcopale per i non latini. Tuttavia, per ragioni di carattere pastorale, veniva suggerita, qualora vi fosse un numero sufficiente di fedeli, la figura del sacerdote delegato (deputy
priest), di rito orientale o anche latino, che si prendesse cura dei fedeli ruteni, suggerimento che venne accolto con favore dai vescovi statunitensi e che sarebbe rimasto in
vigore per tutti i fedeli di rito orientale, ma appunto con l’eccezione dei fedeli ruteni.
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Il cap. 4. (pp. 249-353) prende in esame le tappe successive, intermedie, verso
la istituzione di una struttura giurisdizionale indipendente e si sofferma sulle due
rilevanti questioni, 1) quella del clero orientale uxorato, in quanto solo sacerdoti
orientali celibi (o almeno vedovi, senza figli) avrebbero potuto essere autorizzati
a svolgere il ministero pastorale negli Stati Uniti ottenendo dagli Ordinari del
luogo le necessarie facoltà e 2) quella della unicità della giurisdizione.
Mentre sulla prima questione la Santa Sede mantenne un atteggiamento di principio rigido (anche se nei fatti le cose andavano poi diversamente essendo comunque meglio un buon sacerdote sposato che un cattivo sacerdote celibe), sulla
seconda vi fu maggiore flessibilità e propensione al cambiamento, se opportuno.
I tentativi si susseguirono e dopo la non riuscita esperienza del visitatore (inviato
per venire incontro alle richieste del governo austro-ungarico) si nominò da Propaganda Fide un vescovo titolare ruteno, vicario generale rituale per tutti gli Stati
Uniti, rimanendo tuttavia agli Ordinari del luogo il potere di giurisdizione.
L’Istruzione Inter migrantes venne in un primo tempo preparata da un officiale di
Propaganda Fide, Benedetti, e in appendice I-II-III vengono pubblicati questo primo schema, l’Istruzione ed il Motu proprio contenenti le disposizioni canoniche
concernenti il vescovo, il clero, i fedeli ed i matrimoni misti. Al primo schema si
aggiungevano nei documenti definitivi alcuni articoli, il primo obbligante il vescovo ruteno ad una relazione annua a Propaganda Fide; l’altro riguardante la fondazione (almeno nelle intenzioni) di un seminario per un futuro clero ruteno celibe; il terzo, prettamente rituale, relativo al divieto di amministrare la cresima
contestualmente al battesimo, disposizione che sarebbe stata all’origine di futuri
dissapori con la Santa Sede.
Inoltre, rispetto alla Istruzione Inter Migrantes, il Motu proprio di Pio X del 1907
Ea semper ridimensionava ancor più il potere giurisdizionale del nuovo vescovo
per i Ruteni degli Stati Uniti, facendone derivare la potestà sostanzialmente da
quella degli Ordinari diocesani di rito latino e suscitava quindi reazioni sfavorevoli all’interno della comunità rutena negli Stati Uniti, che annoverava ormai circa mezzo milione di fedeli, al punto che si dovette in seguito meglio precisare la
reale portata del documento.
L’ultimo capitolo, il quinto, che occupa circa duecento pagine (355-537) ed è
seguito da brevi conclusioni (539- 548) prende in esame la natura canonica della
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Chiesa rutena negli U.S.A. e il raggiungimento, come dalla comunità rutena da
lungo tempo auspicato, della piena autonomia giurisdizionale, grazie alla istituzione di una circoscrizione ecclesiastica per i fedeli di rito orientale ruteno negli
U.S.A. (ed anche in Canada).
Il primo provvedimento, formalmente e sostanzialmente innovativo, fu il Decreto Cum episcopo del 1914 (analogo al Decreto Fidelibus ruthenis del 1913 per i quasi centocinquantamila Ruteni del Canada, quasi tutti Galiziani a differenza degli
U.S.A., ove vi era una importante comunità di Ruteni ungheresi, oltre al fatto
che in Canada non sussisteva quell’affetto anticattolico esistente negli U.S.A.)
che concedeva il potere di giurisdizione ordinaria e personale al vicario episcopale per i Ruteni degli U.S.A e abrogava il Motu proprio Ea semper. Questi documenti (a partire dalle proposte di Ortynsky, primo vescovo per i Ruteni negli
U.S.A.) sono analizzati nei dettagli e sono anch’essi pubblicati in appendice.
Tuttavia la rivalità tra Ruteni galiziani e non galiziani non poté essere definitivamente superata (anche se l’istituzione degli 11 decanati foranei, 5 galiziani e 6
ungheresi aveva fatto diminuire le tensioni, ma la prematura morte di Ortynsky
nel 1916 non aveva consentito il consolidarsi delle strutture previste) se non grazie alla creazione, in un primo tempo, di due esarcati per i Ruteni negli U.S.A.,
avvenuta nel 1924 con la nomina di due vescovi ordinari (Philadelphia per i galiziani [ucraini] e Pittsburgh per i Ruteni non galiziani, vale a dire russini della Podocarpazia o provenienti da Ungheria e Iugoslavia).
La questione della proprietà ecclesiastica (corporazioni parrocchiali) spettante ai
laici, che venne risolta nel caso dei Ruteni seguendo sostanzialmente le regole del
diritto canonico, presenta una forte analogia con le attuali corporazioni parrocchiali (Kirchgemeinden) in taluni cantoni e diocesi elvetiche, ove al contrario, disattese
le disposizioni canoniche, viene unicamente applicato il diritto ecclesiastico (Staatskirchenrecht) e fedeli laici (purché eletti democraticamente, anche se si tratti di
irregolari sotto il profilo canonîco, ad esempio di divorziati risposati solo civilmente o conviventi) sono i veri padroni della Chiesa sotto il profilo economico, disponendo ed amministrando una somma di denaro che si aggira sui 600-700 milioni
di euro annui.
La sistemazione quasi definitiva della difficile questione dei Ruteni negli Stati
Uniti poté avvenire solo con il decreto Cum data fuerit del 1929 (Appendice VII),
utilizzando in ultima analisi un modello di carattere diocesano.
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Il lavoro svolto dall’autore che si fonda in larga parte su fonti dirette (soprattutto
l’Archivio di Propaganda Fide pro Negotiis Ecclesiae Orientalis) e su copiosa letteratura secondaria, con attenzione e meticolosità, fornisce un risultato complessivo soddisfacente sulle vicende relative all’immigrazione e allo stabilirsi dei Ruteni
negli Stati Uniti. L’opera, che presenta dunque elementi storico-giuridici, si legge con interesse e curiosità, per vedere come sarebbe andata a finire e permette
di constatare come la flexibilitas iuris canonici consenta di trovare la strada migliore
per raggiungere lo scopo principale del diritto della Chiesa, che è la salvezza e la
felicità delle persone, dei fedeli.
Che pensare infatti della flexibilitas iuris canonici sul controverso punto del celibato
dei sacerdoti orientali, che svolgono il loro ministero al di fuori del territorio canonico orientale e della saggezza della Santa Sede nel sospendere ad tempus i divieti per i sacerdoti orientali coniugati in fuga dalla persecuzione comunista nel
secondo dopoguerra? Valgono ancora le disposizioni dei menzionati decreti che
esigono preti orientali celibi o la legislazione successiva li ha esplicitamente o in
modo implicito abrogati? Sarebbero gli Stati Uniti ancora attualmente un territorio vietato per preti cattolici orientali sposati (titolo di un articolo del 2003 di
G. Nedungatt nella rivista The Jurist) a differenza di altri territori (Australia o Canada) dove invece non sussisterebbe alcun divieto e per così dire una pari dignità
tra preti orientali celibi (equiparabili ai chierici latini) e preti orientali coniugati?
L’autore è per una soluzione rigorosa e tradizionale che sostiene la superiorità
del sacerdozio celibe e invoca il costante atteggiamento della Santa Sede su questa disciplina. Nessuno mette in dubbio questo costante atteggiamento e le riflessioni dell’autore sono in linea di principio corrette. Ma allo stesso tempo come non notare che in talune parrocchie latine alle quali il parroco latino ha dovuto rinunciare per essersi sposato, è giunto come nuovo parroco un sacerdote
(già anglicano e passato alla Chiesa cattolica e riordinato) felicemente sposato?
Non vale per gli ex-anglicani quello che si invoca per gli orientali che svolgono il
ministero pastorale al di fuori dei territori canonici?
Sotto il profilo metodologico il lavoro è scientificamente valido, corredato di sette Appendici contenenti documenti non facilmente reperibili. Ci si può chiedere
se la scelta metodologica di inserire nelle note i singoli articoli (in latino) di tutti
i documenti, anziché rinviare alle appendici, non abbia appesantito eccessivamente il lavoro, offrendo un doppio (o un triplo, dal momento che questi artico304
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li sono presentati in italiano, anche se attraverso la corretta mediazione elaborativa dell’autore, nel corpo principale del lavoro) del medesimo testo. Vanno inoltre apprezzati l’elenco finale accurato delle fonti e la nota bibliografica esaustiva
(e per tale ragione ci si può interrogare sulla opportunità della citazione integrale
nelle note a piè di pagina anziché di una citazione abbreviata con rimando all’elenco finale). Si sarebbe potuto aggiungere alla bibliografia, atteso che nella ricerca si prende in esame, anche se solo sotto un preciso profilo, la questione del
matrimonio, un saggio meno recente (Luigi Bressan, Il divorzio nelle chiese orientali:
ricerca storica sull’atteggiamento cattolico, Bologna 1976) che in alcune pagine offre
interessanti osservazioni sulla prassi delle chiese orientali unite a Roma in ordine
allo scioglimento del matrimonio, questione di grande rilievo di questi tempi
(come del resto quella del celibato del clero, sopra ricordata).
La mole del lavoro è tanta e proprio per questo forse un registro dei nomi e dei
luoghi e anche tematico sarebbero stati di grande utilità. Due osservazioni di carattere linguistico: a nostro parere in italiano (diversamente dal fonema latino,
ruthenus o inglese, ruthenian o francese, ruthène) si dovrebbe continuare a preferire ruteno (senza la consonante h, che in italiano ha una funzione specifica),
almeno come aggettivo, in quanto ad un sostantivo in italiano dovrebbe seguire
l’aggettivo nella stessa lingua. Anche quanto al sostantivo, si può notare che la
voce Ruteni di cui alla Enciclopedia cattolica citata più volte dall’autore non contiene la “h”; ed anche in tutte le altre opere (citate sempre peraltro correttamente, cioè senza la “h”, dall’autore, in particolare nell’Annuario Pontificio) in italiano la “h” non compare mai. L’autore usa poi i neologismi “facoltizzare”, “facoltizzati” che a nostro avviso, anche se sintetici, sono meno lodevoli di “concedere le facoltà”, “essere titolari di facoltà”, “aver ricevuto le facoltà”. Ma forse al
tempo degli sms la nostra pretesa è un poco antiquata.
Infine una osservazione di carattere tecnico: ancorché nel complesso corretta,
tenendo conto della mole del volume, sussistono tuttavia talune imprecisioni
(quali il riferimento a Benedetto XV di un provvedimento del 1912 – e quindi
certamente ancora di Pio X; oppure la impossibile data del 29 febbraio in anni
non bisestili) nonché piccoli errori di stampa (nei testi e nelle note, in italiano e
in latino) per un totale di quasi un centinaio, che potranno essere corretti in una
edizione successiva.
Pier V. Aimone
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Charbel Bousamra, The Particular Law of the Maronite Church, Analysis and
Prespective, Edusc, Rome 2010, 464 pp.
Printed as part of the “Dissertationes. Series Canonica” (27), The Particular Law of
the Maronite Church, Analysis and perspective by Rev. Charbel Bousamra delves into
the much-discussed topic of the particular law of the Eastern Catholic Churches.
The first two chapters of this work are dedicated, respectively, to the general
theory of particular law and to the process of formulating the same. Chapters
three, four and five turn the reader’s attention to the particular case of the Maronite Church. Examining the historical sources for Maronite particular law
(chapter three), the Maronite Patriarchal Synod held from 2003-2006 (chapter
four) and, finally, the current project for establishing a complete ius particulare
for the Maronite Church (chapter five). The two major appendices provide English translations of the current particular law of the Maronite Church, which addresses exclusively those canons of the CCEO which require the promulgation of
a particular law, and the on-going project to provide a coherent, complete text
for the future. The tone of the thesis is expository and, in general, provides a
clear presentation of the author’s research.
Before commenting on the text itself, it is necessary to make a few preliminary,
stylistic observations. Most likely due to its nature as a doctoral thesis, there are
some stylistic quirks to the text that render it more difficult than necessary for the
reader. Some choices regarding capitalization and the use of italics that might
cause consternation. For example, the consistent capitalization of the word “Law”
in the phrase “particular Law” seems unwarranted. Also confusing, is the author’s
choice to not capitalize consistently the word “Maronite”. Equally difficult to understand, from the perspective of the reader, is the lack of consistency in the use
of italics; the most glaring example is the phrase “sui iuris”. When used with the
Latin “Ecclesia”, it is rendered in italics; when used with the English “Church”,
however, it is not. Another example is the choice to not mark words in languages
other than English (the language of the text itself) in italics. There is also the stylistic choice to incorporate longer quotations directly into the text rather than
marking them through indentation. These stylistic choices, and others, might
have a negative impact on the reader’s ability to follow the text.
The first two chapters address in a more generic manner the topic of particular
law. The first provides a conceptual overview of particular law, as found in the
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CCEO. The second includes an interesting theoretical discussion on the composition of law. Setting aside the first two chapters, which provide necessary background but add little to the already ample bibliography in this area, the heart of
the work lies in its analysis of the particular Law of the Maronite Church.
Following the schema developed by Acacius Coussa, which divides the history of
Maronite law into three periods, the author adds a fourth category, covering the
more contemporary legislation of the Maronite Church, from the time of Patriarch Paul Masad to that of Patriarch Nasrallah Sfeir. The author freely admits in
the opening words of chapter three that the scope of the current presentation is
limited. However, it appears to be too limited in its perspective to provide the
necessary tools for his eventual analysis of the current project for creating a complete Maronite particular law. The strength of this chapter is certainly found in
its presentation of the history of the relations between Rome and the Maronites.
Its most glaring weakness is in what it does not present about the Kitab al-Houda,
the so-called nomocanones of the Maronite Church.
This collection of canonical dispositions was used to govern the Maronite
Church for some five hundred years. It would seem that a more complete treatment of such an important canonical source would be necessary for evaluating
any effort to create a particular law for the Maronite Church. In this oversight,
however, the author is not alone. He wisely incorporates a quote from Fr. Ivan
Žužek, indisputable expert in all matters of Eastern Canon Law, which markedly
evidences the Maronite tendency toward adaptation of its own ways to those of
the West1. Therefore, the terse analysis of the Kitab al-Houda fits well with the
lack of use made of this important historical source by the Maronite Church in
formulating any successive particular law.
However, even the author’s presentation of the legislation of the Synod of Mount
Lebanon of 1736, the means by which the legislative norms of the Council of
Trent were incorporated into the life of the Maronite Church, is not sufficient to
provide the reader the tools necessary to critically evaluate whether the current
project for a particular law has taken into sufficient consideration the traditional
11 See pages 123-124 of the text, citing i. ŽUŽeK, Incidenza del “Codex Canonum ecclesiarum orientalium” nella Storia moderna della Chiesa Universale in PontiFiCiUM ConSiLiUM De LeGUM teXtibUS interPretanDiS (a cura di), Ius in vita et in missione Ecclesiae, LeV, Città del Vaticano 1996, p. 686.
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legislation of the Church sui iuris. Without a more thorough exposition of the legislation by which the Maronite Church guided itself for centuries, the reader cannot place the current project into its larger historical context. The work could
have been greatly strengthened by a more thorough presentation of the legislation
of the two above-mentioned principle texts in chapter three. Another means by
which the same goal could have been accomplished would have been to include
the relevant texts in the table regarding “CCEO deferrals to the particular Law of
a Patriarchal Church sui iuris”, found on pages 235-311 of the text.
Chapter four provides a brief look into a specific event in the life of the Maronite Church, the so-called “Maronite Patriarchal Synod”. It is unfortunate,
however, that the author does not comment on the title of this ecclesial event.
While in Arabic the word “majma’a” was used to designate this gathering –
which can be properly translated as “synod” – no mention is made of the canonical weight of this term. It seems a glaring oversight on the part of the author to
not expound on the appropriateness, or lack thereof, of the use of a term which
has a specific canonical meaning, in a way that does not appear to respect its usage in the CCEO. The author might not have felt the need to make such a comment, given that the official English title of the gathering is as he has cited it:
“Maronite Patriarchal Synod”. Nevertheless, this does not preclude the need for
commenting on the appropriateness of the title.
The text presented in chapter four is a brief introduction into the historical background of this meeting and a straight-forward presentation of selected sections
from the documents it produced. The chapter lacks any profound analysis of the
composition and methodology of the “Synod”. Nor, unfortunately, does the author provide a critical analysis of the recommendations or “action mechanisms”
established. While, again, such an analysis could be considered beyond the scope
of the thesis, it would have provided greater intellectual depth to the work.
The significant contribution of this text to canonical science is found in chapter
five. In this chapter the author provides a detailed analysis of the on-going project to create a more complete particular law for the Maronite Church. On the
one hand, the author rightly extols the virtues of the current draft. His example
of article 323 (pp. 208-209) as providing a clear, principled norm is to be lauded. On the other, the author notes a tendency in the draft project against the
principle of subsidarity. Is it really the case that Maronite particular law needs to
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address such matters as “Eparchial youth committees”? While, as the author
notes, it might be an effort to provide draft legislation for individual Eparchies, it
appears to be an over-centralization of matters which are better – and more
properly – handled on a local level. Again, the greatest contributions this work
provides to the general reader and the student of canon law are found in the
laudable presentation and analysis of the current project to produce a more
complete particular law for the Maronite Church.
In an effort to categorize the norms of the draft legislation, the author freely admits that a clear categorization is not easy. Many of the norms straddle the line
between “juridical” and “hortatory”. This gives evidence to the desire of the Maronite Church to produce a text which takes into consideration elements that go
beyond the requirements of the particular law as found in CCEO, something which
was not done by the text promulgated in 1996. However, it also shows the problem with promulgating as law, something which goes beyond strictly judicial
norms. What would be the legal value of these exhortative articles of the current
draft, if there were to be included in a legitimately promulgated particular law?
Moreover, although unspoken by the author, underlying some of these preoccupations is the situation of the Maronite Church outside the Patriarchal territory.
If the principle of subsidiarity is not respected, will the particular pastoral concerns of the Church inside the Patriarchal territory unnecessarily influence the
life of the Church found elsewhere? While particular institutions like the wakf 2,
are not found outside of the Patriarchal territory, Eparchial youth committees
certainly are. The author rightly raises these two issues as examples, without
delving into the larger, underlying issue. This is a larger challenge faced not only
by the Maronite Church but by all Eastern Churches and, rightly, the author
does not loose himself in this consideration. However, a clearer mention of this
difficulty would have provided a useful tool to the reader in more accurately
evaluating the scope and effect of the current project to produce a more comprehensive particular law for the Maronite Church.
12 briefly stated, wakf, used in the context of the Maronite Church refers to the monies the Maronite
Church receives from her vast land holdings. it is the case in Lebanon that the principle source of
monetary support for the Church comes in the form of rent paid from tenants on land owned by
the Church. Wakf refers specifically to a category found in islamic law, which refers to the conversion of some material asset, usually land, into a trust fund which provides its income to a specific,
religious or charitable endeavor.
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Like all doctoral theses, this work has its limitations and, as such, opens itself
easily to a certain type of criticism. However, the value of this text is that most
of the criticisms one can offer are about what it does not contain, not about
what is does. The author has done an good job of achieving the goals he established and, in a thesis, this is ultimately what is most important. Once again, the
great aid this work provides to the reader, and to canonists around the world, is
its exposition of current Maronite particular law and the gift of making it accessible to those who do not read Arabic. Both the strengths and weaknesses of the
work of Rev. Bousamra should provide food for thought about this topic. Like
any good doctoral thesis, this one answers the questions that it poses and leaves
room for the author, and others, to continue to delve deeper into the ever-evolving world of ius particulare Ecclesiae sui iuris.
This reviewer’s personal hope is that greater attention will be paid by the legislative authorities of the various Churches sui iuris to their ancient, authentic legal
traditions. In them, hopefully, will be found canonical dispositions which give
greater witness to the array of legal traditions present in the Catholic Church.
This legitimate diversity, recognized by the Supreme Legislator in the promulgation of CCEO, must be actualized in the institution of the ius particulare. In the
words of the Fathers of the Second Vatican Council
For this reason it solemnly declares that the Churches of the East, as much as
those of the West, have a full right and are in duty bound to rule themselves, each
in accordance with its own established disciplines, since all these are praiseworthy
by reason of their venerable antiquity, more harmonious with the character of
their faithful and more suited to the promotion of the good of souls3.
Research into these “established disciplines” should provide the foundation for
formulating any new ius particulare in the Eastern Churches. In this way, the concrete difficulties of today can be addressed in a manner which is more in keeping
with the legitimate disciplinary tradition of each Church sui iuris.
John Paul Kimes
13 Orientalium Ecclesiarium, 5.
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